il mercurio | dicembre 09

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dicembre 2009

Il Dossier Istruzione o Distruzione? Caso Cucchi L'emblema di un paese vergognoso

Omologazione L'identitĂ e i suoi significati

Stato e Religione La storia di un obbligo inscindibile

Una Porcheria Mondiale

Nobel, questi sconosciuti Alla ricerca dei premi dimenticati


Dicembre 2009 Anno 1° n.6

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Sommario DOSSIER

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POLITICA ATTUALITA’

6 8

A PROPOSITO DI...

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RUBRICHE

12

CULTURA

14

Alessandro Frau direttore

lemetamorfosideipiccoliprincipi.blogspot.com

Augusto Montaruli

Vincenzo Mereu

articolista

articolista

blogdiarturo.blogspot.com

Alberto Giarrizzo

Carlo Puggioni

articolista

articolista

Simone Leinardi

Maria Grazia Casagrande

articolista

narratrice

Eleonora Cardogna Mencucci

Giovanni Irimia

articolista

vignettista

Gian Marco Pinna articolista

giannibevangoof.blogspot.com

Andrea Mura articolista

insecondopiano.altervista.org

Nicola Irimia articolista

operaionicola.blogspot.com

Lorenzo Pinna Bobba Design art director


Dicembre 2009 Anno 1° n.6

In Primis

Irimia L’EDITORIALE

QUANDO IL MERITO NON CONTA NULLA

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all'inizio della legislatura questo governo ci ripete ossessivamente di voler combattere l'inefficienza e i fannulloni. L'obiettivo vero della maggioranza sarebbe quello di premiare i “virtuosi” e gli efficienti, punendo gli sfaticati e i pelandroni. I discorsi dei vari Brunetta, Gelmini, Sacconi, Scajola sembrano stilati con un calco uniforme e adattati solamente con sinonimi settoriali in base all'ambito di appartenenza di ciascun ministro. Un merito che appare molto strano a dirla tutta. Bisogna, cioè, esser “virtuosi” ma senza dar fastidio agli interessi del premier italiano. Ottenere i risultati ma esaltando la figura del gran capo. Se si ottengono buoni dividendi a discapito degli interessi di Silvio Berlusconi ecco che non si è più “meritevoli” ma assolutamente “immeritevoli”. Questo è il caso di Paolo Ruffini. Il direttore di Raitre è uno dei principali artefici dei successi della terza rete nazionale che con limitati mezzi economici ottiene un ottimo riscontro di pubblico e critica dando tanta qualità e cultura all'insudiciata televisione italiana. Se si osserva il lavoro di Ruffini, da qualunque punto di vista, non emergerà fuori alcuna seria motivazione che spieghi il suo allontanamento. Sono evidenti bugie dozzinali le parole che sono state pronunciate in questi giorni: “scelta aziendale”, “dopo otto anni è giusto cambiare” e cosi via. É una decisione presa dall'alto e voluta dal “Basso” in persona. Una sorta di intimidazione nei confronti di coloro che si ostinano a difendere trasmissioni come “Ballarò”, “Report” e “Parla con me”. Trasmissioni in realtà “meritevoli” che si scontrano con il potere e per questo da inserire nelle liste nere dei vertici del Pdl. Come è stata infangata la parola “merito” in questi ultimi mesi. Bisognerebbe far capire ai nostri cari ministri che “essere meritevoli” è una qualità universale raggiungibile in ogni campo umano, dettata da dati oggettivi e non da parametri soggettivi e personali. I premi e i riconoscimenti per coloro che si distinguono devono essere elargiti a tutti quelli che “oggettivamente” ottengono dei risultati attraverso il duro lavoro. Non si possono fare figli e figliastri in base a certi limiti imposti dal volere di uno. Smettiamola di usare a vanvera questo concetto. Finiamola di prendere in giro l'opinione pubblica. Perché se andiamo a valutare i “meritevoli” del nostro governo non so quanti riuscirebbero a conservare la poltrona. Alessandro Frau


10 Dicembre 2009 Anno 1° n.6

Il Dossier L’UNIVERSITA’ SPOGLIATA L’ABBANDONO DELL’ANIMA

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er prima cosa mi accingo a spiegare questo titolo apparentemente criptico. In realtà si tratta di un enigma molto facile da comprendere, basta aprire un libro di Storia e soffermarsi a leggere ogniqualvolta gli occhi intravedano la parola “Università”(rigorosamente con la U maiuscola). Ci scorgerete un brulicante insieme di idee che si rincorrono prendendosi e lasciandosi, commistioni di cervelli, miscele di intuizioni, misture di genialità. Leggerete di moti rivoluzionari, di lotte giovanili, di battaglie per il cambiamento. Ma soprattutto, sotto tutti questi vestiti fatti su misura, troverete un'anima. Un'essenza che fino ad ora non aveva mai abbandonato il luogo deputato ad essere ateneo, nonostante il passare dei secoli e le evoluzioni del progresso umano. Oggi l'Università appare privata di tutto ciò e abbandonata ai margini della società. Non è più vergine fucina di menti umane ma sporca meretrice degli interessi industriali. Una fonte di energia pura soffocata indelebilmente dal menefreghismo moderno. L'anima dell'Università era così viva e peculiare fino a pochi decenni fa. Fondamentale era la sua attività per la coscienza della società che si sentiva giudicata e osservata dagli inflessibili occhi della conoscenza. Insomma, un luogo di privilegio, di cultura, di timore, d'incontro, di vita. Nel nostro tempo invece è stato denudata di tutto ciò e senza ritegno la vediamo violentata senza pudore da poteri che ne fanno un giocattolo personale da tagliuzzare e svilire. Un'anima abbandonata. Una causa persa a cui non riversare un minimo di credito e fiducia. Un luogo di inutilità, inciviltà, incoerenza, sprechi. Ecco come viene considerata nel ventunesimo secolo la “casa” del sapere umano. Una fabbrica di idee che cerca di ribellarsi agli editti del potere sovrano e per questo costretta ad essere riportata sulla retta via della sottomissione. Una prigioniera legata mani e piedi, torturata e mutilata con colpi di accetta ben assestati. Così adesso nudo si presenta l'ateneo. Senza vestiti per potersi coprire e costretto a ripiegare a strutture antiche e inefficienti dove disagiatamente accogliere gli studenti. Senza soldi per le operazioni fisiche di cui avrebbe disperatamente bisogno. Senza letti per invitare coloro che non possono permettersi di fargli visita spendendo per l'alloggio. Senza istruzione data la scarsa professionalità dei sui dipendenti fissi. Senza dignità perché costretto con la nuova riforma a prostituirsi ai privati che saranno ben lieti di sfruttarlo e indirizzarne l'insegnamento in cambio di una manciata di fondi che dovrebbero essere garantiti dallo Stato. Cosa direbbero i grandi del passato nel vedere l'Università così ridotta? Punto di riferimento ormai per nessuno. Incapace di fornire una preparazione e un lavoro per i suoi frequentanti. Impossibilitata nel suo divenire e costretta a mostrarsi virtuosa senza i mezzi per farlo. Aleggia nell'aria una sorta di vana protesta, quasi per nulla efficace, sparsa nell'aria del mancato ascolto. Pochi sono coloro che strenuamente lottano per dare lustro alle nostre accademie, soffocati dalla maggioranza della gioventù odierna che, figlia dell'apatia e dell'accidia, ammira il sovrano e sputa indifferenza sul proprio imminente futuro.

Quel che pare più triste e che nessuno si accinge a raccogliere i vestiti volgarmente strappati all'Università. Le lunghe toghe ricamate da pensieri, teorie e scoperte ancora giacciono sul terreno calpestate e insudiciate dalle suole sporche di denaro, interessi privati, avidità e menzogna. Nessuno che si applichi per riconsegnarle un minimo di dignità. Per di più, grave sopra ogni cosa, è il fatto che sono ormai pochissimi coloro che vogliono riscoprire la sua essenza per riaccendere il fuoco della sua anima, spenta dal lento incedere delle ceneri funeree provenienti dalla morte culturale delle ultime generazioni. Alessandro Frau

Il Sondaggio www.ilmercurio.net

LA SCUOLA ITALIANA E’ IN FORTE CRISI. DI CHI E’ COLPA? Dello Stato, che non fornisce più le risorse e i fondi adeguati per l'istruzione 52.4% Del corpo docente, non più in grado di educare i giovani 28.6% Dei ragazzi, totalmente amorfi nel lottare per i propri diritti e mancanti nei doveri 14.3% Delle Famiglie, che non danno più aiuto alle istituzioni scolastiche 4.8%


10 Dicembre 2009 Anno 1° n.6

DEMOCRAZIA E EDUCAZIONE Democrazia e educazione stanno in un rapporto di reciprocità e di interazione, sì che la democrazia non può esistere senza l'educazione, e viceversa. E' quanto è illustrato nel libro "Democrazia e educazione" del più grande filosofo e pedagogista americano John Dewey, il cui pensiero ha permeato di sé la speculazione pedagogica del secolo scorso. Dallo studio di tale opera si deduce che più cresce l'educazione sociale , più la democrazia si sviluppa poiché, essendo un valore, o più tende verso livelli di maggiore maturità, o si deteriora e si stravolge. Da ciò si evidenzia il valore e la preziosa funzione dell'educazione nella vita di un popolo. Educazione che non nasce da contenuti e metodi imposti dal potere dello Stato, quando questo diventa schiavo del potere coercitivo della dittatura, o quando arranca in una democrazia svilita, in cui si condiziona negativamente il potere d'imperio della vita pubblica e privata del popolo, secondo la concezione filosofica e pedagogica dell'Idealismo Hegeliano, o risponde ad una concezione economica liberistica senza regole. Non nasce neppure nella vita politica e sociale del popolo.

dalla risultanza naturalistica di Rousseau, intrisa di sentimento e di romanticismo, ma nasce dall'ambiente e cultura già esistenti nella società civile del popolo: lingua, storia, tradizioni, ambiente territoriale, caratteristiche antropologiche, strutture e attività economiche,vocazioni e creazioni artistiche, in armonia con la cultura universale. Fonti culturali che in Italia trovano fondamento e insieme finalità nella Carta Costituzionale, preziosa conquista che contiene i dettami espliciti per l'organizzazione di un vero Stato democratico e guida autorevole nella vita politica e sociale del popolo. Gli elementi di cultura per essere esaminati criticamente e organizzati a un fine educativo, hanno bisogno di una sede speciale: la scuola, che raccoglie gli elementi culturali dell'ambiente sociale e secondo le indicazioni di Dewey ,analizza criticamente, semplifica, purifica ed equilibra, per la formulazione di programmazioni educative, con metodi consoni ai contenuti. Per tutte queste ragioni nella vera democrazia la scuola pubblica è il fiore all'occhiello della società e non la Cenerentola. Vincenzo Mereu

Il ministero degli ossimori: premiare il merito senza garantire le risorse per diventare meritevoli.

I GRANDI DELLA STORIA TRA SOCRATE E MUSSOLINI

Berlusconi sulla maternità della Gelmini: «Mi è sembrato davvero emozionato — racconta lei —, quasi commosso. Mi ha detto dell’emozione per la nascita degli ultimi nipotini, che questa è la cosa più bella che possa capitarmi nella vita. E che la nascita porterà fortuna anche al governo» Che giudichino i lettori.

Nell’antica Grecia attorno al 460 A.C. viveva un uomo che con la sua idea di educazione ha letteralmente cambiato il concetto stesso di educazione. Sto parlando di Socrate. Forse non tutti sanno che era figlio di uno scultore e di una levatrice e che mai uscì da Atene, se non quando dovette partecipare al servizio militare. Quest’uomo affermava di Non Sapere ed interrogava chiunque incontrasse su vari argomenti senza mai dare una sua opinione a riguardo. Infatti pensava che l’unica cosa che fosse importante insegnare fosse la comprensione di se stessi, non tanto il mero sapere. Credeva che una persona che conosce appieno se stessa possa conoscere i suoi limiti e difetti, facendo in modo di superarli ed imparare quotidianamente. Fu accusato di influenzare negativamente la popolazione ateniese spingendola a ribellarsi contro il Governo e per questo fu condannato a morte. Benché innocente accettò la pena perché credeva nelle leggi. “Le leggi non sbagliano, sono gli uomini che lo fanno”. Per essere d’esempio e per non tradire se stesso accettò la condanna. Certo questo gesto potrà pure sembrare stupido e inutile, qualcuno potrà pensare – a che servono i valori se sei morto? – eppure quest’uomo ha sacrificato l’unico bene inestimabile per poter insegnare un valore altrettanto inestimabile. La libertà. La libertà viene data dalla verità e solo l’onestà

educazione libera ha lasciato una dottrina. Oggi ci troviamo in una società che ha dimenticato l’importanza dell’imparare, anzi, il tempo dietro ai banchi è un ostacolo verso mete più ambite. L’educazione è una nostra peculiarità, ma al contrario di molte altre cose della nostra specie l’educazione ha bisogno di un continuo lavoro, di una continua ricerca, che deve essere alimentata sia da docenti che dagli alunni. Non tanto come una ripetizione di parole e nomi senza senso e lontani dalla propria realtà, ma con una continua crescita personale, un passaggio tra ciò che siamo in un dato momento e tra quello che vogliamo/dobbiamo essere. Socrate si è sacrificato per insegnare il valore della parola di un uomo e della libertà, facendo in modo che per anni un qualsiasi uomo potesse sentirsi grato per il dono ricevuto. Al giorno d’oggi criminali che sono al potere si rifiutano di farsi interrogare per crimini commessi ai danni di chi dovrebbero rappresentare. In una società che ha per leader dei criminali, in una società che cerca di far soccombere gli altri per sopravvivere, come si può educare? Come si può dare una speranza per il futuro? Ci son cose che non si possono sapere, ma altre che vanno apprese durante il lungo cammino che è l’educazione. Simone Leinardi


Dicembre 2009 Anno 1° n.6

La Politica DIARIO DI UN GIOVANE CRESCIUTO SOTTO LA DITTATURA

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o so, è facile dire le cose a ragion veduta, ma non è facile quando uno vive sulla propria pelle una situazione di oscuramento del pensiero, della libertà di parola, di stampa, di riunione, di libertà e di movimento (anche all'interno del proprio Stato). I miei ricordi d'infanzia tornano indietro di 35 anni pressapoco (considerato che ne ho quasi 40) e mi portano in un paesino piccolino di una provincia sperduta della Romania, prettamente agricolo, in un sistema sociale, dove tutto appartiene allo Stato, dove non si possiede nulla (tranne i quattro muri della casa) e dove ricordo che i miei genitori erano dei contadini, che lavoravano nelle CAP (cooperative agricole di produzione) per due soldi, per una parte del raccolto che in autunno veniva divisa tra lo Stato e gli stessi agricoltori, ma in maniera che uno avesse solo il necessario per vivere e nulla di più.Ricordo che ogni anno veniva fatto persino il censimento delle bestie che uno aveva nel proprio cortile, e tutto ciò che non serviva alla propria famiglia doveva essere venduto allo Stato, per un prezzo già prestabilito dallo stesso (persino le galline venivano contate) quindi nulla sfuggiva al controllo del regime! Un paese (Romania) dove fin dalla più piccola età, eri considerato un comunista, ai miei tempi (ero all'asilo) quindi ero già un piccolo comunista, con tanto di fazzoletto rosso tricolore, che veniva portato sempre sulle spalle quando si andava all'asilo, con l'inno di Stato cantato ogni santa mattina all'inizio delle lezioni e al pomeriggio alla fine delle lezioni, tanto che a sette anni l'Inno Rumeno si conosceva già alla perfezione, tutti lo sapevano a memoria. Tra le prime cose che venivano inculcate ai bambini fin dalla tenera età, c'erano l'amore per la patria e per il suo illustre Conducator (si chiamava cosi il Presidente). Tutte le canzoni che venivano insegnate all'asilo erano a sfondo patriotico, cosi come tutte le poesie, tutte le letture, e qualsiasi cosa veniva fatta. Dunque come potrete facilmente immaginare, anche non volendo non si poteva non apprendere tutto quel ben di Dio, che faceva da traino per il regime e si finiva in un cerchio chiuso, da dove uscivi solo con idee comuniste, senza pericolo che qualcuno potesse prendere una piega diversa! Tutto ciò che veniva insegnato a scuola era vagliato dal regime, quindi non c'era pericolo che ai ragazzini venisse insegnato qualcosa di non comunista, qualcosa che potesse assomigliare anche lontanamente al modello occidentale insomma. E' facilmente immaginabile che si creavano dei circoli chiusi, degli appartenenti al regime, che avevano il controllo di tutto e tutti al livello locale, cosi che anche il più piccolo disappunto, la più piccola lamentela veniva captata e riferita al livello superiore, senza che nessuno magari sapesse da dove proveniva la spia! Poteva essere tranquillamente il tuo vicino di casa, un tuo parente, una persona solo invidiosa, ed era la fine del malcapitato, che passava le pene dell'inferno solo per aver detto magari una parola fuori posto, oppure aveva fatto una piccola obiezione a qualcosa che secondo lui non andava bene! Il partito era strutturato (lo descrivo con dettagli che ho capito da adolescente) in maniera che nessuno potesse sfuggire al controllo. Per esempio, ogni piccolo paese aveva un segretario del partito, il quale riferiva al segretario del comune, il quale riferiva al

segretario della provincia, il quale rapportava al segretario regionale, ed in fine si arrivava al Comitato Centrale del PCR! Dunque si può intuire che nulla era lasciato a caso! Oltre al fatto che alla Milizia (Polizia Rumena del tempo), non sfuggiva nulla, perché avevano dei ricettori dappertutto, tant'è che è stato detto, dopo la Rivoluzione, che in Romania esisteva una rete di informatori di circa 900.000 persone, i quali erano tutti normali cittadini! A fronte di una popolazione di 21 milioni di abitanti circa, capite che non era uno scherzo! Dall'asilo sono passato alle scuole elementari, nella stessa struttura (la scuola in un paesino di circa 300 anime, era tutta accorpata dalla 1 elementare alla terza media, con 5-6 insegnanti che insegnavano a tutti) dunque ci si conosceva tutti, sia tra gli alunni che tra i professori. La cosa antipatica, era il fatto che qualunque cosa uno combinasse a scuola, quando si tornava a casa, i genitori già lo sapevano e l'educazione era tale, che non si scappava da una sculacciata, sia a scuola da parte degli insegnanti, che a casa da parte dei genitori, giacché nessuno dei genitori ci teneva a fare brutta figura nel paese. Tutta colpa di un sistema sbagliato per il quale tutti dovevano essere allo stesso livello, tutti dovevano essere bravi a scuola, nessuno poteva permettersi il lusso di figurare male!!! Il sistema del insegnamento prevedeva le punizioni corporali, con tanto di frusta, che veniva usata molto più spesso di quanto si possa immaginare! Per rendere l'idea di cosa erano queste punizioni, posso dire che se ti beccavi uno schiaffo dal Prof, potevi considerarlo una carezza, e nulla più. Ma la cosa più odiosa che io ricordo, era il fatto di essere messo dietro la lavagna, nel angolo, girato verso il muro, con i pantaloni alzati fino alle ginocchia, e con le ginocchia appoggiate sui chicchi di grano, mais, per un tempo talmente lungo, che le impronte dei semi ti restavano per tutta la giornata, appiccicate alle ginocchia. Con il senno di poi, posso dire tranquillamente, che erano delle vere e proprie torture, contro bambini indifesi! Ma tant'è , era cosi e non si poteva di certo controbattere! Avevamo tutti la stessa uniforme, ricordo che era blu scura, completo giacca e pantaloni, con la camicia bianca o blu, e l'immancabile fazzoletto tricolore. Alla scuole elementari eravamo già diventati "Pionieri Comunisti", e all'interno della classe c'era il capo classe (Comandante di classe il quale aveva appeso al petto una specie di laccio intrecciato giallo) e tre vice capo classe (Comandante di gruppo, i quali avevano sempre il laccio intrecciato, ma di colore rosso)... To be continued.... Nicola Irimia


Dicembre 2009 Anno 1° n.6

LA PRIVATIZZAZIONE DELL'ACQUA Alla camera il decreto Ronchi ha ottenuto il via libera dai deputati e con esso un bel progetto riguardo alla privatizzazione dell'acqua. I nostri politici dunque, non solo non osano rinunciare al più piccolo privilegio, ma di contro continuano a togliere ai cittadini i beni di cui essi dovrebbero usufruire naturalmente e gratuitamente. L'acqua è un bene dell'uomo fin dall'antichità. Non appartiene a nessuno. Non ha targhe, né padroni. Ciascun essere umano ha il diritto di placare la propria sete, lavare il proprio corpo, rinfrescare la propria essenza senza limitazioni di alcun genere. Nessuno può vantarsi di essere il padrone di un bene così indispensabile. Nessuno può lucrare sfruttando un bisogno vitale di ciascun essere vivente. L'acqua non può essere oggetto di nessun contratto a sfondo economico e privato. Non si possono accostare due termini così distanti e opposti nel significato come “acqua” e “privatizzazione”. É inaccettabile pensare al fatto che l'acqua possa appartenere a poche persone invece che all'umanità tutta. Siamo di fronte ad uno scandalo senza precedenti. Un atto vergognoso che la politica tenta di mettere in pratica da

diversi decenni senza distinzione di partito. Una scelleratezza di programmi mirati a soddisfare interessi privati dei quali la nostra politica e sempre più di dipendente. Un intento che per di più passa senza alcun rumore attraverso i media e i mezzi d'informazione come fosse un semplice “sgarbo” alla comunità. Una vergogna senza scuse. Pensate un attimo alle conseguenze. Un elemento puro come l'acqua insudiciato dalle mani di chi vuole sporcarla con mani avide, pronte a gettarsi senza ritegno su una montagna d'oro liquido. Un elemento così limpido intorbidito dalle mire espansionistiche di società senza scrupoli. Un nostro diritto cancellato nell'omertà più generale. Il parlamento dimostra ancora una volta di aver più a cuore le aziende e la loro bramosia senza pudore. Non ha nessuna remora nello sputare in faccia ai poveri cittadini che non sembrano fra l'altro lamentarsi più di tanto. Ora non ci stupiremo se verrà indetta una bella asta sull'aria. Così dovremo pagare qualcuno anche per poter respirare. Alessandro Frau

LETTERA AL MINISTERO DELL’ISTRUZIONE Cara Maria Stella Gelmini.. Le scrivo a nome dei tanti giovani studenti a cui ha fatto cadere le braccia. Le mie, sfortunatamente, sono rimaste attaccate e dunque posso inviarle una risposta. (ho avuto altri effetti collaterali di cui ora non intendo parlare). Lei è un ministro super attivo! Complimenti! Ritmicamente propone nuove misure per migliorare la situazione della scuola italiana. Il problema però è che non ha minimamente idea di ciò che dice (se è lei a scrivere i decreti, cosa di cui dubito fortemente). Non dovrebbe usare l'accetta ma il portafoglio. Dare soldi alle università e non privarle dei mezzi di sostentamento. Come può un ateneo dimostrarsi virtuoso senza i giusti presupposti? Certo, le università hanno sperperato e dilapidato tante risorse ma la soluzione non è quella di punire gli studenti e chiudere i rubinetti dei fondi. Si dovrebbero cercare altri amministratori più capaci e onesti. (a partire dal ministro!). Sosteniamo i progetti dei giovani, aiutiamoli ad inserirsi nel mondo del lavoro. Concentriamo i miglioramenti da attuare soffermandoci non sul punto di vista economico ma su quello formativo e strutturale. Non è tagliando i fondi che si risana la scuola italiana! Bisogna lavorare sugli edifici e sulle tecnologie. Sui programmi e sul corpo docente. Eliminare i nepotismi e premiare le capacità. Miglioriamo l'offerta pedagogica e culturale dei nostri atenei in primis. Gli studenti chiedono questo per prima cosa. Ricerca, contenuti, lavoro, servizi! Queste sono le quattro prerogative principali di cui si dovrebbe interessare un ministro dell'istruzione.

Inserire i precari, controllare i concorsi, ridistribuire le risorse controllandone gli investimenti, garantire la maggior professionalità possibile nella figura dei docenti. Ma a lei piace gettare fumo negli occhi. Ha studiato l'intero vocabolario per trarre fuori parole come: “Virtuoso”, “efficiente”, “competitività”... Beh.. si appunti anche altri concetti.. “Crescita Esponenziale delle tasse universitarie” “Condizione o assenza dei servizi per gli studenti (borse di studio, biblioteche, mense, aule decenti..)” “Assenteismo e inefficienza dei professori..” “Completa mancanza di un'asse università-lavoro, che permetterebbe ai giovani di veder concreta importanza dei propri percorsi di studi..” E potrei continuare all'infinito... Invece continuiamo a sentir parlare di soldi concessi con il contagocce in base al virtuosismo e neanche un provvedimento in favore degli studenti. Si ricordi, caro ministro, che l'università non è un'azienda. Noi studenti non siamo dei pupazzi da manovrare in attesa di essere sfruttati e ridotti all'ignoranza.. Dovremmo essere il futuro di questa Italia nella quale difficilmente riusciamo ad identificarci. Capiamo sempre più che gli studi, frutto di sacrifici fisici e pecuniari, non garantiscono quella preparazione e quell'importanza che dovrebbero avere. Pensi a noi per una volta. Non ai soldi e ai loro amministratori. Si vergogni per le sue insinuazioni contro l'onda e le associazioni di coloro che ancora vedono nell'università un luogo di crescita, confronto e progresso. Si faccia da parte e torni alla sua vera occupazione, Qualunque essa sia. Alessandro Frau

BERLUSCONI E LE IPOTETICHE DIMISSIONI “Ho ancora fiducia nell'esistenza di magistrati seri che pronunciano sentenze serie, basate sui fatti. Se ci fosse una condanna in processi come questi, saremmo di fronte a un tale sovvertimento della verità che a maggior ragione sentirei il dovere di resistere al mio posto per difendere la democrazia e lo stato di diritto" Caro presidente! Questa è una dichiarazione scontata per tutti gli italiani! Nessuno ha mai avuto dei dubbi a riguardo! Lei non si è dimesso per la vicenda delle escort e della D'Addario.. non l'ha fatto dopo i festini a villa certosa.. non l'ha fatto dopo che la crisi sta mandando sul lastrico innumerevoli famiglie italiane.. non l'ha fatto dopo la sentenza sul caso Mondadori... Non l'ha fatto neanche dopo aver venduto Kakà!!! Non può mica dimettersi per una semplice corruzione! Ma sta scherzando?? è un fatto lieve lieve, quasi innocuo rispetto a tutto quello che ha fatto all'Italia e agli italiani! Non si preoccupi! Sappiamo perfettamente che non si schioderà da quella poltrona!

Le piace troppo avere il potere tra le mani e sentirsi onnipotente. Le gusta giocare con i suoi soldi e le sue donnine. Le piace governare il paese come Re Mida. La capiamo benissimo signor Presidente.. Poi.. se si dimettesse.. A chi racconterebbe le barzellette?? A chi farebbe le corna o il bellissimo Cucù? Chi ci manderebbe in rovina? Chi farebbe giocare il Milan con due punte??? Chi parlerebbe del ponte?? No.. non si preoccupi delle dimissioni.. gli italiani già la vedono con forcone e coda biforcuta.. e purtroppo si sono rassegnati a vivere in un inferno lungo quanto la sua vita.. Alessandro Frau


Dicembre 2009 Anno 1° n.6

Attualità UNA PORCHERIA MONDIALE

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Sono ormai due anni che la crisi economica globale è scoppiata negli Stati Uniti contagiando i mercati di tutto il mondo e portando recessione, paralisi economica, disoccupazione e rinnovata sfiducia in una classe dirigente sempre più corrotta. Apparentemente le cause della crisi sono ben celate nella realtà complicata dei meccanismi della finanza speculativa, nelle ragioni affaristiche dei broker finanziari, nel bisogno spasmodico di costruire castelli di banconote (che alla prima folata di vento cadono) e, non per ultimo, nel permissivismo compiacente dei politici. In verità, alla fine di questo tuffo nel torbido, scopriremo che la causa è sempre la stessa ed è tanto sorprendente quanto banale e tanto vecchia quanto d’incredibile attualità. Partiamo dell’inizio quindi. Ci troviamo negli anni ’90 in piena espansione economica. E’ qui, che sulla scia dell’entusiasmo, vennero approvate le prime regole, anzi “non” regole, che tolsero le briglie ai desideri più sfrenati del capitalismo più selvaggio. La cosiddetta deregulation iniziò nell’era Clinton e proseguì nell’era Bush. Ma oltre che dare un nome alle cose è importante anche riuscire a spiegarle e perciò bisogna chiarire cosa sia stata esattamente la deregulation e su quali presupposti si fondava. Tutti voi avrete sentito parlare dei mutui facili per le case, i cosiddetti subprime. Per poter accedere a tali “benefici”, per un lungo periodo, non c’è stato più bisogno di fornire alcuna garanzia alla banca, la quale elargiva ben contenta grossi ammontari di denaro alla cieca. Tali prestiti erano ad alto rischio d’insolvenza ovviamente, ma la banca non se ne curava. Come mai? Negli Stati Uniti è permesso alle banche di impossessarsi dell’immobile dell’insolvente dopo un tot di rate che il debitore non paga. Ed è facilissimo farlo perché non presenta le complicazioni giudiziarie presenti invece in Italia. Il ragionamento spregevole ed opportunistico è il seguente: non paghi? Mi prendo casa tua e la rivendo. Agendo in tal modo, le banche, dicendola in gergo tecnico, si paravano il culo da eventuali perdite e spostavano l’intero fardello dell’insolvenza sulle spalle del debitore. Fa abbastanza schifo raccontarlo, figuriamoci cosa può essere mettere in atto una simile porcheria. Il presupposto di tale raggiro era la ferma convinzione che il prezzo delle case fosse destinato a salire per sempre. Di questo ne erano convinti pressoché tutti i personaggi di spicco dell’alta finanza, comprese le grandi menti dell’economia che conta. Tuttavia, il giochino, dopo aver funzionato per un bel periodo, si è smontato quando sempre più persone hanno cominciato a non pagare il proprio mutuo. I casi d’insolvenza si moltiplicarono e sempre più banche si trovarono nel proprio portafoglio case piuttosto che denaro. Queste case si riversarono nel mercato immobiliare, che ingrassò notevolmente facendo precipitare il prezzo degli immobili. Le banche non riuscivano più a recuperare i propri investimenti e cominciarono

ad andare in rosso. E fin qui,si fa per dire, tutto ok! Senonché le banche non avessero defecato dove già era tutto sporco! Esse infatti, non sazie di questi luridi ricavi, quotarono in borsa le azioni sui mutui subprime. Queste azioni, ad alto rischio, permettevano enormi guadagni nel caso in cui il debito fosse stato ripagato. Ma ancora non è tutto! Per rendere “sicure” tali azioni pensarono di mischiarle con altre azioni ritenute più sicure, come i mutui prime. Queste specie di mutanti spaventosi sono i cosiddetti “derivati finanziari”, in particolare i CDOs (collateralized debt obligations). Così come, a causa dei materiali scadenti con cui erano stati costruiti, sono crollati l’ospedale, la casa dello studente, la prefettura, etc., a L’Aquila in seguito al terremoto, così sono crollati i titoli azionari di questi assets. Ma ormai i cosiddetti “hedge funds” erano nelle mani di investitori, istituzioni finanziare e soprattutto stavano nelle riserve bancarie. Ognuno di questi ovviamente fa la corsa per sbarazzarsene ma nessuno compra. Il mercato finanziario si blocca cosi come quello creditizio. Alle imprese viene negata la liquidità per gli investimenti e questo paralizza tutta l’economia con i risultati a catena che tutti conosciamo: disoccupazione, fallimento e nazionalizzazione di molte banche, recessione economica, deflazione, etc. Ecco spiegate le ragioni per cui l’operaio brianzolo che parlava pochi giorni fa ad “Annozero” si è ritrovato di punto in bianco a perdere il lavoro. Sembra incredibile e paradossale credere che qualcosa che accade nelle stanzucce di qualche ufficio a New York condizioni la vita delle persone che stanno dall’altra parte del globo. Ma tutto ciò è illuminante per capire a che livello di intercorrelazione sia arrivata oggi l’economia globale. Dopo la crisi dai politici alle istituzioni economiche ci siamo sentiti dire una valanga di “non lo facciamo più”. Si è annunciata più trasparenza nelle transazioni finanziarie, lotta ai paradisi fiscali e a tutte quelle forme di finanza illegale che inquinano la nostra economia. Per ora le promesse son rimaste tali ed ora che sperimentiamo un lieve segno positivo sia nella ripresa dei consumi che nella crescita, i nostri governanti sembrano essersi già scordati del disastro appena scongiurato. Come hanno sottolineato in molti è necessario trarre lezione dalle sconfitte. Rassegnatevi oh guru del libero mercato! La mano invisibile non esiste! Ci vuole piuttosto una mano pulita e libera (non condizionata dalle pressioni delle lobbies, in specie negli USA) che direzioni il mercato in una direzione giusta. Alcuni esempi? Green economy, banda larga, tecnologia, sviluppo delle zone del mondo che stanno ancora ai margini. Penso, inoltre che sia ancora valido quel vecchio proverbio che dice “il lupo perde il pelo ma non il vizio”. Il mercato lasciato a sé stesso è come lo “stato di natura” di Hobbes, vale la legge del più forte. Cosi come abbiamo bisogno di uno Stato civile sentiamo sempre più forte la necessità di avere un mercato civile. Gian Marco Pinna

CUCCHI, QUANTE BUGIE “Non sono in grado di accertare cosa sia successo ma di una cosa sono certo: del comportamento assolutamente corretto da parte dei carabinieri in questa occasione”. Così il Ministro La Russa ha commentato subito la morte di Stefano Cucchi, un ragazzo di 31 anni. Vediamo di vederci un po’ chiaro facendo una piccola ricostruzione di quanto accaduto. Stefano esce di casa la notte del 15 ottobre. Sano. Viene fermato dalla polizia alle 23:30 (così racconta un ufficiale dei carabinieri), al Parco degli Acquedotti a Roma, per via del possesso di una dose (piccola, circa 20 grammi) di marijuana. Viene quindi condotto in caserma, dove gli viene notificato il fermo. Durante questa fase, il soggetto fermato dovrebbe avere la facoltà di nominare il suo avvocato di fiducia. Secondo quanto riferisce lo stesso ufficiale, il giovane avrebbe rifiutato di nominare un legale. Secondo quanto riferito dalla famiglia Cucchi, invece, al giovane sarebbe stata negato di nominare il legale di famiglia Stefano Maranella e, durante l’udienza di convalida, è stato difeso dall’avvocato d’ufficio, Giorgio Rocca. All’1:30, sempre secondo la ricostruzione dell’ufficiale dei carabinieri, avviene la perquisizione nell’abitazione di Cucchi, in via Ciro da Urbino, dove Stefano viene visto dalla madre in buone condizioni. Il

ragazzo, a quel punto, viene portato nuovamente nella caserma della stazione Appia di via del Calice per la notifica dell’avvenuta perquisizione. Qui rimane fino a poco prima delle 4 del mattino, ora in cui Stefano Cucchi viene trasferito alla stazione Tor Sapienza di via degli Armenti. Alle 5 del mattino viene chiamato il 118. Cucchi, però, rifiuta il ricovero. Sulla cartella clinica si dice che è lucido ma ha un trauma contusivo derivante al massimo dal giorno prima, dolore locale, frattura della vertebra coccigea. Quindi Stefano, rifiutando il ricovero, firma e torna in carcere. Alle 9 viene accompagnato a piazzale Clodio, dove viene consegnato alla polizia penitenziaria. Intorno alle 12,50 si presenta nell’aula del Tribunale. Aveva gli occhi neri e chiari segni di ecchimosi (parole del padre). In Tribunale sono stati richiesti gli arresti domiciliari per Stefano ma gli sono stati negati. Dal Tribunale di Roma, dopo la convalida dell’arresto, viene trasferito al carcere Regina Coeli. La visita del primo ingresso viene effettuata tra le 15:45 e le 16:30. Abbiamo già visto in tv le tre immagini, le quali mostrano il ragazzo in primo piano in posizione frontale e su entrambi i profili. Lesioni gravi al volto, lesioni vertebrali e un sospetto di trauma cranico e addominale. Ai familiari è stato impedito di vederlo.


Dicembre 2009 Anno 1° n.6

VUOLE CAMBIARE? SI, GRAZIE! Già da prima dell’Unità d’Italia, lo Statuto Albertino (1848) sanciva quella che era una delle libertà formali di un cittadino; l’articolo 1 dello Statuto Albertino (“La Religione Cattolica, Apostolica e Romana è la sola Religione dello Stato. Gli altri culti ora esistenti sono tollerati conformemente alle leggi. “) elevava il cattolicesimo a unica religione statale, ma riconosceva le diversità e le accettava. Gli appartenenti alle diverse confessioni erano liberi di riunirsi nei modi previsti dalle leggi dell’epoca. Durante il periodo fascista, l’11 febbraio 1929, il duce e il cardinale Segretario di Stato Pietro Gasparri approvarono i Patti Lateranensi, in cui veniva riconosciuta la religione cattolica come religione di Stato. In quegli anni bui per la nostra storia, la confessione con maggior numero di osservanti era quella cattolica. Dalla nascita della Repubblica Italiana, fino al 1984, l’Italia era uno Stato di confessione cattolica. Nel 1984, Craxi modificò il Concordato del Patti Lateranensi, eliminando la clausola in cui veniva definita come religione di Stato quella cattolica (Il nuovo Concordato stabilì che il clero cattolico venisse finanziato da una frazione del gettito totale IRPEF, attraverso il meccanismo noto come otto per mille e che la nomina dei vescovi non richiedesse più l'approvazione del governo italiano. Inoltre, per quanto riguarda la celebrazione del matrimonio, si stabilirono le clausole da rispettare perché un matrimonio celebrato secondo il rito cattolico possa essere trascritto dall'ufficiale di stato civile e produrre gli effetti riconosciuti dall'ordinamento giuridico italiano oltre a porre delle limitazioni al riconoscimento in Italia delle sentenze di nullità matrimoniale pronunciate dai tribunali della Chiesa che prima avveniva in modo automatico. Fu anche stabilito che l'ora di religione cattolica nelle scuole diventasse da obbligatoria a facoltativa). Nonostante l’Italia sia uno Stato formalmente laico, la presenza del Vaticano ha spesso influenzato le decisioni prese dai nostri politici (Il caso più recente è la legalizzazione o meno della pillola abortiva RU 486). Il papa è sempre intervenuto su questioni di carattere etico e morale, incidendo sulla mentalità di quella parte della popolazione profondamente legata al cattolicesimo. La presenza dello Stato vaticano è tanto forte che, girando per edifici ed uffici pubblici, si possono vedere crocifissi appesi al muro; si tende a crede che la religione cattolica sia religione di Stato in quanto ogni simbolo, ogni discorso di tipo religioso ruota attorno a questa fede. Nell’ultimo periodo è scaturita la polemica circa l’eliminazione del crocifisso nei luoghi pubblici, in modo particolare nelle aule scolastiche. Analizzando lo Stato italiano da un punto di vista prettamente giuridico, la Costituzione contiene una serie di articoli che regola i rapporti con la Chiesa cattolica e le altre religioni; che eleva tutte le confessioni religiose sul un medesimo grado. Ogni singolo individuo deve essere giudicato unicamente per gli atti gravosi compiuti in ambito giuridico, senza alcuna possibilità di discriminazione religiosa (art. 3, 8 Costituzione); che separa

i poteri e le competenze dell’Italia e della Città del Vaticano. Sono stati scissi ed indipendenti, l’uno non può entrare o influire la vita politica o amministrativa dell’altro (art. 7 Costituzione). Analizzando l’Italia da un punto di vista evolutivo, si deve dire che la nostra, come molte, società sta subendo una serie di cambiamenti. Ogni giorno ci confrontiamo con gruppi etnici differenti, che portano nel Paese d’immigrazione le proprie tradizioni e la propria religione; ma non solo: sono molti i cittadini nati in Italia che non abbracciano la fede cattolica. La società evolve, mentre la mentalità collettiva è ancora ancorata ad un periodo storico ormai troppo retrogrado. Per ogni nazione le proprie tradizioni sono fondamentali; ciò che distingue un popolo dall’altro è proprio la presenza di tradizioni differenti. Ma quando il rispetto delle tradizioni si trasforma in intolleranza? Si sente spesso parlare di razzismo e fanatismo, figli della stessa madre: la paura. Si tende sempre di più a chiudersi in gruppi; le persone si separano a seconda dei diversi gruppi etnici o religiosi, escludendosi gli uni con gli altri. Credo che in una società cosmopolita come quella in cui viviamo, sia necessario mettere da parte quelle che possono sembrare diversità, per concentrarsi su quelli che sono i punti in comune dei diversi gruppi etnici. Si parla di economia globale e ci si sente uniti solo quando è possibile comunicare da una parte all’altra del Mondo attraverso il computer, ma quando ci sentiremo davvero pronti per dei rapporti umani con culture differenti da quelle di appartenenza?! Il crocifisso nei luoghi pubblici è uno di quei deterrenti alla tanto dichiarata umanità. Si abituano i ragazzi a considerare la religione cattolica, come la religione assoluta. Questo avviene proprio perché non vengono presentate loro alternative di pensiero. Un ultimo esempio di questa chiusura è il Referendum votato in Svizzera, nel quale si decideva sulla costruzione o meno di nuovi Minareti. Con questo Referendum si impedisce la costruzione di un simbolo della religione islamica. E’ uno schiaffo all’integrazione e alla liberà ormai tanto dichiarata in tutta l’Unione Europea, che puntualmente ha provveduto a precisare che questo divieto viene meno alla Dichiarazione dei diritti dell’uomo. Questo nuovo progetto rappresenta sicuramente un passo indietro ed un esempio negativo. In una società come la nostra, l’integrazione dovrebbe essere normalità. In modo particolare in un Mondo che è sempre di più una sorta di comunità più che una separazione di stati. La società si modifica e si evolve. Cosa aspettiamo a renderci conto che la religione dovrebbe unire le persone e non essere fonte di odio? Non sono mai facili i cambiamenti, non è facile accettare il prossimo, soprattutto se lo si considera troppo diverso da se. Ma quando il cambiamento avviene si capisce che forse non siamo poi così diversi.

Stefano rifiuta di mangiare e bere. Rifiuta per protesta, perché vuole parlare prima con il suo avvocato. È quanto scritto in un documento firmato da un dirigente del reparto detentivo dell’ospedale Sandro Pertini, dove il giovane è morto il 22 ottobre scorso. Cucchi, si legge, “ha rifiutato espressamente qualsiasi terapia reidratante endovenosa, necessaria per la presenza di un quadro di insufficienza renale da disidratazione. E ha affermato di rifiutare anche di alimentarsi, accettando di bere liquidi e di assumere la terapia orale finché non parlerà con il suo avvocato”Infine Stefano muore. Il 22 ottobre! Sei giorni dopo l’arresto. Il padre ha rivisto Stefano all’obitorio. Com’è morto Stefano Cucchi? Disidratazione? Percosse? Secondo la testimonianza resa ai magistrati da un immigrato clandestino, Stefano Cucchi sarebbe stato picchiato da almeno due agenti di polizia penitenziaria mentre era nella cella del palazzo di Giustizia di Roma, in attesa del suo processo per direttissima, almeno secondo quanto riferito da alcuni quotidiani. Sembra che Cucchi gli abbia detto: “hai visto questi bastardi come mi hanno ridotto?'' Il ministro Alfano ha parlato al Senato, dichiarando: “da quanto si evince dalla documentazione Stefano Cucchi ha firmato per non autorizzare alla diffusione le informazioni sulle sue condizioni di salute ai familiari”. In realtà il legale della famiglia Cucchi rivela che esiste un altro documento, questo non firmato. Quindi due moduli, quale quello vero? Per ora gli indagati sono sei: tre agenti di polizia penitenziaria e tre medici dell'ospedale Sandro Pertini di Roma. Recentemente è stata anche riesumata la salma per una nuova autopsia.

Stando al legale della famiglia Cucchi, consulenti della procura hanno riscontrato lesioni al cranio ed alla mandibola, che nella precedente autopsia non erano state notate. Sono state confermate, invece, le lesioni alla colonna vertebrale ed alle mani, "anche se serviranno ulteriori accertamenti". Insomma, vogliamo la verità sulla morte di Cucchi. E siamo pure stanchi di sentire certe affermazioni quali quella del sottosegretario Giovanardi che “Cucchi era in carcere perché era uno spacciatore abituale. Poveretto, è morto - e la verità verrà fuori soprattutto perché pesava 42 chili…La droga ha devastato la sua vita, era anoressico, tossicodipendente, poi il fatto che in cinque giorni sia peggiorato... Ma sono migliaia le persone che si riducono in situazioni drammatiche per la droga, diventano larve, diventano zombie: è la droga che li riduce così”. Ed io, guardo le immagini del corpo di Cucchi, messe a disposizione dalla famiglia stessa e vedo: una profonda ferita circolare, ancora aperta, sul polpastrello del pollice della mano sinistra e tante piccole ferite simili tra i capelli, sulle ginocchia, sulla gamba destra che sembrano bruciature di sigaretta. Sotto il labbro superiore una grande ecchimosi, profondi segni blu-rosso-viola intorno agli occhi, rigonfiamento tra la palpebra sinistra e il sopracciglio, l'osso del naso sembra fratturato, ecchimosi sulla mascella e sul collo. Lividi, segni rossi e macchie si vedono anche sulle anche, in particolare quella destra. Non pensavo che la droga fosse così potente.

Eleonora Cardogna Mencucci

Andrea Mura


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A proposito di...

“AD PERSONAM”

N

ei giornali di questi giornali troviamo costantemente la parola “ad personam” fare capolino nei più svariati discorsi. Ad personam sono leggi, decreti, privilegi e compagnia cantante. Quello che fa maggiormente riflettere è il binomio che in Italia si crea tra parlamento e interessi. Un governo repubblicano, eletta perciò a rappresentare il popolo, dovrebbe preoccuparsi di varare decreti “per i cittadini” che hanno riposto in esso la loro fiducia. Invece riusciamo a distinguerci anche per questo. Fateci caso. A chi pensate quando sentite la frase “leggi ad personam”? A Berlusconi. Quale categoria lavorativa vi sovviene alla mente parlando di “privilegi”? Quella dei politici. Ma quale merito determina una così massiccia dose di privilegio? Leggevo l'altro giorno che un deputato come Barbareschi riceve ventitremila euro al mese. Una cifra esorbitante. Per fare cosa? Spesso i politici sono assenti in parlamento. Non lavorano più di un certo numero di ore al giorno. Non salvano vite. Non compiono significative azioni per l'umanità. Hanno una cultura e una conoscenza da strapparsi i capelli per la vergogna. Come se non bastasse viaggiano gratis, hanno le cure gratis, mangiano spesso gratis al ristorante, si tagliano i capelli gratis. L'unica spesa per molti di loro è organizzare festini e drogarsi. Strana società la nostra. Un paese dove Rita Levi Montalcini non riceve stipendio (Ciampi l'ha salvata facendola senatrice a vita) e dove Calderoli guadagna da fare schifo (scusate ma è l'unico termine che esprime il mio disgusto. Una società malata, classista e che premia l'incapacità, la disonestà e l'inefficienza. Che ne dica Brunetta. Alessandro Frau

L’OMOLOGAZIONE L'omologazione è un processo sociale inevitabile, che coinvolge chiunque e al quale nessuno sfugge. E' un processo che aiuta gli individui a decodificare la realtà sociale in cui si muovono, semplificandola, e a ricondurla all'interno di schemi che ne permettono l'interpretazione rapida ed efficace, anche in chiave predittiva. E' il processo sociale grazie al quale una collettività concepisce e matura la propria identità, quella in cui i singoli individui che la compongono si riconoscono e si tramandano attraverso le generazioni. E' un processo che, a motivo della sua natura, può essere pericolosamente controllato e manipolato, da parte di chi può avere l'interesse a conformare e ad anestetizzare gli individui intorno a stili di vita e comportamenti acritici, di passiva accettazione dell'esistente. Nasciamo meravigliosamente nudi e puri, privi di ogni consapevolezza di chi siamo e liberi di diventare tutto ciò che potremmo essere. Siamo un esaltante foglio bianco, da scarabocchiare con tutti i colori possibili, ma anche con uno solo: ogni cosa dipende da noi e noi possiamo davvero essere gli artefici del nostro destino. Armati dei nostri cinque sensi, peraltro ancora imperfetti, ci evolviamo in virtù degli stimoli che captiamo e delle suggestioni che ci provengono da coloro che si prendono cura di noi. Progressivamente, sviluppiamo una nostra capacità cognitiva e un'ansia di "perché" che ci rendono possibile estrapolare dal mondo la nostra originale visione di senso e l'emozione. Operiamo confronti continui e sempre più sofisticati, grazie ai quali diventiamo capaci di marcare il confine, rendendolo a noi evidente, tra noi e tutto ciò che è altro. Prendiamo coscienza di essere, attraverso un percorso straordinario, in cui, fin dall'inizio, possiamo soltanto intuirci e mai vederci. Elaboriamo la nostra coscienza e costruiamo l'ipotesi di noi stessi, arricchendola

continuamente di nuovi dettagli, operando confronti e differenze tra ciò che immaginiamo del mondo e ciò che percepiamo. In quanto esseri relativi, che si pongono sempre in relazione a qualcosa o a qualcuno per comprendersi, apprendiamo per differenza e questo per confermare o meno l'idea che ci siamo fatti del mondo e di noi stessi. Se un fenomeno si ripete in modo sistematico, lo metabolizziamo fino a renderlo prevedibile e, quindi, spiegabile, immaginabile anche quando il fenomeno non si manifesta ancora. Se un fenomeno si discosta in modo significativo dall'idea che ce ne eravamo fatti, abbiamo facoltà di rimettere in gioco il nostro sapere, per attribuire nuovo significato al significante. Non solo, siamo anche in grado di astrarre dai fenomeni immaginati e dagli "oggetti" interni alla nostra memoria, una nuova sapienza e nuovo senso, in un processo creativo che ci permette di viaggiare e di creare oltre i limiti immediati del sensibile. Possiamo, però, decidere di ignorare il divario cognitivo, per paura o per pigrizia, e barricarci nell’ignoranza, per difendere la nostra presunzione di certezza. Possiamo relegare i fenomeni dissonanti a qualcosa di inaccettabile, di inspiegabile, di misterioso, di cui essere magari superstiziosi o di cui avere timore. Faticosamente, comunque, giungiamo a coniare l'oggettività: una rappresentazione del mondo a tal punto stabile e ripetitiva, da non mettere mai in crisi la nostra coerenza cognitiva: la percezione che abbiamo delle cose e degli eventi, inequivocabilmente e senza eccezioni, conferma la nostra immaginazione, le nostre credenze. E' da questa ricerca continua di corrispondenza, che deriviamo la struttura basilare per la costruzione delle nostre certezze, delle nostre verità. Nella nostra mente radichiamo un complesso sistema di mappe, con le quali possiamo muoverci, conoscere,


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riconoscere, distinguere, strutturare e destrutturare, in modo più o meno creativo, le nostre rappresentazioni del mondo. Tanto maggiore e tanto più libere saranno la nostre capacità di interagire e di interpretare il mondo, tanto più ricche e composite saranno le nostre mappe. Non soltanto: tanto più saremo consapevoli del processo relativo con cui siamo giunti al nostro momentaneo traguardo di sapienza, tanto più ci manterremo vigili per non cadere nella presunzione di essere giunti a mete di verità assolute. Non siamo soli nel mondo. Interagiamo con altri individui che, come noi, affannosamente ricercano la loro verità, il senso e la consistenza del loro essere. Nei processi di scambio e di relazione con gli altri subiamo e produciamo interferenze continue, grazie alla condivisione di rappresentazioni simboliche ed emotive: la parola; lo sguardo; il tono della voce; la gestualità; l'esteriorità; il contesto, il momento e i modi con cui si realizzano lo scambio e la comunicazione. La coordinazione di questi fattori può generare l'intesa, la simpatia, l’autorevolezza, la stima, la fiducia, la com-passione, l'amore o determinare il loro esatto contrario. Può generare il mutuo riconoscimento dei traguardi cognitivi raggiunti, ma anche il loro reciproco e/o aprioristico rifiuto, la repulsione, il disprezzo e spingere sino all’aggressione dell’altro, pur di annullarne il pensiero. In funzione della nostra sensibilità e della nostra ansia di ricerca, abbiamo facoltà di aprire le nostre mappe agli altri, per arricchirle di nuovi elementi, elaborare e costruire un nuovo senso, una nuova oggettività, nuovi valori e verità nuove, oppure, per infarcirle di dubbi che liberino ulteriormente il nostro percorso di ricerca della conoscenza, verso orizzonti imprevedibili di nuova sapienza. In questo percorso, che è di tipo sociale e, in quanto tale, estremamente complesso, poiché coinvolge una moltitudine di individui, ciascuno potrà assorbire e metabolizzare il punto di vista o l'esperienza dell’altro, ovvero rigettarli. Analogamente, ognuno potrà agire per diffondere la propria opinione, dimostrandone agli altri la coerenza formale e sostanziale. Tutto dipenderà dal modo in cui il singolo individuo parteciperà e si porrà nel processo di scambio della conoscenza e dalla trasparenza con cui questi opererà per dimostrare la validità dei dati e delle ipotesi che stanno alla base del suo esclusivo impianto cognitivo. Ma tutto dipenderà anche dal grado di autonomia e di "qualità" della conoscenza di cui dispongono gli individui e dal modo in cui il sistema sociale, entro il quale le relazioni si svolgono, assicura le libertà fondamentali di espressione, informazione, opinione e partecipazione. Il confronto dialettico e la riduzione di ogni ed eventuale dissonanza cognitiva, anche a costo di manipolare e/o sopprimere le cause che la determinano, condurranno alla formazione di saperi stabilmente condivisi e omologanti, intorno ai quali si affermeranno identità collettive, forme di linguaggi e di aggregazione, valori e patrimoni di verità. Tanto maggiore sarà il consenso intorno a questo patrimonio, tanto più elevata la resistenza che il gruppo eserciterà di fronte ai tentativi di una sua revisione, anche

soltanto parziale. Non soltanto nei sistemi apertamente autoritari, ma anche in quelli dichiaratamente democratici, i traguardi cognitivi raggiunti si cristallizzeranno intorno a presunzioni di verità assolute, pertanto indiscutibili, infallibili, e per difenderle, la ristretta elite di governo del gruppo opererà per dichiararne al più presto il carattere dogmatico. L’indottrinamento di massa, il controllo rigido dell’informazione, la censura, la limitazione della libertà individuale, in ogni sua forma, saranno le leve di un’azione estrema, a cui l’elite dominante potrà fare ricorso, per: affermare il principio del conformismo ideologico; limitare la capacità critica degli individui; contenere le naturali inclinazioni dell’individuo alla ricerca autonoma e al relativismo, bollati come un male; rendere tutti obbedienti agli schemi rigidi di una verità preconfezionata; garantire a se stesso il confort e i privilegi della propria rendita di posizione. Dobbiamo, quindi, acquistare la piena consapevolezza di queste dinamiche, perché solo in questo modo saremo capaci di vigilare su noi stessi, sugli altri e limitare i possibili effetti negativi dell’omologazione e del conformismo. In quanto individui, animati da una potenziale ed inesauribile sete di conoscenza, dobbiamo agire perché all’interno dei gruppi sociali di nostro riferimento, si consolidi il valore cardine della libertà di critica e di opinione e il principio fondamentale della tolleranza e dell’ascolto di ogni punto di vista, soprattutto di quello avverso all’opinione dominante. Dobbiamo lottare affinché il processo di elaborazione della verità non sia mai preclusivo, aprioristicamente, delle possibili eccezioni ad essa, ma sia invece un percorso aperto e sempre attento al relativismo e alla falsificabilità di ogni nostra opinione. Dobbiamo impegnarci affinché chiunque possa avere accesso all’informazione e possa esprimere il consenso, come anche il proprio autonomo dissenso. Alberto Giarrizzo

LA CADUTA DEL MURO DI BERLINO Vent’anni fa cadeva il muro di Berlino. Una nazione allora divisa in due metà, per un assurdo gioco di potere, si poté finalmente riunificare e diventare una delle più grandi nazioni europee. Il muro di per se non era molto particolare, ma il suo significato era un insulto per tutto quello che lo aveva portato. Milioni di morti durante la seconda guerra mondiale per poter ottenere una situazione di pace e di collaborazione tra popoli sono stati traditi ed umiliati a fini politici-economici. La Storia ha decretato i suoi vincitori e i vinti, ma il fatto più importante è quello che “il muro” reale o astratto esiste a tutt’oggi e non solo in Germania. In tutto il mondo, il muro della discriminazione ci impedisce di crescere e di arricchirci, abbiamo così tante parole per distinguere chi è diverso da noi che preferiamo inventarne nuove piuttosto che conoscere realmente quella persona. Tutti noi siamo diversi. Se volessimo creare un posto solo per bianchi-ricchi non ci troveremmo in un posto tanto diverso da quello che Hitler voleva. Al giorno d’oggi la potenza maggiormente in via di sviluppo è di sicuro la Cina, per cui se tanto mi da tanto i cinesi dovrebbero denigrare tutti quanti. Per di più se iniziassimo una guerra del genere non penso che l’occidente ne uscirebbe vincitore. La realtà italiana non è tanto distante da quella europea e del resto del mondo, ma chi vi scrive vive in una realtà ancora diversa. Qui in Sardegna, terra di conquiste secolari, siamo abituati agli stranieri e nonostante il mio possa essere un popolo abbastanza diffidente,

difficilmente si crea problemi nel trovarsi faccia a faccia con chi è “diverso”. Certo anche da noi ci sono i razzisti, ma fortunatamente sono pochi e vedere una signora del Congo, una della Cina e la fantomatica Zia Nina parlare allegramente dei più e del meno non è un immagine tanto rara. Sono razzisti coloro che creano i muri, non esistono altri termini e possibilità, chi odia la diversità lo fa perché si sente minacciato da chi gli può essere superiore. Solo perché ha paura e si sente inferiore. Discorso ancora più ridicolo e purtroppo doveroso è quello di dividere gli esseri viventi in base ai propri gusti sessuali come se l’essere etero o omo cambiasse minimamente il valore della persona. Secondo chi giudica in questo modo sarebbe meglio frequentare criminali e assassini piuttosto che una persona normale che ha solo una differenza di gusti. Alla base di quest’odio c’è sempre la paura del giudizio degli altri, per cui investono con odio e partecipano a gruppi pro famiglia, quando essi stessi il più delle volte hanno alle spalle tradimenti e divorzi. Forse la famiglia che è da mantenere è solo quella di facciata in modo che i “vicini”non pensino male piuttosto che quella che ci ama per quello che siamo. Oppure la famiglia è quella che per sentirsi speciale deve dare fuoco ad un barbone o quella che nella difficoltà rimane ancor più vicina ed unita?Come ho detto vent’anni fa il muro di Berlino è stato abbattuto. Ma quando sarà abbattuto il muro dell’umanità? Nicola Irimia.


Dicembre 2009 Anno 1° n.6

Rubriche PAYO SECONDA PUNTATA La selva si apriva lenta e diligente al suo passaggio. Rami contorti si liberavano dai loro incastri per lasciarlo passare, richiudendosi immediatamente dopo. I rovi richiamavano le spine all’interno delle fronde per evitare di pungerlo e graffiarlo. I fiori sprigionavano prezioso nettare profumando l’aria in quei sentieri improvvisati. Payo avanzava più rapidamente di quanto avrebbe fatto normalmente. Voleva mettere più spazio possibile tra lui e quell’evento spiacevole e quasi non si accorgeva delle ingegnosità che i suoi protetti compievano per rendergli più facile il ritorno a casa. Arrivò davanti ad un fitto strato di vegetazione che circondava un piccolo cerchio d’erba. Si sedette a gambe crociate rivelando ancora una volta la sua leggerezza ed elasticità. Respirò profondamente attirando a sé l’energia che gli alberi gli regalavano attraverso il terreno. Annullò le sue preoccupazioni distendendo i nervi fino a sentire la quiete allargarsi in ogni centimetro del suo corpo. Chiuse gli occhi lasciando la sua mente svuotata da ogni pensiero. Si dilatava percependo i segni affettuosi della sua patria inviolata. Come sempre non sollevò alcuna barriera mentale mentre percepiva il cuore più profondo della foresta indagare dentro il suo corpo alla ricerca di un riconoscimento indubbio. Dopo brevi attimi una voce familiare si fece spazio nel suo cervello. “Entra pure Payo” Lo spirito apri gli occhi alzandosi dal terreno senza utilizzare le mani. Un varco elegante si era aperto in mezzo alle fitte piante, come un tappeto rosso dedito all’accoglienza degli ospiti più graditi alla foresta. Percorse quello spazio con il suo passo cadenzato e soffice. In quel micro-universo naturale tornava a respirare l’aria pulita e pura. Era finalmente circondato dalla semplicità che l’essere umano fuggiva, impegnato senza sosta nella contaminazione indiscriminata di ciò che da sempre lo circonda. Quel piccolo sentiero incorniciato dalla natura non era particolarmente lungo e Payo si ritrovò presto davanti all’imboccatura finale. Una luce quieta e splendente proveniva dall’esterno rischiarando le piante che incorniciavano l’uscita. Payo si lasciò investire da quei raggi caldi che coloravano di verde i suoi occhi chiari. Si godette quel contatto piacevole prima di varcare l’arco di uscita di quel piccolo cammino interlocutorio. Finalmente era arrivato a casa. Un piccolo paesino era rinchiuso nell’angolo più remoto della foresta. Un luogo protetto all’inverosimile, introvabile per chiunque. Barriere naturali lo proteggevano, energie spirituali ne controllavano il perimetro, sentinelle arboree erano collocate nei suoi confini cosicché ogni piccolo movimento intorno a quel mondo non poteva passare indisturbato. Payo sentì il familiare contatto con i ciottoli che componevano le varie stradine del suo paese natio. Numerose casette, con varie e mutevoli forme, spuntavano dai luoghi più impensati. Alcune sorgevano ai lati della strada e avevano degli stemmi sull’uscio che

identificavano lo spirito che vi risiedeva. Un grande sole era marchiato sulla prima porta che Payo incontrò nel villaggio. Una casa ampia e completamente gialla nella quale abitava Solyo, spirito del sole e del calore. Accanto era stata eretta la dimora di Astrya protettrice della notte e delle stelle. Si ergeva scura e ombrosa intervallata da brevi puntini bianchi di varie dimensioni. In fondo alla strada vi era un profondo e limpido lago nella quale profondità era situata l’abitazione di Laya, la protettrice delle acque e dei mari. Pesci di tutti i colori danzavano intorno al suo comignolo entrando e uscendo dalle finestre perennemente spalancate e dalle quali fuoriuscivano bolle d’ossigeno. Del resto tutto il paese brulicava di alloggi caratteristici. Ogni spirito l’aveva costruito e adattato seguendo le proprie caratteristiche, il proprio gusto e soprattutto i propri poteri. Payo era stato ospite in quasi tutti quegli appartamenti e a sua volta aveva invitato i suoi concittadini all’interno delle sue mura ricoperte di foglie, radici e fiori. Payo aveva le sue preferenze tra i suoi compaesani, come accade all’interno di ogni società. Invitava spesso Laya, invidiandola qualche volta per la protezione che le era toccata. Avrebbe volentieri voluto essere lo spirito difensore del mare e dei suoi figli sparsi sparsi sulla Terra. Non provava una grande simpatia per Flaryo, il protettore del fuoco o per Danyo difensore delle grandi alture. Ed era amico di Fanya, spirito affine degli animali e di Alisyo il controllore dell’aria e dei venti. Erano più di cinquanta gli spiriti che convivevano in quell’amena regione. Si governavano eleggendo un

rappresentante di turno e convocando assemblee straordinarie per ogni discussione. Avevano doveri precisi e personali. Difendevano e custodivano i segreti della loro arte e s’impegnavano nel salvaguardare i loro protetti. Il compito a cui erano stati assegnati era stato agevole per secoli e secoli senza gravare le loro esistenze. Ciò era perdurato fino a che l’uomo non si era evoluto. Lo sviluppo della tecnologia gettava ombre sul pianeta, colpito sempre più violentemente dalle condotte che l’umanità attuava. Sempre più frequentemente le azioni antropiche passavano incuranti sui bisogni del mondo che li accoglieva, calpestandolo in ogni sua fibra. Gli spiriti erano stati costretti a intervenire sempre più spesso e da allora era iniziata una lotta sotterranea, quasi inconsapevole, senza nome. L’uomo combatteva con nemici di cui ignorava l’esistenza e che cercavano di fermarlo senza compromettersi. La preoccupazione era salita a livelli vertiginosi in quel piccolo paradiso e spesso Payo si perdeva in lunghe riflessioni, cercando di analizzare possibili contromosse per tutelare i suoi inermi fratelli verdi. Camminava più lentamente ora, salutando qua e là visi amici che facevano capolino dalle varie abitazioni. Era talmente immerso in quei torbidi pensieri che quasi non si accorse di essere finalmente giunto a destinazione. Si fermò stiracchiando le membra indolenzite. Alzò lo sguardo verso l’alto e ammirò il suo piccolo eden personale sorridendo di felicità. Alessandro Frau


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ELEMENTARE WATSON Perché dopo e non prima? Prima di rendere disponibile ai pazienti un farmaco è obbligatorio che lo stesso sia autorizzato da enti preposti e che sia stato testato. Prima di rendere disponibile sul mercato un’automobile la stessa deve essere certificato dalla motorizzazione. Persino primo di sposarsi le coppie fanno un periodo prematrimoniale di convivenza. Allora perché le leggi non vengono esaminate preventivamente dalla corte costituzionale prima di promulgarle? Eviteremmo sprechi di denaro e tanta bile. Non ti sembrerebbe una prassi molto elementare caro Watson? Augusto Montaruli

MUSICA E PAROLE IL GIORNO DI DOLORE CHE UNO HA (LIGABUE) Quando tutte le parole sai che non ti servon più quando sudi il tuo coraggio per non startene laggiù quando tiri in mezzo Dio o il destino o chissà che che nessuno se lo spiega perché sia successo a te quando tira un pò di vento che ci si rialza un pò e la vita è un pò più forte del tuo dirle "grazie no" quando sembra tutto fermo la tua ruota girerà. Sopra il giorno di dolore che uno ha. Tu tu tu tu tu tu... Quando indietro non si torna quando l'hai capito che che la vita non è giusta come la vorresti te quando farsi una ragione vora dire vivere te l'han detto tutti quanti che per loro è facile quando batte un pò di sole dove ci contavi un pò e la vita è un pò più forte del tuo dirle "ancora no" quando la ferita brucia la tua pelle si farà. Sopra il giorno di dolore che uno ha. Tu tu tu tu tu tu tu tu tu... Quando il cuore senza un pezzo il suo ritmo prenderà quando l'aria che fa il giro i tuoi polmoni beccherà quando questa merda intorno sempre merda resterà riconoscerai l'odore perché questa è la realtà quando la tua sveglia suona e tu ti chiederai che or'è che la vita è sempre forte molto più che facile quando sposti appena il piede lì il tuo tempo crescerà Sopra il giorno di dolore che uno ha Tu tu tu tu tu tu tu tu tu

Spesso la vita ci mette davanti delle situazioni difficili. Alcune situazioni possono sembrare disperate, sembra che nessuna parola possa aiutare, e a volte ci chiediamo, ma perché è successo a noi e che cosa abbiamo fatto di male. A volte ci si compiange e si da la colpa al destino o a Dio e non si cerca un modo per uscirne fuori, non si vedono le opportunità che la vita ci da e involontariamente si rifiutano e magari a posteriori c’è ne rendiamo conto.

Altre volte uno ci si prova in tutti i modi, ma ha l’impressione che ci sia una forza contraria, che per quanto si impegna non riesce a risolvere la situazione. Però quando tutto sembra perduto la vita e le sue occasioni non ci abbandonano mai, soffia il vento la ruota gira di nuovo per il verso giusto, arrivano le occasioni, passa un nuovo treno e tutto cambia. La vita non è come un video gioco dove salvi e poi se hai sbagliato ricarichi e ricominci. Quando si sbaglia e si commette un errore, spesso si pagano le conseguenze, purtroppo non si può tornare indietro. Ed è proprio quando siamo feriti da un errore che nasce la voglia di riscatto, la voglia di rivincita, la voglia di ricominciare. La vita a volte ci può sembrare ingiusta, perché magari non accadono le cose che vorremo, ma quando meno c’è lo aspettiamo ci regala delle gioie. Penso che non esista vita giusta o sbagliata, la vita è una ruota che gira, ci da gioie e dolori, a volte da a volte toglie, è varia ed è bella per questo.Durante la vita ci capita di perdere persone care, a volte perché sono vecchie, a volte incidenti altre volte calamità naturali, come il recente

terremoto in Abruzzi e l’alluvione di Messina. Quando muore qualcuno a noi caro e come se il nostro cuore perdesse un pezzo, ma noi dobbiamo andare avanti, per noi la vita continua, per noi continuerà a esserci un giorno dopo, dove una sveglia suonerà e dove a un certo punto ci chiederemo che ore sono nella nostra vita? Cosa dobbiamo ancora realizzare? Il cuore deve riprendere il suo ritmo, dobbiamo far entrare un po’ di aria fresca nei polmoni e anche se il mondo che ci circonda è rimasto orfano delle persone che non ci sono più, dobbiamo essere forti, perché la vita è sempre forte molto più che facile. Dobbiamo passare sopra al giorno del dolore che abbiamo. Tu tu tu tu tu tu tu tu tu. Carlo Puggioni


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Cultura I NOBEL, QUESTI SCONOSCIUTI

Una nuova rubrica che tenta di far luce sui letterati insigniti del prestigioso riconoscimento ma poco noti presso il pubblico. Sono tanti gli umanisti e gli scrittori che si sono meritati questo premio e che non hanno avuto i riflettori della ribalta. Tenteremo qui di farlo. JOSIF ALEKSANDROVIC BRODSKIJ - Raffinatissimo letterato, Brodskij nasce a Leningrado il 24 maggio 1940. Saranno tre i luoghi che accompagneranno la sua intera esistenza e a cui si legherà anima e corpo: la Russia, gli Stati Uniti e Venezia. La simbiosi con la città lagunare sarà talmente forte da fargli prendere la decisione di voler essere sepolto nel cimitero dell'isola di San Michele una volta sopraggiunta la morte nel 1996. Vinse il Nobel nel 1987, dieci anni dopo essere diventato cittadino americano, con la seguente ufficiale motivazione: “Si laurea una produzione letteraria di levatura eccezionale, improntata all'acutezza intellettuale e all'intensità poetica”. Decisione inequivocabile per chiunque abbia avuto familiarità con le opere dello scrittore russo. Un a prosa carica di vitalità, impegno e sensibilità. Dalle sue parole traspare una grande emotività e una grande profondità. Fu uno studente indisponente e ribelle, tanto che a quindici anni abbandonò l'aula in dissenso con le lezioni di un insegnante ritenuto da lui incapace. Nel 1964, poco più che ventenne, lo si ritrova nei vari circoli intellettuali delle città sovietiche protetto e ammirato da grandi esponenti della cultura russa come Anna Achmatova. Viene accusato dalle autorità sovietiche di parassitismo e davanti al giudice risponderà in tal modo: «Giudice: Qual è la tua professione?, Brodskij: Traduttore e poeta.Giudice: Chi ti ha riconosciuto come poeta? Chi ti ha arruolato nei ranghi dei poeti? Brodskij: Nessuno. Chi mi ha arruolato nei ranghi del genere umano?»

Verrà condannato a cinque anni di lavoro forzato. Negli anni '70 è costretto ad emigrare negli Stati Uniti, a causa delle persecuzioni antisemite nella sua patria natia. Così si descriveva Brodskij: “Sono in parte ebreo, in parte russo, in parte cristiano. Per riassumere, un cattivo ebreo. E aggiunge: Le circostanze della vita hanno fatto di me un ebreo errante. Ma sono più ebreo in termini esistenziali, per vicende personali, di quanto non lo sia per sangue”. Da allora vivrà sempre all'estero. America,Londra, Vienna e soprattutto Venezia. Sosterà nella città lagunare periodicamente quasi ogni anno, portando in Italia la sua grande competenza culturale. Il suo amore per la capitale veneta è espressa nel saggio Le fondamenta degli incurabili (1989) in cui magistralmente viene descritto il suo profondo rapporto con la laguna. Traduttore di talento (sopratutto di opere inglesi) e scrittore sopraffino Brodskij lascia ai posteri opere fondamentali come la Fermata nel deserto (1979),il canto del pendolo (1987), dall'esilio (1988). Fondamentale e ricca di significato è la raccolta di poesie (1972-1985), scritta per competere con i grandi poeti americani del tempo, in prima fila Auden e Pound. Una voce unica nel panorama letterario del '900, un autore devoto totalmente alla lingua e alle sue molteplici possibilità d'espressione. Un uomo colto e originale degno di ogni menzione futura. Troppo spesso dimenticato e così poco studiato all'interno degli ambiti scolastici e accademici. Alessandro Frau

LA “LUCIDA FOLLIA” DEL PAZZO SHAKESPEARIANO Nelle tragedie e nelle commedie del drammaturgo inglese riveste un ruolo fondamentale e imprescindibile il cosiddetto “Fool”. Colui che vede e parla del mondo attraverso gli occhi aperti di un folle dalla testa malata. Creduto insano viene sbeffeggiato e oltraggiato. Le sue parole sono frutto di instabilità mentale, la gravità delle sue espressioni frutto di una malformazione palese. Spesso viene scambiato per un giullare, un saltimbanco e un buffone. Le sue opinioni sono oltraggiose perché intrise di verità. Degne di punizioni corporali perché costituite dallo sdegno verso i comportamenti reali. A lui Shakespeare affida il compito nodale di comunicare i veri messaggi delle opere teatrali. Il fulcro intorno al quale girano e agiscono i vari personaggi è svelato dal più umile partecipante alla rappresentazione. Umilmente egli calca il parquet del quale è ospite non sempre gradito. Vive di ossimori e di incomprensibili intrecci verbali. Possiede una lucida follia, denuncia illusioni reali, sputa false verità e sopratutto ride seriamente. Consapevole della parte che gli è stata assegnata non si aspetta di essere preso in considerazione. Rifugge dagli insulti dei potenti. Non limita le sue dispense veritiere di fronte a dileggi e commenti diffamatori. La sua presenza è costante, immancabile nei vari contesti del teatro dell'autore inglese. Il suo copione è ricolmo di aneddoti pronunciati con l'abilità di un attore consumato. Frasi pronunciate con una semplicità di linguaggio tale da racchiudere al suo interno una profondità di significato difficile da spiegare. Si muove a suo agio nel

teatro elisabettiano nella quale la vita è vissuta come una recita all'interno del palcoscenico per eccellenza che è il mondo. In “Come vi piace” l'ambiguità raggiunge livelli altissimi. Il “Fool” afferma di voler tanto essere pazzo come quello che avrebbe incontrato nella foresta e che gli ha comunicato verità fino a quel momento non afferrabili dalla sua mente. Un folle che gioca con gli altri personaggi, fingendo di no n esserlo ma allo stesso tempo tanto desideroso di vestirne i panni. In Amleto il “Fool” è lo stesso principe ereditiere del trono di Danimarca, portato sull'orlo della pazzia dal desiderio di vendetta nei confronti dell'usurpatore del trono: suo zio Claudio. Quest'ultimo esempio testimonia che tale ruolo può essere recitato da qualunque esponente della società inglese del tempo. Che sia il più umile dei servitori o il più importante di una dinastia signorile. L'unica certezza fondamentale è che l'essenza della verità può essere ritrovata e compresa solo dalle delucidazioni di questo sottovalutato protagonista delle scene, attuale più che mai. Infatti, anche oggi, sono tanti i Fool che vengono messi da parte e ignorati, spesso troppo precipitosamente. Così verità fondamentali rimangono sommerse da una marea d'ignoranza. I manicomi letterari abbandonati sostituiti dalle facezie di un progresso delirante e superficiale. Alessandro Frau


Dicembre 2009 Anno 1° n.6

RACCONTO Nei bui pomeriggi invernali mi piaceva rimandare i compiti e piazzarmi alla finestra a scrutare nella fitta nebbia le luci delle auto che come un gregge ordinato tornava a casa dopo una lunga giornata di lavoro. Mio fedele compagno di allora era un mangiadischi turchese nel quale infilavo i miei 45 giri preferiti, sulle cui copertine avevo pasticciato delle scritte in un Inglese improbabile che altro non era se non la riproduzione fedele del suono delle parole... Nella scuola dell'obbligo degli anni '70 lo studio dell'Inglese aveva ormai rimpiazzato il datato, elegante Francese, e anche alla radio imperversavano le canzoni straniere che giungevano per lo più dall'Inghilterra o dagli Stati Uniti; noi tutti non eravamo ancora preparati a quei testi così difficili da pronuciare e dei quali capivamo poco nulla, ma una cosa ci era apparsa ben chiara fin da subito: non solo quelle musiche avevano un ritmo trascinante, ma quelle parole così incomprensibili contenvano in sé una bellezza e una musicalità spiazzante. Studiare l'Inglese era dunque diventato un presupposto 'sine qua non' assolutamente necessario per poter accedere non solo alla comprensione dei testi – per la verità non sempre così profondi come lo erano invece quelli dei cantautori italiani – ma anche alla possibilità di cantarli senza correre il rischio di fare la solita figura del cioccolataio... La mia prima insegnante d'Inglese la ricordo come una donna alta, bionda e con un naso lievemente aquilino; lei era molto preparata e brillante, l'unico suo neo era quella spiccata 'erre francese' che le faceva arrotare ogni parola; particolare affatto trascurabile nell'insegnamento di una lingua in cui la erre veniva pronunciata in modo esattamente opposto a quello che lei per natura aveva... Noi, i terribili della prima H, l'avevamo subtito soprannominata 'ticiarrr'... Proprio in quegli anni le musiche di Andrew Lloyd Webber si erano materializzate nel musical “Jesus Christ Superstar” la cui trasposizione sul grande schermo fece clamore alimentando tutta una serie di comportamenti prettamente scolastici che andavano dai versetti dei vangeli ricamati sugli zaini, a vere e proprie gare di traduzione riguardo a determinati brani particolarmente belli, fino alla suddivisione in ruoli per poter ricreare quegli stessi personaggi che recitavano e cantavano nel film. Mia nonna, sempre molto infastidita da 'Instant Karma' - brano di John Lennon che mio fratello ed io ascoltavamo ad altissimo volume – si era invece dimostrata particolarmente interessata a quei testi che riportavano le parole dei Vangeli, e mi aveva chiesto di insegnarle qualche parola d'Inglese; allora, approfittando della presenza sul tavolo della macchina per la pasta marca Imperia che mia madre stava utilizzando proprio in quel momento per fare le tagliatelle, le avevo fatto notare come sulla scatola in cartone rosso che conteneva la macchina, oltre alle varie scritte che ne declamavano la bontà e la qualità, ce ne fosse anche un'altra a lei incomprensibile, una breve frase di sole tre parole: 'Made in Italy'... Ed era stato bellissimo ascoltare mia nonna che cercava di ripetere correttamente 'meid in itali'..., così come ricordo con profonda tenerezza lo

LOST IN TRASLATION

stupore e il conseguente divertimento di mia madre quando, ascoltando la radio aveva scoperto che esisteva una cantante straniera il cui nome 'Mariah Carey' veniva pronunciato 'maraia' – definizione che in dialetto piemontese significava qualcosa come: ragazzacci, paccottiglia... “Ti verrà la lingua inglese: tutta a strisce rosse, bianche e blu, proprio come nella pubblicità...” aveva detto mia nonna sorridendo dopo aver saputo che mi ero iscritta alla facoltà di Lingue e Letterature Straniere, indirizzo che avevo scelto perché rappresentava per me un mix di cose che mi stavano a cuore: lo studio della letteratura Inglese i cui autori amavo da sempre, l'approfondimento della grammatica cui aspiravo per poter conseguire uno scrittura corretta, le lezioni tenute da preparati madrelingua che mi avrebbero dato una maggior fluentezza nel parlato, e in assoluto il mio amore spassionato per la Musica che da sempre mi ha fatto pensare allo studio delle lingue come quello più vicino e similare all'apprendimento musicale. E non mi sono mai pentita d'aver scelto quell'indirizzo che mi ha permesso in tutti questi anni di viaggiare comunicando in modo attivo con culture molto diverse dalla nostra; che mi permette ancor oggi di apprezzare la bellezza dei libri in versione originale, le cui pagine sono intrise della musicalità della lingua, e che mi ha permesso di sorridere a quel signore che una mattina della primaversa scorsa mi ha fermato per strada tutto trafelato, e che dopo aver tirato fuori dalla tasca un foglietto sporco e stropicciato si é messo gli occhiali e mi ha chiesto: “ sa mica darmi indicazioni per un negozio che si chiama... 'topone'?...” A me scappava tanto da ridere perché sapevo perfettamente che in zona esisteva il 'Top One', un grosso magazzino di ricambi elettrici, ma quel signore era troppo tenero e 'vero', e non volendo apparirgli scortese l'ho accompagnato fin davanti all'entrata del negozio... Maria Grazia Casagrande


la grafica di questo web magazine vi è stata offerta da Bobba Design facebook: bobba prods


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