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Bonsatireggiando
SOMMARIO
012 L'albero tra il cielo e la terra
014 IBS Gallery 017 Albo degli istruttori 018 Suiseki in Vietnam. "Da Canh Nguyen Ban" 022 News
026 Gambatte. Tutti uniti per Isao Omachi 030 Il giardino nipponico ha varcato le frontiere 034 Il mio primo corso 038 Franco Bottalo
046 Yojoo. Il sovrappi첫 del sentimento
050 Ritorno alle Serre Reali 052 III Trofeo per i soci Napoli Bonsai Club
058 Come creare un bonsai di pino. Storia di un Maestro del passato
060 Mantenimento delle specie da frutto
068 ...leggendo il libro "L'arte del Bonsai" di Antonio Ricchiari
071 Lettera aperta
072 Realizziamo un Bonkei 080 Cupressus sempervirens. Orgoglio toscano
086 Flusso - I parte
095 Woody Woodpecker
108 Rocco Cicciarello
116 Ishizuki. Bonsai su roccia
124 L'annaffiatura - II parte
133 La cerimonia del tè. Una interpretazione per occidentali 134 Le maschere del Giappone
140 Taketori monogatari. La storia di un tagliabambĂš
143 The four faces of a Pemphis acidula 148 Bonsai News
di Antonio Ricchiari
PINUS
SYLVESTRIS
PICEA
EXCELSA
"Da Canh Nguyen Ban"
N
on si scandalizzino i puristi se dico suiseki ma è per semplificare. Suiseki sappiamo sono le pietre provenienti dal Giappone, ma da oramai tanti anni questo nome è stato adottato nei paesi occidentali quando si parla di pietre artistiche. Ho avuto la possibilità con un piccolo gruppo di amici italiani, spagnoli, americani e canadesi, di fare un breve viaggio prima del BCI Tour and Convention in Cina. Destinazione Vietnam. Si è trattato di un caso fortuito che mi ha spinta ad organizzare questo pre convention tour, ma mai si è trattato di caso più azzeccato. Prima di parlare di pietre in Vietnam mi sento di spendere due parole su questo paese poco conosciuto anche dal grande turismo.
Abbiamo visitato la parte meridionale del Delta del Mekong e HoChi Min City per poi spostarci a Nord nella capitale Hanoi e in quel paradiso che è Halong Bay. La baia è punteggiata da migliaia di rocce sedimetarie e karst ed isolotti di diverse dimensioni e forme coperte di lussureggiante vegetazione in un mare trasparente. Da togliere il fiato e lasciarci muti di fronte a tanta bellezza da assaporare piano durante una crociera di due giorni. In Vietnam si respira un paese che trasuda voglia di vivere ed entusiasmo. Questa vivacità, così stupefacente nel traffico cittadino, che dire caotico è poco, si stempera nella gentilezza della gente , sempre pronta ad un sorriso e ad aiutarti. Anni lunghissimi ed atroci di guerre hanno reso questa
gente consapevole della grazia della vita che vivono adesso quasi come in una danza esuberante ma elegante. Siamo stati anche fortunati di arrivare qualche giorno prima dell’inizio delle grandi celebrazioni nazionali per i 1000 anni di fondazione della città di Hanoi. Questo ci ha permesso di visitare sia a HCMC che nella capitale Hanoi importanti mostre di Bonsai e suiseki allestite per l’occasione. In occidente è nota l’arte vietnamita dei panorami in miniatura chiamata Hòn Non Bô descritta nel libro “Mountains in the sea” ed. Timber Press Inc., ma si tratta di composizioni di rocce e piante che si può richiamare al penjing cinese ne non alle pietre d’ammirare. In genere qui le pietre vengono raccolte in corsi d’acqua o vicino al mare, ma si sono anche aree in zone di montagna specie sul confine con la Cina. Si tratta in genere di una pietre dura, di forma tondeggiante che trova i suoi pregi nei
colori e nei disegni sulla superficie anche se non mancano pietre più descrittive di paesaggi, animali ed esseri umani. Tutti noi abbiamo visitato una mostra a Ho Chi Min City di Bonsai e pietre organizzata dalla Vietnam Bonsai Association, mentre nel pomeriggio sono stata inviata a una visita privata a casa del regista vietnamita signor Bùi Dù’c Tam. E’ grande appassionato e collezionista di pietre non solo provenienti dal suo paese. E’ stato così cortese di ricevermi insieme a due mie allieve che partecipavano al tour. Nella sua casa di tre piani erano esposte molte pietre, ma molte altre ci sono rimaste sconosciute perché non gli è stato possibile preparare una esposizione più ampia. Parlando con lui mi dice che prima del 1975 solo poche persone conoscevano quest’arte, poi ha iniziato a diffondersi anche son scambi con Giappone, Cine e Taiwan. Qui in
Vietnam sono chiamate Da Canh Nguyen Ban, letteralmente pietre modellate naturalmente. Gli siamo state comunque grate per la cortesia e per averci aperto le porte della sua casa e collezione. Mi ha consegnato e dato permesso di distribuire un DVD da lui realizzato sul Suiseki in Vietnam con moltissime immagini di pietre, collezioni e collezionisti, mostre ed attività di ricerca nei torrenti del Vietnam. Chi fosse interessato può scrivermi chiara@padrini.it Š RIPRODUZIONE RISERVATA
Puerto Rico Ponce - 7 febbraio U.S.A. Cleveland (Ohio) – Febbraio Bonsai Club di Cleveland Messico FEDERACION MEXICANA DEL BONSAI A.C. (FEMEXBO) 5 marzo Puebla ASOCIACION SHIHAI BONSAI AC. Y CLUB BONSAI PUEBLA AC. (inseirsci la locandina che allego) 10-12 marzo Tuxtla (Chapas) ASOCIACION CHIAPANECA DE BONSAI KOKORO NO MORI AC. En espera de ser encontrado, SUISEKI MEXICO 2011 U.S.A. – Minneapolis (Minnesota) 2- 6 Aprile U.S.A. – Louisville ABS - BCI Convention http://www.bonsaiinthebluegrass.com/ 1619 giugno
CHIARA PADRINI UPCOMING EVENTS 2011 For suiseki fans living in America will be some opportunities to participate in events I’m involved with lectures, workshops and critiques. Here the main Ponce Puerto Rico - February 7 U.S.A. Cleveland (Ohio) - February Bonsai Club of Cleveland Mexico FEDERACION MEXICANA OF BONSAI BC (FEMEXBO) March 5 Puebla ASOCIACIÓN Shihao BONSAI AC. BONSAI CLUB Y PUEBLA AC. March 10 to 12 Tuxtla (Chiapas) ASOCIACIÓN Chiapaneca MORI DE BONSAI Kokoro no AC. En espera de ser encontrado, SUISEKI MEXICO 2011 U.S.A. - Minneapolis (Minnesota) April 2 to 6 U.S.A. - Louisville ABS - BCI Convention http://www.bonsaiinthebluegrass.com/ June 16 to 19 Info chiara@padrini.it PROXIMOS EVENTOS 2011 DE CHIARA PADRINI Los aficionados de suiseki en América habrán oportunidad de participar en eventos en los que estoy llamada a tener conferencias, seminarios y críticas. Estos los principales Ponce, Puerto Rico - 7 de febrero U.S.A. Cleveland (Ohio) - El Club de Bonsái de febrero de Cleveland México MEXICANA FEDERACION DE BONSAI aC (FEMEXBO) 05 de marzo Puebla ASOCIACIÓN Shihao BONSAI CA. CLUB BONSAI Y PUEBLAAC. (Inseirsci el cartel que adjunto) 10 al 12 03 Tuxtla (Chiapas) ASOCIACIÓN Chiapaneca MORI DE BONSAI Kokoro node CA. En Espera de servicios Encontrado, SUISEKI MÉXICO 2011 U.S.A. - Minneapolis (Minnesota) 2 hasta 6 ab U.S.A. - Louisville ABS - BCI Convención http://www.bonsaiinthebluegrass.com/ junio 16 hasta 19 Info - chiara@padrini.it
GIAPPONE: I BONSAISTI ED I SUISEKISTI ITALIANI FACCIANO LA LORO PARTE COME SOLTANTO NOI ITALIANI SAPPIAMO FARE!
I
sao Omachi è il futuro del bonsai in Giappone. Con la famiglia, composta dalla moglie, due figlie ed i genitori, Isao viveva e lavorava a Yamadacho che si trova nella prefettura di Iwate in Giappone (sono tentato di scrivere: che si trovava!). Lo tsunami non ha risparmiato le loro vite ma li ha lasciati senza NULLA. La forza della natura si è portato via tutto, prime fra tutte una delle collezioni di bonsai più belle del Giappone. Il Maestro Omachi e la sua famiglia hanno bisogno del tuo aiuto e lo hanno bisogno subito. Gambatte nella lingua giapponese significa "buona fortuna" ma anche "fai del tuo meglio". Il meglio che possiamo fare per aiutare la famiglia Omachi è inviare denaro: tre conti sono stati aperti nel giro di poche ore, uno in Italia, uno negli USA, uno in Giappone ed un link PayPal. La famiglia Omachi saprà condividere tutto quello che riusciremo a inviargli tra i membri della pro-
pria famiglia, dei loro amici e paesani. Potete trovare Isao Omachi su facebook e nelle facce di tutti i giapponesi coinvolti in questa tragedia. Chi è su facebook, (chi non lo è si iscriva), si colleghi al gruppo aperto OMACHI GAMBATTE: omachi@groups.facebook.com Ho ricevuto il 17 marzo una mail da parte di Chiara Padrini (che adesso si trova negli USA), rivolto anche agli Istruttori IBS che possiamo fare da collegamento e diffondere l’appello ad altri bonsaisti e ai vari Club con i quali abbiamo contatti. Trasmetto l’appello lanciato dall’amico Marco Invernizzi. “Abbiamo già raggiunto oltre 500 membri e anche se ognuno donasse 50 euro possiamo veramente fare la differenza nel futuro nella famiglia di Omachi. Non ho ricevuto nuove notizie su Omachi, sappiamo solo che stanno bene ma che hanno sicuramente
perso tutto. Il padre di Isao, anche esso bonsaista, aveva coltivato e tenuto da parte 4 ginepri incredibili che considerava come un bonsaistico fondo pensione. Adesso sono tutti in fondo al mare. Oggi abbiamo aperto un conto bancario al quale inviare utti i vostri contributi, è un conto intestato a me e gestito da Diego Fortuna che oltre ad essere un bonsaista è un manager della banca stessa. Per ottenere un conto a nome di Isao ci sarebbero volute settimane, comunque questo è un conto di accumulo dove i fondi possono solo entrare e usciranno solo
quando Omachi sarà pronto a riceverli. Essere parte di questo gruppo vuol dire che avete l'intenzione di aiutare perchè solo con le belle intenzioni Omachi e famiglia non potranno rifarsi una vita in una situazione così tragica. Voi tutti conoscete altri bonsaisti, amici, parenti... aiutateci ad aiutare Isao, la sua famiglia e i suoi amici, chiedete a tutti, raccogliete e inviate quanto potete. Vi terrò costantemente aggiornati sulla cifra raccolta, fino ad adesso siamo a quasi 6000 euro."
Ecco i dati : Banca Popolare di Ancona Sede n.287, Osimo sede Indirizzo banca:Piazza del Comune 4 60027 Osimo Italy intestato a : Marco Invernizzi IBAN:IT74B0530837490000000001382 Swift Codice: BPAMIT31 Bank Codice: BLOPIT22 Questo appello, veramente accorato che mi sento di lanciare assieme a tutti i collaboratori al Magazine è un messaggio
che ricalca l’enorme tragicità del momento, di questa immane catastrofe che forse non viene percepita da molti nella sua dimensione apocalittica. Il bonsai ed il suiseki, per noi che lo abbiamo assimilato anche come uno “stile di vita” non significa soltanto tecniche e cultura, significa sentirci vicini ad un popolo che è un esempio costante di orgoglio, di orgoglio di Nazione, di orgoglio per la propria storia. Fondendosi con il gruppo, i giapponesi sono in grado di dimostrare una forza eccezionale. L’imperatore Akihito ha rivolto un messaggio alla sua gente. Lo ha fatto dopo cinque giorni dalla catastrofe. E’ stato criticato da qualche parte per l’intempestività della sua apparizione in televisione. La solita superficialità occidentale non ha considerato la cultura orientale, non ha compreso sfumature e dettagli. La sua apparizione, al di fuori del protocollo, sottolinea invece la gravità di queste giornate che il Giappone sta vivendo. La civiltà, la dignità, la compostezza del popolo del Sol Levante è straordinariamente esemplare e dovrebbe farci riflettere non poco. Il senso del gruppo balza dalle parole dell’imperatore “…dal profondo del cuore spero che le persone riusciranno a prendersi per mano e sperare questi tempi difficili”. Da un lato, ha saputo trasmettere un senso di unità ancora maggiore. Dopo la barbarie dell’eccidio di Hiroshima e Nagasaki, compiuto nel secondo conflitto mondiale per le decisioni scellerate di un bombardamento atomico, sopportato dal Giappone per lunghi anni che ha provocato nel tempo una scia di morti, oggi è un destino duro che si accanisce e mette a durissima prova questo popolo. E’ arrivato il momento di fare vedere la solidarietà del nostro gruppo, di fare vedere che bonsai e suiseki sono molto di più di quello che potrebbero sembrare agli occhi di un occidentale, che anche noi siamo un gruppo che sa rispondere alle prove di solidarietà. ONORE AL GIAPPONE!
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il
giardino nipponico ha
VARCATO
F
le
FRONTIERE
u solo alla fine dell’ultima guerra mondiale con l’occupazione del Giappone da parte degli americani che si cominciò a scoprire e apprezzare il rapporto dei giapponesi con la natura e a diffondersi in occidente. Ed è in questi ultimi cinquant’anni che lo stile dei giardini giapponesi si è imposto lentamente e con molta grazia a noi europei, l’armonia, la serenità e la pace che
emanano penetrano nell’osservatore che si perde affascinato a osservare queste realizzazioni artistiche. Da alcuni anni questi giardini sono realizzati anche in occidente, cercando di seguire le impronte codificate dagli antichi maestri giardinieri provenienti dal Giappone. La ragione del successo dei giardini nipponici come dicevo poc'anzi è da ricercare sicuramente nel fascino, nelle emozioni e nella pace evocata da tali scenari. Altro motivo fondamentale per il quale io cerco di consigliare questi giardini anche da noi, deriva dal fatto che sempre più spesso le nostre abitazioni possono godere di un angolo adibito a verde se pur ristretto: con i giardini giapponesi si possono adottare accorgimenti tali per cui anche
una piccola porzione di terreno può essere sufficiente per contenere un giardino equilibrato, ricco di fascino e sopratutto accogliente. In base alle dimensioni dell'area disponibile, il giardino è studiato per essere osservato e goduto in modo meditativo da un solo punto di vista, raramente da diverse posizioni. In ogni caso deve risultare perfettamente integrato con l'architettura presente, sia per l'uso dei materiali da costruzione, sia per la logica compositiva e progettuale d’insieme e soprattutto deve dare l’impressione di essere il proseguimento della casa e come tale dovrà regnare l’ordine e la pulizia. In Giappone, da secoli il giardino rappresenta una parte rilevante della casa, da un lato assume un importante
concetto di condizione sociale, infatti, lo troviamo nei templi e nelle case dei nobili, oltre a funzioni ornamentali, possiede anche incarichi evocativi e simbolici, l’uomo cerca di accostarsi alla natura e al suo ordine attraverso l’approfondimento e la contemplazione del giardino. Il giardino è concepito cercando di ottenere alcuni originali risultati, prima di tutto l’area è progettata facendo in modo di ampliare l’orizzonte dell’osservatore, in modo che, anche questa ristretta superficie, dia l’impressione di uno spazio più ampio, come essere in un boschetto o una radura di ampie dimensioni. Di conseguenza ogni elemento deve ricreare l’armonia e l’equilibrio della natura, acqua, alberi e rocce sono sistemati in maniera armonica, evitando di sovraffollare per non dare l’impressione di un luogo fasullo e artefatto. Anche qui da noi in occidente, nel progettare un giardino nipponico si dovrà seguire delle metodologie fondamentali che serviranno a raggiungere quella forma e quell’equilibrio necessari al conseguimento dello scopo finale, qui di seguito mi permetto di consigliare cinque regole basilari prima di iniziare questo tipo di progetto. 1°- Asimmetria: tutto ciò che è simmetrico, risulta artificiale, pertanto manipolato in modo evidente dall’uomo, quindi, le forme di un giardino giapponese dovranno essere sinuose e piacevolmente asimmetriche, per dare l’impressione che l’intervento del maestro giardiniere sia per quanto possibile il
meno dubitabile . 2°- Disuguaglianza: per evitare la regolarità e quindi la simmetria, gli elementi inseriti nel giardino sono posti in numero dispari, in genere l’aspetto cui si tende è il triangolo tenuto molto in considerazione dalla dottrina e dalla filosofia giapponese. 3°Contrapposizione: irrinunciabile nel giardino nipponico è la ricerca tra elementi contrastanti, conifere vicino ad arbusti di latifoglie, rocce scure contornate da sabbia chiara, piccoli aceri dai colori rossi, vicino a una siepe di verde chiaro, macchie di azalee in fiore accostate a rocce e muschio, il tutto incorniciate da ghiaietto. 4°- Trucchi prospettici: non mi stancherò mai di ripetere, che per far sembrare più ampio un piccolo giardino è buona cosa piantare gli alberi più alti con le foglie grandi e chiare in primo piano, si disporranno sul retro piante basse con foglie piccole e scure, mentre i camminamenti si restringeranno verso il fondo. 5°- Il risultato: nel progettare il giardino giapponese impariamo che la natura deve essere la sorgente e la fonte d’ispirazione, fondamentale per chiunque si appresti a progettare questo tipo di giardino, in questo piccolo spazio si cercherà di riprodurre la percezione catturata e di ricreare le emozioni avute nell’osservare anche le più modeste bellezze naturali. © RIPRODUZIONE RISERVATA
o i li m
PRIMO CORSO
M
i batte ancora il cuore al pensiero di queste parole.. E' il modo in cui Francesco Santini ha aperto il Corso Base che si è tenuto al vivaio Franchi a Pescia (PT), il 22 Gennaio 2011. Ancora non mi sembra vero, ma io ero presente a quel corso. Rivedo Francesco con la sua simpatia e la sua bellissima parlata toscana, rivedo i suoi occhi che luccicano mentre ci spiega le cose. Un istruttore del suo calibro, che si emoziona ed emoziona quando parla dei bonsai e riesce a trasmettere in modo meraviglioso tutta la sua passione. Ho ripercorso mille volte con la memoria ogni singolo istante, rivissuto tutte le emozioni di quella magica esperienza a Pescia. Il corso iniziava alle nove. Nonostante
qualche dettaglio logistico da sistemare per il viaggio dalla Sardegna alla Toscana, alle 8.30 ero già lì. Sono stata la prima ad arrivare e ho avuto modo di constatare da subito la grande disponibilità e cortesia del personale del vivaio. Un ragazzo, che poi ho scoperto chiamarsi Johnny e che ci ha aiutato pazientemente ed in modo molto professionale nell'arco di tutta la giornata, mi ha subito accolto con tanta gentilezza. Ad uno ad uno sono arrivati i miei compagni di corso. Purtroppo non c'è stata la possibilità di chiacchierare molto e chiaramente la conoscenza è rimasta superficiale, ma eravamo un bel gruppo di 14 persone, unite dall'entusiasmo e dalla voglia di imparare. Poi è arrivato Francesco. Si è presentato a noi con un sorriso che ci ha messo subito di buonumore, sciogliendo la tensione dell’attesa. Il tempo dei saluti e di un caffè veloce e subito a lavoro. Francesco si dimostra subito chiarissimo nell'esposizione, sa che deve farci fare un ”tour de force”, perché in poche ore deve spiegare le basi di un'arte completa e complessa. Nella parte teorica tocca tutti i punti fondamentali, illustrando le caratteristiche del bonsai, facendo una panoramica delle origini di quest’arte, fornendo al gruppo i principali elementi di botanica. Poi si continua, gli stili, le tecniche e le principali patologie. In questo modo, fissiamo i concetti base: concimazione, innaffiatura, potatura, composizione del terriccio e rinvaso. Il tutto chiaramente inquadrato nell'ambito dell'attività fisiologica delle piante. Una piccola pausa per un panino veloce, e al ritorno una sorpresa, Francesco ci porta a visitare le sue “creature”, ovvero gli splendidi esemplari del Museo Franchi. Siamo tutti senza parole, gli esemplari sono veramente spettacolari. Nonostante il freddo che ci paralizza (parte del Museo è all'aperto), ascoltiamo ammutoliti le spiegazioni di Francesco e ammiriamo tutti i pezzi della collezione. Con l'aria ancora sognante, dopo aver visto tutti quei tesori al Museo, si riprende. Sono nella prima fila davanti a Francesco, con il mio taccuino e la mia penna, attenta a non perdere neanche una parola, nemmeno un ge-
sto. Quando si arriva al momento della parte pratica provo una fortissima emozione. Ci avviciniamo per scegliere la pianta che dovremo lavorare. Ci sono 14 ginepri (Juniperus Chinensis)... e adesso? Inizio a ricordare velocemente quali caratteristiche devo considerare: tronco conico, nebari disposto a raggera, buona ramificazione primaria... e poi? Che confusione mentale, non mi ricordo altro. Troppe cose tutte insieme. Ma dopo un attimo lo vedo. Non so se ha tutte le caratteristiche richieste, ma il mio cuore mi dice che è lui. La scelta dettata dalla mia parte emotiva è quella che alla fine prevale. Torno al mio posto. Iniziamo con le lavorazioni di base: una prima fase di pulizia della pianta, prima del terreno attorno ad essa e poi della chioma, fondamentale per individuare la struttura dei rami e del tronco, si selezionano i germogli più vigorosi e si tagliano gli altri. Dopo la fase di pulizia, con l’aiuto di Francesco abbiamo realizzato su carta il progetto dell’impostazione. Dopo aver “letto” la pianta da diversi fronti, naturalmente con il suo aiuto, la scelta
è caduta su uno stile a semicascata... e qui viene il bello, tradurre questo disegno in qualcosa di reale ...
LA FILATURA Con la paura tipica di chi fa una cosa per la prima volta, ho legato ogni ramo con il filo di rame, cercando di non sovrapporre i fili e di utilizzare i giusti diametri in funzione degli spessori dei rami. Fortunatamente avevamo gli “angeli custodi” del vivaio che ci aiutavano, altrimenti, sai che guai? Nonostante la preoccupazione e la paura di sbagliare, alla fine del lavoro mi sembrava di aver fatto una grande opera... ero soddisfatta!
L’IMPOSTAZIONE Al termine della filatura ho portato la pianta a Francesco, che ha dato la giusta impo-
stazione ai rami e... dalle foto potete vedere il risultato. Non è bellissima? Lo so, sono di parte!!! Ora il mio “piccolo grande tesoro” sta nel mio giardino, e aspetta le mie successive cure. Beh, se è sopravvissuto ad un viaggio in aereo, dovrebbe essere abbastanza forte da sopravvivere anche a me.
CONSIDERAZIONI FINALI Davanti al mio esemplare di ginepro, che piano piano ha preso forma sotto le mie mani, mi sono sentita come una scolara il primo giorno di scuola, ansiosa di imparare l’abc di un mondo favoloso che si è svelato lentamente ai miei occhi. Tutte le cose lette fino a quel momento hanno assunto finalmente un senso. Sembra passato così tanto tempo da quando ho iniziato a porre le mie prime timide domande sul forum del Napoli Bonsai Club.
In realtà sono trascorsi solo sei mesi dalla mia registrazione. Ma sono stati sei mesi intensissimi, nei quali ho trovato tante persone disponibili che mi hanno aiutato con molta pazienza ad orientarmi fra i segreti del mondo dei bonsai. So che il mio cammino è appena iniziato. Ma sono sicura di averlo iniziato nel modo e con le persone giuste. Grazie Francesco. Grazie al forum del Napoli Bonsai Club. Š RIPRODUZIONE RISERVATA
I
ntervistare Franco Bottalo: è con un po’ di apprensione che mi accingo a svolgere questo importante compito. Il fatto di conoscerlo, è il Direttore Didattico della Scuola di Formazione per Operatori Shiatsu (Shiatsu Xin N.d.R.) dove ho svolto la mia formazione, non mi tranquillizza per niente... Eccomi arrivata… suono il campanello, entro nel portone e... davanti alle sca-
le faccio un bel respiro profondo: sono pronta! Nella borsa ho il mio foglio con un bel numero di domande, il registratore e la voglia di potervi regalare una bella “intervista” a uno dei più accreditati esponenti dello Shiatsu italiano. E allora… si comincia! MANUELA BARUFFALDI
Quando e come sei entrato in contatto col mondo dello Shiatsu? Era l’83, 82 – 83. In realtà ho avuto un interesse per il mondo dello shiatsu attraverso quello dello yoga. Dove praticavo yoga facevano anche qualcosa di shiatsu, così quando sono venuto a vivere a Milano mi sono informato ed ho scoperto che c’erano dei corsi introduttivi, con Mario Vatrini, e così ho cominciato.
Com’è nato il progetto Shiatsu Xin? Dopo alcuni anni che praticavo. Ho cominciato a insegnare, nei corsi divulgativi più che altro, anche perché all’epoca lo shiatsu non era così conosciuto. Non c’erano veri e propri corsi professionali. Da li è nato il desiderio, il bisogno, di dare una formazione anche a persone che volessero usarlo professionalmente e quindi si è creato il progetto di una scuola che lavorasse sul
formare delle persone e che allo stesso tempo curasse anche, appunto, l’aspetto Xin, l’aspetto Cuore, cioè che insieme a una formazione professionale ci fosse anche l’aspetto legato a una crescita personale. Se ti chiedessero cos'é lo shiatsu, cosa risponderesti? Domanda difficile! Dal punto di vista più stretto è una tecnica, sviluppatasi in Giappone formalmente all’inizio del ‘900, perché prima si praticava ma con altri nomi. Come tutte le tecniche però, è un contenitore in cui persone differenti possono mettere cose diverse, per cui shiatsu può diventare un modo per curare gli altri, così come può diventare anche un lavoro su di sé o ancora un modo per scoprire che cos’è la vita attraverso il rapporto con l’altra persona, attraverso il fisico, attraverso l’energetico. Può diventare tante cose a seconda di quello che la persona lo fa diventare. E se la domanda fosse “cos’é lo shiatsu nello stile Xin”? La risposta non è molto diversa, nel senso che quando abbiamo sviluppato, per così dire, lo stile Xin, non lo abbiamo mai chiamato esattamente così, perché non pensiamo che ci sia da trasmettere una forma canonica, piuttosto di trasmettere delle possibilità, di portare avanti un lavoro su di sé e quindi persone diverse che sono uscite dalla formazione Xin, fanno uno shiatsu molto diverso e per noi questo è motivo di orgoglio e non di dispiacere. Nel senso che se tutti facessero shiatsu allo stesso modo, vorrebbe dire che in un certo senso il progetto di formazione non ha funzionato molto bene, perché l’idea è di aiutare la persona a trovare le proprie possibilità, piuttosto che dare delle indicazioni uguali per tutti. Naturalmente c’è un’impostazione, che è quella di dare a ognuno gli strumenti che lo aiutino a scoprire le risorse che ha, piuttosto che dare indicazioni più rigorose di quali sarebbero le risorse che deve coltivarsi.
Perciò se vogliamo dare una definizione di cosa può essere lo stile Xin, penso che la più corretta sia di offrire, di nuovo, un contenitore, uno spazio in cui la persona può scoprire gli aspetti di sé su cui non aveva ancora lavorato, per sé e per gli altri. Qual è il tuo concetto di “Maestro”? Il termine Maestro, in realtà, lo conosciamo più nella tradizione orientale, perché è lì che ha un’accezione molto particolare, diversa dalla nostra occidentale. Ogni Maestro ha un allievo e un allievo un Maestro, quindi ognuno può essere Maestro per qualcuno e ognuno può essere allievo di qualcuno, quindi più che qualcuno che si autoproclama Maestro, è qualcuno che è riconosciuto da qualcun altro come Maestro. Per me il concetto di Maestro è di una persona che, a differenza di un insegnante, non soltanto riesce a dare una formazione, un entusiasmo, una passione per quello che insegna, ma che attraverso questo riesce a trasmettere degli insegnamenti che sono per la vita dell’altra persona e non soltanto per l’ambito in cui sta insegnando. Questo è un modo per cui, ripeto, la stessa figura può essere un Maestro per qualcuno e semplicemente un insegnante per qualcun altro, a seconda del rapporto che si crea. Altra caratteristica del Maestro, è che quest’aspetto di trasmissione e di conoscenza che sono al di là dell’ambito d’insegnamento, sono trasmesse da quello che lui è come persona, quindi ha molto a che fare con la figura, con la statura della persona che insegna, statura dal punto di vista spirituale della persona. Qual è, secondo te, l’origine della malattia? Nella tradizione cinese antica, si dice che tutte le malattie sono portate dal vento e spesso questo concetto, che non è molto facile da capire, non vuol dire solo che ogni fattore patologico è mosso dal vento, quindi può arrivare attraverso l’aria, ma il significato profondo di vento è piuttosto “cambiamento”, quindi dal punto di vista fisiologico, ogni
malattia è una resistenza al cambiamento. Allo stesso tempo ogni malattia è uno strumento per scoprire le resistenze che abbiamo al cambiamento e lasciarle andare. Questa può essere una visione molto di base, di quello che può essere la malattia. Il perché abbiamo delle resistenze al cambiamento, è una domanda che ognuno deve porsi e non sempre la risposta è razionale, naturalmente. A volte dico che abbiamo resistenza al cambiamento perché tendiamo a identificare noi stessi con quello che siamo in quel momento, con quello che facciamo, con quello che vestiamo, con quello che mangiamo, con le relazioni d’affetto che abbiamo e quindi, se togliamo o modifichiamo qualcuno di questi elementi, ci sembra che togliamo un pezzo di noi stessi e quindi abbiamo paura di cambiare. Questa è però una considerazione personale. A tuo parere, possono esserci punti di contatto tra la Medicina Cinese e la Medicina Occidentale? Sicuramente. Intanto se vediamo la medicina occidentale in un senso vasto e non limitato storicamente agli ultimi decenni, la cosa che hanno in comune tutte le medicine è che devono aiutare la persona a stare bene. E questo è presente anche nella medicina occidentale, come in quella orientale e come in altre medicine anche se a volte, confrontandosi con la medicina occidentale, sembra che quest’aspetto si sia perso e che sia diventato tutto molto tecnico, molto regolato, molto spersonalizzato, a volte volutamente verso un’ipotesi di scientificità della medicina, ma questa non è la base comune che hanno. In comune c’é il voler capire che cosa ha causato la malattia; se vogliamo essere corretti, più che di una medicina cinese, dovremmo parlare delle medicine cinesi, così come per la medicina occidentale, perché se la pensiamo non solo medicina occidentale moderna, ma andiamo indietro fino ai tempi di Galeno e oltre, veramente troviamo tante medicine, con approcci diversi. Se per medicina occidentale intendiamo soltanto la medicina
degli ultimi 200 anni, allora sicuramente ci sono alcune differenze piuttosto importanti, soprattutto in questa scelta della medicina occidentale, di separare per capire: voglio capire un problema, devo separare, non devo guardare la persona nel suo insieme ma devo guardare i suoi sintomi, devo andare a guardare le sue particelle, devo guardare le componenti del sangue, devo trovare un luogo fisico che ha causato la malattia o dove è insidiata la malattia. In questo senso è piuttosto opposto all’approccio, a un certo approccio, della medicina cinese, perché non tutte hanno questo tipo di approccio, dove invece si cerca di ricondurre la parzialità a una visione globale. Quest’aspetto è però presente anche in alcune delle medicine occidentali, come ad esempio l’omeopatia e, in tempi antichi, anche in altre categorie. Chiaramente, una medicina è sempre anche l’espressione della filosofia, o della spiritualità, o della religione del contesto o dell’epoca storica in cui si manifesta e per
FRANCO BOTTALO
questo motivo si parla anche di medicine cinesi, perché a seconda dei secoli e delle epoche, si sono avute visioni diverse e lo stesso vale per quello che riguarda la medicina occidentale. Siamo sicuramente in un secolo di grande frammentazione, di separazione, la gente vive molto separata e quindi anche la medicina lo è: ci sono tutte le specialità. Anche nell’antico pensiero cinese c’erano le specialità, ma è abbastanza curioso notare che, mentre da noi una persona prima diventa medico generico e poi medico specialistico, nella medicina cinese antica era il contrario. Una persona, finita la formazione, iniziava con una specialità, poi ne aggiungeva un’altra, poi un’altra ancora e così via ed era il coronamento di una carriera essere un medico generico, perché non era “generico”, era “generale”, vale a dire che aveva messo insieme tutte le parti, mentre da noi c’è da specializzarsi sempre più in un settore. Qualche medico ha fatto questa battuta: “ci specializziamo così tanto che diventiamo bravissimi a curare nulla, perché a forza di restringere, restringere………” e quindi questa, semmai, è la grossa dicotomia che si è venuta a creare. Penso però che questo sia un concetto recente ed è legato a un modo di vedere la vita, poter vivere meglio separando: separando i problemi, separando le condizioni, separando le persone piuttosto che cercare di mettere insieme, di aggregare, quindi spesso la medicina di un periodo esprime anche la cultura di quel periodo, anche se ci sono valori che sposiamo senza quasi rendercene conto e che diventano poi parte della nostra vita. Anche l’idea di trovare una causa oggettiva alla malattia, che spesso non è soltanto dei medici. Spesso sono i pazienti che, scoperto cos’hanno, si rilassano molto. E cos’hanno deve dirglielo qualcuno da fuori, deve essere qualcosa di specifico, aggredibile, altrimenti si crea un senso di disagio nel pensare che siamo malati. Ecco un altro aspetto: la de-responsabilizzazione rispetto alla propria malattia - se sono malato c’è qualcuno
che mi deve curare, qualcuno che si prende cura di me. Non sono tanto io che devo, insieme a lui, prendermi cura di me. Questo è, secondo me, forse il rischio più grosso di un certo tipo di approccio, in cui non ci si sente responsabili, per cui da un lato ci si sente totalmente impotenti, come capita quando si va in qualche ospedale e ci si trova in balia di qualcuno, magari anche bravo, ma in assenza di un senso di partecipazione al processo di guarigione. Penso che questo, psicologicamente, sia qualcosa di negativo per la persona perché si sente impotente rispetto alla malattia. Cos’è cambiato nello Shiatsu da quando hai iniziato il tuo cammino a oggi? In senso generale non lo so bene, perché il mondo dello Shiatsu è molto vasto, si fa Shiatsu in molte parti, al di là del Giappone, dove ha avuto origine, e in tutto l’occidente si è molto diffuso. Come considerazione generale, una trentina di anni fa lo Shiatsu era qualcosa di poco conosciuto in occidente, qualcosa che si associava molto anche a tutto quello che era un percorso di filosofia orientale, quindi le due cose andavano molto assieme. Molte scuole di Shiatsu si chiamavano, all’epoca, “Dojo”, come a sottolineare che era un luogo di formazione individuale. A volte questo era, per dire la verità, una sorta di vernice messa sopra a realtà che del Dojo vero e proprio avevano davvero poco, però era molto presente questo spirito di unire la pratica a un percorso individuale. Trent’anni dopo forse quest’aspetto, nel bene e nel male, si è un po’ ridotto, è stata fatta anche una certa pulizia di persone che, con la copertura del “non devi capire, devi ascoltare, entrare in contatto con te stesso”, coprivano il fatto che loro non avevano capito granché, quindi questo è stato un aspetto positivo: togliere tutto questo ciarpame. Un altro aspetto è che, forse, negli ultimi anni, si è cercato di far diventare lo Shiatsu molto tecnico per dargli una giustificazione più “occidentale”. Questo processo, se non sbaglio, si era già avviato in
Giappone trent’anni fa o più. Processo nel quale, proprio a causa del contatto col mondo occidentale, si era cercato di dare spiegazione a quello che accadeva, in modo che avesse una sua realtà più solida, apparentemente, quindi forse il rischio dello Shiatsu, adesso, è quello di diventare una delle tante tecniche che si praticano, però questa è una considerazione generale. Per quanto riguarda invece lo Shiatsu per me, il cambiamento nei trent’anni è di avere meno attenzione sulla tecnica e più sulla comprensione di cosa si può raggiungere, con cosa si può entrare in contatto attraverso la pratica dello Shiatsu. E quanto sei cambiato tu? Ah, questo non si può sapere. Di solito il cambiamento è qualcosa che misurano gli altri, non si misura personalmente. Sappiamo che in questo momento, oltre al problema della crisi, che sentiamo tutti, c’è anche il problema legato al mancato riconoscimento della figura professionale dell’operatore Shiatsu, così come di molte altre figure professionali. A questo proposito c’è molto fermento nel mondo delle discipline definite bio-naturali, entro le quali appare anche lo Shiatsu. Secondo te, quale futuro pensi possa avere lo Shiatsu in Italia? Io, da sempre, come forse sai anche tu e sanno anche altre persone del mondo dello Shiatsu, sono sempre stato un sostenitore, o meglio, mi sono sempre augurato che lo Shiatsu non venga riconosciuto. Non per motivi snobistici o altro, ma essenzialmente perché purtroppo, spesso, quantomeno nella realtà italiana, quando le cose sono riconosciute, vengono burocratizzate e codificate in parametri piuttosto stretti. Purtroppo spesso riconoscere vuol dire stabilire delle norme che hanno poco a che vedere con la realtà pratica. Naturalmente non è sempre così, sarebbe possibile e auspicabile che un riconoscimento invece vada nella direzione di aiutare a garantire che chiunque pratica Shiatsu abbia
una formazione professionale e quindi competente nell’ambito tecnico, nell’ambito della crescita personale e nell’ambito della capacità della persona di mettersi in relazione con gli altri, perché secondo me questi sono i tre aspetti di qualunque tecnica, terapia, disciplina, non importa il termine che si usa, che sia in relazione con gli altri. Ci deve essere un lavoro personale di crescita, ci deve essere una conoscenza solida, teorica e pratica di quella tecnica e ci deve essere una capacità della persona di mettersi in relazione, chiamiamola empatica, chiamiamola di cuore, chiamiamola animica, come volete, con l’altra persona. Ho una serie consistente di perplessità, di dubbi, che un riconoscimento formale venga a tener conto di tutte e tre queste cose. Dai pochi contatti che ho avuto col mondo dei riconoscimenti formali, ritengo ci siano addirittura delle carenze nell’aspetto della formazione tecnica delle persone. Più che curare che si abbiano le necessarie conoscenze teoriche, quello che
conta è che ci siano, ad esempio 200 ore di una materia, 180 di un’altra, 500 di un’altra ancora. Cosa si fa in quelle ore…mah, chi lo sa. Se questo è il tipo di riconoscimento, forse tutto sommato è meglio continuare a navigare a vista in un mare dove ognuno fa quello che fa. Se invece un riconoscimento fosse davvero in una direzione tale da garantire a chi riceve un trattamento, che l’operatore al quale si rivolge ha una formazione solida, ben venga. In altri paesi è successo. Per restare in Italia, pensiamo che, insieme alla Francia se non sbaglio, è l’unico paese al mondo in cui l’agopuntura è riservata solo ai medici. Nel resto del mondo c’è una formazione per agopuntori, c’è un percorso di studi etc. L’altro grosso rischio, per quanto riguarda lo shiatsu, è che non avendo un’identità definita, non di per sé, ma come disciplina in mezzo alle altre, a differenza per esempio di omeopatia e agopuntura, che sono più un nucleo a se stante, è che in un riconoscimento sia accorpata in un grande
gruppo, che poi si chiami “discipline bionaturali, medicina alternativa, tecniche alternative”, poco importa. La cosa importante è che in tal caso finirebbe in un grande calderone dove il difficile è poter definire cosa è professionale. Mettendo insieme pranoterapisti, chi fa shiatsu, chi usa le erbe, chi il mantra per curare, lo yoga... chi può garantire la professionalità? L’altro aspetto importante in uno stato che voglia dare un riconoscimento serio a una professione, è che la verifica della professionalità sia fatta da persone che svolgono quella professione, cioè che, ad esempio, la verifica di un agopuntore sia fatta da degli agopuntori, la verifica della formazione di uno shiatsuka sia fatta da persone che fanno shiatsu…e non da medici o da un Ministro di chissà che.
la del lavoro tecnico eseguito, al di la del fatto che la persona stia meglio, si ha la percezione che la persona stia cambiando qualcosa di se. Non necessariamente grazie a qualcosa che noi abbiamo fatto, ma anche col supporto di quello che abbiamo fatto. Si scopre allora, e qualche volta capita, non sempre, che la persona si rende conto di possibilità che prima non aveva. Un discorso analogo vale per l’insegnamento. Tutte le persone che seguono un corso di formazione alla fine sono diverse da quando hanno iniziato, però a volte, con alcune persone, quest’aspetto, questa realtà, diventa molto più evidente, molto più forte per la persona stessa. Allora è proprio come assistere allo sbocciare di un fiore, che nessuno si sarebbe immaginato. Forse è questo.
Quanto e cosa ti ha dato lo shiatsu? E’ molto difficile... è come, percorrendo una vita, dire: ma le donne, cosa hanno dato alla tua vita? ...gioie e dolori, sicuramente. Crisi, dubbi, confusione, folgoranti illuminazioni, tutto mescolato insieme. Come la vita.
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Qual è l’episodio più bello della tua vita? Come shiatsuka? Come quello che vuoi…. Non esageriamo, perché è talmente difficile! E’ come dire “se dovessi andare su di un’isola deserta quale sarebbe l’unico libro che porteresti con te?” E’ impossibile rispondere. Forse è difficile rispondere anche pensando allo shiatsu, anche perché ci sono degli episodi che al momento senti molto forti, poi magari, rivisti col tempo, hanno una qualità differente. In realtà, per me, il lavoro dello shiatsu ha rappresentato e rappresenta due cose: una è la pratica sulle persone e l’altra è l’insegnamento. Direi che, più che un momento specifico, forse sono più momenti in entrambi questi aspetti, che periodicamente sono qualcosa d’importante e di sostegno. Per esempio, nel lavoro col paziente, molto banalmente se vogliamo, è quando, al di
YOJOO
il sovrappi첫 del sentimento di Massimo BANDERA
vo: l’ideale poetico è dunque evocare senza esplicitamente esprimere. Il Vuoto, per esercitare la sua funzione non va riempito, ma accettato come tale. Principio Daoista: “il valore di un vaso non risiede tanto nella sua forma quanto nella sua capacità di contenere, ossia nel suo vuoto". L’estetica giapponese prevede l’artista come un tramite, in cui trascorrono il sentimento e l’espressione, più che un creatore ex nihilo: i termini che definiscono la bellezza sono sempre colorati di uno sfondo affettivo, perché hanno a che fare originariamente con una facoltà emozionale non logica.
L
o YOJOO è un valore estetico dei poeti che praticano la forma Waka, cioè “suggerimento dai sentimenti”. Nasce in epoca Kamakura e rappresenta il riflesso emozionale che entra in contatto con il poema, portando ad un sentimento inspiegabile, metafisico. È il valore proprio del teatro n dove l’attore è avvolto da un’aurea dei sentimenti non spiegati: è un mondo di insinuazioni, relazioni e di evocazioni, dove “il meno è più”, cioè quanto meno l’attore esprime apertamente tanto più si suggerisce l’immaginazione emozionale dello spettatore. In epoca Muromachi entra a far parte dello Yuugen. La capacità evocativa Jojoo è il potere suggesti-
Dal MA (la sensibilità estetica giapponese) nasce la verità. Ma è il catalizzatore che fa si che il fatto (KOTO) si trasformi in verità (MAKOTO) “L’identità della verità è la sincerità” Imamichi Tomonobu. Il MA di Tokonoma è una distanza spaziale, luogo a parte, spazio sacro. BO-DO… fare della spada e dello zen una cosa sola. GEI-DO... fare dell’arte e dello zen una cosa sola (GEIZEN ICHINYO di Zeami). SA-DO… lo zen e il tè hanno lo stesso sapore. Riusciremo a fare dello zen e del bonsai una cosa sola? Nella teoria della bellezza dell’imperfetto, c’è insufficienza, imperfezione, incompletezza, che derivano proprio dall’enfasi dello Yojoo. Mancano delle parti,
delle cose. L’ordine non è apprezzabile. FUKINSEI l’asimmetria fa percepire a chi guarda le parti incomplete, non cerca la perfezione, non è ostinata alla ricerca della perfezione, così si è liberi dalla forma (DATSUZOKU). Tutto affonda le radici nell’impermanenza buddhista dove il concetto dell’incertezza della vanità di tutte le cose è la negazione del senso di BASTEVOLEZZA, del benessere del mondano. Qui ottimo è leggere lo Tsurezuregusa “Pensieri di un Ozioso (Kenko 1283-1350). Un bonsai che è nella bellezza della teoria dell’imperfezione non ha quindi i rami più o meno disordinati, più o meno precisi, ma è da che cosa derivano, il percorso che porta al risultato che fa “apprezzare la forma”. La suggestione della bellezza
(FUZEI). FUUSHUI elegante e raffinato. KANSO altamente semplice e spontaneo. “Non deve essere l’imperfezione per raggiungere la perfezione, ma è una imperfezione che supera la perfezione della forma” - Susumo Sudoo. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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el parco del castello di Racconigi, insignito del prestigioso riconoscimento di Parco più bello d’Italia , in occasione dei festeggiamenti del 150° dell’Unità d’Italia, verrà proposto il 9 e 10 aprile l’ormai tradizionale evento Ritorno alle Serre Reali, un appuntamento con la cultura florovivaistica del giardino, dell’orto e del frutteto: una grande mostra mercato di fiori, pianti e attrezzi per il giardino nella prestigiosa cornice della Margaria del Castello di Racconigi. Saranno esposti fiori e piante, erbe aromatiche e medicinali, attrezzi e accessori per il giardino, strumenti per la conservazione e la coltivazione. I migliori vivaisti piemontesi esporranno le più belle collezioni di orchidee, azalee, rododendri, camelie, piante e fiori di montagna, ortensie, rose, glicini in varietà, piante acquatiche, peonie, erbacee, papaveri perenni, anemoni giapponesi, gerani, violette, piante aromatiche e officinali, arredi per il giardino in ghisa, ferro e ceramica. Attrezzi e tanto altro saranno, grazie anche all’ambiente in cui si svolge, l’impianto di un’esposizione davvero incomparabile.
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Dopo il successo dello scorso anno, la rassegna propone all’interno delle reali scuderie un'importante esposizione di bonsai a cura di BonsaInsieme di Carignano. Si terranno lezioni teoriche e pratiche sulla cura dei bonsai e i migliori esperti del settore saranno sempre a disposizione per consulenze e consigli al pubblico. L’associazione è costituita da un gruppo di appassionati bonsaisti, nata nel 1994 con lo scopo di favorire la conoscenza, l’interesse e la pratica dell’arte Bonsai, attraverso la valorizzazione delle essenze locali ed europee. Alla guida del gruppo il prof. Giovanni Genotti, Istruttore IBS, che possiede una collezione tra le più complete ed ammirate a livello nazionale, composta da circa 400 esemplari. Saranno in vendita i prodotti della produzione del parco di Racconigi: due tipi di formaggio, il Casino del Cacio e il Margaria, uno a pasta rotta e una toma, ottenuti con latte di vacche di razza piemontese, al pascolo nel parco nei periodi primaverile e autunnale; le marmellate e le composte prodotte con il raccolto del frutteto del Giardino dei Principini; il gustoso miele degli alveari
del parco. Con la manifestazione Ritorno alle Serre Reali, proprio la serra del Castello di Racconigi, torna ad essere protagonista come a metà dell'Ottocento, quando i reali giardini erano i più celebri d'Europa per la varietà di piante che vi si coltivavano. La scenografica struttura neogotica voluta da Carlo Alberto farà da sfondo al mosaico espositivo di piante, attrezzi e accessori per il giardino e il terrazzo, erbe aromatiche e medicinali, prodotti per la conservazione e la coltivazione delle piante. In occasione del 150° dell’unità dell’Italia saranno aperti in via eccezionale la cappella reale e il Reposoir della Regina. In occasione della Settimana della Cultura il castello e il parco di Racconigi saranno ad ingresso gratuito (solo la manifestazione è a pagamento) con la proposta di numerose attività per tutto il pubblico. In particolare, nel fine settimana del 9 e 10 aprile in castello sarà ancora visitabile la mostra Vittorio Emanuele II, il re galantuomo, allestimento tra il primo e il secondo piano nobile della residenza che vuole rievocare, a 150 anni dall’Unità d’Italia, un momento storico fondamentale per il nostro paese, fornendo un particolare contributo scientifico e documentale attraverso l’esplorazione della vita e
delle vicende del principale protagonista del Risorgimento: re Vittorio Emanuele II. L’esposizione, realizzata dal Castello di Racconigi insieme alla Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Piemonte e alla Fondazione DNart, completa il suo percorso a Palazzo Reale di Torino, altra sede espositiva dell’evento, dove si coglieranno i due ulteriori aspetti del sovrano: i capitoli della storia che lo portarono al trono d’Italia e la sua vita privata. Nel parco, il 10 aprile il Gruppo Storico Nobiltà Sabauda della Città di Rivoli, presenterà il nuovo spettacolo in costume Cera una volta l’Italia che non c’era, un messa in scena itinerante tra il piazzale nord del Castello e la Dacia Russa, per rievocare i 150 anni dell’Unità d’Italia. Il Gruppo storico Nobiltà Sabauda nasce a Rivoli nel 1997 in occasione dell’annuale manifestazione C’era una volta un Re. È composto da circa quaranta persone che indossano abiti storici molto curati nei particolari e che si presentano con una professionalità che ha consentito loro di ottenere visibilità e notorietà tra i gruppi storici, anche al di fuori dei confini regionali. Per tutti gli altri appuntamenti della Settimana della Cultura al Castello di Racconigi, informazioni sul sito internet www.ilcastellodiracconigi.it ⁄ © RIPRODUZIONE RISERVATA
Orario dalle 10 alle 19, ingresso 2 euro. Ridotto: 1 euro (tra i 18 e i 25 anni). Gratuito minori anni 18 e over 65 e possessori della Tessera Musei Torino Piemonte. Il pubblico potrà accedere alla manifestazione, entrando dal cancello centrale della Margaria, al fondo del parco, dove sarà posizionata la biglietteria. E’ previsto un parcheggio a pagamento interno al parco con ingresso dal cancello nero. La manifestazione si svolge anche in caso di maltempo. L’edizione autunnale dell’evento, dedicata al Potager Royal è in programma il 25 e il 26 settembre.
TROFEO I
l primo sabato di Dicembre 2010 si è svolto il terzo Trofeo NBC per gli iscritti al Club. La giornata è iniziata con il sorteggio dei ginepri e la loro assegnazione, il materiale da lavorare (juniperus procumbens var. nana.) è rimasto di loro proprietà. La funzione di questo trofeo oltre a mettere in luce i progressi che i soci hanno realizzato in questo anno, è servita da stimolo per una comprensione, e partecipazione più attiva alla vita del Club. Ma anche allo scambio di conoscenze ed esperienze relative al bonsai. Il motto di questa giornata è stato “amicizia e armonia attraverso il bonsai”. Fare bonsai è un'arte che si impara osservando la Natura; questa ci dà delle emozioni che noi riusciamo
Quattro chiacchiere con
GENNARO EMOLO
In questo piccolo inserto vogliamo porre qualche domanda al nostro Gennaro vincitore del III trofeo Napoli Bonsai Club svoltosi lo scorso 4 dicembre. Probabilmente questa è la prima intervista a Gennaro, e noi gli auguriamo che non sia l'ultima... Ciao Gennaro, visto che questa è la tua prima intervista, vuoi presentarti ai nostri lettori? Mi chiamo Gennaro, vivo a Napoli ed ho 33 anni. Lavoro per una società di informatica. E’ curioso il contrasto che c’è tra lo svolgere un lavoro dove l’oggi è già passato e il coltivare una passione dove la pazienza è fondamentale. Noi che del forum NBC facciamo parte, qualche notizia sull'origine e l'evolversi della tua passione per l'arte del bonsai la conosciamo, ma per chi non dovesse saperne niente, vorresti di-
poi ad esprimere attraverso la creazione delle nostre opere in una diversa dimensione. I soci assimilando questa teoria fondamentale, a poco a poco la loro personalità viene sviluppata ed è grazie a questo che si sono formati allievi in grado di creare piante singolari, di livello raffinato. Ed è anche in conseguenza di ciò che il nostro Club ha ottenuto riconoscimenti (come il Talento italiano e la vittoria ad Arcobonsai per Club nel 2010). I soci con molta serenità e concentrazione hanno iniziato il loro lavoro, con un lieve e rilassante sottofondo musicale. In pratica lo stile è stato scelto dal partecipante, analizzando e decidendo in base alla loro pianta. Il premio in palio offerto dal Club, ed assegnato dal Consiglio direttivo è stato una targa ricordo, ed un attrezzo per bonsai, scelto dal socio. Ed ecco dopo una giornata di lavoro, l’esito conseguito. Tiziana, un eretto casuale con una bellissima base, una zattera che la foto non rende merito, Emiliano con una cascata. Rino una cascata con un bellissimo movimento del tronco, Gennaro con una cascata, Antonio con un eretto informale, Antonio semicascata. Il Trofeo è stato conferito a Gennaro per aver me-
re da dove è partita questa bellissima “malattia”? In passato mi era spesso capitato di “imbattermi” in qualche bonsai. Mi hanno sempre affascinato e dopo qualche esperienza negativa (soprattutto per le povere piante), ho pensato che non facessero per me e così iniziai a regalarli a parenti ed amici, così da poterli ammirare quando mi recavo da loro. Poi nel 2009 ho avuto l’ennesimo “incontro ravvicinato”, ma questa volta in un luogo dove i bonsai si mostrano in tutto il loro splendore: il Centro Bonsai Iodice. Mio cognato e Fabrizio (socio del club) mi portarono al Centro Bonsai in un caldo pomeriggio di giugno. Quel giorno tornai a casa con una zelkova, un paio di forbici e le preziose informazioni che Pino e Maurizio, del centro Iodice, mi avevano dato per far crescere al meglio il mio alberello, ma soprattutto nelle loro parole avevo percepito l’amore e la pazienza che necessitano queste piante per vivere al meglio nonché l’umiltà che serve per apprendere quest’arte. Da quel giorno, continuo ad andare ogni sabato al Club e… la mia zelkova è in ottima forma! Socio del Napoli Bonsai Club, ti sei aggiudicato il III trofeo con una bella interpretazione di una cascata. E dire che il materiale di partenza non era per niente facile. Quanto ti ha emozionato vincere? L’emozione è stata un crescendo sin dalla mattina, poiché per me era la prima volta che partecipavo, quindi non vedevo l’ora di vivere questa esperienza che il Napoli Bonsai Club offre ai soci annualmente. In effetti, non credevo che la mia pianta potesse risultare la vincitrice, sia perchè, a mio parere, c’era qualche pianta più carina, sia perché non avevo un buon materiale di partenza e soprattutto perché non ero
andato per vincere, ma per trascorrere una giornata in allegria, condivisione ed amore per i bonsai con i miei amici e soci del Club. La giornata è stata infatti molto divertente e rilassante. Lavorare, scambiare opinioni sul tema bonsai e non, mi ha aiutato a conoscere meglio i membri del Club. Posso dire che nel mio piccolo sono orgoglioso di questo premio, ancora oggi, dopo due mesi dalla vittoria, sfoggio con gioia, tra amici e parenti il trofeo conferitomi. Da quello che vediamo le occasioni di incontro al Club sono sempre all'impronta della cordialità e amicizia, quanto conta, secondo te, fare bonsai in un clima del genere per la corretta crescita di ognuno? Ovviamente è fondamentale. Per la mia, fin qui, breve esperienza nel mondo bonsai, il confronto diretto, lo scambio di pareri e soprattutto il contatto umano sono steps fondamentali per la crescita personale, che si riflette nella crescita del gruppo e, nel nostro fortunato contesto, del Club. Spesso mi capita di leggere sul nostro forum, di persone distanti o che non hanno la fortuna di potersi incontrare in un club, che nutrono ammirazione per le attività svolte nel Napoli Bonsai Club. Questo perché attraverso il forum, con foto, discussioni e documentazione, riusciamo a mostrare quanto di buono viene svolto nel club, riuscendo a trasmettere principalmente il senso di amicizia, umanità ed allegria che mettiamo in tutte le nostre attività. Io mi ritengo fortunato, perché ho incontrato il Club nell’anno della Kokoro-no Bonsai Ten; questo mi ha permesso di conoscere le vicissitudini verificatesi in passato nel club, ma soprattutto di vedere l’amore che i soci hanno per quest’arte, e con quanta umiltà e spirito di sacrificio hanno permesso la
glio interpretato lo stile scelto, in rapporto anche alla difficoltà del materiale di partenza, ecc. ecc. Augurandogli che questo sia il primo riconoscimento di un lungo percorso che lo porti a creare bonsai che comunicano fascino e vitalità. Una delle cose che mi ha dato maggior soddisfazione è che tutti i soci del club sono riusciti a crescere bonsaisticamente. Infatti, quale maggior soddisfazione di quella di vedere, ogni anno la rapida crescita delle capacità degli allievi e la conseguente nascita di bonsai artistici?
Guardando questi lavori che esprimono evidentemente la personalità di ciascuno, è possibile apprezzare il risultato delle lezioni di teoria e di pratica recepite in questi anni di studio. In qualità di presidente del NBC desidero rivolgere i miei più sentiti ringraziamenti a Pino Iodice e a tutti i soci che hanno partecipato, impegnandosi, trascorrendo una giornata piacevole all'insegna dell'amicizia, avendo avuto tutti l'opportunità d'imparare qualche cosa di nuovo. © RIPRODUZIONE RISERVATA
realizzazione dell’evento. Il successo riscosso dalla mostra ha creato uno spirito di unione tangibile, così tutti insieme abbiamo deciso di intraprendere un nuovo anno carico di entusiasmo e di iniziative per il Napoli Bonsai Club. Prima di chiudere questa, prima, brevissima intervista, ti senti di indicare e ringraziare qualche persona in particolare per il raggiungimento di questo obiettivo? La lista sarebbe lunga, perché credo di essere arrivato a questo obiettivo apprendendo sia dai vari maestri del Club, che pazientemente mi hanno consigliato, insegnato e seguito, ma anche dai soci appena arrivati, visto che, così come nella vita, tutti possono insegnarci qualcosa. Non posso, però, non menzionare alcune persone, il Presidente ed i soci “anziani”, per il semplice motivo che senza di loro questo Club non esisterebbe. Infine un grazie di cuore a Pino Iodice (titolare del Centro Bonsai Iodice, sede del Club) che con immensa generosità, umanità e disponibilità ci permette di inseguire il nostro piccolo sogno di portare il Napoli Bonsai Club a livelli sempre più alti. E' ora di chiudere, ti ringraziamo per questa intervista ed augurandoti che questo sia solo il primo di una serie di successi ti chiediamo un saluto per i lettori. Grazie a voi per l’intervista e per l’in bocca al lupo! Vi aspetto al Club per conoscerci di persona (sarà facile riconoscermi!!!) per scambiare due chiacchiere sui bonsai, farci due risate e prendere insieme... na’ tazzulella e cafè!
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STORIA DI UN MAESTRO DEL PASSATO
I
l maestro Abe Kurakichi era un uomo di un’altra epoca. E’ trascorso ormai più di un secolo dalla sua nascita, ma ancora oggi i suoi insegnamenti possono essere considerati una pietra miliare nel panorama bonsaistico mondiale. Egli ha dedicato tutta la sua vita allo studio, alla creazione e alla divulgazione della nobile Arte del Bonsai, tanto da meritare in Giappone diverse importanti onorificenze e da aver avuto il privilegio di curare i Bonsai della Corte Imperiale per quattro anni. Il volume “Come creare un bonsai di pino”, stampato in Italia da Edizioni Volonterio, non può e non deve riduttivamente essere considerato un semplice libro di tecnica riguardante il pino pentaphylla, bensì un testo universale da cui apprendere e trarre preziose quanto fondamentali informazioni, che riguardano non solo gli aspetti pratici legati alla coltivazione, ma soprattutto valori morali e filosofici, di cui troppo spesso ci dimentichiamo o non ne conosciamo le profonde implicazioni. Noi che pratichiamo il
Bonsai siamo purtroppo soggetti all’influenza delle mode, spesso del volere tutto e subito, figli del dio denaro e vittime della ripetizione, tanto da incorrere nel serio rischio di trascurare alcuni aspetti che dovrebbero essere alla base di una buona formazione. Il Maestro Abe ci insegna a rispettare il carattere di ogni singola pianta, al pari di un essere umano. L’albero diventa quindi un individuo e come tale libero di esprimersi. Il ruolo del bonsaista è quello di metterne in evidenza gli elementi caratterizzanti e al contempo eliminarne i difetti. Seppur apparentemente semplice, un solo errore di valutazione potrebbe compromettere la qualità di un promettente Bonsai. Dobbiamo imparare ad osservare e ed ascoltare il Silenzio. Così all’improvviso emerge l’importanza dello Spazio: nel Vuoto c’è la bellezza. Impariamo che una volta esistevano i rami ”volanti”, i rami “bocconcino”e quelli spezzati dalla neve. Scopriamo che il jin prima era grigio e si scortecciava solo dopo che il ramo si era impregnato per un anno o due di resina e mai da vivo perché sarebbe marcito. Il Maestro imparò le forme degli alberi osservando per lunghi anni i pini del Monte Azuma, entrando in simbiosi con essi e la natura circostante. Studiò con passione e costanza orientale le cortecce, gli aghi, le pigne individuandone e catalogando ogni possibile variazione cromatica e strutturale. Raccolse, con instancabile pazienza, migliaia di semi selezionati da quei pini che avevano le caratteristiche migliori e facendone col tempo e la tecnica bonsai di eccelsa qualità. Ci sarebbe ancora molto da scrivere sulla straordinaria vita di Abe Kurakichi, del suo Maestro Saita Kinsaku, uomo dalle poche parole e dalle molte virtù e del Pino del Tramonto che Incanta, ma non vorrei privare il lettore del piacere di scoprire pian piano i segreti di un mondo a noi così poco conosciuto, fatto del sapore delle cose antiche, di rispetto, di attese e di Amore, verso il prossimo e verso i nostri silenziosi Fratelli maggiori. © RIPRODUZIONE RISERVATA
Riflessioni di GIOVANNI GENOTTI
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olti libri che trattano il bonsai sono una sequenza di fotografie che mostrano l’aspetto dell’albero in lavorazione scattate da diversi punti di vista, con parti o l’essenza stessa, completamente trasformate per giungere poi ad un bonsai estetico. Essi esprimono e dimostrano la dominanza dell’uomo sulla natura, senza partecipazione. Il risultato delle dimostrazioni non corrisponde alla albericità propria delle essenze lavorate. Lo scopo di tali trattati è insegnare l’estetica che non è quella dell’albericità dell’albero ma sicuramente più facile da affrontare non essendo in discussione la personale espressione dell’essenza nel suo equilibrio di vita. Nel libro di Antonio Ricchiari invece traspare in ogni pagina il rispetto dell’albero, rispetto basato anche sulle conoscenze profonde delle origini e della spiritualità del bonsai che la cultura orientale gli ha dato e che quella occidentale ha interpretato. Antonio Ricchiari è l’unico che, come me, sostiene la naturalezza del bonsai legato all’armonia a cui tende la natura. Armonia che il bonsaista cerca di interpretare nel bonsai. Per poterla realizzare e trasmettere nell’educare il bonsai, Antonio indica come indispensabili le moderne conoscenze di coltivazione ed interventi tecni-
ci basati su un buon approfondimento culturale. Tali argomenti nel libro si descrivono con prosa scorrevole e si presentano capolavori. Attraverso la lettura e l’osservazione traspare l’animo dell’uomo che diventa un tutt’uno con la natura intesa come equilibrio dell’espressione della vita che si trasforma e si realizza via via con il trascorrere del tempo. La scelta di fotografie delle più diverse piante educate a bonsai ci ricordano come ogni vegetale possiede le proprie bellezze e gli interventi tecnici descritti denunciano l’attenzione al naturale sviluppo dell’essenza. Gli argomenti si susseguono con ordine piacevolmente presentati e mai superficiali. Accanto agli indirizzi di centri commerciali, sempre rintracciabili nelle pubblicità, sarebbe stato utile conoscere quelli dei clubs di amatori. Inoltre il libro sarebbe stato maggiormente apprezzato se accanto alla presentazione dei bonsai dei centri commerciali fossero stati presenti collezioni di amatori (vi sono solo due visioni parziali del giardino di Genotti), collezioni che si trovano presso i soci di numerosi clubs e riflettono il bonsai attuale e reale dell’amatore; pertanto anche la collezione personale dell’autore sarebbe stata molto molto apprezzata non avendola mai riscontrata nei suoi numerosi scritti. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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avvero, come dice il caro Antonio Ricchiari, il bonsai crea e rafforza legami d'amicizia. In un mondo in miniatura, ove ogni particolare ha il suo peso, emozioni e sensazioni condivise sfociano facilmente in un rapporto solido e duraturo.Ho tanti amici, tutti voi, tutti importanti, grazie al bonsai. Ma guai a tradire il bonsai, pretendendo più di quello che può dare. Consentitemelo, il suo fascino poco si lega al denaro e ad ogni mistificazione mercantile. Costituimmo l'UBI e, me ne venne l'incarico della presidenza, o meglio il servizio in quel ruolo, per breve tempo, come sanciva lo statuto. Ottimi compagni i consiglieri e i soci tutti; sicchè il bonsai crebbe e si sviluppò. Senza merito alcuno, se non il servizio prestato, nel rispetto di tutti, delle regole democratiche, la deferenza e devozione per i grandi amici italiani e stranieri, sollecitammo e svegliammo i grandi talenti, che ora il mondo intero ci invidia. Ora il bonsai italiano è su una curva pericolosa, in salita per la raccolta di quanto si è seminato, ovvero in discesa vertiginosa se ci lasciamo attrarre da personalismi aberranti. Che tutti sappiano apprezzare una guida serena, proiettata al futuro, riconoscendo i giusti meriti di un lavoro svolto, e si ridimensionino le ambizioni fuorvianti. Questo per i candidati proposti e per i votanti. Buona guida e cartina tornasole è l'umiltà nel servizio.
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on il termine bonkei (paesaggio in vassoio) s’indica l’arte di comporre un paesaggio in miniatura. Le origini di queste particolari composizioni sono da ricercare in Cina, dove questi paesaggi venivano, insieme al suiseki (le pietre paesaggio) associate a tradizioni storiche fi-
losofiche. Facendo un esempio, per i buddhisti il bonkei era associato al monte Shumi, un luogo sacro considerato da questa religione, il centro dell’universo. Invece per i credenti del sistema filosofico taoista, il bonkei simboleggiava Horai, considerato da questi seguaci il loro paradiso.
In seguito grazie ad alcuni monaci buddisti, quest’arte fu trasportata dalla Cina al Giappone, dove col tempo si diffuse e si perfezionò, la maggior diffusione si ebbe dal 13° fino al 15° secolo, periodo storico denominato Kamakura, dove, in questi anni grazie agli intensi scambi colturali che si avevano tra la Cina e il Giappone, si ebbe anche una certa diffusione della filosofia zen che influenzò parecchio questo tipo d’arte.
Lo zen che dava molta importanza alla meditazione, consentiva all’osservatore di trovare in questi paesaggi in miniatura una carica emotiva di sensazioni interne che lo esaltava portandolo, a visioni paradisiache e a immaginare di trovarsi all’interno di queste miniature vegetali. Fu in questi anni che si sviluppò maggiormente insieme con altre forme d’arte, come la musica, la pittura, la calligrafia, il tiro con l’arco, e raggiunse il massimo della perfezione, in seguito si ebbe un calo d’interesse verso il bonkei, perché i nobili s’interessarono maggiormente ad altre forme d’arte come il bonsai, la scrittura, la danza, o alle arti marziali e il bonkei venne un attimo abbandonato, fino ad arrivare alla meta del 19° secolo dove quest’arte rifiorì, diffondendosi assieme al bonsai anche nei paesi occidentali. Con enorme dispiacere devo dire che da noi questo stile è utilizzato da pochi appassionati e, in alcune scuole dove s’insegna bonsai, non è neanche trattato: probabilmente perché il bonkei non fa tendenza. Chi di noi, durante una gita o un soggiorno in qualche località di villeggiatura, non si è imbattuto in uno scorcio particolarmente bello per le sue forme o colori e avendo magari la fotocamera non si è soffermato volentieri a scattare qualche foto? Ed ecco che il bonsaista vorrebbe poter ricreare gli stessi elementi scenici, per poter godere in qualsiasi momento dell’anno i diversi aspetti di uno scorcio naturale da annoverare nella sua collezione.
Un requisito di base per ottenere bonkei di grande effetto, oltre a quelli noti necessari per fare bonsai, è avere l’occhio allenato e sensibilizzato a rilevare le bellezze della natura, a osservarla in tutti i suoi aspetti nell’arco delle quattro stagioni, riuscire a individuare anche in lontananza la forma tipica delle varie essenze, in particolare capire la prospettiva, il senso di profondità e della proporzione, come se fossimo pittori che vogliono rappresentare il tutto in un quadro. Il progetto in se stesso come potete capire è abbastanza avvincente e complesso, tuttavia con un po’ d’abilità appresa nel praticare l’arte del bonsai, una certa passione, e molta pa-
zienza e perseveranza, si potrà realizzare la miniatura di un paesaggio in vaso. MATERIALE NECESSARIO La prima cosa da fare sarà di trovare una roccia o pietra avente una forma adatta, in genere si preferisce una forma “a montagna”, questa deve presentare delle fessure o delle nicchie per ospitare le pianticelle, se queste dovessero mancare o essere troppo piccole, si dovrà intervenire meccanicamente, per primo con martello e scalpello e se necessario in un secondo tempo con un trapano avente montato sul mandrino una mola abrasiva. Personalmente uso, mole di carburo di silicio (un minerale abrasivo molto aggressivo), in questo modo si potranno allargare le piccole fessure con discreta facilità, le quali potranno ospitare con più agio l’apparato radicale delle piccole piante. In queste fessure si fisserà del filo metalli-
co con dei piombini (ottimi quelli da pesca) necessario in seguito ad ancorare gli alberelli. E' necessario che le essenze arboree posseggano un apparato radicale contenuto e quindi in precedenza preparato prima di essere utilizzate. L’IMPORTANZA DEL TERRENO E DELLE RADICI Le radici non dovranno essere fittonanti e suddividersi notevolmente per riuscire a penetrare in tutti gli interstizi della roccia e aderire in seguito ad essa. Tutte le conifere e le latifoglie oltre alle piante arbustive potranno essere utilizzate senza difficoltà, cercando di scartare quelle a foglia grande, un’attenzione particolare si avrà per le essenze acidofile (tipo azalee, eriche, piccoli rododendri ecc.) che dovranno essere collocate su una roccia non basica né calcarea, avendo cura di usare un terriccio idoneo. Nella realizzazione di bonkei una cosa
importante e fondamentale sarà la preparazione del terreno, perché è questo che dovrà aderire agli anfratti rocciosi e avere una consistenza tale da poter essere malleabile con buon potere adesivo, non friabile ma allo stesso tempo drenante. Sappiamo tutti che dal Giappone è importato un terriccio ottimo a questo scopo, ma non me ne vogliano i commercianti, personalmente ho messo a puntino un’ottima miscela molto funzionale e che da anni sperimento con successo. Il tutto è
costituito dal 30% d’argilla naturale, 30% di sfagno (muschio molto alto) sminuzzato grossolanamente, 30% di terriccio universale (terreno acidofile per le piante che lo richiedono) e 10% di sabbia di fiume o di cava. In un contenitore di plastica si miscela il tutto con acqua fino a ottenere un impasto omogeneo e sufficientemente malleabile, che io chiamo “MUSCARGITE” dall’abbreviazione di: muschio, argilla, terra (musc-argi-te). Una volta ottenuto quest’impasto, con una spatola a punta conica arrotondata si spingerà quanto basta di questo terreno all’interno dei fori e delle nicchie, lasciando lo spazio necessario a ospitare l’apparato radicale dei futuri ospiti. Subito dopo si comincerà a disporre le pianticelle nei punti in precedenza stabiliti e si legheranno con il filo metallico per ancorarli alla roccia, si copriranno le radici con altra “muscargite” premendo bene con le dita per riempire i vuoti e farla aderire alle radici e alla pietra. L’impasto di terriccio potrebbe indurire essiccando, ma grazie ai filamenti del muschio (sfagno) disposti nel substrato che, come un intreccio, impediranno il fenomeno e permetteranno all’ossigeno e soprattutto all’acqua e ai fertilizzanti di penetrare senza difficoltà. In questo modo le radici non soffriranno d’asfissia e si svilupperanno lungo le fi-
bre dello sfagno e riceveranno dal terriccio la giusta dose di sali nutritivi necessari per una buona crescita. L’impasto della “muscargite” può debordare in alcuni punti della roccia, formando rigonfiamenti che renderanno molto naturale le troppo piccole cenge sulle quali s’impiantano gli alberelli. Non sarà necessario imbrigliare il terreno che deborda, con nessun accorgimento. E' buona cosa ricoprire la “muscargite”con muschio basso e vellutato, che renderà il tutto esteticamente più verosimilmente naturale. LE PRIME CURE NECESSARIE Per i primi due tre mesi dalla strutturazione il bonkei sarà innaffiato con un leggerissimo getto di acqua assolutamente tutti i giorni, se necessario anche due volte e, per permettere un buon attecchimento si riparerà dal sole diretto nebulizzando sovente, in seguito si potrà esporre al sole per qualche ora. Ricordatevi che alcuni tipi di bonkei sono generalmente
posti in vassoi senza fori pertanto l’acqua che si fermerà sul fondo considerata preziosa, sarà assorbita dalla roccia salendo per osmosi mantenendo una salutare e discreta umidità. All’inizio del terzo mese si potrà cominciare blandamente con del concime liquido disciolto nell’acqua dell’annaffiatura, per tutto il resto trattatelo alla pari degli altri bonsai. © RIPRODUZIONE RISERVATA
orgoglio toscano
CONSIDERAZIONI SUL MATERIALE Sono state svariate le considerazioni che mi hanno portato a scegliere questo araki. Le proporzioni del tronco: tozzo con una buona base apprezzabile nella sua totalità, interessanti movimenti dei percorsi linfatici con un jin posto in una ottimale posizione. La qualità della vegetazione, frutto di due stagioni di coltivazioni mirate all’ottenimento di una chioma ramificata e sufficientemente densa da poter proporre una realizzazione quanto più completa possibile. La mole del lavoro da
svolgere, in quanto in queste dimostrazioni si lavora rigorosamente a tempo; occorre quindi pianificare successione e tempi delle operazioni che andremo a fare sull’albero ed avere il tempo sufficiente alla fine prima della modellatura, da fare nel modo più accurato possibile. Questo cipresso, a mio parere, se affrontato con la giusta concentrazione e producendo una notevole mole di lavoro, poteva essere una stimolante sfida… secondo me le
potenzialità c’erano e quindi la scelta era fatta! Il cipresso terminava con un ten-jin interessante ma che produceva una controconicità poco più sotto dove il tronco si divideva, ma un’attenta analisi della proiezione del tronco osservato dal suo fronte avrebbe ovviato al problema, e il disegno della chioma, nella sua suddivisione, avrebbe coperto proprio quel punto antiestetico. Nel mese precedente alla lavorazione ho somministrato settimanalmente concimi fo-
gliari al fine di mantenere alto il vigore della pianta per poterle fare passare velocemente il naturale “rallentamento” post lavorazione. La pianta è stata annaffiata fino a cinque giorni dalla manifestazione per farla arrivare alla lavorazione con i tessuti elastici ma
abbastanza asciutti. REALIZZAZIONE Per la realizzazione è stato interessante seguire il naturale carattere che emergeva dall’essenza.
L’inclinazione naturale del cipresso è stata ottimizzata, dando la priorità esclusivamente alla proiezione del tronco. La vegetazione aveva diametri di crescita pressoché uguali su tutti i rami principali e quindi non avendo obblighi dati dai rami stessi ho osservato il tronco da tutte le angolazioni e inclinazioni possibili, scegliendo poi il fronte che a me piaceva di più. La parte iniziale di tutti i rami primari è stata meticolosamente rafiata. Tutta la vegetazio-
ne è stata legata e posizionata per la modellatura. Il risultato propone un buon impatto visivo, delle buone proporzioni ed un buon disegno d’insieme. Il cipresso, così lavorato si è aggiudicato il premio So-Saku demo award, Roma 14-15 Ottobre 2006.
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come creatore di spazio ed equilibrio, nella rappresentazione paesaggistica... e non solo
"Che strana creatura l'essere umano: brancola nel buio con espressione intelligente!" - Kodo Sawaki Roshi
FLUSSO ...flusso, nello Shiatsu: "tra interno ed esterno, tra Yin e Yang, tra il vuoto (Kyo) ed il pieno (Jitsu), tra il caldo ed il freddo". ...flusso luminoso come intensità, luminosa. ...flusso, ascensionale, discensionale, nella musica. ...flusso di energia come qi, ki, prana, che collega tutti gli oggetti presenti nell'universo. ...flusso e vuoto nella scrittura e nella pittura Sumi (Shu Fa, Shodo...) ...flusso di coscienza (stream of consciousness) è parlare o scrivere quello che ti viene in mente così: idee che fluiscono liberamente, collegate da un filo sottile; prima di ogni riorganizzazione compositiva. Collegamenti di idee generati da sensazioni e sentimenti, a loro volta risvegliati dal pensiero precedente, pescando nello sconfinato ed a volte sorprendente calderone dei ricordi. IL FLUSSO DI COSCIENZA FUNZIONA. ..."anche quando ti pare di non aver niente da dire, qualcosa la scrivi lo stesso". Le linee di flusso... Il percorso del flusso visivo... Flusso direzionale dei punti di forza... ...Flusso direzionale discenzionale dell'acqua...
Furyu: il flusso del vento...
IL FLUSSO DI COSCIENZA PORTA AD UN PIENO DISORGANIZZATO. Nel suiseki, il flusso ascensionale o discensionale porta ad un vuoto. Non esattamente statico, ma regolato da una alternanza di pieni e vuoti: un ritmo. Come scrive Antonio Ricchiari: il design nel bonsai (nel suiseki) è ritmo e flusso: non deve essere nè monotono nè caotico. L'Estetica (da: sensazione & percezione mediata dal senso) come parte della filosofia occidentale, si occupa della "conoscenza del bello naturale e artistico" e noi siamo soliti applicare le sue "regole" al suiseki ed al bonsai, secondo i criteri classici antichi e moderni (canoni di prospettiva, asimmetria controllata dalla Regola Aurea, dalla Sequenza Fibonacci etc.).
Ma il prof. Giangiorgio Pasqualotto, insegnante di Storia della Filosofia all'Università di Padova, in " Estetica del vuoto. Arte e meditazione nelle culture d'Oriente", scrive: "...non si può parlare, a rigor di termini, di "Estetica orientale" perché, almeno nell'ambito della civiltà cinese e di quella giapponese, non si è mai avuta, come in Occidente, una disciplina (spesso dotata anche di pretese scientifiche) chiamata «Estetica». Solo di recente, in seguito a massicci processi di occi-
dentalizzazione, si è avuto qualche tentativo di lavori definibili come contributi di «Estetica» nel senso usato dalla tradizione filosofica occidentale. Vi sono tuttavia ragioni più profonde per le quali l'estetica come specifica disciplina filosofica non è sorta all'interno della civiltà cinese e di quella giapponese. È da ricordare, prima di tutto e in generale, che entrambe queste civiltà non hanno mai posto né sviluppato quella differenza radicale tra teoria e pratica che ha
invece segnato - in negativo e in positivo - pressoché tutta la cultura occidentale: per il pensiero cinese e, poi, per quello giapponese, ogni idea è già un'azione, ed ogni azione possiede in sé energia e valore spirituali. " ..."Parlare dunque di Estetica nel senso di «teoria» o di «scienza del bello» non ha in questi orizzonti di pensiero alcun significato, perché in essi non è ritenuta reale una situazione in cui vi sia, da una parte, una bellezza da contemplare o da creare e, dall'altra, un soggetto che la contempla o la crea. Anzi, per il pensiero cinese e per quello giapponese (pragmatici e talvolta addirittura empirici, mai comunque metafisici), «bellezza» in generale come idea non esiste. In realtà, per la cultura cinese e giapponese «bello» può essere per esempio anche qualcosa di oscuro, di malinconico e di indefinito - come nel caso dello yugen - senza che per questo si possa concludere che la bellezza coincide con l'oscurità, la malinconia e l'indefinito, e di conseguenza senza che si possa passare a formulare un'estetica della malinconia o dell'indefinito. Ciò significa in generale che, a differenza di quanto è avvenuto lungo quasi tutta la storia del pensiero occidentale, in Cina e in Giappone (almeno, per quanto riguarda le tradizioni qui considerate) non si è mai sentito il bisogno di «sistemare» le esperienze in qualche teoria e, di riflesso, non si è mai avvertita la necessità di sistemare in qualche teoria estetica la pluralità delle esperienze estetiche." <Questa assenza di teoria non è stata affatto considerata come una mancanza di teoria o come incapacità cronica di pensare in termini astratti e in forma sistematica e metodica: al contrario, si è sempre ritenuto che proprio i tentativi di elaborare teorie finiscano per limitare le esperienze abbassandone la qualità e diminuendone l'intensità. Questo tipo di rapporto, almeno per
quanto riguarda la civiltà giapponese, ci sembra sia stato efficacemente messo a fuoco da uno dei maggiori esperti italiani di cultura giapponese, (n.d.r. Gian Carlo Calza, docente di Ca' Foscari): "La civiltà giapponese è un ricettacolo di mezzi toni e sfumature, di spazi vuoti che non vanno subito colmati ma goduti come sono, di un'infinità di arti che hanno come scopo non il prodotto estetico ma l'atto che arricchisce il rapporto. Rapporto con le persone, rapporto con la natura, rapporto con le cose."> Giangiorgio Pasqualotto cita inoltre, nel suo libro, un pensiero di Cheng Yao tian, calligrafo della dinastia Ching, sulla padronanza del vuoto: "....È proprio grazie al Vuoto che sole e luna si muovono, che le stagioni si succedono; è da esso che procedono i diecimila esseri. Tuttavia il vuoto non si manifesta e non opera se non mediante il Pieno". Sì, il "Flusso" del ciclo ripetitivo delle stagioni che determina i cambiamenti che avvengono in natura, assieme alle forze invisibili che creano la forma di un albero, la forma di una montagna o una pietra ed all'energia che crea la vita ad ogni sua forma, sono i tre elementi che la visione giapponese della natura, identifica come parte di un regno totale cosmico, dovuto all'esistenza di un potere spirituale e riferentesi all'antica parola: "Musubi" letteralmente " nascita spirito", basata sul concetto di una vita che si genera spontaneamente. (da Martin Pauli).
"VUOTO & PIENO" Il concetto estetico di vuoto e pieno, nel giardino cinese, appartiene all'era moderna a seguito di influssi occidentali (vedi: pieno= shi; vuoto=xu ne: " da: l'architettura dei giardini cinesi" di Ma Zhongping 1988). A partire dalla fine del periodo Ming (1600) infatti, il labirinto, fondato in particolare sulla moltiplicazione di strutture architettoniche, diventa elemento primario con l'arrangimento spaziale di una serie ininterrotta di zone piene e zone vuote ove regna la compenetrazione degli spazi... In Giappone, secondo il prof. Pasqualotto, il "vuoto" assume il significato di "condizione di possibilità di tutti gli eventi"; e' un "non concetto". Non è " il nulla" e neppure il "non essere": è inscindibile dal pieno e sta alla base di tutte le cose: l'arte orientale ne fa il perno della propria espressività. Ma il Vuoto è in realtà un non-concetto che è possibile capire soltanto nella meditazione. Il buddhismo zen insiste molto sul fatto che la disquisizione teorica debba lasciare il posto all'esperienza pratica, focalizzata sulla pratica della meditazione: difficile se non impossibile teorizzarvi sù, se non si intraprende una impegnativa e profonda esperienza meditativa, assai poco professata, dalla maggior parte di noi. Osservazioni buddhiste sul vuoto e sulla vacuità, basate sull'esperienza Zen, tolgono sostanzialità e permanenza agli oggetti, all'io, ai pensieri fino al pensiero del vuoto. Ottuso è interpretare il vuoto semplicemente come un nulla,.invece di uno spazio che, fuori e dentro di noi, "si espande, in modo che l'osservatore possa meditare o fantasticare nella sua solitudine, permettendogli di assaporare la bellezza del nulla; penetrando il significato del vuoto." (vedi: Keido). Il prof. Pasqualotto ricorda come questo,
tuttavia, non significhi che il buddhismo zen ha l'ingenuità di ignorare la discussione teorica: al contrario, antichi testi ne dimostrano una conoscenza profonda, tale da prospettarne il superamento e mostrando i limiti dell'esperienza teorica. " Il rapporto con la realtà", egli nota "è quindi preferito al rapporto con i concetti, o almeno con quei concetti che pretendono di sostituirsi alla realtà.”
Torrente asciutto.... una ruga profonda nella texture di una pietra paesaggio. Una ferita lentamente erosa nella montagna, da innumerevoli stagioni piovose o dal disgelo. KATTE: IL FLUSSO. Flusso direzionale implicito di un suiseki... anche flusso dell'acqua di un torrente che non c'è; ma che tornerà ad essere ed a sparire, con l'alternarsi eterno delle stagioni. scrive Sato Teiseki, mercante e posatore di pietre: "Penso al ritmo del Katte hidari (pietra che verrà calpestato con il piede sinistro) e del migi Katte (pietra che verrà calpestata con il piede destro) quando sono alla posa di pietre"... © RIPRODUZIONE RISERVATA
www.tiberiogracco.it
"Woody Woodpecker" Marco Tarozzo Bonsai Creativo School-Accademia
www.bonsaicreativo.it
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pesso mi accade che quando vedo una pianta e non capisco nulla di quel che ho davanti, la pianta stessa entra a far parte del mio giardino. Ecco, questa è la storia di un ginepro che è arrivato nel mio giardino proprio per questo motivo. Ricordo come fosse ora ciò che pensai quando andai a trovare un amico che mi disse di aver preso 5 piante di Juniperus Chinensis in un vivaio specializzato, “ma che cavolo può uscire da dei prebonsai di questo tipo?” Come si può vedere dalle foto 1 e 2 l’albero ha un portamento diritto e cilindrico per i ¾ della sua lunghezza, i rami sono anch’essi diritti e ci-
lindrici e posizionati tutti nel terzo finale della lunghezza del tronco; l’unica cosa interessante è lo shari che parte dalle radici e sale quasi fino all’apice. Dopo circa un anno di coltivazione ho deciso che, vista la reazione alle concimazioni e alle cure per farla riprendere dallo stato pessimo in cui si trovava al momento dell’acquisto, sarei intervenuto per vedere che cosa si “nascondeva” dentro quel ginepro. Ho iniziato con la pulizia del tronco e dei rami per verificare se esistevano dei ritiri di linfa che potevano darmi la possibilità di movimentare il tronco lavorando la legna secca, e quindi assecondare il progetto che avevo in mente;
con lo spazzolino in acciaio, "un'unghia" ricavata da uno strumento da dentista e della carta vetrata ho iniziato il paziente ma necessario lavoro di pulizia. Il ginepro dopo le fasi di pulizia e di evidenziazione delle vene linfatiche si presentava come si può vedere nelle foto 9, 10. A questo punto, con l’ausilio di frese manuali, con lo scalpello e un martello ho agito sulla parte di tronco dritta e tubolare andando a enfatizzare lo shari, ho provocato quindi uno svuotamento ed un foro che ho successivamente allargato per rendere meno monotono quella parte e per dare il senso di una
pianta vissuta, preda degli agenti atmosferici e traumatizzata da agenti meccanici naturali. Successivamente, ho operato una prima modellatura senza pulire molto la vegetazione perché l’abero aveva subito una scortecciatura abbastanza importante per aumentare gli shari e il sabamiki e delle pieghe dei rami certamente non gentili; in questa fase, che era di primo step, m’interessava quindi solo l’abbozzo della forma del verde e non la definizione. Nella foto 16 si può vedere la pianta in primavera inoltrata dopo il trapianto in un
contenitore più piccolo di quello di coltivazione. Durante tutta la stagione vegetativa il ginepro ha goduto di concimazioni abbondanti e lunghe giornate in pieno sole, questo ha facilitato la sua ripresa e lo scarto dei rami è stato pressoché nullo. Ora era arrivato il momento di rimetterci le mani per avvicinarsi in maniera notevole al progetto che avevo in testa sin da quando ho iniziato a lavorare il legno e gli shari. L’idea era quella di fare uscire il caratte-
re del ginepro andando a enfatizzare le caratteristiche della specie; è noto a tutti che il ginepro è una pianta che vive in luoghi molto impervi e non è affatto raro trovare degli esemplari che vivono a stento e sono ridotti all’osso; ecco quindi che dovevo per forza togliere tanta vegetazione e drasticizzare molto l’albero per renderlo più naturale. L’occasione mi fu posta davanti quando andai alla manifestazione “Sotto il cielo d’inverno…” tenutasi al museo Franchi di Pe-
scia, lì c’era infatti un appuntamento accademico della Bonsai Creativo School-Academy con un seminario con il M° Suzuki. Quando arrivò il mio turno di presentare il progetto al maestro non riuscii a farmi capire bene, non lo vidi molto convinto e infatti mi disse di procedere con il lavoro senza tagliare l’api-
ce perché per lui la pianta doveva rimanere alta. Beh, io ero convinto di quanto avevo in testa ma operai come lui mi aveva indicato. Quando ripassò da me per vedere come procedeva il lavoro gli spiegai con più calma e con l’aiuto di un disegno il progetto, mi diede ragione e potei quindi procedere senza il timo-
re di andare in contrasto con il Maestro. Alla fine, vedi foto 21, anche il Maestro fu soddisfatto come me del lavoro eseguito. Ora un’altra stagione di concimazioni e pinzature per migliorare il verde e poi il posizionamento in un bel vaso italiano by Tiberio Gracco. Ah, dimenticavo, qualcuno si sarà chiesto perché Woody Woodpecher? Beh facile, guardate il Jin apicale…. buon bonsai © RIPRODUZIONE RISERVATA
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X° SO-SAKU BONSAI AWARD - Arcobonsai 6-7-8 Maggio 2011 Bene,
al di là di ogni aspettativa, sono pervenute numerose iscrizioni alla X° EDIZIONE DELLA SO-SAKU BONSAI AWARD che si svolgerà in occasione della XXVI EDIZIONE di Arcobonsai. Purtroppo non tutte le richieste sono state accettate per mancanza di spazi espositivi e per questo ci scusiamo con quanti hanno dato il loro contributo inviando le richieste di partecipazione. Inaspettatamente, sono pervenute e continuano a pervenire richieste di partecipazione e queste, secondo il regolamento pubblicato da tempo, risultano fuori termine per la selezione. Il 31 Gennaio 2011, data di scadenza ha dato il via alla seconda fase, quella della realizzazione del book fotografico che sarà inviato al M° Kimura Masaiko che assegnerà il I° riconoscimento in occidente per il bonsai contemporaneo. Il book, oltre alle immagini degli esemplari in concorso, contiene un breve reportage che illustra la storia per il raggiungimento di questo riconoscimento, la sede che ospita la X° edizione del premio per autori d'arte bonsai e la realizzazione del trofeo. ...Quelli della BONSAI CREATIVO, sperando di fare cosa gradita ai lettori del magazine, intendono dare anticipazioni della copertina del book e del trofeo che sarà assegnato, auspicando sia un ulteriore contributo alla crescita del bonsai italiano. Colgo l'occasione per ringraziare tutti coloro che hanno reso realizzabile questo progetto divulgativo: in primis il M° Kimura Masaiko, Massimo Bandera per la collaborazione, la Sig.ra Sawa Nakamura per le traduzioni, Gabriele Sbaraini e lo staff di Arcobonsai per averci concesso l'opportunità di svolgere l'evento in una sede tanto prestigiosa quanto nota, Silverform per la realizzazione dello splendido premio essenziale e rappresentativo, Printer S.r.l. per la realizzazione del book fotografico, Il Napoli Bonsai Club Forum, Bonsai & Suiseki magazine per la pubblicizzazione dell'evento. A tutti gli aderenti un vero ringraziamento di cuore per il contributo che hanno dato con la presenza delle proprie opere. Grazie! Sandro Segneri
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UNA GRANDE FAMIGLIA CHE CRESCE! ...Quelli della Bonsai Creativo School, a braccia aperte danno un affettuoso benvenuto a tutti i nuovi allievi e alle nuove sedi costituite. Quattro sono le sedi che si aggiungono a quelle esistenti e così diventano venti. CERRETO GUIDI, LIVORNO, CATANZARO, PISTOIA ed il terzo corso base decolla nella sede di Napoli . Ai coordinatori Francesco Santini, Davide Lenzi, Cosimo Fragomena, e Roberto Raspanti, auguriamo un proficuo lavoro, ai neo allievi un percorso di conoscenza e successi.
W BRUNO, IL TALENTO BCS 2011 In Aprile in occasione del Congresso Nazionale UBI, come consuetudine si svolgeranno le selezioni del Talento Italiano, al caro Bruno Proietti Tocca diamo il nostro sostegno nella certezza che la sua semplicità e capacità saprà rappresentarci degnamente. "In bocca al lupo Bruno! "
...nel prossimo numero:
"NIGHT AND DAY"
ultima opera di Sandro Segneri
rocco_ciccia111@hotmail.it
Iniziamo per una volta dal cuore dell'intervista, raccontaci subito come ti sei sentito appena proclamato nuovo istruttore IBS. Sono sempre stato schietto e sincero ed anche questa volta lo sarò. A dire la verità non è che ho provato chissà quali emozioni, mi sono sentito semplicemente soddisfatto e contento in quanto avevo raggiunto una gratificazione personale al termine di un percorso didattico formativo.
Una delle cose che mi hanno colpito di te è l'apparente contrasto tra la “rigidità” del tuo lavoro ed il senso di libertà che esprimono le tue piante, anche secondo te Rocco Cicciarello ha due anime? Assolutamente si, quando sto insieme ai miei pargoli, sono un’altra persona sicuramente molto lontana, ed aggiungo fortunatamente, da quella che conoscono nell’ambiente lavorativo.
Prima di ritornare sull'argomento principale, ci racconti qualcosa del Rocco nel suo privato? Rocco è un ragazzo tranquillo, spesso taciturno, riflessivo e concreto che quando si mette in testa un obiettivo lo deve raggiungere quindi un determinato che sa quello che vuole e come raggiungerlo.
Tornando sempre al tuo lavoro, immagino che il tempo che ti rimane da dedicare alle tue piante non sia moltissimo, occupartene è un impegno o ancora un piacere? E’ un piacere personale e difficilmente me ne priverei… se fosse stato un impegno e quindi un qualcosa di opprimente o stressante non lo avrei fatto. Più che piacere, però, direi meglio che è passione pura !!!
Il panorama bonsaistico Siciliano è tra i più promettenti, talento italiano lo scorso anno, due nuovi istruttori IBS quest'anno, un gran numero di club attivissimi, secondo te, a che livelli può arrivare il bonsai nella tua Regione? Beh che la Sicilia sia terra ricca di talento in tutti i settori non è una novità e non lo devo dire certo io e anche nel bonsai ha già sfornato personaggi che hanno detto la loro nel panorama Nazionale ed Europeo quindi il bonsaismo Siciliano direi che è già a buon livello in tutti settori, dai materiali raccolti al livello qualitativo e tecnico degli addetti ai lavori, i quali proprio negli ultimi anni, grazie alle presenza delle diverse scuole bonsai, stanno crescendo davvero velocemente. Io personalmente penso di esserne un esempio. Infatti da autodidatta non credo, ad esempio, sarei riusci-
to a crescere sino a sentirmi pronto a sostenere l’esame da IBS. In Sicilia, e lo dico con schiettezza e con un piglio volutamente polemico nonché con la consapevolezza che in molti si irrigidiranno, da quello che ho potuto constatare, ci sono potenzialità incredibili che se solo fossero mentalmente predisposte e propense allo scambio ed alla crescita ovvero se solo riuscissero a mettere da parte la presunzione, che contraddistingue il siciliano medio, quindi si dimostrassero un po’ più umili e scendessero dal piedistallo dove si sono autoposizionati farebbero faville. Infatti vedo spesso super materiali, lavorati più o meno bene, che vengono presi ad esempio come grandissimi capolavori dalla massa, quando invece mancano di rifinitura e manutenzione mirata all’invecchiamento ed alla stabilizzazione in vaso, vedo spesso bonsai maturi non correttamente cimati o concimati come prebonsai in formazione, insomma errori gravi che denotano lacune nella formazione di base….Infatti per me è proprio questo il settore in cui i bonsaisti siciliani della nuova generazione, a mio modesto avviso, devono concentrare gli sforzi e le attenzioni future. Quando mi chiedi dove può arrivare il bonsai in Sicilia beh, come già detto, ritengo che ci siano potenzialità enormi che devono essere sapientemente indirizzate e solo quando si raggiungeranno determinati livelli di coltivazione e manutenzione si potrà tranquillamente aspirare a traguardi ambiziosi. Fino a quel momento saremo, come giustamente hai scritto, solo “Promettenti”. Mio personale pensiero ovviamente!!! Torniamo ancora alla tua nomina ad Istruttore IBS, la vivi più come il raggiungimento di un obiettivo o un nuovo punto di partenza? La vivo come il raggiungimento di un traguardo personale ed al contempo un nuovo punto di partenza in quanto ho già percepito, dalle domande che ricevo, che da me adesso ci si aspetta sempre qualcosa in più… io ci proverò, vediamo cosa riesco a fare per non deludere le aspettative. So già comunque che sarà dura mantenere il passo!!! Ancora sullo stesso tema, cambierà qualcosa ora nel tuo modo di approcciare i tuo allievi? Non ho allievi quindi non so cosa rispondere, magari tra qualche anno . Cambiamo decisamente argomento raccontaci com'è il Rocco bonsaista.
Metodico, pignolo, attento e scrupoloso. Cerco di curare i dettagli sempre e quando sbaglio… beh meglio che mi si stia lontani per qualche ora…. Considerando i materiali che la tua regione offre, sarebbe facile immaginare una tua propensione per le latifoglie, è effettivamente così o hai altre preferenze? Si ho iniziato proprio con le latifoglie ed ho continuato con i materiali yamadori che la Sicilia offre quindi prevalentemente latifoglie, ma non disdegno le conifere autoctone quali i ginepri comuni, fenici e cipressi. Se proprio devo scegliere, comunque, preferisco le essenze mediterranee per eccellenza quindi prevalentemente latifoglie nonostante ci voglia tanto tempo per costruire una buona struttura rameale. Il bonsai è una delle arti più dinamiche per eccellenza, nella tua bonsai do, a che punto pensi di essere? Al primo gradino di una lunga e ripida scalinata. Da più parti si sente parlare sempre con maggiore frequenza di “avanguardia”. Tu pensi che il bonsai debba rimanere fedele alle sue origini o è arrivato davvero il momento di dare una svolta anche estetica ed alle regole di base fin'ora universalmente accettate? Penso che ogni tanto evadere dalle regole sia lecito specie se si è ormai arrivati a quella fase evolutiva della propria bonsai do in cui si sente la necessità di creare artisticamente qualcosa di diverso ovvero si è giunti alla fase SO ma un occhio alle regole classiche bisogna sempre tenerlo. Nel tuo percorso formativo una parte rilevante l'ha occupata Michele Andolfo, oltre lui, hai avuto altri maestri che hanno lasciato il segno? Altri Maestri no, diciamo che ci sono state altre persone, a me vicine, che mi hanno trasmesso qualcosa sia in termini di esperienza che di tecnica e gliene sono grato. Passando ora dalla parte dell'allievo a quella dell'istruttore, cosa vorresti lasciare in ognuno dei tuoi allievi, e cosa vorresti che ognuno di essi pensasse di te? Mi piacerebbe riuscire a trasmettere qualcosa di concreto, una metodologia di lavoro, lasciando poco all’improvvisazione ed all’appros-
simazione senza però limitare l’estro creativo. Mi basterebbe che pensasse che sono in grado di spiegare e trasmettere qualcosa. Da buon frequentatore di internet e dei forum, quanto pensi che questi strumenti possano essere d'aiuto a chi vuole fare bonsai e quanto fuorvianti? Utili sono utili e si può apprendere tanto da
quello che viene pubblicato su questi mezzi, fuorvianti lo possono essere se non si pondera bene ciò che viene proposto, tutto dipende dalla perspicacia del singolo…. Nella formazione di un neofita, pensi che una fase da autodidatta possa essere utile o è meglio affidarsi sin da subito ad un istruttore?
Personalmente non ho avuto una fase da autodidatta, ho subito iniziato un percorso didattico formativo quindi, per la mia esperienza personale, non posso non consigliare a tutti i neofiti di affidarsi sin dai primi passi ad una persona esperta che sappia curare la loro crescita dal punto di vista tecnico ed estetico. Sempre a proposito di istruttori, a tuo avviso quali dovrebbero essere le qualità fondamentali che deve possedere un buon istruttore? La pazienza, la serietà di intenti e la correttezza oltre che un bagaglio tecnico di prim’ordine. Chiedo anche a te quello che ho chiesto a molti altri amici, ultimamente sembra che si possa fare bonsai di qualità solo ed esclusivamente se si hanno tra le mani piante dai prezzi esorbitanti. Pensi che questo corrisponda al vero, o la qualità si può estrapolare anche dai materiali più “poveri”? Certo che si può fare bonsai di qualità anche con materiali cosiddetti “poveri”. Se proprio dobbiamo dirla tutta da questi materiali si ottengono le maggiori soddisfazioni bonsaistiche. Pensate al materiale da cui sono partito con la mia buganvillea. I materiali importanti, magari provenienti dal sol levante, molte volte sono solo ripieghi più che giustificati visti i prezzi che hanno raggiunto i materiali autoctoni italiani oppure sono manovre commerciali o pubblicitarie per richiamare l’attenzione delle masse e pertanto non devono assolutamente influenzare o scoraggiare chi volesse apprendere quest’arte senza per forza sostenere spese esorbitanti. Ci racconti come e quando ti sei avvicinato al mondo bonsai? Mi avvicinai al bonsai quasi per sfida, Infatti mi ero ripromesso che dovevo riuscire a far sopravvivere una zelcova che avevo regalato ad una persona. Iniziai quindi a leggere libri e riviste e domandare a tutti quelli che conoscevo che avevano una qualche dimestichezza con questi alberelli. Ricordo ancora il mio primo libro prestatomi da colui che oggi è il Presidente del Bonsai Club Messina Pippo Sfravara, era uno dei primi libri di Peter Chan, e lo lessi con una tale avidità che lo finii praticamente in una serata. Prima di chiudere questa intervista ti vorrei chiedere da quante e quali piante è formata la tua collezione. Non tantissime, diciamo una ventina di pezzi. Tutti yamadori autoctoni quindi Olivastri, Mirti, Sughere, Ginepri Fenici ed Emisferici, Tassi e Melograni. Penso sia composta dal giusto numero, ovvero con queste riesco, personalmente, per quelle che sono le mie abitudini, a gestirle e manutenerle correttamente mantenendo un buon livello qualitativo. Con l'augurio che questo traguardo sia un trampolino per un futuro ricco di soddisfazioni, ti chiedo un saluto per i nostri lettori. Grazie a voi per l’opportunità che mi avete voluto dare e per gli auguri che mi fate nonché per le bellissime parole che mi avete dedicato nella prefazione. Buon bonsai a tutti. Ad majora!!! © RIPRODUZIONE RISERVATA
Bonsai su roccia
I
l significato di questa rappresentazione è scenograficamente forte, come si usa dire in ambiente teatrale: “la pianta che cresce su una roccia, che con le sue radici se ne impadronisce, è il dominio prepotente della natura, è la sopravvivenza che supera ogni ostacolo ed ogni difficoltà. L’albero, con al sua forza prorompente, si impianta sulla roccia essa stessa materia inerte - che pure saprebbe reagire disgregandosi, formando crepe dalle quali l’albero non potrebbe reagire. All’attento osservatore risulta sconvolgente questa intima fusione alla quale pervengono questi due elementi della natura in cui sembra che l’albero svetti, sovrastando la roccia, con un aspetto superbo, da dominatore. La base delle radici ed il nebari sono l’origine, il punto di emergenza dell’espressione della pianta. Questa esprime la vitalità, la stabilità, il mordente. E’ importante soffermarsi su questa caratteristiche poiché questo tipo di impianto si focalizza proprio sull’estetica delle radici. Questo stile non è particolarmente seguito; probabilmente per la difficoltà nella realizzazione, legata non certo a fattori tecnici ma artistici; probabilmente perché la massa dei bonsaisti si ritrova tutta
presa dalla singola pianta e anche perché lo stile su roccia pretende molta percezione creativa e spiccato senso estetico per ricreare questo spaccato della natura. Anche in questo caso la forma della pianta assume aspetti diversi in rapporto alla roccia e alle condizioni ambientali nelle quali si pensa sia vissuta. Il diametro e l’inclinazione del tronco sono due caratteristiche indipendenti che sono influenzate dalla silhouette della roccia assieme all’organizzazione dei rami, alla loro distribuzione lungo il tronco e al loro orientamento. Una cascata o semicascata, se l’albero è cresciuto sulla parete di un dirupo, a picco su una gola o altro. Un eretto casuale su una pietra bassa, quindi su una collina, un literati cresciuto in condizioni difficili, nella fessura di un dirupo. Queste le rappresentazioni classiche finora viste di un ishizuke. In queste composizioni il grado di difficoltà è dato dall’accostamento fra questi due elementi accostamento che affinché riesca deve rispettare taluni canoni che, nel rispetto delle caratteristiche proprie di questi due elementi: albero roccia - dia una esatta rappresentazione e un esatto concetto della Natura.
COME CREARE UN BONSAI AGGRAPPATO ALLA ROCCIA - Il primo obiettivo è quello di fare sviluppare e la giovane piantina e le radici; la pianta è rinvasata in un comune vaso con una adeguata miscela di terriccio e, per permettere un ulteriore sviluppo in lunghezza delle radici è stato allestito un contenitore con assi di legno, molto profondo dove per oltre un anno il ficus è stato lasciato. Al momento opportuno dell’impianto dell’albero sulla roccia sarà scelto il fronte che dovrà accordarsi con il fronte dell’albero e con il suo futuro andamento. Anche le dimensioni del Bonsai si devono naturalmente accordare con le dimensioni della roccia così come l’inclinazione di quest’ultima deve armonizzarsi con l’andamento del tronco. STILE NELLA ROCCIA - In questo caso la pianta radica dentro la roccia; la sensazione che questa composizione trasmette rievoca sempre la montagna, un burrone, una parete rocciosa o un isolotto. Quindi, a differenza dello Stile sulla roccia, l’albero viene impiantato nella cavità di una roccia. L’errore visivo più ricorrente è quello di scegliere alberi troppo grandi rispetto alla roccia: a causa di questa sproporzione il risultato è artificioso, innaturale. Al
contrario, giovani piantine non si adattano all’impianto su roccia poiché non avranno mai l’aspetto di soggetti vetusti. L’ideale sarebbe l’utilizzo di mame o shoin che, per qualche motivo non sono idonei all’impianto singolo e che in questo modo trovano un altro impiego. Alcune caratteristiche della pianta sono: • non deve possedere una fitta ramificazione; • la vegetazione non deve essere abbondante; • gli stili da impostare sono quello inclinato, semicascata e cascata; • il soggetto deve possedere un apparato radicale fibroso, compatto e vistoso; • scegliere una varietà tenendo conto delle condizioni particolari in cui vivrà, preferendo quelle particolarmente resistenti e che non hanno bisogno di eccessiva umidità; • scegliere con attenzione, per quel che riguarda la pietra, la forma, il colore e la granulosità: una pietra inadatta annullerà la bellezza della pianta.
I disegni che completano l’argomento puntualizzano il principio su cui si basa la silhouette della pianta nella roccia: quello della forma triangolare. Questa forma ha, in questo caso, un forte valore simbolico. La forma triangolare permette di esprimere la stabilità: un triangolo equilatero o isoscele simbolizza un albero perfettamente equilibrato, i due lati sono uguali. L’addolcimento dell’angolo dell’apice suggerisce l’arresto dello sviluppo. La disposizione di più triangoli permette di creare una silhouette complessa. La ramificazione di un ramo si iscrive più o meno dentro n triangolo. Due triangoli contigui possono confondersi allorchè i rami sono alla stessa altezza. Potete rendere più interessante il vostro bonsai con l'introduzione di uno o più elementi rocciosi, un blocco singolo può rappresentare una rupe, una maestosa montagna o uno scoglio isolato. Un gruppo di piccole rocce posizionate sul terriccio del bonsai, come se affiorassero dal terreno, possono ricreare l'ambiente nel quale la pianta vive in natura. Si può utilizzare una roccia piatta o una lastra di pietra per conferire un aspetto più naturale alla composizione. LA SCELTA DELLA ROCCIA - Il primo passo da compiere per la realizzazione del progetto è quello di reperire una roccia interessante; in un secondo momento si procederà alla selezione di piante adatte che ne mettano in risalto la bellezza e che si armonizzino al progetto d'insieme. Esistono una serie di rocce, ma ve ne sono di più o meno idonee per l'impiego nel bonsai. L'ideale sarebbe selezionare una qualità che non si crepi. Deve inoltre presentare colorazione, forma e tessitura esteticamente gradevoli. Nel mondo bonsaistico è molto nota la roccia giapponese Ibigawa: è un
conglomerato vulcanico, un composto di diverse qualità di roccia saldate insieme dal calore del vulcano. Il marmo e i quarzi sono da evitare per lo splendore luccicante della loro tessitura che distrarrebbe l'occhio dell’osservatore dalla pianta. Rocce sedimentarie come l'arenaria non sono adatte per un inconveniente pratico: il gelo potrebbe causare delle crepe lungo le linee di stratificazione. Nemmeno le rocce tenere sono idonee a questi stili perché sono soggette a rapida erosione. Tuttavia rocce tenere non sedimentarie come pietra lavica e tufo possono essere scolpite per ricavarvi una cavità dove sistemare la pianta. MATERIALE PER STILI NELLA ROCCIA - La roccia è la parte più importante del progetto, poiché in base ad essa verranno scelti tipi e dimensioni di piante che si intendono utilizzare. Una roccia liscia e arrotondata suggerisce la presenza di acqua e può essere abbinata a piante che crescono vicino a fiumi o a laghi, come i salici. Se si sceglie una roccia simile a una rupe, dovrete abbinarla a specie che vi aspettereste di trovare in una zona montuosa. E’ indispensabile prestare particolare attenzione alla forma e al tipo di roccia. Dovrà avere un aspetto interessante: è impossibile riuscire a creare un bonsai accattivante con una roccia dall'aspetto anonimo o insignificante. In particolare, occorre scegliere una roccia con un aspetto naturale; d'altra parte la natura ci offre una gamma così ampia di rocce dalle forme più fantasiose e i suisekisti ne sanno qualcosa! PROGETTAZIONE DI UN ALBERO NELLA ROCCIA - Esaminare ogni lato della roccia per scegliere quello migliore che costituirà il `fronte del progetto. Poi occorre stabilire la scala in cui il progetto dovrà essere realizzato, se la roccia dovrà rappresentare una montagna, una rupe o altro. Da questo dipende la scelta del materiale vegetale adatto: un gruppo di piccoli alberi farebbe apparire la roccia enorme, vista da grande distanza, mentre un singolo albero di due terzi
circa della roccia la farà apparire relativamente piccola. Per gli impianti nella roccia è necessario impiegare dei fili di ancoraggio per fissare le piante alla roccia. Tagliare un pezzetto di filo metallico e appoggiare al centro un bastoncino oppure un qualunque oggetto appuntito del diametro di circa 6 mm. Rigirare il filo intorno al bastoncino una sola volta per formare un anello con due lunghi prolungamenti. Sfilare il bastoncino, tenere fermo l'anello con una pinza e ripiegare le due lunghe estremità verso l'alto. Incollare l'anello alla superficie della roccia lasciando libere le estremità. Realizzare diversi fili di ancoraggio in questo modo per creare una rete sufficiente ad assicurare le radici di tutte le piante. Le lunghe estremità ai lati dell'anello assicurano le radici. SCELTA DEL MATERIALE • Utilizzare un forte adesivo impermeabile, come l'epossido di resina per fissare gli anelli di filo metallico nei punti della roccia dove sistemare le piante. Incollare un numero sufficiente a creare un reticolo che ricopra tutte le radici. • Premere uno staro di poltiglia di torba (una parte di torba ed una parte di argilla impastate con acqua per formare un composto appiccicoso) nel punto dove si è deciso di alloggiare la pianta. • Posizionare la pianta e allargare le radici sulla poltiglia. Ricoprire le radici con altro composto di torba. • Incrociare i fili di ancoraggio sopra le radici. Per fissarli utilizzare le pinze per filo, attorcigliando i fili senza danneggiare naturalmente le radici, quindi sistemare la pianta nel sito prescelto. • Pressare altro composto di torba sulle radici della pianta in modo da coprirle completamente. Mantenere il composto umido, utilizzando uno spruzzatore, fino all'applicazione del muschio. Il muschio deve essere tenuto a bagno per diverse ore prima di essere applicato. • Tappezzare il composto di torba con il muschio imbevuto di acqua e sistemare la
roccia in un vassoio aggiungendo ghiaietto fine. COME
ASSICURARE
LE
RADICI
ALLA
ROCCIA
• Utilizzare un uncino metallico per pettinare le radici. Accostare diversi pezzi di roccia all'apparato radicale per scegliere quello di forma più idonea. • Distribuire le radici sulla roccia. Mentre sono tenute in posizione, occorrerà assicurare le radici prima in cima, poi al centro e infine alla base. • Le radici dovranno essere strettamente bendate contro la roccia e ricoperte per evitare crescite orizzontali. Lasciare libere le radici oltre la base della roccia. • Con tronchesine per rami a taglio concavo, potare drasticamente l'albero, lasciando non più di una o due gemme per branca. • È indispensabile conservare l'umidità per la crescita delle nuove gemme. Sigillare i tagli con cicatrizzante o pasta appositi per prevenire la disidratazione. • Coprire interamente le radici e la roccia con
sabbia fine, fino alla base del tronco. Non sono necessari altri accorgimenti. • Innaffiate quotidianamente la pianta, ma riducete le innaffiature in inverno. Concimate ogni 2 settimane in estate. Potare i nuovi getti a 1-2 gemme dal tronco. Trascorso un anno dall'invaso seguire i seguenti passaggi. • A fine inverno oppure a inizio primavera, cimare approssimativamente i rami ed estrarre la pianta dalla sabbia. Lavare via tutta la sabbia con un getto d'acqua. • Tagliare il nastro di plastica con piccole forbici, facendo attenzione a non recidere le radici. Tagliare e svolgere il nastro fino a liberare completamente roccia e radici. La radice principale ora segue il profilo della roccia • Le radici dovrebbero presentarsi irrobustite saldamente aggrappate alla roccia. • Quando le radici si saranno sviluppate in modo soddisfacente, sarà il momento di scegliere il fronte del bonsai e trapiantate l'albero in un vaso bonsai. © RIPRODUZIONE RISERVATA
LA FREQUENZA Per quanto riguarda la frequenza delle annaffiature essa dipende dalle singole specie quindi a seguito si daranno solo alcune norme: - le conifere, pini, cedri, abeti, ecc. preferiscono rimanere leggermente secche prima di essere nuovamente bagnate, questo fatto facilita l'attecchimento dei funghi simbionti che instaurano la micorizza tanto utile alla vita delle piante appartenenti a questo ordine di vegetali; - le azalee, gli aceri, i faggi, gradiscono che il terriccio risulti costantemente umido; - gli alberi da fiore così come i fruttiferi, necessitano di un maggior apporto d’acqua durante i periodi della maturazione dei frutti, meno durante la fioritura; - le caducifoglie gradiscono abbondanti annaffiature durante il periodo primaverile. Tutti gli alberi da interno hanno necessità di essere nebulizzati con frequenza e regolarmente innaffiati nel periodo invernale quando l'atmosfera degli appartamenti in cui sono ricoverati è particolarmente secca a causa del riscaldamento domestico. In natura ogni albero si costruisce un apparato di ricezione che è in grado, in perio-
di di particolare siccità, di fornirgli un sufficiente apporto idrico, le necessità della pianta possono poi essere, entro certi limiti modificate, dalla medesima, agendo sull'apparato di traspirazione. Le possibili azioni si dividono in due tipi, una tropica, che agisce sull'orientamento delle foglie rispetto all'incidenza dei raggi solari, l'altra fisiologica, che agisce sulla quantità di superficie traspirante attraverso l'essiccamento e la perdita delle foglie. Per gli alberi la totale mancanza d'acqua anche per periodi limitati è dunque grave quanto un prolungato eccesso. L'acqua è indispensabile per assorbire le sostanze nutritive dal suolo e per portarle all'interno della struttura. Essa interviene in tutti i processi fisiologici del vegetale. La quantità minima d’acqua contenuta nel terreno è di norma prossima al 25% del volume del medesimo. Alla presenza di percentuali inferiori d’acqua, la maggior parte delle specie arresta i suoi processi fisiologici. Le cellule cessano di funzionare per mancanza idrica, il permanere di questa condizione porta inevitabilmente alla morte la pianta. E' impossibile stabilire l'esatta frequenza d’irrigazione di un bonsai.
II parte
Conoscendo le variabili che modificano od interferiscono sulle necessità idriche degli alberi si potrà però trarre dei buoni elementi di valutazione. Le prime variabili sono quelle climatiche, quindi quelle pedologiche, quelle specifiche delle singole piante riguardo alle aree di provenienza, quelle ambientali, quelle stagionali, quelle fisiologiche, quelle legate allo stato di salute ed alle situazioni patologiche in cui incorrono le piante. Analizziamole nel dettaglio: - VARIABILI CLIMATICHE • Durata dei periodi d’irraggiamento solare; • Esposizione al sole, periodo d’esposizione, tempo d’esposizione; • Esposizione al vento, periodo d’esposizione, intensità del vento, durata dell'esposizione; • Periodicità e tipologia delle precipitazioni; • Esposizione alla pioggia, intensità dell'evento, durata dell'esposizione. •Temperatura; - VARIABILI AMBIENTALI • Umidità ambientale; • Barriere frangivento naturali od artificiali;
• Strutture ombreggianti naturali od artificiali; • Collocazione all'interno od all'esterno del bonsai; - VARIABILI QUELLE
FISIOLOGICHE
LEGATE
A
STAGIONALI, PARTICOLARI
• Il riposo invernale, il riposo estivo; • La ripresa vegetativa; • La fioritura; • La fruttificazione; • La potatura; • La defogliazione; INTERVENTI AGRONOMICI
- VARIABILI PEDOLOGICHE • Tipo del terriccio e caratteristiche delle mescole; • Tipo del drenaggio; • Dimensioni e profondità del vaso; • Materiale del vaso; - VARIABILI SPECIFICHE • La specie di pianta; • La provenienza; • Le varietà e gli eventuali cultivar della specie.
La mancanza o l'eccesso d'acqua, entrambi deleteri per le piante, hanno come risultati effetti simili. Questi due eventi danneggiando la cuticola delle radici pongono queste in condizione di non poter più assolvere il loro compito e quindi gli effetti sulla pianta alla fine lo è stesso. L'eccesso d’acqua è di norma più grave della mancanza perché questo è di solito accompagnato da ristagno di liquido nel contenitore dovuto a scarso drenaggio. Siccome le radici hanno bisogno d’ossigeno per svolgere le loro funzioni fisiologiche, se il terreno è inzuppato per molto tempo, queste possono asfissiare, con il conseguente imputridimento delle loro parti terminali. L'eccesso d'acqua costituisce poi un ottimo ambiente per la proliferazione di funghi patogeni che possono aggravare ulteriormente la situazione di marciume dell'apparato di suzione. L'albero all'inizio utilizzerà il liquido contenuto nei tessuti per evaporarlo attraverso le foglie e termoregolare la chioma. Mancando l'apporto di nuovo liquido da parte dell'apparato radicale, l'albero finirà per morire disidratato, anche se il terreno sarà in ogni modo impregnato d’acqua. Allo stesso risultato si giunge se nel terreno manca umidità, le punte radicali seccano causando la morte per disidratazione. Se ci si rende conto per tempo degli stati di ristagno d'acqua o di siccità, questa situazione è di norma reversibile, il tempo d'intervento dipende dalla specie del vegetale e dalle condizioni del substrato. La maggior parte dei bonsai tuttavia, soprattutto le conifere, deve rimanere in pieno sole tutto l'anno pertanto nel periodo più caldo o ventoso dovranno essere irrigati due volte al giorno scegliendo gli orari serali e quelli intorno a mezzogiorno. Durante l'irrigazione serale la pianta ha tempo di reidratarsi completamente con l'umidità della notte, grazie anche all'effetto importantissimo per la lucentezza dei colori fogliari, della rugiada, e nel caso di una bagnatura quotidiana questa è la soluzione migliore. Nei periodi invernali la bagnatura non va dimenticata, soprattutto se fa molto
freddo. Questo problema è legato ai bonsai di qualità coltivati in terricci molto drenanti che si asciugano anche in inverno, soprattutto nel caso delle conifere, Anche con temperature al di sotto dello 0° i bonsai devono essere bagnati una volta a settimana almeno, durante le ore più calde della giornata, non curandosi dell'eventuale formazione di ghiaccio. Molte volte i bonsai muoiono nei periodi invernali non solo per le temperature, ma per i colpi di secco. PIANTA ENTRATA IN SOFFERENZA PER ECCESSO D’ACQUA. In pratica si realizza questa situazione quando la quantità d'acqua presente nel substrato è maggiore di quella che la pianta può assorbire e disperdere nell'ambiente circostante. Spesso questa situazione s’ingenera in conseguenza di un periodo protratto di siccità che comprometta l'apparato radicale. Cause dell'eccesso d'acqua nel terreno sono: mancanza di drenaggio, terreno troppo compatto fori di drenaggio ostruiti, eccessive annaffiature alla presenza di limitata attività vegetativa della pianta, temperatura superiore ai 35°C., temperatura al di sotto dei 5°C., annaffiature quotidiane e cospicue alla presenza di defogliazione totale della pianta, continue annaffiature in situazioni dove l’apparato radicale è compromesso. Il modo d’intervento consiste in primo luogo nella rimozione della causa principale del ristagno di liquido nel terreno. Una ragionata riduzione della quantità d'acqua da fornire alla pianta. MANCANZA DI DRENAGGIO Non è quasi mai l'unico motivo della sofferenza delle piante in vaso, infatti, questa si manifesta sempre per la presenza d’altre concause tutte raggruppabili nell’eccessiva fornitura di liquido all'albero. E' chiaro che un terreno con buon drenaggio eliminando naturalmente l'eccesso d'acqua renderà inefficaci la stragrande maggioranza degli altri possibili motivi del ristagno idrico. E' quindi imperati-
vo quando ci si trova alla presenza di piante invasate in terreni privi di drenaggio operare subito il rinvaso delle stesse. Durante un periodo incompatibile con tale pratica, occorrerà diradare le annaffiature dando tempo alla pianta di assorbire l'acqua. Prima di fornire nuove annaffiature, porre il bonsai possibilmente in zona soleggiata e ventilata, evitare che la zolla venga, durante le annaffiature, inzuppata in modo eccessivo. Innaffiare poco per volta ed ad intervalli ravvicinati è in ogni caso il modo migliore perché il liquido sia fornito in maniera compatibile alle reali necessità dell'albero. Appena il periodo sarà favorevole attuare il rinvaso. In questo caso il terreno dovrà essere sufficientemente permeabile. Quando il volume del vaso è notevole e la sua profondità è relativamente alta, si consiglia di attuare la pratica descritta al capitolo " Trapianto, invasatura e rinvaso ", si ricordi che la granulometria del substrato dei rinvasi si riduce gradualmente dal fondo del vaso verso la superficie. TERRENO TROPPO COMPATTO Questa situazione è una tra le più ambigue che un bonsaista possa incontrare nelle sue pratiche culturali, infatti, questo tipo di terriccio, essendo di difficile annaffiatura, può ingenerare indifferentemente situazioni di seccume o di ristagno. Il terreno è troppo compatto deriva da materiali limosi che addensandosi lo rendono pesante ed asfittico, di norma questi terreni hanno una granulometria compresa tra 0,2 e 0,02 mm., sono d’origi-
ne fluviale o lacustre contengono grandi quantità percentuali di materiali calcarei e parecchi silicati. A volte i terreni pesanti sono anche di tipo argilloso questi hanno granulometria inferiore agli 0,02 mm., entrambi questi terreni a contatto con l'acqua, a causa dell'imbibizione dei colloidi costituenti i granuli, creano tratti superficiali impermeabili che impediscono al liquido di penetrare in profondità, l'unico modo di raggiungere con L’annaffiatura l'interno della zolla consiste nel lasciare per qualche tempo il vaso immerso in acqua in modo che questa possa penetrare tutto il materiale. E' ovvio che come sia difficile all'acqua penetrare la compattezza del terreno altrettanto difficile sarà l'eliminazione dell'eccesso di liquido accumulato. Anche in questo caso l'unica soluzione consigliabile è quella riportata al paragrafo precedente. Nella preparazione del terriccio per i rinvasi occorre avere l'accortezza di passare i materiali base sempre al vaglio, questo non dovrà mai avere le maglie di diametro inferiore a 2 mm., infatti, come abbiamo visto i materiali polverosi tendono a compattarsi creando terreni pesanti. FORI DI DRENAGGIO OSTRUITI Col tempo, a causa del degrado e della conseguente perdita di granulometria, i materiali torbosi di rinvaso tendono, sotto la pressione dei liquidi in uscita, ad ostruire i fori di drenaggio dei vasi, facilitano il formarsi di questa situazione le stesse reticelle poste sul fondo dei vasi e le eventuali radichette che
fuoriescono dai fori stessi. Questa condizione, facilitando il ristagno dei liquidi sul fondo del vaso quando il consumo idrico della pianta è limitato, tende ad ingenerare sofferenza nella stessa. Anche in questo caso la pianta richiede di ricambio del terreno. In prima approssimazione si può estrarre dal vaso la zolla ed asportare tutto il materiale sottostante, la reticella di protezione del foro di drenaggio, operazione facilmente eseguibile con una semplice forbice da radice. ECCESSIVE ANNAFFIATURE IN PRESENZA DI SCARSA ATTIVITÀ VEGETATIVA DELLA PIANTA La scarsa attività vegetativa della
pianta può nascere da condizioni climatiche, colturali o patologiche. Sono condizioni quelle climatiche legate a periodi d’intense e continuate precipitazioni alla presenza di temperature al di fuori dei limiti di vegetabilità (indicativamente per le piante che si usano nella costruzione dei bonsai, meno di 5°C. e più di 35°C, latenza invernale od estiva). Sono condizioni quelle colturali legate ad interventi agronomici particolari, drastiche potature defogliazioni totali, oppure errori di concimazione. Sono condizioni patologiche quelle di compromissione dell'apparato di suzione della pianta. In ognuno di questi casi occorrerà ridurre la fornitura d’acqua, nel caso la soffe-
renza del nostro bonsai abbia già agito sull'apparato radicale, quindi intervenire al più presto con il rinvaso. In quest’eventualità accorrerà eseguire la pulizia della radice danneggiata e conseguente disinfezione dell'intero apparato con benomil, tiofanato Metile o Captano sarà bene aggiungere, nelle dosi consone, il disinfettante anche al terreno di rinvaso. APPARATO RADICALE COMPROMESSO A CAUSA DEL PROTRARSI DI UNO STATO DI SICCITÀ. Nella maggior parte delle specie, questa situazione di sofferenza è reversibile, anche se ciò dipende, in linea di massima, dal tempo della carenza idrica. In questo caso il primo intervento è di controllare se esiste ancora una sufficiente idratazione dei tessuti verdi dell'albero: FOGLIE a) se queste pur essendo verdi sono secche (si sbriciolano sotto la pressione delle dita) occorre asportarle completamente con le forbici in modo che il picciolo rimanga sul ramo (cadrà da solo appena la gemma ascellare entrerà in vegetazione); b) se le foglie sono ancora idratate dovremo intervenire con un’immediata vaporizzazione delle medesime in modo da ridurre la perdita di liquido a causa della traspirazione. FUSTO Questo controllo occorrerà farlo solo per il precedente caso a). Incidere con l'unghia, la corteccia del fusto e dei rami del bonsai, se l'incisione si presenterà umida e di un bel verde brillante i tessuti saranno sufficientemente idratati e si potrà passare alla fase successiva. Innaffieremo l'albero con una quantità d’acqua non eccessiva, dopo alcuni minuti torneremo ad innaffiare ripetendo l'operazione ad intervalli sempre più distanziati fintanto che la zolla, nel caso si fosse separata dalle pareti del vaso, torni nella sua posizione originaria. Attenzione è inutile in questa fase inzuppare la pianta, infatti, le radici fini non sa-
ranno in grado di assorbire acqua ed il ristagno conseguente all'eccessiva annaffiatura aggraverà la situazione. Quando la zolla avrà ripreso la posizione originale, porteremo il vaso in un luogo ombreggiato vaporizzando il fusto con una certa regolarità, solo nei casi più gravi ed in particolare nei confronti d’alberi che patiscono in modo particolare la siccità si potrà sigillare il bonsai in un sacco di polietilene in modo che esso viva, per il tempo necessario a rientrare in vegetazione, in un ambiente particolarmente umido. Gli alberi per cui il prolungarsi della siccità crea danni irreversibili, quindi la perdita della pianta, sono le conifere. Come abbiamo già visto esistono intervalli di temperatura al di fuori dei quali la pianta rallenta la sua attività vegetativa entrando in una fase di latenza, in particolare al di sopra dei 35°C. l'attività di suzione della radice rallenta in modo quasi completo. Può succedere che la concomitanza di temperature superiori al limite citato in presenza di vento secco portino alla disidratazione della pianta, innaffiare in queste condizioni sarebbe poco opportuno, occorrerà invece portare l'albero in una posizione ombreggiata raffreddando la chioma con frequenti vaporizzazioni ed attendere l'abbassarsi della temperatura per riprendere l'annaffiatura del bonsai, inserire il vaso in sabbia umidificata, può riattivare la funzionalità radicale. Si tenga conto che una temperatura ambientale anche superiore ai 35 °C non necessariamente significa che gli alberi entrino in latenza, infatti, in condizioni normali la loro chioma a causa della traspirazione si trova sempre ad una temperatura di parecchi gradi al di sotto di quell’ambiente. Per quanto è consigliabile in estate posizionare sempre i nostri bonsai in luogo fresco ed ombreggiato, questo vale tanto più se le piante hanno un'abbondante ramificazione e sono ben vegetati.
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a secoli, in piccoli padiglioni circondati da giardini curati in ogni dettaglio o in semplici stanze adorne di pochi eleganti oggetti, si tiene ogni giorno il chanoyu (letteralmente: acqua calda per il tè), più noto come cerimonia del tè. Questo rito laico, che richiede infinita dedizione, trova nella sua complessità la fonte del suo fascino e - al tempo stesso - la ragione di interpretazioni lacunose, soprattutto al di fuori del Sol Levante. Se il celebre Lo zen e la cerimonia del tè di Kazuko Okakura, divenuto oramai un classico, mostra una prospettiva piuttosto tradizionalista e, per certi versi, chiusa, La cerimonia del tè. Una interpretazione per occidentali di Julia V. Nakamura (Stampa Alternativa, pp. 96, 8 €) punta più decisamente (come suggerisce il titolo) a illustrare in modo piano e scorrevole molteplici aspetti della tematica, ripercorrendo in parallelo le principali tappe storiche dell’uso dell’ambrata bevanda in Giappone. L'autrice svela la triplice articolazione del rituale, che si compone di kaiseki (pasto raffinato), koicha (consumo di un tè denso e pregiato) e usacha (consumo di un tè leggero), descrivendo inoltre con dovizia di particolari la sobria ricercatezza dell'ambiente, ispirata ai valori estetici nipponici del wabi-sabi (l'imperfetto fascino degli oggetti conferito dalla patina del tempo), del fura (spirito della beltà nella natura) e dello shibui (bellezza quasi severa nella sua essenzialità). E così sfilano dinanzi agli occhi dei lettori antiche tazze, composizioni di ikebana, personaggi reali o di fantasia, ceramiche di fattura squisita e leggende senza tempo, come quella del monaco buddhista Daruma, che - preso dalla rabbia per essersi addormentato dopo sette anni di meditazione - si strappò le palpebre e le gettò in terra: da esse nacquero i germogli di tè. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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Maschere del Giappone
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l Giappone vanta una ricca tradizione teatrale di maschere. Esse appartengono a tre gruppi: i Gigaku, i Bugaku e i Noh, che si sono sviluppati cronologicamente nell'ordine espresso. Sono fatte di lacca e legno e appaino sempre dipinte; il tempo dedicato alla loro decorazione non è inferiore a quello impiegato per il modellamento. I men-uchi (incisori) avevano precise direttive per intagliare un particolare tipo di maschera, l'honmen (il tradizionale prototipo), ed ogni deviazione del tracciato predisposto era considerata un fallimento artistico. Anche l'uso del colore seguiva delle regole molto precise ed era fondamentale per identificare il personaggio. Una maggiore libertà era concessa quando si realizzavano maschere che rappresentano demoni o creature mitiche. Il primo tipo di maschera conosciuto in Giappone è il gigaku: si dice che sia stato introdotto dalla Cina da un immigrante coreano di nome Mimasci. Numerosi artisti venuti dall'Iran, dal Tibet, dalla Manciuria, dall'Indocina, dalla Corea, dall'Indonesia si esibirono alla corte della dinastia Tang (618-906 d.C.). Queste diverse razze furono rappresentate da maschere gigaku, intagliate a grandezza naturale e in stile realistico, che di solito erano ciascuna l'espressione di una specifica emozione o di uno stato psicofisico, ad esempio l'arrabbiato, l'ubriaco ecc. Le rappresentazioni gigaku erano testi co-
mici o burle volgari che si interpretavano in mezzo alla folla vicino ai templi buddisti o nelle piazze all'aperto ed erano accompagnate da un'orchestra composta da tre strumenti principali: il flauto, il tamburo e il gong. Solo quindici personaggi erano inseriti nelle rappresentazioni gigaku e comprendevano: Baramon, il bramino indiano. Komgo Rigishi, il protettore del Buddismo (rigishi vuol dire “che qualcuno possa” e kongo “fulmine” o “diamante”). Suiko-o e suiko-fu, il gozzovigliatore ubriaco (sia dall'Asia centrale che iraniano). Taikofu, un vecchio debole e vacillante. Shishi, il leone, questa maschera apriva la sfilata. Le maschere gigaku hanno suscitato molto interesse tra gli antropologi e alcuni di essi non hanno esitato a vedere in alcune figure un ultimo retaggio delle baccanti greche. Nel IX secolo la rappresentazione gigaku ebbe un calo e venne poi sostituita dal gruppo bugaku. Anche quest'ultimo rappresentava una grande varietà di razze, ma le maschere avevano espressioni più stilizzate e spesso feroci, anche se le danze erano più ritmate e delicate di quelle delle prime gigaku e l'orchestra usata era più elaborata e con accompagnamento di cantanti. Queste rappresentazioni erano riservate alle grandi feste, alle commemorazioni, alle cerimonie religiose ed erano patrocinate dalla corte imperiale. Le maschere più vecchie coprivano tutta la faccia la nuca, mentre quelle più recenti coprono solo il volto. Una particolare caratteristica della maschera bugaku è l'uso di componenti mobili, inserite per enfatizzare il ritmo della danza. Il più elaborato fra questi travestimenti articolati è gejoraku, con tutti i tratti del volto mobili, gli occhi, il naso, il mento e le guance. Le maschere bugaku, di origine rituale, rappresentano spesso dei personaggi soprannaturali come il dragone o un uccello mitologico. La rappresentazione teatrale noh è un'invenzione prettamente giapponese, che si originò nel quattordicesimo secolo circa ed è considerata una delle più pure e distinte espressioni della cultura della nazione. Le maschere
sono più rifinite rispetto ai primi tipi, coprono solo il volto anziché tutta la testa. In origine le rappresentazioni erano riservate ai samurai, ma non escludevano possibilità di accesso per le altre persone in occasione di beneficenze o di feste di gala. Il dramma noh è poetico, stilizzato, musicale, estremamente lento, la sua solennità richiama le cerimonie religiose. Gli attori principali indossano stupendi abiti di pesante broccato, pertanto le maschere avevano un aspetto molto austero, per essere in armonia con il vestito, e allo stesso tempo abbastanza delicate per indicare le delicate emozioni volute dagli attori. Esse erano realizzate con leggero legno kiriri e dipinte a tempera con un sottile strato di lacca nella parte interna. I tipi umani gradualmente si svilupparono in tipologie fisse, quali la “giovane donna” o il “vecchio uomo”. Alcune particolari caratteristiche, per esempio l'acconciatura dei capelli, rendono possibile suddividere questi tipi umani in altre classi specifiche per ruoli individuali: i fantasmi, i demoni, gli spiriti, le divinità ecc. Anche le maschere rappresentanti dei demoni non sono terrificanti; qualche ruga solamente serve ad indicare la passione che la domina. Tutte le parti erano rappresentate da uomini anche quelle femminili. La prima maschera noh era tra le più belle prodotte al mondo, associava una delicata realizzazione stilistica ad un calibrato naturalismo. Fra le più popolari e familiari è la “giovane donna”, che rappresenta il tradizionale ideale di bellezza giapponese. E' realizzata con lunghi capelli lisci e neri e con delle strisce agghindate perfettamente attorno alla fronte. Il viso è candido, le sopracciglia sono tracciate col nero molto alte verso la fronte, le labbra sono rosse e i denti bianchi. Le maschere che ritraggono uomini vecchi sono dipinte con cura o in alternativa hanno i tratti intagliati. I capelli sono spesso attaccati passando attraverso dei buchi forati sulla testa, lo stesso avviene per la barba e i baffi. Alcune maschere sono usate per rappresentare un personaggio specifico, che si presenta solo in una particolare commedia. Uno di questi è shojo (l'orangotango danzatore), un giovane ubriaco
caratterizzato dal viso rosso per aver bevuto troppo saké. Le sue labbra sono atteggiate ad un mezzo sorriso, un dente superiore ed uno inferiore sono esposti, inoltre ha una frangia scompigliata e le fossette sulle guance. La maschera è piccola e senza orecchie e deve sempre essere indossata con una lunga parrucca rossa. Le maschere noh vengono sempre accompagnate dalle maschere dei buffoni, gli kyôgen, fra i quali compare il demone sciocco con un aspetto grottesco e la donna paffuta e sempliciotta. Le maschere noh e kyôgen traducono le due tendenze costanti dell'arte e della letteratura giapponese: poesia e caricatura, bellezza idealizzata e realismo che sconfina nella parodia. Questi due caratteri si ritrovano, più o meno mescolati, nelle maschere utilizzati ancora oggi per le danze che accompagnano le feste religiose popolari. Per esempio il Kagura e una “danza degli dei” che può essere rituale (rito per ottenere la pioggia, di fecondità, caccia contro i demoni) o descritiva (rappresentazione del dio locale che combatte i demoni). Le maschere utilizzate in questa manifestazione sono più vicine per l'aspetto a quelle noh. Il gyôden è una processione buddista di personaggi mascherati che rappresentano delle entità mitologiche. Diversamente dalla maggior parte di intagliatori di maschere del mondo, quelli giapponesi firmano le loro opere e guadagnano notevole fama per la loro abilità. La famiglia Deme o Demme, che ebbe il suo splendore in particolare nel XVII secolo, era probabilmente la più conosciuta. © RIPRODUZIONE RISERVATA
Taketori monogatari La storia di un tagliabamb첫
di Axel Vigino
AFFINITÀ ALLE FAVOLE POPOLARI GIAPPONESI Nella lettura delle antiche fiabe popolari giapponesi ho notato che, in molte di esse, i protagonisti non sono orgogliosi e coraggiosi cavalieri, bensì, molto spesso, semplici coppie di umili coniugi anziani che vivono in povertà e desiderano una vita migliore, che alla fine riescono a raggiungere grazie all’intraprendenza e alla generosità dell’uomo ed al sostegno della donna. Molto spesso questi non hanno figli, ma desiderano averne uno, il quale comparirà nei modi più strani: in una pesca (nella storia di “Momotarou, un bambino nato da una pesca” ) oppure per effetto di un martello magico donato ad un generoso taglialegna da una famiglia di topolini o ancora in una canna di bambù, come nel caso del Taketori monogatari LA STORIA Taketori Okima, il taglia bambù, trovò per caso una canna di bambù che emanava una luce innaturale dal suo interno. Tagliandola delicatamente Okima scoprì la fonte della luce; una bambina piccolissima, alta quasi quanto un pollice. Poiché non aveva figli, decise di portarla a casa sua dove, assieme a sua moglie, l’avrebbe allevata come una figlia; le diede il nome di Kaguya-hime (che significa principessa della notte splendente). Gli anni passavano e Kaguya crebbe fino a diventare una ragazza splendida; intanto Okima e la moglie si arricchivano sempre di più, poiché, da quando Kaguya era con loro, ogni canna di bambù che il vecchio lavoratore tagliava conteneva una pepita d’oro. La notizia della bellezza di Kaguya viaggiava di bocca in bocca e presto cinque principi si presentarono davanti alla casa di Okima, pretendendo la mano della fanciulla. Non volendo sposarsi, Kaguya ordinò loro di compiere un’impossibile impresa ciascuno: al primo impose di regalarle la sacra ciotola del Buddha, al secondo un ramoscello dell’albero dal tronco d’oro, al terzo la pelle dell’Inezumi, il ratto del fuoco della Cina, al quarto un magnifico gioiello posto sulla testa di un drago e al quinto chiese la preziosissima conchiglia nascosta all’interno del ventre di un’inafferrabile rondine. Ovviamente nessuno dei nobili principi riuscì a consegnare
ala principessa i fantastici gioielli e molti di questi ricorsero ai falsi: il primo ottenne una ciotola qualsiasi da un monastero, ma la principessa si accorse dell’inganno perché la ciotola non emanava luce sacra. Il secondo fece forgiare segretamente il ramoscello da alcuni gioiellieri, ma questi, non ricompensati per il lavoro, lo tradirono e dissero tutto a Kaguya. Il terzo convinse un cinese a dargli la pelle del ratto di fuoco, ma una volta donata a Kaguya, ella la fece ardere, dimostrando così che era falsa. Il quarto si arrese dopo la lunga e pericolosa ricerca del drago e l’ultimo perse la vita nel tentativo di catturare il lesto uccello. Molto presto la notizia raggiunse anche la corte dell’imperatore che, desiderioso di avere Kaguya in sposa, cominciò a farle visita molto spesso. Intanto Kaguya veniva sempre più spesso pervasa dal desiderio di tornare a casa; confessò così ai genitori di provenire dalla luna e che presto i suoi concittadini di Tsuki no Miyako sarebbero venuti a prenderla. Appresa tale notizia l’imperatore, non volendo perdere la sua futura sposa, fece schierare le sue truppe attorno all’abitazione della sua amata per impedire l’arrivo del popolo della luna. In una notte di mezz’estate però, improvvisamente, alcuni esseri splendenti giunsero dal cielo e, accecando le guardie, presero con loro Kaguya, la quale donò la propria veste al padre ed una goccia dell’elisir di lunga vita all’imperatore e partì verso la luna senza più tornare sulla Terra. Dopo la partenza di Kaguya i due vecchi coniugi si ammalarono, mentre l’imperatore si recò sul monte più alto del Giappone, dove gettò, nella sua bocca infuocata, la veste di Kaguya e l’elisir di lunga vita. Da allora, secondo la storia, il nome del monte deriva dalla parola “fushi” che significa immortalità, e il fumo che sale dalla cima del vulcano verrebbe dall’elisir che brucia al suo interno. Questa è la storia di Kaguya-Hime e di come ella possa aver trovato la pace nel mondo che lasciò nella sua infanzia, ma che ritrovò molto più tardi, dopo essere cresciuta nell’amore dei suoi vecchi genitori adottivi. © RIPRODUZIONE RISERVATA