Tribeca Sunset - Anteprima

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HENRIK REHR

TRIBECA SUNSET


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“Siamo immersi in un’ambiguità orrendamente umoristica, uno spettacolo di gente ridicola che fa cose orribili a persone totalmente sciocche” Don DeLillo, Giocatori

APPUNTI SU UN NON-DETTO LETTERARIO

è una differenza essenziale tra una previsione e una profezia. C’è un processo logico nella prima e una supposta chiaroveggenza nella seconda. Chi ha la capacità pragmatica di evocare gli avvenimenti storici è detto profeta, mentre chi predice il futuro senza sentirsi un profeta e senza una minima logica sgomenta. È il 1977 e le torri del World Trade Centre non sembrano strutture permanenti nelle pagine di Don Delillo. Nessun ottimismo architettonico nel saliscendi di ascensori, solo un luogo ideale dove archiviare dolore nel cuore di Manhatthan. 110 piani, 411 metri d’altezza, 837 metri quadrati di area uffici. Acciaio, cemento, vetro, spazi. Una sola torre sarebbe stata troppo ingombrante per l’architetto-padre Yamasaki, molte torri sarebbero state troppo simili. Due torri, allora. Due torri precarie che nonostante la loro mole non erano più consistenti di una qualsiasi distorsione di luce.

C’

[…] AnnaWilliamsAllisonDavidAngellLynnAngellSeimaAoyamaMyraAronson ChristineBarbutoBerryBerensonCarolynBeugCarolBouchardRobinCapli nNeilieCaseyJeffreyCoombsTaraCreamerThelmaCuccinelloPatrickCurriv anAndrewCurryGreenBrianDaleDavidDiMeglioDonaldDitullioAlbertDom inguezAlexFilipovCarolFlyzikPaulFriedmanKarletonD.B.FyfePeterGayLin daGeorgeEdmundGlazerLisaFennGordensteinPaigeFarleyHackelPeterHa shemRobertHayesTedHennessyJohnHoferCoraHollandNicholasHumber JohnJenkinsCharlesJonesRobinKaplanBarbaraKeatingDavidKovalcinJ udyLarocqueJudeLarsonNatalieLarsonN.JanisLasdenDanielJohnLee [...]

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Liste di nomi, di luoghi, di madri, di foto, di giornali, di padri, di responsabilità, di santi, di colpevoli, di religioni, di figli. La lista è la cifra narrativa della paura e dell’urgenza, ammette distrazioni e ripetizioni, ma concede disciplina e impegno. Interminabili liste colmano per mesi l’ampio catalogo di frammenti di una storia che diversamente è impossibile raccontare. Ogni conversazione si tramuta in una narrativa condivisa solo nell’universo parlato, nell’universo dei media, dove l’immagine velocemente si va a sostituire all’evento stesso. E mentre Hollywood si affretta a cancellare le Twin Towers dalla skyline di tutti i film in uscita nelle sale e le liste aumentano di numero e di categorie, tra le macerie fatica a rivedere la luce la verità della parola scritta. L’11 settembre 2001 David Foster Wallace non ha la televisione. Chuck Palahniuk nemmeno. Non è ironia di una qualche sorte. Non è momentanea lontananza da casa. Proprio non la posseggono. Non possedere la televisione l’11 settembre 2001 non vuol dire cecità, non vuol dire sordità, come ha dimostrato abbastanza felicemente Claude Lelouch nel suo episodio del film collettivo 11 settembre. Posso essere sordo, ma il rumore di certe macerie mi cade addosso senza onorare i miei limiti fisiologici. Non possedere una televisione l’11 settembre 2001 non significa restare tagliati fuori dal mondo. Magari vuol dire altro. Vuol dire un ritardo. Fisiologico, di vita, esistenziale, questo sì. Vuol dire arrivare dopo a subire qualcosa che tutto il mondo jetlag a parte - sta subendo. E amatorialmente vedendo. La tecnologia è il destino degli americani. Loro sono la tecnologia. Eppure, per i pochi macroscopici eventi che hanno cambiato il corso del loro presente, c’è sempre stata la mano tremolante di un passante a caso, a registrare e dare la possibilità di riprodurre l’orrore storico. Foster Wallace - e prendiamo lui perché ci sembra l’episodio narrativo meglio riuscito a caldo - lo sappiamo tutti, esce con la testa piena di shampoo non risciacquato e va dalla vicina di casa a vedere la tivù. Dov’eri tu quando è morto Kennedy? La figlia di Paul Auster è salva, a casa di amici nell’Upper West Side, dopo essere passata con la metropolitana sotto il WTC. Andava a scuola. Dov’eri tu quando Thomson ha tirato il fuoricampo? Sono morti amici di Palahniuk, DeLillo, Amitav Gosh e chissà quanti altri. Lo sappiamo. Da qualche parte, ognuno di loro aveva parenti, conoscenti, vicini di casa che avevano a che fare con il WTC. Lo sappiamo. Lo sappiamo perché ce lo hanno raccontato loro. E sono le uniche cose che sono riusciti a dire. Finora.

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Ci sono parecchie analogie - e non saremo certo noi le prime a dirlo - fra il crollo delle Torri Gemelle e la guerra in Vietnam. La prima su tutte è tecnologica: il Vietnam era la prima grande tragedia che entrava nelle case degli americani in diretta. C’erano le televisioni, filmavano ogni cosa. E dunque c’erano i cadaveri e il fuoco sugli schermi di ogni singolo stato USA. Era come essere lì. Solo che lì c’erano altri, i figli, i conoscenti, i vicini di casa. Ci sono voluti anni prima che gli artisti americani abbracciassero il coraggio a piene mani e cuore sicuro per poterne parlare. Lasciamo la propaganda a parte: la propaganda non fa quasi mai arte. Anni. A caldo, appunto, c’erano solo le riprese di certi reporter di guerra, le testimonianze visive di chi lì c’era davvero, ma non aveva tempo di elaborare il materiale in qualcosa di narrativo, finzionale. Dov’eri tu quando…? Ci sono voluti anni, perché Scorsese, per esempio, raccontasse il trauma di una generazione - quella che combatté in Vietnam, appunto, senza affrontare il genere bellico direttamente. Ci sono voluti anni per sbloccare la macchina-mostra-Vietnam di Oliver Stone. Ed ecco il secondo punto di contatto. Un silenzio micidiale, paralitico, immediatamente a seguire. Un gran rumore politico, un gran parlar patriottico, ma nessuno che osa, ancora, raccontare. Sappiamo tutto di tutti i parenti nipoti amici dei nostri scrittori più cari. Abbiamo l’imbarazzo della scelta di fronte a scaffali di librerie intasate di saggi sull’argomento. Sappiamo dov’erano tutti quanti, dove eravamo noi. Nessuno che osi narrare, tra le ustioni. Lo sappiamo tutti dov’eravamo noi quando. Sappiamo tutti, cioè, dov’eravamo noi quando abbiamo visto la televisione l’11 settembre 2001. Il Polo Grounds conteneva un numero indicibile di spettatori. La strada di Dallas anche. Il Word Trade Center era pieno di gente. Non tutti hanno gambe e agilità di un ragazzino cresciuto nel Bronx, che sembra nato per aggirare tornelli e far fesse le guardie. Alcuni di noi hanno preferito la pigrizia, o chiamiamolo “caso” - fatalmente fortunoso - di restarsene a casa, accendere la tivù come in un qualsiasi altro brandello di quotidianità che Iddio ci ha concesso, e poi assistere fatalmente fortunosi - a qualcosa di unico. La storia che si paralizza, insieme al nostro pensiero, e impazzisce. Il silenzio dice solo dove eravamo. Dov’era nostra moglie, o quel certo vicino di scrivania che proprio in quel momento era in viaggio di nozze a NY. Il silenzio ci dice cosa abbiamo visto noi, pezzi di corpi incastrati dentro a macerie, persone-piene-di-polvere. Il silenzio ci fa dire di quando abbiamo telefonato al nostro lontano zio in Florida per sapere se insomma, sì, stavano tutti bene.

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Il silenzio ha fatto dire a tanti scrittori dov’erano loro quando. Cosa stavano facendo quando. Non ci interessa. O ci interessa poco. Insomma, non è questo che ci aspettiamo da loro. “Ci sono centinaia di migliaia di storie che attraversano New York, Washington e il mondo. Dove eravamo, chi conoscevamo, che cosa abbiamo visto o sentito. Ci sono gli appuntamenti dal medico che hanno salvato molte vite, i telefoni cellulari usati per fare la cronaca dei dirottamenti. Ci sono storie che ne generano altre e gente che corre diretta a nord via dal fumo rombante e dalla cenere. Uomini che scappano in giacca e cravatta, donne che perdono le scarpe per strada, poliziotti in fuga da tutto quell’acciaio torreggiante che veniva giù dal cielo. Questa gente che scappa per salvarsi la vita fa parte della storia che ci è stata data.” Chi scrive è sempre Don DeLillo. Scrive, appunta, sbriciola storie e fatti spargendoli su poche pagine di impressioni a caldo. Se escludiamo le virate programmaticamente autoriflessive sul ruolo del narratore, non lo riconosceremmo. Perde ogni tecnica postmodernista, ogni aura del genio, si abbassa sulla tragedia e scrive solo, senza raccontare. Uno spreco. Ma sono poche pagine. I siti Internet annunciano l’uscita del suo prossimo romanzo. Sull’11 settembre. Si chiamerà Falling Man. Siamo nel 2007. Troppo poco tempo ha fatto passare Jay McInerney e il suo Good Life. Da qualche parte si è reso conto che se le mille luci di New York erano narrabili da dentro, nelle Torri lui non ci era stato. Anche lui, da qualche parte come noi, avrà visto una qualche tivù, avrà fatto una qualche telefonata, avrà pianto un qualche vicino di casa. Si è inventato troppo velocemente una doppia storia d’amore, classica, bolsa, vecchia, le Torri erano un pretesto, un’ambientazione, una cornice. È troppo presto per farlo. E dunque non è neanche troppo corretto. Diverso il discorso Safran Foer. Per il quale, al contrario di tutti, l’11 settembre è già Storia. Come il bombardamento di Dresda o i nazisti. È già lontana, e in quanto tale ancora fortemente straziante, commovente, incomprensibile. Ne viene fuori una narrazione che non è epocale, ma familiare, che non è mediocre, ma geniale. All’interno, i fotogrammi dalla tivù della gente che cade sono reperti, testimonianze lontane, reliquie da ritagliare e fare ingiallire su un quadernetto da bambini. Cose che mi sono successe. Cosa resta da aspettare, dunque, da allora. Aspettiamo film (per i quali

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il discorso sarà ancora più complesso, vista la saturazione di immagini a questo proposito). Aspettiamo ancora che gli scrittori si risciacquino lo shampoo dalla testa, depongano la palla del fuoricampo sotto vetro e la guardino filtrata da lì, mentre le loro ustioni televisive si rimargineranno, e la forza letteraria ricomincerà a scorrere in contronarrazioni lontane dai reportage, dai dov’ero io quando, dalle telefonate ai parenti in Florida. È ormai tempo.

Francesca Rimondi e Silvia Teodosi

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WEST SIDE DI DOWNTOWN MANHATTAN STUYVESANT HIGH SCHOOL

P.S. 89

WORLD TRADE CENTER 7

AMEX TOWER

WORLD TRADE CENTER 1

GATEWAY 600

WORLD TRADE CENTER 2

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D SC BR BAC LE


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AN DYLAN, DAI UN BACIO A PAPA’.

DIVERTITI A SCUOLA, FAI IL BRAVO E NON BACIARE TROPPO LE RAGAZZE.

BUONA GIORNATA, tesoro. TI AMO. ANCH’IO. Stai attento, ok?

MIA MOGLIE EVELYN PORTA SEMPRE IL grande A SCUOLA PRIMA DI prendere la metro al volo PER ANDARE AL LAVORO. DURANTE LA GIORNATA penso io al PICCOLo.

che sciocco che sei, papA’.

COSA VUOI PER COLAZIONE, SPENCE? FIOCCHI D’AVENA O UN BAGEL?

CHE GIORNATA stupenda.

FIH-BAH. PAH. PAH. PAH.

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ABITIAMO A UN ISOLATO E MEZZO DAL WORLD TRADE CENTER, NEL GATEWAY PLAZA, un COMPLESSO RESIDENZIALE.

ACCOA ACCOA.

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ACCE TV.

non si preoccupi, tutto il PERSONALE CI STA LAVORANDO.

A

MA COSA...?

ALLE 08.48 si schiantO’ IL PRIMO AEREO.

IL MIO PRIMO PENSIERO FU: TERRORISMO!

IL SECONDO: MIO DIO, QUELLE POVERE PERSONE all’interno.

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dai g FINE alto


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ACCESI LA TV.

UN AEREO sembra essersi SCHIANTATO contro il WORLD TRADE CENTER di MANHATTAN.

SALVE, qui EVELYN CHOI DELLA ANABEL SCHWARTZ. AL MOMENTO NON SONO PRESENTE, ma potete lasciare UN MESSAGGIO...

UN AEREO? FORSE il pilota ha avuto un infarto?

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EVELYN?

CIAO, TESORO. FAMMI UNO SQUILLO appena ARRIVI. UN AEREO HA COLPITO IL WORLD TRADE CENTER E SONO UN PO’ PREOCCUPATO PER TE.

si L O.

SENTIVO DELLE URLA, MA SOLO PIÙu’ TARDI CAPII CHE ERANO LE GRIDA DISPERATE DELLE PERSONE CHE si tuffavano DALLA TORRE IN FIAMME.

dai giardini dell’Esplanade, SOTTO LE MIE FINESTRE, MOLTI SPETTATORI GUARDAVANO IN alto, VERSO L’INCENDIO.

O: QUELLE ERSONE no.

LO FACEVA quasi SEMBRARE qualcosa di NORMALE.

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DYLA WOR UNA

poi L’AEREO DOPO COLPI’ L’ALTRA TORRE.

s

SAG

LA SECONDA ESPLOSIONE FU

MOLTO PIu’Ù fragorosa

DELLA PRIMA e SPAVENTO’ A MORTE SPENCE.

TRANQUILLO, c’E’ qui PAPA’. su, BUONO.

che si tratti DI UN ERRORE NEL SISTEMA DI CONTROLLO AEREO?

NO. TUTTO ciO’ E’ INTENZIONALE.

TERRORISMO?

CHIUSI LE FINESTRE NEL CASO che FOSSE IN ATTO ANCHE UN ATTACCO CHIMICO. Abbassai LE TAPPARELLE. Forse ci avrebbero protetti dalle SCHEGGE DI VETRO prodotte DA UN’EVENTUALE TERZA ESPLOSIONE.

EVELYN MI CHIAMO’ DAL LAVORO.

Secondo LA CNN C’E’ UN INCENDIO ANCHE AL PENTAGONO.

SONO COSI’ FELICE DI SENTIRE LA TUA VOCE. C’E’ STATO UN ATTACCO TERRORISTICO ALLE TORRI GEMELLE. sono in fiamme.

MIO DIO... MA sta andando tutto a pezzi? che COSA STA SUCCEDENDO?

LA METRO CI HA MESSO UNA VITA PER ARRIVARE A CHAMBERS street. NON SAPEVAMO COSA STesse SUCCEDENDO.

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QUAN com VIDI nade COPE VERE PERS NON CORP SEGG NATO




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