i Libri
della Quercia
La Storia Perduta Elisabetta Gnone
Il tempo è passato e molte cose sono cambiate a Fairy Oak, e così capita di immelanconirsi riguardando vecchie fotografie davanti a un tè, ricordando vecchi amici e grandi avventure. Ma quando i ricordi approdano all’anno della balena, i cuori tornano a battere e i visi a sorridere. Che anno fu! Cominciò tutto con una lezione di storia, proseguì con una leggenda e si complicò quando ciascun alunno della onorata scuola Horace McCrips dovette compilare il proprio albero genealogico. Indagando tra gli archivi, le gemelle Vaniglia e Pervinca, con gli amici di sempre, si mettono sulle tracce di una storia perduta e dei suoi misteriosi protagonisti. E mentre il loro sguardo ci riporta nella meravigliosa valle di Verdepiano, si consolidano vecchie amicizie, ne nascono di nuove, si dichiarano nuovi amori e si svelano sogni che diventano realtà.
Illustrazioni di copertina di Claudio Prati e Valeria Turati Illustrazioni degli inserti a colori di Valeria Turati Illustrazioni in bianco e nero di Claudio Prati Grafica degli inserti a colori di Elisabetta Gnone Post produzione digitale di Litomilano una produzione
Visita il villaggio della Quercia Fatata www.fairyoak.com www.facebook.com/Fairy-Oak elisabetta@bombusmedia.com Edizione fuori commercio realizzata per il premio Bancarellino 2021 Prima edizione cartacea: ottobre 2020 © 2009 i Libri della Quercia Elisabetta Gnone © 2020 Bombus S.r.l. per Elisabetta Gnone (per il testo e le illustrazioni) www.bombusmedia.com Per informazioni sulle novità del Gruppo editoriale Mauri Spagnol visita: www.illibraio.it Copyright © 2020 Adriano Salani Editore s.u.r.l. dal 1862 Gruppo editoriale Mauri Spagnol Milano www.salani.it
Elisabetta Gnone
~ Il racconto di Vaniglia ~
15º anniversario ¥-............................g............................-µ
A quindici anni di distanza dalla pubblicazione
del primo libro della saga (era il 26 ottobre del 2005 quando venne pubblicato Il Segreto delle Gemelle) ho sentito il desiderio di tornare a Fairy Oak e di portarvi con me, per rincontrare i vecchi amici e rivedere i luoghi che abbiamo amato e dove siamo stati bene. Essendo stato preceduto da sette libri, è possibile che in questo racconto qualcosa sia stato dato per conosciuto, personaggi, nomi, abitudini. Per questo ho ritenuto utile inserire, alla fine della storia, alcune note in libertà, che spero aiuteranno i nuovi lettori a orientarsi nel villaggio della Quercia Fatata. Inoltre a pagina 70 troverete un albero genealogico: gli alunni di Fairy Oak dovranno compilarlo per la scuola, ma potrete farlo anche voi, per gioco e per non dimenticare la vostra storia. Buona lettura, Elisabetta
Erano identiche e inseparabili, e tuttavia opposte. Una aveva il potere della Luce, l’altra il potere del Buio…
Casa Periwinkle UN VIAGGIO NEL TEMPO
Un sabato pomeriggio, freddo e nevoso, mia sorella
Pervinca venne a trovarmi per il nostro consueto tè delle cinque. Aveva appena bussato e io e Little Owl andammo ad aprirle. « Entra, Vì, svelta, si gela. Ho appena messo l’acqua sul fuoco » dissi tirandola dentro per un braccio. « Piano, Babù, piano. Nei pochi metri che separano casa mia da casa tua mi si sono gelate le ossa ». Pervinca ricambiò il quieto benvenuto di Little Owl. « Ciao, Little Owl, vecchio cane, come stai? Qua un abbraccio ». Mi chiamo Vaniglia Periwinkle, ma da quando siamo 9
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nate, lo stesso giorno, mia sorella mi chiama Babù mentre io chiamo lei Vì. « Versa il tuo per te e per me lascia le foglioline un po’ più a lungo, vuoi, Babù? Sento che mi farà bene berlo forte e scuro oggi » mi disse Pervinca quel giorno. Sorrisi. « Il tè ti piace amaro che allappa, Vì, ti è sempre piaciuto così » le ricordai. « Siedi vicino al fuoco. Togli gli stivali bagnati, ti porto un paio di scarpe asciutte ». Ci accomodammo davanti al fuoco che crepitava nel caminetto, con Little Owl ai nostri piedi. « Non ti disturbare, Babù, fa un bel calduccio qui, ora mi asciugo. Hai cambiato qualcosa in casa? C’è qualcosa di diverso ». Per molti anni, mio marito Jim e io abbiamo vissuto nella casa che un tempo era stata dei McDale, una bella casetta di pietra su due piani, coperta di vite, al centro del villaggio. Dopo la morte dei due anziani coniugi, che avvenne purtroppo quando noi eravamo ancora ragazzi – dico purtroppo perché era una coppia di vecchietti buffi e divertenti – la casa rimase a lungo chiusa e silenziosa. Fino a quando Jim e io decidemmo di mettere su famiglia. Dovemmo lavorarci dentro un po’ per renderla di nuovo abitabile, ma a quel tempo eravamo giovani e pieni di entusiasmo, gli amici venivano a darci una mano, Grisam, 10
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Flox, Tommy, suo fratello Francis, Acanti, Nepeta, e il risultato fu una casina accogliente, dove fummo felici e dove vennero al mondo le nostre bambine, Salvia e Margherita. Quando nostra madre volò in cielo – dopo papà e zia Tomelilla – e la grande casa in via degli Orchi Bassi rimase vuota, lasciammo il nido dei McDale e ci trasferimmo lì, fra le spesse mura dove Pervinca e io eravamo nate e cresciute. I passi sparsi che s’inoltrano nel giardino, i grandi alberi che lo ombreggiano, i cespugli di rosa lungo il muro di pietra che lo circonda, lo specchio d’acqua con i pesci, la grande serra addossata alla casa, i romantici arbusti di ortensie… Poco o nulla è cambiato. Neppure dentro. La cucina dove mangiavamo, e mangiamo tutt’ora, col lavabo di pietra, il tavolo con il marmo bianco, le panche, i mobili dei trisavoli, è sempre la stessa. Solo a generazioni di piatti, tazze e bicchieri scompagnati si sono aggiunti i nostri. Il vecchio divano con la fodera di lino a fiori, davanti al caminetto, dove papà e mamma si ritrovavano dopo cena a bere un liquorino e a raccontarsi la giornata, è sempre lui, ho soltanto dovuto aggiustare un po’ il tessuto sui braccioli. Lo studio di nostro padre, con il barometro di ottone 11
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appeso alla parete, il cannocchiale davanti alla finestra e i delicati strumenti da meteorologo ordinati nelle teche, non è stato toccato. Lo abbiamo condiviso per qualche anno io e Margherita, quando lei studiava per diventare meteorologa, come il nonno, e io scrivevo i miei articoli per La Gazzetta di Fairy Oak (oggi dirigo la rivista e correggo i begli articoli degli studenti). Le fotografie di famiglia, appese lungo la scala, ecco quelle sì, si sono arricchite di nuovi sorrisi, di nuove code scodinzolanti e di nuovi ricordi. Di tanto in tanto, facciamo un po’ di manutenzione. « Jim sta aggiustando le finestre, forse sono queste le novità di cui parli, Vì: quelle due e la porta a vetri sono state restaurate e riverniciate. Se l’hai notato diglielo, perché ha fatto un gran lavoro e ne va fiero ». « Dov’è Jim? » « Giù, che pialla e vernicia ». “Giù” è dove un lungo corridoio, scavato sotto la casa, buio e tenebroso, porta senza che tanti lo sappiano: la Stanza degli Incantesimi di zia Tomelilla. Occorre un po’ di coraggio per percorrerlo. La prima volta che dovemmo affrontarlo, Pervinca e io tremavamo dalla paura. Poi, scoperto l’incanto, divenne affascinante. Compiuti i primi cento passi, infatti, migliaia di lumini si accendono magicamente tra le pietre, schiarendo 12
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il cammino fino a una stanza segreta, dove la zia, sorella maggiore della mamma, insegnava la Magia a noi giovani nipoti e, occasionalmente, anche ai nostri amici Flox Pollimon, Grisam Burdock e Shirley Poppy. Fino a quando toccò a noi fare lezione ai nostri figli e ai nostri nipoti: allora, con Pervinca, ci mettemmo d’accordo che io avrei insegnato nella serra, ambiente a me molto più congeniale per via della luce e delle piante, che amo coltivare come la zia, mentre lei avrebbe continuato la tradizione di famiglia facendo lezione nei meandri tetri e umidi della stanza scavata sottoterra. Oggi, che i nostri figli sono grandi e le lezioni di Magia sono loro responsabilità, la Stanza degli Incantesimi è diventata il laboratorio di Jim, dove tiene gli attrezzi e si dedica alle sue invenzioni e ai lavoretti di riparazione. « Credevo avessi già qui le bambine » disse Pervinca guardandosi attorno. « No, sono a casa. Siamo d’accordo con le mamme e i papà che ci vedremo stasera direttamente al pub, insieme a tutti gli altri ». Le bambine sono le nostre nipotine, mie e di mio marito Jim, figlie delle nostre gemelle. Non l’ho detto? Salvia e Margherita sono nate lo stesso giorno, come me e Vì. Pervinca e suo marito Grisam hanno avuto tre maschi, che a loro volta hanno avuto sei figli. Così, insieme, noi 13
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sorelle facciamo otto nipoti, che con nostra gioia e sollievo hanno già dimostrato d’aver ereditato i poteri di famiglia: i nipotini di Pervinca sono tutti Magici della Luce, come me, mentre le nostre nipotine sono tutte Streghe del Buio, come lei. « Felì è con loro? » mi chiese mia sorella. « Certo » risposi. Tutti o, almeno, quasi tutti i bambini Magici di Fairy Oak hanno una fata luminosa che li segue e li protegge. Di solito arriva alla loro nascita e resta fino al quindicesimo compleanno. Poi, regola impone che la fatina lasci l’impiego per dedicarsi a nuovi bambini. Sefeliceleisaràdircelovorrà arrivò in tempo per vederci nascere, il trenta di ottobre. Pervinca lanciò il suo primo grido di guerra quella notte, a mezzanotte e un secondo precisa, dunque il trentuno di ottobre. Io attesi che il sole fosse alto nel cielo e sorrisi alla vita a mezzogiorno preciso dello stesso giorno. Identiche e opposte fin dal primo istante: lei tenebrosa, io solare. Durante gli anni che restò con noi, Felì si fece molto amare e molto apprezzare da tutta la famiglia, e con zia Tomelilla, che viveva con noi, instaurò un rapporto speciale. L’aveva voluta la zia, quella fatina. L’intuito le diceva che era giusta per noi e così aveva scritto al Gran Consiglio perché invitassero Sefeliceleisaràdircelovorrà a 14
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lasciare il Regno delle Rugiade d’Argento per unirsi alla nostra famiglia e diventare la nostra fata tata. Felì aveva accettato sopraffatta dall’emozione, non per il compenso pattuito, che sarebbe stato di dieci petali di rose al mese più due panini all’arancia per i giorni di festa, ma perché colei che l’aveva mandata a chiamare era niente meno che Lillà dei Sentieri (questo il vero nome della zia), la strega della Luce più famosa, saggia e potente di tutti i regni incantati, un mito per la giovane fatina alla sua prima esperienza di lavoro. Sapendo quanto le fate siano golose di frutta, zia Tomelilla regalò a Felì un barattolo di marmellata di more vuoto, ma ancora molto profumato, perché diventasse il suo angolino privato all’interno della nostra camera, e anche perché la fatina non sentisse troppo la nostalgia di casa. Mamma le faceva il letto ogni giorno con la mollica del pane fresco, e papà, con un rocchetto di filo da cucito, le costruì una scrivania a cui lei si sedette ogni giorno ad aggiornare il suo diario. A volte Pervinca, per tirarle uno dei suoi scherzi, le avvitava il coperchio sulla testa. Felì allora s’infuriava e appena usciva volava a darle un tritapizzicotto, come li chiamava lei. Si fece anche delle amiche, amiche vere, a Fairy Oak: 15
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l’amata Fidiven, la prima fata di Flox, che sacrificò per lei la vita. Il suo nome era Soffiododicisofficisoffidivento e a lei ancora oggi è dedicata una delle nostre piazze; la giovanissima fata che venne a sostituire Fidiven e a consolare la povera Flox: allegra e gentile, si chiamava Spifferospigliatodelventoinnamorato, ma per noi tutti era Piffero; Sulfior, la delicata fata dei Blossom, che aveva un nome intero dolcissimo: Soffiosulfiorchefiorirà; la pessimista Ditetù: si chiamava Miricorderòditeturicordatidime; Etalì, del regno dei Petali Bianchi: il suo nome lungo e complicato era Quattropetaliacuorehoportatoperte; e Prud, il cui nome completo suonava più come un’informazione, sebbene lei sostenesse si trattasse di una citazione colta: si chiamava Sentoipollicicheprudono ed era la fata tata, robustella e d’indole guerriera, dei sette fratelli Corbirock. Il giorno del nostro quindicesimo compleanno, dopo averci coccolate e viste crescere, aver raccolto le nostre confidenze, aver vissuto con noi mille avventure e aver sciolto molti dei nostri dubbi, risolto pasticci, essersi presa la responsabilità dei nostri guai, averci salvato la vita, protetto e amato, insomma, dopo aver condiviso con noi ogniminutoistante di quegli anni, Felì sparì senza salutare. Qualcuno doveva averle detto che il modo migliore per dire addio è di non dirlo affatto, e che il miglior 16
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ricordo che si possa conservare è quello di un giorno qualsiasi. Sta di fatto che quel mattino semplicemente non la trovammo più. Poi però tornò. Molti anni dopo. Quando Salvia e Margherita stavano per nascere, scrissi al Gran Consiglio pregando i Saggi che mi mandassero lei come tata. E lei arrivò, minuscola, lucente e graziosa come la ricordavo. E la commozione di rivederci fu grande e ci travolse. Quante lacrime quel giorno! Anche Pervinca si commosse, sebbene, col suo carattere ribelle e irrequieto, non avesse sempre amato essere costantemente seguita e controllata da una fata. I suoi bambini non ne hanno mai avuta una, e neppure i suoi nipotini, né suo marito Grisam aveva una fata tata quand’era giovane. In casa Burdock semplicemente non si usa. « È possibile che Felì venga più tardi, Vì. Se può fa un salto tutti i giorni » dissi. « Ecco il tuo tè. Fai attenzione, la tazza è bollente ». « Grazie, Babù. Come mai hai tirato fuori le vecchie foto? » Il tavolino da caffè, davanti al divano, era ingombro delle nostre fotografie di famiglia. « Le sto mettendo in ordine per le bambine. Sono in quel cassetto mescolate alla rinfusa da tanti di quegli anni, che quando ne cerco una non la trovo mai ». 17
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« Non dirlo a me » sospirò Pervinca, « un giorno aprirò il nostro fatidico cassetto per fare la stessa cosa e per la millesima volta lo richiuderò rinunciando ». « Ho fatto così anch’io tante volte, sai? Poi l’altro giorno sono entrata nel negozio di Primula e ho visto questi album, che ha fatto sua nipote con gli scampoli delle stoffe. Non sono carini? Somigliano a quelli che usava la mamma. Be’, li ho comprati e ho cominciato ad attaccare le foto. Sto ricostruendo la nostra storia, Vì. Guarda… » « Siamo noi due sul pontile con Flox. Ce l’ho anch’io questa foto. Quanti anni avremo avuto qui? » « Avevamo compiuto dodici anni. Ricordi cosa stavamo facendo? » « Guardavamo i pesci? » « Eh, più o meno ». « Perché ridi? » « Rido perché mi sembra incredibile che non ricordi quel giorno, Vì ». « Vuoi dire che questa foto risale a quando… Oooh, Babù! Certo che ricordo cosa successe! Insomma, fu pazzesco! » Era primavera, ma faceva freddo come adesso, e con Flox, Grisam, Acanti, Tommy, Francis, Celastro, Nepeta e tanti nuovi amici avevamo appena trovato una storia perduta… 18
Il racconto di Vaniglia h
ORCOMORTO Che strazio la Storia!
Ricordo che a Felì accadeva, a volte, di restare sve-
glia la notte. In quelle ore silenziose, la fatina aggiornava il suo diario, metteva a posto le nostre cose, una molletta, un nastro caduti per terra e finiti sotto un letto, due calzini da appaiare… Aspettava il sorgere del sole lasciando vagare il pensiero nei ricordi degli anni appena passati e nell’incertezza di quelli a venire. « Che tempo fa? » le chiese Pervinca aprendo un occhio e stiracchiandosi come un gatto. La luce del mattino la disturbava, anche se giungeva nella nostra stanza filtrata dagli alberi – succede anche adesso, a Pervinca, se le imposte non sono chiuse bene. « Nevica pioggia » le rispose la fatina con un sospiro. « E pensare che siamo alla fine di marzo ». Poco dopo, dal piano di sotto, giunse la voce di nostra mamma. « Felì, siete sveglie? Per favore, fai alzare le ragazze, è 19
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tardi. Venite giù a fare colazione, forza » chiamava dalla cucina. « Sveglia, marmotte! » salutò nostro padre, spalancando la porta. Un buon odore di pane tostato invase la stanza. « Babù, apri gli occhi, è ora di andare a scuola, alzati » mi chiamò Pervinca, sperando di guadagnare un po’ di tempo nel letto mandando me per prima in bagno. « C’è il sole? » farfugliai mezza addormentata. « No, niente sole. Piove neve, o nevica pioggia, non lo so, chiedi a Felì, lei ha le idee chiare ». Per essere un inizio di primavera era molto incerto. Pioveva neve pesante e bagnata da così tanti giorni, e faceva così tanto freddo, che veniva voglia di raggomitolarsi in un cantuccio e aspettare che il sole tornasse a scaldare l’aria. « Uh, bello, oggi ho Arte alla prima ora » ricordai, alzandomi di ottimo umore. « Mi piace Arte. Soprattutto mi piace la faccia di Flox quando abbiamo Arte » dissi volando, letteralmente, in bagno. « Beata te » bofonchiò Vì, con le coperte fin sopra la testa. « Io ho Storia alla prima ora ». « Capisco. Gran brutto modo di cominciare la giornata » dissi, dispiaciuta per mia sorella. « Be’, consolati, io ce l’ho alla quinta ». Odiavamo le ore di Storia, e il professore Absenzio Enormous odiava noi. Lo 20
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chiamavamo Orcomorto, per via del fatto che era grosso quanto lo sarebbe stato un orco – se solo ci fossero stati ancora gli orchi a Fairy Oak – camminava come secondo noi camminavano gli orchi, biascicava come immaginavamo biascicassero gli orchi, teneva sempre le palpebre abbassate e non alzava mai lo sguardo, come un morto. Era informe e grigio come… No, non saprei dire di che colore siano gli orchi. Lui somigliava a un calamaro gigante. Era noioso da strapparsi le unghie. Per pronunciare quattro parole impiegava ore, anzi, ere! Sembrava che le lettere gli pesassero sulla lingua e che lui faticasse a spingerle fuori attraverso le labbra, livide e carnose: blof! A noi studenti faceva un po’ effetto. Pervinca avrebbe detto schifo. Quando ci interrogava assumeva la posizione del cinghiale: stava prono in avanti, con la testa bassa pronto a caricare, e con voce da caverna allagata chiamava gorgogliando: “Terza fila, secondo banco da sinistra: alla lavagna, prego”. Era come se giocasse a Battaglia Navale, mai che ci chiamasse con il nostro nome, forse perché non lo conosceva. Poi: “Settecentoventinove”, ci diceva con la mascella molle, curvo sul registro. E noi, tremando: “Cosa vuole sapere? È una data, il numero dei suoi anni, il suo peso in tonnellate, gli zot che ci lancerà se sbaglieremo la risposta?” 21
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Oppure: “Passo del Gogoniant!” sparava a bruciapelo senza dire altro. Ebbene? Passo del Gogoniant, sì, esiste: voleva che gli dicessimo che il passaggio tra le montagne più alte della nostra regione sta proprio sopra le nostre teste? In questo caso sarebbe stata una domanda di Geografia e lui insegnava Storia. Le sue interrogazioni erano dei rebus. Forse sarebbe più corretto dire dei supplizi. In aggiunta ci dava del “voi”, a noi ragazzi! Quando ci rivolgeva la parola ci voltavamo per capire con chi parlasse. Una volta a Vì chiese: “Avete studiato la battaglia del Picco Nero?” E lei: “Io sì, gli altri non lo so”. Le mise un tre e la rimandò al suo posto. A casa, Pervinca prese una strigliata da mamma, papà e zia Tomelilla, perché secondo loro aveva voluto fare la spiritosa: lei?! Quel mattino, quando Orcomorto entrò in classe, dopo aver torturato per tutta la mattina gli altri studenti della Horace, ci trovò stanchi e affamati. « Otto nove sette » disse sbattendo la cartella di cuoio nero sulla cattedra. Tirò fuori il registro e il libro di Storia e si accasciò sulla sedia. « Otto nove sette » ripeté Flox sottovoce aprendo svogliatamente il libro a pagina ottocentonovantasette. E, accostandosi a me, in un sussurro: « A un Mago così cattivo non dovrebbero permettere di fare l’insegnante ». Per fortuna Orcomorto non la udì. 22
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Ma poi… « Uff » sospirò Flox sconsolata davanti alla pagina in questione. « Date e nomi, nomi e date e neanche un colore » e senza pensarci sbadigliò, come un ippopotamo: « Yawn! » Il professore allora sollevò lo sguardo. Gli occhi, due mirini di fucile puntati sulla mia migliore amica, che, naturalmente, non si accorse di niente. « Seconda fila, primo banco da destra, studente a sinistra » chiamò Enormous. Nella voce, la promessa di una morte lenta. Toccai la gamba a Flox e le indicai di guardare avanti. La bambina dei colori, a quel punto, sbiancò. Non eravamo abituati ad avere i suoi occhi addosso, non ci guardava mai e quando ci guardava non ci vedeva; il suo sguardo ci passava attraverso come succede con i fantasmi. Invece, quella volta, Absenzio Enormous guardava Flox con un’espressione disgustata. “Che fa questa ‘cosa’ nella mia classe?” dava l’idea di starsi domandando. “Miseriaccia, sarà mica una bambina?” Poi i suoi occhi si spostarono su di me, solo gli occhi però, perché tutto il resto rimase immobile. A uno a uno, ci osservò tutti e, attenzione: ci vide! « Millesettecentododici » rantolò con voce spettrale. Non volò una mosca, anche perché, oltre a essere 23
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terrorizzati, non capivamo cosa voleva che facessimo: non avevamo libri con millesettecentododici pagine né ricordavamo che fosse una data importante. Perciò rimanemmo muti e fermi come statue. E il suo umore peggiorò. La grande testa s’incassò nel collo, il busto flaccido avanzò fino a coprire la cattedra; i gomiti si allontanarono, i pugni si serrarono: ora sembrava un granchio di centoventi chili in attesa della marea. Vedemmo brillare una goccia al lato della bocca e udimmo il rumore della sua sedia che si spostava. Poi buio. Alla fine delle lezioni, la preside Flumini, allarmata dalle grida di un’insegnante, si precipitò nella nostra classe e ci trovò appesi a testa in giù, avvolti in bozzoli di seta. Quella punizione scatenò un putiferio e un gran dibattito sull’uso dei poteri a scuola da parte dei professori (agli studenti era vietato). Su questo punto, infatti, la legge dei Magici era, e credo sia tutt’ora, piuttosto confusa. Essendo molto antica, e scritta a mano, si espone facilmente a fraintendimenti: dove infatti qualcuno potrebbe leggere “fare ricorso agli incantamenti”, cioè agli incantesimi, altri leggono “fare ricorso agli incartamenti”, cioè ai documenti relativi a una pratica burocratica. Inutile dire che il nostro professore fosse tra coloro che 24
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leggevano “incantamenti”. Addossò a noi studenti tutta la colpa. « Non studiano, non leggono, non ricordano, non capiscono. Dubito perfino che siano dotati di un cervello » si lamentò il giorno dopo a colloquio con la Preside. « Ma nelle altre materie non vanno così male » obiettò lei. « Le altre materie sono quisquilie! » replicò Orcomorto con forza. « Chiunque può imparare a memoria una poesia o addizionare due cifre. Se glielo chiedessi saprebbe farlo anche un criceto! » « Be’, ora, in Letteratura e Matematica fanno un po’ più di questo… » « Ne dubito! Comunque, è un fatto accertato che non sono in grado di imparare la mia materia » concluse il professore. La Preside aprì il registro e scorse i nostri voti in Storia: istintivamente li sommò e ottenne quarantotto, divise per dodici, quanti eravamo, e ottenne la media del quattro. « Capisco che non sia facile » sospirò con sconforto. « Intendo dire che non deve essere facile far appassionare i ragazzi a una materia tanto importante e al contempo tanto… funerea, no? Tutta quella lista di morti… » Il professore ebbe un sussulto. « Quei morti sono i nostri eroi, i nostri Padri Fondatori, 25
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i nostri inventori, i nostri scienziati, i nostri Maghi e Streghe eccellentissimi, coloro che hanno fatto la storia di questo paese! » protestò offeso. « Ma certo! Sono i nostri eroi, ci mancherebbe! Sono morti, ma vanno ricordati » cercò di correggersi Euforbia Flumini, che per trent’anni aveva insegnato Matematica e Scienze nella scuola che adesso dirigeva. « Provo solo a mettermi nei loro giovani panni e penso che, se quei
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morti non li hai mai conosciuti, se sono vissuti secoli prima che tu nascessi, in un mondo che non riesci neanche a immaginare e le loro fotografie sui tuoi libri sbiadiscono in un crepuscolare quanto mai depressivo color seppia… Insomma, non è facile, non è facile » tagliò corto la Flumini, riconsegnando il registro al professore, seduto davanti a lei. Poi, giunte le mani in una solida stretta e assunto un atteggiamento ottimistico: « Trovi il modo per farli appassionare alla Storia, eh? Faccia rivivere i morti! » esclamò con un sorriso radioso, che invitava alla gioia e alla perseveranza. Absenzio Enormous lasciò la stanza cupo come un tombino sotto la pioggia, e la Preside poté ritenersi fortunata se la sua assistente, la signorina Consiglia, non la trovò appesa a testa in giù avvolta in un bozzolo di seta. Alla lezione successiva tornò tutto come prima: i grandi occhi anguilleschi ci ignoravano e noi ci slogavamo le mascelle per non sbadigliare. Finché un bel giorno avvenne il miracolo: Robin Windflower, detto Scricciolo, pedalando fuori dalla scuola, non riuscì a frenare e investì Enormous rompendogli un alluce. E la nostra vita cambiò per il meglio.
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L’Autrice
Elisabetta Gnone è nata a Genova e vive sulle colline del Monferrato. È stata direttore responsabile delle riviste femminili e prescolari della Walt Disney, per la quale nel 2001 ha creato la serie di fumetti W.I.T.C.H., destinata ad un successo mondiale. Nel 2004 ha pubblicato il primo libro della fortunatissima saga di Fairy Oak, che ha conquistato il cuore di milioni di giovani lettori nel mondo. Negli ultimi anni Elisabetta si è dedicata alla scrittura della sua nuova serie Olga di carta, un nuovo, delicatissimo mondo in cui, con garbo e ironia, affronta i temi delle fragilità, della vulnerabilità e delle imperfezioni che ci rendono umani.
LIBRO ILLUSTRATO
Un Anno al Villaggio Elisabetta Gnone
Un libro pieno di illustrazioni e racconti per ogni mese dell’anno. Un diario nient’affatto segreto, a cui le gemelle Vaniglia e Pervinca hanno affidato le ricette di famiglia, i compiti per le lezioni di Magia, le regole dei giochi da fare nelle giornate di pioggia e i resoconti delle avventure vissute nelle giornate di sole, e naturalmente i loro piccoli segreti. Un diario in cui tutti sono invitati a scrivere, anche le lettrici, per conservare i loro ricordi ed entrare a far parte del mondo incantato di Fairy Oak.
LA TRILOGIA
LIBRO 1
Il Segreto delle Gemelle
LIBRO 2
L’Incanto del Buio
LIBRO 3
Il Potere della Luce
I QUATTRO MISTERI
La prima sera parlai d’Amore e di cuori intrepidi
La seconda sera di Magia e di mirabolanti avventure
La terza sera raccontai storie di Amicizia e di colori
La quarta sera dissi Addio a Fairy Oak
Della stessa autrice
LA SERIE Tre nuovi libri dedicati al potere di raccontare le storie. Ogni libro è una storia, che va dritta al cuore e porta ai lettori un nuovo, delicatissimo mondo in cui l’autrice affronta, con garbata ironia, i temi delle fragilità, della vulnerabilità e delle imperfezioni che ci spaventano e che ci rendono umani. Per i lettori di tutte le età
LIBRO 1
LIBRO 2
IL VIAGGIO STRAORDINARIO
JUM FATTO DI BUIO
LIBRO 3 MISTERIOSA