INDICE
Prefazione di Leah Moore 7
INTERVISTA Capitolo 1: “C’era una volta” Capitolo 2: “Un buffo prodigio” Capitolo 3: “L’ascesa” Capitolo 4: “Lo stupore della palude” Capitolo 5: “Watchmania” Interludio: Miracleman Capitolo 6: “L’Autore” Capitolo 7: “Ritorno in prima linea” Capitolo 8: “Nuovi inizi” Capitolo 9: “Alan Moore: 2008”
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TRIBUTI 3 [senza titolo] di George Khoury e Hilary Barta “Fatti reali” di Neil Gaiman e Mark Buckingham 10 “Vanagloria” di Rick Veitch 36 “La pagina a fumetti” di David Lloyd 71 [senza titolo] di John Totleben 100 “Il mio primo incontro con Alan Moore!” di Dave Gibbons 128 “Alan Moore - un omaggio di compleanno” di Brian Bolland 129 “Un’offerta che non ammetteva ‘rifiuti’” di Michael T. Gilbert 151 “Vere storie a fumetti” di Chris Sprouse 169 [senza titolo] di Hilary Barta 196 “Collaborare con Alan” di Todd Klein 218 [senza titolo] di Kevin O’Neill 220 [senza titolo] di George Khoury e Katie Cook 248
STORIE E SCENEGGIATURE “Il santuario della lucertola” 26 “I vecchi gangster non muoiono mai” – disegni di Lloyd Thatcher 58 “La sceneggiatura per Judge Dredd” 66 “Lussuria” – disegni di Mike Matthews 120 “Il rompicapo del rifiuto recalcitrante” – disegni di Michael T. Gilbert 153 “Il ventre di una nuvola” 188 “Posso sentire l’erba crescere” – disegni di Alan Moore 252
Postfazione di Amber Moore 249 Bibliografia 252 Appendice: 2009-2010 di smoky man 278
Tributi GEORGE KHOURY - HILARY BARTA
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T
utto è cominciato nel modo più innocente, senza un rumoroso Big Bang o un evento epocale… anche se in realtà quel giorno d’autunno del 1953, quando una stella cadente scese su Northampton, le cose andarono in maniera bizzarra. Senza dubbio, per i suoi genitori è stato un figlio speciale in quanto primogenito, ma certo non avrebbero mai pensato che le parole che avrebbe scritto l’avrebbero portato molto lontano, ben oltre la natìa Inghilterra, e avrebbero donato gioia ai lettori in questo e in altri mondi. Chiamare questo spirito libero «il miglior sceneggiatore di fumetti della storia» è riduttivo: è uno degli scrittori più influenti della nostra generazione e di quelle future. Per più di vent’anni questo anticonformista ha fatto le cose a modo suo e ha preso strade che altri non osavano percorrere. Quest’uomo si chiama Alan Moore, e questa è la sua storia. A sinistra Omaggio di Alex Ross alla prolifica carriera di Alan Moore. La versione definitiva di questo disegno è stato pubblicato sulla rivista «Wizard».
PREFAZIONE
Q
ne in panciolle e dedicarsi al giardinaggio, bensì di continuare a produrre un’infinità di opere solo per divertimento e non per soldi. Secondo me non si è ancora reso conto di quale droga sia la creatività, e spero ancora di poterlo mettere in qualche clinica di riabilitazione letteraria dove gli verrà tolto il vizio di dedicarsi a geniali opere storiche per dedicarsi a testi che danno meno assuefazione, come thriller scontati o raccontini rosa. Anche se questo volume celebra il suo cinquantesimo compleanno, è necessario far notare che mio padre ha trascorso metà della sua vita lontano dallo sguardo del pubblico. Prolifico fin da giovane, si è davvero lanciato nella sua carriera di sceneggiatore solo a venticinque anni. Guarda caso quando sono nata io. Molti uomini, nell’apprendere di stare per diventare genitori, avrebbero cercato di conquistarsi un posto fisso con una paga regolare, in modo da garantire sicurezza economica per sé e per la propria famiglia in aumento; non si imbarcherebbero in un’impresa rischiosa come diventare uno scrittore professionista o, peggio ancora, un autore di fumetti. Penso che questa scelta dimostri molta determinazione da parte di mio padre, ma anche una buona dose di coraggio da parte di mia madre, a cui è toccato il compito di crescere me, e più tardi mia sorella, con i compensi della striscia quotidiana Maxwell the magic cat
uest’anno Alan Moore compie cinquant’anni. Per molti uomini questo sarebbe il momento di darsi al golf, della voglia incontenibile di guidare macchine piccole e veloci e magari di una scappatella con la segretaria. Tutte cose improbabili nel caso di mio padre. Lui, per fortuna, nella vita siede nel posto del passeggero. E quando affermo che è una fortuna, dico sul serio: ha una pessima vista e distingue solo due delle tre dimensioni; sarebbe quindi un brutto segno vederlo alla guida di un veicolo. Solo per questa ragione il novanta percento dei tassisti di Northampton potrà andare in pensione presto e mandare i propri figli all’università. Impossibile anche che abbia un’avventura con la segretaria: non solo perché è ancora felicemente legato a quella spacciatrice di pornografia di Melinda Gebbie, ma anche perché non ha una segretaria. Questo significa che si occupa lui stesso delle scartoffie, lasciandole in giro per casa in pile imponenti, risponde a tutte le telefonate nonostante non desideri parlare con nessuno, e si batte a macchina ogni parola della sua sbalorditiva produzione. Il suono del suo digitare è fragoroso e ritmico, e da lontano sembra un tip-tap demoniaco. Ma allora cosa rappresenta per lui questo compleanno? Per quanto mi è dato di capire è sua intenzione ritirarsi. Non nel classico senso di starse-
Nota del curatore italiano. Il presente volume è l’edizione italiana del libro The extraordinary works of Alan Moore - Indispensable Edition curato da George Khoury e pubblicato dalla TwoMorrows Publishing alle fine del 2008. L’Indispensable Edition espande e aggiorna l’omonimo volume edito nel 2003 in occasione del cinquantesimo compleanno di Alan Moore. Il cuore del libro è rappresentato da una lunghissima ed esaustiva intervista, divisa in capitoli, che tocca tutti i momenti della vita e della carriera di Moore. Dice il curatore George Khoury: «Tutte le sessioni d’intervista sono state condotte telefonicamente quando Alan aveva del tempo libero e si sentiva rilassato. Poiché ci sono numerosi momenti di riflessione, volevo che si sentisse a suo agio e spesso, mentre parlavamo, sorseggiava una tazza di tè. Prima di iniziare avevo premesso che se non avesse avuto tempo l’avrei richiamato la settimana o il mese dopo, in un momento in cui era libero da impegni. Inoltre, distanziare i nostri incontri mi avrebbe permesso di focalizzarmi meglio su particolari periodi della sua vita e di avere il tempo per fare le necessarie ricerche e letture. La prima sessione si è tenuta nel dicembre del 2001, mentre le restanti sporadicamente nel corso di tutto il 2002, quando Alan era estremamente occupato nel concludere la linea ABC (acronimo di “America’s Best Comics”) per la DC Comics e altri progetti. La maggior parte delle nostre conversazioni, a cadenza quasi mensile, duravano dai 60 ai 90 minuti.» Rispetto alla prima edizione del 2003, l’Indispensable Edition contiene un nuovo capitolo d’intervista, il nono, che aggiorna lo status dell’attività di Moore dopo il ritiro dal fumetto mainstream e la chiusura della linea ABC. L’intervista è stata condotta, ancora una volta per telefono, nel maggio del 2008. Oltre a questo nuovo capitolo, il cambiamento maggiore rispetto alla precedente edizione è rappresentato dalla sostituzione, nella sezione a colori, del racconto a fumetti “In Pictopia” (testi di Alan Moore, disegni Don Simpson, nuova colorazione di José Villarrubia, pubblicato originariamente nel 1986 sull’albo benefico «Anything Goes!» n. 2) con l’attuale storia di mr. Monster.
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Le straordinarie opere di Alan Moore
e, ogni tanto, di una mezza pagina a fumetti per la rivista «Sounds». Non ci vuole un genio per capire che se mio padre compie cinquant’anni, io ne ho venticinque. Il caso vuole che anch’io stia intraprendendo una carriera nel mondo delle vignette. Solo dopo aver vissuto in prima persona alcune delle difficoltà del settore in cui mi sono avventurata ho iniziato a capire quale impresa titanica debba essere stata per i miei genitori. Inoltre vale la pena aggiungere che la mia nascita, e la ricerca di quella sicurezza economica che ne è scaturita, probabilmente hanno spinto mio padre a lavorare ancora più duramente, a dedicarsi a più progetti contemporaneamente e a sforzare la sua creatività molto più che se non fossi mai arrivata. Detta così suona come se mi stessi prendendo il merito di aver dato ad Alan Moore il calcio in culo che lo ha portato a scrivere grandi fumetti. Beh, sì, è così. Ho passato la mia infanzia perlopiù in compagnia di mia madre, con mio padre presente solo come quel rombo di colpi battuti alla macchina da scrivere dalla camera di sopra. Per me questa cacofonia rappresenta tuttora un suono confortante, con cui rischio di appisolarmi se non sto all’erta. Mia sorella Amber può testimoniare che gli elementi che associavamo a nostro padre erano questo rumore, una nuvola di fumo e un leggero odore di liquido correttore. Ogni tanto emergeva dal suo studio, in genere quando era tempo di andare a dormire, quando nostra madre poteva passargli il testimone per una storia della buonanotte e noi goderci uno scrittore mentre fa ciò che più ama: raccontare storie. Prima di scadere nello stucchevole vorrei far notare che non tutte quelle storie erano tratte da libri per bambini: parecchie erano forse un po’ troppo mature per noi. Mi è stato poi spiegato che era “formativo”. Può anche darsi, ma ricordo chiaramente che entrambe ci siamo cagate sotto con Il popolo dell’autunno di Ray Bradbury. È stato in questo periodo, quando Amber ed io eravamo piccole, che in assoluto ha dovuto lavorare di più. Ancora oggi è facile capire perché: quando ci sono bollette da pagare la quantità di racconti prodotti improvvisamente raddoppia. Direi che questo accade regolarmente circa ogni sei mesi, dalla mia nascita a oggi. Questo duro lavoro diede i suoi frutti negli anni Ottanta, quando il successo di V for vendetta, Watchmen, Miracleman e delle altre opere significò che, per la prima volta, arrivavano un po’ di soldi. Avevamo una bella casa e tutti i comfort che si potevano comprare all’epoca. Da qualche parte c’è un filmato di me che mostro il funzionamento del nostro nuovo lettore CD, un oggetto che allora per noi era molto “avanti”. Era parte di una ripresa fatta da una troupe che venne a girare un
documentario su “Alan Moore: Icona degli anni Ottanta”, e fortunatamente questa sequenza non è presente nella versione finale. C’è invece una scena in cui mio padre cammina per un sentiero in un giardino vittoriano appena fuori Northampton. Mia sorella ed io entriamo correndo nell’inquadratura, lui ci prende tra le braccia e continua il suo cammino: l’immagine della forza paterna. Quello che però in un certo senso rovina questa immagine è che, quando è ormai quasi fuori dall’inquadratura, ci mette giù sul bordo del sentiero (con un senso di gratitudine, dato che nessuna di noi due è mai stata una silfide, neppure da bambina); purtroppo, miope com’era, non si era reso conto che il prato accanto al sentiero era più basso di almeno mezzo metro, e quindi in realtà ci stava calando su una scarpata erbosa piuttosto ripida. Il documentario televisivo termina con noi che ci agitiamo ridicole mentre rotoliamo giù per il prato. Capirete poi che, essendo sue figlie, abbiamo goduto di tutti i benefici del settore fumettistico. Karen Berger ci mandava una valanga di action figure della DC e una volta ci hanno dato due enormi pupazzi del Marsupilami: erano più grandi di noi e furono quasi fatti a pezzi da zelanti agenti del-
Alan si esibisce dal vivo con la figlia Leah (è quella con la chitarra).
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Prefazione leah moore
dopo si è messo ad adorare un serpente e capirete che ci siamo anche preoccupate per lui. D’altro canto, per due adolescenti come noi, le sue fisse, non importa quanto assurde, risultavano più che altro divertenti. Solo quando mi sono ripresa dalle risate iniziali mi sono resa conto che faceva sul serio. Si è interessato di rituali magici, ha studiato la cabala e ha riempito la casa di oggetti dell’occulto. Anche se il pensiero di candelabri accesi in giro per una casa strapiena di libri e scartoffie mi faceva preoccupare, decisi che il suo credo non era più folle o illegittimo di quello di gran parte delle altre persone. Sono ormai passati circa dieci anni dal suo annuncio a sorpresa e oggi è molto meno matto. Ha smesso di agitarsi come uno sciamano indemoniato e ha invece le movenze controllate di un prestigiatore, cosa che rende la vita più facile anche a lui. Quando la mattina il campanello suona, il postino può sempre ritrovarsi davanti un omone irsuto agghindato in una tonaca, ma almeno non è più coperto di sangue e piume. La sua produttività è aumentata e la sua linea di fumetti gli ha permesso di esplorare tutti i vari generi che tanto ama. I due titoli che più lo soddisfano, Promethea e La lega degli straordinari gentlemen, si sono rivelati anche quelli di maggior successo. Promethea ha fornito ai lettori una guida accessibile alla magia e alla cabala, mentre La lega ha radunato i migliori personaggi dai romanzi classici in un’avventura divertente e istruttiva. Stanno girando un film tratto dalla Lega, anche questo a Praga. È probabile che lo incupisca proprio come From hell, ma stavolta non è mia intenzione rapire nessuno degli attori. Mentre il gran giorno si avvicina, mi chiedo come si sentirà a cinquant’anni, se rallenterà il ritmo di lavoro o se ne uscirà con un’altra sorpresa. Forse fuggirà con quella sua bionda e sfacciata divinità-serpente, oppure deciderà di darsi al golf cabalistico in cui ci sono solo dieci buche ma le mazze sono più fighe. Qualsiasi cosa succeda, non vedo l’ora che scriva l’introduzione al libro per il mio cinquantesimo compleanno.
la dogana. Siamo andate al festival di Angoulême, dove abbiamo conosciuto i leggendari Will Eisner e Harvey Kurtzman. Fu proprio la figlia di Kurtzman, Liz, insieme al suo ragazzo, a farci fare un giro su di un piccolo biplano quando chi doveva occuparsi di noi era andato da qualche altra parte. E fu David Lloyd a offrirci una spremuta d’arancia quando rimettemmo i piedi sulla terra ferma, mentre della nostra errante baby-sitter gallica non c’era nessuna traccia. Fu in autobus, di ritorno da questa baldoria alpina, che mi ritrovai seduta di fronte a Sergio Aragonés, che non sospettava minimamente che circa quindici anni più tardi avrebbe illustrato il mio primo lavoro nel campo dei fumetti. Gli anni Novanta sono stati un periodo bizzarro per tutti; la bolla di benessere degli anni Ottanta era scoppiata, portando via con sé numerosi editori di fumetti. Questo volle dire che due dei progetti più grossi di mio padre, From hell e Lost girls, rischiarono di rimanere inediti. Come sappiamo, From hell fu terminato e persino trasformato in un film. Questo ha riempito mio padre di gioia e gaudio. O forse no, vero? All’epoca, io e Amber eravamo invece entusiaste, in particolare quando scoprimmo che il protagonista sarebbe stato Johnny Depp. Lo ricattammo, supplicammo, blandimmo, ma lui fu irremovibile… non ottenemmo il permesso di andare a Praga a rapire il belloccio protagonista. Ci venne negata anche la “prima” del film, l’emozione degli abiti da gala e della permanente. Riuscimmo però a ottenere delle copie di foto dal set, alcune delle quali mostravano il delizioso mr. Depp con un seducente kilt. Ho già scritto che essere figlia di Alan Moore ha i suoi vantaggi, vero? In quanto a Lost girls, è un’epopea carnale per antonomasia, a cui mio padre e la sua amata hanno dedicato gran parte dei loro quattordici anni di relazione. Nella lavorazione di quest’opera rivesto da anni il prestigioso titolo di consulente per il pelo pubico, e non smetto mai di meravigliarmi di come quei due riescano a cadere così in basso in nome dell’“arte”. Intanto, tra progetti che si arrestano, progetti che partono e il lavoro per la Image Comics (e qui confesso pubblicamente che la miniserie di Violator mi piaceva!), ha trovato il tempo di uscire di testa. Per il suo quarantesimo compleanno si è proclamato mago, e ovviamente non lo era affatto: non sapeva nemmeno fare gli animali con i palloncini. Poco
Leah Moore, 2003
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Tributi NEIL GAIMAN - MARK BUCKINGHAM
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Capitolo 1
C’ERA UNA VOLTA
Partiamo dall’inizio. Quando e dove sei nato? Sono nato il 18 novembre 1953 a Northampton, all’ospedale St. Edmond, un ospizio riconvertito di epoca vittoriana. Da quello che so, la mia famiglia vive a Northampton da molte generazioni, come qui ricordano tutti. A un certo punto qualcuno della famiglia sposò una donna belga (credo fosse ugonotta), appartenente a una comunità che si era stabilita in Inghilterra, nota per la fabbricazione di nastri e merletti. Gli Ugonotti si erano insediati a Spitalfields, nella zona degli omicidi di Jack lo squartatore, dove crescevano i loro figli, si prendevano cura dei loro malati e dei loro anziani, ed erano completamente autosufficienti, cosa che, ovviamente, non era ben vista dal governo del tempo che pensava fossero molto prossimi all’anarchia. Infatti era gente che voleva condurre la propria vita senza un capo, ed era in grado di farlo: non fu una buona cosa da proclamare, perché altre persone avrebbero potuto pensare di fare lo stesso. Così il governo mise una tassa su nastri e merletti, ideata appositamente per ostacolare gli Ugonotti.
ghilterra, questo dovrebbe trovarsi probabilmente nelle Midlands, nella “Black Country” intorno a Northampton. Si tratta di una città operaia? Oggi suppongo sia cambiata. È difficile dirlo. Originariamente Northampton… e quando dico originariamente, sto parlando del periodo Neolitico… era un insediamento umano, il che vuol dire un certo numero di capanne e un ponte. La ragione per cui la città si trova qui è perché c’è una pista, un antico sentiero naturale che va da Glastonbury fino al Lincolnshire, probabilmente la via che più o meno ha trasformato l’Inghilterra in una nazione. Questa pista attraversa il fiume Nene, a Northampton, e quello che prima era stato un gruppo di tribù sparse dovrebbe avere utilizzato la pista per commerciare e comunicare. Quindi chiunque seguiva quel percorso doveva attraversare il fiume e perciò, se mettiamo una città vicino al ponte, sarebbe diventata una città prosperosa, perché sarebbe stata la sede di molti scambi commerciali. Così presumo che questa sia la spiegazione del perché Northampton sorga qui, sviluppandosi poi molto lentamente: voglio dire, c’erano degli insediamenti romani da queste parti, preceduti da un grande accampamento durante l’Età del Ferro, diventato anche un mistero locale. L’intera popolazione infatti svanì dal giorno alla notte e nessuno ha mai saputo che cosa fosse accaduto. Sono state proposte molte teorie, ma nessuna è convincente. Se ne andarono improvvisamente, come dimostra l’abbandono di tutte le macine portatili per il grano di concezione relativamente nuova; è come se oggi la gente se ne andasse abbandonando i propri telefoni cellulari [risate]. Dovevano essere piuttosto costose, non certo delle cose da buttare via così. Perciò se le hanno lasciate tutte lì, significa che sono stati costretti ad andarsene così velocemente da non poter neppure aspettare di prenderle con sé. È come per la Mary Celeste1, ma sulla terra-
Quella donna era del tuo ramo paterno o materno? Della parte di mio padre, il ramo Moore della famiglia. Messa questa pesante tassa per danneggiarli, gli Ugonotti, che erano gente fiera, protestarono pubblicamente per le strade. Le autorità inviarono delle truppe che si acquartierarono nella chiesa di Hawksmoor e poi spararono sui rivoltosi. Credo che gli Ugonotti vennero dispersi per tutta la nazione; una di loro evidentemente giunse fino a Northampton e sposò uno della famiglia che, a quel punto, aggiunse alle proprie l’arte di fare nastri e merletti. Detto questo, la mia è una famiglia davvero proletaria, ben prima che il termine “proletario” venisse inventato: si potrebbe dire di stampo “contadino”. Northampton è geograficamente il “centro esatto” della nazione. È probabilmente la zona del paese in cui, se c’è ancora del sangue inglese, dell’antico sangue britanno rimasto da qualche parte in In-
Nave trovata senza nessuno a bordo al largo nel mare delle Azzorre nel 1872; del capitano, di sua moglie, della loro bambina e dell’equipaggio di sette persone non si seppe mai nulla [NdC]. 1
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Le straordinarie opere di Alan Moore
ferma. Non fu un attacco nemico: l’insediamento era in cima a una collina, e se vieni attaccato da degli avversari non abbandoni le postazioni in altura. Inoltre non sono stati trovati gli scheletri di un eventuale massacro. Lo stesso varrebbe se si fosse trattato di un incendio (ci sarebbero delle tracce) o di un’epidemia. L’intera comunità svanì nel nulla e più tardi giunsero i Romani. Qui c’erano alcune ville romane come dimostrano, di tanto in tanto, i reperti archeologici. Durante il periodo dell’occupazione romana della Britannia, Boudica (un’antica regina britannica, più precisamente la sovrana degli antichi Bretoni che guidava gli Iceni) era piuttosto famosa perché la sua era una tribù matrilineare, per cui il comando passava di madre in figlia. Questo mal si accordava con la tradizione patriarcale dei Romani e così, quando Boudica decise di passare il suo trono alla figlia, i Romani glielo proibirono, violentarono lei e tutte le figlie e poi, credo, le fecero frustare. Fu un grave errore di valutazione: Boudica non era solo la regina degli Iceni, ma anche la loro dea. La donna non fu certo contenta della cosa e radunò un’armata di Iceni, che prima calò sull’accampamento dei Romani a Colchester, uccidendoli tutti, poi scese a St. Alban e la distrusse. Infine si diresse a Londra e quando il presidio romano li vide arrivare, i soldati fuggirono perché erano dei Bretoni assetati di sangue, che poi misero a ferro e fuoco la città. Se si guarda la sezione geologica della roccia su cui è costruita Londra (ce n’è una in mostra al London Museum), si vede una piccola striscia nera di qualche centimetro che l’attraversa per tutta la sua lunghezza: è la testimonianza di quando Boudica bruciò la città fino alle sue fondamenta. Ora, se avesse inseguito i Romani, Boudica li avrebbe probabilmente scacciati dall’Inghilterra, invece proseguì scatenando su Londra un’orgia di distruzione: le interiora delle vittime furono impilate con le loro teste. Boudica voleva ucciderli tutti, ma la legione che era di stanza a Londra si diresse verso il Galles e si unì a un’altra che si trovava lì per sopprimere delle rivolte, come quelle delle tribù Caradoc. Le due legioni tornarono indietro insieme, dove trovarono Boudica e gli uomini rimasti, esausti. La versione ufficiale dice che Boudica fu uccisa e sepolta sotto quella che ora è la fermata 10 della stazione di King’s Cross, ma francamente è poco probabile. Credo che se i Romani l’avessero uccisa davvero, non l’avrebbero seppellita da nessuna parte, ma pezzi di lei sarebbero stati portati
in trionfo per tutto l’Impero per gli anni a venire. è più probabile che Boudica si sia uccisa con il veleno e, mentre quello che restava del suo esercito rimase a Battle Bridge a morire inutilmente per mano dei Romani, ci deve essere stato un piccolo gruppo di cavalleria che ne ha riportato il corpo a Northampton, dove si crede sia stata seppellita vicino all’attuale circuito automobilistico di Silverstone nel Northamptonshire, un posto che nel Doomsday Book2 viene chiamato “Dedequenesmore” o “Dead Queen’s moore” [La landa della regina morta]. Qualche anno fa hanno effettivamente fatto degli scavi in un vasto tumulo: di certo quello che restava di una regina del II secolo. Era quasi certamente quello di Boudica, ma non possiamo provarlo: stanno ancora lavorando per decifrare i reperti… con tutta probabilità però è lì che fu sepolta. Northampton è una curiosa cittadina, dove si sono concluse molte guerre: la Guerra Civile inglese fu decisa poco lontano, a Naseby; la Guerra delle Due Rose, penso, vicino all’Abbazia di Delapre a Northampton. Questo perché è situata al centro della nazione; è come se tutto sia accaduto qui o che chiunque, nel suo cammino verso quello che gli riservava il destino, abbia dovuto passare per questa città… che così ha sviluppato una personalità propria. Dio sa da dove proviene la mia famiglia, ma la sua origine non è tanto distante da Northampton: la gente non faceva grandi spostamenti a quel tempo. Dubito che mia nonna, in tutta la sua vita, si sia spostata per più di cinque o dieci miglia dal luogo in cui è nata. Di certo non lo fece sua madre, o la madre di sua madre. La mobilità è un’invenzione piuttosto moderna. Perciò penso che, più o meno, la mia famiglia sia strisciata fuori dalle paludi e si sia stabilita qui, dove è rimasta. Possiamo tracciare l’albero genealogico della mia famiglia fin dal XVII secolo o giù di lì. I componenti della mia famiglia, quelli di cui ci si ricorda, provengono da un ramo proletario della zona dei borough3 di Northampton. Fondamentalmente ci sono stati i Romani, poi l’Impero Romano è caduto e allora si sono ritirati. In seguito, sono arrivati i Sassoni che ci hanno invaso. Durante questa epoca, Northampton era giusto al centro di Mercia, il più importante dei regni sassoni. Perciò nel periodo sassone Northampton si poteva probabilmente considerare la capitale della nazione. Nel 1066 arrivarono i Normanni e i Sassoni furono scacciati o assoggettati, così i Normanni nominarono conti e baroni i traditori Sassoni, e diedero loro dei castelli. Quello che penso fosse quasi sicu-
Il grande libro del Catasto d’Inghilterra, fatto compilare da Guglielmo il Conquistatore nel 1086 [NdC]. Il termine borough indica una forma di amministrazione locale usata nei paesi anglosassoni, che individua la suddivisione in distretti delle aree metropolitane [NdC]. 2 3
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Capitolo 1 C’ERA UNA VOLTA
Casa dolce casa. Northampton è uno dei distretti dell’Inghilterra da oltre ottocento anni e Moore non ha mai vissuto da nessun’altra parte. Questa è una mappa del 1965.
«Io e mia mamma a St. Andrews Road (1954). Il vicino che si sporge casualmente nello sfondo sulla destra indossa, impossibile non notarlo, un cappotto mimetico con motivi a mattonella, molto popolare nella Northampton degli anni Cinquanta.»
«Northampton, all’incirca nel 1956. Io, in un night locale, attorniato dalla mie puttane.»
«Nel cortile a St. Andrews Road (1956-57). Io, con berretto in panno e pallone, cerco consapevolmente di apparire come un figlio della classe operaia perché sapevo che in futuro sarebbe stato figo inserirlo nelle biografie. In realtà, appena fuori dall’inquadratura c’è una piattaforma d’atterraggio per elicotteri e una piscina.»
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Le straordinarie opere di Alan Moore
casa in cui siamo vissuti io, mia madre, mio fratello e mia nonna materna, giù in St. Andrews Road a Northampton, di fronte alla stazione ferroviaria, sorta dove si trovava il castello, oggi sostituito con la stazione ferroviaria chiamata, appunto, Castle Station. Lì avevamo l’elettricità, che era una gran cosa, ma non un bagno interno (ne avevamo uno esterno con una cisterna nel cortile), mentre mia nonna paterna, che era anche la mia balia e viveva non lontano, aveva un bagno con lo scarico, ma non l’elettricità (aveva ancora solo la luce a gas): Ricordo che da piccolo passavo un sacco di tempo a chiedermi chi di noi vivesse nell’alloggio migliore. Allo stesso tempo, però, come ho detto, ero davvero felice. In primo luogo perché, credo, durante i primi dieci-undici anni della mia vita non avevo la minima idea che esistesse un altro modo in cui fosse possibile vivere.
«Con mamma a Victoria Park, forse nel 1955. Sono stato tenuto legato a una catena come una belva feroce, e forse è questo il motivo per cui sono diventato quello che sono.»
ramente un parente di Guglielmo il Conquistatore, tale Simon de Senlis, ebbe un castello a Northampton e fece costruire la Chiesa Templare di forma circolare che abbiamo in città, e diversi altri edifici. Non era un personaggio piacevole: era un crociato, e nessun crociato era un tipo gradevole… una specie di Norman “Tempesta del deserto” Schwarzkopf dell’XI secolo. Nella zona intorno al castello, quando venne costruito in quel periodo, vivevano i servi della gleba, e alla fine diventò il nucleo della città. Successivamente, con l’espansione della città, il castello fu abbattuto. L’area in cui sorgeva… tutte le viuzze intorno hanno nomi come Moat Street, Fort Street, che in realtà segnano i limiti dell’estensione del castello… è diventata la zona denominata borough. Nessuno conosce con sicurezza la ragione di questo nome. Alcuni dicono sia perché originariamente veniva pronunciato come b-u-r-r-o-w [cioè “tana”], poiché la gente povera faceva figli come conigli. È possibile. Altri hanno teorie differenti sul perché si chiami così, ma… io amo i borough e ripensando a quel periodo, era quello che avevamo in questa nazione prima dell’edilizia popolare. Questo era il posto in cui venivano messi i poveri. Nel caso della mia famiglia, erano persone che vivevano nei villaggi del Northamptonshire, fuori dalla città stessa. Quando la Rivoluzione Industriale ebbe bisogno di gente per far funzionare le macchine, allora si spostarono dai villaggi nei centri urbani e vennero sistemati in alloggi di basso livello: vecchie case a schiera vittoriane affittate dal Comune. È in una di queste che sono cresciuto e ho trascorso i primi diciassette anni della mia vita, proprio in uno dei quartieri più antichi di questa antica città. Fino a un certo punto lo stile di vita delle persone a me vicine, come mia nonna (che viveva con me, i miei genitori e mio fratello), non era cambiato in maniera significativa rispetto a quello di sua madre o della madre di sua madre. Mi riferisco, per esempio, alla
Hai mai avuto l’impulso di andare via? No, amavo la mia casa. Amavo le persone. Amavo l’intera comunità e, come ho detto, non pensavo che ci fosse un altro modo in cui vivere. Non sapevo dell’esistenza di una classe di persone chiamata “borghesia” che viveva meglio e che, in generale, occupava un posto migliore nella scala sociale rispetto alla mia famiglia o ai nostri vicini. Pensavo che tutti vivessero come noi, a parte la Regina. Cos’è successo quando, una volta compiuti i diciassette anni, vi siete trasferiti? In quel periodo il comune di Northampton prese la decisione (apparentemente per il bene della gente della zona, povera e analfabeta) di trasferirci in case più belle, posizionate in quartieri migliori. La realtà era che i terreni in cui vivevamo, per quan-
La casa dove visse Moore era probabilmente simile a quella nella foto. Dopo la Seconda guerra mondiale, il piano di edilizia popolare si estese anche fino a Northampton.
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Capitolo 1 C’ERA UNA VOLTA
to squallidi, avrebbero potuto essere usati per uno scopo economicamente più proficuo se si fossero liberati della gente che ci abitava [risate]. Così, quello che prima chiamavamo “il nostro quartiere” o “la nostra comunità” all’improvviso aveva un nuovo nome: “area di sgombero”. I bulldozer abbatterono ogni cosa [risate] e tutte le persone che vivevano lì furono trasferite in squallidi casermoni in altre parti della città, in quartieri che non erano molto migliori di quelli da cui provenivamo, di certo non erano più amichevoli. La mia nonna paterna fu trasferita dalla sua casa in Green Street, in cui aveva vissuto sin da quando era bambina, in un appartamento per anziani nella zona di King’s Heath: morì dopo tre mesi. Tutta la mia famiglia (io, mia madre, mio padre, mio fratello, mia nonna materna) fu trasferita in un quartiere analogo: mia nonna materna morì nel giro di sei mesi. Essere spostati dai luoghi in cui si hanno le proprie radici fu sufficiente a uccidere la maggior parte di quelle persone. Il quartiere in cui ero cresciuto fu distrutto quasi completamente e al suo posto non costruirono nulla di migliore: semplicemente, riuscirono a farci un mucchio di soldi senza avere tra i piedi i vecchi residenti. A quel punto la mia famiglia, ridotta di numero per via della scomparsa di mia nonna, viveva ad Abington: una zona piuttosto carina, o almeno lo era all’epoca. Ma il fatto stesso che vi stessero trasferendo la mia famiglia era un segno che non sarebbe rimasta una bella zona ancora a lungo. Era uno di quei quartieri in cui le persone povere venivano spostate per evitare che la loro presenza facesse calare il valore delle proprietà delle persone più benestanti, o che diventassero fonte di imbarazzi. Si trattava di zone popolate solo da famiglie povere e, in alcuni casi, da famiglie effettivamente problematiche: di conseguenza, queste aree vennero lasciate a se stesse. Così abbiamo vissuto nella nuova casa per un po’ di tempo, all’incirca fino a quando sono stato espulso da scuola. Ho continuato a vivere insieme ai miei genitori ancora per un paio di anni dopo la mia espulsione, poi sono andato in un appartamento con colei che sarebbe diventata mia moglie: quello è stato l’inizio della mia vita adulta.
Market Square a Northampton: oggi la città si sta trasformando velocemente da comunità di operai a grande città commerciale.
sere trattato come un adulto. Alla fine comunque, a essere onesto, credo di non aver mai smesso di crescere e, per essere precisi, mi hanno buttato fuori di casa… o me ne sono andato, a seconda di quale versione preferisci… quando avevo diciannove anni… o forse ne avevo appena compiuto venti. Le scuole a Northampton erano buone? Credo che tu lo stia chiedendo alla persona sbagliata. Sono molto risentito verso l’intero sistema scolastico. Non penso ci sia nulla di più importante al mondo della scuola, ma il sistema educativo qui in Inghilterra… o forse è lo stesso anche in America… non è proprio indirizzato a fornire un’educazione alle persone, a renderle felici o a dar loro gli strumenti per vivere una vita migliore. Per quella che è la mia percezione, almeno riguardo a questa nazione, alle persone delle classi più modeste come la mia non è mai stata concessa un’istruzione fino a tempi abbastanza recenti. È solo con la Rivoluzione Industriale che è diventato necessario educare i contadini perché prima di allora, vivendo in comunità rurali, non c’era alcun bisogno che sapessero leggere, scrivere o essere in grado di contare in un modo più complicato di quello necessario per tracciare qualche segno nella polvere: era sufficiente quello. Una volta spostati nelle città per lavorare in fabbrica, dovevano per lo meno essere in grado di leggere le istruzioni, sapere quale fosse l’orario del proprio turno e fare delle operazioni elementari… perciò divenne necessario istruire la classe operaia. Credo che la teoria su cui si basava il sistema scolastico britannico, su cui si basava il sistema classista in Inghilterra, avesse un fondamento genetico. Le classi dominanti comandavano perché erano geneticamente predisposte al comando, mentre le classi operaie erano costituite da creature di gran lunga ignoranti, povere, abbruttite,
Quando hai iniziato a pensare di essere un adulto? Quando avevo circa… undici anni? Undici anni? [risate] Ero sicuro di non essere adulto, ma è a quell’età che ho capito di essere intelligente almeno quanto la maggior parte degli adulti che conoscevo. E sensibile più o meno quanto loro. Per questo, sin da quando ero undicenne, ero indignato di non es-
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Le straordinarie opere di Alan Moore
pensarono: «Va bene, facciamo parte della classe operaia, ma siamo intelligenti. Guarda i Beatles: provengono da lì, ma tutto a un tratto sono acclamati dagli accademici e considerati i più grandi artisti del secolo, e quindi… ci sono delle possibilità anche per noi». Anche se sei nato nella classe operaia, non significa che devi essere schiacciato dal sistema. Naturalmente quello era il tempo in cui il boom dell’occupazione del dopoguerra stava iniziando a esaurirsi. Incominciavamo a sentire gli effetti crescenti dell’automatizzazione nelle fabbriche, un elemento che sarebbe diventato sempre più pronunciato negli anni a venire. Credo che alla fine degli anni Sessanta le persone che gestivano il potere sapessero molto bene che ci sarebbe stato un massiccio fenomeno di disoccupazione negli anni Settanta, un evento che poi si verificò realmente.
debilitate, un pelo sopra le scimmie, destinate a essere dominate. Poiché erano convinti di questa differenza genetica, non era importante se la classe operaia venisse educata un po’: non c’era alcun pericolo perché non erano degli esseri umani veri e propri. Iniziarono a educare la classe operaia ed è per questo motivo che nelle scuole erano soliti darci gratuitamente persino delle mezze pinte di latte durante l’intervallo. Ora, quando si inizia a dare un nutrimento vero e una dieta equilibrata alla classe operaia, improvvisamente saltano fuori membri del proletariato che non sono più curvi e rachitici, non più creaturine emaciate e malaticce, bensì ben piazzati e robusti, che sembrano in verità migliori di alcuni dei figli delle classi più agiate, più deboli a causa di una politica di “incroci” all’interno della loro stessa classe di origine, e che inoltre rispondono meglio al programma di educazione: divennero infatti intelligenti, e questo fu un piccolo problema perché negli anni Sessanta ci fu all’improvviso un’ampia generazione appartenente alla classe operaia in ottima forma fisica e intelligente, che aveva nuove aspettative. Per quello che riguarda le speranze degli operai, mi ricordo quello che mi diceva sul futuro mio padre, che in quel periodo guadagnava, credo, quindici sterline alla settimana per il suo lavoro in fabbrica. Mi diceva che quando sarei stato grande non avrei voluto guadagnare quindici sterline alla settimana: ne avrei volute diciotto. Questo era il massimo che riusciva a immaginare che avrei potuto raggiungere [risate]. L’idea di avere diciannove sterline deve essergli sembrata il sogno degno di un folle. Le aspettative della classe operaia non erano tradizionalmente alte perché non ricevevano alcuna istruzione, quindi non erano particolarmente brillanti. Una volta però che furono in grado di ottenerla, le loro aspettative crebbero. All’improvviso
C’è stato un momento chiave in cui hai iniziato a voler leggere? È stato grazie a un insegnante? Che cosa ti ha spinto verso la lettura? Come dicevo, molte delle persone appartenenti alla generazione dei miei genitori vivevano nella zona dei burough ed erano analfabeti. Erano persone che venivano da aree rurali e, per una ragione o l’altra, non avevano mai avuto bisogno di imparare a leggere e scrivere. Anche i tuoi genitori erano analfabeti? No, i miei genitori sapevano leggere e scrivere. Mio padre aveva persino vinto una borsa di studio per i suoi voti in matematica. Avrebbe potuto frequentare una delle scuole migliori della città, ma la sua famiglia avrebbe dovuto pagare la divisa, i libri e rinunciare ai soldi che avrebbe potuto portare a casa lavorando, perciò finì col fare l’operaio perché non poteva permettersi di continuare a studiare. Ma hanno sempre considerato importante avere una cultura: ne erano fortemente convinti. Mio padre ha sempre letto moltissimo per gran parte della sua vita e i miei genitori consideravano la letteratura essenziale. C’erano delle persone nel mio quartiere che riproponevano costantemente questa “scenetta”. Magari ti trovavi a casa loro perché eri amico di uno dei loro figli, il padre arrivava e diceva alla moglie: «Ho gli occhi un po’ stanchi stasera, mi leggeresti le notizie del giornale?». Questo succedeva perché io mi trovavo lì, perché c’era un ospite a casa e si sentivano in imbarazzo: il padre doveva fingere di chiedere alla moglie di leggergli il giornale perché lui non era in grado di farlo. Era un marchio infamante: le persone provavano compassione per chi non sapeva leggere. I miei genitori, prima che andassi a scuola all’età di cinque anni, si assicurarono che sapessi almeno leggere e scrivere le lettere dell’alfabeto, che sapessi leggere frasi
«“Annoiato ben prima d’iniziare”. Io, mia nonna Clara Elizabeth e la vicina, la signora Ward, fuori dal n. 17 di St. Andrews Road, più o meno nel 1954.»
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Capitolo 1 C’ERA UNA VOLTA
Quando ti sei reso conto che c’era un sistema sociale che ti avrebbe potuto schiacciare? Verso gli undici anni. Frequentavo la Spring Lane Primary School che si trovava a soli due o tre minuti di cammino da dove vivevo, in cima a una collina. Era comoda ed era bella. Sono sicuro che soffrisse degli stessi problemi di molte delle scuole del periodo, ma lì tutti i bambini erano chiamati per nome e ci conoscevamo tutti. Credo fosse composta in gran parte da figli di operai, per questo non ero cosciente che esistesse una classe media. Poi ho passato l’esame, quello che noi chiamiamo Eleven Plus4, un sistema davvero ingiusto in cui l’intero futuro di un bambino veniva deciso da quanto bene avesse svolto quegli esami all’età di undici anni. Negli ultimi due o tre anni alla Spring Lane credo di essere stato il primo della classe. Pensavo di essere un dio in miniatura. Ero head prefect5 e il ragazzino più intelligente della scuola: il mondo era pronto a offrirmi tutto quello che volevo. Poi, dopo aver passato l’Eleven Plus, sono andato alla Northampton Grammar School: un posto esclusivo che, a parte qualche altro ragazzo di famiglia proletaria che aveva passato l’esame, era frequentata in gran parte dai figli della classe media. Erano ragazzi molto in gamba, e mi resi conto all’improvviso che molti di loro avevano studiato in scuole private, una cosa di cui avevo sentito parlare solo nei libri di Billy Bunter6: avevano già ricevuto rudimenti di latino, grammatica, persino della matematica che ci avrebbero insegnato
«Mia mamma, io, Mike e il Dr. Solar, L’Uomo dell’Atomo. Nella roulotte del campeggio a North Denes, Great Yarmouth, nei primi anni Sessanta.»
semplici come “Il gatto è sul tavolo” e contare fino a dieci. Fu un loro punto d’orgoglio, e di certo ne valse la pena. Ricordo di essermi iscritto alla biblioteca locale all’età di cinque anni e il primo libro che presi… probabilmente non era il primo libro che ho letto, ma di sicuro il primo che avessi scelto da solo in biblioteca… si intitolava The Magic Island [L’isola magica]. Fino ad allora non avevo imparato la “g” dolce, perciò ero affascinato da questo libro chiamato The “Maggick” Island. Solo tempo dopo mi resi conto che la mia pronuncia era sbagliata. Da quel giorno andai in biblioteca un giorno sì e un giorno no, e prendevo due o tre libri alla volta: sono stato un lettore onnivoro fin da allora. Non posso dire che leggessi dei capolavori o persino dei libri decenti [risate]. Leggevo quello che mi capitava a tiro. Mi piaceva perché la mia vita reale, o almeno le sue circostanze, erano prestabilite, limitate, anche se allora non me ne rendevo conto. Come ho detto prima, mi piaceva giocare con i miei amici nei numerosi spazi desolati della zona dove vivevo, posti davvero interessanti. Erano una specie di palestra naturale, simile a una giungla. Allo stesso tempo, il mondo che i libri mi offrivano era completamente diverso: era come avere un’immensa, meravigliosa e ricchissima appendice al mondo reale in cui viaggiare ogni volta che lo desideravo, dove poter trovare qualsiasi cosa. Sapevo che il mondo reale era governato dalle leggi della verosimiglianza, lì invece si potevano osservare cose che non avrei mai visto nel quotidiano tragitto da casa a scuola.
«I Selvaggi: mio cugino Jim ed io, a North Danes, forse nel 1965 o nel 1966. È il mio periodo da motociclista ribelle. I capelli con la riga da una parte e i motivi del maglione fatto a mano denotano come al tempo le medicine assunte da mia madre necessitassero un’aggiustatina.»
Esame di passaggio tra la scuola primaria (di sei anni in Inghilterra, di sette in Irlanda del Nord) e quella secondaria [NdT]. Una sorta di “capo classe” [NdT]. 6 Personaggio molto popolare nel Regno Unito, creato da Charles Hamilton sotto lo pseudonimo di Frank Richards, è presente nei racconti ambientati alla Greyfriars School pubblicati sul settimanale «The Magnet» dal 1908 al 1940. Nel dopoguerra Richards pubblica diversi romanzi con Billy Bunter come protagonista, e a questo personaggio vengono dedicati albi a fumetti, opere 4 5
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Le straordinarie opere di Alan Moore
il senno di poi, non so… forse non è come mi sentivo allora, forse ero solo insoddisfatto per qualcosa su cui allora non potevo puntare il dito… ma mi sembrava che, ufficialmente, il tipo di educazione che veniva dato in questo paese fosse costituito dalla triade “leggere, scrivere, fare di conto”. Questo è quello che viene insegnato ai ragazzi, questo è il tipo di educazione ufficiale, ma c’è anche un altro tipo, una modalità più nascosta. Quello che viene davvero insegnato ai ragazzi, credo, è soprattutto: puntualità, obbedienza e accettazione della monotonia… qualità di cui la maggior parte di loro, per lo meno quelli di estrazione proletaria, avrà un gran bisogno nel prosieguo della vita. Avranno bisogno di saper essere puntuali nel cambio turno, di fare quello che gli viene ordinato e, anche se il lavoro è di una noia mortale, di continuare a farlo.
«Campeggio a North Denes, Great Yarmouth. Mike ed io (attorno al 1962), quando eravamo nella Pattuglia Spaziale, prima che scoprissero la nostra età e fossimo costretti a restituire i trasmettitori sub-spaziali.»
Accettare la propria condizione. [risate] Esatto. è in quel periodo che ho deciso che non avrei mai fatto un percorso accademico canonico e, soprattutto, che non volevo farlo. Non mi piaceva la scuola, non mi piaceva l’atmosfera, all’improvviso venivamo chiamati per cognome e indossavamo la stessa identica divisa: era come essere nella Gioventù Hitleriana! [risate] Avrò avuto quattordici o quindici anni? Quindi stiamo parlando del ’67 o del ’68? Una data del genere. Forse il ’69? Il movimento hippie stava nascendo e c’era un gran numero di persone che aveva motivi di gran lunga migliori dei miei per ribellarsi al sistema: il mio era l’orgoglio ferito [risate]… la mia vanità era stata ferita per i miei scarsi risultati scolastici. Ma allo stesso tempo era il periodo perfetto per me: stava accadendo di tutto, un maremoto di giovani che avevano un’opinione e un punto di vista critico su dove stesse andando la società. Sono stato capace di incanalare tutto il mio dolore e il mio risentimento (la ferita di essere diventato diciannovesimo nella mia classe) in una sorta di coscienza politico-sociale. Devo ammettere che la componente di risentimento scolastica non contribuì a lungo. Durante il periodo hippie riuscii a illudermi che la controcultura, che la rivoluzione hippie avrebbe distrutto i datati concetti di classe, che non importava se eri uomo o donna, che non importava il colore della pelle e neppure se eri ricco o povero: nell’Era dell’Acquario eravamo tutti fratelli. E riuscii a crederci per un po’. Successivamente ho iniziato a notare, verso la fine del movimento hippie agli inizi degli anni Settanta, che mentre io fui cacciato da scuola per spaccio di acidi, nessuno dei ragazzi della classe
in seguito, come l’algebra, che mi aveva sempre disorientato! Capii che esistevano dei vantaggi che non avevo avuto. Non voglio dire che ne ero sorpreso, ero consapevole che c’erano persone che ne sapevano molto, molto meno di me… ma allo stesso tempo stavo incominciando a capire che c’erano anche molte persone che ne sapevano più di me. Penso che il primo anno nella scuola secondaria la mia posizione nella classifica di classe fosse diciannovesima: fu uno shock tremendo per il mio ego. Ricordo di essere stato come il Jimmy Corrigan di Chris Ware, cioè il ragazzo più intelligente della Terra, e poi, tutto d’un tratto, ero solo il diciannovesimo ragazzo più intelligente della mia classe. Fu un tale trauma che alla verifica successiva scesi al ventisettesimo posto, per poi assestarmi tra gli ultimi: mi ero arreso. Avevo deciso che se non potevo vincere, non volevo neppure partecipare. Era stato così facile per me eccellere quando ero alla Spring Lane [risate]. Molte delle persone del mio vicinato, in un modo o nell’altro, erano mentalmente ritardate, ma ovviamente all’epoca non ne ero consapevole. Pensavo davvero di essere un autentico genietto: non avevo capito che ero solo il più intelligente in un gruppo messo piuttosto male [risate]. Non voglio dire che non ci fossero altri ragazzini che erano al mio livello: un paio di loro hanno poi avuto una vita abbastanza interessante. Era solo che all’improvviso mi ritrovavo alla scuola secondaria e mi rendevo conto che esisteva una scala gerarchica in cui io mi trovavo in fondo. Da allora non ho mai avuto interesse per gli studi regolari, e così torniamo alla domanda iniziale: «Com’è l’educazione scolastica da queste parti?». In quel periodo iniziai a pensare… o forse lo dico con
teatrali e un fortunato serial televisivo. Lo stesso Moore ha disseminato diversi riferimenti a Bunter ne La lega degli straordinari gentlemen [NdT].
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Capitolo 1 C’ERA UNA VOLTA
media che spacciavano con me [risate] fu mai coinvolto. Uno in particolare, poi, è entrato in polizia. Non solo: il preside mi prese di mira. Era in contatto con diversi istituti a cui avevo fatto domanda di iscrizione e si raccomandò che non mi accettassero perché ero un pericolo per la rettitudine morale del resto degli studenti… cosa che forse era vera. Al tempo però avevo diciassette anni e quel preside di fatto non mise fine solo alla mia carriera scolastica: quando cercavo lavoro mi chiedevano ovviamente le referenze dall’ultimo posto in cui ero stato, cioè la scuola, per cui fu anche in grado di dire loro di non assumermi. Guardandomi indietro, penso proprio che volesse porre fine alla mia vita all’età di diciassette anni.
«Nel cortile sul retro a St. Andrews Road (1963 o 1964). Bonjour, matelots! Dopo essere stati espulsi dalla Pattuglia Spaziale, Mike ed io abbiamo avuto un breve periodo in marina, ma non eravamo tagliati per niente per quella vita, anche perché Mike aveva un aspetto troppo gay.»
È lui il preside che si suicidò? Sì, si è impiccato e non dovrei riderne. Fu un suicidio legato all’ambiente scolastico: era stato in precedenza vicepreside di una delle nostre public school7, istituti come Eton o Rugby, frequentati dall’aristocrazia, dove bisogna pagare rette salatissime e il nonno deve mettere il tuo nome in lista d’attesa ben prima del tuo stesso concepimento. Era stato vice-
preside in una di quella scuole, per cui finire in un istituto come il mio era un declassamento. Non se ne era fatto una ragione? No, non poteva crederci. La maggioranza dei ragazzi della mia scuola erano di buona famiglia, ma c’erano anche alcuni della piccola borghesia, che si comportavano male, e poi i figli di operai, per cui non fu mai contento di essere finito in quella scuola. Inoltre, durante gli anni Settanta, ci fu un governo che decise che il sistema scolastico e l’Eleven Plus erano ingiusti e classisti, cosa assolutamente vera, e proposero un nuovo approccio chiamato “Sistema completo” in cui l’Eleven Plus era abolito e i ragazzi venivano semplicemente mandati tutti nello stesso tipo di scuola… per cui anche la mia scuola sarebbe entrata nel nuovo sistema. Questo significava che molto probabilmente il 75% degli alunni sarebbe stato di famiglia operaia e, in qualità di preside, avrebbe dovuto andare ogni giorno a scuola con un nugolo di pesti puzzolenti, e questo fu troppo per lui. Mi hanno raccontato che un giorno si recò a scuola di primo mattino e si impiccò nella tromba della scalinata centrale. A quel punto non dovevi più preoccuparti di lui e di quello che avrebbe potuto farti. No, ma a quel tempo avevo già risolto quei problemi da solo. Ho fatto un paio di lavori davvero infimi, di quelli dove non importa a nessuno chi tu sia. Anche se le tue credenziali includessero come ultima occupazione “assassino con l’ascia”, non ci fareb-
«Attorno al 1965, nel cortile del n. 17 di St. Andrews Road. Sto sorridendo perché ho appena ucciso un uomo a mani nude.»
7 In Inghilterra il temine public school è spesso usato per indicare quelle che, in altre nazioni, sono definite “scuole private”. Il termine originariamente faceva riferimento alle scuole elencate nel Public Schools Act del 1868. Queste scuole, in principio sostenute da donazioni e successivamente dal pagamento di una retta elevata, sono tra le scuole più esclusive del Regno Unito, e hanno provveduto e provvedono tuttora all’educazione di molti rampolli dell’aristocrazia e dell’alta borghesia [NdT].
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Le straordinarie opere di Alan Moore
idea, mi sono detto qualcosa tipo: «Dovrò probabilmente aspettare ancora un po’ per la carriera da musicista e per quella da fumettista underground, ma posso iniziare come spacciatore di LSD». [risate] Al tempo mi sembrava una prospettiva luminosa.
bero caso. Era il periodo in cui lavoravo nel reparto conceria di una cooperativa, un luogo orribile alla periferia della città. Mi dovevo alzare alle cinque del mattino per poter essere lì verso le sette, ora in cui iniziavamo a trascinare pelli di pecora fuori da queste vasche di acqua ghiacciata che durante la notte si erano mescolati con… beh, tutto quel genere di cose che si trovano su una pelle di pecora quanto l’hai appena staccata dall’animale: merda, piscio, sangue… i classici liquidi da cortile. E ovviamente le pelli di pecora quando le trascini via dalle vasche d’acqua gelida sono molto, molto pesanti!
Quando eri adolescente pensavi di avere maggiore libertà rispetto ai tuoi genitori? Beh, sì… credo di aver goduto di una maggiore libertà rispetto a quando ero bambino. Ho iniziato a uscire, avere delle ragazze, tornare a casa tardi, andare alle feste e cose simili. E ho scoperto che… è difficile non sopravvalutare l’impatto sulla mia vita e sul mio lavoro delle droghe psichedeliche. Ho iniziato con la cannabis, che all’inizio non mi faceva granché, e poi ricordo che durante uno dei festival a Hyde Park, probabilmente stavano cantando i Canned Heat, incontrai questo losco spacciatore che sembrava uscito da un fumetto di Gilbert Shelton che andava in giro vendendo vari tipi di droghe, erba e quant’altro. Ma aveva anche queste spesse e strane tavolette viola che assicurava fosse LSD… ed era proprio così. L’LSD fu un’esperienza incredibile. Non voglio dire che la raccomanderei, ma per me fu come se mi venisse scolpita nella mente l’idea che la realtà non era una cosa immobile, che quella che ogni giorno avevamo di fronte a noi era solo una delle tante possibili, che ce n’erano altre, con prospettive differenti in cui erano importanti cose diverse e altrettanto valide. Questo ha avuto un profondo effetto su di me, a cui si aggiunge naturalmente una generale euforia negli anni Sessanta che le persone che non c’erano… sì, lo so che le persone che hanno vissuto quel periodo hanno ripetuto fino alla nausea quanto fossero fenomenali gli anni Sessanta ed è importante capire perché tutti sono stufi di sentirne parlare, ma dal punto di vista culturale è accaduto davvero qualcosa di strano, qualcosa di fenomenale. Era la generazione più numerosa mai esistita al mondo grazie ai nostri genitori che, usciti dalla Seconda guerra mondiale e felici di essere sopravvissuti (ai bombardamenti, al Blitz, a tutto), nei due anni successivi si erano lanciati in una sorta di orgia sessuale globale. Il risultato fu il Baby boom. Credo che tutti fossero così felici di essere ancora vivi che volevano solo fare sesso con chi amavano perché potevano farlo, perché non erano ridotti a pezzi in qualche campo di battaglia in terra straniera o sotto le macerie. Per cui c’era questa enorme generazione, c’era lo sconvolgimento nell’economia causato dalla guerra, c’era la tecnologia che aveva fatto passi da gigante durante il conflitto. Così intorno agli anni Sessanta i nati nel dopoguerra stavano diventando degli adolescenti turbolenti. Avevano goduto
Quando sei stato espulso da scuola i tuoi genitori ne furono molto delusi? Erano sconvolti! Per loro dev’essere stata davvero una sconfitta tremenda. Erano a conoscenza del motivo? Sì, ma devo ammettere che ho mentito. Gli dissi che mi avevano incastrato. Non so, forse un po’ mi credettero. Anni dopo, quando ormai ero cresciuto, dissi la verità. Credo che si aspettassero qualcosa di più da me. Come sei finito a spacciare quella roba a scuola? Come ho detto, era il periodo hippie e io… Gestivi un traffico organizzato oppure…? Che tu ci creda o no, lo facevo solo per ragioni ideologiche. Non ci facevo certamente dei soldi, dato che i profitti erano praticamente nulli. Non sono mai stato un gran spacciatore, ma avevo letto La politica dell’estasi di Timothy Leary in cui diceva che gli eroi della rivoluzione culturale che stava avvenendo, o che credeva stesse avvenendo, erano i musicisti rock, i fumettisti underground e gli spacciatori di LSD. Ho pensato che fosse un’ottima
«Foto di un breve periodo in cui lavorai per la Wells Fargo nel 196061. Il passeggero è mio fratello Michael e la macchia in basso a sinistra, per quello che mi ricordo, era sangue apache.»
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Capitolo 1 C’ERA UNA VOLTA
Non avevi nessuna ambizione? Leggevi ancora molto però… Sì, leggevo ma nulla che mi potesse essere utile. Voglio dire che per me non c’era altra prospettiva se non un lavoro di fatica. Era quello che però aveva fatto mio padre, mio nonno e, prima ancora, il mio bisnonno. Quel fatto in sé non era certo la fine del mondo. Stavi quasi per accettare quel tipo di destino? No. Devi tener presente che sono sempre stato un ragazzino piuttosto particolare. Sono stato un tipo curioso sin da piccolo, un gran chiacchierone, uno molto loquace, sempre a straparlare di qualche stranezza: insomma, un tipo strambo. Ero l’unico che conoscessi ad aver mai letto un fumetto americano, nessuno degli altri ragazzi che frequentavano la mia scuola ne aveva letto uno. Penso che quando iniziai la scuola secondaria c’erano due o tre ragazzini che leggevano fumetti americani su circa 1.200 studenti, e la fantascienza… difficilmente c’era qualcuno che leggesse quel genere o il fantasy. Ero un cercatore di stranezze… sono sempre stato attratto da quel genere di cose. A questo aggiungi il fatto che ho sempre avuto la sensazione di essere speciale e importante, principalmente perché in una zona come i burough, non particolarmente rinomata per i suoi intelletti, ero stato “capo classe” a scuola: ho sempre sentito che dovevo essere una specie di genio. Ovviamente era un cosa davvero ridicola e sto solo cercando di spiegare lo stato particolare del mio ego. Quando sono stato espulso da scuola… ovviamente questo è successo dopo che il movimento hippie con tutta la sua carica ideologica era stato assorbito e dopo aver fatto qualcosa come, credo, una cinquantina di trip lisergici in un anno… tutto questo succedeva quando gli acidi erano ancora buoni, non certo la roba da bambini che si trova in giro di questi tempi… per cui mi trovavo in uno stato mentale particolare quando mi sono reso conto che ero stato cacciato da scuola, che il preside mi aveva di fatto precluso qualsiasi strada per proseguire a studiare, e che i lavori che avrei trovato sarebbero stati come quello in conceria o pulire i cessi al Grand Hotel… che è stato il mio secondo lavoro… una volta compreso tutto questo, avevo anche capito che molti dei miei amici dei tempi della scuola frequentati negli ambienti della controcultura, all’improvviso non volevano più avere a che fare con me per via del lavoro con le pelli di pecora. Se la continui è un tipo di attività piuttosto puzzolente: è davvero difficile togliersi l’olezzo di pecora decomposta dai vestiti e dai capelli, e non basta lavarsi. Perciò fui abbandonato da molti dei miei amici: andarono al college e non mi invitarono più alle loro feste. Sup-
«Michael, nostro papà Ern, nostra mamma Sylvie ed io, sul lungomare a Great Yarmouth (1962 o 1963). Non riesco a ricordare i nomi di tutte le comparse che abbiamo ingaggiato per questa fotografia, tranne il “ragazzo” alla sinistra di Michael: un nano cinquantenne e un attore fenomenale, di nome Trevor.»
dell’enorme boom della musica pop, aiutata dalla radio e dalla televisione (tutte tecnologie sbocciate all’improvviso), e avevano anche un po’ di spiccioli per andare in giro a comprare dischi. Ma quello che ne uscì fu qualcosa di davvero speciale. Più ci allontaniamo dagli anni Sessanta e più ci rifletto, e mi sembra davvero strano che sia storicamente accaduto. Penso che si potrebbe chiamarla una psicosi di massa: esisteva una sorta di anomalo, quasi indefinibile insieme di credenze che sembrava governare, in quel periodo, le menti di quasi tutte le persone dell’emisfero occidentale sotto i trent’anni. Sono sicuro che sia un’esagerazione e che ci sia stata molta gente passata attraverso gli anni Sessanta vivendo esattamente la stessa vita degli anni Quaranta o Cinquanta… probabilmente furono la maggioranza. Allo stesso tempo, però, ci furono persone che furono catturate in questo mondo degli anni Sessanta. Credo che quell’esperienza le abbia cambiate così radicalmente da avere loro stessi un notevole impatto sul movimento culturale che seguì. Cambiarono moltissime cose. Non sono ancora sicuro di quello che accadde, ma per diversi anni si irradiò un’energia incredibile che cambiò la vita delle persone: a volte in meglio, a volte in peggio, altre volte ancora per nulla. Dopo un po’ probabilmente sei tornato alla realtà e ti devi essere sentito un po’ perso… Mmm… non mi sono mai sentito perso. Pensavo che ci fosse stato un momento in cui i tuoi genitori ti avessero detto che avresti dovuto iniziare a fare qualcosa nella vita… I miei mi hanno detto: «Devi trovarti un lavoro», ma non potevo farci molto con la mia vita perché, come ho detto, era bella incasinata. Comunque…
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Le straordinarie opere di Alan Moore
Copertina di «Anon» n. 2, una rivista alternativa che ospitò la prima striscia creata da Alan Moore, Anon E. Mouse. Disegno di copertina di Mick Robinson.
“Gli abitatori delle profondità”: disegno del 1971 di un Moore diciassettenne per la fanzine «Weird Window».
La prima striscia creata da Alan Moore: Anon E. Mouse.
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Capitolo 1 C’ERA UNA VOLTA
manie di grandezza, anche se non so da dove venissero fuori. Nel ramo paterno della mia famiglia c’è un piccolo, minimo tocco di pazzia. Mio bisnonno, Ginger Vernor, era matto come un cavallo. Era un grande artigiano e, appeso come Michelangelo a un’impalcatura, affrescava i soffitti delle chiese. Nel contempo era anche un fiero alcolizzato e un riparatore di campanili e camini. Era capace di arrampicarsi velocissimo sul lato di un edificio per dare un’occhiata all’interessante lavoro di muratura del camino. Una volta rifiutò la co-direzione di una delle industrie che diventò una della aziende leader nella lavorazione del vetro a livello nazionale perché il direttore che gli aveva offerto l’incarico gli disse che avrebbe dovuto evitare di andare al pub per due settimane. E Ginger, dopo averci pensato, rispose che non gli piaceva che gli venisse detto cosa fare. E così rifiutò [risate] la direzione e rinunciò a diventare milionario. Sono felice che l’abbia fatto perché altrimenti sarei nato in una famiglia completamente diversa e nulla di tutto quello che ho fatto sarebbe probabilmente mai accaduto.
pongo che allora l’unica cosa razionale che potessi fare sarebbe stata quella di disperarmi, ma ero un po’ maniaco e probabilmente non aver capito in quale orribile situazione mi trovassi fu la mia salvezza. Ero semplicemente convinto che dovevo trovare il modo di vendicarmi della società, non importava come. Ero stato maltrattato, per come la vedevo io, dal sistema, dagli adulti, dalla società civile. Era solo un altro esempio di come gli adulti cercassero sempre di sottomettere i giovani, per cui decisi di vendicarmi. Decisi che avrei trovato un modo per rivalermi di tutti quelli che mi avevano trattato male. Ero un mostro! Voglio dire, questo stava accadendo dopo cinquanta acidi, ma cerca di immaginarti la situazione se ci riesci: un giovane Alan diciassettenne, seduto lì a occhi spalancati, in preda alle allucinazioni… Per cui sei diventato un ribelle… Ero contro il sistema. Un sociopatico. Immagino che i tuoi genitori non volessero più parlare con te dopo tutto quello che era successo? I miei genitori sono sempre stati eccezionali! Fino alla loro morte siamo andato d’accordo e non ho mai avuto problemi con loro. Ce l’avevo con l’autorità, con il governo, ero contro il sistema in generale.
Hai fratelli o sorelle? Sì, ho un fratello, Mike, che vedo ancora ogni settimana e che è anche uno dei miei migliori amici. Che cosa fa ora? Lavora molto duramente in uno stabilimento per il ricondizionamento di fusti metallici e sta tirando su, insieme alla moglie Carol, due figli che sono proprio dei bravi ragazzi. Lavorano molto, davvero tanto… c’è dell’autentico eroismo nelle persone che fanno lavori tutt’altro che piacevoli, il tipo di famiglia in cui è importante “portare a casa il pane”. È una cosa che rispetto profondamente e lui è anche molto più divertente di me. Ha un senso dell’umorismo strepitoso ed è una delle persone più simpatiche che conosca, perciò mi piace sempre stare in sua compagnia.
Portavi già i capelli lunghi e tutto il resto? Non lunghi come adesso, ma nel mio ultimo anno di scuola i mie capelli erano diventati un bell’oggetto di polemica. Mi veniva costantemente detto di tagliarli ed ero sempre… Dal preside? Anche da diversi professori, che mi avevano preso di mira: ero diventato una specie di bersaglio. Ma allo stesso tempo questo si abbinava bene con l’idea del romantico adolescente perseguitato, sul modello di James Dean in Gioventù bruciata, che mi stavo creando nella mia testa. Ho sempre avuto
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Dedica Alla memoria di Sylvia ed Ernest Ringraziamenti Alan Moore: grazie per questi vent’anni e più di storie e per aver resto questo libro possibile. Collaboratori Hilary Barta, Brian Bolland, Mark Buckingham, Katie Cook, Neil Gaiman, Dave Gibbons, Michael T. Gilbert, David Hume, Todd Klein, David Lloyd, Marc McKenzie, Mike Matthews, Dave McKean, Amber Moore, Leah Moore, Kevin O’Neill, Steve Parkhouse, Harvey Pekar, Alex Ross, Chris Sprouse, Greg Strohecker, Lloyd Thatcher, Steven Tice, John Totleben, Rick Veitch, José Villarrubia e J.H. Williams III Un ringraziamento speciale a Richard Ashford, Peter Bagge, Bart Beaty, Tony Bennett, Eddie Campbell, Stephen Camper, Mike Collins, Jon B. Cooke, John Coulthart, Steve Darnall, Pat Fish, Dick Foreman, Trevor Goring, Paul Gravett, Alex Green, Ed Hillya, Jason Hofius, Mitch Jenkins, Omar Khoury, Joseph Koch, smoky man, Jean Matthews, Mike Moore, Steve Moore, Mark Nevins, Stan Nicholls, Walt Parrish, David Roach, Dave Sim, Matt Smith, David Sutton e anche a tutti i collaboratori, perché non ce l’avremmo fatta senza di voi. La copertina: l’illustrazione è stata realizzata dal disegnatore Dave McKean alla fine degli anni Ottanta per un libro su Moore che Neil Gaiman non completò mai. Anni dopo, Gaiman suggerì l’illustrazione come copertina di questo libro e McKean la ritoccò aggiungendo dei nuovi elementi. Edizione originale: The Extraordinary Works of Alan Moore - Indispensable Edition Editorial package © 2008 George Khoury and TwoMorrows Publishing Testi: George Khoury Foto di apertura dei capitoli: José Villarrubbia Trascrizione delle interviste: George Khoury, Marc McKenzie, Steven Tice Revisione testi e assistente di produzione edizione originale: Eric Nolen-Weathington Supervisione edizione italiana: smoky man Traduzione: Nicola D’Agostino (prefazione, “Vanagloria”, cap. 3, tributo Totleben, “Lussuria”), Stefano Marchesini (bibliografia), Leonardo Rizzi (“Il santuario della lucertola”, “I vecchi gangster non muoiono mai”, “La sceneggiatura di Judge Dredd”, cap. 6-7-8-9, “Il ventre di una nuvola”, “Collaborare con Alan”, tributo O’Neill, postfazione), Valentina Serra (introduzione, cap. 4, “Miracleman: Interludio”, discografia, videografia, miscellanea), smoky man (tributo Khoury/Barta, “Fatti reali”, cap. 1-2-5, tributo Lloyd, “Il mio primo incontro…”, “Alan Moore - un omaggio di compleanno”, introduzione mr. Monster, “Vere storie a fumetti”, tributo Barta, “Mr. Monster: Il rompicampo del rifiuto recalcitrante”, “Posso sentire l'erba crescere”, tributo Khoury/Cook), Daniele Tomasi (“Moore Underground”) Foto (quarta di copertina): Davide Conti Un ringraziamento a Eugenio Marica per l’aiuto nell'adattamento dell'edizione italiana del fumetto di mr. Monster. Bibliografia italiana: Stefano Marchesini Lettering – adattamento grafico – supervisione fumetti: Daniele Tomasi Progetto grafico di copertina – impaginazione Ottavio Gibertini Trademarks & Copyrights Miracleman/Marvelman TM & © 2008 the respective holder Vampirella TM & © 2008 Harris Comics Captain Britain, Daredevil, Fantastic Four, Night Raven TM & © 2008 Marvel Characters, Inc. Cobweb, First American, Greyshirt, Jack B. Quick, League of Extraordinary Gentlemen, Promethea, Splash Brannigan, Tom Strong, Top Ten TM & © 2008 America’s Best Comics, LLC Abby Arcane, Adam Strange, Batman, Comedian, Dr. Manhattan, Green Lantern, John Constantine, Joker, Ozymandius, Robin, Rorschach, Silk Spectre, Superman, Swamp Thing, V for Vendetta, Watchmen, Wonder Woman TM & © 2008 DC Comics Supreme TM & ©2008 Awesome Entertainment Dr. Who © the respective holder Maxwell the Magic Cat, Roscoe Moscow, Sinister Ducks © 2008 Alan Moore «2000 AD», Bojeffries Saga, D.R. & Quinch, Halo Jones, Judge Dredd, Skizz TM & © 2008 Rebellion A/S Big Numbers, Brought to Light TM & © 2008 Alan Moore and Bill Sienkiewicz From Hell, The Birth Caul TM & © 2008 Alan Moore and Eddie Campbell A Small Killing TM & © 2008 Alan Moore and Oscar Zarate 1963 TM & © 2008 Alan Moore, Steve Bissette and Rick Veitch Mr. Monster TM & © 2008 Michael T. Gilbert. Referenze iconografiche: © America’s Best Comics, LLC p. 203, 207, 210-212, 215-216, 218-219, 225, 242; © Awesome Entertainment p. 201; © Peter Bagge p. 185, 226; © Mark Beyer p. 214; © Steve Bissette p. 113, 150, 175, 202; © Brian Bolland p. 138; © Eddie Campbell p. 138, 182; © Al Columbia p. 179; © Mike Collins p. 75, 79-80; © Alan Davis p. 75; © DC Comics p. 91, 93-95, 105-108, 110-112, 114-119, 133-135, 137-138, 141-145, 147-148, 239, 241; © Mike Farmer p. 75, 79; © Fleetway Publications p. 78; © Dick Foreman p. 41; © Melinda Gebbie p. 180, 228, 244; © Grandreams Books p. 48; © Harris Comics p. 213; © Mitch Jenkins p. 233; © Garry Leach p. 96-97; © David Lloyd p. 90, 95; © Marvel Characters, Inc. p. 41, 75, 88, 91; © Marvel UK p. 84; © Dave McKean p. 175; © Alan Moore p. 24, 26, 41-45, 47-50, 52-57, 75, 79-80, 84, 88, 9598, 99, 136, 140, 150, 175-185, 188, 202, 205-206, 208, 214, 227-228, 235-238, 240, 244-245; © Steve Moore p. 245; © MTV Europe p. 186; © Kevin O’Neill p. 57, 205- 206, 208, 235-238; © Steve Parkhouse p. 79, 99, 234; © Harvey Pekar p. 187; © Rebellion A/S p. 66, 76-77, 80, 82-87, 98; © John Ridgway p. 98; © Alex Ross p. 4-5, 201, 210211; © Shadowsnake Films p. 246; © Bill Sienkiewicz p. 176-178, 184; © Bryan Talbot p. 88; © John Totleben p. 105, 107, 171; © Twentieth Century Fox p. 175, 209; © Rick Veitch p. 175, 202; © J.H. Williams III p. 225; © Bill Wray p. 181; © Michael Zulli p. 150, e degli aventi diritto, anche ove non indicato. © Black Velvet Editrice Srl Via Bolognese 165 – 50139 Firenze Prima edizione: settembre 2011 www.blackvelveteditrice.com e-mail: info@blackvelveteditrice.com ufficio stampa: press@blackvelveteditrice.com Ristampa Anno ________________________________________ 5 4 3 2 1 0 2014 2013 2012 2011 Stampato presso Giunti Industrie Grafiche S.p.A. – Stabilimento di Iolo (PO).
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o sono soprattutto uno scrittore, scrivere è la cosa che faccio meglio. Mi piace tantissimo manipolare le parole e le coscienze attraverso la manipolazione del linguaggio. È questo che mi ha sempre interessato.” ALAN MOORE
ISBN 978-88-96197-11-0
53647D
€ 35,00