Bonsai & Suiseki magazine - Settembre-Ottobre 2010

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In collaborazione con:

Settembre/Ottobre 2010 www.bonsai-bci.com

Ideato da: Luca Bragazzi, Antonio Ricchiari, Carlo Scafuri Direttore: Antonio Ricchiari - progettobonsai@hotmail.it Direttore Responsabile: Antonio Acampora - acampor@alice.it

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Caporedattore: Carlo Scafuri - carlo_scafuri@fastwebnet.it Art directors: Salvatore De Cicco - sacedi@yahoo.it Carlo Scafuri Impaginazione: Carlo Scafuri

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Comitato di redazione: Antonio Acampora Massimo Bandera - mb@massimobandera.it Luca Bragazzi - tsunamibonsai@tiscali.it Luciana Queirolo - pietredarte@libero.it Antonio Ricchiari Carlo Scafuri Sandro Segneri - info@bonsaicreativo.it Redazione: Daniele Abbattista - bestbonsai@gmail.com Massimo Cotta - massimo.cotta@tin.it Sandra Guerra Valeria Marras - rosapink1969@gmail.com Giuseppe Monteleone - alchimista.vv@tiscali.it Dario Rubertelli - iperdario@yahoo.it Pietro Strada - info@notturnoindiano.it Marco Tarozzo - marco.tarozzo@tiscali.it Hanno colalborato: Shimizu Akira - Bonsai&News - massimo.cotta@tin.it Aldo Altina Franco Barbagallo - bonsaifrancobarbagallo@hotmail.it Armando Dal Col - armando.haina.dalcol@gmail.com Gian Luigi Enny - ennyg@tiscali.it Carlo Maria Galli - massimo.cotta@tin.it Giovanni Genotti Nelson Hernandez Laura Monni Carlo Oddone - c.oddone@tin.it Gianni Picella - picella@infinito.it Elisabetta Ruo - best22@alice.it Anna Lisa Somma - annalisasomma@gmail.com Axel Vigino Alan Walker - awbonsai@bellsouth.net In copertina:

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Luciana Queirolo Francesco Santini Carlo Scafuri

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di Massimo Bandera


di Antonio Ricchiari


Settembre/Ottobre 2010 >> La gazzetta degli Istruttori

>> Dal mondo del Bonsai & Suiseki

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OLEA OLEASTER


JUNIPERUS CHINENSIS


PINUS PENTAPHYLLA








di Franco Barbagallo

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a storia di questo imponente esemplare di Quercus pubescens risale ormai a circa 10 anni fa (Primavera del 2000) quando un giorno in giro per i monti Etnei mi imbattei in questo imponente esemplare. Difatti, proprio l'imponenza del materia-

le, le caratteristiche di vecchiaia della corteccia e la presenza di alcuni rami giĂ ben posizionati e ben strutturati furono artefici della decisione di procedere alla raccolta dopo aver ricevuto la necessaria autorizzazione dal proprietario del fondo. La raccolta non fu semplice in quanto



cresceva in un terreno misto di materiale organico e grossi blocchi di pietra lavica che ne resero difficoltoso e lungo l'espianto. L'attecchimento avvenne senza grossi problemi e ne seguirono due anni di affrancamento dove mi dedicai solo alla coltivazione e rimes-

sa in perfetta salute dell'esemplare (foto 1, 2, 3, 4) Un giorno di primavera nel 2003 decisi di iniziare il percorso bonsaistico che dopo uno studio del fronte e dell'inclinazione mi portò a iniziare i lavori.


I lavori consistettero nella rifinitura dei monconi tagliati all'atto della raccolta (foto 5,6,7) alla raphiatura del ramo apicale che doveva essere piegato al fine di creare la necessaria continuitĂ e conicitĂ di struttura per il futuro design, alla posa del filo ed all'imposta-

zione (foto 8, 9, 10, 11). Probabilmente a causa delle lavorazioni troppo ravvicinate la pianta giustamente stressata decise di scartare proprio il ramo apicale!!!! Ovviamente deluso dell'esito, quasi


scoraggiato, riposi l'esemplare in un angolo del giardino e continuai a dedicarmi ad altri lavori per quasi 4 mesi. Infatti proprio dopo circa 4 mesi andai a controllare lo stato in cui versava la mia roverella e con grande gioia e forse anche un pò di

stupore mi resi conto che mi aveva perdonato ed aveva iniziato a ricacciare con moltissimo vigore proprio dove mi serviva il ramo che avrebbe ricostruito l'apice (foto 12, 13). Questa volta, però, ci andai per gradi e iniziai a seguirne quasi settimanalmente la


crescita e l'evoluzione dei nuovi rami fino al giorno in cui decisi di ristilizzare nuovamente l'esemplare. Ne seguĂŹ un lungo periodo di gestione con potature, cimature dei nuovi germogli forti e defogliazioni parziali che mi permisero

di raggiungere bei risultati (foto 14, 15). Oggi l'esemplare risiede nella Collezione personale di Giacomo Pappalardo che sta continuando a seguirla amorevolmente e sapientemente. Š RIPRODUZIONE RISERVATA


MASSIMO BANDERA - Premio Ministro della Cultura della Rep. Italiana -

LUCIANA QUEIROLO - Premio BCI per il suiseki -

ALFREDO SALACCIONE - Premio Presidente UBI -

FRACENSCO SANTINI - Premio della cultura della Rep. di San Marino - Premio BCI per il bonsai -



>> Secret World

Secret WorlD


...coming soon


LANTERNE di pietra

>> Dal mondo del Bonsai & Suiseki

di Gian Luigi Enny

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- Gian Luigi Enny -


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’uso della lanterna in pietra per giardini giapponesi risale all’epoca della nascita dei giardini del tè nei quali ogni elemento anche artificiale doveva concorrere a rispettare l’eleganza e la fedeltà della natura. La presenza della lanterna nel giardino, fino allora elemento della dedizione religiosa dei templi, fu in primo luogo motivata da esigenze funzionali, illuminare il percorso in pietra prima di arrivare alla stanza del tè, solo in seguito e tuttora viene usata quasi esclusivamente per ragioni di composizione e decorazione del giardino stesso. Tutto questo si può rilevare in alcuni scritti risalenti al periodo Edo che ha visto i cambiamenti in Giappone, non solo artistici culturali, ma anche sociali e politici causati in parte con l'introduzione del buddismo. Le prime lanterne di pietra in Giappone all’inizio erano esclusivamente utilizzate nei santuari e templi come una sorta di luce votiva, un modo equivalente per le candele utilizzate nelle chiese cristiane. Queste luci considerate sacre, si diceva che rappresentassero Buddha e che con la sua fiamma allontanasse gli spiriti cattivi e purificasse gli esseri umani prima di entrare nel tempio, in effetti, le lanterne erano sempre posizio-

- Gian Luigi Enny -

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- Gian Luigi Enny -


- Gian Luigi Enny -

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>> Dal mondo del Bonsai & Suiseki nate all’entrata dei santuari, solo più tardi vennero utilizzate per l'illuminazione generale nei giardini, case e case da tè, ma la loro origine si trova saldamente al perseguimento di obiettivi spirituali. Naturalmente, anche se la forma tradizionale è rimasta molto popolare, con il tempo, l'abilità artistica degli scalpellini contribuì sempre più a creare nuove forme. Oggi vediamo realizzate lanterne quasi irriconoscibili dalle loro antenate, ma comunque sempre molto eleganti con forme più piccole e più snelle delle loro cugine che avevano un aspetto più tozzo. Le lanterne di pietra giapponesi hanno certamente percorso una lunga strada fin dalla loro creazione, anche grazie ai maestri giardinieri di oggi che con il loro attento e abile uso, sono diventate ormai parte fondamentale nella realizzazione di questi giardini nipponici, l'uso originale e le strategie nel collocarle in punti determinanti, creano quell’atmosfera che porta l’osservatore ad un rilassamento psicofisico di pace e benessere interiore. © RIPRODUZIONE RISERVATA



>> Dal mondo del Bonsai & Suiseki

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- Gian Luigi Enny -


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orreva l’anno 1990, in un vivaio del basso milanese, tre individui, senza conoscersi, si aggiravano come “cinghialoni” grufolando con la testa tra le piante, alla ricerca di qualcosa di non ben definito. Ad un tratto uno di loro si alzò soddisfatto a osservare più adeguatamente la base dell’essenza appena trovata. Gli altri due che si trovavano a pochi metri, alla vista di quell’alberello si avvicinarono per vedere meglio e così tra una parola e l’altra scoprirono che cercavano praticamente quel genere di piante con ugual caratteristiche, in poche parole erano tre persone da poco attratte

dall’arte del bonsai. Questa passione li spinse a rimanere in contatto tra di loro, tante vero che si ritrovarono ancora per caso durante la visita ad una mostra di bonsai naturalmente, e proprio lì maturò l’idea di fondare un club. A questi tre amici si unì nello stesso momento un'altra persona di loro conoscenza e, come “quattro amici al bar che volevano cambiare il mondo” incominciò l’avventura del Suiseki Bonsai club di Melegnano. Dopo un po’ di tempo, venni contattato da uno di loro per fare una dimostrazione nel vivaio che ospitava la sede del club, in seguito l’invito venne ripetuto altre volte, finché nel


12.01.2010 -

Iscrizione soci per l’anno 2010+ lotteria con piante in premio

29.01.2010 -

LABORATORIO, serata dedicata alle piante dei soci

09.02.2010 -

Lavorazione e rinvaso di un gelso (mame) a cura di G.L. Enny

26.02.2010 -

LABORATORIO, serata dedicata alle piante dei soci

16.03.2010 -

Rinvaso di un Acero buergerianum a cura di Pietro Esposti

30.03.2010 -

LABORATORIO: preparazione mostra alla 447^ FIERA DEL PERDONO

01.04.2010 -

MOSTRA BONSAI e SUISEKI durante la Fiera del “Perdono” di Melegnano

09.04.2010 -

Lavorazione di una pianta insolita la Corocia a cura di G.L. Enny

27.04.2010 -

LABORATORIO, serata dedicata alle piante dei soci

07.05.2010 -

Restyling di un Taxus baccata a cura Gianantonio Porcheddu

25.05.2010 -

LABORATORIO, serata dedicata alle piante dei soci

11.06.2010 -

Le talee legnose a cura Riccardo Esposti

29.06.2010 -

LABORATORIO, serata dedicata alle piante dei soci

09.07.2010 -

Shitakusa: facciamoci un erba, a cura dell’esperto Paolo Tarenzi

27.07.2010 -

LABORATORIO, serata dedicata alle piante dei soci

07.09.2010 -

Facciamoci un tè: storia e filosofia a cura di Marcello Dossena

24.09.2010 -

LABORATORIO, serata dedicata alle piante dei soci

05.10.2010 -

Il fascino dell’orchidea a cura di Gianantonio Porcheddu

22.10.2010 -

LABORATORIO, Preparazione alla mostra d’autunno

24.10.2010 -

Mostra bonsai i colori d’autunno nel CORTILE DEL CASTELLO MEDICEO

05.11.2010 -

LABORATORIO, serata dedicata alle piante dei soci

23.11.2010 -

E per la serie all’ultimo minuto, pianta a sorpresa a cura di Douglas Swonnie

11.12.2010 -

LABORATORIO: Serata dedicata al programma per l'anno 2011

22.12.2010 -

Serata dedicata agli scambi di auguri e cin! cin! per l'anno nuovo

1991 mi convinsero a lasciare il mio vecchio club e a diventare un loro socio, alla votazione successiva del consiglio d’amministrazione venni eletto presidente, carica che tutt’ora ricopro. Nel 1993 tutto il consiglio direttivo vota a favore la proposta di regolarizzare la posizione del club con uno statuto notarile richiestoci dal comune per poter essere inseriti nel registro delle associazioni e quindi usufruire dei fondi e dei locali messi a disposizione per eventuali mostre o dimostrazioni. Riassumendo in breve il nostro statuto promuove incontri due volte al mese con un programma annuale. Questi incontri hanno lo scopo di favorire la conoscenza, l’interesse e la pratica dell’arte bonsai e del suiseki, delle erbe, piante e fiori coltivati in vaso, migliorare la conoscenza storica, artistica e tecnica di tale arte, con particolare attenzione alla flora autoctona. L’associazione non ha scopi di lucro ed esplica la sua azione all’infuori di ogni finalità politica e religiosa. Attualmente il numero dei soci e composto da 27 unità e ai nuovi iscritti si propongono corsi brevi per un primo approccio

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- Gian Luigi Enny -

dell’arte bonsai e suiseki. Il corso prevede la trattazione delle tecniche basilari, quali potatura, avvolgimento con filo metallico, trapianto e modellatura, oltre a cenni di fisiologia e fitopatologia delle piante. Inoltre, nel nostro programma annuale, sono regolarmente inserite due mostre di bonsai e suiseki per promuovere tra i visitatori l’interesse artistico e culturale di queste antiche arti. © RIPRODUZIONE RISERVATA


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vevo scritto che la memoria umana è labile, troppo, e spesso l’oblio suona come ingiustizia o mancanza di riconoscenza. Anche per questo motivo il Comitato di Redazione del magazine conferisce una targa, ogni anno, ai bonsaisti e suisekisti che per meriti finalizzati naturalmente alla diffusione ed alla qualificazione del settore in cui operano o hanno operato. La scelta del personaggio, in occasione della manifestazione che si è recentemente tenuta ad Arco, è caduta su Carlo Oddone il cui nome compare come collaboratore del Magazine

e i cui scritti sono andati ad impreziosire ed arricchire la rivista. Anche sul piano didattico Oddone ha contribuito non poco a fare conoscere il bonsai e le sue tecniche rendendoli alla portata di tutti. Siamo orgogliosi di avere conferito questo riconoscimento ad uno dei Padri del bonsai italiano che ne ha fatto la storia in Italia. Il rispetto per la personalità, l’umanità e la professionalità di Carlo Oddone che ha contribuito a fare grande nello scenario internazionale il bonsai di casa nostra trova così il giusto riconoscimento. © RIPRODUZIONE RISERVATA

- Antonio Ricchiari -

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>> Dal mondo del Bonsai & Suiseki

di Armano Dal Col

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uanto mi abbiano influenzato i giardini giapponesi durante le visite in Giappone è indubbio. Da qui anche la scelta di un nome giapponese da dedicare al mio giardino: SEI WA significa serenità, BONSAI EN vuol dire giardino Bonsai e con l’aggiunta della parola Museo si è concretizzato ciò che era nelle mie aspirazioni. Il mio obiettivo è stato felicemente raggiunto; volevo ricreare un qualcosa fuori dal comune, d’inaspettato, d’altri tempi… E questo è stato possibile - pur con notevoli difficoltà - proprio grazie alla mia ubicazione; la mia casa, con le pareti esterne segnate dal tempo che ho voluto conservare, è situata nel piccolo centro storico

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- Armando Dal Col -


del paese di Tarzo a pochi metri dalla strada statale, più o meno rumorosa per il traffico automobilistico. E così, salendo per i vecchi gradini di pietra che portano sul retro della casa, dov’è ubicato il giardino Bonsai a ridosso della collina, sembra di entrare in un altro mondo. Molte sono le persone che hanno visitato, sia in modo virtuale che dal vero, questo magnifico spazio incantato! Il giardino Bonsai si estende su un’area di mille metri quadrati circa, compreso una parte della collina, ed è stato progettato affinché la sua fruizione fosse allargata non ai soli appassionati, ma ad un pubblico più vasto, perché il giardino sia un veicolo educativo per chi non possiede la cultura del verde. Lo scopo è quello di preservare quanto è stato creato in questi decenni, affinché anche le generazioni future possano ammirare questi capolavori naturali viventi. L’anno 2010 è già iniziato, e l’inverno se n’è andato. Quest’anno sono già trascorsi 47 anni da quando iniziai ad occuparmi di Bonsai era la primavera del 1963 senza peraltro conoscerne l’esistenza; eppure ad ogni primavera si rinnova in me una continua emozione osservando la vita che pulsa dai rami spogli. Il canto degli

uccelli annuncia la primavera e molti Bonsai sono in fiore. I larici sono incantevoli con i loro ciuffetti verdini e com’è emozionante il contrasto delle gemme da fiore turchine; fra breve si trasformeranno in tante piccole pignette! I Bonsai, non semplicemente esposti a fila sui bancali o appoggiati su dei tronchi o negli spazi faticosamente ri-

cavati sulla collina, ma inglobati nel verde quasi fossero un tutt’uno, divengono così un luogo di riflessione, di meditazione, di ricreazione e di diletto. I grossi ed aggrovigliati rami si dipartono dal possente tronco, raccontando secolari vicissitudini tra le rupi dolomitiche, mentre le verdi fronde mosse dal vento

- Armando Dal Col -

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>> Dal mondo del Bonsai & Suiseki mormorano i suoni delle foreste. Anche i variegati muschi e licheni che si rincorrono tra le robuste radici sembrano forieri di chissà quali misteri, ma la meraviglia più grande è che questa evocazione di potenza e longevità ci viene da un piccolo mondo racchiuso in un vaso: la pianta che si può ammirare infatti è il famoso faggio “Patriarca”, consacrato e pluripremiato dalla Nippon Bonsai Association, la massima autorità mondiale di Bonsai. Poco distante si rimane catturati dalle asperità dei tronchi di alcuni pini silvestri cui fanno da contrappunto le delicate forme dei più giovani aceri; ed ancora si susseguono betulle, carpini, olmi, larici, pini mughi, abeti, pruni, peschi, ciliegi, forsizie, cornioli, salici, pioppi, crespini, maggiociondoli e tante altre specie ancora, tutte con la loro storia di amorevoli cure. Il museo Bonsai è visitabile tutti i giorni e qui, più che altrove, si possono ammirare le centinaia di opere create in QUASI CINQUANT’ANNI di incessante ri-

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- Armando Dal Col -


cerca evolutiva, molte delle quali sono state pluripremiate in Giappone dalla Nippon Bonsai Association e al World Bonsai Contest. Devo ringraziare mia moglie Haina per la sua preziosa collaborazione senza la quale tutto oggi sarebbe diverso e piĂš ‘povero’; conosciuta in uno dei miei viaggi in Estremo Oriente, divenuta discepola appassionata e silenziosa, dotata di talento e di un intenso amore per la Natura ha - Armando Dal Col -

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>> Dal mondo del Bonsai & Suiseki contribuito non poco alla realizzazione e mantenimento del nostro Giardino. Il visitatore che si reca a visitare il Giardino, nella Marca Trevigiana a Ovest fra Vittorio Veneto e Conegliano, rimane “catturato” dalle bellezze dei vigneti lungo la “Strada del vino bianco del famoso Prosecco” e dell’incantevole valle con i laghi e le colline che circondano Tarzo. Grazie alla magia dei suoi silenzi, il visitatore nel lento fluire delle sta-

gioni avrà l’opportunità di vivere un’atmosfera rarefatta. A chiunque desideri vivere le piacevoli sensazioni che il Giardino Museo Bonsai della Serenità suscita, siamo ben lieti di aprire loro le porte. Ed ora, mi perdonino i miei lettori, vorrei aggiungere un mio pensiero sul Bonsai, scritto in inglese, visto che, il Magazine, và ben oltre i confini italiani.

Giardino Museo Bonsai della Serenità Armando e Haina Dal Col Via Roma, 6 - 31020 - TARZO (TV) e-mail: armando.haina.dalcol@gmail.com Tel. 0438 587265 - Cell. 349 370 8802

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- Armando Dal Col -


- Armando Dal Col -

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>> Bonsai-do: Pratica e sapere

di Massimo Bandera

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uando in natura o nei capolavori bonsai si osservano le patine di shari e jin, le parti di legna secca, vedendo screpolature, cubettature, piccole crepe, spacchi, rotture e mille dettagli d’una vecchia superficie, non si può fare a meno di pensare da quanto tempo si è seccato quel ramo. Talvolta si pensa a decenni o secoli, ed in effetti ci vuole tempo per ottenere una totale naturalezza, cioè la perdita dell’artificialità d’un legno appena tagliato. Inoltre c’è poi tutto il discorso dell’attesa del risultato per l’esposizione, cioè il cammino del bonsai verso la naturalezza ed il

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- Massimo Bandera -

miglioramento continuo della bellezza. In questa sequenza di immagini vi mostro gli interventi sui Jin del mio Larice chiamato “Aurora del giorno”. Il 1988 fu un anno molto importante per me dal punto di vista bonsai, erano i mitici anni ’80… In quell’anno, nell’autunno, venne in Italia per la prima volta Hotsumi Terakawa, promettente giovane artista bonsai, e lavorò un grande Tasso a Torino; impiegò due giorni, uno per la scultura sul legno, con utensili elettrici, ed uno per la legatura. Era la prima volta che si


vedeva in Italia un lavoro di così alto livello, ed il grande insegnamento era proprio capire quanto lavoro c’è dietro un capolavoro bonsai. Tornato a casa lavorai poco dopo, nel febbraio 1989 questo Larice, proprio con gli utensili elettrici. Impiegai venticinque ore in tre giorni, il 13, 14 e 15 febbraio. Era stato raccolto il 17 maggio 1988 in alta quota sulle Alpi Cozie. La prima foto mostra i jin appena fatti, di legno ancor fresco, mentre la prima foto di studio dell’agosto 1990, due anni dopo, mostra ancora i jin un po’ artificiali. Per me fu una grande esperienza, perché era la mia prima scultura sui bonsai, e ne ero orgoglioso anche se si trattava di una piccola cosa. Oggi però mi rendo conto che era già un lavoro nella via perché è entrata nel percorso. Ecco dunque che dopo 21 anni si può apprezzare appieno la naturalezza di questi jin, fatti però dall’uomo, che non copia ma imita il processo creativo della natura, il bonsai non si trova già fatto, deve esser fatto dall’uomo durante un - Massimo Bandera -

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>> Bonsai-do: Pratica e sapere percorso di tempo illimitato, e se se ne trovasse una già fatto dalla natura… ebbene dal punto di vista zen non val nulla! Il materiale di partenza è importante solo nella misura in cui può servire per il percorso artistico e creativo. Nei 22 anni che ho curato questo bonsai ci sono state molte esperienze: ha vinto premi, è stato pubblicato nel mondo, si è rotto il suo prezioso vaso in una notte di vento (il suo stile

è il Fukinagashi “Battuto dal vento” appunto) e poi è stato restaurato, intanto è cresciuto, una grossa radice si è seccata ed è diventata un altro jin, ed è diventato sempre più bello, sempre più naturale, sempre più vecchio. Bello era appena fatto anche se un po’ artificiale, bello è oggi ed in futuro lo sarà sempre più. Questo è un bonsai! © RIPRODUZIONE RISERVATA




XXIV Edizione "

Concorso

Città di Sacile" di Marco Tarozzo

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’occasione della partecipazione, del nostro club “Bonsai Gymnasium”, alla mostra di Sacile mi ha dato la possibilità d’intervistare il presidente del club organizzatore, ”il giardino della serenissima”, Renato Tavian, e di scambiare alcune chiacchiere che riguardano la manifestazione stessa, il loro club e di raccogliere delle considerazioni a 360 gradi sul mondo del bonsai e sulla realtà del Triveneto.


>> Mostre ed Eventi

Marco: caro Renato, partendo dalla manifestazione credo che sia d’obbligo ricordare che questa manifestazione è una delle più “anziane”, infatti, quest’anno ricorre il 24° anniversario. Renato: è vero! Il prossimo anno sarà il 25 anniversario della mostra e ci stiamo già muovendo per avere degli spazi più ampi e più consoni all’anniversario che vogliamo festeggiare nella maniera adeguata; siamo in contatto con l’Amministrazione per farci assegnare la struttura, a fianco dell’attuale sede dell’esposizione, che ci dia la possibilità di raccogliere più adesioni all’evento e per fare le conferenze in un’aula con i criteri adeguati per l’esposizione degli argomenti e far star comodi i partecipanti. M: Renato, raccontaci gli inizi del club e

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- Marco Tarozzo -

quelli della manifestazione. R: tutto è iniziato più di 25 anni fa dalla mia passione per gli alberi in vaso. Inizialmente, io ed un gruppo di amici ci trovavamo a casa mia per confrontarci e a fare le prime esperienze, poi via via che il numero degli interessati cresceva e con il supporto di Mario Zanette (attuale vice presidente), abbiamo deciso di regolarizzare il club e di farci dare dalle Istituzioni Pubbliche degli spazi adeguati al numero di persone appassionate che partecipavano agli incontri. M: ora che il vostro club è una realtà importante nel Triveneto, quali sono gli insegnamenti che esso mette a disposizione dei soci? R: sono orgoglioso del fatto che il club abbia


un riscontro notevole, noi siamo sempre stati e sempre saremo umili, questo è un concetto fondamentale che mi piace enfatizzare spesso anche ai nostri soci, predico l’umiltà e la costanza del “lavoro” sulle piante. Sai Marco, non sono sereno quando mi trovo di fronte a degli espositori che praticano il bonsai da quattro o cinque anni e presentano piante che hanno 20, 30 o più anni di coltivazione; a me viene da storcere un poco il naso. Vedi, quelle mie piante che hai appena fotografato hanno quasi 30 anni di vaso, ho iniziato a coltivarle che erano grosse meno di una sigaretta (!!); il bonsai, dal mio punto di vista, è fatto di costanza, lavoro e tempo. I giovani di oggi vogliono bruciare i tempi e così ti trovi dei “ragazzi” che, a fronte di una disponibilità economica rilevante, non impegnano tempo a crescere con le piante ma acquistano dei “capolavori” da esporre e avere una visibilità immediata. Questo, dal mio punto di vista non fa bene al mondo del bonsai, si rischia di allontanare gente più che coinvolgerla perché, ad esempio, chi non ha queste disponibilità economiche e si affida al proprio sudore impegnandosi nella coltivazione di piante che fa maturare con estrema passione e tempo, rinuncia a farle vedere perché si sente “perdente” in partenza. M: quindi, il fatto che nella tua manifestazione

ci sia un concorso diviso in ”tre categorie”? R: è proprio figlio di queste considerazioni; con il Direttivo ci siamo detti ma perché non incentiviamo la presenza degli appassionati, che spesso rifiutano il confronto con le piante dei collezionisti? Abbiamo partorito l’idea, magari banale, di suddividere il concorso tra club, appassionati e collezionisti così da coinvolgere tutti e farli “gareggiare” tra di loro nelle giuste sessioni. Questo modo di fare sta avendo un enorme successo. La nostra finalità, come associazione, è quella di far crescere il numero delle persone che si avvicinano a quest’arte senza creare distinzioni e barriere, comunicando che il bonsai è per tutti e ricordando che “la festa è il fare bonsai, e il premio è la giusta cornice al lavoro che si è fatto nel e con il tempo”. M: che ne pensi degli Istruttori oggi? E voi, come club, vi avvalete della didattica di qualche Istruttore riconosciuto? R: per prima cosa il nostro club non si avvale di un “Maestro” ma abbiamo la possibilità e l’onore di avere spesso tra di noi alcuni dei bonsaisti più esperti; tra questi, oltre al Maestro Dal Col, mi piace ricordare il bellissimo rapporto di amicizia che ci lega con il Maestro Tanaka. Io credo che non debbano andare perdute le esperienze di questi personaggi che

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>> Mostre ed Eventi hanno fatto la Storia del bonsai in Italia e ai già citati Dal Col e Tanaka, aggiungo gli Oddone, Genotti, Giorgi, Crespi e Franchi anche se hanno intrapreso, in seguito, delle “carriere” diverse. Il lavoro e le sperimentazioni di queste persone sono stati fondamentali per noi oggi e le loro collezioni sono di un’attualità estrema; i loro giardini meritano che le visite siano in religioso silenzio. Gli istruttori oggi dicevi? Ben vengano, ma non si deve dimenticare “la dottrina” del bonsai; quanti di essi la coltivano? Quanti di essi fanno didattica pura? Io non lo so e lascio aperti questi due punti interrogativi. M: Renato che ne dici di andare un poco a vedere la realtà bonsaistica del nostro territorio, il Veneto e il Triveneto. R: certo. L’Associazione del Triveneto era nata con la finalità di aiutare i club piccoli e di nuova costituzione che avevano difficoltà a realizzarsi nel proprio territorio e con poche disponibilità, poi, con il tempo questa ottima intenzione si è perduta e sono subentrate altre situazioni che hanno contribuito a modificare la finalità principale. Mi spiego: in un mondo che va di corsa, troppo di fretta, si è iniziato a correre anche in questa rispettabile Associazione, e il valore alto della cooperazione si è spento per dare luogo al valore della

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- Marco Tarozzo -

competizione e del primeggiare. Sono, però, molto fiducioso e ho un ottimismo tale che immagino che si possa ritornare a quel valore che ha dato inizio all'associazionismo nel Triveneto. Marco: che dire Renato, grazie della disponibilità e della franchezza, un enorme “in bocca al lupo” per il futuro. Per concludere: ritengo che ci sia molto materiale su cui riflettere nelle parole che Renato Tavian mi ha consegnato e mi preme comunicare che la manifestazione di Sacile, ogni anno, è visitata da più di tremila persone nelle giornate di sabato pomeriggio e domenica, ogni altro commento sull’efficacia di quest’evento mi sembra superfluo.

© RIPRODUZIONE RISERVATA



>> Mostre ed Eventi

di Aldo Altina



>> Mostre ed Eventi

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ei giorni 10 e 11 aprile si è svolta, presso la Margaria del Parco del Castello di Racconigi, la manifestazione “Ritorno alle serre Reali” 2010, alla quale ha partecipato il club BONSAINSIEME di Carignano. Bonsai dunque, ma anche fiori, erbe aromatiche e medicinali, attrezzi e strumenti per la coltivazione e la cura del giardino hanno trovato una splendida collocazione in questo esteso complesso agricolo in stile neogotico. Cornice dell’evento è stato infatti l’edificio della cascina, progettato da Pelagio Pelagi e realizzato tra il 1835 e il 1843, divenuto poi centro di attività produttive e di sperimentazione di tecniche botaniche. Quale fondale scenografico della cascina gotica, tra il 1844 e il 1848 fu edificata la nuova serra la cui realizzazione venne affidata all’architetto Carlo Sada. In pochi anni essa divenne nota in tutta Europa per le collezioni di piante esotiche. Sul fianco est della Margaria e della serra l’antico giardino a fiori e frutta, detto in seguito giardino dei

Principini, è stato restaurato conservando le permanenze storiche riconducibili al disegno di Giuseppe Roda del 1889. Il club BONSAINSIEME, grazie al lavoro di molti soci, ha allestito una quarantina di tokonoma con esemplari dei soci stessi. Durante la manifestazione il professor Giovanni Genotti ha tenuto delle dimostrazioni teorico-pratiche di prima impostazione, sia su piante dei soci sia su piante del pubblico presente.


Ospite dell’evento il monaco zen Beppe MokuZa Signoritti, appartenente alla tradizione del Buddismo Zen Soto. Da oltre 14 anni il monaco si interessa di pitture ad inchiostro nero di china (Sumi-e), approfondendo e sviluppando le tematiche di questo metodo oltreché della pratica spirituale in sé. Le sue opere esposte e le dimostrazioni pratiche hanno attirato un numero considerevole di presenti, rivolgendosi a chiunque dimostrasse interesse e curiosità per questo tipo di espressione artistica. All’inaugurazione della mostra erano presenti il Dott. Mario Turetta Direttore Regionale Beni Culturali del Piemonte, l’Ing. Francesco Pernice Sovraintendente Beni Artistici, l’Arc. Luisa Papoti Sovrintendente Beni Artistici della Provincia di Novara e il Dott. Renato Balestrino Coordinatore Attività Culturali Castello e Parco di Racconigi, al quale va un particolare ringraziamento per la disponibilità dimostrataci. Tutti hanno fortemente apprezzato l’impegno del BONSAINSIEME, augurandosi che questa bella iniziativa possa ripetersi negli anni a venire. © RIPRODUZIONE RISERVATA

- Aldo Attina -

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’associazione “BONSAINSIEME” viene costituita da un gruppo di appassionati bonsaisti nel mese di aprile del 1994. Essa nasce col solo scopo di favorire la conoscenza, l’interesse e la pratica dell’ arte Bonsai, valorizzando in special modo le essenze locali ed europee. La volontà è quella di promuovere e organizzare qualsiasi iniziativa di interesse artistico e culturale inerente il bonsai, collaborando ad iniziative di singoli o di Enti Pubblici o privati che tendano a raggiungere gli scopi sopra indicati. L’associazione non ha scopo di lucro. Fanno parte di essa persone diverse per cultura,

stato sociale ed età; perciò agli scopi principali, di natura artisticoculturale, va aggiunto come corollario non trascurabile il momento di aggregazione e partecipazione attiva che coinvolge i partecipanti. A tale fine l’associazione BONSAINSIEME si riunisce il 2°e 4° mercoledì di ogni mese presso la sede in piazza Savoia a Carignano. Qui si tengono lezioni, sia pratiche che teoriche, curate dal Prof. Giovanni Genotti Istruttore IBS, coadiuvato dai soci con maggiore esperienza . Il Prof. Giovanni Genotti possiede una collezione tra le più complete ed ammirate a livello nazionale, composta da circa


400 esemplari. Le sue prime esperienze risalgono al 1958. Nel 1964 ottiene i primi risultati importanti e nel 1983 inizia la sua attività pubblica con un’esposizione di esemplari alla triennale di Milano, in occasione delle settimane giapponesi. Si reca più volte in Giappone, Cina, Singapore e USA per accrescere le se conoscenze sul bonsai. Per 8 anni segue i corsi del maestro giapponese Hideo Suzuki conseguendo il diploma presso la scuola di Hamano della N.B.A.(Nippon Bonsai Association). Ha all’attivo molte mostre personali ed ha scritto diversi libri,tra i quali: 42 Alberi bonsai, L’arte di coltivare gli alberi in miniatura, Bonsai da interno, Il bosco in miniatura, Il Bonsai in Italia, Il grande libro del Bonsai. Ogni anno i soci redigono un programma completo così da organizzare tutte le

lezioni, ciascuna delle quali tratta un argomento specifico: essenze,stili,potature, concimazioni, vasi,ecc… Alla parte teorica segue sempre una parte pratica, durante la quale i soci possono applicare direttamente sulle loro piante quanto appreso poco prima. Durante l’anno, nei periodi di maggior mutamento delle piante,sono organizzati Workshop e Lavorazioni di gruppo in campo all’aperto,così da condividere i concetti principali della potatura,del rinvaso,dell’impostazione con i fili, della defogliazione, ecc… Periodicamente il club organizza visite e gite presso i giardini dei più importanti maestri o nei principali centri bonsai del Nord Italia, per visionare piante, accessori, concimi e perche no,per acquistare ciò che serve sfruttando i consi-

gli di chi ha esperienza. BONSAINSIEME fa inoltre parte del Coordinamento Piemonte e Lombardia e dell’Unione Bonsaisti Italiani, partecipando alle mostre di dette associazioni. Ogni anno il club organizza delle mostre; nelle ultime edizioni sono state esposte piante di notevole naturalezza e bellezza bonsaistica. Alcuni soci del club hanno anche avuto la possibilità di fare mostre personali con 15-20 esemplari. Anche durante le mostre si tengono lezioni didattiche teoriche e pratiche, durante le quali i partecipanti possono ottenere tutte le informazioni relative al bonsai. L’associazione ha sede in Carignano, in Via S. Remigio n°35 (Tel.011/9692136), mentre gli incontri si svolgono in Piazza Savoia n°1


CongreS il mio

a

di Laura Monni Foto di Fabio Canneta, Carlo Scafuri


esso SAN MARINO

UBI 2 0 1


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a quando ho scoperto l’importanza di partecipare ai Congressi UBI ed alle mostre in giro per l’Italia, organizzo il mio tempo libero anche con il calendario degli eventi bonsaisitici. Lo scorso anno sono stata a Salerno e ho passato tre giorni col sorriso stampato in volto. Era tutto nuovo ed entusiasmante. Ho visto per la prima volta il nostro Presidente Mauro Stemberger, il segretario Luciano Granato e tanti altri. Ho voluto riprovare quelle emozioni e, invece, il Congresso a San Marino ha superato le mie aspettative. Tre giorni full immersion nel mondo bonsai. Un modo per sentirmi parte di un mondo che guardo sempre con stupore e passione. Sono arrivata venerdì e subito mi sono trovata a guardare le dimostrazione dei talenti UBI delle passate edizioni: nomi importanti ormai come Ivo Saporiti, Roberto Raspanti, Alfredo Salaccioni, Matteo Caldiero, Mario Segneri, etc. Le piante in lavorazione bellissime ed

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interessanti, ognuno di loro ha spiegato alla platea come avrebbe proceduto con la lavorazione, le particolarità, i pregi ed anche i difetti. In due giorni di quelle piante ne hanno fatto esempi di bellezza e di precisione. La presentazione di Sandro Segneri è stata interessantissima: era la prima volta che lo vedevo e l’ho trovato molto carismatico. Una lezione di bonsaismo davvero utile, non per niente la sua scuola è una delle più famose ed ambìte in Italia. Segneri, per quel poco che ho potuto capire, ha un metodo didattico particolare, tende a semplificare i concetti ed a schematizzare, magari con dei disegni, ciò che sta dicendo facendo in modo di fissare nella mente dell’ascoltatore quel determinato concetto. Mi ha molto colpito quello che ha spiegato su come evitare che l’attenzione dell’osservatore venga attratta di più da un ramo o da una curva del tronco, distogliendo lo sguardo dall’insieme del bonsai. Inoltre il pubblico numeroso ha seguito


sempre con attenzione e si è sentito coinvolto dai suoi discorsi, segnale questo della sua innegabile professionalità (foto 1) Altro momento topico, l’intervento di Luca Bragazzi. Ha parlato in generale, di difesa delle piante dai fitopatogeni ed in particolare si è dibattuto

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>> Mostre ed Eventi

sulle tracheomicosi, che sono sempre più pericolose. Ho avuto modo di ascoltare altre lezioni di Luca e mi piace molto il suo modo diretto e competente di affrontare gli argomenti (foto 2). Molti gli stands presenti, con in vendita bellissime piante prebonsai, in ottimo stato e di buona qualità. Vasi per tutti i gusti, John Pitt e la signora ce-

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coslovacca, dal nome impronunciabile, e Tiberio Gracco con molte novità. Le forbici di Marco Invernizzi, attrezzi di tutti i livelli e terricci, concimi e filo e materiale vario. Cena in albergo, il mio decisamente all’altezza delle quattro stelle, e passeggiata notturna per il centro. Clima freddissimo e dal sabato pioggia e nebbia impenetrabile, insomma tempo da lupi (fo-

to3)! Il sabato finalmente abbiamo visitato la mostra: che piante!!! Il livello medio veramente alto e dei pezzi importanti da passare le ore a guardare e imparare. Ammirevole lo sforzo dell’UBI di riuscire a mettere in mostra tutte le piante presentate. Il catalogo sarà decisamente un pezzo da


conservare nelle nostre librerie. Nel mio ricordo di questa esperienza: alcuni straordinari bonsai che finora non avevo mai visto. Ho partecipato alla visita guidata organizzata dell’UBI con una persona esperta e molto preparata Lorenzo Agnoletti: insieme abbiamo guardato con attenzione le piante in mostra, cercando di capire meglio le intenzioni del bonsaista e la capacità di rendere la pianta più o meno vicino ai canoni giapponesi. Per quanto riguarda i tokonoma tanti consigli e qualche critica a quelli presenti alla mostra e lui, molto esperto in materia di esposizione e di gusto giapponese, mi ha insegnato veramente molte cose. La mattina c’è stato il concorso per il talento UBI 2010. Piccoli ginepri itoigawa che, secondo me, hanno messo a dura prova l’esperienza dei partecipanti. Ne sono usciti dei piccoli capolavori ed ha vinto Antonio Marino di Napoli, che rappresenterà l’Italia al Congresso EBA a Zurigo. Sempre lui sarà presente anche alla XVII Mostra dell’Associazione Culturale Roma Bonsai che si terrà all'Orto Botanico di Roma l’ 8 e 9 Maggio 2010, avrò così modo di conoscerlo meglio! Una

illustre

presenza:

Gianfranco

Giorgi uno dei “padri” del bonsaismo italiano (foto4) . Alle 14.00 la dimostrazione di Marco Invernizzi, non me la potevo perdere, lo trovo molto simpatico e decisamente preparato (foto5). Il suo libro “Mollo tutto e vado in Giappone sulla via del bonsai" (la mia copia ora ha la sua dedica!) l’ho letto in un momento di crisi del mio percorso bonsaistico e devo dire che mi ha aiutato a capire un po’ meglio la mentalità giapponese e rapportarla a quello che vorrei fare io del mio futuro bonsaistico. Insomma la sua dimostrazione consisteva nella impostazione di un vecchio tasso, raccolto e in vaso già da qualche anno con un nebari molto largo, ma un tronco piatto e largo perché la pianta è cresciuta vicino ad un muro. Ci ha illustrato le caratteristiche dell’essenza ed il modo da nascondere i difetti del tronco, cercando di realizzare un buon bonsai. Decisamente il risultato è stato eccellente. Mi è rimasto impresso il discorso sulla tecnica di impostazione coi tiranti (foto6). Si è svolta in contemporanea una tavola rotonda sul “Bonsai in forum”, erano rappre- Laura Monni -

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sentati alcuni dei forum più frequentati: Carlo Scafuri del Napoli Bonsai Club forum, Ignazio Giambrone del Trinacria Bonsai forum, Ivo Saporiti di Bonsaiclub.it forum, e Andrea Pintus del Bonsai Italia forum. Io ci tengo a dire la mia: leggere i forum non è fare bonsaismo, però sono convinta che sia un nuovo modo di fare cultura. E’ un sistema anche di aggregazione e mi ha consentito di conosce-

re tantissime persone appassionate a questa arte. E l’UBI infatti, per la prima volta, riconosce ai forum un valore didattico e informativo. Tutti d’accordo che divulgare l’arte bonsai via internet non è la stessa cosa che leggere o seguire un corso, ma serve per avvicinare a questo mondo molte persone che, altrimenti, resterebbero isolate. In conclusione si è giunti ad un accordo di colla-


borazione tra l’UBI e gli amministratori dei forum, l’UBI promette maggiore spazio ai forum, in cambio di una maggiore visibilità sui forum stessi. Il sabato sera la cena di gala, momento divertente di aggregazione. Poi la consegna dei premi e riconoscimenti sia ai suiseki che ai bonsai. Poi il momento topico della consegna all’UBI della medaglia “Premio del Ministero per i Beni e le Attività culturali della Repubblica italiana” consegnata da Fabrizio Petruzzello nelle mani di Massimo Bandera (foto 8). A Fabrizio Petruzzello, per la sua pianta in mostra, è stato poi consegnato il premio “Io difendo l’ulivo” di Gianni Picella, che è stato il primo Presidente dell’UBI ed ora Presidente del “Comitato per la tutela degli ulivi monumentali”. La pianta esprime al meglio le potenzialità di questa essenza mediterranea, che mi stupisce sempre nelle sue forme e colori. La lavorazione è la dimostrazione di come il bonsaismo italiano abbia molto di nuovo da dire (foto 7). Domenica, con qualche raggio di sole, subito scomparso sopra al centro Congressi e con la sensazione di essere perseguitata dalla “nuvola di fantozzi”, sono tornata pronta a guardare tutti i premi attribuiti con minuziosa

attenzione, vedere la dimostrazione di Peter Warren e Carlos Van Der Vaart, seguire la visita guidata organizzata dall’AIAS della mostra dei Suiseki insieme a Daniela Schifano, partecipare all’assemblea Generale e comperare un prebonsai, fare delle foto da pubblicare sui miei amati forum e salutare con calma tutte le persone che ho conosciuto. Non ho fatto assolutamente nulla di tutto ciò: è stato un turbinìo di amici che mi sono venuti a trovare, qualche acquisto al volo e poi il rientro a Roma. Il bilancio è molto positivo per me e spero che lo sia anche per tutti coloro che hanno partecipato e contribuito al successo di questo Congresso. © RIPRODUZIONE RISERVATA



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LA SCIENZA DELLA GUARIGIONE PER UN'ALIMENTAZIONE CONSAPEVOLE

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er chi si appassiona alle cose d’Oriente, al buddhismo, alla civiltà orientale in generale, questo libro è una chicca. Scritto da Giuseppe Coco, esperto in Medicina Tradizionale tibetana e da Franco Battiato, noto ed impegnato cantautore, compositore, interprete, regista cinematografico e scrittore… e chi più ne ha più ne metta, ha un titolo strano “Sowa Rigpa” che è non sinonimo di "Medicina Tradizionale Tibetana". Nella cultura tibetana si usano diverse parole per denominare la scienza medica, poiché ognuna mette in luce e descrive alcuni dei molteplici aspetti che fanno parte di questo sistema e lo caratterizzano. Il termine citato è composto da Sowa che significa guarigione, cura, nutrizione, e Rigpa che vuol dire scienza, conoscenza: quindi si traduce in "scienza della guarigione". Praticare questa particolare sapienza medica, in virtù dei principi su cui si basa, può diventare un'occasione di crescita personale, sia dal punto di vista umano che spirituale, per chi è medico o svolge una qualsiasi professione d'aiuto. La Medicina Tibetana si avvale, in larga parte, di provvedimenti da applicare alla vita quotidiana, che possiedono la prerogativa di essere alla portata di tutti: si tratta di veri e propri rimedi che permettono di curare un disturbo grazie all'introduzione di buone abitudini. Offre inoltre ottimi consigli per prevenire l'insorgenza di malattie, mantenendo un buon stato di salute fisica e mentale. La scienza della guarigione, o della salute, tiene in grande considerazione l'alimentazione e la considera determinante per il benessere della persona e il buon funzionamento dell'organismo. © RIPRODUZIONE RISERVATA

- Antonio Ricchiari -

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arà in distribuzione a novembre la terza edizione de “Il grande manuale del bonsai” di Antonio Ricchiari. Non credo di dovere dire molto su quella che, senza esagerazioni, è stata definita la nuova “bibbia del bonsai” e certamente questa terza edizione ne conferma il successo. L’Autore ha rivisto ed aggiornato alcuni argomenti e rivisitato alcune parti per arricchirne i contenuti, aggiungendo nuove foto e disegni. Il volume appare rivisitato soprattutto per quel che riguarda le schede di coltivazione che sono state ulteriormente sintetizzate ma soprattutto aggiornate alla luce di nuove esperienze. Rimane invariato il prezzo malgrado, ahimè!, sappiamo tutti quanto siano lievitati i prezzi per quel che riguarda l’editoria; visti i tempi che corrono, è certamente da apprezzare lo sforzo dell’Editore che ha voluto mantenere il prezzo delle precedenti edizioni malgrado gli aumenti dei costi tipografici. Per eventuali ordini potete scrivere a: progettobonsai@hotmail.it La spedizione su prenotazione è gratuita. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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>> Bonsai 'cult'

Il Bonsai Giovanni GENOTTI

Dalla Cina al Giappone all'Europa

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'origine del bonsai è sicuramente cinese, dove la miniaturizzazione del paesaggio nel bonkei, e dell'albero nel penjing, furono dettate da quella teoria filosofica che poneva l'uomo al centro dell'universo come essere superiore, per cui tutto quanto lo circondava doveva essere più piccolo ma allo stesso tempo mantenere tra gli elementi rappresentati rapporti simili a quelli esistenti in natura. In tal modo l'uomo poteva facilmente godere con un solo sguardo dell'equilibrio nell'ambiente.

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Con il bonkei, sul quale hanno grande influenza principi religiosi, si sviluppa il penjing come albero in miniatura che rappresenta l'equilibrio tra la vita e la morte sulla quale, però, l'anima della vita ha sempre ragione. Con il tempo alcune forme di penjing acquistarono valori concettuali più ampi ed anche di difficile comprensione per la nostra cultura. Diventarono ideogrammi, messaggi, rappresentazioni di montagne sacre con significati religiosi e non. Il penjing cinese, in qualsiasi sua forma, racchiude sempre un qualcosa di drammatico,


di astratto; comunica una spiritualità particolare, difficile da razionalizzare e da comprendere con la nostra cultura. Il penjing passa intorno al 1200 dalla Cina al Giappone, dove per la particolare natura del giapponese perde quell'alone di spiritualità, mistero e fantasia per diventare espressione razionale di capacità umana. Diventa un tangibile risultato di lavoro di generazioni che racchiude e rappresenta la tradizione come rispetto dell'arte. Il penjing diventa bonsai e conservando la miniaturizzazione acquista un concetto artistico tutto particolare, dove l'arte è intesa come risultato di un lavoro anche di più generazioni, che nel tempo hanno eliminato il superfluo. I giardinieri maestri di questa coltura realizzano con mini-alberi esemplari che rappresentano splendide piante riscontrabili normalmente in pianura, in collina, in montagna. I minialberi sono talmente belli da dettare regole per la loro realizzazione e per far si che copiandoli tutti li possano realizzare. Le regole permettono di non realizzare bonsai poco credibili, ma di ottenere risultati accettabili anche da chi ha poco interesse e partecipazione. I primi bonsai giunsero in Europa alla fine del 1800 e destando solo curiosità. Dopo la II Guerra Mondiale, intorno al 1940, non nelle molte aziende vivaistiche, ma nella cultura europea vi fu un momento di grande attenzione. Essi rappresentano la capacità dell'uomo di educare la natura, ed attraverso la continua attenzione, creare un rapporto particolare con il mondo vegetale come indispensabile momento di riflessione nella frettolosa e turbolenta vita moderna. Nella realizzazione del bonsai europeo, in un primo momento gli appassionati seguirono le indicazioni degli esperti giapponesi, ma a poco a poco, per la diversa cultura e per le ne-

cessità di ottenere un risultato nel più breve tempo possibile, si utilizzarono ed applicarono alcune tecniche adatte esclusivamente a pochi tipi di essenze, interpretando l'arte non come in Giappone, dove l'equilibrio e l'armonia è legata alla vita di ogni singola essenza, ma come esclusivi rapporti di spazi pieni e vuoti, legati esclusivamente alle astratte regole del gusto umano. Le regole proprie dell'architettura spesso sono imposte indipendentemente dalla natura dell'albero. L'aspetto del bonsai ottenuto è equilibrato e perfetto, ma non rispecchia le forme dell'essenza in natura e la sua vita è sempre in precario equilibrio imposto. Il bonsai diventa privo di vita, statico, senza personalità propria ed espressione di dominio del suo educatore. Infatti, ogni forma è imposta con tutori, spesso mantenuti sull'albero per tutta la sua vita, dove anche la più piccola espressione personale dell'essenza viene eliminata. La forma del bonsai non fa più riferimento alle diverse espressioni naturali ma è sempre una sola, si usano quasi unicamente ginepri che si possono facilmente modellare o anche conifere raccolte in natura che come punto focale hanno il possente e sofferto tronco, con jin e shari, ma con le chiome equilibratissime e perfette messe in contrasto con il tronco reggente. Il bonsai europeo è più facilmente comprensibile a tutti, e poiché le forme sono molto poche e richiamano per lo più l'eretto casuale, è, in sintesi, esclusiva apparenza privata di quel legame profondo che lega l'uomo alla natura. A mio avviso è un bonsai statico, privo di una futura crescita e legato esclusivamente alla moda che è apparenza di un essere vivente privo di contenuti. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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VOCI PER L'OLIVO

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a questo numero il Magazine si arricchisce di una nuova sezione che speriamo potere condurre per molti numeri ancora. Perchè “Voci per l’olivo”? Pensiamo di dare un contributo alla campagna che Gianni Picella conduce da anni in difesa ed a salvaguardi degli olivi: un patrimonio che appartiene in particolare alla nostra terra. E lo faremo pubblicando scritti non solo di Picella ma anche di quanti lo hanno fatto. L’olivo è anche un importante emblema culturale e perciò merita particolari e insistenti attenzioni allo scopo di mantenerne la forte valenza simbolica. Picella sostiene una campagna dal titolo “Io difendo l’olivo” e noi siamo convinti di dare il nostro contributo attraverso la

voce del Magazine; il bonsai, come vedete, non è circoscritto solamente alla coltivazione delle piante ma si estende alla Natura, al paesaggio, all’ecologia. La caparbia ostinazione con la quale l’amico Picella porta avanti in tutta l’Italia questa campagna ci ha particolarmente colpito e ci ha coinvolto in qualcosa di estremamente nobile e giusto, in una società nella quale, per certi versi, molti valori morali sono stati violentati. La Natura stessa appare oggi violata per indifferenza, per sporchi interessi, per ignoranza. Ci consola sapere che alla campagna “Io difendo l’Olivo” hanno già aderito personalità della cultura, del cinema, dell’arte, della moda e anche del mondo bonsaistico.


Voci per l'Olivo <<

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l giardino degli Dei è un piccolo pianoro, in montagna sul Pollino, ove svettano in tutta la loro maestosità, piante secolari di Pino loricato, vive e morte. Il giardino dei mostri è il parco di sculture in pietra e forme vegetali di Bomarzo, nel Lazio. Il giardino degli Olivi è la Puglia. Fra mare e cielo, olivi addomesticati navigano da millenni in questa regione formando l’ossatura di un solenne giardino, amato e curato dall’uomo. Facciamo sì che questo non diventi un giardino perduto.


>> Voci per l'Olivo

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'ulivo è una pianta parsimoniosa. Ha bisogno di poca terra, di poca sostanza per vivere e fruttificare. Ha infatti una capacità di radicamento formidabile, che le consente di succhiare le minime sostanze nutritive presenti nel suolo. Nel paese dove sono nato, nelle colline veronesi, ai tempi della mia giovinezza, un ulivo svettava curiosamente sul campanile, gettando fuori la sua chioma dalla cella campanaria, dove aveva messo radici nelle fessure dell'edificio prodigiosamente vivendo, si sarebbe detto, di aria e di luce più che di nutrimenti edafici. Sulle rocciose isole dalmate si vedono ulivi che spuntano sui terreni rocciosi, poveri di suolo, in maniera incredibile. Anche in Puglia — regione siccitosa come poche altre — gli splendidi ulivi che danno un lustro e un carattere inconfondibile al paesaggio, crescono sugli esigui strati di terreno accumulati nelle tasche delle depressioni carsiche o nelle piccole piane depressionarie del tavolato roccioso dove si trovano poveri strati di suolo ferrettizzato dal disfacimento calcareo. Eppure appaiono straordinariamente sontuosi e di una bellezza che deriva loro dalla potenza con cui si radicano al suolo, da una sorta di forza tranquilla, suggerita probabilmente dalla stessa dimensione dei loro tronchi secolari. Ed è proprio la loro antichità, la loro forza di resistere e sopravvivere per infinite stagioni, nonostante la povertà dei suoli, a dare quell'impressione confortante, come di organismi forti, resistenti, resi possenti dalla loro stessa anzianità. L'antichità degli ulivi in Puglia, la loro veneranda età, si vuol dire, è il portato della loro stessa parsimonia, della loro capacità di radicamento sui terreni poveri. La pianta si ingrandisce e diventa preziosa proprio perché ha quelle capacità straordinarie, godendo del rispetto del coltivatore, nella cui passione sta probabilmente il segreto della sua magnifica esistenza. Ho spesso immaginato, in Puglia, che i coltivatori non solo conoscano una ad una le piante del loro uliveto, ma che le denominino in modo diverso, a seconda del portamento o delle capacità produttive, come in

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montagna il pastore denomina tutte le mucche della sua mandria, secondo le capacità produttive o il disegno e il colore del mantello delle bestie. L'ho immaginato anche perché un ulivo anziano e coltivato per tutta una vita finisce con il diventare un amico, o un sostegno psicologico per un coltivatore che sulla sua produzione ricava spesso una parte importante delle sue risorse economiche. Del resto gli ulivi, anche se allineati e molteplici, quindi nient'altro che numeri, dentro il geometrismo degli uliveti (in Puglia così ordinati da sembrare parchi), hanno una struttura, un portamento e delle capacità produttive diverse, e quindi assumono una individualità che non hanno le altre piante. E poi sono tutti diversi, uno dall'altro, diversa la forma dei loro tronchi, diverso lo sviluppo dei rami che sono sì il risultato delle potature, ossia dell'intervento dell'uomo, ma di un intervento che è sopratutto, e in prima istanza, dettato dalle interne strutturazioni della pianta, dalla diversità del suolo da una parte all'altra. Altra caratteristica dell'ulivo, importante ai fini del rapporto che l'uomo stabilisce con esso, è la sua longevità. Tra le piante dell'ambiente mediterraneo è una delle più longeve. Si conoscono ulivi millenari al dir di studiosi ed esperti. In ogni caso sopravanzano di gran lunga l'uomo, e questo è il motivo del rispetto profondo che viene portato agli ulivi. Che sembrano custodire nel loro legno, nel loro portamento, il segreto delle storie, delle mille e lontane vicende a cui in qualche modo hanno assistito da muti spettatori. A sua volta il rispetto che viene portato loro le fa crescere ed invecchiare più di ogni altra pianta, causa ed effetto della loro conformazione, dei tronchi possenti e ritorti, delle loro chiome spesso sfibrate ma sempre generose, anche dopo interminabili stagioni nel corso delle quali hanno conosciuto di tutto, dalle tempeste invernali, alle sfuriate dei freddi venti di tramontana agli aliti arroventati dei venti da sud oltre che la mitezza felice delle primavere. Non c'è pianta che più sappia raccontare con il suo stesso aspetto le storie vissute, pur con l'immobilità spaziale a cui è


condannata in quanto vegetale. In questo c'è la bellezza che è poi la bellezza, persin retorica a suo modo, dell'ulivo, come di un essere vivente immutabile e silenzioso che non parla ma dice già con il suo modo di proporsi che cosa sia il tempo ed il suo mistero. Questa bellezza è stata riconosciuta all'ulivo sin dall'antichità e tra i tanti elogi all'ulivo, alla sacralità che ad esso si connette, si ricorda soltanto quello di Sofocle nell'Edipo re: "C'è un albero non piantato dalla mano dell'uomo, nato da sè medesimo, che infonde terrore alle lame nemiche e verdeggia abbondantemente in questa terra, l'ulivo dalle foglie glauche, alimento dei bambini, che mai rapace, vecchio capo devastatore estirperebbe con le proprie mani, perché ad esso guardano gli Dei dagli occhi chiari". Rispetto per la bellezza, la generosità, la sacralità dell'albero. Che continua a produrre, anche se vecchio e plurisecolare. Forse le piante pugliesi non hanno la redditività che oggi si ottiene con gli impianti moderni, razionali, che si vanno diffondendo anche da noi al posto dei vecchi eppur magici uliveti che sono così importanti nel dare un carattere particolare alla terra pugliese. Questo pone un problema non di poco conto. C'è di mezzo l’immagine stessa della regione, una regione che più di ogni altra in Italia è stata consacrata all'ulivicoltura ormai da secoli, quando gli oli pugliesi alimentavano ricchi commerci destinati ai mercati del Nord Adriatico ed oltre. Ci si può oggi consentire di coltivare la bellezza se non abbia una resa economica? In qualche caso oggi la bellezza rende, ma non si può mantenere una ulivicoltura che non sia anche produttiva per quello che può dare in offerta al mercato oleario. Forse si proporrà una pianificazione che contemperi l'ulivicoltura che renda in termini produttivi con l'ulivicoltura che renda in termini di bellezza, di immagine. Ciò significa che bisogna pianificare e scegliere gli uliveti che più di altri meritino di essere tutelati, in quanto consustanziali all'immagine del paesaggio pugliese. Farne dei piccoli parchi testimoniali. Infine occorre frenare l'esportazione degli ulivi centenari da trapianta-

re in terre o paesaggi diversi, come nei giardini del Nord Italia verso cui c'è un commercio che ha qualcosa di repulsivo tanto da far pensare al commercio degli schiavi. Infatti la bellezza dell’ulivo, una volta trapiantata in altri paesaggi, non è più tale, non è più connaturale a quei paesaggi, dove l'ulivo trapiantato, spesso vecchio e venerando, fa pensare all'emigrazione e al trapianto in terre diverse di persone ormai anziane, che per tutta la vita hanno respirato una certa aria, goduto di un certo sole, assimilato certe abitudini. Il rispetto per gli ulivi, come il rispetto per altre piante, è un fatto di civiltà: è il rispetto per il paesaggio e per le specificità geografiche che del paesaggio sono la proiezione. Dunque rispetto per le varietà del mondo che oggi, per la verità, tendono sempre più ad essere annullate in nome di una superiore organizzazione globale. Ma la globalità non sottintende necessariamente distruzione delle diversità, caso mai dialogo rispettoso nei loro confronti. Nel caso nostro, rispetto per la veneranda bellezza degli ulivi, come quelli che in Puglia celebrano l'antichità e il fascino mediterraneo di una terra, non meno delle sue città bianche che, proprio fra gli uliveti, fanno capolino con i loro campanili e i loro splendidi monumenti.

Il testo è di Eugenio Turri, già docente alla Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano e consulente per la pianificazione territoriale e paesistica della Regione Lombardia, pubblicato a cura della Mario Adda Editore, Bari.

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>> La mia esperienza

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o acquistato questo tasso nell’autunno 2009 dietro consiglio del mio amico Marco, che me l’ha mollato in mano con un “Tiè. Vediamo che riesci a tirarci fuori”. Ho partorito da allora un paio di idee non molto soddisfacenti, così a fine marzo 2010 abbiamo affrontato assieme la prima impostazione su una sua idea. Dopo aver tratteggiato un virtual del progetto, abbiamo prima di tutto deciso l’inclinazione definitiva del tasso. Abbiamo iniziato quindi l’attento lavoro di filatura a quattro mani, partendo dal primo ramo a cui è stata data la voluta inclinazione in semi-cascata. La parte di ramificazione che avrebbe originato l’apice è stata piegata dietro al secco e con l’ausilio di un paio di tiranti è stata sistemata nella posizione voluta. Infine tutta la ramificazione, anche la più fine, è stata sottoposta a filatura, usando filo di rame di dimensione decrescente ed è stata impostata - Sandra Guerra -

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>> La mia esperienza allargandola e torcendola per creare i palchi: la natura generosa del tasso ci ha permesso di ridurre i getti alle dimensioni ottimali. In particolare parte della vegetazione è stata curvata sia verso la parte posteriore, per creare profondità, sia attorno all’apice secco. Al termine di questo primo step ho quindi posto la pianta all’ombra e la nebulizzerò frequentemente per una ventina di giorni circa. Infine con una attenta coltivazione punterò ad infittire i palchi. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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>> La mia esperienza

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ra la pasquetta dell'1994, facevo bonsai ormai da anni e quel giorno, insieme ad un grande amico, partimmo alla ricerca di qualcosa di speciale. Dopo parecchie ore trovammo una pianta interessante, un ilatro (fhillirea). La pianta doveva avere circa 50 anni; l'ambiente molto brullo, il terreno roccioso, i forti venti e le mucche maremmane, che tennero costantemente bassa la chioma, avevano contribuito nel tempo alla sua formazione attuale. Il 17 aprile 1994, a Pescia, iniziai a lavorare la pianta in un laboratorio con il maestro Huang, in collaborazione con il maestro Terakawa. Per loro la pianta era una novità ; non avevano mai visto quel tipo di essenza e si trovarono un attimo in difficoltà , sia per la potatura e la reazione che essa avrebbe avuto, sia per l'impostazione e l’elasticità dei

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rami, che non era molta. Dopo la prima impostazione con i maestri, mi occupai della rifinitura a casa come si fa solitamente. Nel lavorarla mi balenò in testa un’idea; concorrere ad una mostra nazionale! Arrivai cosĂŹ all’iscrizione alla prima edizione della Crespi Cup. Con l'aiuto di un fotografo feci i provini. La pianta venne accettata, era il gennaio 1995. Insieme al mio grande amico studiammo in che vaso sistemarla, ma dopo vari tentativi ci convincemmo che la soluzione migliore sarebbe stata una lastra di vetroresina ad hoc. Eccone il progetto e la lavorazione! Con una rete creammo la struttura di base, stabilendone forma e dimensione, rinforzandola poi con barre di alluminio. Iniziammo a coprirla con fogli di vetroresina e la stessa liquida, strato su strato.

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Una volta terminata la struttura cercammo un modo per renderla visivamente naturale. Sabbia! Ecco l'idea, forse ‘rubata’, non ricordo con esattezza, ma fu la soluzione. Spalmai altra vetroresina liquida e poi sopra distribuii la sabbia tamponando il tutto. La lastra era terminata! A questo punto ci preparammo al rinvaso forando la lastra per evitare ristagni d’acqua e per legare al meglio la pianta. L’11 marzo 1995 rinvasammo; la soddisfazione fu tanta! Era il lontano 1995, poi i percorsi di ognuno di noi cambiano, molto spesso ciò che pensavamo il massimo si sbriciola tanto velocemente che non ci si rende conto, avevo tutto, ho perso tutto, tutto? No, l'amico c’è sempre!

Non potendo più tenere i bonsai con me li ho dati via tutti, per questo invece ho fatto uno scambio, una barca, una pilotina di 5,50 mt, con un motore da 25cc. Da allora bonsai non ne ho fatti quasi più, però dall’esperienza di essi posso farmi una morale del mio passato “se ci sono i principi giusti si rinasce” posso tranquillamente dirlo IO SONO RINATO! © RIPRODUZIONE RISERVATA

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La mia esperienza <<

- Ezio Corradin -

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>> La mia esperienza

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i chiamo Ezio Corradin e sono un appassionato bonsaista da più di quindici anni, gli ultimi di questi passati ad apprendere questa magnifica arte sotto la saggia guida di Sandro Segneri nella Bonsai Creativo School. Negli ultimi anni, oltre alla passione per il bonsai, mi è scoppiata dentro la passione per quello che riguarda il modo e il mondo dell’esposizione del bonsai nel tokonoma e, scavando dentro a questa passione, ho percepito che ero, e sono, molto attratto dai supporti per le piante, quelli che in maniera moto frettolosa definiamo “tavolini”. Con Luca, fino a poco tempo fa mio conpagno alla BCS, abbiamo deciso di immaginarci un modo “diverso” di lavorare i tavolini e di farlo anche per chi, vista la situazione economica, non è in grado di spendere i 3/4 cento euro e più per singolo pezzo; abbiamo dedicato molte ore, levate al sonno e al riposo, per poter acquisire la manualità che serve e molte ne stiamo dedicando per la scelta dei materiali più consoni ad un lavoro pregevole.

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Questa per noi è una passione non un lavoro, per questo non dobbiamo necessariamente perseguire il profitto e questo fa si che possiamo dedicare alla creazione dei tavoli tutto il tempo necessario per farli belli, infatti quando creiamo l’unica strada che percorriamo e quella della bellezza del prodotto e della soddisfazione personale di vederlo realizzato. Negli ultimi due anni siamo stati presenti alla manifestazione di arco Bonsai con il nostro stand e le soddisfazioni più grandi sono state quelle di non essere mai tornati a casa con il carico dei prodotti che abbiamo presentato e poi….vedere che piante meravigliose esposte in mostra erano posizionate sopra dei tavoli costruti da noi. Da poco abbiamo attivato anche un sito internet, www.bonsaiwood.it dove è possibile vedere alcune delle nostre realizzazioni. Nelle foto che si succederanno ho voluto presentare la nascita di uno dei nostri lavori, step by step, così da poter far vedere che con la passione si possono fare cose che fino a ieri era impossibile immaginarsi.


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>> A lezione di Suiseki

L'importanza del

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PREMIO

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di Luciana Queirolo


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>> A lezione di Suiseki "Quale dovrebbe essere il giusto modo di porsi del bonsaista nei confronti del Premio?". Scusate le mie elucubrazioni mentali, ma l'arrivare a premio è davvero così importante? E' il nuovo status simbol del provetto bonsaista, è un riconoscimento importante al lavoro svolto fino a quel momento, oppure è un modo come un altro per farsi pubblicità? Ci ho pensato. E’ giusto che ognuno di noi ci faccia su, la propria personale riflessione. Sono stata da sempre sostenitrice delle Mostre senza premi; mi pareva di combattere contro i mulini a vento: “senza premi, la gente non partecipa.” Certo, riferendoci alle pietre, ci sono da fare dei distinguo: di differente peso è l’intervento umano o forse, più precisamente e dopo una attenta lettura, si rivela inversamente proporzionale l’importanza dell’apporto, tra concetto e manualità.

re e confrontarsi col mondo e migliorarsi. Peso dato ai premi: consistente perché sono il riscontro di aver imparato bene. - C'è il maestro che lo fa perché glielo chiedono (ed è pure un po' stufo di farlo) - Peso dato ai premi: moderato. Ormai gli è chiaro il suo valore/potenziale e non ha paura di confrontarsi. Se arrivano premi va bene ma non ci muore dietro.”

Carlo ci invita a fare un piccolo, ma poi non tanto piccolo, esame di coscienza... la sua domanda non è formulata per scivolare via in superficie. Carlo ha consapevolezza delle di lei potenzialità, atte ad indagare nel nostro profondo, stimolandoci nel tentare di capire a che punto siamo, lungo la strada della conoscenza della pietra o del bonsai. Soprattutto, a quale livello ci stiamo rapportando, a che punto di comprensione. Intanto, già la notevole differenza tra l’intervento manuale umano su una pianta e quello su una pietra, dovrebbe diversificare enormemente le spinte emotive di una celebrazione individuale.

Sì: ho sempre sognato mostre di pietre senza premi: mostre che siano punto di incontro e di scambio, prive di ogni risentimento bene o mal celato. Le ho sempre caldeggiate non per eliminare il “cattivo” spirito di competizione, quello non sano; ma per l’oggettiva difficoltà nello stabilire il valore intrinseco di un suiseki, “al di là” di una sua estetica apparente. Più facile, nel Bonsai, avere esperti agronomi assolutamente addentro alle peculiarità di una specie, ai suoi limiti di crescita, delicatezza, struttura, esigenze etc… Generalizzando, c’è meno preparazione, nel giudicare un suiseki: non sempre c’è una approfondita conoscenza dei materiali. Riferirsi alla scala Mohs delle durezze, non basta: ignee, sedimentarie, metamorfiche… nella roccia vi sono, come nel legno, il “verso” di sedimentazione, di rottura, di impasto; gli accadimenti geologici che hanno assemblato elementi differenti; il processo di metamorfizzazione… le mille variabili di intervento degli agenti naturali... insomma: quelle caratteristiche che diversificano il modo e la possibilità stessa di modellarsi.

Alchimista scrive: “A mio modestissimo avviso il miglior premio è avere la consapevolezza di essere nel giusto, di essere impegnato in qualcosa che ti soddisfa e ti gratifica e di dare il meglio di te stesso sempre ed in qualsiasi circostanza. Se a questo si aggiunge la gratificazione di un premio, ben venga.” Sandra: “- C'è quello che vuole impara-

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Io penso che il maestro sia vulnerabile, in questo, anche più di un novellino. Che forse preferisca rimanerne fuori od al di sopra; a volte, non considerando il giudice all’altezza di giudicare la sua pianta - il suo suiseki. Perché affronto questo tema? E’ attinente, ci insegna qualche cosa? Come ci aiuta nella conoscenza dell’arte delle pietre? Credo che condividere le emozioni di una stessa passione, avere la chiave di lettura uno dell’altro... sia comunque un arricchimento per tutti.


Tutto questo e molto altro ancora, può aver concorso a creare quella forma, colore, texture, che fanno la suggestione di una pietra, certamente. Ma, a seconda del materiale: con quale facilità e facile reperibilità; oppure: con quale sorprendente, rara, unica, combinazione? Ecco che arrivo ad un mio reale vissuto che possa forse spiegare a voi, cosa vuole dire per me, un premio ad una mia pietra. A cuore aperto, sperando che raccogliate le mie parole come amore per ciò che faccio. Arco: Congresso IBS 2010… guardo le foto, le mie foto e faccio: boh! In foto, mi sembra il povero anatroccolo in mezzo ai cigni. (mamma mia! Se l’ho pensato io, allora … gli altri …?) La mia intenzione, quest’anno è stata, se vuoi, didattica: ho presentato due pietre con un percorso geologico molto simile (potrei tranquillamente dire: equivalente). Una dalla Cina, una dalla Liguria. Io mi esalto, quando posso realizzare tangibilmente questi paragoni. Lvliang stone ( anche chiamata Lülaing

stone, paesaggio di pianura o “Pietra Imperatore”) è pietra sedimentaria cinese proveniente dalle colline rurali della contea di Lvliang, tra l’antica Sishui ed il fiume Giallo. Ce l’ho da un anno. Ho spazzolato il materiale più morbido e giallo, contro le raccomandazioni del venditore, sino ad arrivare ad una durezza accettabile. Scurirà, col tempo. Venduta con un fronte diverso, ravvisai un villaggio di pescatori, sul retro. Per questo la scelsi e così l’ho mostrata. La pietra che invece trovai qui in Liguria, la sto proteggendo da forse più di 15 anni. Naturalmente ignara dell’esistenza di qualche cosa di simile altrove, ne trovai due esemplari, poi, niente più. Il tempo passato al coperto, ha trasformato lo strato chiaro da cui fuoriescono le protuberanze di palombino, conferendogli - Luciana Queirolo -

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>> A lezione di Suiseki

una patina a gradazioni di intensità corposa e lucentezza differenziata. Dunque, sto riconoscendo in lei la valenza della rarità, come pietra italiana ed il valore della patina acquisita nell’attesa di

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mostrarla. La suggestione? …penso che quel nome poetico, tirato fuori in un secondo per necessità di cartellino, rispecchi ciò che di lei mi inteneriva, senza averne coscienza. “Il pianoro delle colline solitarie”…


paesaggio vagamente… desertico. Nonostante le misure contenute della pietra, con quella distesa di terra gialla, lo spazio si dilata quasi che la crosta terrestre si fosse spaccata, separando per sempre le colline tra loro. Il vento, sta ricoprendo di sabbia le ferite. Lo sento fischiare lontano, nella sua corsa tra l’una e l’altra… Furyu: vento che scorre. “Come vento in movimento, può essere percepito, ma non si vede”. Ecco. Cosa è per me, per quella pietra, quel premio? Una grande conquista. Prima, la mia pietra gridava i suoi (i miei) pensieri e sentimenti con un linguaggio che mi pareva fosse per altri incomprensibile, che non bucasse la loro indifferenza. Molti continueranno a rimane-

re indifferenti: è compito mio non smettere di cercare di spiegare. Sarà un mio limite, ma non riesco a trarre completo appagamento da una suiseki-do in solitaria. Ad Arco, ho raccolto il giudizio di due persone che fanno di queste arti una ragione di vita. Loro hanno decodificato i segnali emessi da quella pietra; ascoltandone il suono, ne hanno letto il racconto. Due giudici, due premi: la suggestione di quella pietra non potrà avere riconoscimento più grande, per me, di questo duplice consenso. Sono in stato di grazia perdonatemi. Lu. © RIPRODUZIONE RISERVATA




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"Torchiato Tasso" Fulvio Bosio Bonsai Creativo School-Accademia

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>> Noi... di Bonsai Creativo School

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uello che segue, potrebbe anche apparire come un racconto banale, in un periodo dove sembra che solo piante yamadori possano avere una storia interessante da raccontare; invece secondo me anche un comune materiale da vivaio, con il tempo e le giuste cure può acquisire quella vetustà, e quella maturità cosi tanto apprezzata da noi bonsaisti, in grado di regalarci molte soddisfazioni. Questa è la cronistoria di un mio albero che vorrei chiamare il ”torchiato tasso“. Tale albero fu acquistato in un comune vivaio e poi trasformato in un materiale prebonsai da un noto bonsaista del nord che lo preparò nel seguente modo. Dapprima fu ricercato il piede, quindi furono eliminati i rami ritenuti inutili, rinvasato in un contenitore di plastica di medie dimensioni e lasciato libero di vegetare per tutta la stagione seguente. Fu uti-

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lizzata semplice ma ottima pomice, come terriccio di base. Quando la pianta venne in mio possesso, l’impostazione con la quale era stata progettata,


corrispondeva al classico stile moyogi: ma si sa, il bonsaista è un sognatore, un creativo, forse un pazzo, (parlo per me ) ed ecco che allora comincia ad inclinare, girare, abbassare, alzare, ricercare altre possibili soluzioni che siano evocative e che gli trasmettano uno stato d'animo, un emozione: un sogno… appunto! Questo sogno, quindi, mi indusse ad immaginare un albero di montagna, dove particolari condizioni climatiche ne avessero determinano il carattere e le forme. La prima lavorazione fu dedicata ad un abbozzo di invecchiamento del tronco, che in un albero da vivaio, è tutto da inventare. Sgorbie, coltelli, scalpelli scorrono sul legno, incidendolo, scavandolo, scolpendolo al fine di ricreare, il più fedelmente possibile, quei fenomeni naturali (fulmini, frane, ecc.), che ci racconteranno del suo vissuto. Furono eliminati altri rami (Foto 1, 2 - Maggio 2000). Nell’attesa che I fasci linfatici ai bordi dello shari assumessero una forma tubolare, predisposi un programma di coltivazione mirata a irrobustire e infittire la ramificazione, acqua, aria, luce e concimazioni organiche furono fondamentali a tale scopo. Il tempo scorreva e già pensavo all’opportunità di modellare la ramificazione al fine di realizzare una prima impostazione

al progetto sognato. Tale occasione si presentò nel corso di uno dei primi appuntamenti scolastici con il mio amico e maestro Sandro. Al termine di un’entusiasmante giornata, l'albero aveva assunto l’aspetto visibile nella foto a seguire (Foto 3 Settembre 2002). Durante tutto il percorso evolutivo di un bonsai, e di un bonsaista, la curiosità e la continua ricerca estetica, correlata all’assoluta sana crescita dei propri alberi, si manterranno inalterati per tutta la vita. Una migliore padronanza delle tecniche di coltivazione e di modellatura abbinata alla piacevole quotidianità nei rapporti con l'albero, trasmettono forti e sempre nuove emozioni; il cuore palpita e la mente vola, su lontani dirupi, dove il tasso si prostra in cerca di luce a ricostruire una più folta chioma (Foto 4 Ottobre 2004, Foto 5 - Settembre 2005). Arriviamo all’anno 2006. L'albero inizia a mostrare una certa maturità; risultato di una corretta quanto equilibrata coltivazione. Le giuste pinzature hanno arricchito i palchi e stimolato la miniaturizzazione del fogliame, mentre una modellatura più raffinata, ha consentito una migliore distribuzione ed equilibrio degli spazi. In ultimo, il nuovo intervento eseguito sul tronco, gli ha donato ulteriore vetustà e carattere: il sogno co-

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>> Noi... di Bonsai Creativo School

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mincia ad avverarsi. Ora è giunto il momento di pensare ad un vaso che armonizzi adeguatamente al nuovo aspetto dell’albero, affinché possa esprimere al meglio le sue potenzialità, in occasione di un’eventuale mostra (Foto 6 - Settembre 2006). L'occasione si presenta durante il Festival del Bonsai 2007 ad Imperia, organizzata dal club a cui appartengo. Con mia gran soddisfazione, Il tasso viene premiato con la targa IBS e conseguentemente esposto a Roma durante il So-Saku 2007, aggiudicandosi, a pari merito, il 2° posto. Ma ancor più grande la gioia nel vedere il mio albero partecipare al prestigioso congresso UBI 2008, tenutosi ad Arco, dove gli viene conferita una

menzione di merito (Foto 7, 8). Rivedendo oggi le fotografie utilizzate per la stesura di questo articolo, rivivo e riassaporo tutte quelle intense emozioni che il mio “torchiato tasso “ è riuscito a donarmi durante questi nostri primi 10 anni trascorsi insieme. Quello che fu un sogno, oggi è diventata una splendida realtà. Un semplice albero da vivaio con il quale ho condiviso parte della mia e della sua vita; un amico, un maestro, che mi ha permesso, non solo di far pratica materiale, ma anche di comprendere il vero significato della dedizione, della pazienza e della riflessione. Voi cosa ne pensate? © RIPRODUZIONE RISERVATA

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on questa intervista diamo il via ad una serie di interviste dedicate ai nuovi istruttori IBS, ovvero Marco Tarozzo, Rocco Cicciarello e Franco Barbagallo. Il primo, nemmeno a farlo apposta è Marco Tarozzo, si... proprio lui, il Tarmar del Napoli Bonsai Club Forum. Come sempre, intervistare una persona con la quale si ha un rapporto, oserei dire di amicizia, non è cosa semplice, si rischia di cadere nel banale, nel già detto o al contrario di strafare. Mi auguro che nelle prossime pagine non ci sia nulla di tutto questo. Quello che vorrei venisse fuori da questa intervista è il risultato di una chiacchierata tra amici, senza formalità e senza ipocrisie. Dicevo che con Marco c'è un rapporto che definirei di amicizia benchè lo abbia conosciuto di persona solo pochi mesi fa in occasione del congresso UBI a S. Marino... ma nonostante non ci fossimo mai incontrati è bastata una sola occhiata perchè entrambi sapessimo chi fosse l'altro. Quello che mi ha più colpito di Marco è la sua spontaneità unita ad una grande umanità. Ma vi ho già tediato abbastanza con questa introduzione, perciò chiudo con un augurio di buona lettura e buon bonsai a tutti! Giuseppe Monteleone

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Come ho detto nell'introduzione, intervistare una persona che si conosce implica mantenere il giusto distacco per non cadere nella retorica. Vista dalla tua parte, com'è rispondere a domande che ti vengono rivolte da una persona che conosci? Secondo te i rapporti personali possono influenzare le risposte? Caro Pino mi vien un poco da sorridere perché per me amicizia vuol dire stima, complicità e nel nostro caso anche stessi interessi, quindi mi trovo un poco a disagio in quanto alcune cose che ci racconteremo ”noi le sappiamo già”. Cercherò di essere il più distaccato possibile e di rispondere con la massima oggettività. Ormai è noto che una delle prime domande riguarda l’uomo che si nasconde dietro il bonsaista. Molto di te si può capire dalla frequentazione sul forum, ma il Marco “privato” com’è? Il Marco privato è un Manager di un’azienda della distribuzione organizzata che lavora molto e spesso è in giro per l’Italia e per l’Europa. Nel lavoro sono molto esigente con me stesso e con i miei collaboratori; ho un carattere positivo e forte, non amo “farmi travolgere dal tempo che passa”, mi piace sperimentare e conoscere, amo moltissimo leggere e ascoltare buona musica d’autore italiana, jazz, blues e soprattutto rock. Ho una moglie, Sandra che mi sopporta da tantissimi anni, ci siamo conosciuti che eravamo bambini, e poi ho un cane e un gatto: Clara e Susy che completano la nostra famiglia.

andare avanti, ho dovuto abbandonare il mio sogno universitario e entrare nel mondo del lavoro; il mio primo impiego fu a part time addetto alle pulizie in un supermercato; ora, dopo vent’anni di duro lavoro e di studio, sono il direttore delle vendite di una Azienda Multinazionale di supermercati ma non dimentico mai da dove sono partito e il mio passato condiziona positivamente il mio quotidiano. Credo proprio che il saper dare debba essere una delle finalità della nostra vita. Ed ora veniamo a noi…. hai appena conseguito anche il titolo di istruttore IBS, cosa hai provato quando hai capito di aver superato l’esame? Che emozione ti da essere diventato ufficialmente un istruttore? Beh quando il Presidente mi ha fatto entrare nella stanza dove erano riuniti gli altri Istruttori per la riunione del congresso e mi ha presentato come nuovo Istruttore invitandomi, insieme a Rocco e Franco, a presenziare alla riunione mi sono emozionato. Oggi sono consapevole che un periodo lungo di apprendimento, iniziato nel 1993, è passato e ne sta iniziando un altro fatto ancora di tanto studio ma anche di trasmissione di ciò che ho imparato fino

ad oggi. Sono conscio che l’esame non ha modificato la mia conoscenza o il mio essere bonsaista ma ha reso certificato dal massimo organo italiano di didattica il mio insegnamento ai miei studenti, è una cosa importante per me ma anche e soprattutto per loro. Domanda forse provocatoria, tu credi che per insegnare bene a fare bonsai, l’istruttore debba necessariamente seguire un percorso di apprendimento, o semplicemente “basta essere bravi a far bonsai” per essere anche un buon maestro? Credo che si debba assolutamente passare per l’apprendimento perché le cose da sapere sono tantissime; spesso chi “insegna” senza passare per un percorso di studi didatticamente evoluto si ferma solo alla manipolazione dell’albero dimenticando tutto il resto, ad esempio l’estetica o la filosofia che c’è dietro alla nostra passione. Io vorrei proprio invitare i neofiti ad una maggior rigidità nella scelta del proprio istruttore e di avvalersi solo di insegnanti qualificati e riconosciuti dal Collegio Nazionale. Anche se credo che questa sia una domanda assolutamente reto-

Alcune delle doti che ho potuto apprezzare di te sono la grande umanità unita ad una modestia rara, ti ritrovi in questa descrizione? Mah, difficile fare uno screening della propria personalità, posso raccontarti questo di me per poi trarne le conclusioni: provengo da una famiglia modesta e, anni fa, per contribuire a farla

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>> L'opinione di...

rica, te la voglio fare ugualmente. Ora che sei Istruttore IBS, cambierà qualcosa nel tuo approccio con gli allievi? Beh sta cambiando molto: fino ad ora i miei allievi erano i nuovi entrati alla nostra associazione la Bonsai Gymnasium, ai quali fornivo le nozioni base per preparasi all’ingresso alla Bonsai School; a gestire i corsi alla scuola, nella sessione di Padova, era il mio “gemello” Federico Springolo. Ora, dopo l’esame, Sandro Segneri ha dato dei compiti anche a me e ho fatto la mia prima lezione in autonomia il 30 Maggio. E’ andata bene nessun allievo che dormiva e a fine giornata erano tutti soddisfatti e pure io. Sempre a proposito della tua nuova condizione di Istruttore, in que-

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sto momento ti trovi in una situazione un po’ particolare, da una parte allievo con l’Accademia della Bonsai Creativo School, da una parte Istruttore e quindi maestro. Non trovi anche tu che sia un po’ singolare questa tua situazione? Come riesci a destreggiarti? No assolutamente non mi trovo a disagio anzi credo che sarà così per molto tempo! Sai quando ho terminato l’esame e ho potuto, più rilassato, discutere con i componenti della commissione di esame, ho chiesto loro se potevano valutare questa mia proposta: riesaminare in continuazione i propri iscritti così da “obbligarli” a un costante studio e aggiornamento, questo a garanzia degli allievi che ogni Istruttore ha. Per farmi capire meglio ti faccio un esempio pratico di ciò che ho

voluto esprimere: l’attuale scuola estetica di Avanguardia (che ha come massimo esponente Kimura) sta scavando un solco talmente profondo con il passato che chi non si avvicinerà a questo senso estetico, studiando e aggiornandosi costantemente, sarà obsoleto di qui a non molto, è normale quindi che chi si avvale del titolo di Istruttore o Maestro sappia almeno che cosa sta accadendo nel mondo del Bonsai moderno, certo potrebbe non condividerlo e rimanere legato ai canoni classici, ma sapere che sta succedendo e saperlo spiegare ai propri allievi questo, secondo me, è un obbligo per lui. Detto da chi ti conosce bene, ma credo che sia sotto gli occhi di


tutti, tu sei uno dei giovani emergenti e di indiscusso talento che il bonsai nostrano può vantare, ma quanti sacrifici ti ci sono voluti per arrivare dove sei adesso? Credo che senza sacrifici non si possa arrivare da nessuna parte, non solo nel bonsai ma nella vita in generale. Qualche sacrificio me lo sono dovuto imporre, ma ne è valsa la pena. Mi piace il momento che sto vivendo, mi piacciono molto le amicizie che ho potuto coltivare nel tempo, mi piacciono le soddisfazioni e ricordo volentieri anche le delusioni. Ho avuto (Gigi Toso) e ho (Segneri e Bandera) degli insegnanti esigenti ma molto preparati. Colti. Spero un giorno di poter essere considerato come loro. Sempre a proposito della Via del Bonsai, tu credi che possa essere percorsa solo imponendosi una rigida disciplina, o può anche essere percorsa in maniera più “rilassata”? eventualmente, dal tuo punto di vista, l’approccio può cambiare in base al risultato che si vuole raggiungere? Dipende molto dagli obiettivi che uno si pone: il bonsai non è

approssimazione, il bonsai è bello o brutto e tra il bello e il brutto non c’è continuum, quindi se lo si vuole fare bene bisogna impegnarsi ed essere costanti e seri; se invece lo si vuole solo approcciare lo si può fare anche in maniera leggera, ma non sarà mai “Bonsai fine”. Poi, finito lo studio, che ribadisco deve essere serio e diligente, a me piace molto divertirmi e fare casino con i miei amici bonsaisti e anche con gli allievi, ma questo è il dopo! Sempre nell’ottica di sapere quanto più possibile ci sta dietro il bonsaista affermato, ti voglio chiedere quando e come è avvenuto il tuo primo incontro con il bonsai. Nel 1992 una mia vicina di casa ricevette in regalo dal suo ragazzo un prebonsai di acero rosso, ne rimasi affascinato e volli sapere tutto ciò che mi era possibile sapere su quell’albero in vaso. Poco tempo dopo visitai una mostra di un’associazione e mi iscrissi al corso base. L’anno dopo sono entrato al Bonsai Gymnasium di Gigi Toso e lì l’influenza del bonsai è diventata per me una “malattia cronica”.

Ed ora, a che punto ti senti della tua bonsai-do? Credo di essere al livello HA dei tre livelli d’apprendimento, sto cercando una mia via delle forme e un distacco dalle regole ma sento ancora il bisogno di avere un Sensei. Oggi oltre ad avere un ottimo rapporto allievo/maestro con Sandro Segneri per lo studio delle forme e lo sviluppo creativo ho intrapreso un “viaggio” importante nella via dell’Estetica e ho come Maestro Massimo Bandera. Ecco, oggi sono forse più evoluto di un tempo ma ancora assetato di sapere. Una domanda fuori dalle righe… quanta amicizia vera hai trovato nel mondo del bonsai? Poca ma importante; una su tutte quella con Federico Springolo, il nostro rapporto dopo oltre quindici anni va forse oltre l’amicizia e diventato un vero rapporto fraterno. Ed ora invertiamo l’ordine… se ti chiedessi cosa pensi di tutta le gente che si accosta al mondo del


>> L'opinione di... A chi inizia, e soprattutto a chi inizia con l’ambizione di bruciare le tappe, cosa ti senti di dire? Che per ogni cosa ci vuole il tempo necessario, così anche per il bonsai. Canonicamente lo studio intenso in Giappone prevede un apprendistato di almeno 8/10 anni. Oggi in Italia esistono molte possibilità di fare uno studio profondo e maturo anche dal punto di vista artistico, direi loro di munirsi di pazienza e costanza perché le cose fatte con testa e cuore sono quelle che rimangono e danno più soddisfazione.

bonsai per imparare, cosa mi risponderesti? In generale credi che ci sia l’atteggiamento corretto o vorresti che qualcosa andasse in maniera diversa? Vorrei ci fosse più pazienza, più rispetto per tutti e meno voglia di arrivare subito a tutti i costi e a qualsiasi prezzo. Io oggi sono molto stanco di tutte queste polemiche, le considero il più delle volte strumentali e politiche, non capisco perché non si possa, dentro le regole, essere rispettati e rispettare. Rimanendo sempre nell’ambito dei tuoi allievi, quali piante lavorano con maggior piacere e perché? Molti di essi hanno coltivato sino ad ora delle latifoglie perché legati a quelli che sono i canoni classici del bonsai visto sui libri e quindi si sono concentrati sulle chiome, sulla massa verde. Oggi si stanno avvicinando anche alle conifere, ginepri e tassi in particolare, perché abbiamo iniziato uno studio che parte dalla forma e da ciò che l’occhio vede in natura nel nostro ambiente; li vedo molto interessati e presenti in questo progetto che oltre che essere tecnico è anche estetico. I tuoi gusti invece verso cosa si

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orientano? Amo moltissimo le piante del nostro ambiente mediterraneo, olivastri, sughere e querce in particolare, per le conifere prediligo i ginepri, cipressi, i pini mughi e silvestri. Ti sarà capitato ormai innumerevoli volte di iniziare a lavorare una pianta partendo da zero, che suggestioni ti procura questo tipo di lavoro? Quali sono i pensieri che ti attraversano la mente, verso cosa tendi? Ogni volta che mi accade sono preso totalmente dal lavoro, mi lascio trasportare da quello che vedo e mi piace farmi raccontare dal legno, dalla corteccia da un foro che vedo quello che potrebbe essere successo a quella pianta. Poi inizio a pensarla esteticamente e inizio ad immaginarla nella forma che vorrei assumesse. Non smetto mai di pensarla con la mia testa ma sempre più spesso oggi mi chiedo: io la vedo così, ma il Fede che farebbe? Sandro come la racconterebbe? E Francesco? Roberto?.... Davvero questi sono pensieri che faccio e poi... poi parto e nel tempo viene fuori la pianta di Marco.

Tornando alla tua attività didattica, trovi più stimolante lavorare con neofiti o con gente che ha già tanti anni di lavoro in curriculum? Mi piacciono entrambi, certo che è più facile lavorare senza avere l’assillo di dovere abbattere dei paradigmi. Ai miei allievi dico spesso questo: dove si affermano le opinioni dei neofiti non c’è apprendimento. Un'ultima domanda prima dei saluti, la tua collezione da quante e quali piante è composta? In totale sono una settantina quelle che curo con maggior attenzione, di queste una trentina sono in uno stato avanzato di coltivazione e di queste sette/otto usciranno il prossimo anno o quello successivo nelle varie manifestazioni; le essenze più avanti nella coltivazione sono olivi, olivastri, sughere, eriche, ginepri, mirti, roveri, cotonester, e tassi . Ed ora per finire, augurandoti che il traguardo da poco raggiunto sia solo il primo gradino verso successi sempre maggiori, fai un saluto agli amici che ci hanno seguito fino a questo punto? Grazie per essere arrivati fino in fondo all’intervista e Buon Bonsai.

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Battuto dal vento di Antonio Ricchiari



>> A scuola di estetica

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l vento è arrogante, pensa di possedere gli alberi, di avere fatto sua la Natura, ma è solo un’illusione. Lo Stile Battuto dal Vento ricorda molto lo Stile Inclinato dal quale deriva, ma forse risulta più interessante per la disposizione dei rami. Due sono le varianti: il vento soffia sull’albero e il risultato dell’azione del vento dopo molti anni. Considerato dal punto di vista estetico questo bonsai può avere qualche difficoltà nella realizzazione perché bisogna mettere in atto tutta la perizia nel dare equilibrio ad una forma inclinata, con una ramificazione insolita, masse dunque che lo stile ventoso rappresenta una versione molto particolare della Natura dell'albero in condizioni climatiche estreme. Per i giapponesi è lo stile che infrange le leggi di gravità, lo stile fukinagashi. La percezione più immediata è quella di un albero che sia lì per lì sul punto di abbattersi, con una condizione di instabilità considerata insolita per un Bonsai e per il suo spirito. Quindi, nella formazione della pianta è necessario usare alcuni accorgimenti che diano un controbilanciamento che viene da radici robuste che facciano da contrafforte nella parte opposta all’inclinazione oppure dall’inserimento di una roccia. La visione è comunque drammatica poiché in natura questi alberi hanno un sito nelle scogliere o nei picchi montani fortemente battuti dal vento, pericolosamente inclinati nell’impari lotta di sopravvivenza contro gli elementi. La vegetazione è molto rada, senza rami sul lato battuto dal vento, con ampie parti del legno scortecciate (shari); il tronco quindi appare molto contorto ed esprime visivamente una eccezionale potenza anche se spesso non è eccezionalmente robusto. La compensazione di una silhouette così sbilanciata può essere ottenuta pure da un attento dimensionamento dei pochi rami sul fronte. Bisogna considerare un fatto importantissimo: abbiamo in questo caso una forte tensione visiva innescata dalla linea fortemente inclinata del tronco (drammaticamente instabile) e l’assetto delle radici, dei rami e della vegetazione che devono trasmettere stabilità e ordine estetico. In tutto questo contraddittorio visivo, la struttura deve conservare tutta la dinamicità e il contrasto di linee di forza che

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è la caratteristica peculiare dello Stile. Il punto focale primario è sicuramente il tronco; i punti di interesse secondario possono essere le radici di superficie (àncora robusta del piede) la parte lavorata a shari, il terriccio spesso molto rilevato dalla linea d’orizzonte, eventuali rocce. Il vaso deve essere necessariamente poco profondo o si può usare una lastra di pietra che mette in risalto ancora di più tutta la struttura dell’albero. In sostanza, il bonsaista deve conciliare ordine estetico e dinamicità, raggiungendo un equilibrio fra: • tensione visuale, scatenata dalla linea diagonale del tronco; • armoniosa organizzazione formale della impostazione del nebari, del tronco, dei rami, delle foglie Il bilanciamento ottico è demandato al nebari, che nello specifico deve essere molto sviluppato nella parte opposta al vento, per trasmettere quella sensazione di avvinghiato indispensabile alla stabilità. Questo stile ha delle similitudini con il cascata che già abbiamo esaminato in un precedente scritto pubblicato. Esso deve trasmettere nettamente la sensazione del vento attraverso una chiara esposizione estetica. I rami ed il tronco, con il loro movimento, devono rappresentare l’andamento che il vento ha dato loro. I rami devono essere impostati con una angolazione che guarda la direzione del vento, con la quasi totalità di rami volti solo da una parte. Il tronco può avere differenze che riflettono la rappresentazione di un ambiente più o meno ventoso, ma sarà sempre con pochi rami, una chioma piatta, nessun ramo controvento. Nello specifico di questo stile gli jin avranno una funzione estetica importante perché accentuano la drammaticità della rappresentazione. Le specie adatte a questo stile sono da ricercare naturalmente nelle conifere e nelle latifoglie che si possono trovare in montagna, come per esempio i faggi. Per lo stile fukinagashi sono da preferire vasi piatti o addirittura lastre che enfatizzano una certa orizzontalità, che esaltano l'effetto ventoso del tronco e dalle palcature. © RIPRODUZIONE RISERVATA

- Antonio Ricchiari -

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>> Non tutti sanno che...

Wisteria sinensis

Li abbiamo recentemente visti fiorire con i loro grappoli di una tonalitĂ di lilla definita appunto color glicine, arrampicati sulle recinzioni delle abitazioni, oppure nei vasi bonsai, sia lilla che bianchi... Glicine, Wistaria o Wisteria sono tre nomi per la stessa pianta e sono tutti corretti.

di Elisabetta Ruo

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- Elisabetta Ruo -


“Glicine” in greco significa “pianta dolce” e Linneo (medico e naturalista svedese, considerato il padre della moderna classificazione scientifica degli organismi viventi) diede questo nome ad una pianta rampicante introdotta dall'America, dalla costa orientale degli Stati Uniti ai primi del 700. Si trattava del glicine americano (Wisteria frutescens). Un secolo dopo il capitano Welbank portò dalla Cina e dal Giappone le varietà asiatiche che tutti conosciamo (Wisteria sinensis), ma il botanico Nuttal non comprese immediatamente che quella pianta era già stata classificata e la chiamò Wistaria, in onore di un professore di anatomia e antropologo tedesco che si chiamava Kaspar Wistar. Questo nome, però nella pronuncia inglese fu storpiato in Wisteria e si diffuse rapidamente in tutti i giardini d'Europa, tanto che alcuni anni dopo, nonostante ci si fosse accorti dell'errore, il nome Wisteria era diventato di uso comune e fu deciso di utilizzare quello. So-

lo nei paesi latini (Italia, Francia e Spagna ) è stato mantenuto il nome originale di glicine, mentre i tedeschi ne hanno coniato uno nuovo, “Blauregen”, che significa “Pioggia blu”, avvicinandosi a come la chiamano i cinesi, “ Zi Teng”, che significa “Vite blu”. Per il mondo orientale il glicine ha sempre rappresentato l'amicizia tenera e reciproca. Una leggenda infatti racconta che gli Imperatori giapponesi, durante i lunghi viaggi di rappresentanza, portassero con sé bonsai di glicine da donare agli altri regnanti. Arrivati in terra straniera si facevano precedere dai servi di corte che sostenevano gli alberelli di glicine fiorito al fine di rendere note le proprie intenzioni amichevoli e di riguardo agli abitanti di quelle terre. Il significato che il dono del Glicine ha conservato è quello di segno di disponibilità ed anche prova di amicizia.

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>> Non tutti sanno che...

Il primo glicine asiatico arrivò in Europa nel 1816 portato appunto dal capitano Welbank che una sera di maggio si era trovato a cena da un ricco commerciante di Guangzhou (Canton), sotto una pergola di glicine in fiore. Nessun europeo aveva mai visto prima uno spettacolo simile ed il capitano Welbank si fece dare alcune piantine che portò in Inghilterra donandole al suo amico C. H. Turner, a Rooksnet nel Surrey. In questo giardino tre anni dopo, nel 1819, fiorì per la prima volta e da lì si diffuse rapidamente in tutti i giardini del vecchio continente. In Italia si ha notizia della sua esistenza già intorno al 1840. Una leggenda di origine piemontese narra di una giovane donna, di nome Glicine, che faceva la pastorella. Questa fanciulla era disperata per il suo aspetto fisico e si considerava proprio brutta. Un giorno, persa nella disperazione, piangeva da sola nel bel mezzo di un prato; ad un certo punto le sue lacrime si tramutarono in una meravigliosa pianta di Glicine con un'inebriante fioritura. Una altra leggenda piemontese narra che una fanciulla non bella, disperata per la sua bruttezza, un giorno, piangendo su di un albero perché nessuno la voleva, piano piano si trasformò in un glicine; le sue lacrime, invece di cadere a terra, si accumularono al tronco, assumendo l’ aspetto di grappoli dai fiori violetti, e il suo corpo, a poco a poco, divenne una flessibile pianta, e le braccia, tanti rami che reggevano i fili dei fiori. Questa pianta è il simbolo primaverile, la sensualità della giovinezza. e la femminilità nella sua aurorale epifania (iniziale manifestazione). Curiosità: il glicine simboleggia la primavera, il suo intenso profumo ricorda le sere d'estate. E' una pianta considerata scacciaguai, allontana le negatività

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- Elisabetta Ruo -

E' considerata l'essenza astrale del segno dei pesci. Per le persone di questo segno sarebbe uno stimolo che riattiva il flusso delle idee. E' ritenuta un talismano contro le calamità, un filo magico che ispira le sensazioni più sublimi. PESCI 20/2 - 20/3 Segno d’Acqua, Mobile, perché si trova a cavallo di due stagioni, inverno e primavera. Caratterizza personalità emotive, sensibili, romantiche, sognatrici, creative, musicali, dolci, affettuose, indecise, contrastanti. PIETRA: Acquamarina - COLORE: Azzurro - ESSENZA: Glicine -FIORE: Gelsomino - GIORNO: Giovedì L'essenza astrale : 1° decade - il gelsomino. L'essenza di questo fiore è un ottimo rimedio contro i dolori reumatici e polmonari. 2° decade - il glicine. L'essenza di questo fiore, è uno stimolante per la psiche. 3° decade - la zagara. Stimola la riflessione. Ci siamo sempre chiesti perché le radici di un bonsai autoctono girano in un verso, mentre quelle di un bonsai nipponico girano nell’altro. La spiegazione è la stessa per l’avvolgimento del tronco... Perché il glicine della Cina (Wisteria sinensis) ha i rami che si avvolgono da sinistra a destra in senso antiorario e il glicine del Giappone (Wisteria floribunda) si avvolge invece all'inverso da destra a sinistra, in senso orario? Innanzitutto tutti i rampicanti che sono originari dell'emisfero boreale (nord) si avvolgono in senso antiorario, mentre quelli che sono originari dell'emisfero australe (sud) si avvolgono in senso orario. È lo stesso senso di rotazione che ha l'acqua quando si apre il tappo di una vasca. Nel nostro emisfero gira in senso antiorario, mentre nell’altro in senso orario. Questo è un fenomeno fisico oggettivo causato dalla rotazione terrestre. Fin qui torna tutto, ma se ci pensi in realtà il Giappone si trova nell'emisfero nord fra il 30° e il 45° parallelo... allora perché i glicini giapponesi si



>> Non tutti sanno che... avvolgono in senso orario? Bene, il Giappone, milioni di anni fa si trovava nell'emisfero sud, poi come una zattera ha navigato sulla crosta terrestre verso nord alla velocità di qualche centimetro all'anno senza mai inabissarsi nell'oceano, attraversando zone tropicali e subtropicali, per arrivare adesso in una zona temperata. Il percorso è stato cosi lento che le piante sono riuscite a sopravvivere adattandosi alle diverse condizioni climatiche, ma hanno mantenuto le loro caratteristiche originali insite nel loro DNA. Questa teoria spiegherebbe anche la grande diversità che c'è nella flora spontanea giapponese rispetto alle vicine Corea e Cina. Inoltre spiega anche i tanti terremoti che ci sono in quella terra dato che la lunga marcia continua tutt'oggi. Recentemente sono in commercio dei prodotti a base di Persea americana e Glicine max, in quanto La combinazione degli estratti di Persea americana e di Glicine max è scientificamente riportata in letteratura come un approccio terapeutico alternativo per proteggere la degradazione cartilaginea in pazienti con problematiche osteo-artrosiche. Anticamente i suoi fiori venivano usati come ingredienti di piatti a base di uova. L’ elisir di lunga vita? Mangiare fiori e piante spontanee: il glicine, ad esempio, è ideale nell’ insalata, mentre il sambuco è buono fritto. Questo il segreto di Libereso Guglielmi, botanico che ispirò il “Barone rampante” di Italo Calvino. “Esiste una varietà incredibile di piante commestibili che non conosciamo nemmeno e che dovrebbero entrare a far parte della nostra dieta“, ha detto Guglielmi, botanico 84enne, intervenuto ai lavori del Festival della Salute a Viareggio.

Guglielmi, “guru verde” di fama internazionale, cominciò la sua carriera di botanico gra-

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- Elisabetta Ruo -

zie ad una borsa di studio del Ministero dell’Agricoltura, al quale ebbe accesso per l’intervento di Mario Calvino, botanico egli stesso e padre dello scrittore Italo. Fu in quell’occasione che Guglielmi ebbe modo di frequentare l’allora giovanissimo scrittore e di ispirare la trama del famoso romanzo “Il barone rampante”.

“L’ideale – ha affermato Guglielmi – sarebbe invogliare i bambini, che sono più pro-


pensi all’ascolto, a riappropriarsi di tutta una serie di informazioni riguardanti l’alimentazione e la cura di alcune malattie attraverso le piante, informazioni che sono andate del tutto perdute. In pochi sanno che ci sono dei fiori che, oltre ad essere bellissimi, sono anche molto buoni. Ad esempio il glicine, l’acacia e il sambuco sono perfetti fritti o nell’insalata. Il tulipano è ottimo se imbottito con del formaggio morbido e lo stesso vale per l’ibisco. L’ortica invece può essere molto utile per stimolare la diuresi“.

Le parti tossiche sono i semi e la radice. In caso di ingestione i primi sintomi sono simili a quelli di una gastroenterite: vomito e dolori addominali con diarrea, congestione del volto e dilatazione pupillare. La base di profumo/essenza al glicine è un prodotto dal sentore nostalgico, che ricorda i vecchi cortili di paese, le sere d'estate, la campagna padana e le feste sull'aia dopo un giorno di lavoro nei campi.

- Elisabetta Ruo -

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>> Non tutti sanno che... A chi cerca un profumo rilassante per la sera, il momento di stacco dalla frenesia della giornata di lavoro; a chi ha cara l'amicizia e le cose semplici di tutti i giorni. Parfum. L’essenza al glicine può essere impiegata al posto degli oli essenziali nei diffusori d'essenza o nell'acqua dei caloriferi. STAR OF BETHLEHEM è consigliato contro gli shock e in tutti i casi in cui un trauma anche passato, ma tuttora attivo, blocca o disorienta la nostra energia vitale. li rimedio lenisce la sofferenza interiore, tempera il dolore, spinge a reagire e ad affrontare la realtà. Con la sua dolce azione riarmonizzante e rafforzante agisce catarticamente dissolvendo gli effetti del trauma. La qualità positiva che STAR OF BETHLEHEM evoca è la RISOLUZIONE. L’affermazione positiva corrispondente è la seguente: SCIOLGO OGNI BLOCCO ENERGETICO E MI REINTEGRO Il colore che lo rappresenta è il GLICINE. Il GLICINE è alla fine dello spettro cromatico e la sua immaterialità è ricca di vissuto e di saggezza. Questo colore tenue, pastello, così volatile, ben si adatta a rappresentare lo sciogliersi di blocchi e tensioni accumulate. Si avvicina inoltre al rosa dell’amore e del perdono, elementi indispensabili per una vera risoluzione del trauma vissuto. COLORARE LE PARETI DI CASA DI LILLA è CONTRO L’INSONNIA. Il nome chakra viene dal sanscrito, lingua madre indiana. Definisce i centri di energia nel corpo. Con l’aiuto

delle essenze è possibile far ricircolare l’energia in questi centri, nel caso in cui sia stata bloccata da esperienze negative. La scoperta delle essenze per i chakra avvenne per il desiderio di trovare una o più essenze per alleviare i problemi e le sofferenze degli uomini del nostro tempo. sono un ‘ evoluzione dei ben noti FIORI DI BACH. Le essenze vengono prodotte esclusivamente secondo il metodo del sole, in speciali giornate cariche di energia. La "pioggia blu" è una pianta rampicante energeticamente estremamente forte, che ci collega alla terra con le sue profonde radici e ci dà stabilità, per poterci aprire verso l’alto e tendere sempre di più verso alte mete. L’essenza ha un effetto sul settimo chakra e ci collega con la coscienza onnipresente, nel caso in cui scegliamo questa possibilità nella nostra vita. Per questo processo è necessario riformare l’equilibrio completo tra l’emisfero cerebrale destro e sinistro. Lo squilibrio può portare a mal di testa e a disturbi della concentrazione e dell’attenzione. Il glicine può venire applicato esternamente sulla parte dolorante, per esempio in caso di mal di testa. © RIPRODUZIONE RISERVATA


Note di coltivazione <<

Kiryu e

Lapillo

N

ella composizione di un substrato, bisogna tenere presente di tutti gli aspetti che caratterizzano ogni suolo, al fine di comporre una miscela quanto più idonea alle esigenze della specie, al grado di rifinitura estetico, alla posizione geografica, ma soprattutto agli obiettivi da raggiungere nel breve periodo (2-3 anni successivi al rinvaso). Notoriamente contrario all’utilizzo di un singolo suolo, in particolare all’Akadama al 100%, le numerose prove operate con diverse componenti hanno confermato le ipotesi di sinergie che i diversi substrati svolgono nelle interazioni con le radici, ed ancora più convincenti sono i risultati che negli ultimi mesi si stanno ottenendo tramite l’aumento o la diminuizione delle % relative alle singole componenti, raggiungendo così un grado di raffinatezza nei risultati secondi solo ai giapponesi. Già in articoli precedenti sui suoli, si sono potuti enunciare i diversi benefici che una miscela può apportare all’apparato radicale. Tra i suoli, quelli di fondamentale importanza e di imprescindibile ruolo troviamo quelli di origine vulcanica: per l’esattezza Kiryu e Lapillo. Ricchissimi dei fondamentali microelementi di

tipo ferroso, utili alla fisiologia vegetale nel fabbisogno giornaliero, questi substrati rappresentano un importante stimolo all’attività radicale in quanto incentivanti i processi di allungamento. Questo accrescimento implica anche un acceleramento dell’instaurazione di processi simbionti operati da micorrize, che grazie ai microlementi trovano anch’esse una spinta nei rapporti con le radici. Il kiryu e il Lapillo, caratterizzati da un Ph tendenzialmente acido (6-6,5) e da una CSC pari rispettivamente a 27 e 25, conferiscono alla miscela non più quella condizione di totale inerzia utile solo in alcuni casi di coltivazione, ma una fonte di approviggionamento costante di componenti ferrose che grazie al pH leggermente basso, mantengono attivi i processi di assorbimento tipici delle condizioni di quasi neutralità di Ph. Grazie inoltre alla loro struttura selezionabile tramite setacciatura, sono utilizzabili su tutte le categorie bonsaistiche, dai Mame ai Dai. Il loro utilizzo ad oggi non è più circoscritto alle sole conifere, ma anche e soprattutto ad essenze della macchia mediterranea che hanno mostrato segni di grande sviluppo dall’inserimento di % variabili al’interno del substrato. © RIPRODUZIONE RISERVATA

- Luca Bragazzi -

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>> Tecniche Bonsai

E' impossibile dare delle indicazioni assolute su questa particolare tecnica, che nell'arte bonsai è senz'altro una delle più difficili. C'è un detto in Giappone, che ci vogliono minimo tre anni per imparare ad annaffiare correttamente, molti probabilmente non crederanno a questa affermazione. Quasi certamente il 70% dei fallimenti dei principianti nei primi anni sono dovuti a pratiche di innaffiamento scorrette. "Bonsai ni ame ga ni do furimasu". Tradotto letteralmente significa “Per bonsai piove due volte” Il detto giapponese sopra menzionato ci ricorda che per innaffiare correttamente un bonsai bisogna bagnare completamente il terriccio. Perché dovremmo innaffiare due volte? Quando si bagna il terriccio di un bonsai non rinvasato recentemente, l’acqua cercherà il percorso di incanalamento di minima resistenza che spesso non coinvolge tutto il substrato fuoriuscendo dai fori di drenaggio senza che molte radici vengono bagnate e questo può causare danni al bonsai. Bisogna bagnare una prima volta il terriccio in minima quantità, in modo che il substrato accetti meglio l’acqua. Infine annaffiare una seconda

volta completamente rendendo saturo il terriccio. Questo assicura che il pane radicale venga bagnato completamente. Quando il pane radicale non viene irrorato ad ogni annaffiatura si rischia la decomposizione e la morte delle radici, con conseguente deterioramento del fogliame corrispondente. Naturalmente nell’irrigazione di qualità è imprescindibile l'uso di una tecnica manuale con tutte le difficoltà e la costanza che comporta. CONSIGLI DI CORRETTA ANNAFFIATURA. Spesso, uno dei primi consigli che riceviamo quando incominciamo a fare bonsai è “non annaffiare molto." La maggior parte dei neofiti interpreta questo suggerimento nel senso che dobbiamo bagnare poco il terriccio e non completamente. Questo è il primo degli errori. Ogni volta che innaffiamo dobbiamo dare tanta acqua finché non fuoriesce dai fori di drenaggio. Quello che invece si intende per “non annaffiare molto" è l’innaffiamento troppo frequente, il substrato non ha il tempo di asciugarsi che viene di nuovo irrigato.


di Antonio Acampora


>> Tecniche bonsai Questo impedisce all’ossigeno intrappolato nel substrato di giungere alle radici, provocando asfissia radicale, prima e sviluppi di funghi e altri patogeni. Il tema del rapporto tra acqua e terriccio è estremamente importante per due motivazioni concrete: la qualità delle micorrize e i marciumi radicali. Le micorrize, sopratutto se esterne come quelle delle conifere, non sopportano l'immersione in acqua prolungata, e si sviluppano bene in un terreno drenato come avviene in montagna. In linea di massima il bonsai deve essere bagnato al massimo tre o quattro ore dopo essersi completamente asciugato, per evitare il colpo di secco, e questo comporta un'irrigazione quotidiana da maggio a settembre, con i frequenti casi di due irrigazioni giornaliere nei periodi più caldi e ventosi. Bisogna prestare attenzione a come l’acqua si comporta quando incontra il terriccio. Se esce dalla superficie del substrato, andando fuori dal vaso, vuol dire che il terreno superficiale si è molto compattato. La causa può essere stata la crescita delle radici, o il fertilizzante organico che spezzandosi è andato a chiudere la superficie del terriccio. Se è successo questo bisogna prendere un bastoncino e sgretolare la superficie del substrato verso il fondo per 2-3 cm. eliminandolo. Sostituendo poi questo strato con terriccio nuovo ricoperto con del muschio sbriciolato. Questo permetterà all'acqua di penetrare meglio il terriccio e rendere saturo l’intero volume del substrato. Ricordiamo che l'irrigazione è uno dei quattro elementi sul quale lavorare per una coltivazione programmata, insieme a terriccio, concime ed esposizione. Il terreno dei vasi, in superficie, deve sempre essere smosso, soprattutto in prossimità del fusto, ciò faciliterà l'annaffiatura del ceppo. E' facile che alberi che s’innaffiano con i sistemi tradizionali: annaffiatoio, pompa d’irrigazione, spruzzatore, irrigazione a pioggia e per gocciolamento mantengano arida la parte centrale della zolla, infatti, la superficie di separazione tra il contenitore ed il terreno, i fori di drenaggio ed il posizionamento sopraelevato del nebari dei nostri

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- Antonio Acampora -

bonsai, concorrono ad indirizzare l'acqua verso il bordo dei vasi. Un sistema che evita l'inconveniente citato è l'annaffiatura per immersione, essa si seguirà con acqua al di sopra od al di sotto del bordo del vaso ed è un buon sistema di ricambio gassoso all'interno della zolla. Di contro questa procedura è lenta ed onerosa, ha bisogno di tempi lunghi di colatura, impoverisce velocemente il terreno asportando notevoli quantità di sali solubili, per collezioni con un notevole numero d’esemplari deve eseguirsi a più riprese. Si può innaffiare per immersione ogni tanto mentre la normale irrigazione conviene eseguirla ripassando non meno di tre volte ogni pianta in modo che l'acqua passi attraverso i fori di drenaggio rinnovando anche l'ossigeno del substrato. L'annaffiatura in profondità eviterà la crescita delle radici in superficie e durante l'estate eviterà altresì che le radici non trovino sufficiente umidità nel terreno. Per quanto riguarda l'annaffiatura per immersione si consiglia l'aggiunta di concime idroponico all'acqua, in questo caso si ridurranno i danni da dilavamento. Nel periodo estivo le annaffiature vanno eseguite nei periodi più freschi della giornata, si deve evitare di bagnare i vasi caldi soprattutto se esposti al sole ( calore ed umidità sono le condizioni ideali per la proliferazione dei patogeni e delle crittogame ) L'acqua usata per le irrigazioni dovrà inoltre essere sempre a temperatura ambiente. E' bene innaffiare alla mattina in modo che l'acqua fornita sia utilizzata durante il periodo più caldo della giornata. Nel periodo invernale le annaffiature vanno eseguite nelle giornate soleggiate possibilmente nel mezzogiorno, operando in questo modo la pianta avrà tempo di assorbire l'acqua necessaria, eliminando per colatura quella in eccesso, questo sistema eviterà che le eventuali gelate notturne danneggino i nostri bonsai. La vaporizzazione dei bonsai è poi una pratica da tenere in seria considerazione, essa dovrebbe essere eseguita con acqua demineralizzata, infatti, le acque calcaree evaporando lasciano sulle foglie residui salini che possono danneggiare gli stomi delle medesime, la va-


porizzazione oltre a termoregolare la chioma delle nostre piante nei periodi particolarmente caldi, serve ad eliminare la polvere ed a condizionare l'attacco dei vari acari nocivi (ragnetto rosso ecc.). IL TIPO D’ACQUA. Notevole importanza ha poi il tipo d’acqua da impiegare, quella piovana un tempo era la più indicata ora occorre fare alcune doverose considerazioni sul suo uso. L'acqua piovana durante le precipitazioni è un eccellente diluente atmosferico, infatti, per il suo altissimo potere solvente veicola moltissima parte dei componenti prodotti dalle innumerevoli attività umane il co-

sì detto smog. E' questa la causa della comparsa delle deprecate " piogge acide." L'acidità delle piogge varia da luogo a luogo e durante un periodo piuttosto lungo di precipitazioni tende a ridursi in modo direttamente proporzionale al perdurare della pioggia. Quindi si consiglia di usare acqua piovana prelevata in zone notoriamente a basso carico d’inquinamento atmosferico, prelevandola possibilmente alcune ore dall'inizio della precipitazione e possibilmente quando questa si prolunga nel tempo, in ogni caso il livello d’acidità piovana si può controllare con le cartine di misurazione del pH reperibili in qualunque farmacia. Il pH ottimale per

- Antonio Acampora -

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>> Tecniche bonsai qualunque tipo d’acqua usata deve rimanere nei limiti compresi tra 7,5 e 6,5. L'acqua corrente è una buona alternativa a quella piovana purché non provenga da corsi d'acqua inquinati da scarichi urbani o peggio ancora industriali. L'ideale sarebbe usare l'acqua di fonte o di falda profonda. L'acqua degli acquedotti purtroppo è sempre addizionata al cloro usato come disinfettante, spesso poi risulta avere una notevole durezza ( alto contenuto di carbonato di calcio ), un indicatore della durezza dell'acqua è la crosta bianco-giallognola che si deposita sul bordo dei vasi. Il contenuto di sali disciolti nell'acqua irrigua è importantissimo per la salute dei nostri alberi. Infatti, l'assorbimento dell'acqua avviene per osmosi, è esclusivamente di tipo fisico, esso si estrinseca nella tendenza che hanno due soluzioni saline a diversa concentrazione separate da una parete semi-porosa (membrana) ad equilibrare, per migrazione del solvente attraverso la membrana, la loro salinità, in pratica si verifica il passaggio d’acqua dalla soluzione meno concentrata a quella più concentrata, il passaggio del

solvente cesserà quando la concentrazione salina sulle due facce della parete semi-porosa sarà eguale. Siccome la concentrazione salina dei liquidi fisiologici delle piante è sempre maggiore di quella dei liquidi presenti nel terreno, l'acqua tende a passare, attraverso le pareti semi permeabili dei tessuti cuticolari all'interno della pianta. Annaffiatura con acqua eccessivamente salina può bloccare il processo osmotico od addirittura invertirlo ( perdita idrica dai tessuti della pianta ). Si consideri inoltre che le membrane cuticolari trattengono le molecole saline a mo' di barriera filtrante, quindi un eccesso di queste può compromettere l'integrità delle cuticole quindi la capacità funzionale della radice. La concentrazione massima ammissibile di sali nei liquidi d’irrigazione non deve in ogni caso superare il 5% totale, oltre questo limite la radice non è più in grado di assorbire acqua. Da quanto detto si evince che l'assorbimento (assimilazione) dei sali minerali esula dal processo osmotico, infatti, questo complesso meccanismo si basa sulle due fasi dell'assimilazione


ionica, processo tuttora in gran parte ipotetico, queste sono: la fase passiva iniziale ed il trasporto ionico attivo. Un suolo troppo ricco di sali è un suolo sterile, per questo motivo le idroconcimazioni devono cedere al terreno basse concentrazioni saline sarà poi opportuno ripeterle con una certa frequenza. In ogni periodo dell'anno in cui l'annaffiatura delle nostre piante sarà problematica occorrerà sospendere la pratica della concimazione. Nelle fasi di concimazione quando le dosi sono alte, è anche opportuno lasciare asciugare bene il pane di terra da una volta all'altra in modo da evitare che l'eccesso di umidità inneschi la fermentazione dei concimi organici troppo rapida, con un conseguente aumento dell' ammonica libera. Il drenaggio ed i relativi fori garantiscono anche l'eliminazione ad ogni annaffiatura dell'eccesso di sali eventualmente presente nel terreno. In commercio si trovano prodotti per precipitare l'eccesso di sali contenuti nell'acqua, anche se a nostro giudizio questo

metodo è comunque da sconsigliare, come quello di aggiungere acido nitrico all'acqua delle irrigazioni. L'abitudine di lasciare decantare l' acqua ricordiamo che permette l'evaporazione del cloro ma non del calcare, e non è quindi sufficiente per l' uso bonsai. Non è assolutamente da consigliare l'acqua demineralizzata acquistabile nei supermercati in quanto il processo di demineralizzazione utilizzato a livello industriale non utilizza membrane osmotiche, bensì resine o altro e ciò comporta un innalzamento del pH a valori oltre 8-9. Un sistema è la depurazione attraverso l' impianto per osmosi inversa. Quest'ultimo è l' unico vero sistema per filtrare completamente le acque con delle spese che oscillano dei 300 ai 1500 euro. Questo è il sistema migliore sia per la qualità dell'acqua che si ottiene, sia per la gestione dei costi. © RIPRODUZIONE RISERVATA

- Antonio Acampora -

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>> L'angolo di Oddone


Il Biancospino Carlo ODDONE

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ol nome di Biancospino si intendono alcune varietà di Crataegus. Il Crataegus oxyacantha, con foglioline profondamente frastagliate e due o più semi in ogni frutto; il Crataegus monogina, con un unico seme; il Crataegus cuneata, di origine orientale a fiore rosso e poche altre cultivar, variamente decorativa, proodotte in vivaio per il giardino. Questa essenza, come la maggior parte delle piante spinose, produce numerosi getti ad ogni nodo, generalmente perpendicolari al ramo da cui nascono, e ciò dà alla sua struttura un aspetto intricato e spigoluto. Non è difficile perciò trovare dei soggetti spontanei che la forma del tronco renda interessanti come

materiale di partenza. I vecchi soggetti sono in genere non facili da raccogliere in natura o da qualche siepe per la tendenza, che il Biancospino ha, di garantirsi l’acqua indispensabile scendendo profondo nel terreno, con qualche grossa radice. D’altronde i giovani soggetti presi in vivaio (per lo più monogina coltivati come portinnesti) si prestano a lasciarsi manipolare solo finchè sono ancora sottili. Crescono però molto rapidamente, tanto da potere ottenere del materiale con un buon potenziale, se li si coltiva in piena terra o in grandi vasi per qualche anno allo scopo di ingrossare il diametro del tronco e dei rami principali, e di renderne la superficie scabrosa a simulare una certa età.

- Carlo Oddone -

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SPECIE E VARIETA' SPERIMENTATE: LORO CARATTERISTICHE La generosità del Biancospino nel ricacciare si associa ad un notevole vigore nel crescere: per questa ragione si riesce a far cicatrizzare bene delle ferite anche cospicue, purchè il soggetto venga coltivato a terra o comunque gli si lasci una abbondante vegetazione. Le spine sono più lunghe nell'oxyacanta e si formano all’altezza di quasi ogni nodo: sono comunque sempre in agguato nei punti per pungere chi cerchi di educarne i rami. Senza spine è la Stranvaesia davidiana, detta il “Biancospino dell'Himalaya", molto generosa nel vegetare e con degli interessanti germogli cremisi e fiori biancastri (ma dall'odore non proprio gradevole). Bisogna attendere parecchi anni per avere la fioritura del Biancospino, salvo che non si vogliano innestare delle marze prese da un

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soggetto maturo. La moltiplicazione è abbastanza facile. I semi vanno stratificati (anche se talvolta impiegano fino a 18 mesi per germogliare), ma si possono fare anche radicare talee e margotte. Risponde bene l'innesto, meglio a cuneo o triangolo, per cui si può mettere il "rosso-spino" sul monogina, che è quello che si trova comunemente prodotto da seme nei vivai: le due cortecce sono identiche, e non ne resta praticamente traccia. STILI PIU’ ADATTI Per il suo modo di crescere, il Biancospino non si presta proprio a farne un eretto formale o una scopa rovesciata. Conviene piuttosto ispirarsi anche alle forme che esso offre in natura, dove per il fatto di crescere al bordo dei campi e perlopiù in luoghi sassosi ed esposti assume sovente degli atteggiamenti assai interessanti. Il suo stesso modo di reagire agli strapazzi o ai traumi tende a farne soggetti ricchi di vegeta-


zione, dalla quale appunto scegliere la struttura valida per un bonsai. TRAPIANTO, RACCOLTA E SUBSTRATO Anche se tollerante, il Biancospino preferisce un substrato calcareo. Il miscuglio nel vaso non dovrà essere troppo sabbioso, per non doverlo bagnare spesso: questa pianta infatti si affloscia presto appena l'umidità del terriccio cala. Trapianti e rinvasi si effettuano di norma durante la dormienza, ma non è impossibile spostare un soggetto a metà estate, a condizione di togliergli tutte le foglie. Le radici superficiali si possono ingrossare bene vicino al piede quando se ne lasciano poche, scelte al momento di un trapianto, in modo che su di esse gravi tutto il lavoro di assorbimento. Un paio d'anni in piena terra o in un grosso vaso contribuiscono sostanzialmente ad un tale risultato. POTATURA DI FORMAZIONE Per chi voglia farsi il suo Biancospino, plasmandone completamente la fisionomia, c'è una tecnica assai efficace (che onestamente va-

le anche per altre essenze). Si parte da una piantina del diametro di una matita e nel volgere di poche stagioni si crea un soggetto esattamente secondo le proprie intenzioni. Ciò si ottiene tagliando via ad ogni autunno tutta la vegetazione della stagione precedente eccetto quei pochi tratti che servono, secondo il progetto, a creare la conicità del tronco e a costruire la struttura di base della ramificazione. Le numerose cicatrici che ne conseguono attribuiscono inoltre una interessante rugosità alla corteccia. A questo punto si lascia crescere la ramificazione e la si infittisce con la tecnica consueta della cimatura. SEGRETE RISORSE Per il suo modo di vegetare un bonsai di Biancospino si presta ad assomigliare ad un soggetto fatto alla cinese, realizzato cioè col metodo del taglia e lascia crescere, piuttosto che con l'uso del filo. Anche questo è un aspetto del suo fascino.E' importante ovviamente eliminare presto qualsiasi getto, verticale o quasi, rivolto in alto o in basso. La vegetazione ancora erbacea è ricca d'acqua; i rami appena maturi sembrano asciutti e di consistenza fibrosa, ma credo che - Carlo Oddone -

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>> L'angolo di Oddone questo sia il segreto del Biancospino: nonostante viva in luoghi in apparenza aridi è in realtà capace di trarne l'umidità profonda. Ecco perché nella limitatezza del vaso rischia di disidratarsi... il legno vecchio risulta particolarmente duro e compatto, forse per la carica di minerali assorbiti col tempo e ciò lo rende poco trattabile con gli strumenti bonsai. Ciononostante le parti profonde sono facile preda del marciume, e il legno si trasforma in un materiale che si lascia scavare con una semplice sgorbia. APPLICAZIONE DEL FILO Questa è una di quelle piante che ha i rami giovani troppo teneri per metterci il filo, e quelli vecchi troppo rigidi per educarli. Se la vegetazione è lenta i nuovi getti sono insignificanti; se vigorosa i rami crescono diritti e cilindrici. Vi è inoltre la difficoltà dovuta alla presenza di spine alle articolazioni e lungo i rami. Nelle parti mature o vecchie, la corteccia si screpola e viene segnata facilmente. Il momento più propizio per tentare l'educazione col filo è comunque quando un soggetto è estremamente povero di linfa circolante, in modo che perde rigidità e turgore. L'alternativa più valida è offerta dalla tecnica

Il Biancospino è un piccolo albero spesso cespuglio. Appartiene al genere Crataegus che comprende più di 200 specie e rientra nella famiglia delle Rosaceae. Comprende piccoli alberi generalmente spinosi, alti 2-5 m, con corteccia per lungo tempo liscia, tardivamente fessurata, grigio scuro. Foglie alterne, picciolate, generalmente divise in 3-5 lobi, profondi, dentati, raramente intere. Fiori bianchi, raramente rosati o rosa, con 5 peta-

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di intervenire con ripetute potature cimature per costruire, un breve tratto per volta, ogni singolo ramo, o perlomeno, la principale della sua struttura. CIMATURA E POTATURE SPECIALI IN FASE VEGETATIVA Come già detto il Biancospino ha la tendenza a produrre numerose cacciate quasi allo stesso punto in risposta ad ogni cimatura, anche se fatta al momento giusto. Ciò richiede di essere pronti ad eliminare al più presto tutti i germogli indesiderati, perché con il loro sviluppo causerebbero un esagerato accrescimento localizzato del diametro, e l'estremità del ramo prenderebbe una forma diciamo a “mazza di tamburo”. E' la stessa produzione generosa di callo cicatriziale che porta alla formazione di ingrossamenti nel punto in cui dal ramo portante si passa al suo proseguimento dopo la cimatura. Si può però anche approfittare di tale comportamento, facendo di necessità virtù, ed accorciare ad adeguati intervalli di tempo successivi la nuova vegetazione, in modo che la lunghezza del ramo cresca di uno o due nodi per volta. Questo metodo di formazione è lento ma consente di dare alla grossa ramificazione un aspetto contorto e di grande effetto.

li divisi. Frutti rossi, rosso-arancio, raramente giallastri, sub sferici o ovoidali, che superano raramente 1 cm, con polpa generalmente farinosa, contenente 1-2 noccioli. Fioritura in aprile-maggio; frutti in settembre, persistenti sui rami per una parte dell’inverno. I Biancospini hanno una crescita molto lenta (generalmente di circa 30 cm nei primi 7-8 anni) e possono raggiungere età avanzata. E’ l’arbusto

delle siepi vive per eccellenza e per la densità dei suoi rami e del fogliame esercita una protezione molto efficace contro il vento, ma anche contro l’intrusione degli animali. Il Biancospino si moltiplica soprattutto per semi: è il metodo più sicuro per ottenere delle piante di dimensione omogenee, di crescita sicura. Biancospino selvatico – Crataegus oxyacantha L. Arbusto, raramente albero, alto fino a 5 metri con rami


Dopo un certo tempo, a qualche ramo è comunque necessario rinnovare il tratto all’estremità, dove a causa delle ripetute cimature l’ingrossamento sia veramente eccessivo, sostituendolo con un getto più giovane e sottile. TECNICHE PARTICOLARI I germogli che portano i fiori si formano su rami maturi, da gemme che durante l'estate non hanno avuto modo di svilupparsi normalmente (perchè bloccate da altre che invece crescono all'estremità del ramo) e sporgono, grossette e sferiche, su dei tubercoli di pochi millimetri o in cima a sottili speroni lignificati. Con un po’ di attenzione tali gemme sono in genere abbastanza riconoscibili già alla fine della stagione vegetativa, e pertanto è possibile salvarle mentre si esegue la ristrutturazione del bonsai in dormienza. All’inizio della primavera, ai soggetti che devono fiorire, bisogna cercare di dare meno acqua possibile, in modo da evitare che i germogli con i corimbi all'estremità si allunghino e portino i fiori oltre il margine della chioma. Data l'importanza della fioritura occorre consentire alla pianta di formare numerose gemme miste: per questo si limitino se possibile le cimature dei soggetti maturi al momento dei fiori appassiti e poi attendere l'estate, dopo

glabri e spinosi di colore bruno rossastro. Le foglie sono alterne, semplici anch’esse glabre e presentano un perimetro ellittico oppure obovato con una o due incisioni per lato poco profonde. Il margine è regolarmente dentellato, la pagina superiore è di colore verde brillante mentre quella inferiore è verde glauco ma glabra. I fiori compaiono da aprile a maggio in infiorescenze corimbose terminali con peduncoli glabri. I singoli fiori sono

che sono maturati i rossi frutti. COME TI ACCORCIO IL FUSTO Qualora il materiale di partenza avesse il tronco troppo cilindrico e lungo, è possibile farne nascere un nuovo livello di radici al punto più opportuno col metodo della margotta. Per una riduzione di pochi centimetri, tolto l'anello di corteccia, è sufficiente interrare la pianta più profonda a fine inverno. Se invece si deve accorciare di molto, lo si faccia a fine maggio; si potrà così ottenere facilmente nuovi germogli sul mozzicone sottostante, tra cui scegliere quelli adatti alla ramificazione, ed avere... due soggetti a disposizione. FERTILIZZAZIONE ED ALTRI TRATTAMENTI Si tratta di una essenza frugale, che non ha particolari esigenze in fatto di concimi, salvo per quanto riguarda la produzione dei fiori, quando un eccesso di azoto nel momento sbagliato la spingerebbe a far nuova vegetazione invece che a differenziare le gemme per fiorire. Attenzione quindi a non fertilizzare azotato i soggetti maturi subìto alla fine dell'inverno e a metà estate, attendendo

ermafroditi con 5 petali bianchi e calice formato da 5 lacinie triangolari. Vive principalmente nei boschi di caducifoglie su suolo ricco o anche degradato dal livello del mare ai 1200 m. è presente in tutta Italia con esclusione delle Isole maggiori. Biancospino Lazzarolo – C. azzarolus L. Pianta simile al Biancospino comune con pelosità più densa e foglie con incisure poco profonde che formano lobi

triangolari. I fiori presentano da 1 a 2 stili. I frutti hanno un diametro di 2 cm e più, sono di colore giallo bruno e hanno un sapore simile a quello delle nespole. Probabilmente originario dell’isola di Creta, è presente in Sicilia e sporadicamente nell’Appennino Ligure ed Emiliano. Antonio Ricchiari

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ugualmente un certo tempo a concimare dopo che si è praticata una potatura energica o molto diffusa. E' indicata invece la somministrazione di fosforo e potassio nelle due o tre settimane che seguono l'epoca della fioritura e nuovamente a fine estate. PREVENZIONE E CURA DELLE MALATTIE Occhio ai "cattivi". Il Biancospino non ama il terriccio in cui ristagni l'umidità, mentre gli giova che questa sia regolare e costante. Un substrato leggermente calcareo e ben drenante è quindi una sorta di assicurazione contro i malanni dell'apparato radicale dei soggetti coltivati in vaso. L'oidio è la più comune delle malattie fungine che colpisce questa essenza. Spesso i germogli sono attaccati per primi ed avvizziscono, ma anche le foglie possono ricoprirsi di quella o(i)diosa patina biancastra, che riducendo la fotosintesi finisce col fare soffrire tutta la pianta. Ci sono molti prodotti che servono a combattere l'infezione. La "bolla" è una malattia che si manife-

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sta deformando il lembo delle foglie e colorandole dal rosso al viola nei punti colpiti. Conviene applicare degli anticrittogamici specifici, essenzialmente come preventivo, alla fine dell'estate ed al momento della fioritura. Come molte rosacee il Biancospino presenta talora dei tumori granulosi fino alla grossezza di una noce a carico delle radici. Non sempre la pianta dà segni di sofferenza: mi limito ad asportarli poiché non ne conosco l'origine e non so cosa altro fare. Anche il "fuoco batterico" dovuto all'Erwinia è un accidente, questo veramente grave, che può attaccare il nostro beniamino, uccidendolo più o meno rapidamente ramo dopo ramo: una tale scoperta richiede che il soggetto malato sia distrutto bruciandolo. Si tratta infatti di un infezione estremamente contagiosa per tutte le Rosacee, tanto che le leggi internazionali hanno vietato il passaggio delle essenze di tale famiglia attraverso ogni frontiera. Gli "animaletti" che aggrediscono il Biancospino sono i soliti afidi e la cocciniglia (soprattutto quella cotonosa ) e vanno combattuti con i mezzi consueti. Il Croneton è un re-


pellente sistemico contro gli afidi, il cui effetto può proteggere la pianta anche per cento giorni. Non mancano bruchi e camole, ma le piccole dimensioni del bonsai e la possibilità quindi di tenerlo d'occhio, consentono di intervenire con gli insetticidi adatti ai primi segni di guai. Qualche volta si notano delle maculature puntiformi dal giallo al nerastro diffuse sulle foglie, che al disotto si presentano invase da piccolissimi insetti: si tratta per lo più di acari o di mini-cimici. Il trattamento con un buon insetticida può risolvere il problema ma conviene prestare attenzione ai primi segni di infestazione ed intervenire subito per limitare il danno, sia estetico che funzionale. Anche in questo caso infatti, per la forte diffusione del parassita, la pesante riduzione della fotosintesi può rivelarsi grave per la salute del piccolo bonsai.

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>> IL Giappone visto da vicino

CON

ROSSELLA MARANGONI http://bibliotecagiapponese.wordpress.com

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i sono alcuni libri che, seppure interessanti, probabilmente non troveranno mai posto negli scaffali delle più note librerie o sotto le luci della ribalta. Uno di questi è, credo, Tōkyō di Rossella Marangoni (ed. Unicopoli, pp. 151, € 10). Ad un lettore distratto, il volume potrebbe apparire l'ennesima raccolta di consigli per avventurarsi nella capitale giapponese, ma già dalle prime pagine si respira un'aria ben diversa. Innanzitutto, non si riscontra alcuna sfumatura didascalica: a parlare è la stessa città, con i suoi quartieri, le sue ombre, i suoi vicoli. Ciò, senza dubbio, è dovuto al fluire della scrittura, che non segue alcun itinerario prestabilito, né è scandita dai ritmi svilenti tipici di alcune guide turistiche; piuttosto, segue l'occhio curioso e mobile dell'autrice, cerca di dipanare i fili della memoria ed accompagna il lettore, senza presunzione, in questo viaggio sentimentale privo di sentimentalismi. E così, ci s'imbatte in una continua scoperta delle Tokyo nascoste in Tokyo: la città delle contraddizioni svela inaspettatamente le sue armonie segrete, gli equilibri nascosti e la folla di personaggi che l'hanno vissuta e plasmata con i loro desideri e i loro bisogni. Dietro questa «pittura dal vivo» vi sono mesi di studio e attenta osservazione: ogni pagina cela una curiosità, un aneddoto, un frammento di storia o di vita, e lo rivela con naturalezza; e così, sotto gli occhi del lettore, si schiude un universo in cui si incontrano e si fondono, in un incessante controcanto, voci presenti e passate, reali e leggendarie. Un «viaggio da fermo» che continua, una volta chiuso il libro, nell'animo. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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- Anna Lisa Somma -


Il Giappone visto da vicino <<

di Antonio Ricchiari

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giapponesi, compìti, impeccabili, rispettosi, si presentano come gli eredi di una civiltà che, per certi versi, non sembra appartenere al nostro mondo ma ad un altro, un altro mondo che ha già iniziato ad illuminare il nostro. A partire dagli anni ’70 del Novecento, il Giappone ha inondato l’Occidente con oggetti made in Japan e ora ci seduce con tutta la sua estetica del quotidiano e, perché no, anche con il fascino della sua lingua. Oggi tutti parliamo giapponese: usiamo parole come samurai, termini come kamikaze, dopo la tragica cronaca degli attacchi dei terroristi, sono parole entrate nel quotidiano. Inoltre è nell’uso comune: sushi, karaoke, ikebana, bonsai, karate, zen, tamagochi, e chi più ne ha, più ne metta. Tutto ciò coinvolge ed affascina perché probabilmente sa di leggerezza eclettica, un gusto per la commistione dettato da una logica che non segue la linearità, e nemmeno la dialettica della nostra logica classica ma, piuttosto, si modella su canoni improbabili come l’effimero, il piacere ed il gusto per la miniaturizzazione, l’amore esasperato per tutta


>> IL Giappone visto da vicino

la Natura, la convinzione che il mondo artificiale dei manufatti sia una forza da assecondare senza giudizi morali, perché gli oggetti sono spiriti, kami, così come un suiseki ha il suo kami, anche un computer lo possiede. E tutto questo per gli Occidentali, evidentemente, è di difficile metabolizzazione. Il Giappone è un Paese dove la sua antichissima cultura ne ha facilitato la modernizzazione, ha vissuto il periodo post-moderno prima che ciò avvenisse da noi e tuttavia non ha perduto la sua anima antica e sta imponendo il proprio gusto estetico perché la sua estetica è qualcosa di immenso, è uno stile di vita, è una nuova Via, è un Do. Sono infatti perfetti gli stili e gli oggetti che il Giappone oggi ci propone e che noi siamo ben felici di adottare, sedotti da un’estetica che nasconde una morale, quel Do dove non vi è nulla di improvvisato. I giapponesi hanno una grande passione per il design e la moda. E’ nota la mania dei giapponesi per il consumo di prodotti moda.

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- Antonio Ricchiari -

Le ragioni di questa passione sono varie. In parte sono dovute alle limitate opportunità di acquisto rispetto alla disponibilità di redditi elevati. La maggioranza dei giapponesi non ha la possibilità di accedere ad un’ampia gamma di divertimenti, quindi la moda e lo shopping in generale rappresentano uno sbocco necessario per l’espressione personale e un modo per affermare uno standard di vita migliore. Tuttavia, dietro al consumo, si trova anche un profondo rispetto per i protagonisti dell’industria della moda. Nel paese del Sol Levante, agli stilisti, agli editori e persino ai buyer dei negozi talvolta viene attribuito uno status che in Europa e negli Stati Uniti solitamente è riservato alle pop star. Non è affatto insolito trovare code di giovani fanatici della moda dormire davanti ai cancelli di un negozio dell’ultimo stilista di grido la notte prima del giorno di apertura. Questo atteggiamento risale a una tradizione secolare di rispetto e amore per l’abilità manuale e il design. Nonostante questi valori


culturali siano stati osteggiati e denigrati da un secolo di industrializzazione ossessiva e, negli ultimi 50 anni, da un gusto peculiare per la plastica e il cemento, un gruppo dedicato di designer e seguaci hanno mantenuto viva la fiammella. Adesso, con il diminuire della pianificazione industriale (almeno in alcuni quartieri), il rispetto per il buon design sta riemergendo nel flusso principale della vita giapponese. Negli ultimi anni si è anche assistito alla relativa emancipazione della borghesia nipponica. È emersa una maggiore libertà di espressione e di scelta. La concentrazione sul design è anche una reazione contro la devozione assoluta alle tendenze moda. I consumatori ora si rivoltano contro un’impensabile accettazione delle leggi di mercato. In cambio, guardano a ciò che soddisfa i loro valori e, in termini di prodotti, questo spesso può derivare soltanto dai valori del design. Alcuni lo chiamano anti-trend, ma in realtà si tratta di un movimento positivo. Tuttavia, è

un movimento che ha scarsa considerazione per i marchi con poco credito che non presentano valori dichiarati attraverso il design del prodotto. Basta pensare che, quando si tratta di prodotti di consumo, il paese di origine non ha più importanza. In passato, la generazione più adulta spesso aveva un senso di orgoglio nazionale nell’acquistare prodotti locali e la pressione sociale la spingeva a farlo. Contemporaneamente, in reazione a questo atteggiamento, altri consumatori hanno maturato una devozione servile nei confronti dei prodotti stranieri. Per molti, soprattutto i giovani, la superficialità della questione è diventata palese. Liberate dalla rilevanza della nazione di origine, adesso si giudica il design e la funzione dell’oggetto in base al merito. Da ora in avanti però non sarà più sufficiente dire che si tratta di “Made in Italy”. Man mano che le inclinazioni naturali della cultura giapponese prendono piede nel mercato del consumo di massa, il design ha

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sempre maggiore importanza. Molte marche straniere lo hanno già intuito e ne traggono enorme vantaggio. Stanno affiorando i segnali di un mercato più ampio a livello di dettaglio. Adesso, invece, assistiamo all’emergere di un nuovo tipo di negozio: il negozio di design. Questi negozi possono sembrare quasi negozi di moda minimalista, ma le differenze sono notevoli. Il prodotto non viene selezionato per adeguarsi ad un piano commerciale definito da una serie di temi moda stagionali. Ogni articolo è scelto per il proprio design e, nella maggior parte dei casi, la coerenza di ogni negozio dipende dai riferimenti e dai gusti del singolo acquirente. Alcune sedie dalla Svezia, una collezione di T-shirt elaborata in collaborazione con un artista di Kanazawa, accessori in argento dall’Italia: fonti e prodotti equamente diversificati, e ogni articolo esposto in modo da mettere in risalto le qualità specifiche anziché essere coordinato in un insieme amorfo. Ai negozi che offrono le migliori proposte di design, se ne sono aggiunti altri di design più generico. Questi negozi non sono freddi e autorevoli altari al design, ma mettono in risalto i prodotti di uso quotidiano che possono essere apprezzati anche per il loro design. In seguito alla formula di grande successo delle catene di select shop, questi negozi - forti dei crescenti capitali realizzati attraverso i consumatori di moda tradizionali - stanno cominciando a sviluppare le proprie linee di prodotti. Essi svolgeranno l’importante ruolo di dettaglianti dei propri prodotti e rappresenteranno un target chiave per gli esportatori di design italiano. © RIPRODUZIONE RISERVATA


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L'organizzazione shintoista

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- Axel Vigino -

di Axel Vigino


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er certi versi, la religione shintoista risulta davvero difficile da classificare, perché possiede un patrimonio idealistico immenso. In questa dottrina si possono riconoscere cinque rami principali. Queste correnti non sono da considerare come parti a sé stanti, ma come diverse vie che un fedele deve percorrere per giungere ad un unico scopo. I cinque rami principali sono: Lo Shintoismo imperiale (Koshitsu Shinto), ossia il complesso di riti svolti dalla famiglia imperiale per la venerazione degli dei (in particolare quello riservato alla dea Amaterasu, la capostipite della famiglia imperiale) al fine di assicurare l’equilibrio dello stato, di garantirne la sicurezza e di rendere possibile la pace nel mondo Lo Shintoismo templare (Jinja Shinto), vale a dire lo shintoismo istituzionato (nato dopo la caduta dello shintoismo di stato) basato sul culto all’interno dei templi collettivi (Jinja). Questo filone è la base di tutta la dottrina shintoista perché, pur avendo origini contemporanee, fissa le sue radici addirittura nella preistoria, quando gruppi etnici appartenenti alla regione cinese e filippina fondarono le proprie colonie

in un arcipelago che venne citato nei più antichi manoscritti come arcipelago nipponico. Lo Shintoismo settario (Shuha Shinto o Kyoha), composto da tredici gruppi - Kurozumikyo, Shintoismo Shuseiha, Izumo Oyashirokyo, Fusokyo, Jikkokyo, Shinshukyo, Shintoismo Taiseikyo, Ontakekyo, Shintotaikyo, Misogikyo, Shinrikyo, Konkokyo ed Tenrikyo (il quale ha dichiarato apertamente di non appartenere allo Shintoismo) - si è formato durante il XIX secolo in seguito alla separazione dalle altre istituzioni religiose Lo Shintoismo popolare (Minzoku Shinto), è la corrente formata da persone comuni ed è priva di formalizzazione. Possiede numerose credenze, seppur frammentate in una moltitudine di miti e di favole Lo Shintoismo di Stato (Kokka Shinto), sorto dopo la restaurazione Meiji (vedi articolo precedente) per molti anni cercò di rendere pura la dottrina shintoista, abolendo tutti gli ideali provenienti da qualche altra religione. Secondo molti lo stato in cui si trova tale corrente religiosa è paragonabile a quello della chiesa nel periodo medioevale; talmente distorta da perdere completamente tutti gli insegnamenti religiosi. Dopo la seconda guerra mondiale, lo


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shintoismo di stato venne abolito LA CHIESA SHINTOISTA La vera chiesa shintoista, intesa come organizzazione del culto, nacque solo nel febbraio del 1946 con la pubblicazione della Direttiva Shintoista, che riorganizzò i templi in un’amministrazione nazionale chiamata “Associazione dei templi shintoisti”. Il nome giapponese di tale organizzazione è Jinja Honcho. Il suo scopo primario fu, ovviamente, quello di conservare la cultura e la religione giapponese. Attualmente la chiesa amministra migliaia di templi e un centinaio di scuole, alcune delle quali sorgono anche in altri continenti. L’ORGANIZZAZIONE SACERDOTALE Prima dell’era Meiji il sistema sacerdotale era ereditario, quindi esistevano dinastie prescelte di sacerdoti. Quando il Giappone iniziò a commerciare con i continenti dell’occidente tale tradizione venne abolita, introducendo così un sistema basato sul seminario, similmente a molte altre religioni. Tuttavia esistono ancora oggi piccoli templi a conduzione familiare (non è difficile trovare, in mezzo al caotico centro delle grandi città giapponesi, bellissimi templi in cui si riuniscono molti fedeli, accolti calorosamente dalla famiglia sacerdotale). Il sistema sacerdotale shintoista si divide in quattro ordini principali: Johkai, Meikai, Gonseikai e Kokkai. Per essere considerati tali, i sacerdoti (kannushi) devono intraprendere una lunga carriera lungo sei gradi d’esperienza: il grado superiore, il primo grado, il secondo, il grado

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intermedio, il terzo e il quarto. Tutti questi gradi si susseguono in ordine di superamento; solo dopo aver superato un certo grado si può passare a quello successivo. Per il raggiungimento degli ultimi due livelli occorre inoltre avere almeno vent’anni di professione. Per diventare sacerdote capo (Guji) di un tempio importante, occorre ottenere il grado più elevato dell’ordine Meikai. Per diventare Guji di un tempio di minore importanza basterebbe raggiungere il massimo grado dell’ordine Gonsekai. Spesso, in assenza di un sacerdote, viene annualmente assegnata la celebrazione della festività ad un membro della comunità. Oggi, nel clero shintoista, hanno un ruolo molto importante le donne; ad esempio la pratica della Kaguramai, la danza in onore degli dei, è svolta solo da donne. Inoltre la massima autorità religiosa è proprio una sacerdotessa. Bisogna però fare attenzione a non confondere il ruolo delle sacerdotesse a quello delle miko. Con il termine miko s’intende un’adolescente (spesso di sesso femminile) che assiste il sacerdote nella celebrazione religiosa o nell’allestimento delle feste (quasi come i chierichetti cristiani). Oltre ai seminari, esistono ben due università di sacerdozio, entrambe gestite dalla Jinja Honcho: l’università di Kokugakuin a Tokyo e l’università di Kogakkan a Mie. Trovo che questa religione sia davvero meravigliosa, ma per capirla pienamente non basta solo lo studio, bisogna sentirla dentro di se e udire il meraviglioso suono dei suoi insegnamenti spirituali. © RIPRODUZIONE RISERVATA


MAlattie e parassiti <<

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olitamente l’esposizione in pieno sole è una condizione indispensabile per una corretta coltivazione, infatti, le ore di luce intese come ore di esposizione ai raggi solari, sono alla base per poter conferire maggior robustezza alla struttura vegetale. Molte piante necessitano di un irragiamento solare intenso per poter svolgere le loro funzioni vitali e di conseguenza allocare biomassa. Da questo ne deriva che il sole risulta essere la più importante fonte di energia che interviene in processi vitali indispensabili come la fotosintesi clorofilliana. Grazie al sole, le strutture vegetali in via di formazione possono irrobustirsi e formare resistenze meccaniche molto importanti. Esistono casi in cui l’esposizione al sole risulta essere però particolarmente dannosa, in quanto l’intensità è elevata e le t° che si raggiungono all’interno della foglia sono particolarmente alte. Quando si è parlato di malattie non parassitarie in un numero precedente del Magazine, si è menzionato appunto l’effetto inibente dei raggi UV e per l’esattezza: Le lunghezze d’onda (λ nm) pericolose, sono raggruppate in tre categorie; UV-A (320-400 nm), UVB (280-320 nm) e la più pericolosa UV-C (200-280 nm). I danni da radiazioni ultraviolette, provocano un abbassamento dell’efficienza fotosintetica e quindi una limitata produzione di energia utile per la pianta. Da osservazioni effettuate su numerosi esemplari coltivati nelle più diverse condizioni di luce, quelle più significative si sono riscontrate su esemplari coltivati in

serra, in cui le strutture stesse della serra UVschermanti ne hanno condizionato la resistenza. Gli esemplari subito esposti al sole diretto, senza un periodo di acclimatamento di una settimana sotto ombreggianti al 30%, hanno mostrato i danni provocati da un’esposizione repentina a raggi UV. In queste condizioni gli UV hanno provocato necrosi cellulare limitate alle parti esposte al sole, le decolorazioni tendenti al bianco indicano un danno limitato. Effetti più gravi sono dettati da bruciature fogliari con relativi accartocciamenti. Tale effetto, è dovuto ad un fenomeno chiamato di fotoinibizione. Questo, provoca una riduzione dell’efficienza fotosintetica, dovuta ad un’esposizione luminosa particolarmente intensa. Il risultato è una degradazione dei pigmenti di clorofilla. Molti dei problemi imputabili ad un irragiamento solare eccessivo, si riscontrano molto spesso in piante coltivate in ombra o penombra per tempi prolungati, in cui i pigmenti schermanti la clorofilla non hanno avuto la possibilità di formarsi, lasciando così la clorofilla particolarmente esposta alla luce. Uno sguardo alla tonalità di verde degli esemplari esposti in pieno sole può darci un’idea dell’effetto di fotoinibizione. In particolare il genere Pinus è soggetto a tale fenomeno. Il colore dei pini esposti in pieno sole è solitamente di un verde pallido, al contrario gli esemplari esposti in penombra hanno un colore molto intenso. La differenza non è solo nel colore, ma anche nella consistenza strutturale, ovvero i primi hanno una robustezza degli aghi e rami maggiore ma una efficienza fotosintetica inferiore, i secondi, al contrario poco spessi ma con un efficienza fotosintentica maggiore. Un giusto compromesso sarebbe quello di schermare dagli UV nel periodo di mesi di Luglio e Agosto, in cui il sole è dannoso e non più proficuo. © RIPRODUZIONE RISERVATA

- Luca Bragazzi -

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- BONSAI CLUBS INTERNATIONAL-


In 1962, seven San Francisco Bay area bonsai clubs formed an association. This became known as Bonsai Clubs Association. As BCA experienced rapid growth and groups from other areas expressed desire to join, the name changed. Bonsai Clubs International’s name was formalized in November 1968 and was incorporated under California law in 1974. MISSION STATEMENT Bonsai Clubs International, a non-profit educational organization, advances the ancient and living art of Bonsai and related arts through the global sharing of knowledge. We educate while promoting world relationships through cooperation with individuals and organizations whose purpose is consistent with ours..


>> BCI News

BCI has published a newsletter, and later, a magazine throughout its history. Although the name of the publication has changed several times, its purpose has remained to educate and expose people throughout the world to bonsai and related arts. Bonsai Clubs Association (Northern California): Newsletter Bonsai Newsletter: Bonsai Clubs Association Northern California Bonsai: Magazine of Bonsai and Japanese Gardens Bonsai: Magazine of Bonsai, Japanese Gardens, Saikei & Suiseki Bonsai International: Magazine of Bonsai, Japanese Gardens, Saikei, & Suiseki Bonsai Magazine: The Official Publication of Bonsai Clubs International Bonsai & Stone Appreciation Magazine

Since 1965 BCI has co-sponsored a yearly convention with one of its member clubs or associations. These conventions have been held in various locations throughout the US and world. Sometimes they have been held in conjunction with other bonsai groups such as the World Bonsai Friendship Foundation or the American Bonsai Society.

BCI maintains a web site to update and inform our members. On it can be found, among other information, the popular Species Guide, widely used by many in the bonsai world and a free Vendor Registry. www.bonsai-bci.com

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- BONSAI CLUBS INTERNATIONAL-


BCI produces and provides for its membership educational pamphlets and booklets. We strive to serve our membership by keeping the cost of these materials as low as possible. Basic Bonsai Care Handbook of Program and Activity Ideas for Bonsai Clubs Bonsai Teacher’s Guide AV Rental Service Bookstore The Indices - Comprehensive Indexes of Six Bonsai Journals

BCI Meritorious Service Award - to a person, or persons, who have shown outstanding contributions to the art of bonsai or to BCI. BCI Artist, Writer & Photographer Award - to recognize a person, or persons, who have contributed outstanding artwork, articles or photos to BCI Publications.

In cooperation with generous sponsors, BCI manages several competitions to promote bonsai and suiseki to its members. The Award CertrĂŠ International The Pedro Morales Award BCI Bonsai & Suiseki Photo Competition

- BONSAI CLUBS INTERNATIONAL-

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>> BCI News

En mis comienzos en el bonsai me senti ansioso, desorientado e incluso hasta frustrado. Esto suele ocurrir cuando estamos en cualquier proceso de aprendizaje, al menos muchos de nosotros hemos pasado por eso. La persistencia es necesaria para lograr el éxito en todo lo que nos proponemos y cuando practicamos bonsái esta es absolutamente esencial ya que ninguno de nosotros, aun los maestros, hemos podido evitar sentir ansiedad y frustración en uno que otro momento cuando hemos estado trabajando con nuestros árboles. Al pasar el tiempo vamos superando estas emociones y el trabajo va haciéndose llevadero, agradable y nos proporciona una gran satisfacción personal. Si yo me hubiera dado por vencido cuando comence, cuando no tenia suficientes conocimientos de lo que hacia o las cosas no me resultaban como yo esperaba, yo nunca hubiera alcansado tener la satisfacción que tengo ahora de ver los bonsái que he logrado crear. Yo comencé a hacer bonsai con 5 plantas muy sencillas. Estas fueron el comienzo de mi colección de bonsai

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y de una colección de nuevos amigos, muchos de tierras lejanas con diferentes culturas pero todos con un lenguaje en común, bonsái. Comencé en la práctica del bonsái en marzo de 1989. Unos meses después Puerto Rico sufrió el embate del Huracán Hugo. Como resultado del paso de este fenómeno colecte mi primer bonsái que podía considerarse con potencial de más “seriedad” el cual aun conservo. Este árbol fue partido por los vientos del huracán pero su tronco estaba intacto. Esta experiencia aumento mi interés de continuar colectando árboles. Otro huracán pasó en 1998, Georges. Cuando esto ya tenia una gran cantidad de árboles acumulados. De hecho algunos de mis árboles fueron exhibidos en la Convención de BCI celebrada en San Juan en esa fecha. Ustedes no imaginan el trabajo que pase para proteger todos mis árboles de estos temporales.Todos los que cultivamos bonsái pasamos por alguna adversidad fuera de


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nuestro control. El artista de bonsái sabe que cualquier dificultad que se presente en el camino “es parte del paquete”, son cosas de las cuales debemos preservar nuestros árboles y no dejar que agoten nuestro ánimo. Es necesario que superemos cualquier situación. Cultivar bonsái es muy parecido a nuestra vida porque esta llena de situaciones y retos que debemos superar sin desesperarnos. La perseverancia es una herramienta muy necesaria para poder continuar cultivando bonsái y para superar las situaciones de las cuales no tenemos control. El famoso cantante de Tango argentino Carlos Gardel recitaba en una de sus famosas canciones que “20 años no son nada.” Hacer bonsái requiere tiempo. Tiempo para seleccionar el mejor material, para estudiar y aprender sobre

sus características, para lograr producir en el los mejores efectos, tiempo para podar, alambrar, estilizar, para alimentarlos y regarlos. Si pensamos no tener tiempo para realizar todo lo que implica hacer y tener un bonsái entonces estamos en el pasatiempo equivocado. El arte del bonsai depende del tiempo de varias maneras. Aunque es cierto que podemos desarrollar un bonsái relativamente en poco tiempo sus mejores características no se logran de inmediato. El tiempo efectuara el trabajo estético de madures y refinamiento junto a nuestro trabajo y dedicación. Muchos artistas conocidos que trabajan en árboles viejos pueden hacer un gran trabajo de diseño inicial en ellos sobre una tarima, pero solo los años de seguimiento y refinamiento son los que logran convertir ese árbol en una obra maestra. Hay

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>> BCI News un dicho popular que dice:”El querer es poder”. Cuando yo exprese mi interés en el bonsái algunas personas me comentaron que: “el bonsái es costoso”, “es difícil de hacer” y “toma años hacerlo”. La pasión que despertó en mí el bonsái cuando los vi por primera vez en un libro de horticultura me hizo ignorar estos comentarios. Yo he aprendido que la practica del bonsái tiene su costo pero no será significativo si adaptamos nuestro presupuesto al bonsai. Considerar el tamaño del árbol, el tamaño del tiesto o los medios para adquirir árboles son factores que nos ayudan a determinar nuestro presupuesto. Puedo decir que los costos directos e indirectos del tener árboles grandes son mas elevados que el de tener árboles pequeños en general. Haga su presupuesto teniendo todo esto en consideración. Bonsái no es una ciencia oculta y no es difícil hacerlo. Solo la mas cierta de las tres advertencias que me hicieron en aquel entonces es que “toma tiempo”. Para que un bonsái alcance toda su madures, refinamiento y plenitud de belleza puede llegar a tardar años y quizás décadas. Pero nuestro disfrute comienza desde el primer día que empezamos a trabajar un árbol y continuara por muchos años mientras lo entrenamos. No muchos pasatiempos pueden darnos satisfacción por tantos años. La paciencia es fundamental para poder hacer bonsai. Mis comienzos fueron muy intensos tratando de crear un bonsái rápidamente. He aprendido que la paciencia es necesaria y que esta en bonsái es “el arte de saber esperar”. Mientras esperamos podemos estudiar y aprender sobre diversas especies buenas para bonsái que aun no conocemos. Estudiar las características de la especie que trabajamos acelera el resultado del entrenamiento y le proveerá información importante para la salud de su bonsai. Disfrute de las diferentes etapas de desarrollo y entrenamiento de su bonsái. Según vea su árbol desarrollando el le enseñara que trabajar, lo que necesita y como debe mantenerlo en cuanto a riego, fertilización y entrenamiento.

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l bonsai es un arte vivo que cautiva. El árbol nos presenta algo diferente cada día haciendo que el pasatiempo no sea aburrido. Las experiencias varían de un árbol a otro. El artista debe dedicar de su tiempo para el cuidado y mantenimiento del sus bonsáis. Los árboles necesitan ser regados, fertilizados, alambrados, fumigados, etc. Estas actividades no pueden pasarse por alto. Debemos evitar que las ramas crezcan sin podarse porque pierden su tamaño ideal de acuerdo al tamaño del bonsái; también debemos evitar que el alambre se incruste en la corteza produciendo marcas indeseables y que puedan permanecer por muchos años o para siempre. Estas son solo algunas consecuencias si nos descuidamos y no tomamos acción inmediata para corregir alguna condición. Solo un bonsaista dedicado puede hacer un bonsái exitosamente en todos sus aspectos.


La práctica hace la perfección. Aunque hayamos aprendido todas las destrezas básicas para hacer un bonsái solo nos perfeccionaremos practicando continuamente y así lograremos hacer un bonsái de calidad. La práctica adiestra nuestras manos, nuestra vista y percepción. Es cierto que algunas personas tienen habilidades para ciertas tareas y pueden avanzar sin mucho esfuerzo. Pero con la practica todos nosotros podemos lograr hacer un bonsái hermoso y de excelencia. La imaginación ayuda a visualizar un diseño. Visitar las zonas silvestres para ver el crecimiento natural de los árboles puede ayudar a desarrollar la imaginación. La naturaleza proporciona imágenes claras de árboles o escenas. Cuando estemos diseñando un bonsai proyectaremos estas imágenes almacenadas en nuestras mentes en nuestros diseños. Además nuestras creaciones lucirán naturales, lógicas y de buen gusto. Lo que hemos aprendido de la naturaleza y de ilustraciones, fotos en libros, revistas, demostraciones y en talleres reforzarán nuestra imaginación. Al principio el artista de bonsai copiará lo que los otros han hecho y esto puede dar buenos resultados. Pero entonces él deberá desarrollar su propia imaginación para crear un bonsai hermoso e interesante con la expresión única de su visión. Depender sólo de los conceptos básicos aprendidos en libros o con instructores (y no quiere decir que eso este mal) puede producirnos continuamente un bonsái ordinario, de molde y no uno que proyecte arte y naturalidad. Una vez le pregunté al maestro Don Adán Montalvo: ¿” Por qué todos mis árboles son similares el uno al otro? “ y el contestó: “ según trabajes en ellos veras otras posibilidades y los modificaras”. Mirando el árbol de frente y analizándolo veremos sus posibilidades como bonsái. Esta práctica es una herramienta. Mientras estudio

el árbol imagino su diseño y comienzo a planificar su estilización, las técnicas que aplicare, todos los detalles que el árbol tendrá, las ramas innecesarias y determino cuanto tiempo me tomara lograr el diseño. Algunos trabajos pueden ser a corto o a largo plazo. Dibujar ha sido una herramienta muy útil y efectiva para mí. Esto nos ayuda a visualizar un diseño antes de implementarlo en el árbol. Usted puede añadir, borrar y modificarlo las veces que sea necesario hasta lograr el mejor diseño antes de trabajar con el árbol. Para esto no es necesario ser un Picasso para crear un dibujo o borrador. Dibujar el árbol nos ayuda a definir nuestras ideas y a visualizar el diseño, ya sea en papel o computadora. De esta manera podemos jugar con todos los componentes y espacios presentes en el árbol hasta que logramos conseguir la mejor opción para diseñarlo. En la manera en que desarrollemos como estilizar nuestros árboles comenzaremos a depender menos de los dibujos porque estaremos seguros de cómo diseñar según lo imaginemos.

Aprender como podar correctamente, como alambrar, como resembrar, etc., es importante para obtener éxito en el desarrollo del bonsái. Como el bonsai es un arte viviente requiere que como cultivador y artista use y domine efectivamente las técnicas para trabajarlo y mejorar su diseño. Todas “las herramientas” mencionadas en los párrafos anteriores serán inútiles al menos que el entusiasta del bonsai perfeccione las mencionadas aquí primero ya que cada árbol requerirá de estas para su desarrollo, forma y salud. Aquí tenemos varios detalles importantes. Observando el árbol aprendemos de los resultados de su entrenamiento. ¿Esta ubicado el árbol en la parte derecha del jardín porque ahí le beneficia mas para su salud y crecimiento? ¿El último trabajo realizado en el - Nelson Hernandez -

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árbol ha producido los resultados esperados? ¿Hay signos de presencia insectos? Estas observaciones determinan si el árbol crece como esperamos. También aprendemos con la observación sobre las necesidades del árbol, si necesita o acumula demasiada agua, si tiene que ser tratado por una enfermedad, si a una rama se le entierra el alambre, como reacciona a un abono o como responde después de una poda. Sólo observando diariamente el bonsai seguirá en buena salud y su diseño continuara en progreso si detectamos y corregimos cualquier problema con rapidez. El arte del bonsai es uno para ser compartido con otros. Dando de nuestras experiencias otros aprenderán y avanzaran. Existen muchos libros de bonsái donde sus autores comparten sus experiencias y su manera de trabajar este arte. En la actualidad existen clubes

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y grupos en muchas ciudades del mundo y todas están organizadas de manera que cada amante del bonsái también pueda compartir sus conocimientos y experiencias. BCI también existe por su deseo de compartir. Su revista y sus convenciones alrededor del mundo llenan su comisión de educar y proveer la oportunidad a cada persona o entidad de enseñar y contar sus experiencias. He preparado este artículo para compartir con ustedes parte de lo que he aprendido haciendo bonsái en 20 años y espero que mis comentarios les hayan sido útiles de alguna manera.


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