Un palazzo per la Sapienza

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quaderni dell’almo collegio borromeo

Un palazzo per la Sapienza l’Almo Collegio Borromeo di Pavia nella storia e nell’arte


progetto e realizzazione Almo Collegio Borromeo, Pavia a cura di don Paolo Pelosi, Rettore redazione e impaginazione Davide Griffini proprietà letteraria dei testi dei singoli autori © Almo Collegio Borromeo, tutti i diritti riservati Finito di stampare in Pavia il 19 giugno 2014_2ed 450° anniversario della posa della prima pietra __ pubblicazione fuori commercio ad uso interno dell’Almo Collegio Borromeo Pavia - Piazza Borromeo, 9 tel. 0382.3951 info@collegioborromeo.it www.collegioborromeo.it

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in copertina: il cancello del giardino in ferro battuto (XVII sec.)


PRESENTAZIONE don Paolo Pelosi, Rettore

disonestà, la sopraffazione e contribuire alla costruzione di una società più giusta e attenta ai bisogni di tutti, soprattutto i più deboli. Scorrendo queste pagine possiamo ripercorrere i passi mossi da Carlo per dar corso alle sue intenzioni iniziali; si può apprezzare la capacità realizzativa dimostrata da Federico e poi dai Patroni della famiglia Borromeo, sempre attenta nei secoli a promuovere e difendere lo sviluppo del Collegio; siamo guidati inoltre ad apprezzare il ‘Palazzo per la Sapienza’ come monumento di arte raffinata, possiamo conoscere gli estremi biografici di alcuni dei tantissimi Alunni (in tutto più di quattromila!) che qui hanno vissuto gli anni più importanti della loro formazione verso professioni e ruoli di responsabilità nelle istituzioni o nei vari campi del sapere. Buona lettura, con l’augurio che ci aiuti a conoscere e apprezzare di più chi ci ha donato questa istituzione e a permetterle di svolgere ancora oggi il suo compito.

Ripresentiamo in veste rinnovata e con alcuni aggiornamenti e integrazioni l’agile guida del nostro Borromeo, composta a più mani da vari esperti della sua storia, della sua arte, del valore che ha manifestato in più di 450 anni di vita. Ogni visitatore rimane colpito dall’imponenza elegante della facciata, dall’ordine rigoroso e solenne del cortile con le sue solide e insieme svettanti colonne, dal quadrato di cielo che invita ad indirizzare in alto ogni occupazione svolta. Il Borromeo è un luogo, una comunità, un progetto e un proposito di vita, quelli concepiti e delineati da San Carlo e validi ancora oggi. Non ci tragga in inganno quel sapore di vetusto che le parole ‘humilitas’ e ‘humanitas’ portano inevitabilmente con sé. Esse meritano tuttora rispetto e considerazione se si accetta la fatica di coniugarle al presente, traducendo questo binomio con ‘impegno serio e onesto nello studio e nella professione’, ‘ricerca della verità delle cose’, ‘dedizione per il bene di tutti’. Il che vuol dire anche disponibilità a soffrire e lottare contro la menzogna, l’egoismo, la

Collegio Borromeo, 19 giugno 2014 450° anniversario della posa della prima pietra

Pietra con iscrizione, all’estremo angolo nord della facciata del Collegio. La scritta (M. BAP. VERTAMA. MURATR / PETRO NUXANTO. SCARPEL. / 1564 ADI 19 ZUNUO) ricorda la posa della prima pietra

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Incisione acquerellata su disegno di Friederik Bernard Werner (ca. 1740) stampata a Bassano verso il 1780

Bolla del 15 ottobre 1561 con cui Pio IV istituisce il Collegio Borromeo

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QUATTRO SECOLI DI STORIA prof. Xenio Toscani, storico

della chiesa e della società milanesi: il Seminario, la Curia, il Collegio Elvetico, le Case canonicali. Anche questo è un aspetto non secondario per capire il Collegio Borromeo, capitolo 'organico' di un progetto ben più vasto. Ben espresse questo significato il cardinal Federico che, nel 1602, commissionando gli affreschi della sala maggiore secondo un meditato progetto di iconografia carliana, volle un riquadro con questa didascalia: "Borrhomaeum Ticini nobilium Mediolani collegium erigit, quinque seminaria et Oblatorum Congregationem instituit, regulisque temperat ac legibus". Nel riquadro, Carlo è circondato dai suoi "uomini nuovi", lievito e sale del suo progetto: i professionisti-umanisti cristiani usciti dal suo Collegio pavese, i 'nuovi' nobili, istruiti e trasformati dai Gesuiti, i colti e i pii preti usciti dai seminari e formati dagli Oblati. Il Collegio Borromeo rappresenta dunque non un semplice per quanto importante gesto di generosità e mecenatismo principeschi, ma un elemento necessario e qualificante della "Riforma cattolica". Per volontà del fondatore, attestata dalle costituzioni del 1586, esso ha lo scopo di assicurare a giovani dotati di capacità intellettuali, ma sforniti di risorse economiche, la possibilità di attendere agli studi e di laurearsi e insieme di sviluppare, con opportuna guida, una vita di pietà

Le origini e gli obiettivi Nel 1560, a 22 anni, Carlo Borromeo, appena creato cardinale, progettò di istituire in Pavia, unica città universitaria dello Stato di Milano, il Collegio che porta il suo nome e l'anno dopo ottenne dal Papa, suo zio materno Pio IV Medici, la Bolla di istituzione, in data 15 ottobre 1561. Scelta l'area e l'architetto, approvato il progetto e procurati (col sostanziale aiuto del Pontefice) i fondi e le rendite necessarie, l'edificio fu costruito fra il 1564 e il 1586. Funzionò regolarmente (cioè secondo le regole appena definite e nell'edificio portato a termine) solo dal 1586, ma già prima una comunità di studenti borromaici viveva in Pavia, "nella casa del dottor Graziano", un docente dell' Ateneo che li ospitava secondo un collaudato costume medioevale, ma già con regole interamente nuove e di stampo 'carolino'. Dal 1581 un primo gruppo di alunni poté prendere alloggio nella parte già abitabile dell'edificio che era ancora in costruzione: il futuro cardinale Federico Borromeo vi entrò appunto in quell'anno, e prese stanza nell’ala occidentale (la facciata). L'edificio fu progettato dallo stesso architetto (Pellegrino Pellegrini) cui S. Carlo, dal 1564 vescovo di Milano, commissionò altri edifici e lavori per le istituzioni più nuove, importanti e incisive del suo globale progetto di rinnovamento 5


intensa e una profonda esperienza spirituale. S. Carlo studente a Pavia dal 1552 al 1559 aveva ben conosciuto la vita universitaria. Le lettere di quegli anni, sue e del suo precettore, ce ne danno un vivo quadro: "La maggior parte de questi scolari sono tanto insolenti che non puotriano essere di più, né s'ode altro che poltronerie, anzi par che se li convengono per esser scolari, dicendo ch' egli ne hanno libertà et che possono far come a lor piace; et quelli che non si vogliono accostar alla loro vita dicono che sono minchioni"1. Alcune lezioni non si possono ascoltare "per il gran strepito che fanno questi insolentissimi scolari", i quali spingevano l'intemperanza fino a chiassate e risse per le strade, a insolenze a donne e cittadini, a irriverenze gravi fin nelle chiese. Molti perdevano tempo e denaro dissipandoli in vizi, senza progresso negli studi. Il giovane Carlo ne aveva un chiaro esempio nella sua stessa 'familia' pavese: aveva preso in affitto una casa di alcune stanze, e vi abitava con il suo precettore sacerdote, con alcuni domestici e un amico, figlio del dottore in leggi Gian Pietro Vigezzi. Proprio questi, dopo poco tempo, era stato irretito a vita dissipata, tanto che dovette essere allontanato dalla casa e dalla compagnia di Carlo. I biografi insistono sulla 'scomodità' e sulle 'angustie' degli anni pavesi del Santo, nonché sulla scarsità di denaro di cui disponeva (erano anni peraltro difficili per la sua pur potente famiglia perché non ancora anni di pace, e occorreva provvedere alla difesa dei molti feudi e possedimenti). E’ evidente però che non furono le angustie (relative, visto che aveva una casa di sei stanze, un precettore e tre

servitori) a motivare il progetto della fondazione del Collegio, bensì l'esperienza diretta della grande diffusione e della incisiva influenza di un modo edonistico di vivere la giovinezza, il cui esito migliore poteva anche essere l'acquisizione di una elevata competenza professionale, ma non certo il radicamento di valori umani e cristiani in persone peraltro destinate ad un importante ruolo culturale e sociale. Questo stile edonistico, diffuso nel Rinascimento, Carlo lo incontrò certo anche (e ancora più) a Roma nel 1560, e nella stessa corte pontificia; ma qui conobbe anche significative istituzioni, forse non del tutto estranee alla genesi del progetto pavese: i collegi gesuitici Romano e Germanico, che avevano in sé quel sale che mancava alle molte istituzioni, grandi e piccole, di cui erano dotate allora più o meno tutte le città universitarie. Anche Pavia non era priva di collegi; vi si potevano contare (prima che Carlo vi aprisse il suo) il Marliani, il Griffi, il Bossi e soprattutto il Collegio Sant' Agostino, dove tra l'altro aveva studiato lo zio, il regnante pontefice Pio IV. Si trattava di piccole istituzioni, che ospitavano una decina di studenti, tranne quello di Sant' Agostino, previsto per 24; fornivano alloggio e vitto, in qualche caso (il Sant' Agostino) una cattedra interna, ma non un significativo stimolo alla vita cristiana e alla formazione di una rigorosa coscienza. Il più importante fra questi, quello in cui studiò Pio IV, era stato fondato dal cardinale Branda Castiglioni nel 1429, e, unico, prevedeva anche una vita di preghiera (aveva un oratorio interno) ed una formazione teologica, con una 'cattedra' interna di tale disciplina. Alla sua 6


istituzione e al suo ordinamento non fu estraneo un illustre esempio bolognese, come il Collegio di Spagna, noto al cardinale fondatore. Col tempo però la finalità della formazione spirituale e teologica si era attenuata anche nel Collegio Sant' Agostino, ed era prevalsa la finalità 'assistenziale', di cui godé anche il futuro Pio IV Medici. La fondazione del Borromeo rappresenta dunque un elemento di novità, sia per le dimensioni dell'intervento (sulle prime si pensava a molte decine di alunni, anche 100) sia per la qualità del progetto, che unisce all'assistenza la formazione spirituale ed ascetica. Le tradizioni di ceto, le personali abitudini di vita, conformi a grandezze principesche (Carlo a Roma aveva una sua 'familia' di 150 persone tutte vestite di velluto nero da capo a piedi), il desiderio di esaltare il casato contribuiscono sicuramente a spiegare certi aspetti del progetto, ma le ragioni di fondo di esso si individuano nella stima per il valore umano e religioso della cultura e nella necessità di formare uomini nuovi per una Chiesa rinnovata e militante. La prima ragione era molto sentita anche da Pio IV: la Bolla di fondazione (15 ottobre 1561) accenna ai "frutti graditi a Dio e utili a tutta la Repubblica cristiana e salutari alle anime dei fedeli che sono solite provenire dallo studio delle lettere", e un'ulteriore Bolla del 2 novembre 1562 insiste sul "dono (...) concesso agli uomini dal Dio immortale in virtù del quale essi possono attraverso lo studio assiduo delle buone lettere dissipare la nebbia dell'ignoranza e conseguire il tesoro della scienza attraverso il quale si apre la via ad una vita buona e felice".

Il secondo tema, la formazione di un cristiano laico rigoroso, che 'militi' attraverso l'eccellenza professionale e l'onestà della vita in una società segnata in modo così preoccupante dalla rilassatezza e dall'edonismo è invece più tipicamente carolino, e si precisa nettamente dal 1562 (anno della "conversione personale" di Carlo) e soprattutto dal 1564, quando il fondatore, a 26 anni, inizia a risiedere e reggere personalmente la Chiesa di Milano. Un'abbondante storiografia, rinnovata nel metodo e nelle prospettive, negli ultimi trent'anni ha preso le distanze dalla agiografia, e illustrato in modo assai più critico e scientifico la situazione della Chiesa e della società lombarde in cui il santo esplicò la sua intensissima attività; questa, lungi dal risultarne ridimensionata, appare ora in certo senso ancora più coerente. Una conoscenza molto più approfondita e dettagliata dei ceti dirigenti e di quelli popolari della Lombardia del tempo permette di cogliere e di apprezzare meglio i nessi tra gli interventi riformatori di Carlo, cioè il filo rosso che lega le sue iniziative, e lega anche il Collegio pavese. Appare chiaro che l'arcivescovo di Milano si preoccupò certo di reprimere eterodossia e comportamenti ritenuti immorali, ma soprattutto volle creare un sistema integrato e organico di strumenti che preparassero il futuro fornendo 'uomini nuovi' e rigorosi per i vari settori della vita, per i vari 'ministeri'. La storiografia ha sottolineato i provvedimenti per il clero, i celebrati Seminari milanesi, modello dell'Europa cattolica; è bene invece qui insistere sulla attenzione ai laici "che contano": i nobili, il ceto dirigente patrizio, 7


Le Costituzioni del Collegio (edizione a stampa del 1652), frontespizio

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i professionisti e i quadri dell'amministrazione, le persone destinate alle funzioni pubbliche. È evidente che una stessa linea progettuale unisce sia la fondazione del Collegio dei Nobili, affidato ai Gesuiti, sia l'istituzione del Collegio Borromeo, per una formazione cristiana dei professionisti (per non dire poi della formazione del clero). Questo disegno spiega gli elementi comuni alle tre istituzioni: come i seminaristi, e come i nobili nel loro Collegio, anche gli studenti borromaici sono tenuti alla frequenza alla messa quotidiana, a sacramenti almeno una volta il mese, all'orazione mentale e all'esame di coscienza, alla preghiera, meglio se quella ufficiale della Chiesa (breviario, Ufficio della B.V. Maria). Le differenze emergono invece in funzione delle diverse vocazioni specifiche: ai chierici la teologia, ai nobili la grammatica, filosofia, matematica e arti marziali, ai futuri professionisti e scienziati lo "Studio generale", l'Università, cui si aggiungono specifiche 'accademie' interne, guidate da Dottori dell' Ateneo. È interessante rilevare come nelle regole del Collegio dei Nobili si trovi anche una certa diligenza pedante, un orizzonte in certo modo più angusto. Vi è meno presente quell'ampio respiro religioso e quella ricchezza di motivi umani e spirituali che caratterizzano le Costituzioni del Collegio Borromeo, il quale nella mente del suo fondatore vive su un piano più alto proprio perché destinato alla formazione degli studenti universitari. In questo progetto è chiaro che il nemico non è tanto il Protestantesimo, quanto

piuttosto l'edonismo e il disimpegno. Il Collegio Borromeo perciò non è un' istituzione "controriformistica", ma un progetto di "riforma cattolica", di rinnovata vita cristiana nella società: questo carattere, unito alla funzione assistenziale, gli ha consentito, nel tempo, una durata e un respiro che non sarebbero stati concessi da una più limitata e contingente prospettiva 'controriformatrice'2. Le Costituzioni e le vicende nei secoli XVII e XVIII Le Costituzioni del Collegio non furono scritte da S. Carlo, che, occupato dal governo dell'arcidiocesi, rimandò sempre l'operazione finché la morte gliela impedì. Egli aveva però indicato tre persone, depositarie della sua fiducia, che avrebbero dovuto stenderle, e una di queste, il sacerdote Ludovico Moneta, vi si accinse e compì l'opera nel 1586. Il Papa Sisto V le approvò il 24 aprile 1587. La prima edizione a stampa conosciuta è del 1652 (Milano, tipografia arcivescovile)3. A capo del Collegio sta l'Amministratore (membro della famiglia Borromeo e preferibilmente ecclesiastico) garante della osservanza delle Costituzioni. Egli nomina sia il rettore che gli alunni, ne giudica la condotta in caso di delinquenza, ed ha compiti di 'patronato' sulla istituzione. Il rettore, un sacerdote, e preferibilmente ambrosiano e della congregazione degli Oblati, ha il compito di presiedere alla ordinata vita di 40 alunni e del personale, costituito da un prorettore, due cappellani, e 17 persone di servizio. Nel governo degli alunni era aiutato da 9


quattro di essi, in funzione di 'consiliarii', estratti a sorte fra i più anziani. Il rettore aveva anche compiti economici, di amministrazione del patrimonio, e dal 1592 per volontà di Federico venne affiancato in ciò da quattro patrizi pavesi. La configurazione giuridica del Collegio era particolare: come Ente di fondazione ecclesiastica (benché il Patronato fosse della Famiglia Borromeo, e dunque potesse di fatto essere esercitato da un laico) non era sottoposto al foro laicale; neppure però sottostava a giurisdizione vescovile: l'Amministratore e il rettore vi esercitavano anche funzioni di foro (il che era anche per il Collegio gemello Ghislieri). Fondato con esplicite finalità assistenziali per alunni poveri e di buona indole, ospitava alunni di buoni costumi, di notevoli attitudini intellettuali e di condizioni economiche tali da non consentire gli studi universitari. A questi offriva vitto e alloggio gratuiti per un massimo di sette anni. I posti disponibili erano 40, di cui 34 riservati a giovani dello Stato di Milano e 6 a giovani di altri Stati italiani. Quanto alle Facoltà, 8 posti erano riservati a studenti di Teologia, 26 ai giuristi e 6 a studenti di Medicina o altre 'arti'. La regola di vita era austera e prevedeva, come si è detto, un'intensa vita di preghiera, liturgica e sacramentale. La disciplina pure era esigente: l'alunno non doveva partecipare alle note intemperanze studentesche, ma mantenere uno stile di vita decoroso e serio, aiutato in ciò da una 'divisa' di aspetto clericale: una talare violacea con stola fregiata del motto "Humilitas".

Anche in questo si trova una significativa analogia tra Borromaici da una parte, alunni del Collegio dei Nobili dall'altra, e infine seminaristi, e il riquadro, fatto dipingere da Federico nella sala maggiore, la illustra opportunamente. L'istituzione pavese non aveva maestri 'interni'. Gli alunni frequentavano le lezioni dell'Università. La qualità degli studi e il profitto erano controllati dal rettore e da periodiche 'accademie' e discussioni comuni su temi affidati volta a volta alla illustrazione e alla difesa di questo o quell'alunno. Per rendere più efficaci queste 'accademie' il cardinale Federico le divise per Facoltà (una per i giuristi, una per i medici) e le affidò a dei tutori, Dottori dell' Ateneo pagati dal Collegio, che dovevano inoltre provvedere a ripetizioni o lezioni particolari, integrando i corsi ufficiali dello Studio Generale. A differenza di molti illustri Collegi inglesi, il Borromeo riduce al minimo le lezioni interne dunque, mentre dà rilievo alla dimensione assistenziale e agli stimoli alla vita spirituale e liturgica. Essendo per soli giovani 'poveri' assurge ad una funzione meritocratica e di promozione della mobilità sociale in un tempo e in una società dove ciò era poco in auge, anche se per 'poveri' occorre pur sempre intendere giovani appartenenti a famiglie nobili impoverite, o a famiglie del ceto 'civile' ma sprovviste di abbondanti mezzi. In che misura il Borromeo riuscì a svolgere le funzioni che il fondatore gli assegnava? Mancano studi sistematici sugli alunni, sulle carriere, sulle posizioni ricoperte e sulle funzioni esercitate nella società e nella Chiesa del tempo, né ci si può accontentare della conoscenza di 10


qualche caso, per trarre conclusioni valide su una massa di centinaia di alunni (tra il 1588 e il 1688 furono 706 e dal 1689 alla Rivoluzione francese furono 788). Sarebbe di grande interesse anche poter apprezzare la reale portata della funzione spiritualmente formativa voluta dalle Costituzioni; certo questa ci fu, perché gli atti dei processi, nella misura in cui sono stati conservati e studiati, mostrano che gli studenti borromaici furono protagonisti di risse e di episodi di delinquenza assai meno della media degli studenti. Un aspetto tuttavia induce a prudente riflessione, e cioè il fatto che il Collegio godesse privilegio di foro e gli studenti borromaici non fossero sottoposti al normale tribunale. Uno studio sulla 'criminalità' degli alunni del Ghislieri (che godevano di analogo regime) mostra come tale privilegio abbia in qualche caso giocato un ruolo non di freno, e ciò non solo nel secolo di Renzo, quando anche i giovani più tranquilli avevano una certa aria di braveria, ma anche nel Settecento4. Nel Cinquecento e nel Seicento il Borromeo visse, con la città, una storia segnata da drammatici avvenimenti, che si ripercossero tra le sue mura: carestie, epidemie di peste (specie quella del 1630), di tifo e di vaiolo, gli assedi (famoso quello del 1656 quando le artiglierie francesi, collocate appena al di là delle mura presso l'attuale Darsena, colpirono molti edifici attornianti il Collegio, e diroccarono definitivamente la chiesa di S. Martino fuori porta). Contro le carestie gli studenti borromaici erano ben provveduti: le migliaia di pertiche di buona terra assegnate in proprietà assicuravano loro un

regime alimentare assai superiore a quello comune (testimoniato dai registri di amministrazione e studiato da Dante Zanetti)5. Secondo le abitudini del ceto patrizio, i borromaici disponevano di oltre settecento grammi di pane al giorno (a testa) e di una eccessiva razione di carne e uova, predisponendosi così al male nobile della gotta. Le aziende del Collegio erano oggetto di accurata conduzione economica (l'archivio delle 'possessioni' agricole è uno dei meglio documentati e più ricchi in Pavia) e luoghi di significative e tempestive sperimentazioni di nuove e redditizie culture, o di modificazioni di regime pattizio: negli anni di crisi di metà Seicento si passò dalla affittanza alla masseria (per assicurare almeno una sufficiente disponibilità di generi), mentre, superata la crisi, si tornò all' affittanza e si investì molto nella terra. Impianti di vigneti, introduzione e diffusione del mais, sviluppo del riso, rifacimento di cascine, scavo di canali di irrigazione mostrano che anche agronomicamente e tecnicamente il Collegio fu un imprenditore agricolo di notevole rilievo, non privo di aspetti di avanguardia. Data l'ispirazione (religiosa) del Borromeo, non manca la preoccupazione per la vita liturgico-sacramentale dei coloni: il cardinal Federico e i suoi successori fecero costruire nelle grandi aziende di proprietà vari oratori (anche non privi di pregio artistico) che ancora oggi esistono a Comairano, Lago de' Porzi, San Re e Pegazzera. Il Collegio non poté non risentire della crisi grave di molte Università italiane (e di quella di Pavia) tra metà Seicento e metà 11


Settecento, e ciò non tanto sotto l'aspetto del numero degli alunni, quanto invece sotto quello della loro appartenenza sociale: sembra che nella prima metà del Settecento si contino tra i Borromaici meno 'nobili' e più 'civili' . Prima che Maria Teresa la riformasse, nel 1753, l'Università di Pavia aveva conosciuto una profonda decadenza: si era ridotta ad avere circa 200 studenti e un corpo docente dequalificato, scarso, provinciale. Le ragioni di ciò stanno non tanto nella crisi economica del Seicento, o nelle guerre del primo Settecento, quanto nel fatto che, nel corso di quei secoli, l'Università di Pavia (ma lo stesso si può dire di molte Università italiane) era stata esautorata a pro di altre Istituzioni. Non aveva più il monopolio della laurea, e questa poteva essere concessa da molti altri Enti quali Ordini professionali, Collegi di Ordini religiosi (in particolare Gesuiti), singole personalità. Gli studenti, specie patrizi, di molte città si rivolgevano così con comodità alle istituzioni locali (Collegio dei giurisperiti, Collegio dei medici o notai) tanto più che queste erano formate da persone del loro stesso ceto. Fu così che a Pavia affluirono sempre meno studenti, e il Senato pagò e nominò professori sempre meno qualificati, e sempre più 'locali'6. Tra fine Seicento e metà Settecento lo studio pavese venne ad avere poco più di duecento iscritti, e se si pensa che in Borromeo ne alloggiavano circa 40, e nel Collegio 'gemello', il Ghislieri circa altrettanti, si può valutare che quasi la metà di tutta la popolazione studentesca era fatta da alunni dei due collegi maggiori. Questi alunni tendevano a provenire sempre meno

dalla nobiltà che poteva contare molti membri nei Collegi professionali cittadini, e sempre più da un ceto civile (magari 'povero') cui la frequentazione dei Collegi professionali e dei loro membri riusciva meno facile, quando anche non veniva di fatto preclusa. La crisi dell'Università non significa crisi del Collegio Borromeo, che proprio allora mostra più efficace la sua valenza 'assistenziale': se l'Università si spopola, per l'assenza dei più socialmente qualificati e ricchi studenti, il Collegio resta popolato non meno che nel Cinquecento ma, è logico supporlo, è popolato soprattutto da chi non può contare nella sua città o borgo su una facile ammissione alla pratica presso gli ordini professionali. Una diminuzione degli ingressi ci fu negli anni peggiori (quelli delle tre grandi guerre europee, e cioè gli anni 20-40 del Settecento), ma dopo le Riforme, nella seconda metà del secolo, il Borromeo tornò ad essere affollato (settanta-ottanta ingressi ogni decennio, contro la cinquantina del periodo più difficile). Gli anni della Rivoluzione francese e l'Ottocento Il Collegio Borromeo corse il primo gravissimo pericolo di scomparire con l'arrivo delle armate di Napoleone e con la legislazione ecclesiastica della Cisalpina. Nel 1796 la guerra determinò la chiusura dell'Università e l'occupazione del Collegio da parte dell'esercito: "in quest'anno (...) si tenne chiuso il Collegio, occupato dagli Alloggi Militari, e quindi non venne nominato nessun alunno"7. I pericoli maggiori però non vennero dalla chiusura per necessità belliche, ma dalla minaccia di 12


soppressione e di incameramento dei beni da parte dello Stato in quanto il Collegio veniva considerato Ente ecclesiastico: gli sarebbe toccata la stessa sorte che toccò a molti conventi e abbazie, e nel 1798 venne compreso in un elenco ufficiale di Enti da sopprimere. Fu salvato dal Patrono, il conte Giberto V, che sostenne con successo la tesi che il Collegio era Ente di patronato privato, e destinato all'educazione e non al culto. Salvato il Collegio, la contemporanea soppressione di Chiese e Collegiate ne consentì addirittura un ampliamento e completamento: venne soppressa, venduta ed atterrata la attigua chiesa di S. Giovanni in Borgo (un insigne monumento romanico, ritratto a fianco del Collegio in vecchie stampe), si poté realizzare il giardino a sud, e il Pollack completò la sistemazione del fianco prima addossato alla chiesa. Negli anni rivoluzionari e napoleonici il Collegio Borromeo mantenne così il suo statuto tradizionale, mentre il Collegio Ghislieri divenne Collegio Nazionale. Le regole di reclutamento e convivenza del Borromeo rimasero fondamentalmente le stesse, così come rimase l'ispirazione religiosa. Il Collegio Ghislieri subì invece una più profonda laicizzazione. Questo fatto si ripercosse sugli atteggiamenti ideologici e i comportamenti degli alunni: i cronisti pavesi riferiscono di frequenti manifestazioni di acceso giacobinismo in Ghislieri, mentre il Borromeo sembra mantenere un atteggiamento meno radicale8. Le difficoltà legate alle guerre napoleoniche durarono per qualche anno:

nel 1799 e 1800 (gli anni della reazione austro-russa) non ci furono ingressi di alunni e il Collegio restò chiuso, ma pagò una pensione agli alunni che frequentavano la riaperta Università, e così si continuò fino al 1803, quando il Collegio poté essere riaperto e ripristinata la convivenza. Gli anni del Regno Italico e della prima Restaurazione non conobbero difficoltà paragonabili a quelle degli anni precedenti, e gli ingressi furono numerosi e regolari. Qualcosa però andava mutando tra gli alunni, e la Polizia austriaca sospettò inquinamenti di Sette quali la Carboneria e la Massoneria. I moti del 1821 e l'ondata di arresti e di sospetti si abbatté anche sul Collegio, dove nel 1822 non si nominarono alunni; tanti erano i sospetti della polizia sull'inquieto mondo studentesco, e sul Borromeo in specie, che tra il 1823 e il 1824 le autorità del Governo pretesero di fare piazza pulita, vuotando completamente il Collegio, e nominandovi tutti alunni nuovi. "Con la generale rinnovazione di tutti gli alunni di sopra accennata e voluta da' più giusti motivi di una radicale e definitiva riforma, dopo sì strepitose vicende militari, politiche e morali, venne il Convitto portato al numero di 35 e diretto con analoghi Disciplinari Regolamenti"9. Muta il panorama umano degli alunni, ora quasi tutti 'civili', borghesi e in parte della borghesia meno alta. Muta, nel frattempo, anche il clima politico e ideologico: in Borromeo vivono e si formano esponenti liberali e radicali di primo piano, quali Agostino Bertani (matricola nel 1829) e Giuseppe Ferrari (matricola nel 1827). Nove borromaici su trentacinque si fanno volontari nell'esercito piemontese nel 1859, e quattro si fanno 13


garibaldini. Il Patrono, Vitaliano IX, collaborò con Gabrio Casati nel Governo provvisorio di Milano del 1848, e ciò per poco non determinò la soppressione del Collegio, al ritorno dell'Austria. Ancora una volta questo fu salvato in extremis da un membro ecclesiastico della famiglia, il prelato di Curia Edoardo Borromeo, che ottenne dal Segretario di Stato di Pio IX, nel 1850, che venisse conservato e che il patronato venisse mantenuto alla famiglia. Il mutamento nella estrazione sociale degli alunni ottocenteschi (rispetto al Settecento) si ripercuote sugli esiti e le scelte professionali. I borromaici si dedicano meno alla pubblica amministrazione (attività quasi naturale e scontata per gli alunni patrizi) e molto più alle professioni. Molti di loro raggiungono risultati eccellenti e conseguono larga fama.

conciliazioni. Rodolfo Maiocchi, fondando agli inizi del secolo la Rivista di Scienze storiche, coltivò l'ambizioso progetto di raccogliere la più qualificata storiografia cattolica, non solo italiana, in una vigorosa battaglia metodologica e di ricerca contro il positivismo e per una storia non ipotecata in senso materialistico. Dopo la prima guerra mondiale, nel corso del quale il Collegio fu adibito a Ospedale militare, si apre un capitolo nuovo che dura fino ai primi anni sessanta quando, con la crescita economica del paese e le nuove leggi sul diritto allo studio e sull' accesso all'Università, si determinano ancora una volta condizioni nuove, nelle quali l'istituzione di S. Carlo ha dovuto ridefinire la propria funzione e i modi della sua presenza. Negli anni '20-'50 muta rapidamente ancora una volta la estrazione sociale degli alunni, che alla fine Ottocento erano ancora in gran parte 'civili', borghesi, e che ora in percentuali sempre maggiori sono figli della piccola borghesia, quando non anche di operai o di piccoli contadini, coltivatori diretti. Tra le due guerre e nel quindicennio 1945-60 l'estensione delle possibilità scolastiche anche a queste classi (i cui figli frequentano in misura maggiore anche i licei, magari godendo di borse di studio già durante l'adolescenza) permette al Borromeo di realizzare a fondo la sua ispirazione e vocazione meritocratica e assistenziale. Molti borromaici, alunni tra le due guerre o negli anni '50 possono testimoniare di persona la funzione avuta dal Collegio nella loro vita, e attraverso l'Associazione Alunni intendono garantirla

Dall'unità ad oggi Dopo l'unità e fino alla prima guerra mondiale, nel clima di tensione ChiesaStato e Scienza-Fede che ha caratterizzato in particolare il periodo 1880-1910, tra liberalismo, positivismo, nascente idealismo e tensioni modernistiche, il Borromeo divenne una palestra feconda di confronto, con il giurista Contardo Ferrini e col rettore e storico Rodolfo Maiocchi. Contardo Ferrini (1859-1902, beatificato da Pio XII nel 1947) studioso di Diritto Romano ma anche impegnato nelle polemiche scientifiche e politiche del tempo tra liberali, antitemporalisti e intransigenti, rappresentò una voce lucida e pacata, che evitò gli estremismi e, senza cedimenti compromissori, preparò future 14


anche oggi con lasciti e donazioni. E' questa anche una stagione splendida per carismatiche figure di rettori: Leopoldo Riboldi (rettore dal 1920 al 1927), Rinaldo Nascimbene, (rettore dal 1928 al 1939). Dal 1939 al 1961 il Collegio ebbe come rettore Cesare Angelini, scrittore e critico letterario in relazione con i maggiori poeti e critici contemporanei. Con l'evocazione della figura di Cesare Angelini sembra opportuno chiudere la rassegna dei rettori novecenteschi; il Fondatore ispirò l'opera dei rettori successivi, mons. Luigi Belloli e mons. Angelo Comini, che da poco ci hanno lasciati; don Ernesto Maggi, che ha ora responsabilità pastorali nella Chiesa e don Paolo Pelosi, attuale rettore nella "Casa della Sapienza".

1. R. MAIOCCHI-A. MOIRAGHI, L'Almo Collegio Borromeo. San Carlo Borromeo studente a Pavia e gli inizi del Collegio, Pavia, 1912. 2. M. MARCOCCHI, Il Collegio Borromeo ne quadro della riforma di S. Carlo, in AA.VV., I quattro secoli del Collegio Borromeo di Pavia, Milano 1961, pp. 39-56. 3. G. VISMARA, Le Costituzioni del Collegio da Carlo a Federico Borromeo, ibidem. pp. 57-110. 4. G. MOTTA, "Dementi furore anhelantes", studio sulla criminalità tra gli alunni del Collegio Ghislieri in antico regime, Tesi di laurea in Storia moderna, Università di Pavia, anno accademico 1989-90. 5. D. ZANETTI, Problemi alimentari di un'economia preindustriale, Torino, 1964. 6. G. GUDERZO, La riforma dell'Università di Pavia, in Economia Istituzioni Cultura in Lombardia nell'età di Maria Teresa, Bologna, 1982. vol. III. pp. 845-882. 7. Annotazione a margine del Registro degli Alunni entrati in Collegio, pubblicata in I quattro Secoli…cit., p. 347. 8. Varie annotazioni sul comportamento degli studenti Borromaici e Ghislieriani nel periodo 1796-1814 si trovano sulle pagine dei diari manoscritti dei cronisti pavesi L. Fenini, G. Favalli e C. Gentile conservati nella biblioteca Bonetta di Pavia.

9. Annotazione sul Registro degli Alunni entrati in Collegio, pubblicata in I quattro secoli...cit, p. 349.

La camera di un alunno del Collegio

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La facciata del Collegio

Il cortile a loggiati sovrapposti di colonne binate

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IL COLLEGIO BORROMEO UN PALAZZO PRINCIPESCO PER LA SAPIENZA Luisa Erba, Università degli Studi di Pavia

tempo di dare l'avvio ai lavori3. L'8 novembre viene stipulata una convenzione per 56 colonne, il 29 novembre il contratto per le opere di muratura e nella primavera successiva sono già in corso i lavori di demolizione dei vecchi edifici. Finalmente, nel maggio del 1564, giunge a Pavia l'architetto Pellegrino Pellegrini che, originario della Valsolda, si era formato in ambiente bolognese ed era venuto a contatto, in Roma, con le opere di Sangallo il giovane, Vignola e Michelangelo4. Il 19 giugno 1564 viene posta la prima pietra5, come risulta anche dall'iscrizione murata nell'angolo nord della facciata. Il cantiere rimane aperto per circa vent'anni: nel '66 viene compiuto il portale, nel '70 la facciata settentrionale. Dopo una pausa dal 1572 al 1576, viene realizzata la cappella, decorata nel 1579. Nel 1580, quando il cugino Federico giunge a Pavia, erano completati il lato occidentale con la relativa facciata verso la piazza e l'ala meridionale verso il fiume; nel 1585 viene compiuto il cortile e da quest'anno incominciano a comparire nei documenti i nomi di due altri architetti: Lelio Buzzi e Martino Bassi. Quando, nel 1586, Federico lascia Pavia, i lavori potevano considerarsi nel complesso compiuti. Altre due fasi edilizie daranno al palazzo l'aspetto definitivo. All'inizio del Seicento l'architetto Francesco Maria Richini completa la parte orientale racchiudendo il giardino con due

La collocazione II Collegio Borromeo è situato nel comparto sud-orientale della città, in un'area che nella sua fascia più esterna fu inglobata dalle mura solo in epoca spagnola. Amena per la presenza di orti e la vicinanza del fiume, la zona risulta edificata fin dal medioevo1, con case, torri ed alcune interessanti emergenze, quali la chiesa romanica di San Giovanni in Borgo 2 . A determinare la felice collocazione del Collegio in questa parte della città, contribuì, certo in maniera decisiva, il fatto che la famiglia Borromeo possedesse già, proprio qui, case e terreni. La scelta, che comportò delle demolizioni, consentì di riorganizzare secondo un disegno unitario una vasta estensione di terreno, risparmiando davanti all'edificio una piazza proporzionata alla sua mole e, dietro ad esso, l'area per un grande giardino. Nel 1585 il disegno del Claricio, che evidenzia le tre cinte di mura della città e gli edifici più significativi contenuti da esse, riporta la massiccia mole del Collegio ancora privo del giardino che comparirà invece nella pianta secentesca del Ballada e sarà poi registrato, senza sostanziali variazioni, nella cartografia successiva. Cronologia dei lavori Ottenuti da donna Barbara Cornazzani Beccaria alcuni stabili che sorgevano nell'area scelta per il Collegio, Carlo Borromeo decide, nel settembre 1563, che è 17


bassi avancorpi di portico architravato, l'uno aperto con colonne binate, l'altro costituito da una muratura continua, scandita da lesene binate, che maschera un cortiletto sussidiario (1616-1620) e completando la cinta mistilinea con il nicchione e la fontana collaudati nel 16296. Vengono attribuiti a Richini anche i due grandi camini del salone al piano terra (realizzati da Giacomo da Castello nel 1620) e la cancellata dell'androne verso il giardino7 (realizzata nel 1619 dal fabbro Gabriele Nazario). Nel primo Ottocento, a seguito della demolizione della chiesa di San Giovanni in Borgo, Giuseppe Pollack completa il prospetto verso il fiume (181820) riprendendo i motivi decorativi adottati da Pellegrini per la facciata.

di camere disimpegnate per mezzo di piccole scale interne che, a due a due, le collegano direttamente con i piani principali realizzando un sistema di autonomie per nuclei abitativi che ricorda quello previsto per i singoli membri di una famiglia della nobiltà. Nel Collegio Ghislieri invece l’accesso alle camere del piano nobile avviene da un ampio corridoio che percorre i quattro lati del palazzo, non diversamente dal modo con cui si distribuiscono le celle in un complesso monastico. Sembra lecito ritenere che le differenze distributive dei due collegi coevi derivino da modelli diversi proposti dalla committenza: il palazzo principesco per Carlo Borromeo che a Roma all’inizio degli anni sessanta aveva vissuto secondo lo stile colto e raffinato dei grandi cardinali della curia papale, il complesso monastico per l’inquisitore domenicano Michele Ghislieri che, divenuto pontefice, non aveva abbandonato gli austeri costumi del suo Ordine. In ciascuno dei quattro angoli del palazzo è collocata una scala: i due scaloni occidentali mettono in comunicazione i piani principali, le due orientali sono scale circolari di servizio che vanno dalle cantine al sottotetto.

La distribuzione interna L'espressione usata da Vasari "palazzo per la Sapienza"8, indica la destinazione d'uso collegata alla vita universitaria, che quindi si applica anche ai collegi. Sappiamo che Pellegrini, attivo a Bologna prima che a Pavia, conosceva il modello trecentesco del Collegio di Spagna9, costruito dall'architetto Matteo Giovannelli detto il Gattapone per ospitare gli studenti spagnoli iscritti all'Università di Bologna. L'organizzazione interna di entrambi i collegi presenta interessanti analogie distributive: l'ingresso principale e alcune sale comuni si trovano nel lato occidentale, i locali collettivi e la cappella nel lato orientale (collocazione che consente di dare alla cappella l'orientamento tradizionale, con l'abside a est e la facciata a ovest), mentre nei lati nord e sud sono distribuite le camere per gli studenti. Dai loggiati si accede a due livelli

La facciata La facciata sulla piazza presenta nell'ordine inferiore il ritmo incalzante dell'alternarsi di nicchie e finestre per i cui sopraccigli l'architetto propone elaborate varianti del motivo classico del timpano. Nell'ordine superiore il succedersi fitto delle finestre conosce una pausa alle estremità in corrispondenza con le serliane 18


che danno luce ai due scaloni principali. Sopra di esse due grandi frontoni si bilanciano su capitelli-protome. Il maestoso portale dove fasce a bugnato interrompono la levigatezza delle colonne, è, come osserva Peroni, da mettersi in relazione con i prototipi serliani: "L'intonaco liscio definisce per virtù della luce il gioco alterno di queste fratte superfici, che con la loro acuta spigolosità conferiscono all'insieme una accentuata definizione lineare. L'accurata coerenza dei particolari ci avverte che il modulo si è fatto stile, e altro non significano i triglifi posti sulle colonne, e i panneggi che, compressi sotto il balcone, attorcono il bordo in liste a ricciolo"10.

La cappella La cappella, a pianta rettangolare, è ad aula unica e rispetta con rigore le disposizioni relative all'edificazione di edifici ecclesiastici emerse dal Concilio di Trento, e diffuse da Carlo Borromeo nel suo Instructiones Fabricae et Supellectilis Ecclesiasticae (1573). Voltata a botte, con abside a scarsella, è illuminata da classiche finestre termali. Le vecchie "vedriate fate di vedri tondi da Venecia" vengono messe in opera nel 157911, e sostituite nel 1909. La volta, affrescata a grottesche dal pittore Gian Battista Muttoni12 e collaudata da Bernardo Cane l’11 settembre 1579, è stata recentemente restaurata (2010). Le pareti della cappella, ridipinte nel 1909 da Manlio Oppio, conservano l'impostazione cinquecentesca. La superficie delle pareti è qualificata dal contrapporsi di leggeri risalti e arretramenti costituiti da ampie arcate cieche intervallate da coppie di pilastri scanalati, con nicchie nell'intercolumnio, sui quali corre un classico fregio con triglifi e metope dotate di una finissima decorazione dipinta. L'apparato iconografico sviluppa una tematica strettamente correlata con l'Università e con la città. Nei tondi che trovano posto sotto gli archi (dipinti dal pittore milanese Osvaldo Bignami), sono rappresentati, sulla sinistra, a san Tommaso 13 , patrono delle scuole cattoliche, e san Carlo14 nel ruolo di fondatore del Collegio; a destra santa Caterina d'Alessandria15 in quanto patrona dell'Università di Pavia, e quindi santa Giustina16 patrona del Collegio. Le iscrizioni sotto le nicchie17, si riferiscono a san Luigi Gonzaga (modello

Il cortile II cortile, a loggiati sovrapposti di colonne binate, presenta un ordine inferiore di cinque archi su colonne tuscaniche ed uno superiore di colonne ioniche. L'architetto elimina qualsiasi particolare di disturbo, quale avrebbe potuto ad esempio essere una balaustra (che sostituisce con una sobria cornice marcapiano), conseguendo un equilibrio che, pur nella piena espressione dell'architettura manierista, non si è esitato a definire classico. Nel loggiato inferiore la fitta alternanza di porte architravate e porte minori a timpano è sottolineata, al di sopra di queste, dalle piccole finestre quadrate con timpano spezzato che si succedono con cadenza costante. Nel lato dell'edificio opposto all'ingresso, sfruttando le ali aggettanti verso il giardino, trovano posto sulla destra la cappella e sulla sinistra il refettorio e l’attigua sala dei camini. 19


della gioventù), sant’Alessandro Sauli (Lettore dell'Università ticinese), san Severino Boezio (patrono della gioventù pavese) e sant’Agostino (patrono degli studenti di medicina, filosofia e arti liberali). Sull'altare una ricca cornice in marmi policromi (opera di G. Battista Giudice, 1737-38)18 contiene una tela realizzata nel 1770 dal pittore Nicola La Piccola raffigurante la Vergine con san Carlo e santa Giustina, tradizionalmente venerata come patrona della famiglia Borromeo19; a lei infatti era originariamente intitolato l'oratorio del Collegio, solo in seguito dedicato anche a san Carlo.

muro, consentiva il rapido passaggio dei cibi provenienti dalla cucina, situata al piano sottostante. Se ne conoscono due disegni acquerellati che ne documentano la collocazione e il meccanismo20. Un piccolo pulpito in pietra, dal quale si tenevano le letture durante i pasti, conferma un'evidente ispirazione ai refettori monastici. Vi è scolpita la frase famosa tratta dal vangelo di Matteo IV, 4: NON IN SOLO PANE / VIVET HOMO SED IN / OMNI VERBO QUOD / PROCEDIT DE ORE / DEI.

Alle pareti una serie di dipinti settecenteschi illustra i vari possedimenti della famiglia Borromeo. Il bel portale marmoreo recante sul timpano lo stemma di casa Medici e il nome di papa Pio IV fu scolpito da Ambrogio Volpi21, insieme a quello destinato alla cappella (in seguito rimosso per lasciar posto all'attuale con il busto di san Carlo).

Il refettorio II refettorio è un vasto locale rettangolare che ospita, a tutt'oggi, l'arredo d'epoca: panche accostate ai muri e lunghi tavoli di noce. Fino a tempi recenti un montacarichi, ricavato nello spessore del

Il refettorio

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Borromeo). Altri riquadri sono dedicati alla rappresentazione delle virtù e delle doti da possedere e da coltivare da parte degli studenti: Pietà, Perseveranza, Zelo e Silenzio, e poi anche Religione, Preghiera, Operosità e Povertà. Il ciclo narrativo riguarda la vita di Carlo; il racconto comincia nella parete sud con l’episodio dell’Imposizione del cappello cardinalizio, e prosegue nella volta con L’omaggio dei duchi di Savoia a Carlo giunto a Torino (1578) per adempiere – al cospetto della Sindone – il voto fatto in occasione della peste del 1575. Il riquadro successivo è dedicato all’Istituzione di collegi, seminari e congregazioni: a sinistra è collocato in primo piano uno studente con la divisa del collegio pavese e la breve stola sulla spalla con il motto Humilitas. Nel grande ovale centrale La traslazione delle reliquie è circondata da quattro scomparti monocromi riferiti allo stesso tema: La ricognizione, Il rinvenimento, La venerazione e La predicazione sulle reliquie. Segue Il pellegrinaggio al Sacro Monte di Varallo, quindi la scena dei Funerali di San Carlo, e infine La peste di Milano raffigurata nella parete settentrionale. Il ciclo di affreschi avrebbe dovuto essere completato anche nelle pareti est e ovest, dove invece è stato realizzato soltanto il nastro con la greca destinato a profilare gli scomparti.

La sala dei camini L'ampia sala accanto al refettorio deve la sua denominazione di "riscaldatoio" alla presenza di due grandi camini gemelli commissionati a Richini nel 1618, sovrastati l'uno dall'iscrizione GLORIAM PRAECEDIT HUMILITAS, l'altro HUMILITAS ALTA PETIT.

La sala bianca Al piano superiore, nella sala attigua al salone degli affreschi, le pareti sono color avorio, con un elemento decorativo tipo tappezzeria costituito dai tre anelli incrociati, motivo frequente nella simbologia che si riferisce alla casa Borromeo, ad indicare il legame tra le famiglie Borromeo, Visconti e Sforza. Alle pareti i ritratti dei patroni laici del Collegio; tra essi campeggiano il ritratto a figura intera del conte Renato22 e quello del conte Giberto Borromeo Arese23, che tanta parte ebbe nelle vicende del Collegio nei primi decenni dell'Ottocento. La sala degli affreschi L’aula magna, che occupa quasi interamente il lato orientale del piano nobile, viene decorata tra il 1602 e il 1604 da Cesare Nebbia e Federico Zuccari, su incarico di Federico Borromeo24. La grande volta, incorniciata da una balaustra a pilastrini con festoni di frutti e fronde, è giocata su rigorose partizioni definite da fasce a decoro geometrico con l’aggiunta di elementi decorativi tratti dal ricco repertorio araldico di pertinenza Borromeo, enfatizzato agli angoli dai quattro stemmi sorretti da coppie di angeli (insegne papali di Pio IV; cardinalizie di Carlo e di Federico; stemma della famiglia

La sala per la musica Nell'ammezzato del piano nobile, in corrispondenza con il sottostante oratorio, nel 1926, sotto il rettorato di don Leopoldo Riboldi, viene realizzata "una vasta sala per concerti interni e riunioni artistiche"25, con 21


soffitto ligneo a cassettoni. Il salone viene in seguito arricchito con sculture di danzatrici e di putti musicanti.

giardino che poi si dilata, cinto da un muro che si incurva nella parte terminale in un'articolata esedra. Il nicchione conclusivo, realizzato da Richini26 riprende i motivi pellegriniani del portale, declinandoli in versione barocca, con lo sdoppiamento dei sostegni, le volute e la cesura del frontone. L'acqua vi compie un doppio salto, prima in una vasca tipo sarcofago e da qui, attraverso due teste di leone, in una grande conchiglia monolitica a livello terra. Si può ipotizzare che, in qualche momento della sua storia, l'interno del nicchione possa essere stato affrescato con un fondale prospettico; d'altra parte conosciamo una suggestiva proposta di completamento dell'esedra con una o più sculture, ispirate "alla favola narrata da Ovidio nel V delle Metamorfosi"27. Se da una parte il nicchione costituisce

Il giardino secentesco In asse con l'ingresso principale si apre il vano passante di comunicazione con il giardino. L'elegante cancello in ferro battuto, eseguito nel primo Seicento, è arricchito dai simboli che compaiono negli stemmi Borromeo: il motto Humilitas, il morso o freno, il cammello accosciato in una cesta e l'unicorno. Lo spiazzo lastricato è concepito come una grande terrazza, con parapetto a pilastrini, dalla quale ci si affaccia al giardino sottostante con la possibilità di goderne la visione complessiva. Una doppia scalea funge da raccordo. I portici di Richini abbracciano la prima parte del

Il giardino secentesco

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l'elemento architettonicamente emergente, dall'altra però tutto il muro di cinta è degno di attenzione, non solo per il ruolo di definizione di uno spazio disegnato e calibrato in funzione del palazzo, ma anche per la sua specificità morfologica forse meglio leggibile dall'esterno. In corrispondenza dell'asse nord-sud è stato recentemente riaperto (maggio 1991) un portale tamponato (esternamente contornato di bugne), il cui profilo poligonale riprende quello dell'ingresso pellegriniano. L'aspetto che il giardino avrebbe potuto avere, tra Sette e Ottocento, ci è restituito da un disegno, purtroppo mutilo, di Giuseppe Pollack in cui sono presenti due pergolati che proseguono idealmente i portici richininani. Il tema della galleria vegetale che affianca il muro di cinta è stato ripreso nel progetto di restauro del verde, messo a punto da Piero Galli tra il 1992 e il 1993, che ha ripristinato il viale centrale, e la sua importante funzione prospettica, e ha ricreato la rigorosa partitura geometrica secentesca con le quattro grandi aiuole tenute a prato e profilate in cotto28. Sia il bosso, scelto per la siepe che contorna le aiuole, sia il carpine, utilizzato per il pergolato, sono piante resistenti e tipiche dei giardini formali.

comunicazione con il giardino più antico attraverso il portico del Richini. Il passaggio è valorizzato da una fontana, che nasce da un gusto antiquario ottocentesco, realizzata con i materiali di spoglio di un altare probabilmente proveniente dalla demolizione della chiesa. La fontana costituisce anche una felice soluzione di raccordo tra i livelli diversi dei due giardini. Le planimetrie ottocentesche suggeriscono un perimetro pressoché rettangolare ed una suddivisione a croce con una piccola aiuola centrale di forma circolare. Le aiuole, a prato, sono bordate di sassifraghe; le magnolie sono di piantumazione recente e sostituiscono quelle danneggiate dal nubifragio del 1988. Gli Horti Borromaici I terreni a verde, esterni al giardino storico, derivano dall'accorpamento di aree diverse: nel corso del tempo infatti il Collegio si annette i sedimi del convento dei Cappuccini, del Pio Luogo Pertusati, del convento di San Marco. In seguito ad ogni acquisizione il Collegio ha provveduto a demolire il costruito (ad eccezione del Pio Luogo Pertusati, ora trasformato in Sezione Laureati), con l'intento, perseguito nel tempo con grande tenacia, di annettersi un'ampia area inedificata e mantenuta a verde, intesa come complemento e valorizzazione del complesso. Queste aree venivano date in affitto ad ortolani che vi coltivavano frutta e ortaggi; sono state recentemente oggetto di una operazione di “rinaturalizzazione” con la messa a dimora di essenze autoctone e la realizzazione di un piccolo stagno.

Il giardino ottocentesco A seguito dell'acquisizione e della demolizione della chiesa di San Giovanni in Borgo, il vasto appezzamento di terreno a sud del Collegio viene sistemato a giardino e riservato all'uso privato del rettore. La porzione aggiunta viene messa in 23


1. Sull'area e sull'inserimento urbanistico del Collegio si veda A. PERONI, Problemi della documentazione urbanistica di Pavia dal Medioevo all'epoca moderna, in Atti del Convegno di Studio sul Centro Storico di Pavia 1964, Pavia 1968, pp. 117-122.

Pavia: santa Caterina d’Alessandria e sant’Agostino, in Santi patroni e Università in Europa, a cura di P. Castelli e R. Greci, Bologna, Clueb, 2013, pp. 89108).

2. La chiesa di San Giovanni in Borgo, di fondazione preromanica, fu demolita nel secondo decennio dell'Ottocento. Cfr. A. PERONI, La struttura del San Giovanni in Borgo di Pavia, in "Arte Lombarda", 1969, I semestre, pp. 21-34; II semestre, pp. 63-76. Si veda anche L. ERBA, Nuove acquisizioni su San Giovanni in Borgo e il Collegio Borromeo, in Annuario 1990, Pavia 1991, pp. 15-32.

16. S. IUSTINA V. M. HUIUS COLLEGII PATRONA. 17. Le nicchie, nelle quali sono stati recentemente collocati quattro busti reliquiario, in precedenza ospitavano altrettante statue.

3. Un'attenta descrizione delle varie fasi edilizie in C. BARONI, Il Collegio Borromeo di Pavia, Pavia 1937 e A. PERONI, Il Collegio Borromeo. Architettura e decorazione, in I quattro secoli del Collegio Borromeo di Pavia, Milano 1961.

18. ACB, cart. CLVIII, fasc. 35. Disegno dell'Altare, ed Ancona esistente nell'Oratorio del Collegio Borromeo, e Convenzioni per la esecuzione del medesimo fatta dallo scarpellino Giovanni Battista Giudice, 28 febbraio 1737.

4. Pellegrino Pellegrini "filius quondam domini Tibaldi" (1527-1596), attivo anche come pittore, è noto soprattutto come architetto; prima di essere chiamato a Pavia da Carlo Borromeo aveva lavorato ad Ancona e a Bologna. Sulla sua formazione si veda A. PERONI, Il Collegio Borromeo… cit., e la bibliografia ivi citata.

19. "Volendo il Cardinale, che il Collegio fosse sotto la protettione di Santa Iustina Vergine, e Martire, dedicò a lei l'Oratorio interiore del Collegio, hauendola per particolare Auuocata, e Padrona la casa Borromea, per essere stata figliuola di Vitaliano Principe di Padoua, dal quale si dice, che questa nobilissima famiglia ha avuto origine". Da G. P. GIUSSANO, Vita di S. Carlo Borromeo, Roma 1610, p. 23.

5. È l'architetto stesso che ne da notizia in una lettera indirizzata a Carlo Borromeo, commentando "L'opera tornerà magnifica, bella et ben composta..." (cfr. G. ROCCO, P. Pellegrini 'l'architetto di S. Carlo' e le sue opere nel Duomo di Milano, Milano 1939, pp. 204-205).

20. ACB, Disegni, collocazione provvisoria. 21. ACB, cart. CLVIII, fasc. 9, doc. 4 febbr. 1578.

6. Archivio Collegio Borromeo (ACB), cart. CLVIII, fasc. 33. Collaudazione fatta dall'ingegnere Francesco Maria Ricchini delle opere eseguite da Giacomo Castelli e Donato Tadeo intorno alla Prospettiva del Giardino, 1629.

22. Patrono dal 1637 al 1685. Olio su tela di Protasio Girolamo Stambucchi, firmato e datato 1819. 23. Patrono dal 1793 al 1837. Olio su tela di Protasio Girolamo Stambucchi, firmato e datato 1817.

7. ACB, cart. CLVIII, fasc. 29.

24. A. PERONI, Gli affreschi di Cesare Nebbia e di Federico Zuccari, in I quattro secoli del Collegio Borromeo di Pavia, cit., pp. 133-161; G. TORRIANO, Gli affreschi di Cesare Nebbia e Federico Zuccari (e altre opere d’arte), in Guida al Collegio Borromeo “…un palazzo per la Sapienza”, Pavia 1984, pp. 43-60; S. FUGAZZA, Opere d’arte in Collegio, in Almo Collegio Borromeo, Pavia 1992, pp. 47-57.

8. G. VASARI, Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori […] ampliate con i ritratti loro et coll’aggiunta delle vite de’ vivi e de’ morti dall’anno 1550 insino al 1567, Firenze, Giunti, 1568. 9. Si veda M. KIENE, L'architettura del Collegio di Spagna a Bologna: organizzazione dello spazio e influssi sull'edilizia universitaria europea, in "II Carrobio", anno IX, 1983, pp. 233-242.

25. ACB, Libro dei Verbali del Consiglio (1923-1928). Seduta del 31 dicembre 1926.

10. Cfr. A. PERONI, Il Collegio Borromeo… cit., p. 216.

26. ACB, cart. CLVIII, fasc. 33. Collaudatione cit. n. 6.

11. ACB, cart. CLVIII, fascicolo senza numerazione. Accordo tra il vetraio Giulio de Volpi e l'architetto Pellegrini.

27. Documento senza data. ACB, cart. CLVIII, fasc. Miscellanea. Cfr. L. ERBA, "Questo Colleggio... come il Monte d'Elicona". Per una storia dei giardini borromaici, in "Ca de Sass", sett. 1992, pp. 54-59.

12. ACB, cart. CLVIII, fasc. 16, Collaudo 11-IX-1579. 13. S. THOMAS AQ. SCHOLARUM CATH. PATRONUS.

28. Il restauro si è compiuto nel 1994 con la messa a dimora di 2.400 bossi e 260 carpini. L. ERBA, Il ripristino del verde nel giardino del Richini, in “Nuovo Bollettino Borromaico”, n. 23, novembre1994, pp. 7-11.

14. S. CAROLUS BORR. HUIUS COLLEGII FUNDATOR. 15. S. CATHARINA V. M. TICIN. UNIVERSITATIS PATRONA. (cfr. L. ERBA, I patroni dell’Università di

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ALCUNE NOTIZIE NON ARTISTICHE SUGLI AFFRESCHI prof. Giorgio Giacomo Mellerio, Università degli Studi di Pavia

Per quanto si sa Cesare Nebbia (Orvieto, 1536 circa - 1614, circa) arrivò in collegio il 17 aprile 1603 con cinque persone; dai documenti la volta risulta finita a circa metà di marzo 1604. A fine mese di marzo dello stesso 1604 Federico Zuccari (Sant’Angelo in Vado/PS, 18 aprile 1540 o 1541 - Ancona, 20 luglio 1609) “con altri pittori”, si pensa a altre due persone, raggiunse Nebbia a Pavia per dipingere in contemporanea le due pareti corte del salone. I pagamenti al Nebbia si concludono il 17 ottobre 1604: quindi si può pensare che per quella data gli affreschi fossero finiti. Il 7 luglio 1605 vengono spese lire 133 per tela di Sangallo per fare le tende e difendere così gli affreschi delle due pareti dalla luce e dalla polvere. Sulla cimasa del salone rimane traccia delle carrucole che le manovravano. Le tende sono presenti ancora nel secolo scorso e nascondono gli affreschi durante l’utilizzo del Collegio come ospedale militare. Le foto d’epoca testimoniano la loro presenza. Curiosa è la posizione di un palco per allietare con uno spettacolo di arte varia il Natale del soldato 19441. Il 5 febbraio 1626 Francesco Maria Ricchino (Milano, 9 febbraio 1584 Milano, 24 aprile 1658), in una relazione peritale insieme a F. M. Lucino (fl. 1613?), relazionò sullo stato dei tetti e sulle riparazioni necessarie per proteggere gli affreschi dai danni causati dalle intemperie. Dai mandati di pagamento si deduce che le opere proposte furono eseguite.

Per contrastare il gocciolamento dai tetti sul salone si continuarono nel tempo ad aggiungere coppi. Fu necessario rinforzare le travature. Il peso provocò un lento cedimento delle capriate, le quali gravarono sulla volta provocando il distacco dell’intonaco dipinto. Testimonianza viene data dalle lettere del 1808 in cui si parla di chiodature e listini di legno per il grande ovale centrale. La testimonianza diretta dell’autore ricorda che segni di chiodature furono effettivamente ritrovati durante i lavori del 1985. L’ordine di distruggere gli stemmi che compaiono sugli edifici da parte dei Cisalpini nel 1796 fece rischiare la distruzione degli stemmi gentilizi nel salone. Per fortuna nel 1797 il Direttorio Esecutivo comunicò al Cittadino Rettore il parere che non convenisse guastare le celebri pitture del salone per cancellare gli stemmi in quanto la Repubblica aveva a cuore conservare i monumenti che contribuir possono al vantaggio delle Scienze e delle Belle Arti. I mandati di pagamento testimoniano lavori di falegname al tetto del salone nel settembre 1808. Per disgrazia o imperizia una capriata si appoggiò sulla volta in corrispondenza dell’affresco centrale. Il rettore Bernardo Gattoni (1757-1809, rettore dal 1799 alla morte) scrisse allarmato al Ragionatto della Casa Borromeo che vi era una crepatura lunga un braccio con distacco del dipinto dalla volta per quasi due dita in corrispondenza 25


dell’affresco centrale. Temeva il crollo. Chiamò il disegnatore ed incisore dell’Università, il celebre Faustino Giovita Garavaglia (1790-1835) che in tutta fretta (per lire 15) fece il rilievo dell’affresco centrale. Il patrono prontamente affidò i lavori al pittore Carlo Tagliabue. Si lavorò giorno e notte per costruire le impalcature nel salone e nel frattempo si scaricò il tetto dal peso. I restauri iniziarono nel mese di ottobre e i lavori murari continuarono sempre nella direzione di scaricare peso dal tetto. Poi furono “puliti” anche gli altri affreschi. Secondo le idee del tempo, oltre a levare le macchie il pittore, aiutato da un tal Francesco Ricci, sostituì le parti venute a mancare per effetto degli anni, ovvero rifece alcune pitture. Furono pure rinfrescate le dorature da parte di un signor Pirovano. Il quadro che si trova sopra al grande armadio della sala del camino ha costituito una documentazione dei maldestri restauri eseguiti dal pittore Carlo Tagliabue. Questo olio su tela del XVII secolo, acquistato nel 1908 presso un antiquario, riproduce infatti l'affresco della peste dipinto dal Nebbia. Il 31 ottobre 1809 il restauro era da considerarsi finito. Nel frattempo furono anche rifatti i telai delle finestre e verniciate le imposte. Spaventato dalle conseguenze dei danni sugli affreschi e per finanziare la loro conservazione, nel 1826 il successore rettore Giacomo Correggio (rettore dal 1809 al 1831) promosse l’edizione delle incisioni in rame riproducenti i due grandi affreschi del salone. Il programma era di fare incisioni di tutti i dipinti ma l’opera fu limitata ai due grandi affreschi delle pareti corte. Disegnatore fu il grande pavese

Cesare Ferreri (1802-1859) e gli incisori furono gli allievi del prof. Giovita Garavaglia. Se ne fece una tiratura di seicento copie, le quali furono in parte anticipatamente acquistate con sottoscrizione a partire dall’agosto 1826. Di queste stampe sono state tirate copie negli anni successivi, anche recenti, utilizzando le lastre originali in rame. All’inizio del secolo XX le lastre in possesso del Collegio erano ancora due, ora si trova soltanto quella relativa alla peste di Milano dell’anno 1576. Gravi condizioni di conservazione degli affreschi furono notate dal rettore Maiocchi nel 1905. Solo negli anni 1936-37 si pose però rimedio ai problemi degli affreschi con il completo isolamento della volta dalle capriate della copertura e la risaldatura della volta mediante asportazione e ricomposizione dei tratti di intonaco affrescato. Furono rese così sicure le operazioni di pulitura degli affreschi dalle muffe da parte del pittore Tino Anselmi di Milano. In conseguenza della visita papale del 1984 fu intrapreso il restauro totale degli affreschi da parte di una squadra di restauratori guidati dall’architetto Giovanni Rossi di Milano. L’impalcatura fu montata all’inizio del giugno 1985 ed il restauro fu concluso nel settembre 1985. Oltre al lavoro di pulitura furono fatti interventi più radicali su parti danneggiate da infiltrazioni d’acqua risalenti al periodo della seconda guerra mondiale. Operazioni più complicate furono richieste dai rischi di distacchi dell’intonaco già anticamente segnalati. Soprattutto i restauratori dovettero rimediare i danni operati dai 26


restauratori di altre epoche che nel tentativo di “far più belli i dipinti” avevano aggiunto colori più brillanti. Nella pulitura degli affreschi alcuni particolari sono tornati ad essere leggibili, come ad esempio alcune figure minori nell’affresco dello Zuccari. La decorazione a greche attorno a porte

e finestre, riscoperta sotto una scialbatura nocciola durante i lavori di restauro e pulitura, risale verosimilmente all'Ottocento se non ai primi anni del Novecento. ____ 1. Cfr. pag. 270, foto 33, in Annali di Storia Pavese, 1213/86 “Guardare la Storia”

La Sala degli Affreschi

27


Schema degli affreschi 28della volta del salone


SCHEDE DEGLI AFFRESCHI prof. Giorgio Giacomo Mellerio, Università degli Studi di Pavia I numeri fanno riferimento allo schema riportato nella pagina precedente

2. Stemma del cardinale Carlo (Arma Borromeo inquartata con quella di Papa Pio IV)

1. Imposizione del cappello cardinalizio a Carlo Borromeo Autore: Federico Zuccari Data: 1604; affresco firmato e datato nel centro inferiore della scena, sotto la figura di cane: FEDERICUS ZUCCARUS F. ANNO MDCIIII AETATIS SUAE A. LXV. Iscrizione: CARDINALIS LEGATUS A LATERE ET

ARCHIEPISCOPUS

MEDIOLANENSIS

3. Pellegrinaggio a Torino e incontro con i duchi di Savoia Autore: Cesare Nebbia Data: 1603 PEDIBUS Iscrizione: SUSCEPTA PEREGRINATIONE SACRAM SINDONEM INVISIT SERENISSIMISQUE DUCIBUS ID SUPPLICITER EXPOSCENTIBUS BENEDICIT. Scena: il dipinto rappresenta due delle quattro visite di Carlo a Torino, la prima del 1578 e la terza del 1582. La scena principale, sul davanti, si riferisce al primo pellegrinaggio nel quale Carlo, in abito cardinalizio succinto, col cappello e col bastone nella sinistra, alza la destra per benedire il duca Emanuele Filiberto col figlio Carlo Emanuele, inginocchiati dinanzi a lui. A destra di Carlo è il card. Guido Ferrero, nel seguito spicca il ritratto del segretario Carlo Bascapé (anch’egli col bastone) e la testa di un sacerdote, probabilmente p. Francesco Adorno, s.j. direttore spirituale del pio pellegrinaggio. Nello sfondo la visita in Torino nel 1582, in questo caso Carlo è accompagnato dal card. Paleotti, arcivescovo di Bologna. La scena avviene alle porte della città, di cui si vedono le mura coronate dai pennacchi di fumo delle artiglierie annunzianti l’arrivo del pellegrino.

A

PIO IIII CREATUR ANNO D.MDLX. Scena: papa Pio IV, assiso in trono, vestito degli abiti pontificali e assistito da quattro cardinali impone il galero (cappello) cardinalizio a Carlo Borromeo che è inginocchiato dinanzi a lui. La cerimonia avvenne il 31 gennaio 1560. Tra gli altri personaggi del dipinto uno sostiene il pallio dal conferirsi al neo - cardinale; il pittore si è proposto così celebrare un secondo avvenimento: l’elezione di Carlo all’arcivescovado di Milano. Ai lati della gran sala stanno seduti i cardinali ed attorno prelati, religiosi, spettatori vestiti a varie fogge; nella parte anteriore svizzeri, mazzieri, donne... Presso la cornice a sinistra una testa parlante, ornata di barba bionda, si vuole sia il ritratto del pittore. La tradizione, della quale non si è potuto accertare né l’origine né il fondamento, additerebbe nelle ultime figure in basso a destra i genitori di Carlo e nella vicina popolana col bambino la sua nutrice. Disegni: un disegno di progetto è conservato agli Uffizi di Firenze (cm 39,9 x 61,8).

4. Stemma di papa Pio IV Medici 5. Figura allegorica “Povertà” 29


6. Fondazione dei Collegi e Seminari Autore: Cesare Nebbia Data: 1603 TICINI Iscrizione: BORRHOMAEUM NOBILIUM MEDIOLANI COLLEGIUM ERIGIT QUINQUE

SEMINARIA

ET

7. Figura allegorica “Lavoro” 8. Figura allegorica “Zelo” 9. Il riconoscimento (monocromo)

OBLATORUM

delle

reliquie

CONGEGATIONEM INSTITUIT REGULISQUE TEMPERAT AC LEGIBUS. Scena: il Santo istituisce a Pavia il Collegio Borromeo, a Milano il Collegio dei Nobili, fonda cinque seminari e dà la regola alla congregazione degli Oblati. La scena si svolge in una delle sale dell’arcivescovado di Milano. Carlo, vestito di rocchetto e mozzetta, è seduto sulla cattedra; alla sua sinistra sono tre figure di sacerdoti, il primo dei quali sorregge un bacile portante le bolle di fondazione con i loro sigilli pendenti e i libri delle regole, che Carlo sta distribuendo agli Oblati. La fondazione del Collegio Borromeo è rappresentata dal gruppo di tre giovani che occupano il primo piano a sinistra del dipinto, facilmente riconoscibili per la veste paonazza e per la stola col motto “Humilitas” che loro pende sulla spalla destra. Alla fondazione dei Seminari allude il gruppo di cinque seminaristi, in piedi ma veneranti, alla destra del cardinale, nelle loro vesti talari di color paonazzo. Il Collegio dei Nobili è ricordato dai giovinetti con gorgiera che stanno nel vano della porta. Le tre figure di religiose, di due abiti diversi, che si vedono inginocchiate ai piedi del Cardinale probabilmente alludono all’opera di riforma o fondazione (Monache “Cappuccine” - di Santa Prassede -, dal rozzo saio) di nuovi monasteri.

10. Figura allegorica “Silenzio”

Figura allegorica n. 18 “Pietà”

11. Figura allegorica “Onore” 12. Il ritrovamento (monocromo)

delle

reliquie

13. La traslazione delle reliquie Autore: Cesare Nebbia Data: 1603 Iscrizioni: REPERTIS S.S. RELIQUIIS JEJUNIIS VIGILIIS ET VERBI DEI PRAEDICATIONE FIDELES AD PROFECTUM EXCITAT.

AD

SANCTORUM

RELIQUIAS

TRANSFERENDAS HONESTISSIMOQUE LOCO REPONENDAS

MAXIME

SOLEMNES

SUPPLICATIONES HABET.

Scena: il soggetto del grande ovale al centro 30


della volta, completato da quattro piccoli dipinti monocromi (due ovali nelle fasce e due rettangolari nella balaustrata) vuole indicare la sollecita cura di Carlo nel mettere in venerazione i tesori dei corpi santi posseduti da Milano. Il tema centrale della volta è il rinnovamento del culto delle reliquie. Grazie alle indicazioni date dalle fonti biografiche possiamo distinguere nell’affresco la descrizione di fatti svoltisi in due momenti differenti. Una processione occupa tutta la lunghezza della linea orizzontale; sotto un baldacchino decorato con le armi della famiglia Borromeo, Carlo vestito da arcivescovo porta la reliquia di San Giovanni Buono contenuta in una testa d’argento, aiutato da due altri vescovi. Altri ecclesiastici seguono il baldacchino, tra di essi il cardinal Paleotti. Si tratta della cerimonia del 30 maggio 1582; essa fece seguito ad un’altra solenne traslazione avvenuta il giorno prima. La presenza dei numerosi baldacchini e vescovi partecipanti ci permette di assegnare a questa prima processione la scena in secondo piano dell’affresco. La cerimonia infatti fu organizzata da Carlo in occasione del VI Concilio Provinciale, quando fece convenire in Milano tutto il clero della città e della provincia ecclesiastica; la processione fu in onore delle reliquie dei santi Simpliciano, Ampellio, Geronzio, Benigno e di tre altri martiri: Leone, Martino e Arsazio. Disegni: uno dei disegni preparatori è conservato all’Ambrosiana di Milano (cm 21,1 x 30,3). 14. La venerazione (monocromo)

delle

15. Figura allegorica “Gloria” 16. Figura allegorica “Perseveranza” 17. La predicazione (monocromo)

sulle

reliquie

18. Figura allegorica “Pietà” 19. Figura allegorica ”Religione” 20. Pellegrinaggio a Varallo Autore: Cesare Nebbia Data: 1603 Iscrizione: PIAE MEDITATIONES JEJUNJA ALIAEQUE

IN

SACRO

VARALLI

MONTE

CORPORIS MACERATIONES NON OBSCURA FUERUNT

AD

SUBSECUTAM

MORTEM

PAULO

POST

PRAEPARATIONIS

ARGUMENTA.

Scena: il dipinto ci porta agli ultimi giorni di vita di Carlo, dal 12 al 29 ottobre 1584, quando egli stette al ritiro del Sacro Monte di Varallo Sesia. La figura di Carlo è ripetuta tre volte, la principale è intesa ad esprimere i segni evidenti delle sofferenze. Essa presenta Carlo nell’atto di benedire quel pane che formava l’unico suo alimento nei giorni di ritiro spirituale. La brocca dell’acqua, sua unica bevanda, costituisce il centro ideale del dipinto. La seconda lo ritrae peregrinante con la lanterna da una all’altra cappella, notte tempo. L’affascinate paesaggio notturno costituisce uno dei pezzi più felici dell’intero ciclo pittorico. L’ambiente naturale torna ad essere l’indispensabile scenario del quale si compie l’historia salutis. La terza lo mostra inginocchiato dinanzi a un tabernacoletto, circonfuso da un fascio di luce che piove dall’alto, forse

reliquie

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allusione a quanto narrano i biografi sulla rivelazione dell’imminente morte avuta nella notte del 27 ottobre. Nel contesto cronologico della vita di Carlo questo episodio si situa verso la fine. La collocazione di questo episodio prima del funerale è logica e rispetta la cronologia dei fatti.

Castro) e ai margini si accalca il popolo, qui rappresentato da alcune donne e da un giovane inginocchiato, in atteggiamento di vivo dolore. Nella parte alta del riquadro il pittore ha dipinto il corteo mentre si snoda in piazza del Duomo fino alle porte della chiesa. Nel fondo, accanto alla facciata del Duomo, sulla sinistra, si intravede l'abside di Santa Tecla, poi demolita all'inizio del Seicento, sicché questo dell'affresco pavese, ne è l'ultimo ricordo iconografico.

21. Figura allegorica “Orazione” 22. Stemma del cardinale Federico (Arma Borromeo inquartata con quella di papa Sisto V) 23. Funerali di Carlo Autore: Cesare Nebbia Data: 1603 Iscrizione: CUNCTA

24. Stemma della famiglia Borromeo 25. La peste di Milano Autore: Cesare Nebbia Data: 1604 Iscrizione: LABORANTES MEDIOLANENSES

MEDIOLANENSIS

PESTE

CONSOLATUR

CIVITAS INCREDIBILI DOLORE PERCULSA

SOLEMNIQUE HABITA SUPPLICATIONE CUM

PASTORIS OPTIMI FUNUS PROSEQUITUR. Scena: il dipinto è dedicato ai funerali di Carlo, che si celebrarono a Milano il 7 novembre 1584. Il corpo dell'arcivescovo, con in capo la mitra preziosa, il galero ai piedi, al braccio sinistro il pastorale, nelle mani una piccola croce d'argento, venne portato processionalmente dall'Arcivescovado al Duomo, dove si svolsero le esequie. Precede il feretro il cardinale Nicolò Sfondrati, vescovo di Cremona, poi papa Gregorio XIV, e piange. Dietro il feretro tre teste, delle quali una con berretto, rappresentano forse il giovane cugino abate Federico Borromeo, cui stanno ai fianchi il fratello conte Renato e il conte Annibale d’Altemps. Attorno al feretro stanno altri prelati (alle esequie parteciparono, oltre allo Sfondrati, i vescovi di Alessandria, di Vigevano e di

SANCTISSIMO

CLAVO

CIVITATEM

PESTILENTIA LIBERAT.

Scena: Nel grande dipinto sulla parete settentrionale, dedicato alla peste di Milano del 1576, il Nebbia condensa in primo piano l'orrore della malattia raffigurando lividi corpi di morti, alcuni giacenti l'uno sull'altro, altri mentre vengono portati alle fosse. Il resto dell'affresco rappresenta due momenti della carità e dell'abnegazione del Santo durante la calamità. Sulla destra l'arcivescovo, in piviale violaceo, somministra il viatico ad un anziano infermo; alcune donne, inginocchiate accanto al letto, esprimono coi loro atteggiamenti la pietà, la devozione, il turbamento. Nel 1576 Carlo, per implorare la cessazione del contagio, indisse tre processioni penitenziali, l'ultima delle quali, con la reliquia del Santo Chiodo, 32


venne rappresentata dal Nebbia nella parte mediana dell'affresco. Il Santo, scalzo, avvolto nella cappa pontificia paonazza, con lo strascico tutto disteso per terra, e con annodata al collo una grossa fune ("a guisa del capestro d'un condannato a morte", commenta un biografo) guida il corteo reggendo il Santo Chiodo, mentre dietro a lui, nella parte alta del dipinto, si snoda, interminabile, la processione. Alcuni intravedono anche un terzo episodio: sullo sfondo in alto a sinistra le visite di Carlo al Lazzaretto.

V. Vittorie alate H. Figura araldica “humilitas” F. Figura araldica “morso di cavallo” (freno) C. Figura araldica “cammello” U. Figura araldica “unicorno”

Imposizione del Cappello Cardinalizio a Carlo Borromeo, Federico Zuccari, 1604 - Sala degli Affreschi

33


La sezione femminile

La biblioteca nel piano interrato del palazzo storico

34


RESTAURI E AMPLIAMENTI dott.ssa Caterina Zaira Laskaris, Almo Collegio Borromeo

(molto avanzate anche sotto il profilo tecnico), che hanno comportato sia necessarie verifiche (quali la precisa valutazione del degrado dei materiali lapidei pertinenti al sistema di sostegno del loggiato e alle parti decorative) e conseguenti consolidamenti strutturali, sia un recupero dell’aspetto esteriore dell’edificio in linea con la documentazione storica - restauro della facciata e delle superfici murarie, salvaguardia e valorizzazione di tutti gli elementi originali (dalle pavimentazioni agli infissi alle inferriate), riqualificazione del cortile interno e dei giardini -, sia una serie di modifiche d’uso degli ambienti, per poter rispondere alle accresciute esigenze abitative ed educative dell’istituzione. All’importante lavoro di ampliamento della capacità ricettiva del Collegio grazie all’efficace recupero degli ampi sottotetti (in pieno rispetto della sapiente razionalità costruttiva del Tibaldi), ha fatto eco il completo riutilizzo delle vaste aree dei sotterranei dell’edificio, con la creazione di nuove aule attrezzate per le molteplici attività didattiche e l’intensa programmazione culturale connessa ai criteri formativi di alto livello che competono all’istituzione, in stretto rapporto con l’attività accademica dell’ateneo pavese e dell’Istituto di Studi Superiori (IUSS), fondato a Pavia nel 1997. Sono state, inoltre, ricavate zone dedicate allo studio, allo svago e alle attività sportive degli Alunni (come la palestra), che si aggiungono alla dotazione di campi

La sfida attuale di un’istituzione che ha alle spalle 450 anni di storia e la cui sede, sin dalla fondazione, si qualifica come bene di eccezionale interesse architettonico e artistico, è quella di coniugare efficientemente la tutela dei valori estetici con le esigenze di funzionalità di una struttura nata per accogliere la vita quotidiana di una comunità di studenti. La tradizione deve tenere il passo della modernità e questa deve tenere conto delle caratteristiche specifiche di un contesto monumentale. Su questa linea di principio e in continuità con gli interventi, che a partire dall’inizio del Novecento hanno interessato il Collegio Borromeo per dotarlo di servizi indispensabili (dagli impianti di energia elettrica e di riscaldamento a quelli idraulico-sanitari), si è posta una massiccia campagna di restauri, che ha coinvolto non solo l’intero edificio, ma anche le proprietà annesse. Preceduta da un’accurata fase di progettazione e suddivisa operativamente in lotti di intervento, concentrati in particolare negli anni Novanta e nel primo decennio del Duemila, ha perseguito un duplice scopo: da un lato, “mantenere in ottime condizioni di manutenzione e di fruibilità le strutture del Collegio migliorandone la funzionalità e l’aspetto estetico”, dall’altro, “raggiungere, sia pure per gradi, la definitiva messa a norma”, secondo i moderni criteri e standard di sicurezza1. Il Collegio è stato, così, interessato da una diversificata gamma di operazioni 35


sportivi nel giardino che si estende tra il lato sud e il fiume. I sotterranei dell’intero lato ovest del quadrilatero del Collegio sono stati bonificati in modo da accogliere ambienti per lo studio dotati di postazioni multimediali e, soprattutto, la Biblioteca corrente, con conseguente organica collocazione del ricco e sempre crescente (grazie anche a lasciti e donazioni) patrimonio librario del Collegio, accessibile sia agli Alunni sia a utenti esterni (per consultazione dei volumi) e i cui titoli sono reperibili on-line nel catalogo elettronico dell’Università di Pavia (Opac Unipv). Un locale è stato specificamente dedicato alla razionale conservazione della preziosa e cospicua documentazione dell’Archivio storico del Collegio, vero cuore memoriale dell’istituzione, del quale si è proceduto al riordino e all’inventariazione. Questi sono solo alcuni degli interventi più significativi, cui hanno fatto da necessario complemento – nell’ottica di un ac c o r t o p r o gr a m m a d i gl o b al e valorizzazione estetica e rifunzionalizzazione – i restauri degli antichi arredi (come gli scranni seicenteschi del Refettorio), dei beni mobili (dalla Quadreria ai preziosi paramenti liturgici) e, da ultimo, quelli condotti sugli affreschi tardocinquecenteschi della Cappella, che hanno portato sia alla migliore conservazione e leggibilità delle scene e decorazioni della volta, sia alla scoperta di lacerti della decorazione originale sotto strati di superfetazioni moderne nelle nicchie laterali e sulla parete della cantoria. L’attenzione costante alla modernità e all’aggiornamento tecnologico si è espressa

anche, in occasione delle celebrazioni dell’anniversario dei 450 anni dalla fondazione del Collegio, nella messa in opera di un sofisticato impianto di illuminazione, che rende meglio apprezzabile, in tutta la sua smagliante vivacità cromatica e sontuosità compositiva, la grandiosa decorazione pittorica del Salone, affrescato dal Nebbia e dallo Zuccari. A questa fitta e articolata campagna di ristrutturazioni vanno aggiunti alcuni ulteriori capitoli, inseriti nel quadro di una riorganizzazione complessiva della ricettività del Collegio e della distribuzione degli ambienti di servizio e gestionali: è stato rinnovato l’interno della Sezione Laureati di via Vercesi (aperta negli anni Settanta), per renderne più aggiornati e funzionali i criteri abitativi e si è proceduto al recupero integrale di una palazzina quattrocentesca di proprietà del Collegio, destinandola a sede degli uffici dell’Amministrazione. L’intervento, tuttavia, certamente più impegnativo e innovativo, in termini sia ideali, sia pratici e organizzativi, è stata la costruzione e apertura della Sezione Femminile del Collegio, inaugurata il 10 maggio 2009. In un’area adiacente al lato nord dell’edificio, armonicamente inserita nel tessuto urbano storico, che circonda la mole del palazzo cinquecentesco, è stata realizzata ex novo una struttura abitativa, caratterizzata dall’aggiornamento ai nuovi strumenti offerti dalla domotica, in grado di ospitare fino a 47 Alunne. ____ 1 Cfr. GIAMPAOLO CALVI e VALERIA PALENZONA, Gli interventi moderni: restauri, recuperi e ampliamenti, in Borromeo 2011. Saggi in onore dei 450 del Collegio, Pavia, TCP, 2011, p. 55.

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BREVI NOTE SUI RETTORI dott.ssa Caterina Zaira Laskaris, Almo Collegio Borromeo

In più di 450 anni di vita il Collegio Borromeo ha conosciuto 53 rettori, che ne hanno garantito la continuità storica dalla fondazione, tanto in periodi di apparente quiete o torpidezza e opacità documentaria, quanto in momenti di fermento politico e sociale e di vivaci mutamenti. Alcune figure rettorali emergono forse con maggiore perspicuità, a partire dal primo, Giovanni Battista Sommaruga (1588-1596), scelto dal primo patrono del Collegio (il cardinale Federico Borromeo) per dirigere l'istituzione fondata da san Carlo e aperta ufficialmente nel 1588. Al rettore, inizialmente e per quasi due secoli selezionato tra i membri della congregazione degli Oblati sempre di fondazione caroliana (dall'ultimo quarto del Settecento appartenente, invece, al clero secolare) competevano sia la cura spirituale e disciplinare degli alunni, sia la gestione di tutti gli aspetti materiali legati alla vita del Collegio, in stretta e costante connessione con i patroni Borromeo e attraverso figure di raccordo, che mantenevano il controllo amministrativo della famiglia sull'istituzione pavese. Sono ricchi e interessanti i carteggi che attestano il dialogo tra rettori e patroni lungo i secoli e, in generale, la documentazione che manifesta la capillarità e il grado diversificato dell'intervento decisionale dei rettori nel quadro del progetto pedagogico complessivo del Collegio, nella gestione del convitto, nella cura del palazzo e nell'amministrazione oculata delle

proprietà fondiarie. Il XIX e il XX secolo vedono susseguirsi figure importanti di rettori, chiamati a guidare il Collegio in acque più o meno agitate, in epoche di conflitti territoriali e scontri politici, con l'impegno costante di mantenere intatta la funzionalità dell'istituzione per la comunità di alunni e di fronteggiare le diverse e opposte rivendicazioni e i tentativi di ingerenza giurisdizionale delle autorità civili ed ecclesiastiche, riuscendo sempre, in stretto rapporto con la famiglia patronale, a conservare l'autonomia del Collegio. Se pensiamo a Bernardo Gattoni, nominato rettore nel 1799 e dunque nel pieno dell'occupazione francese, a Giacomo da Correggio, in carica dal 1809 al 1831 (al quale si deve anche l'importante intervento architettonico, che ha conferito alla struttura l'aspetto di maestoso parallelepipedo che la contraddistingue: la realizzazione della facciata sud del Collegio, affidata a Giuseppe Pollack, in seguito all'abbattimento della chiesa romanica di San Giovanni in Borgo), a Giovanni Villa, rettore dal 1835 al 1856, e a Luigi Fumagalli, che lo segue fino al 1873, possiamo leggere in filigrana le tensioni ed emergenze cui queste figure dovettero rispondere, in parte assecondando in parte contenendo fremiti ed esigenze partecipative agli eventi della storia da parte degli alunni (alcuni di essi decisero di lasciare il Collegio per schierarsi con le truppe sabaude, altri presero parte attiva ai moti risorgimentali milanesi del 37


'48 o all'impresa dei Mille). Poche e laconiche annotazioni nei protocolli degli alunni, vergate dai rettori a margine dell'elenco degli esami sostenuti in università e dei relativi voti, lasciano intuire destini di coinvolgimento della comunità studentesca, ma anche l'esigenza di auto-conservazione dell'istituzione stessa. Il Novecento è caratterizzato da almeno due dati, che accomunano la storia collegiale a quella universale: la veloce progressione nell'aggiornamento tecnologico – cui il Collegio si deve altrettanto rapidamente adeguare, per fornire l'ambiente più adatto alle esigenze formative e abitative degli alunni –, il dramma delle Guerre Mondiali, che coinvolgono direttamente l'istituzione pavese, trasformata in entrambe le occasioni in ospedale gestito dall'autorità militare. Spiccano in un clima di grandi cambiamenti e rivolgimenti le figure di Rodolfo Maiocchi (1905-1919; storico di livello internazionale, che si occupò della valorizzazione del Collegio anche come bene culturale e come patrimonio artististico da difendere), di Leopoldo Riboldi (il cui pur breve rettorato, 19201927, dovette far fronte agli scempi seguiti alla lunga ed estenuante occupazione del Collegio durante il primo conflitto bellico, ridando accoglienza e nuovo slancio ideale alla dispersa comunità collegiale) e di Rinaldo Nascimbene, biblista, che guidò il Collegio tra il 1928 e il 1939, passando il testimone a quello che è forse il più noto e celebrato tra i rettori borromaici, Cesare Angelini, rimasto in carica fino al 1961. Figura troppo articolata per riassumerla in

poche parole: poeta, intellettuale, appassionato conoscitore della storia del Collegio innanzi tutto attraverso le carte, i documenti, le testimonianze antiche (in questo ponendosi in continuità con l'impegno di riordino archivistico del Maiocchi), ma anche attento all'esistenza moderna del Collegio, che, attraverso una fitta rete di rapporti e scambi internazionali, diviene teatro di una vita culturale, scientifica, letteraria di alto respiro e livello e fulcro di un progetto complessivo di “umanismo cristiano”, che sarà fondamentale eredità per i decenni a venire. La risposta alla sfida della modernità è ben incarnata dai rettori successivi: Belloli, Valsecchi, Comini, Maggi, Pelosi, con modalità e personalità differenti mantengono il Collegio (accogliendo ed elaborando gli stimoli che provengono dai nuovi e diversi fermenti sociali, politici e culturali dalla seconda metà del XX secolo) fertile spazio di educazione etica, di alta formazione intellettuale, di indipendenza e profondità di pensiero. Al rettorato di Ernesto Maggi, inoltre, si deve quella necessaria riqualificazione anche strutturale del Collegio, che ne fa certamente uno degli edifici lombardi più prestigiosi (oltre che un luogo funzionale per chi lo abita) e, per usare le parole di Cesare Angelini, “la casa che rallegra la città”. ___ 1. Per notizie sui rettori cfr.: Elenco dei Rettori dal 1588 al 1961, in I quattro secoli del Collegio Borromeo di Pavia. Studi di storia e d'arte pubblicati nel IV centenario della fondazione, Milano, Alfieri & Lacroix, 1961, pp. 217-227; Giovanni Caravaggi, I rettori, in Almo Collegio Borromeo, Pavia, Croma, 1992, pp. 77-89. 38


STORIE DI ALUNNI DIVENUTI FAMOSI prof. Giorgio Giacomo Mellerio, Università degli Studi di Pavia

Complessivamente sono circa quattromila gli alunni che hanno frequentato il Collegio dall’apertura ufficiale del 9 maggio 1588. In realtà la struttura iniziò ad ospitare alunni con il 1° aprile 1581, in quel mese entrò Federico Borromeo (1564-1631), flos alumnorum come Cesare Angelini amava citare. Di Federico Borromeo il Manzoni, nel cap. XXII de I Promessi Sposi, ha lasciato un tale monumento che è inutile ogni altra parola. Tra i primissimi alunni, amicissimi di Federico Borromeo e suoi compagni di collegio, furono i fratelli Mazenta (Mazenti o Magenti, la grafia varia) Giovanni ed Alessandro, figli del senatore Ludovico; essi si iscrissero alla Facoltà dei Legisti. Come tutti i primi alunni dal 1581 al 1588 i fratelli Mazenta pagarono una pensione per vitto e alloggio, ovvero stettero “a dozzina”. Essi entrarono in Collegio il 13 novembre 1584 e vi rimasero fino al mese di luglio 1587. Giovanni Mazenta (15651635), meglio noto con il nome di Giovanni Ambrogio che assunse da religioso, è una personalità intellettuale di grande spicco: di erudizione sconfinata, autore di numerosi studi di storia religiosa e di filologia, studioso di Leonardo, valente ingegnere idraulico, divenne l’architetto delle case dell’ordine barnabita, progettando numerosi edifici. Appena uscito dal Collegio, nel 1588 mentre era a Pisa, Giovanni Ambrogio fu il protagonista, assieme a Pompeo Leoni, della complicata e ben nota vicenda dei

tredici manoscritti leonardeschi sottratti nella villa Melzi. Il primo alunno registrato ufficialmente nel 1588, Michelangelo Caccia (15671630) da Arona, in effetti aveva già da qualche anno fatto vita comune in Collegio (contubernalis). Fu proclamato dottore in entrambi i diritti il 25 giugno 1591. Già questo primo alunno ufficiale ebbe una discreta carriera, divenendo uno dei più insigni avvocati del suo tempo presso i tribunali di Milano; Michelangelo Caccia poco prima del 1624 ottenne la Questura del magistrato straordinario e nel 1627 ebbe un seggio nel Senato di Milano. La formazione della classe dirigente Nei secoli XVI, XVII e XVIII il Collegio con i suoi giuristi fornì alti dignitari del governo e dell’amministrazione centrale sia della Chiesa sia dello Stato milanese. Risulta costituito da alunni del Collegio Borromeo circa il 10% di coloro che ricoprirono la carica di grande responsabilità dei Vicari di provvisione di Milano (dal 1534 al 1796), ovvero i supremi regolatori della amministrazione della città capitale del Ducato; essi costituirono la più importante autorità locale, carica che assunse ancora maggiore significato in un periodo di “predominio straniero”. Molti alunni furono senatori, diplomatici e magistrati arrivati alle cariche attraverso il vivaio del Collegio dei Giureconsulti di Milano. Esempio fu Giorgio (II) Clerici (164839


1736), dei marchesi di Cavenago, entrato in Collegio nel 1669 per giurisprudenza, “patrimonium mediocre”, e che “cum laude, doctorali laurea coronatus est, die XIX augusti 1669”. Poi divenne: senatore, reggente, gran cancelliere interinale dello Stato di Milano, presidente del Senato, consigliere di stato di Sua Maestà Cattolica. Morì nel 1736 beneficando l’Ospedale Maggiore di Milano, la Ca’ Granda dei milanesi. Numerosissime furono le carriere nella magistratura di alunni provenienti da rami cadetti della nobiltà lombarda. Spesso proprio grazie ai meriti di toga furono elevati nel rango nobiliare. Già a partire da un oscuro alunno del 1595, Giovan Francesco Medici (15751639), si ha testimonianza di un connubio tra toga e penna che si verificherà spesso tra gli ex-alunni. Questi infatti, giurista di provata esperienza e cancelliere della città di Lodi, fu partecipe di sodalizi accademici a Pavia e a Lodi ed ebbe l’onore di avere pubblicate alcune sue composizioni in raccolte sotto l’egida degli Affidati pavesi.

vescovo di Tivoli, poi vescovo cardinale di Frascati, di Porto e S. Rufina nel 1645 e di Ostia nel 1652. Cesare Monti (1593-1650), milanese entrato nel 1612, studiò diritto canonico e civile, si addottorò nel 1617, divenne subito giureconsulto collegiato in Milano, ma già nel 1619 fu a Roma come referendario utriusque Signaturae. Nel 1627 fu nunzio nel vicereame spagnolo di Napoli, poi fu nunzio straordinario in Spagna presso Filippo IV a Barcellona nel 1628, indi nunzio ordinario a Madrid l’anno dopo con contemporaneo conferimento della dignità patriarcale di Antiochia. Cardinale in pectore nel 1629, Cesare Monti venne consacrato vescovo nel 1630. Trascorse quattro anni presso la corte spagnola nel delicato periodo della Guerra dei Trent’Anni. Nel 1634 ricevette il galero cardinalizio da Urbano VIII e fu creato arcivescovo di Milano succedendo a Federico Borromeo. Cesare Monti entrò in Milano nel 1635. Quale arcivescovo di Milano fu pastore saggio e zelante e la sua intensa operosità ebbe sempre devoto riferimento al modello di san Carlo. Federico Visconti (1617-1693), entrato nel 1639, fu nel 1644 giureconsulto collegiato; intraprese carriera diplomatica a Roma; divenne governatore di Tivoli, di Città di Castello e di Montalto, e nel 1667 uditore della Sacra Rota; poi fu cardinale e arcivescovo di Milano nel 1681. Intraprese con zelo appassionato la visita pastorale, convocò più volte i vicari foranei, celebrò un sinodo diocesano. Dedicò particolari cure alla liturgia, si preoccupò dei seminari, diede un notevole impulso ai lavori edilizi; tra di essi ricordiamo che fece condurre a termine i lavori delle porte sulla facciata del

Gli ecclesiastici Dal Collegio presero le mosse in quei secoli diversi ecclesiastici, vescovi e cardinali. Nel secolo XVII, il milanese Giulio Roma (“Orsini di Roma”) (15841652), entrato nel 1603, fu giureconsulto collegiato poi avvocato concistoriale. Come tale curò la causa di canonizzazione di Carlo Borromeo rimanendo famoso per la sua orazione nel concistoro pubblico del 14 settembre 1610. Il pontefice Paolo V lo nominò Governatore di Perugia poi, nel 1621, vescovo di Recanati e presbitero cardinale. Nel 1634 Giulio Roma divenne 40


Duomo di Milano e fece sistemare le gradinate e la piazza. Con legato destinò una notevole somma al compimento della statua del “San Carlone” di Arona. Con Gaetano Stampa (1677-1742), entrato nel 1698, inizia la serie di ecclesiastici del secolo XVIII. Gaetano Stampa dopo la laurea divenne: gi u r ec o n s u l t o c o l l egi a t o ( 1 6 9 9 ) , arcivescovo di Calcedonia nel 1717, nunzio apostolico a Firenze nel 1718 e poi a Venezia nel 1720. Indi divenne arcivescovo di Milano nel 1737, fu creato cardinale nel 1739. Nel 1743 gli succedette sulla cattedra ambrosiana il cardinale Giuseppe Pozzobonelli (1696-1783), alunno entrato in Collegio nel 1722. Pozzobonelli tutelò l’autonomia della Chiesa ambrosiana e mantenne leali ed amichevoli rapporti con l’imperatrice Maria Teresa e col governo austriaco. Egli visitò coscienziosamente tutte le chiese, riordinò l’archivio vescovile, curò l’istruzione religiosa del popolo, si occupò della beneficenza; egli stesso fu tra i benefattori dell’Ospedale Maggiore di Milano. Ignazio Busca (1731-1805), entrato nel 1757, divenne: giureconsulto collegiato, referendario di entrambe le segnature, vescovo di Emesa nel 1775 e abile nunzio apostolico a Bruxelles; nel 1785 fu governatore di Roma, cardinale nel 1789, Segretario di Stato (1796) durante il periodo della rivoluzione francese, sostenne il primo urto napoleonico e arrivò alla pace di Tolentino. Sull’esempio dal cardinale Federico molti di questi alti ecclesiastici borromaici erano eruditi, mecenati, collezionisti d’arte. La splendida quadreria di Cesare Monti è stata

ricostruita in una mostra tenutasi a Milano nel 1994; i pezzi più importanti sono sempre visibili alla Pinacoteca di Brera. Nel nuovo allestimento del Museo del Duomo di Milano è stata valorizzata una grande tela appartenuta al cardinal Monti: si tratta di un’opera del Tintoretto raffigurante la disputa di Gesù nel tempio. Dopo il cardinal Monti Federico Visconti contribuì alla collezione dell’arcivescovado di Milano. Un gruppo interessante di dipinti fu poi raccolto da Giuseppe Pozzobonelli, conoscitore sensibile dell’arte del suo tempo. Dalla quadreria arcivescovile le collezioni Monti, Visconti e Pozzobonelli sono giunte all’attuale Museo Diocesano di Milano. Un altro cardinale, di curia, Giuseppe Alessandro Furietti (1685-1764), bergamasco, alunno del Collegio dal 1705, nelle vacanze dai suoi pesanti impegni intraprese scavi nella villa Adriana di Tivoli, durante i quali fece importanti scoperte d’opere d’arte antica. Furietti fu giudice, diplomatico e prelato (Segretario della Sacra Congregazione del Concilio e della residenza dei Vescovi). Lasciò alla città di Bergamo i suoi libri con l’obbligo che si costituisse una biblioteca pubblica, sull’esempio dell’Ambrosiana voluta da Federico Borromeo; la sua ricca biblioteca, aperta nel 1768, costituì il primo nucleo dell’odierna Biblioteca civica “Angelo Mai”. Ancora eccellenze: civili e culturali Nel secolo XVIII troviamo ancora “eccellenze”: reggenti e diplomatici, provenienti dai Legisti. Scarse sono le notizie di alunni professori universitari nei secoli XVII e XVIII. Lo scarso numero di 41


professori potrebbe essere spiegato perché altre carriere ben più prestigiose e remunerative si dischiudevano ai borromaici di quei tempi, come per il pavese Carlo Belloni (1606-1682). Subito dopo la nota sulla sua laurea in giurisprudenza nel 1629, il rettore del Collegio riporta sul registro degli alunni “publicus lector in Ticin. Gimn.” Ed infatti lo ritroviamo nella Facoltà legale ad lecturam de Actionibus (materia destinata alla formazione dei giuristi interessati alle attività professionali) nel 1630 e poi ad lecturam Extraordinariam Juris Civilis nel 1632. Appartenente al Collegio dei Nobili Giureconsulti pavesi, Carlo Belloni divenne Senatore di Milano nel 1657, Presidente del Magistrato Ordinario, Consigliere segreto, e giunse alla Presidenza del Senato milanese nel 1675. Nel secolo XVIII importante fu Giuseppe Carpani (1752-1825), alunno entrato nel 1768 iscritto a giurisprudenza, letterato, librettista e scrittore musicale. Dopo gli studi legali mostrò maggior inclinazione per opere letterarie. Fu in rapporti con la cultura letteraria, artistica, teatrale e la colta aristocrazia dell’epoca. Nel 1796 in seguito all’arrivo dei Francesi dovette fuggire da Milano; fino al 1804 risedette in Venezia e fu censore e direttore teatrale; fu poi poeta della Corte Imperiale a Vienna. Come librettista scrisse per Paër, Rust, Weigl. Una sua arietta ebbe notevole successo e fu musicata da una sessantina di compositori, tra cui Beethoven (In questa tomba oscura, woO 133, 1807). Tradusse in tedesco libretti di opere italiane e francesi, e in italiano parecchie opere francesi, come Nina, ou La folle par amour poi musicata da

Giovanni Paisiello, e pure tedesche come l’oratorio Die Schöpfung di Haydn. Giuseppe Carpani fu amico e collaboratore di Franz Joseph Haydn, nonché tra i suoi primi biografi con Le Haydine pubblicate già nel 1812. Sempre sul finire del secolo XVIII è la storia curiosa di un medico: Agostino Bozzi (1783-1872); egli narra nella sua autobiografia, dettata in tarda età alla figlia Paolina (edita postuma a Londra nel 1874), di esser stato alunno del Collegio e di aver seguito a Pavia le lezioni nell’aula di Filosofia meccanica del professore Alessandro Volta. L’avventurosa vita di questo medico, densa di responsabilità e di esperienze, ebbe coronamento in Inghilterra, dove, conosciuto ed onorato come Augustus B. Granville, M.D., F.R.S., si spense ultraottantenne. Aveva girato i mari quale chirurgo della flotta di sua maestà britannica, era stato ostetrico, medico pediatra nell’Ospedale dei bambini di Londra, medico curante dello zar di tutte le Russie ed autore di autorevoli testi dedicati alle cure termali. Trovò il tempo di compiere studi anche sulle mummie egizie (1825). Era fuggito dall’Italia durante il periodo napoleonico ed aveva pure condiviso le ansie patriottiche sorte immediatamente dopo, rivolgendo un appello allo zar Alessandro nel 1814. Ancora durante la prima guerra di indipendenza scrisse a Lord Palmerston lettere – appello in favore dell’Italia. Il periodo della rivoluzione e del turbine napoleonico Nel burrascoso periodo iniziato con la rivoluzione francese alcuni borromaici 42


furono costretti all’abbandono delle cariche pubbliche, come nel caso del conte Francesco Nava (1755-1807). Nava entrò in Collegio quale alunno per giurisprudenza nel 1773 e si laureò nel 1777; egli ebbe una carriera tanto brillante e meritatamente fortunata agli inizi, quanto travagliata poi. Nava fu lo sventurato vicario di provvisione che consegnò le chiavi della città ai francesi, e il 21 maggio 1796 o 2 pratile anno IV repubblicano decadde dalla carica. Fu arrestato e per ordine di Bonaparte inviato in esilio a Nizza, ove trascorse l’estate; dopo che fu pagato un oneroso riscatto, Nava ripartì il 14 ottobre e prese domicilio nel paesino della Brianza in cui era nato. Al ritorno degli Austriaci nel ‘99 fu richiamato in carica. Tornati i Francesi prese nuovamente la via dell’esilio, rientrando solo anni dopo a Milano. Nel turbine di questo periodo molti borromaici aderirono alle nuove idee e, soprattutto poiché al blasone fu preferita la preparazione professionale, moltissimi amministratori cisalpini e italiani studiarono in Collegio Borromeo. Nei rivoluzionari cambiamenti alcuni mutarono completamente vita come Luigi Bossi (1758-1835). Egli entrò in Collegio nel 1785 segnato per la facoltà legale ma poi fu uno dei sei alunni iscritti a Teologia in tutta la storia dell’istituzione. Bossi seguì anche i corsi di Scopoli, Spallanzani, Rezia ed ebbe interessi scientifici come mostrano le sue prime opere. Egli più per tradizione domestica che per autentica vocazione fece parte del clero milanese e divenne monsignore del capitolo del Duomo. L’invasione francese gli offrì la possibilità di abbandonare lo stato ecclesiastico e di

ottenere la lettera pontificia di secolarizzazione. Fu legato all’ambiente degli Illuminati e, entusiasmato dalle dottrine degli enciclopedisti, ne diffuse i principi. Membro del corpo legislativo della Prima Cisalpina, fu ministro plenipotenziario di quella Repubblica presso la Repubblica Ligure, poi diplomatico a Torino. Con titolo di Consigliere di Stato fu prefetto generale degli Archivi e delle Biblioteche d’Italia durante il regno napoleonico. Dopo il 1815 non prese più parte ad attività politiche. Continuò sempre gli studi prediletti di lingue orientali e di archeologia, scrisse dotte e curiose memorie, compendiò e tradusse dal greco, dal francese e dall’inglese. In questo periodo emerge la figura di Pietro Custodi (1771-1842). Originario di Galliate (Novara) fu alunno dal 1790 e si laureò in Giurisprudenza (utroque Jure) il 30 maggio 1795. Custodi fu collaboratore del ministro Prina, divenne Segretario Generale delle Finanze del Regno Italico (1802-1814). Salvatosi dalla rovina del Prina rimase nel suo ufficio fino al 1816, ringraziato dall’I.R. Governo, poi andò a Parma chiamato all’Ufficio di Intendente generale della Ferma, ma se ne partì subito. Visse allora tutto assorto negli studi. Lasciò la sua cospicua biblioteca all’Ambrosiana. Custodi dal 1802 fu editore della monumentale raccolta degli Economisti italiani, cinquanta volumi di scrittori classici italiani di economia politica. Vi sono compresi anche Cesare Beccaria e Pietro Verri, di cui Custodi divenne anche il biografo principale scrivendo ben quattro monografie. Il Custodi è ricordato tra le firme della rivista Annali universali di 43


statistica (1824-1847) assieme a Giandomenico Romagnosi, Melchiorre Gioia, Carlo Cattaneo, Giuseppe e Defendente Sacchi.

morte avvenuta nel 1838) e poi benefattore dell’Ospedale Maggiore milanese fu l’avvocato Carlo Bellani (1772-1838), originario di Monza, entrato come alunno iscritto a giurisprudenza nel 1791, laureatosi l’11 giugno 1794. Fece carriera giudiziaria, nel 1801 fu eletto deputato per Monza alla Consulta di Lione, ove si fece notare per il carattere e l’ingegno. Tornato a Milano fece parte del Collegio dei Dotti e partecipò alla riforma del Codice Penale, salì alle più alte cariche della magistratura fino a procuratore generale della Corte di giustizia civile e criminale dell’Olona. Nel 1818 Bellani divenne amministratore dell’Ospedale civile di Milano e acquistò molte benemerenze: separò le camere per l’alta chirurgia, riordinò il manicomio dove abolì le catene e gli altri mezzi coercitivi, rinnovò il personale. Tra i maggiori filantropi milanesi del XIX secolo fu Giuseppe Sacchi (18041891), entrato nel 1824 al terzo anno di giurisprudenza. Patriota, educatore, pedagogista e poligrafo, Giuseppe Sacchi cooperò efficacemente ad ogni opera benefica milanese. Nel 1836 fondò con l’abate Ferrante Aporti il primo asilo infantile di Milano. L’interesse predominante di tutta la sua vita fu per la prima educazione infantile, ma pensò anche a scuole serali e festive, a quelle per la preparazione degli insegnanti; nel 1860 fondò la Società pedagogica italiana.

La Restaurazione Con la Restaurazione le figure emergenti sono i tecnici indispensabili per la complessa macchina statale. I quadri dirigenti lombardi preparati dal Collegio spesso passano dall’amministrazione del Regno Italico a quella del Regno Lombardo Veneto come ad esempio Gaudenzio de Pagave (1776-1833), alunno dal 1794 che si laureò in Giurisprudenza il 30 aprile 1796. Questi fece carriera nell’amministrazione napoleonica fino a Segretario del Consiglio di Stato, rimase come Segretario della Reggenza Provvisoria, nell’amministrazione del Lombardo Veneto fu vicedelegato nella provincia di Lodi – Crema, poi delegato a Sondrio ove curò la costruzione delle strade dello Spluga e dello Stelvio, indi a Brescia; morendo (1833) lasciò alla città di Novara i suoi beni per creare una casa di ricovero e di lavoro per i poveri vecchi. Continua col XIX secolo in Collegio la preponderante presenza di alunni iscritti agli studi giuridici, ma il panorama umano si allarga, gli alunni sono quasi tutti “civili”, borghesi e in parte della borghesia meno alta. Le carriere sfociano spesso ancora nella magistratura e ancora i borromaici vengono ricordati tra i benefattori della Ca’ Granda. Il rapporto dei borromaici con l’istituzione ospedaliera milanese è stato, infatti, costante nei secoli: oltre ai benefattori il Collegio fornisce medici e amministratori. Amministratore per ben quattro lustri (dal 1818 fino alla

I moti indipendentisti E’ innegabile che il Collegio abbia fornito magistrati e alti funzionari al Regno Lombardo Veneto, tuttavia i primi moti indipendentisti vedono già tra i protagonisti dei borromaici. Carlo Beolchi (1793-1867), 44


originario di Arona, entrò nel 1814 e si laureò in Giurisprudenza il 26 giugno 1817. Beolchi prese parte ai moti del 1821 in Piemonte, combatté per la costituzione spagnola e fu esule in Inghilterra fino al 1850. A Londra insegnò lingua e letteratura italiana nel Collegio della Regina, prima università dell’impero britannico per l’educazione femminile. Tornato a Torino fu deputato al Parlamento Subalpino. Fortissimo è stato l’apporto dei borromaici alle Cinque Giornate di Milano. Assieme al patrono conte Vitaliano Borromeo furono nel Governo Provvisorio gli ex-alunni: Gaetano Strigelli (1801–1862), Giuseppe Durini (1800-1850), Emilio Broglio (1814–1892). A presiedere il Consiglio di Stato fu chiamato dal Governo Provvisorio un altro borromaico: Giovanni Battista Nazari (1791-1871), coraggioso deputato di Bergamo nella Congregazione centrale di Lombardia in Milano. Nazari al ritorno degli Austriaci si ritirò a vita privata, in seguito divenne senatore del Regno di Sardegna e poi d’Italia. Emilio Broglio fu il segretario del Governo Provvisorio e deputato al Parlamento Subalpino (18481849). Si rifugiò a Torino, nella cui università insegnò per qualche tempo economia politica; rientrò in Lombardia nel 1859. Eletto deputato nel 1861, divenne Ministro dei Lavori Pubblici (1867) e poi della Pubblica Istruzione (dal 27 ottobre 1867 al 13 maggio 1869) nel Governo Menabrea. In quest'ultima veste costituì (1868) una commissione per lo studio dei problemi relativi all'unificazione linguistica italiana, chiamandone alla presidenza Alessandro Manzoni. Fu vicepresidente della Camera dei Deputati (1869-1870).

Moltissimi borromaici militarono sulle barricate come il figlio del patrono e alunno per Giurisprudenza, conte Guido Borromeo (1818–1890); lo stesso Francesco Brioschi (vedi oltre) fu fatto prigioniero dagli Austriaci al termine del primo giorno, fu poi liberato dagli insorti. Guido Borromeo ebbe anche l'incarico di inviato straordinario del Governo provvisorio centrale della Lombardia presso Carlo Alberto al campo di Pavia. Costretto ad abbandonare Milano al ritorno degli Austriaci fu esule in Piemonte; eletto deputato per la circoscrizione di Desio, nell'aprile 1860 fu nominato dal Cavour suo segretario particolare. Nel dicembre di quell'anno venne nominato segretario generale del ministero dell'Interno, nel 1863 fu segretario generale alle Finanze, carica che conserverà poi con il Sella. Rieletto come deputato esercitò un influsso continuo e notevole sulla cosa pubblica. Nelle elezioni del 1871 non presentò più la propria candidatura; l'anno seguente venne nominato senatore. Tra il 1871 e il 1878 fu presidente del Consiglio provinciale di Milano e della Cassa di risparmio per le Provincie lombarde. Il maggior contributo borromaico al Risorgimento è stato però dato da Giuseppe Ferrari e da Agostino Bertani. Il primo, (1811-1876), fu giurista, entrato nel 1827 e laureatosi il 9 giugno 1832. Ferrari fu uomo intrepido e va collocato accanto a Carlo Cattaneo come allievo e continuatore di Gian Domenico Romagnosi. Amico di Proudhon, Ferrari si dedicò con continuità agli studi sul pensiero politico nello sviluppo delle storie patrie e fu risoluto e fervido sostenitore di una concezione 45


federalista, repubblicana e socialista della politica. Da liceale vinse un premio per la fisica ma si laureò in diritto, frequentò la scuola del Romagnosi e dopo la morte del Maestro scrisse per la Biblioteca Italiana (1835) La mente di G. D. Romagnosi, che richiamò su di lui l’attenzione degli studiosi. Nel 1837 si recò esule volontario a Parigi, dove scrisse nello stesso anno Vico et l’Italie e poi (tra il 1851 e il 1862) le sue opere più poderose: La Storia delle rivoluzioni d’Italia, La storia della Ragione di Stato, La filosofia della rivoluzione. Fu chiamato ad una supplenza alla cattedra di Filosofia dell’Università di Strasburgo ma la perdette; fu cacciato dal Liceo di Rochefort dal fanatismo clericale; nel 1841 il Cousin, filosofo e ministro, gli assegnò di nuovo la cattedra a Strasburgo. Ma nel 1842 a trentun anni Ferrari fu pensionato e rimosso dalla cattedra, scatenando un caso che occupò i giornali dell’epoca. Subito pubblicò il suo corso di Strasburgo e Cattaneo ne stampò la traduzione in italiano su Il Politecnico. Libero da impegni si dedicò alla ricerca di filosofia della storia. Allo scoppio del ’848 Ferrari intervenne a Parigi e poi a Milano, indi ritornò a Parigi. Nel 1850 ruppe definitivamente con Mazzini. Poi la cronaca: ritorno in Italia nel 1859, elezione alla Camera nel 1860, una cattedra a Torino nel 1862, poi professore all’Accademia scientifico letteraria di Milano. Deputato al Parlamento per sei legislature, e nel 1876, anno della morte, senatore. Di Bertani tratteremo in seguito. Sbocciata la stagione del Risorgimento italiano molti alunni lasciano il Collegio per arruolarsi nelle armate sabaude o

partecipare alla spedizione dei Mille. Il milanese Giuseppe Landriani (1825-1858), si iscrisse a giurisprudenza nel 1845, prese parte alle Cinque Giornate di Milano, quindi entrò nell’esercito sardo e partecipò alla prima guerra di indipendenza, si laureò nel 1854, in tempo per partire nel 1855 alla volta della Crimea con il generale Alfonso La Marmora, fu ferito e fatto prigioniero dai russi. Ritornato in patria, mentre si accingeva a prendere nuovamente le armi per l’Italia, morì di cancrena. Ferdinando Cartellieri (1830-1859) entrò in Collegio nell’anno scolastico 185051, iscritto al terzo corso legale. Giovane molto studioso, dopo essersi laureato (1853) si diede alla professione dell’avvocatura. Ancora studente, nel 1849, aveva già combattuto accanto a Garibaldi nella difesa della Repubblica Romana; nel 1859 allo scoppio della seconda guerra di indipendenza nuovamente lasciò la Lombardia, la sua attività professionale e la segreteria generale della “Società di incoraggiamento di scienze, lettere ed arti” ed entrò in Piemonte arruolandosi nella milizia sotto il generale Garibaldi, col grado di sottotenente dei Cacciatori delle Alpi; perdette la vita a eseguito di una grave ferita conseguita mentre guidava un attacco nella battaglia di S. Fermo presso Varese (27 maggio 1859). Luigi Meschia (1840-1860) entrò in Collegio nel 1858 e fu uno dei migliori studenti di matematica dell’Ateneo. Ventenne, Meschia si arruolò con Garibaldi, combatté al Volturno, a Capua fu ferito gravemente, lottò per più di un mese con la morte, spirò all’Ospedale del Carmine di Napoli. 46


alla brigata minacciata di schiacciamento nella battaglia di Adua, condusse per sette volte all’assalto i suoi soldati. Cadde sul campo e alla memoria fu concessa la medaglia d’oro. Il nobile milanese Egidio Osio (18401902) si iscrisse a giurisprudenza nel 1857 ma abbandonò subito gli studi. Militare, fece le campagne del 1859, 1860 (medaglia di bronzo alla presa di Capua), 1866 e prese parte con gli Inglesi a una spedizione in Abissinia. Divenne addetto militare italiano a Berlino (1879-81). Fu nello Stato Maggiore e raggiunse il grado di generale di brigata. E’ ricordato per essere stato il rigido precettore militare (1881-1889) del futuro re Vittorio Emanuele III. Agostino Bertani (1812-1886), iscritto a Medicina nel 1829, dopo essersi laureato nel luglio del 1835, ampliò la sua cultura medica con lo studio di autori stranieri, esercitò all’Ospedale Maggiore di Milano, pubblicò anche uno studio anatomicopatologico sui piedi torti. Durante le Cinque Giornate diresse l’ospedale militare degli insorti, poi accorse a curare i feriti della Repubblica Romana. Riparato esule a Genova organizzò l’impresa dei Mille. Fu nominato da Garibaldi direttore dei servizi sanitari del Corpo dei Cacciatori delle Alpi, divenne il segretario del Dittatore a Napoli e con Garibaldi rimase fino a Mentana. Deputato repubblicano al parlamento, fu promotore del codice di igiene pubblica promulgato nel 1885. A lui si deve l’estensione dell’inchiesta agraria Jacini (1876) anche alle condizioni fisiche, igieniche ed economiche dei contadini e non solo alla situazione economica e tecnica della produzione agricola, cui invece si fermava il progetto iniziale.

Il diciottenne Filippo Piacezzi (18401861), da Lodi, entrò nel 1858 al secondo anno di medicina; era collegiale al terzo anno quando nel luglio 1860 raggiunse il Corpo di spedizione garibaldino nell’Italia Meridionale, come caporale della Divisione 15ª Türr. Sostenne esami all’Università di Napoli che lo laurearono in medicina. Tornato da Napoli nel novembre 1860 tentò di essere ammesso in Collegio per continuare gli studi secondo gli ordinamenti dell’Università di Pavia ma non fu accettato in quanto non aveva sostenuto tutti gli esami del suo corso. Morì di tifo a bordo di una nave italiana che lo riportava a Napoli nel 1861. Arruolamenti, carriere militari e nella sanità militare Diverse carriere militari iniziarono in quel periodo, a partire dall’arruolamento volontario durante o subito dopo lo studio in Borromeo. Cesare Airaghi (1840-1896) fu giovane studente di matematica, entrato nel 1857, ma abbandonò il collegio nella primavera del 1859, si arruolò e rimase nell’esercito. Frequentò l’Accademia Militare di Ivrea e fu sottotenente nel 1866; combatté, col grado di tenente, nella campagna del 1866 con la divisione Medici in Val Sugana. Poi percorse tutti i gradi fino a colonnello, fu insegnante di tattica alla Scuola di guerra dal 1884 al 1888, nel frattempo si laureò ingegnere e diede mano a invenzioni di apparecchi ad uso militare. Conoscitore dell’Eritrea ove era stato per tre anni al comando del reggimento "Cacciatori d'Africa", vi ritornò nel 1896 con la brigata Dabormida al comando del reggimento 60 di fanteria d'Africa. Cercò di portare aiuto 47


Medici e scienziati dell’Ottocento Diversi alunni del XIX secolo furono scienziati, insegnanti sulle cattedre universitarie. Onorato professore dell’Ateneo pavese fu il milanese marchese Giuseppe Balsamo Crivelli (1800-1874), alunno entrato nel 1819 per medicina e laureatosi il 18 agosto 1824; insegnò a Pavia dal 1851 alla morte nelle scienze naturali e lasciò orme notevoli dei suoi studi in vari campi. Scienziato infaticabile, fu dapprima botanico occupandosi in particolar modo delle crittogame, poi mineralologo e geologo, approfondendo la parte stratigrafica. Si occupò pure di paleontologia. Trattò felicemente in seguito vari argomenti di zoologia. Nel 1863 lasciò infatti l’insegnamento della mineralogia su cui era stato chiamato assieme alla zoologia per assumere anche l’insegnamento dell’anatomia comparata. Giulio Curioni (1796-1878) entrò in collegio nel 1815 al secondo anno, si laureò in Giurisprudenza il 7 agosto 1818 ma divenne il miglior conoscitore della geologia delle Alpi Lombarde, pubblicò due volumi di Geologia delle Provincie Lombarde (Milano, 1877). Fu conservatore presso il Museo Civico di Milano e si dedicò a ricerche geologiche. Utilizzò le osservazioni per l’applicazione industriale dei minerali e delle rocce. Si interessò di paleontologia e di resistenza dei materiali. Si occupò anche dei momenti flettenti in travi. Importante scienziato naturale fu Emilio Cornalia (1824-1882); iniziò gli studi di Diritto ma ben presto passò agli studi di medicina e rivolse la sua predilezione alla storia naturale; entrò in

collegio nel 1843, il 15 febbraio 1848 si laureò in medicina con una tesi Notizie geomineralogiche sopra alcune valli meridionali del Tirolo (pubblicata a Milano, 1848) e nel 1851 fu nominato direttore aggiunto del Museo Civico di Storia Naturale di Milano. Per tutta la vita ne fu l’animatore: rimase Direttore per 31 anni. Espanse le collezioni e curò il trasferimento del Museo nella nuova (e ancora attuale) sede. Fu socio fondatore e presidente per ventiquattro anni della Società Geologica. Scrisse molto anche sulla fauna italica. La sua fama di scienziato è legata alla poderosa Monografia del Bombice del gelso (1856). In seguito (1863) si interessò alla pebrina, malattia dei bachi, collegandola alla presenza di corpuscoli all’interno dell’animaletto e riferendone epistolarmente all’Académie des Sciences di Parigi e a Louis Pasteur (1869), che appunto chiamò “corpuscoli del Cornalia” le spore del protozoo parassita origine della malattia. Questi suoi studi, assieme a quelli sulla coltura del gelso, su altri insetti di interesse agrario e sulla filossera della vite influirono sulla politica agricola del Regno. Emilio Cornalia fu due volte presidente dell’Istituto Lombardo Accademia di Scienze e Lettere. Medico e scienziato fu Giacomo Sangalli (1821-1897). Alunno dal 1842, dopo essersi laureato in medicina il 14 febbraio 1846, Sangalli fu alunno a Vienna di Karl von Rokitansky, entrò in contatto a Parigi con Jean Cruveilhier e fu corrispondente con Rudolf Virchow a Berlino. Sangalli fu il primo a ricoprire la cattedra di anatomia patologica dell’Università di Pavia (1855). Ricordato 48


come grande didatta e conferenziere, è passato alla storia più per i litigi accademici con Golgi che per i suoi corposi e vari studi di anatomia, testimoniati dai preparati ancora oggi conservati nelle raccolte del Museo dell’Ateneo pavese, accresciute grazie alle sue assidue cure. Notevole fu l’incremento degli alunni iscritti a medicina nel XIX secolo. Nella seconda metà del secolo è da menzionare Carlo Forlanini (1847-1918) figlio di valente medico, Francesco, già alunno del Collegio dal 1836 al 1840. Forlanini entrò in Borromeo nel 1864 e si laureò il 9 agosto 1870 dopo aver partecipato alla terza guerra di indipendenza con Garibaldi a Bezzecca. Carlo Forlanini esercitò dapprima nell’Ospedale Maggiore poi fu chiamato alla cattedra di clinica medica propedeutica a Torino indi ritornò a Pavia a patologia medica e poi a clinica medica. Carlo Forlanini fu tra i primi a comprendere l’importanza del metodo sperimentale nella medicina e la necessità di applicarlo in studi clinici. L’elenco delle sue pubblicazioni colpisce per la molteplicità degli argomenti. I lavori di patologia polmonare rimangono tuttavia quelli fondamentali cui è legata la sua fama di scienziato e di clinico. Nel 1888 egli applicò il primo pneumotorace artificiale. Dopo prime molte critiche e pochi entusiasmi, il riconoscimento divenne unanime e solenne quando nel 1912 a Roma in occasione del Congresso Mondiale sulla Tubercolosi, Forlanini comunicò i risultati di una casistica su 132 pazienti. Il pneumotorace artificiale terapeutico ha trovato da allora diffusione universale nel trattamento della tisi polmonare, rappresentando il mezzo più

efficace anche per le forme più avanzate. L’avvento in terapia di farmaci veramente efficaci contro il bacillo di Koch (come la streptomicina) ha attualmente ridotto i casi di tubercolosi polmonare per i quali è necessaria l’istituzione del pneumotorace. Forlanini fu ammiratore di Roberto Koch e fu con lui in corrispondenza; per primo in Italia impiegò la tubercolina.

Scienziati, matematici e ingegneri Dal XIX secolo sui registri degli alunni compaiono le iscrizioni alla Facoltà matematica, sfociate in quella che oggi sarebbe la laurea in ingegneria. Gaspare Mainardi (1800-1879), alunno entrato nel 1819, si formò alla scuola di Bordoni, si laureò il 7 agosto 1821, fu assistente dal 1822, indi supplente ed infine, dal 1840 al 1863, professore di Calcolo differenziale ed integrale nell’Università di Pavia. Mainardi pubblicò ricerche sui tipi particolari di equazioni differenziali e alle differenze, sulle serie, sulla teoria invariantiva delle forme algebriche, sulla geometria differenziale delle superfici. In questo campo spettano a lui due fondamentali relazioni di dipendenza tra i coefficienti delle due forme quadratiche che individuano una superficie e che vanno aggiunte ad una stabilita da Gauss; le relazioni, espresse da Mainardi nel 1856 furono messe in forma agevole nel 1861 da un altro allievo di Bordoni, Delfino Codazzi (formule di Gauss-Mainardi-Codazzi). Giovanni Codazza (1816-1877), alunno per Matematica nel 1833, si laureò il 5 aprile 1837 e fu illustre fisico e matematico. Lasciò una quarantina di pubblicazioni, 49


prevalentemente di fisica. Nel 1839 pubblicò uno studio sulla propagazione della luce nei mezzi omogenei, primo saggio di fisica matematica che si pubblicasse in Italia. Nel 1842 fu nominato a Pavia professore di Geometria descrittiva e in seguito (1857-58) divenne rettore all’Università di Pavia, poi nel 1862-63 fu sindaco della città. Nel 1863 passò al Politecnico di Milano per la Fisica tecnologica e nel 1867 a quello di Torino per la Fisica industriale, divenne direttore del R. Museo Industriale di Torino. Nello stesso periodo troviamo a capo della scuola torinese rivolta alla specifica preparazione degli ingegneri, la R. Scuola di Applicazione per gli ingegneri, un altro ex-alunno del Collegio, entrato nel 1852 per medicina, Alfonso Cossa (1833-1902) succeduto ad Ascanio Sobrero sulla cattedra torinese di chimica docimastica, dopo essere stato il fondatore della Scuola di Agricoltura di Portici e prima ancora dell’Istituto Tecnico di Udine. Cossa si era laureato in medicina il 9 gennaio 1858 con una tesi su Notizie relative alla storia della elettro-chimica, subito dedicatosi alla tossicologia, approfondì la chimica sotto la guida di Giovanni Antonio Kramer. Divenne chimico versato nei diversi aspetti della chimica analitica (acque, terreni, minerali...) rivolti alla caratterizzazione dei materiali, nonché alla fisiologia vegetale e all’agraria. Cossa contribuì per primo a far conoscere in Italia i risultati scientifici di Justus von Leibig, traducendo e pubblicando due sue fondamentali opere di chimica applicata all’agricoltura. Specialmente importanti furono le sue ricerche chimiche e microscopiche su rocce e minerali d’Italia. Cossa fu uno dei più

accreditati cultori della chimica mineralogica del tempo. Interessanti pure le sue ricerche sui complessi ammoniacali del platino. Cossa fu tra i quattro scienziati italiani che parteciparono al Congresso di Ginevra del 1892: primo tentativo internazionale per organizzare la nomenclatura chimica organica. Gli ingegneri borromaici contribuirono allo sviluppo della Lombardia e del Paese. Alcuni secondo la tradizionale inclinazione dell’ingegnere lombardo, come Giuseppe Cadolini (1805-1858), altri si dedicarono ad opere più moderne come le ferrovie. Enrico Manara, ingegnere laureato nel 1869, progettò nel 1877 il primo tramway a vapore in Italia: Milano – Gorgonzola – Vaprio. Un altro suo tramway a vapore, Saronno – Como, è diventato ferrovia (FNM). Anche Francesco Steffenini (1850 -?) entrò nel 1870 quale alunno di Matematica per Ingegneria e si laureò al Politecnico di Milano nel 1874. Si occupò di progetti e costruzioni ferroviarie tra cui le linee: Udine - Pontebba, Novara - Pino, Cuneo - Ventimiglia e la direttissima Roma - Napoli. Tra gli “ingegneri” nella seconda metà dell’Ottocento una figura di eccezionale rilievo fu Francesco Brioschi (1824-1897). Entrato in Collegio nel 1843 al secondo anno di matematica, alunno di Antonio Maria Bordoni si laureò il 20 dicembre 1845, e dopo cinque anni era già professore all’Università di Pavia ove insegnava in successione: matematica applicata, architettura idraulica, analisi superiore. Nel 1860-61 ne divenne magnifico rettore. Brioschi fu autore di 279 pubblicazioni. Si occupò di geometria algebrica, geometria differenziale, meccanica razionale, 50


idrodinamica, idraulica, teoria delle equazioni differenziali lineari, forme algebriche, funzioni ellittiche, iperellittiche e abeliane. Alcune di queste pubblicazioni hanno aperto nuovi orizzonti nell’analisi matematica. A Brioschi, in collaborazione con matematici stranieri, spetta la risoluzione dell’equazione di quinto grado mediante funzioni ellittiche, e a lui solo quella di sesto grado. Fu autore del primo libro sui determinanti, tradotto in varie lingue. Brioschi esercitò una funzione fondamentale nella divulgazione dei metodi avanzati della matematica, fu insegnante di eccezionali capacità, fu organizzatore didattico, fu editore e partecipò alla fondazione degli Annali di matematica pura ed applicata e del Politecnico. Sono da segnalare anche la sua edizione (in collaborazione con Enrico Betti) dei primi sei libri degli Elementi di Euclide, ad uso della scuole superiori, e l’edizione a stampa del Codice Atlantico di Leonardo; a lui si deve pure la prima traduzione italiana (1880), con commento, de An Elementary Treatise on Elliptic Functions di Arthur Cayley. Scienziato partecipe della vita del proprio Paese, con la formazione del Regno d’Italia Brioschi assunse incarichi pubblici e nel 1863 ebbe il compito di fondare l’Istituto Tecnico Superiore di Milano che poi prese il nome di Politecnico. Tenne in esso diversi insegnamenti e lo diresse fino alla morte avvenuta nel 1897. Ebbe importanti incarichi ministeriali ed alti riconoscimenti; fu invero segretario generale del Ministero della Pubblica Istruzione (a fianco di ministri come Francesco De Sanctis e Carlo Matteucci), senatore del Regno dal 1865, presidente dell’Accademia dei Lincei

dal 1884 sino alla morte. Era stato Presidente della “Società italiana delle Scienze (detta dei XL)” nel periodo 18681873; negli stessi anni membro, vice presidente e poi, dal 1868 al 1869 e nel biennio 1872-1873, anche Presidente dell'Istituto Lombardo. Giuristi nell’Ottocento Nel XIX secolo la lunga tradizione dei giuristi, maggioranza degli alunni nei secoli precedenti, è illuminata da Contardo Ferrini (1859-1902). Dopo la laurea acquisita con lode speciale il 23 giugno 1880, Ferrini ebbe una borsa di perfezionamento e si recò nel 1881 in Germania, a Berlino. Nel 1882 ritornò con una completa ed organica formazione scientifica e fu in grado di divenire il riferimento degli studiosi del diritto romano; subito ebbe all’Università di Pavia un incarico di Storia del diritto penale romano nell’anno accademico 1883/84. Due anni dopo vinse la cattedra e fu insigne docente di Diritto romano nelle università di Pavia, Messina, Modena e poi nuovamente a Pavia. Autore di oltre duecento pubblicazioni in meno di venti anni, tra cui la Storia del diritto penale romano

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che ebbe il premio reale dei Lincei, Ferrini fu capo scuola di una nuova generazione di romanisti in Italia. Ferrini ebbe particolare attenzione alla edizione delle fonti dell’esperienza romana; fu celebrato soprattutto per le edizioni critiche delle fonti del diritto romano-bizantino. Ferrini ha dedicato la sua vita alla ricerca del vero e dietro il nobile volto della scienza terrena ha cercato l’eterna verità di Dio; fu elevato alla gloria degli altari da papa Pio XII che lo proclamò beato il 17 aprile 1947. Un altro borromaico nel 1856-57 aveva preceduto Ferrini nell’insegnamento di Diritto romano (e Storia del medesimo): Alessandro Nova (1819-1887), entrato nel 1838 e laureato in giurisprudenza il 7 settembre 1843. Nova fu professore universitario dal 1854 sino alla morte con vari insegnamenti di filosofia e di diritto e concluse la carriera come ordinario di Filosofia del Diritto. Fu autore di lodati scritti e propugnatore dell’integrità dell’Ateneo pavese, di cui fu rettore nell’anno accademico 1879-80, dopo essere stato preside della Facoltà di Giurisprudenza dal 1876 al 1879. L’avvocato civilista e penalista Bortolo Federici (1858-?), entrato ventenne nel 1878 e laureatosi il 24 giugno 1880, nella storia borromaica conclude la stagione dei moti ottocenteschi partecipando al marzo 1898; arrestato assieme ai suoi compagni di fede politica, fu poi deputato repubblicano al Parlamento, Presidente del Consiglio dell’Ordine. Fu presidente del Consiglio degli Istituti Ospedalieri di Milano (e quindi della Ca’ Granda) dal novembre 1902 al febbraio 1905. Scipione Ronchetti (1846-1918) di

Porto Valtravaglia, avvocato penalista, studioso di diritto, fu più volte deputato (“zanardelliano”) al Parlamento, sottosegretario dei Ministeri della Pubblica Istruzione, dell’Interno, di Grazia Giustizia e Culto. Guardasigilli dal 1903 al 1905, nei governi Giolitti e Tittoni. Il suo nome è legato alla legge da lui presentata sulla condanna condizionale che segna la prima affermazione concreta del concetto di perdono come mezzo più efficace di prevenzione. Era entrato come alunno nel 1864, al secondo anno di Giurisprudenza, e si era laureato il 3 marzo 1868. A cavallo del XIX e XX secolo sono da ricordare due illustri magistrati: Luigi Maggi (1856-1949), laureato nel 1878, e Antonio Raimondi (1860-1950), laureato nel 1881. Il primo percorse tutti i gradi della magistratura divenendo Procuratore generale alla Corte di Cassazione a Roma e membro del Consiglio Superiore della Magistratura. Il secondo arrivò a Primo presidente di Corte di Cassazione e onorò la magistratura milanese per un intero trentennio. Raimondi fu senatore per diritto, lavorò nel Consiglio Superiore della Magistratura, nella Suprema Corte di disciplina. Come senatore intervenne in commissioni per la riforma del codice di procedura penale, del codice civile e del codice di commercio. Ma Raimondi non figurò mai tra i collaboratori del testo legislativo del 1942 perché si dimise dall’alto incarico. Altro atto coraggioso ma senza fortuna fu nel 1938 un suo intervento presso Mussolini contro la legge razzista. Raimondi, insieme a Maggi, si adoperò perché venisse creato non solo il Tribunale dei minorenni ma anche un istituto per la rieducazione di essi. 52


anni direttore di Gente, per quattro de La Domenica del Corriere ed ancora di ABC dei ragazzi (1964-1965) e Club 3; fu vicedirettore del Corriere della Sera nella seconda metà degli anni ’80, durante il triennio di Pietro Ostellino. Editorialista del Corriere della Sera e poi de Il Giornale fu Mario Talamona (19312006), laureato in giurisprudenza, professore ordinario di Politica economica nella facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Milano, in precedenza titolare della cattedra di Economia politica nella stessa facoltà di cui era stato anche preside. Fu presidente della Banca del Monte di Milano (1980-87), della Banca del Monte di Lombardia (1987-89), dell’IBI fino alla fusione per incorporazione CARIPLO (1989-91) e vicepresidente CARIPLO (1994-98). Dal 2001 divenne assessore al bilancio e alle privatizzazioni del Comune di Milano. Fu autore di numerose pubblicazioni scientifiche, vinse il premio Capalbio 2001 con Riflessioni sull’economia. Giurista fu Mario Rotondi (1900-1984), alunno dal 1920 al 1922. Rotondi fu direttore della Rivista di diritto privato, autore del Trattato di diritto dell'industria. Teoria dell'azienda (1929), nonché di saggi monografici e voci nell' Enciclopedia Italiana. Rotondi fu tra i primi sostenitori in Italia del metodo comparatistico inteso come strumento di conoscenza del fenomeno giuridico, studiato nei suoi rapporti con la realtà sociale e nei legami intercorrenti con gli ordinamenti dei diversi paesi, e finalizzato all'individuazione delle “costanti” della evoluzione progressiva del sistema legislativo. Suo fratello Giovanni

Giuristi e letterati nel Novecento Nel secolo XX continuò la tradizione di studioso – scrittore, affidando alla rotativa del Corriere della Sera il frutto del proprio sapere sotto lo pseudonimo di Alex, Alessandro Visconti (1884-1955), alunno entrato nel 1903 per Giurisprudenza. Laureatosi a Pavia e ivi conseguita la libera docenza, fu professore di Storia del Diritto italiano prima a Ferrara e poi nuovamente a Pavia. Uomo dai larghi interessi culturali sentì vivamente la suggestione della vita e delle vicende storiche della città e dello Stato lombardo e scrisse molto sulla sua nativa Milano. Pure laureato in giurisprudenza fu Eligio Possenti (1886-1971), entrato nel 1905. Dedicatosi totalmente al giornalismo, divenne direttore della Domenica del Corriere e critico letterario e drammatico del Corriere della Sera. Tra i suoi meriti critici basti ricordare che fu tra i primi a comprendere e a valutare l’originalità e la grandezza del teatro di Pirandello. Scrittore di saggi e commediografo esordì sulla scena nel 1912, scrisse una quindicina di commedie. Un altro esponente del giornalismo colto fu Antonio Terzi (1925-2001), bergamasco, giornalista e scrittore, bibliofilo e esperto d’arte. Laureato in filosofia nel 1949, nel 1953, ventottenne, esordì con il romanzo La sedia scomoda. In seguito scrisse altri quattro romanzi tra cui La Fuga delle api (1981) che nel 1982 fu tra i finalisti del Premio Campiello e tra i vincitori del Premio Grinzane Cavour. Come giornalista esordì sulle pagine de Il Mondo di Mario Pannunzio, fu per tredici 53


(1885-1918), anch’egli alunno, entrato nel 1903, rimase precoce promessa degli studi giuridici. Era già autore di ben undici pubblicazioni quando era appena venticinquenne; divenne professore straordinario nel 1912. Con Mario Rotondi si laureò summa cum laude nel 1959 l’alunno Giovanni Emanuele Colombo (1936-2010), professore all'Università Cattolica di Milano. Fu giurista raffinato e apprezzato docente. Colombo fu maestro nella disciplina del Diritto commerciale, una branca della giurisprudenza divenuta in questi ultimi anni fondamentale in un mondo sempre più dominato dai mercati. Grazie ad una borsa del Collegio fu perfezionando presso il suo Maestro; divenne libero docente di diritto commerciale nel 1967, nel 1973 fu Gastprofessor nella Juristische Abteilung dell' Università di Bochum, poi fu vincitore del concorso a cattedra nel 1975 per il gruppo di discipline "Diritto commerciale, industriale, bancario". Dal 1985 al 1995 fu membro della Commissione ministeriale per l' attuazione delle direttive europee in materia societaria. Dal 1985 ha diretto, in collaborazione col professor Giuseppe B. Portale, il Trattato delle società per azioni edito dalla UTET: alla sua morte erano usciti 14 tomi del Trattato. Diede un fattivo contributo alla soluzione dei problemi del Collegio (fu consigliere del CdA dal 1992 al 2000) e dell’Associazione Alunni (fu presidente dal 1986 al 1989). Laureato in filosofia nel 1941, Pietro Prini (1915-2008), docente emerito di Storia della Filosofia all’Università “La Sapienza” di Roma, è stato uno dei

maggiori pensatori italiani di ispirazione cattolica del Novecento, uno dei massimi rappresentanti dell’esistenzialismo cattolico europeo e il caposcuola del “pensare nella fede” nell’università italiana. Autore di una vasta bibliografia, tra gli altri: Storia dell’esistenzialismo da Kierkegaard ad oggi, La filosofia cattolica italiana del Novecento, Il corpo che siamo. Introduzione all’antropologia etica, Il cristiano e il potere, Verso una nuova ontologia, Cristianesimo e ideologia, La scelta di essere. Nella sua ultima produzione Lo scisma sommerso (1998) ha analizzato la spaccatura sotterranea che si è creata nella Chiesa cattolica tra il magistero ufficiale e la fede e le scelte di vita dei credenti. Ha diretto varie riviste di filosofia. Fermo (Mino) Martinazzoli (19312011) sicuramente sarà ricordato come “l’ultimo segretario” della Democrazia Cristiana che, eletto per acclamazione nel 1992, aveva guidato per poco più di un anno fino al suo scioglimento nel nuovo Partito Popolare Italiano. Martinazzoli entrò in Collegio nel 1949 e in seguito si laureò in giurisprudenza. Avvocato, incarnò l’anima della sinistra politica nella Democrazia Cristiana. Fu senatore, ministro della Giustizia (1983-86), ministro della Difesa (1989-90), ministro alle Riforme istituzionali ed agli Affari regionali (1991-92). Lasciata Roma tornò alla natale Brescia da sindaco; nel 2000 si candidò per la regione Lombardia ma si fermò al 32%. Nel 2004 fu nominato presidente di Alleanza Popolare – Udeur. Ricordiamo il suo «impegno, spirito di servizio, disinteresse personale, passione nutrita di cultura e anche di ironia e autoironia ed infine attitudine al dialogo» 54


(Giorgio Napolitano, Corriere della Sera, 4 ottobre 2011).

l’intera sua carriera universitaria come professore di Entomologia, prima presso l’Istituto di Anatomia Comparata poi, dal 1964, nell’Istituto di Entomologia da lui voluto, realizzato e diretto sino al pensionamento. A partire dalla fine degli anni quaranta studiò l’attività di secrezioni chimiche degli insetti e di veleni animali. Sempre in quegli anni quaranta iniziarono i suoi studi sulle formiche del gruppo Formica rufa. La sperimentazione del loro utilizzo per la lotta contro gli insetti dannosi ai boschi si diffuse in diversi paesi; fu riconosciuta a livello internazionale la loro importanza come agenti di controllo biologico per la salvaguardia delle foreste. Nella sua lunga vita di ricercatore e studioso, Mario Pavan ha pubblicato oltre 630 articoli e 10 libri su problemi biologicoambientali. Ispirato costantemente da una rara e lungimirante sensibilità per la conservazione e la salvaguardia della natura, a lui si deve l'istituzione della prima riserva naturale italiana a Sasso Fratino, nelle Foreste Demaniali Casentinesi. La stessa rigorosa passione ha caratterizzato la sua presenza nel sesto governo Fanfani (1987), quale Ministro dell'Ambiente (primo nella storia Italiana) e nella pluridecennale attività in seno al Consiglio d’Europa, sia come capo della Delegazione Italiana sia come presidente, per tre mandati consecutivi, del Comitato Europeo per la Salvaguardia della Natura e delle sue Risorse Naturali. Compagno di collegio di Mario Pavan fu Cesare Casella (1919-2014), laureato in Medicina nel 1944. Già durante gli studi universitari condusse interessanti ricerche di spettrografia di fluorescenza nel corso di un internato nell’Istituto di Anatomia e

Medici e scienziati del XX secolo Con il nobile Luigi Volta (1876-1952) inizia la serie degli scienziati del XX secolo; pronipote del grande Alessandro entrò quale alunno 1894 e si laureò nel 1898 in matematica, presso la Facoltà di Scienze MM, FF e NN. Luigi Volta l’anno seguente iniziò la sua carriera accademica come assistente di Vito Volterra alla cattedra di meccanica razionale a Torino. L’attività scientifica di Volta riguardò l’astronomia classica, l’astronomia geodetica, la geofisica. Volta fu apprezzato astronomo negli osservatori di Torino, Carloforte (Cagliari), Brera, Pino, Merate; diresse il Centro di Fisica Stellare e tenne cattedra di astronomia a Torino. Tra gli scienziati dobbiamo ricordare Luigi Giulotto (1911-1986) che, entrato nel 1929 per fisica, si laureò nel 1933. Nel 1942 conseguì la libera docenza in Fisica sperimentale, nel 1949 fu chiamato alla cattedra di Fisica superiore e nel 1960 si trasferì su quella di Fisica generale; fu direttore dell’Istituto di Fisica “A. Volta” dell’Università di Pavia dal 1960 al 1980. La sua attività scientifica, tutta svolta a Pavia, ha contribuito in misura rilevante allo sviluppo della fisica dello stato solido in Italia nel secondo dopoguerra, in particolare per la spettroscopia ottica e per la risonanza magnetica nucleare. Alunno nel 1938 per Scienze naturali, Mario Pavan (1918–2003) entrò in Collegio con già all’attivo alcune pubblicazioni di biospeleologia; si laureò in Scienze Naturali nel 1943 ed a Pavia svolse 55


Fisiologia comparata diretto da Maffo Vialli. Nell’immediato dopoguerra frequentò l’Istituto di Neurofisiologia di Copenaghen e si conquistò la stima del direttore Fritz Buchthal con le sue osservazioni sulle funzioni del sarcolemma. Tornato a Pavia fu aiuto del suo professore Luigi De Caro, nel 1955 ebbe la docenza in Fisiologia umana, nel 1958 vinse il concorso per la cattedra di Fisiologia generale; fu il direttore dell’omonimo istituto costituito in seno alla facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali; nel 1965 resse ad interim anche l’istituto di Fisiologia umana della facoltà di Medicina, a seguito della morte di De Caro. Studiò l’elettrofisiologia del nervo. Ebbe eccellenti doti tecniche e qualità di sperimentatore nel campo dell’elettrofisiologia e della circolazione del sangue negli organismi e nei tessuti. Fu docente efficace e scrupoloso; sui suoi chiarissimi trattati si sono preparate generazioni di scienziati e medici. Fu segretario (1962-1964) poi presidente dell’Associazione Alunni del Collegio (1975-1980); nel 1982 alla morte di Giuseppe Salvatore Donati subentrò ad interim nel Consiglio di amministrazione del Collegio e nel 1983 divenne presidente mantenendo la carica sino al 1996. Nel 1984 ricevette in Collegio la visita del papa Giovanni Paolo II pellegrino sulle orme di Carlo Borromeo. Saranno sicuramente ricordati nella storia della medicina italiana alunni come Emilio Alfieri (1874-1949), Carlo Moreschi (1876-1921), Silvio Palazzi (1892-1979), Giuseppe Salvatore Donati (1902-1982), Norberto Montalbetti (1936-1991). Emilio Alfieri, si laureò in medicina nel 1898 e subito divenne assistente

volontario all’Università di Pavia, dove aveva seguito, oltre agli insegnamenti di Luigi Mangiagalli, anche quelli di Camillo Golgi nel campo istologico, trasferendosi poi a Parma come aiuto di Innocente Clivio. Rientrò a Pavia nel 1904. Nel 1909 diresse la Scuola Ostetrica di Perugia, dove si dedicò alla chirurgia e alla redazione di numerosi articoli di fisiologia ostetrica e patologia ginecologica, passò poi a Cagliari ed infine fu professore di Clinica ostetrico ginecologica a Pavia dal 1919 al 1927, anno in cui passò alla omonima clinica di Milano ove rimase per vent’anni a dirigere “la Mangiagalli” con affermazioni di vasta risonanza in Italia e fuori. Fu persona di alta sensibilità culturale e bibliofilo eminente. Mentre era professore di clinica medica a Messina morì per il vaiolo contratto in servizio Carlo Moreschi. Entrato in Collegio nel 1896, già da studente lavorò con Camillo Golgi, si laureò nel 1900 e nel 1906 conseguì la libera docenza, dopo esser stato assistente di Luigi Devoto, e aver lavorato con Richard Friedrich Johannes Pfeiffer e Paul Ehrlich; fu poi aiuto di Vittorio Ascoli a Pavia in patologia medica, divenne professore di patologia medica e clinica medica a Sassari e dal 1920 a Messina. All’epoca fu apprezzato clinico e scienziato. Il nobile Silvio Palazzi di Correggio, entrò come alunno per medicina nel 1912, fu abilitato alla libera docenza in odontoiatria e protesi dentaria nel 1923, fu professore incaricato di odontoiatria poi ordinario e direttore dell’omonima clinica universitaria pavese sino al pensionamento nel maggio 1963. Palazzi fu medico al seguito delle truppe nella guerra di Etiopia 56


(1935-1936) e trasse esperienza dalle mutilazioni del viso provocate dalle pallottole dum dum per dare avvio alla chirurgia maxillo-facciale. Fu autore di circa 500 lavori scientifici, suo è il primo grande Trattato italiano di Odontostomatologia, che ebbe varie edizioni. Giuseppe Salvatore Donati fu clinico chirurgo, direttore della Patologia chirurgica e poi della Clinica chirurgica pavese. Giuseppe Salvatore Donati entrò come alunno in Collegio nel 1923, dal 1959 fino alla morte avvenuta nel 1982 fu Presidente del consiglio d’amministrazione del Collegio Borromeo e resse la presidenza della Associazione Alunni dal 1954 al 1966. Donati fu in Italia chirurgo di primaria grandezza nella metà del Novecento e fu tra i primi ad effettuare trapianti renali su un piano che andasse oltre l’occasionalità. Norberto Montalbetti, entrato come alunno per medicina nel 1955, fu biochimico, primario del Laboratorio di Biochimica Clinica ed Ematologia dell’Ospedale Niguarda – Ca’ Granda di Milano; Montalbetti fu presidente della Divisione di Chimica Clinica della International Union of Pure and Applied Chemistry, direttore ed editore di numerosi periodici scientifici, autore di più di centocinquanta lavori e comunicazioni scientifiche.

campo, a volte presenti contemporaneamente, spesso dialetticamente contrastanti all’interno della comunità stessa. Non si può ignorare la figura di Annibale Carena (1906-1935), iscritto al Partito Nazionale Fascista (P.N.F.) dal 1° aprile 1923, entrato in Collegio nel 1924. Nel 1928 si laureò in legge e l’anno successivo in scienze politiche, tra i primi alunni di quella Facoltà. Fu il primo vincitore della borsa di studio del Collegio Borromeo a Vienna, dove rimase per due anni perfezionandosi nel campo del diritto e della scienza politica. Ritornato da Vienna sul principio del 1931 Carena venne nominato assistente di ruolo presso la Facoltà di Scienze politiche, nel 1933 conseguì brillantemente la libera docenza in diritto pubblico comparato ed ottenne poi l’incarico di questa disciplina nella stessa Facoltà. Già membro del direttorio del Gruppo Universitario Fascista (G.U.F.) pavese, divenne Segretario del G.U.F. pavese nel 1932 e nel 1934, a ventisette anni, fu scelto quale Segretario Federale del P.N.F. di Pavia. Durante una manifestazione dopolavoristica, nel marzo del 1935 l’onda impetuosa del Ticino gli troncò la vita e le speranze. Di vivace ingegno, Carena fu autore di sette libri, quarantun articoli nonché di innumerevoli collaborazioni a giornali e periodici politici. Nello stesso periodo storico ricordiamo esempi di fedeltà a grandi ideali. Galileo Vercesi (1891-1944), entrò in Collegio nel 1914 ma allo scoppio delle ostilità lascio il Borromeo e l’Università e si arruolò volontario; al Passo Buole in Val Lagarina nel 1916 ebbe la sua prima medaglia al valore, e poi una seconda per nuovi atti di

Il travaglio del periodo della seconda guerra mondiale In tutti i periodi della storia i collegiali vissero e parteciparono intensamente agli ideali del tempo. Durante il fascismo il Collegio ricorda tra i suoi alunni personalità distinte nell’uno e nell’altro 57


eroismo nel giugno del 1918 sul Piave. Terminata la guerra, ritornò agli studi giuridici, si laureò e divenne avvocato; spinto dai suoi ideali di cristiana partecipazione alla vita politica, aderì al Partito Popolare Italiano e divenne il segretario provinciale di Milano; fu uno dei fondatori della Democrazia Cristiana, che rappresentò in seno al C.N.L. Alta Italia. Arrestato, venne fucilato a Fossoli il 12 luglio 1944. Antonio Pesenti (1910-1975), alunno entrato nel 1927, si laureò nel 1931 e fu subito nominato, per le sue doti non comuni, “assistente provvisorio” negli anni 1931-34. Ventenne, collegato a “Giustizia e Libertà”, faceva già parte del movimento antifascista clandestino pavese. Durante gli spostamenti tra Londra, Vienna, Berna e Parigi per frequentarvi corsi di perfezionamento in Economia, Pesenti entrò in contatto con esuli socialisti e aderì al Partito Socialista Italiano P.S.I. Cominciò così una costante attività clandestina, che non si interruppe neppure quando, a 24 anni, ottenne la libera docenza in Scienza delle finanze e Diritto finanziario a Sassari. Nel 1935, dopo aver parlato a Bruxelles (sotto falso nome), al “Congresso degli italiani” contro l’aggressione fascista all’Etiopia, Pesenti fu arrestato al suo rientro in Italia. Condannato dal Tribunale speciale a 24 anni di reclusione, ne passò otto di dura prigionia. Scarcerato nel settembre 1943 passò le linee e si recò a Bari, nell’Italia liberata, aderì al Partito Comunista, assunse la direzione del giornale Civiltà Proletaria. Seguiranno: la partecipazione, nel gennaio del 1944, al Congresso nazionale del C.L.N.; nell’aprile il

trasferimento a Salerno e l’ingresso, come sottosegretario alle Finanze, nel Governo Badoglio; dopo la liberazione di Roma, la partecipazione al Governo di unità nazionale del C.L.N. presieduto da Ivanoe Bonomi; nel dicembre del 1944 l’incarico di ministro delle Finanze nel secondo Governo Bonomi. E ancora: nel 1946 la partecipazione, a Parigi con De Gasperi, agli incontri per il Trattato di pace; dal 1946 al 1947 la vice presidenza dell’IRI. Antonio Pesenti è stato anche membro della Consulta nazionale e poi dell’Assemblea Costituente. Rieletto nelle successive Legislature, nel 1953 optò per il Senato e nel 1968 (alla fine della IV Legislatura della Repubblica) rinunciò a presentarsi alle elezioni, per dedicarsi interamente all’insegnamento e agli studi; fu professore universitario a Roma, Parma e Pisa, autore di diverse pubblicazioni di economia.

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A BUILDING TO HOUSE WISDOM significant cultural standing and, as such, comes under the protection of the Ministry for Universities and for Scientific and Technological Research. Today, the College is still in a position to offer free places to more than a third of its students, when their family incomes are limited. Overall, it now accommodates some hundred students. Entrance examinations, both oral and written, are required; and only those whose average mark on leaving school is 80/100 may take part in them. In the case of candidates who have been enrolled in the University for a year or more, the average mark must not fall below 27/30. If a student is to keep his place in college, this average mark must be maintained throughout his studies. All the examinations laid down for each year of a given Course must also be completed within the relevant year. This is not required of other students in the University, but College Borromeo expects excellence. To this end, it finances Scholarships abroad, organises intramural foreign language courses and supplementary seminars. The College further provides a variety of cultural activites, lectures and conferences, which stimulate an all-round education. A Scientific Committee whose members are all Professors of the University of Pavia coordinates and organizes these activites. A Graduate section was set up in 1976, to support those who are engaged in research. Its beneficiaries, like the members of the Scientific Committee, play their part in assisting and directing the study and preparation of the undergraduates. In 2009 the Women’s Section was opened, so that equal study rights could be granted to 50 female students. The College Library, of growing importance, is flanked by a newspaper library, while a number of personal computors, housed in a room of their own, stimulate the students, encouraging them to widen their horizons, to investigate more fully different aspects of culture in general, while consolidating and integrating problems more specifically relevant to their work in the

The Collegio owes its existence to St. Charles Borromeo, who was actively assisted in the undertaking by his uncle, Pope Pius IV. Both men were graduates of the University of Pavia, and it was their intention to enable gifted young people of limited economic resources to enroll in the University and to carry on their studies there while living in an environment which would ensure that their formation was ethically and religiously orientated. The Papal Bull which marks the establishment of College Borromeo is dated 15th October 1561. No more than forty undergraduates were envisaged at the outset, eight of whom might come from any region of Italy, though the others had to be subjects of the Duchy of Milan. Students of all Faculties were to be admitted. As the Foundation ensured that places in college would be offered without charge, the recipients were clearly not expected to be wealthy, but the Constitutions leave room for manoeuvre with another end in view: the instruction of the nobility, in particular the nobility of Milan. The future ruling class of Lombardy was to receive as excellent and as thorough an education as possible. These didactic and moral preoccupations went hand in hand with a more general encouragement of learning. The College indeed followed the fashion of the times and set up an Academy of its own, called the "Accademia degli Accurati". Early in the twentieth century, Borromeo took on the status of a non profit making corporation. While maintaining the symbolic figure of the Patron (a member of the Borromeo Family who is traditionally an administrator for life). it now appointed an acting Administrative Board, made up of the Rector of the College and of six other members, chosen respectively by the Archbishop of Milan, the Bishop of Pavia, by the Senate of the University of Pavia (as a rule in the person of its Chancellor), by the Mayor and by the Old Boys' Association. Also present at Council meetings is a representative elected by the college men themsleves. Collegio Borromeo is legally recognised as a foundation of 59


Early in the seventeenth century, Francesco Maria Richini (1584-1658) added two low outbuildings in the form of porticoes which embrace the garden; at the further end, a mixtilinear wall culminates in a monumental Fountain (1629). A superb wrought iron gate designed by Richini gives access to the garden from the college. Three great chimney-pieces were erected in the same period. The imposing example in the Sala Borromeo bears the Family Coat of Arms and is based on a drawing by Richini. The design for the twin pair in the Great Chamber on the ground floor is traditionally ascribed to Pellegrini. The room, since it was heated, was known as the "scaldatoio". It was used for recreation and study. Many paintings still in College go back to the 17th century, for example, the five large-scale portraits by the Milanese Agostino Santagostino (1672), part of a group of eight Cardinal Patrons which hang in the Salone. On the altar of the Chapel, the large polychrome marble frame dates from the 18th century (1738), as does the altar-piece (1770), the work of Nicola La Piccola. It shows the Virgin Mary adored by St. Justina, St. Ambrose and St. Charles. A series of fine late eighteenth-century landscapes depict the landed estates of the Borromeo family and now hang in the refectory. Giuseppe Pollack (1779-1851 c) - who had been an assistant of his more famous father, Leopoldo - pulled down, between 1818 and 1820, the Romanesque church of San Giovanni in Borgo, in order to complete the side of the building wich looks towards the river. In doing so, he made use of Pellegrini's original plans. On the site of the surrounding houses, also demolished, he laid out the parklike garden which slopes down to the Ticino. Two large portraits by the Milanese Neoclassical artist, Protasio Girolamo Stambucchi, date from this period, and are housed in the Sala Bianca on the first floor. Beside them hang a series of small paintings by the local painter, Ezechiele Acerbi (18501920); they depict Borromeo Counts and Princes of the ninteenth century. The dates during which they acted as Patrons of the College are indicated.

university. Concerts have been held in Borromeo since 1592, and the public is still invited to hear musicians of the first order perform in the great Salone. There has always been a Music Room for the students themselves. The College has a strong sporting tradition which goes back to the rowing achievements of the Thirties. Borromeo's basketball team, for example, more than holds its own. A keen sense of competition in the football field is handed on from one generation of Borromeo men to another, as are the trophies. The College has its own playing fields, for soccer, tennis and basketball; it has its own gymnasium. The College building was planned by Pellegrino Pellegrini (1527-1596), the son of Tibaldo. The first stone was laid on 19 June 1564 and work went forward for some twenty years under the supervision of the architect, who kept the Founder informed throughout. The names of two other architects, Lelio Buzzi and Martino Bassi, do not appear in the contracts before 1585. Martino Bassi (1542-1592) laid out the Terrace and built the monumental stairway whose two ramps lead down to the garden. The Chapel, built in 1579, was originally dedicated to St Justina, patroness of the Borromeo family. Its ceiling and walls were frescoed in 1579-80 by a local painter, although today only the vault has preserved its original decoration. The walls were repainted in 1909. Placed symmetrically to the Chapel, the large rectangular space of the Refectory still retains its original furniture, benches lining the walls, with long tables before them. In the years 1603 and 1604, two highly reputed painters were brought from the papal court to paint the frescoes of the Salone, the great hall on the upper floor, a place for solemn ceremonies, where the students' Academy held its debates. Cesare Nebbia (1536-1614) and his assistants covered the ceiling with scenes from the life of St. Charles and, in a great fresco on the north wall, depicted the Plague. On the south wall, Federico Zuccari (1540(41?)-1609) represented the moment in which the cardinal's hat was conferred on St. Charles Borromeo. 60


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Alunni nel giardino ottocentesco

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San Carlo che legge, scuola 64 lombarda (fine XVI secolo)


CITAZIONI CELEBRI a cura di dott.ssa Caterina Zaira Laskaris, Almo Collegio Borromeo

GIORGIO VASARI, 1568 Pellegrino bolognese, pittore di somma aspettazione e di bellissimo ingegno […] Finalmente ha dato principio in Pavia per lo cardinale Borromeo a un palazzo per la Sapienza. Descrizione dell'opere di Francesco Primaticcio bolognese, abate di S. Martino, pittore et architetto in Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori italiani, da Cimabue insino a' tempi nostri, ed. 1568

ALESSANDRO MANZONI, 1840 Nel 1580, [Federico Borromeo] manifestò la risoluzione di dedicarsi al ministero ecclesiastico, e ne prese l'abito dalle mani di quel suo cugino Carlo, che una fama, già fin d'allora antica e universale, predicava santo. Entrò poco dopo nel collegio fondato da questo in Pavia, e che porta ancora il nome del loro casato. I promessi sposi capitolo XXII CESARE ANGELINI, 1957 Fondato per poche decine di studenti […] questo Borromeo rivela che gran cosa era il giovane per la gente del Cinquecento: il rispetto alla sua dignità, la fiducia nell'alte promesse che portava con sé e dovevano trovare anche materialmente il luogo proprio dove maturare e attuarsi. E ancora oggi il Fondatore impone il suo stile a chi entra, invitandolo a un senso patrizio della vita e alla coscienza delle lodevoli opere. È, senza dubbio, uno dei primi Collegi d'Italia […] Si può ben dire biblicamente che in Pavia il Collegio Borromeo è la casa che rallegra la città: con l'impeto delle sue linee architettoniche, la potenza della sua mole che vede passare i secoli e li vince, la maestà del suo salone festeggiato da affreschi sempre in palpito, il respiro sul fiume e sugli orti “coerenti”; e anche per il fatto d'essere entrato a vivere tanto naturalmente nei Promessi Sposi, con la solenne figura del Cardinal Federigo, il primo degli alunni, “flos Alumnorum”. Questo Borromeo, [1957]

MICHEL DE MONTAIGNE, 1581 Pavia, 30 miglia piccole. Subito mi messi a veder le cose principali della Città […] Viddi oltra, quel principio d'edificio del Cardinal Borromeo per il servizio delli Scolari. Giornale del viaggio in Italia, 1580-1581 FEDERICO ZUCCARI, 1604 In Pavia, nel Collegio Borromeo, godei habitationi honoratissime di stanze et appartamenti nobili, de' quali è pieno detto Collegio, e facciata e prospetto ornatissimo, e dentro e fuori, et è forsi de' singolari d'Italia. Il passaggio per Italia del Sig. Cavaliere Federico Zuccaro, 1608 STENDHAL, 1816 15 décembre 1816 [...] J'étais venu à Pavie pour voir les jeunes Lombards qui étudient en cette université, la plus savante d'Italie […] J'ai été fort content de l'architecture du collège Borromée; elle est de Pellegrini, l'auteur de l'église de Rhô, sur la route de Milan au Simplon. Rome, Naples et Florence, 1826 65


INDICE

pagina Presentazione - don Paolo Pelosi

3

Quattro secoli di storia - Xenio Toscani

5

Il Collegio Borromeo, un palazzo principesco per la Sapienza - Luisa Erba

17

Notizie non artistiche sugli affreschi - Giorgio Giacomo Mellerio

25

Schede degli affreschi - Giorgio Giacomo Mellerio

29

Restauri e ampliamenti - Caterina Zaira Laskaris

35

Brevi note sui Rettori - Caterina Zaira Laskaris

37

Storie di Alunni divenuti famosi - Giorgio Giacomo Mellerio

39

A building to house wisdom

59

Bibliografia sintetica - Caterina Zaira Laskaris

61

Citazioni celebri - Caterina Zaira Laskaris

65

IH

66


Al Collegio si accede per concorso, qualificandosi per titoli ed esami; si conferma annualmente il posto ottenendo in tutte le discipline una media di almeno 27/30 e sostenendo in corso tutti gli esami previsti. Il Borromeo propone molte attivitĂ culturali, offrendo a studenti e frequentatori molteplici occasioni di formazione interdisciplinare: conferenze, seminari, concerti e convegni. Il "Palazzo per la Sapienza" continua ad essere realtĂ vivace ed operosa che si apre verso il futuro, in un contesto di sempre maggiore internazionalizzazione.

Particolare del cancello in ferro battuto del giardino secentesco (foto, Antonio La Valle)

in ultima pagina: la facciata verso il giardino secentesco

67


www.collegioborromeo.it 68


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