LE STORIE DI OLGA DI CARTA
JU M
Fa tt o di Bu io ELISABETTA GNONE
ELISABETTA GNONE
di car t a JUM FATTO DI BUIO
PAPER CUT DI LINDA TOIGO
Erisina Casol detta la Casolina
Il Professor Debrìs
Parnisél Dipì detta Tomeo
Il signor Gibòd
I PROTAGONISTI
Nonna Almida
Tincredo Cod detto Barcabroncio
Don Sero
I PROTAGONISTI
Pod Grampet
Bruno DebrĂŹs detto Bruco
Davin Grampet
Timet Grampet
Cherpia Bramic Almaris Grampet detto Ari
Grumo Malan
Progetto artistico di Elisabetta Gnone Sovracoperta di Scozzese Design Copertina di Elisabetta Gnone Paper cut di Linda Toigo Le fotografie dei paper cut sono di Gianluca Camporesi Post produzione digitale di Litomilano
una produzione
www.olgadicarta.com www.facebook.com/Olgadicarta olgadicarta@bombusmedia.com
© 2017 Bombus S.r.l. per Elisabetta Gnone (per il testo e le illustrazioni)
ISBN 978-88-6918-349-2
Per informazioni sulle novità del Gruppo editoriale Mauri Spagnol visita: www.illibraio.it
Copyright © 2017 Adriano Salani Editore s.u.r.l. dal 1862 Gruppo editoriale Mauri Spagnol Milano www.salani.it
A Naim
T
utti sapevano che Olga amava raccontare bene le sue storie o non le raccontava affatto, e quando la giovane Papel attaccava un nuovo racconto, la gente si metteva ad ascoltare. Sarà stata la fame di conoscere per chi non s’era mai mosso dal villaggio; sarà stato il solletico che ogni storia procurava a un angolino della mente, trasformando fatiche e pensieri in sogni e speranze; sarà stato il fascino dell’ignoto e dello straordinario, sta di fatto che, quando Olga cominciava a raccontare, chi era vicino tendeva un orecchio, le finestre si dischiudevano, le voci nei cortili si acquietavano, volti incuriositi sbucavano da dietro il bucato e chi era in casa usciva, trascinandosi dietro una sedia. Strano, ma vero, quella ragazzina di poco più di undici anni era uno dei passatempi più graditi del paese e uno degli argomenti che sostava più spesso e più a lungo sulle labbra degli abitanti della contea di Balicò: Olga e le sue incredibili storie, che lei giurava d’aver vissuto personalmente. “Impossibile!” sostenevano alcuni. “Magari!” sospiravano altri. “Da come le racconta non possono che essere vere!” pensavano in molti.
“D’altra parte, quale bambina può conoscere tante cose e saperle raccontare con tale grazia e maestria?” Riguardo a questo le teorie non si contavano, e quella della saggia Tomeo era, senza ombra di dubbio, la più convincente: “Una bambina che ha scoperto come vincere la paura” sosteneva la barbiera, che all’animo umano faceva barba e capelli ogni giorno. “Paura di cosa?” chiedevano gli altri. “Dei mostri che mette nelle sue storie, dei quali tutti noi abbiamo paura”. Non fu mai tanto vero come quando Olga raccontò la storia di Jum…
PROLOGO
U
na gelida mattina d’inverno Olga portò Valdo a passeggiare nel bosco ceduo, o meglio, in ciò che ne era rimasto. I boscaioli erano giunti con le seghe e con le accette e quasi tutti gli alberi erano stati abbattuti. Non tutti, però: come aveva previsto il professore, alcuni, le cosiddette matricine, erano stati risparmiati per creare il nuovo bosco. Uno qua, uno là, gli allievi, come pure erano chiamati i giovani alberi, ondeggiavano solitari nella radura battuta dal vento. Olga e Valdo andavano a trovarli spesso. Accarezzavano i loro tronchi sottili, sperando di trovarli ogni giorno un po’ cresciuti. Valdo, di tanto in tanto, alzava la zampa e ne innaffiava uno. “Non credo gli faccia piacere, sai?” gli diceva Olga. Il cane abbassava la zampa e seguitava a gironzolare col naso nell’erba. Uccellini solitari svolazzavano increduli e timorosi di non poter riparare tra le fronde se le pattuglie dei corvi fossero giunte a caccia di prede: d’improvviso non c’erano più fronde, né canti. Solo il fischio del vento. Seduta su un masso, sul punto più alto della collina, Olga si strinse nel cappotto mentre osservava il nuovo paesaggio. « Adesso che il bosco non c’è più da qui si vedono casa nostra e il campanile di Balicò » disse stupita. « Tu ti immaginavi che fossero così vicini, Valdo? A piedi sembra 15
una lunga camminata fino al villaggio, invece... È una bella scoperta, no? Se solo non ci fosse questo vuoto. Non mi piace la nostra collina senza alberi, manca qualcosa. E se manca non va bene ». Restarono a guardare il panorama in silenzio, finché il freddo non li vinse. Allora si buttarono giù per il sentiero che portava al fiume, correndo come matti, evitando dossi e sassi. « Non ti fa tornare in mente qualcuno, questo vuoto? » chiese Olga senza fermarsi. Valdo non rispose, ma la ragazzina sapeva che il suo amico aveva capito: nessuno dei due si sarebbe mai dimenticato di Jum, perché quando conosci Jum fatto di buio non lo dimentichi più.
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UNA TRACCIA MISTERIOSA
A
l bar del paese, nelle case e per le vie non si parlava che di lei: la neve. Aveva nevicato tanto quell’anno e l’intera regione era ricoperta da un manto bianco che uniformava dislivelli, arrotondava spigoli, spianava rugosità e creava un mondo soffice, abbagliante e silenzioso. Sulle strade del paese, carri, uomini e animali andavano piano, procurando sommessi crepitii, tonfi ovattati e fruscii di suole che scivolavano sul ghiaccio. I calzolai, nelle botteghe, inchiodavano solette di gomma sotto le scarpe; gli artigiani cucivano senza sosta robuste scope di saggina, gli uomini tagliavano la legna per le stufe e i caminetti mentre ragazzi e ragazze si offrivano per pulire gli usci delle case a chi non aveva il tempo o la forza per farlo da sé, e pagava volentieri pochi spicci in cambio del favore. Chi possedeva galline coraggiose, che producevano anche in quel gelido inverno, vendeva uova fresche in piazza a chi le ordinava il giorno avanti. « Sei a me ». 17
« Dodici a me ». « Quanta neve! Quanta neve! » « Mai vista una nevicata così! » « Come no? La Grande Nevicata, una decina d’anni fa. Seppellì il carro dei Gagin con tutti i buoi attaccati. Non li trovavano più ». « Però mi pare fosse febbraio ». « No, era dicembre, come ora ». « E faceva così freddo? » « Uh, se faceva freddo! Il mio Digio rimase a letto con l’influenza per un mese ». « E concepiste il vostro primo figlio ». « Che insolenza ». « E ne viene giù ancora! » « Non è normale ». « Cosa, che nevichi in inverno? » « Sarà pure inverno, ma io dico che c’è qualcosa sotto ». « Sotto la neve? » « Su, su, che hai capito ». « Un incantesimo? » « Non sarebbe la prima volta ». « Che stupidate! » « Perché? In fondo abbiamo chi ne sarebbe capace, se mi intendete… » « Se ti riferisci alla piccola Olga, allora sono stupidate monumentali! Certe cose non esistono! » « Ah, questa poi è bella: agli incantesimi non ci credi, però ti bevi le storie che racconta quella ragazzina ». « Ci credo perché sono vere e abbiamo le prove ». « Non esistono prove che Olga abbia visto e fatto le 18
cose incredibili che racconta d’aver fatto e visto nelle sue storie ». « Esistono! Debrìs ce lo ha dimostrato l’ultima volta ». « La storia della bambina di carta? Ah, no, stammi a sentire, io non… » « Ssst, abbassate la voce. Potrebbe arrivare da un momento all’altro. Anzi, è strano che non sia già qui ». « Ogni cosa è strana quando si parla di Olga ». « Povera figliola ». « È così sottile ». « Sì, una foglia ». « Eterea, direi ». « Sì! Parrebbe volar via da un momento all’altro ». « Come un foglietto ». « Chissà cosa ci racconterà la prossima volta? » « È già da un po’ che non racconta ». « Ma dove sarà finita? » « È così tardi ».
` Col cesto pieno di uova appeso al braccio, Olga attendeva che la chiatta del signor Cod venisse a prenderla. Il fiume era in parte gelato e la ragazzina si chiedeva come facessero i castori a sopravvivere. Olga non aveva mai visto un castoro, fino a quando, quell’estate, una tana era apparsa proprio davanti al loro pontile, in un’ansa riparata dove il fiume creava un laghetto. Un grosso maschio aveva lavorato per giorni con ramoscelli, fango e steli d’erba, e un monticello era sorto in mezzo all’ansa. 19
Presto al maschio s’era aggiunta una femmina e infine erano arrivati tre cuccioli. Per tutta l’estate Olga e Valdo avevano assistito ai giochi dei piccoli castori. Poi i cuccioli erano cresciuti e tutti insieme, genitori e figli, avevano continuato ad abitare la tana, che nel frattempo era diventata più grande. Adesso però il monticello era stretto dal ghiaccio e Olga
si domandava se la famiglia fosse ancora là sotto o se fosse emigrata verso sud, come fanno le oche. L’ urlaccio di Cod la destò dai suoi pensieri. « Via, via! Spostati da lì! » Olga fece alcuni passi indietro mentre il barcaiolo, a gestacci, le indicava di arretrare. I ragazzi lo chiamavano Barcabroncio perché era sempre di pessimo umore. “Un
lampione nero in una notte di pioggia” lo descriveva qualcuno. E infatti era alto e curvo come un lampione, scavato come uno scheletro, con lunghi capelli grigi e unti, e il volto livido. “Una lapide”, borbottava la nonna di Olga certe volte, scendendo dalla chiatta senza salutarlo. Durante tutta la traversata l’uomo non smise di biascicare bestemmie. Mugugnava sottovoce, nella lingua stretta del fiume, ma Olga capiva cosa diceva: la chiamava scema. « Dopo tanti anni sta ancora in cima al molo, quella scema! » Invece Olga sapeva benissimo dove bisognava sostare quando la chiatta attraccava. S’era solo distratta pensando ai castori. Scese ringraziando a testa bassa. Un tempo, a quel punto, si sarebbe inoltrata nel bosco. Ma il bosco non c’era più, perciò Olga s’incamminò sulla neve immacolata. Se gli alberi fossero stati ancora al loro posto, conigli, lepri, scoiattoli, corvi, volpi avrebbero tracciato un viavai di impronte, mentre ghiande, foglie, aghi e rametti avrebbero creato un sentiero agile e asciutto. Così, invece, a ogni passo, la ragazzina affondava nella neve alta e doveva essere più brava di un giocoliere per non ribaltare il cesto con le uova. « Oooh, aiuto! » esclamò a un tratto cadendo lunga distesa. Una decina di uova rotolarono fuori dal cesto. Olga allungò una mano e arrivò a recuperarne uno, poi un secondo, un terzo… Ancora sdraiata, stava per recuperare il quarto, quando rimase col braccio a mezz’aria: l’uovo si trovava in mezzo a una traccia fresca. Qualcuno era passato e aveva lasciato dietro di sé una scia. 22
‘Va verso il fiume’ si disse la ragazzina incuriosita. ‘Forse cercava riparo nel vecchio bosco, non trovandolo ha proseguito. Uhm… Che strano, però’. Avrebbe voluto seguire la pista, ma non c’era tempo. Raccolse le uova ancora sparse, si spazzò il cappotto, si riavvolse bene la sciarpa intorno al collo e proseguì verso il villaggio. Adesso non faceva più tanta fatica, o almeno non le sembrava di farla, perché era concentrata sull’impronta misteriosa e si domandava chi potesse averla lasciata. Quando finalmente entrò nella piazza di Balicò, quasi si stupì di trovarsi già lì. « Finalmente! » esclamarono i cittadini in attesa. Tutti reclamavano le loro uova. « Sei a me! » « Dodici a me! » « Dov’eri finita? » « È tardi! » « A che ora cucino se arrivi a quest’ora? » Fra chi era seccato perché Olga era arrivata in ritardo, la signora Reda era la più noiosa di tutti. « Mi sembri più grassa, se grassa si può dire di una foglia » disse scrutando la ragazzina. « Sono i giornali » rispose Olga sfilando da sotto il cappotto alcuni fogli di giornale ripiegati, che servivano per impacchettare le uova e a tenerle caldo durante il tragitto. La signora Reda sospirò. « Me ne vengono otto » disse spazientita tendendo la mano. In quel momento, un bimbetto puntò il dito ed esclamò: « Olga di carta! » Gli altri sgranarono gli occhi e si misero a ridere. 23
« Olga di carta! » ripeterono in coro. « Sei proprio tu! » Alcuni mesi prima, la giovane Papel aveva raccontato una storia a proposito di una bambina fatta di carta, che si chiamava Olga, come lei. A dieci anni appena aveva intrapreso un lungo viaggio per andare a trovare la maga che avrebbe dovuto trasformarla in una bambina di carne e ossa, e per questo aveva vissuto un’incredibile avventura. « Ti chiami Olga, sei sottile sottile, sei fatta di carta, di giornali, e hai fatto un lungo viaggio per arrivare fin qui, perciò Olga di carta sei tu! » sentenziò il bimbetto. La signora Reda fece una smorfia ironica. « Va a finire che se tutto ciò che racconti è vero, dovremo augurarci che la prossima storia non abbia come protagonista un orco, o potremmo ritrovarcelo qui a fare la fila per le uova » disse, infilando il pacchetto nella sporta, mentre gli altri scoppiavano a ridere. Quasi tutti. In disparte, seria, attendeva il suo turno Erisina Casol, detta la Casolina. Era una persona per bene, che stazzava come un tiro di buoi, ma mostrava la grazia di un uccellino, ed era gentile. Tutto in lei era delicato e gradevole: il viso roseo, il sorriso minuto e composto, gli abiti ben cuciti sulla magnifica figura, i passetti leggeri sui tacchi a spillo. Voleva bene a Olga e amava le sue storie poiché in esse trovava spesso immagini che le erano familiari, allora come un’onda si sollevava su esclamando: “Mi ricorto! Mi ricorto!”, e tutta emozionata raccontava un episodio del suo passato. Era giunta a Balicò seguendo il terzo marito, un poco di buono che dopo il loro arrivo era sparito con una ragazza 24
più giovane, lasciando lei sola in un paese straniero di cui non capiva la lingua. Veniva da un paese lontano, la Casolina, che diceva fosse bellissimo e dove aveva lasciato gli affetti più stretti. Per anni aveva sofferto di una malinconia nera, che le aveva tolto il sorriso e la voglia di agire. A chi le chiedeva perché non tornasse a casa rispondeva con lo sguardo vacuo. “Avrà dimenticato la via del ritorno”, ipotizzava la gente. Si sbagliava: la Casolina era triste, ma era anche una gran combattente. “Futuro avanti, no tietro” diceva. E guardando avanti, resistendo, col passare degli anni, con l’aiuto degli amici e il sostegno delle storie di Olga, aveva messo su casa a Balicò. Poi, un giorno, un cagnolino di nome Bambù aveva riportato la luce nella sua vita. « Questo è suo » disse Olga consegnandole un pacchetto. Bambù si sollevò sulle zampe per annusarne il contenuto e Olga gli fece una carezza. « Crazie! » rispose la Casolina, col suo accento straniero. « Defe essere stato dificile arifare fino qui occi con neve. Sei stata tanto coraciosa e centile a non rinunziare, così noi abiamo uova ». « Il bosco non c’è più » rispose Olga facendo spalluccia. « Sì, io ho saputo. E neanche sentiero c’è più. È brutto. Ma che fare? Legna serfe per stufe e a fare mobili, no? Qvesto non si può combatere. Anche loro non si può combatere... » La signora accennò alle persone che si allontanavano, ciascuno col proprio pacchetto di uova nella sporta. « Tu non ascoltare loro. Tu non sei Olga di carta, tu sei Olga Papel! Olga di carta è tornata a suo paese, in cima a montagna. Però Olga di carta non è prutto sopranome, no? 25
È bello! Forrei io essere leccera come foglieto. Infece sono pesante come nave! » Si mise a ridere, nel suo piacevolissimo modo che ricordava un rotolio dei sassolini nel greto del ruscello. « Quanto tu raconterai nuofa storia tu dirai me? » domandò prima di salutare. Olga annuì con un sorriso e la Casolina le stampò un bacio sulla guancia. Lentamente la piazza si vuotò. Olga dispose i giornali sopra le uova e si avviò col cesto: aveva altre consegne da fare.
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PARNISEL' DETTA TOMEO
L
a bottega del barbiere era tiepida e accogliente, e in semioscurità: un lume da tavolo, vicino alla cassa, rischiarava appena l’ambiente circostante, mentre dalla stufa proveniva un bagliore tremulo. C’erano delle foto sparse, sotto il lume. In alcune, la maggior parte, un signore in camice bianco sorrideva, le forbici strette in una mano, il pettine nell’altra, in posa vicino a un cliente seduto in poltrona. « Amava il suo lavoro » disse Parnisél Dipì notando che Olga osservava le fotografie di suo marito. « Certe volte le tiro fuori e le riguardo. Poi mi viene il magone e allora devo chiudere un momentino la bottega per asciugarmi le lacrime. L’ inverno gli piaceva. Gli piaceva il rumore delle scarpe dei passanti sulla neve ». Tomeo Dipì era il terzo discendente di una stimata famiglia di barbieri. Era morto giovane, lasciando vedova la bellissima moglie e un’insegna storica sulla vetrina della bottega, che recitava: Da Tomeo, tagli classici e moderni. La bella Parnisél, col cuore infranto, non aveva avuto il 27
coraggio di vendere e così aveva detto addio alle arti, era cantante d’opera e pittrice, e aveva imparato il mestiere del barbiere. “Vado da Tomeo a farmi lisciare la faccia” avevano continuato a dire gli uomini del paese, abituati da sempre a dire così. E lei era divenuta Tomeo. « Ha lasciato un vuoto immenso » disse, accarezzando una delle fotografie. « Una volta mi confidasti di conoscere una storia sulle solitudini. Ricordi? Oh, cara Olga, una delle tue belle storie, adesso, che mandi via questa tristezza, che dono sarebbe! » « Purtroppo non ho molto tempo... » « Sì, capisco, hai le tue consegne. È che avrei voglia di sorridere un po’, tutto qui ». « Oh, ma allora... » esitò Olga « ...Ecco, bisogna che le dica che la storia che avevo in mente non fa molto ridere ». « No? » « Il protagonista si chiama Jum e non è proprio un tipo allegro. Tanto per cominciare, cammina trascinando il suo peso, lento e molliccio come una lumaca ». Per dare meglio l’idea, la bambina cercò di assumere un aspetto mostruoso: ingobbì la schiena, increspò le sopracciglia, assottigliò gli occhi, piegò le dita ad artiglio e con voce cavernosa proseguì il suo racconto. « Lui ha un abbozzo di testa, un abbozzo di mani, né gambe né piedi. È flaccido e informe. Viaggia per mare e per monti a caccia di prede. E qualche volta parla. La sua voce è l’eco di un burrone profondo, che porta con sé parole crudeli. Seppure non siano udibili da orecchio umano, angoscia e sgomento si accompagnano a esse, assalendo la vittima a cui sono destinate: “Piangi! Disperati!” 28
« Jum è invisibile! « Jum è inudibile! « E tuttavia è percepibile. « Nel proprio silenzio, intimo e assoluto, l’animo umano può sentirlo muoversi, esistere e respirare. Lo troverebbe addirittura rumoroso, se solo sapesse distinguere il sibilo del vento dal suo respiro, lo spolverio di un panno dal suo passare, il ronzio monotono di un frigorifero dal suo pensare, una porta che sbatte dal suo imitare una porta che sbatte. « Jum è solitario! « Jum è triste! « E una delle ragioni per cui è triste è che non possiede l’ombra, perché il buio non ne lascia. E così si lamenta di non avere “Nemmeno uno straccio d’ombra per amico”. Ma è una frase che dice tanto per dire, perché degli altri non gli importa e di amici non ne vuole. « I cani lo vedono! « I cani lo seguono! « Perché i cani sono i soli che vedono nel buio e lo seguono per consolarlo, perché i cani sono buoni, ma Jum odia i cani. Jum odia tutti! Cammina trascinando il suo peso e un refolo gelido lo precede. Beve disperazione e non conosce pietà ». « È una storia che fa paura! » commentò Tomeo. « Non avevi mai raccontato storie così paurose! Che interessante novità. E tu, mia povera Olga, hai conosciuto questo tizio? Ah, no, aspetta, mi hai detto che nessuno può vederlo, tranne i cani. Strano, credevo fossero i gatti che vedono al buio. Invece… » 29
« Non ho detto al buio, ma nel buio » precisò Olga. « Quando qualcuno che amiamo, o qualcosa a cui teniamo, se ne va per non tornare oppure si perde per sempre, dentro di noi si crea un grande spazio vuoto e quel vuoto è buio come il fondo di un pozzo. Ed è gelido. E qualche volta anche così vasto che sembra d’essere fatti solo di un buio gelido e vuoto. Però non è proprio così, giusto? Ci sembra in quel momento, perché siamo disperati. Ma, a guardare bene, restiamo fatti di carne e ossa e tutto il resto. Jum, invece, è fatto solo di quel buio. Di vuoto! » « Mi sforzo di immaginarlo » borbottò la barbiera, « una specie di pupazzo di neve nero ». « Di certo non è un essere umano, né un animale. Però deve mangiare, anzi deve bere! « Jum è perennemente assetato! « Jum si nutre di lacrime! « Ne percepisce l’odore a chilometri di distanza. Come un segugio segue la traccia di chi piange e quando lo trova spalanca la bocca a forma di imbuto e si mette a bere. E ingrassa, ingrassa, ingrassa…“Bravo, bravo, piangi! Disperati!” dice al poveretto. E quello si sente ancora più triste e piange sempre di più. E ha freddo, perché, come ho detto, il buio di cui parla questa storia si porta dietro un freddo che ti entra dentro e non ti lascia più. Neanche cento coperte di lana riescono a scaldarti. Continui a battere i denti e dici: “Ho un freddo, ho un freddo, che freddo alle ossa che ho. Brrr!” Piangi e hai paura di tutto ». « La conosco questa sensazione » disse Tomeo. « Purtroppo non è raro perdere qualcosa a cui si tiene, o peggio… » 30
« …Perdere qualcuno che si ama » concluse la barbiera mormorando. Olga sospirò. « Quelli, purtroppo, sono i “bui” che Jum preferisce » rivelò sconsolata. « I bui lasciati da chi se ne va e ci lascia per sempre, quelli, Jum, li gradisce più di tutto. Vuole sapere perché? Perché generano i lacrimoni più saporiti. Gocce enormi, che scendono calde e copiose dagli occhi della gente, inzuppando federe e cuscini, e non c’è fazzoletto che riesca ad asciugarle: di quelle Jum va ghiotto! Sebbene, in tempi magri, non disdegni i radi gocciolii di chi, per esempio, abbia un figlio lontano e di tanto in tanto si lasci andare alla malinconia: “Sapore morbido, retrogusto alla mandorla con un tocco di miele. Si lasciano bere” dice asciugandosi i baffi. « Per fare merenda, cerca “le mentine”, così definisce lui le gocce dense, quasi solide, di chi ha perso l’ispirazione o il tocco magico oppure una sfida: “Gusto amaro con un accento di brace: intenso, per momenti speciali”. « Di solito si accontenta del ben noto sapore delle lacrime di chi ha perduto un patrimonio, il posto di lavoro, l’occasione di una vita, un ricordo caro, un sogno andato infranto, un occhio, una gamba, un braccio, l’udito, la vista, un giocattolo amato: “Cibo quotidiano”. « Credo d’aver capito che la fonte fa la differenza. Per esempio: un anziano piange più di un giovane, e tuttavia, o forse proprio perché sono più frequenti, le lacrime di un vecchio perdono un po’ in sapore: “Acqua salata” dice Jum con evidente disprezzo. « Le donne, seppure abbiano una produzione maggiore 31
degli uomini, hanno lacrime speziate con tonalità floreali; le lacrime degli uomini invece hanno un sapore “per buongustai!”. “Grandi e dolcissime! Miele del cielo!” sospira infine Jum, leccandosi le labbra, ricordando le lacrime dei bambini ». « Ma è un mostro! » esclamò Tomeo. « E dove vive? » « Vaga per il mondo » rispose Olga. « E dietro alle labbra ha pure i denti? » « No, non credo. A che gli servirebbero i denti, se beve solo lacrime? » « Eh, già » fece la donna. Poi quasi si spaventò. « Chi c’è là? » chiese. Il viso di un giovane fluttuava dietro il vetro appannato della vetrina, spiando l’interno della bottega. Olga ebbe un sussulto. La porta a vetri del negozio si aprì lasciando entrare una folata d’aria gelida. Subito dopo entrò un ragazzo coperto di neve. « Giorno » disse battendosi il berretto innevato sulla coscia. « Buongiorno a te, Almaris Grampet detto Ari! » lo salutò scherzando Tomeo. « Ha ripreso a nevicare? » « Uff, eccome! » « Non sei venuto a tagliarti i capelli, vero? Sai che i tuoi riccioli biondi non li tocco ». « No, sto fuggendo da don Sero. Arruola noi ragazzi perché vuole che andiamo ad aiutarlo, non ho capito a fare cosa. Stanno nascondendosi tutti. Posso fermarmi un momento? » « Certo, accomodati. Togliti la giacca. Olga mi stava descrivendo il protagonista della sua nuova storia ». 32
« Davvero? Oh, no! Cioè, voglio dire, se si sparge la voce presto saranno tutti qui, anche il parroco! Di cosa parla? » chiese il giovane, controllando oltre i vetri che non arrivasse nessuno. « Di bui » spiegò Tomeo. « Di buoi? » « No, i buoi non c’entrano, di bui. Però, è vero, non esiste questa parola. Forse la nostra grammatica non prevede che possa esistere più di un buio alla volta. Eppure Olga mi ha appena dimostrato il contrario, e cioè che di bui si può persino essere fatti, pensa un po’ ». « E cosa sarebbero questi bui? » La barbiera stava per spiegarglielo quando la porta della bottega si aprì di nuovo e tre ragazzini si spinsero dentro a vicenda. Ari alzò gli occhi al cielo. « Che fate qui? Vi avevo detto di non seguirmi! » sbuffò, mentre i suoi fratelli correvano a nascondersi dietro la stufa. Il più piccolo aveva le mani violacee e tremava. « Povero, Timet, dove hai lasciato i guanti? » gli chiese Tomeo. Lui aggrottò le sopracciglia e indicò con gli occhi il fratello più vicino. Poi fece un gesto con la mano, come volesse buttare via qualcosa. « E dagli! Non te li ho persi io! » protestò Pod, dando uno spintone a Davin per accusare lui. « Oh, ma che vuoi? » fece quello. « Mica mi stanno i suoi guanti! Li avrai persi a scuola, Timet ». Timet in tutta risposta fece di no col ditino e tornò a sfregarsi le mani. « Vado a prepararvi qualcosa di caldo? » domandò Tomeo. 33
« No, grazie » rispose Pod. « Potrebbe, invece, chiudere la porta a chiave? Don Sero sta venendo da questa parte e tra poco sarà qui ». « Lo avete visto voi? » chiese Ari, allontanandosi dalla vetrina. « Lo abbiamo superato senza farci vedere, ma tra poco arriva, andava come una saetta! » « Che strazio » esclamò Almaris guardandosi attorno per trovare un nascondiglio. In quell’istante il campanello della bottega tintinnò e la testa del sacerdote comparve all’interno. « Forza, Grampet, fuori! Dovete venire ad aiutarmi ». « Perché? » « Perché l’ho detto io » ordinò don Sero. « Ma fa freddo! Guardi come nevica! » « Per questo mi servite, perché nevica. Parnisél… » L’ uomo fece un cenno a Tomeo e lei contraccambiò. « È successo qualcosa? » chiese poi. « No, no, è che alcuni dei nostri anziani si trovano in difficoltà e dobbiamo aiutarli ». « Mi sembra giusto ». La barbiera aiutò Timet a indossare il cappotto ancora umido. « Andate a fare una cosa bella » disse ai ragazzi per incoraggiarli. Loro scossero la testa e a malincuore, in fila, seguirono la gonna nera di don Sero dentro la bufera. Quando la porta si richiuse, nel negozio calò il silenzio. Olga contava le uova rimaste nel cesto: ne raccolse sei e con quelle preparò il pacchetto per Tomeo. « Purtroppo adesso devo andare » disse. 34
La signora le fece una carezza. « Promettimi che tornerai a raccontarmi il seguito della storia ». La ragazzina le sorrise e annuì.
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LA SERIE Tre nuovi libri dedicati al potere di raccontare le storie. Ogni libro è una storia, che va dritta al cuore e porta ai lettori un nuovo, delicatissimo mondo in cui l’autrice affronta, con garbata ironia, i temi delle fragilità, della vulnerabilità e delle imperfezioni che ci spaventano e che ci rendono umani. Per i lettori di tutte le età
LIBRO 1
Il viaggio straordinario
Olga Papel è una ragazzina esile come un ramoscello
e ha una dote speciale: sa raccontare incredibili storie, che dice d’aver vissuto personalmente e in cui può capitare che un tasso sappia parlare, un coniglio faccia il barcaiolo e un orso voglia essere sarto. Vero? Falso? La saggia Tomeo, barbiera del villaggio, sostiene che Olga crei le sue storie intorno ai fantasmi dell’infanzia, intrappolandoli in mondi chiusi perché non facciano più paura. Per questo i racconti di Olga hanno tanto successo: perché sconfiggono mostri che in realtà spaventano tutti, piccoli e grandi. Un giorno, per consolare il suo amico Bruco, dal carattere fragile, Olga decide di raccontargli la storia della bambina di carta che partì dal suo villaggio per andare a chiedere alla maga Ausolia di trasformarla in una bambina normale, di carne e ossa. Il viaggio fu lungo e avventuroso: Olga s’imbatté in un venditore di tracce, prese un passaggio da un ragazzo che viveva a bordo di una mongolfiera e da un altro che attraversava il mare a remi. Più volte rischiò la vita, si perse, ma fu trovata da un circo. E quando infine trovò la maga, solo allora la bambina di carta comprese quante cose fosse riuscita a fare…
LIBRO 2
Jum fatto di buio
È inverno a Balicò, il villaggio è ammantato di neve
e si avvicina il Natale. Gli abitanti affrontano il gelo che attanaglia la valle e Olga li riscalda con le sue storie. Ne ha in serbo una nuova, che nasce dal vuoto lasciato dal bosco che è stato abbattuto. Quel vuoto le fa tornare in mente qualcuno che anche Valdo, il cane fidato, ricorda, perché quando conosci Jum fatto di Buio non lo dimentichi più. È un essere informe, lento e molliccio, senza mani né piedi. La sua voce è l’eco di un pozzo che porta con sé parole crudeli e tutto il suo essere è fatto del buio e del vuoto che abbiamo dentro quando perdiamo qualcuno o qualcosa che ci è caro. Jum porta con sé molte storie, che fanno arricciare il naso e increspare la fronte, e tutte sono un dono che Olga porge a chi ne ha bisogno. Perché le storie consolano, alleviano, salvano e soprattutto, queste, fanno ridere.
LIBRO 3
Misteriosa
C
osa significa diventare grandi? E come si fa? « Crescere è una faccenda complicata » direbbe il professor Debrìs, e Olga lo sa bene: per rassicurare una giovane amica, che di crescere non vuole sentire parlare, le racconta la storia di una bambina a cui i vestiti stavano sempre troppo grandi, anche se l’etichetta riportava la sua età, o la sua taglia, e che saltava nei disegni per fuggire dalla realtà. La storia di Misteriosa è la storia di chi fatica a trovare il proprio posto nel mondo, fugge da responsabilità e doveri, incapace di assumersene il carico, e combatte strenuamente per restare fanciullo. È anche, però, la storia di una bambina che non si arrende. Una storia che farà ridere, pensare e spalancare gli occhi per lo stupore; e che rassicurerà Olga, i suoi amici e i lettori di tutte le età su un punto, che è certo: per diventare splendidi adulti occorre restare un po’ bambini.