ultimo teplare

Page 1



Micky di Fagnano

I CROCIATI CONTRO LA “CASTA”

prima edizione

1


O

ggi, 20 AGOSTO 2998, commemorando il millesimo anniversario della nascita del mio trisavoro Micky di Fiagnano, io, Micky IV di Fiagnano, ho l’onore si presentare questo volume, da lui scritto e da me rinvenuto nella biblioteca del castello di Fiagnano. In esso sono narrate le vicende che lo videro protagonista: dalle ultime tre crociate, la nona con cui guidò i popoli islamici alla conquista della libertà, la decima e l’undicesima con cui debellò il nefasto potere della “Casta”, fino alla fondazione del SACRO UNIVERSALE IMPERO OCCIDENTALE. Sulla sua tomba è incisa questa iscrizione col suo motto: STENNUS – JUSTUS – PROBUS (Valoroso, Giusto, Virtuoso) A.D. MMCCXCVIII MICKY FIAGANI FEUDI DOMINUS SACRI UNIVERSALIS IMPERII OCCIDENTALIS FUNDATOR VIXIT ANN. CCC REQUIESCAT IN PACE UESQUE AD RESURRECTIONEM SUAM

CROCIATE

PROTAGONISTI

PRIMA CROCIATA (1096 – 1099)

-

GOFFREDO DI BUGLIONE

SECONDA CROCIATA (1147 – 1149)

-

CORRADO III DI SVEVIA

TERZA CROCIATA (1189 – 1192)

-

RICCARDO CUOR DI LEONE

QUARTA CROCIATA (1202 – 1204)

-

BONIFACIO DI MONFERRATO

QUINTA CROCIATA (1217 – 1221)

-

GIOVANNI DI BRIENNE

SESTA CROCIATA (1228 – 1229)

-

FEDERICO II DI SVEVIA

SETTIMA CROCIATA (1248 – 1254)

-

LUIGI IX IL SANTO

OTTAVA CROCIATA ( 1269 – 1270)

-

LUIGI IX IL SANTO

NONA CROCIATA (2011)

-

MICKY DI FIAGNANO

DECIMA CROCIATA (2011)

-

MICKY DI FIAGNANO

UNDICESIMA CROCIATA (2012)

-

MICKY DI FIAGNANO

2


Premessa

S

ono sempre stato affascinato dai cavalieri Crociati e dalle loro imprese, fin da quando mio bisnonno Camillo mi parlava di loro mostrandomeli sui libri e nei filmati televisivi. E quando ne appariva qualcuno sullo schermo subito gridavo: “Camilloo! C’è un crociato! Ci sono i crociati! Così belli… tutti candidi, con le croci fiammanti e quegli elmi chiusi…” “Chiusi per ben proteggersi, ma forse anche per nascondere la paura di trovarsi pochi in un deserto assolato, dove da ogni duna poteva scatenarsi un’orda urlante di saraceni” mi diceva lui, sui crociati, e oggi il momento è propizio per i fatti che tutti conosciamo e che ho “profeticamente” anticipato con la stesura del libro stesso. Non sarei mai riuscito in questa mia impresa senza l’aiuto di mio fratello Emanuele, che con le sue illustrazioni ha saputo dare più visibilità ai personaggi, quasi tutti realmente vissuti. Ho voluto far conoscere figure e luoghi del tutto ignorati o poco conosciuti, come Onorio II, il Papa che nel 1128 riconobbe i Templari – che ubbidivano solo al Papa – e San Galgano, il nobile cavaliere senese che al ritorno dalla Crociata conficcò la spada in una roccia. Spada che è ancora lì, dove lui la lasciò, sil monte Siepi. I popoli anglosassoni hanno saputo celebrare personaggi e fatti leggendari spacciandoli quasi per veri (Robin Hood, Re Artù, Excalibur, ecc.), e noi, che abbiamo personaggi e fatti veri, li ignoriamo o li sottovalutiamo. Responsabili di ciò sono spesso gli amministratori pubblici, che preferiscono blandire il “popolo bue” ingozzandolo di feste paesane anacronistiche – che lo rendono sempre più “bue” – piuttosto che stimolarne la coscienza e l’orgoglio

3


di appartenere ad una terra che traspira da ogni sua zolla arte, cultura, storia. Ho chiesto di poter collocare a mie spese all’ingresso del castello di Fiagnano una statua di cavaliere templare con la scritta “Qui nacque Onorio II, il Papa che nel 1129 approvò l’Ordine dei templari – i cavalieri Crociati che per 200 anni difesero l’Occidente cristiano dall’invasione islamica turca”. Mi è stato risposto che i crociati massacravano la gente e che il Comune era impegnato nella sagra dell’albicocca e del raviolo. Controrisposta mia: “Buona indigestione: pensate pure a rimpinzare le panze, mentre i cuori e i cervelli vanno in anoressia. Cominciamo a sostituire gli allevamenti suini con quelli di cammelli e produciamo in massa burqa e caftani, che tra 10 anni saranno i beni più richiesti!” MICKY DI FIAGNANO

4


G

razie, valorosi Cavalieri Crociati, grazie! In 200 anni, dal 1096 al 1291, 70.000 di voi hanno dato la vita per preservare l’Occidente Cristiano dall’invasione islamica turca. Senza il vostro sacrificio oggi, probabilmente, il mezzo di locomozione più diffuso sarebbe il cammello, l’abito maschile in uso il caftano e quello femminile il burqa; la legge, quella del Corano. Senza i crociati non ci sarebbe stato il Poema più alto della Cristianità: la “Divina Commedia”, per cui il “sinistro” Benigni non avrebbe potuto riempirsi la bocca di quei versi immortali e le tasche di 6 milioni di euro immorali. Senza i Crociati gli ipocriti buonisti non avrebbero potuto disprezzare il loro operato che il culo gli ha salvato, preferendo forse che gli fosse violato. Senza i Crociati non ci sarebbe stato il Rinascimento con Leonardo, Raffaello, Michelangelo e poi Caravaggio; Colombo non avrebbe scoperto il Nuovo Mondo. Non ci sarebbero stati Galileo, Newton, Napoleone, Mozart, Beethoven e Verdi. Senza i Crociati il tempo si sarebbe fermato all’anno 1095 e l’evoluzione umana si sarebbe arrestata a quella data. Ma per grazia di Dio i Crociati ci son stati e la civiltà è avanzata sotto il simbolo della Croce, dove il più grande uomo d’ogni tempo – Gesù Cristo – si immolò per non rinnegare i più alti valori del suo Verbo: AMORE – GIUSTIZIA – LIBERTA’. Ed è nostro compito difendere questi valori contro tutto e tutti: AMORE – GIUSTIZIA – LIBERTA’. Grazie, valorosi Cavalieri Crociati, grazie! EMANUEL MANDRIOLS

5


La dannata casta che ci sovrasta e ci devasta ha succhiato il nostro sangue. Adesso basta! Ora è il suo sangue che verrà versato e per tagliare i privilegi d’ogni privilegiato ci vuole la spada del crociato. Fra i più privilegiati nei pubblici apparati ce ne son due così rinomati nel campo dell’economia da far invidia a nostro nonno e a nostra zia. Uno è quel Prodi che a chi gli chiedeva quale fosse l’importo dell’I.C.I. sulla sua prima casa rispondeva: “Bisogna chiederlo al mio commercialista.” L’altro è quel Monti che a chi gli ha chiesto a quanto ammonti l’I.M.U. sulla sua prima casa ha risposto: “Bisogna chiederlo a mia moglie.” E’ come se il docente di matematica a cui si chiedesse quanto fa due più due rispondesse: “Bisogna chiederlo a un mio studente.” Questi sono gli “esperti” che ci hanno governato qualche anno facendo sol del danno. Ora, si spera, che la presidenza della repubblica sia data alla casalinga di Voghera!

6


L’ULTIMO TEMPLARE

I CROCIATI CONTRO LA “CASTA”

Questa è la storia di un ragazzino che, indossata la veste da Crociato per puro divertimento durante il carnevale, ha fatto di quella veste il simbolo del suo comportamento, elevandolo al più alto valore esistenziale, in grado di salvare l’umanità da ogni più avverso male.

F

ebbraio 2010, con la mia classe prima media di Castel S. Pietro Terme festeggio il carnevale con un’escursione in collina, a 10 chilometri dalla scuola, di prima mattina. Mentre i miei compagni nei loro colorati costumi si rincorrono divertendosi al suono di fischietti, trombette e tamburi, io, avverso ad ogni forma di fracasso, mi allontano a passo a passo attratto dalla natura selvaggia del luogo, fatto di poveri pascoli macchiati da radi cespugli e dominato da tetri calanchi con grigie guglie che tagliano l’aria come coltelli. Mi trovo sul crinale che fa da displuvio tra i torrenti Sillaro e Sellustra, storico confine fra l’Emilia e la Romagna. A guardia delle due strette valli sorge, a picco su un immane calanco, il castello di Fiagnano, a lungo conteso nel medioevo fra i guelfi bolognesi e i ghibellini imolesi. Come sospinto da una forza occulta mi avvicino al castello, del quale restano pochi tratti di mura sbrecciate, al cui interno quattro edifici testimoniano la scarsa cura dedicata dagli attuali proprietari a questo sito storico, ingiustamente ignorato dai “beni culturali”. Non c’è nessuno, anche perché d’inverno questi luoghi non sono molto attraenti.

7


La giornata non è particolarmente fredda e c’è un pallido sole che lascia intravedere, a sud-ovest, la sagoma del Cimone bianco di neve, mentre cento metri più in basso c’è un muro di nebbia. Mi avvicino alla base di un breve tratto di mura merlate indossando l’abito da cavaliere crociato, precisamente da templare, con la veste bianca ricavata da una camicia da notte di lino grezzo di mia bisnonna, sulla quale spicca la rossa croce, replicata sull’ampio mantello bianco e sul grande bianco scudo cartonato portato a tracolla. Alla cinta ho una spada di legno con la lama verniciata d’argento e l’impugnatura d’oro. Sembra vera, come l’elmo che ho in testa, ricavato dall’involucro di un pandoro natalizio e verniciato in grigioacciaio. Non c’è anima viva, nessun rumore; un posto da paura! Di che?! Un crociato non ha paura – un crociato non ha paura – un crociato non ha paura, mi ripeto dentro. All’improvviso una figura appare lassù in alto, tra due spalti; è tutta d’un colore bianco evanescente, come un fantasma, la veste sembra quella di un sacerdote e il copricapo da vescovo. Si rivolge a me in un italiano un po’ strano, quasi arcaico: “Chi sei tu che indossi la veste gloriosa dei cavalieri del Tempio? Donde vieni e cosa cerchi in questo luogo dove nessuno pone piede in tale stagione avversa?” Mi tolgo l’elmo per farmi riconoscere. “Ah…ma sei un fanciullo: così giovane e già votato alla dura vita del crociato?” Al che rispondo: “Non sono un vero crociato, signore, ho questo costume perché con i miei compagni di scuola si festeggia il carnevale” “Così non sei un vero crociato, lo sei per gioco. Lo sai che un vero crociato non gioca mai, perchè la sua vita è sempre in gioco, votata alla difesa del sacro simbolo della croce ove Gesù, il Cristo nostro signore, riscattò l’umanità dall’offesa arrecata a Dio suo padre col peccato originale. Con questa croce, non sono molti anni, tanti valorosi cavalieri andarono in Terrasanta per liberare il Santo Sepolcro di Gerusalemme, prima violato e poi vietato a noi cristiani dai turchi musulmani.” “Conosco la storia” rispondo

8


“Quella fu la prima Crociata condotta da Goffredo di Buglione e dall’alta nobiltà franco-normanna. Ne seguirono altre sette e in duecento anni morirono settantamila crociati per difendere l’Occidente cristiano dall’invasione islamica turca.” “Mi rallegro, giovane templare, per la tua preparazione culturale; io so che i crociati avevano conquistato Gerusalemme e la Palestina costituendo grandi feudi con possenti castelli a difesa della cristianità. Oltre a ciò nulla so. Puoi dirmi, se t’aggrada, in quale anno del Signore stai vivendo?” “Questo è l’anno 2010” rispondo, poi passata l’iniziale paura per la sua voce severa ma non dura, continuo: “Potrei sapere chi è lei, signore, visto che è così ben disposto nei miei riguardi?” “Certamente” dice, scendendo dalle mura con leggero volo di farfalla fino a pochi passi da me, bloccato da una sorta di timore frammisto a stupore e ammirazione, poi riprendendo a parlare: “Come vedi, non sono persona vivente, ma l’immagine di quello che fui. Nacqui in questo luogo nell’anno del Signore 1060 e, con l’aiuto di Dio divenni il suo rappresentante in terra nel 1124 e per sei anni ressi il Soglio di S. Pietro. Fui papa col nome di Onorio II. Voglio qui ora però svelarti un gran segreto che tutti ignorano. La cronaca e tutti i registri riportano il dato che io vidi la luce nel podere denominato Castagnola, poco fuori dal castello di Fiagnano, il 9 febbraio 1060, figlio del garzone Aureliano Scannabecchi e che mi fu imposto il nome di Lamberto, un nome germanico che significa ‘illustre nella sua terra’. Orbene, devi sapere che la società dei miei tempi era dominata dall’elemento germanico e che i nomi germanici non erano d’uso per gli italici, gerarchicamente ritenuti subordinati e, a tal riguardo, nel tuo aspetto ravviso più un germanico che un mediterraneo. Puoi ben dirmi se ciò è vero?” “Per quel che mi riguarda” gli rispondo prontamente “I cognomi di mio padre e di mia madre son d’origine franco-longobarda.” E lui: “Francamente ciò mi garba e riferisci con coraggio che non sono, come ognuno crede, di basso servaggio ma di alto lignaggio, essendo al tempo mio questo luogo selvaggio, con ogni

9


dimora e villaggio, appannaggio della grande contessa Matilde, che ne conferì al mio vero padre il vassallaggio. Ciò mi fu rivelato da mia madre morente, con la promessa da parte mia sul suo letto di morte, di serbare nel cuore mio tal segreto per scongiurare su di me la malasorte, col rischio perfino della morte. Dunque nelle mie vene scorre sangue nobile e forse, all’atto della mia elezione a papa, qualcuno a conoscenza del fatto, propiziò la mia nomina, dal momento che a una persona d’umili origini era pressoché interdetta la massima carica ecclesiastica, a meno che non si volesse contrapporre un Pontefice d’origine plebea all’arrogante nobiltà germanica. Vera è invece la vicenda, divenuta leggenda, del bastone fiorito, un vero fatto miracoloso che nell’evocarlo ancor mi sento timoroso, tanto fu portentoso. Avevo allora sette anni ed ero nel cortile di casa con mio padre che stava cuocendo il pane nel forno domestico, quando cominciarono a suonare le campane della vicina chiesa parrocchiale; chiesi a mio padre il motivo di tali rintocchi ed egli mi rispose che le campane suonavano perché era morto il papa. Allora dissi che anch’io un giorno sarei diventato papa, ma mio padre girando con un bastone il pane nel forno, con un bonario sorriso, mi disse che sarei diventato papa quando quel bastone fosse fiorito. All’improvviso da quel forcone secco spuntarono tanti fiorellini bianchi e profumati, che tali si conservarono fin che fui in vita” “Ma questo racconto l’ho sentito anch’io!” intervengo “E si dice che quel vecchio bastone bruciacchiato, ornato da un mazzo di fiorellini bianchi, fosse conservato fino a qualche tempo fa nella vecchia chiesa di Fiagnano, poi diroccata” “Fu quello un segno divino per il mio destino” riprende lui il racconto “E la prima formazione cristiana la ricevetti da mia madre mentre nel mio tempo libero facevo il chierichetto servendo la messa nella pieve sui calanchi. Poi lasciai quei miei cari luoghi intraprendendo la vita monastica presso i frati del monastero di Sant’Agostino a S. Martino in Pedriolo. Trasferitomi a Bologna divenni dottore in legge in quello che fu il più

10


antico studio di diritto, fondato nel 1088, e poi seminarista osservante. A quarantaquattro anni, trasferito a Roma, venni nominato canonico lateranense intraprendendo in modo definitivo la carriera ecclesiastica. Nel 1105 venni nominato vescovo e cardinale di Ostia da papa Pasquale II e collaborai col sommo Pontefice nella fase più difficile della lotta per le Investiture, quella fra Impero e Papato per la nomina dei vescoviconti. Condussi personalmente le trattative che si conclusero poi col Concordato di Worms nel 1122 fra il papa Callisto II e l’imperatore Enrico V di Franconia. Venni eletto papa il 21 dicembre 1124 col nome di Onorio II e morii il 13 febbraio 1130 lasciando una Bolla relativa al territorio imolese al vescovo d’Imola Bennone, ma il mio nome è passato alla storia universale per aver riconosciuto nel 1129 con il Concilio di Troyes, l’ordine dei Templari, fondato nel 1118 dal nobile francese Hugues de Payns, con la Regola dettata da San Bernardo di Clairvaux (Chiaravalle), monastero cistercense della Borgogna. Una Regola severissima per questi monaci guerrieri il cui nome, Templari, significa Cavalieri del Tempio di Salomone a Gerusalemme. Questi cavalieri dipendono direttamente dal papa e prendono ordine solo da lui, diversamente dagli altri due ordini cavallereschi, i Cavalieri del Santo Sepolcro e gli Ospitalieri o di S. Giovanni, preesistenti e anch’essi operativi in Terrasanta.” “Santità, devo informarla che dopo aver lasciato nel 1291 la Terrasanta ed essere rientrati in gran parte in Francia, i cavalieri Templari furono fatti sterminare, con l’accusa di eresia, dal re di Francia Filippo IV il Bello, desideroso d’impossessarsi dei loro beni. L’ultimo gran Maestro dell’Ordine, Jacques de Molay, fu condannato al rogo per ordine del re francese e dello stesso papa Clemente V, dapprima restio e poi concorde con la decisione di condanna. Il 13 marzo 1314 Jacques de Molay lanciò, tra le fiamme, la sua maledizione contro chi l’aveva condannato e in breve tempo morirono sia il papa che Filippo il Bello. Ancora oggi c’è chi cerca il tesoro dei Templari, anche se in

11


gran parte finì nelle mani della Corona francese. Di tale tesoro farebbe parte anche il Santo Graal, il calice dell’Ultima Cena.” “Allora, mio giovane amico, tu sei qui per cercare quel tesoro? Qui fra questi orridi calanchi solcati solo dal volo di cupi uccelli rapaci, come rapace fu, da come dici, chi distrusse il mio Ordine cavalleresco. Non sei qui per cercar le tue radici?! O per lo meno un ramo, qui nel castello di Fiagnano?” “Non cerco né tesori né radici, ma una forza misteriosa mi ha spinto fin quassù, altrimenti sarei rimasto laggiù coi miei compagni a festeggiare il Carnevale. Son qui perché attratto da questi luoghi desolati e da queste storiche rovine, che pur serbano alti momenti di storia.” “Vestigia, non rovine, piccolo cavaliere: è in luoghi come questi, dove tutto è avverso, che più si tempra il corpo e lo spirito forgiandosi il vero difensore della parola di Cristo; noi siamo cristiani perché Cristo è sì figlio di Dio e Dio stesso, ma anche uomo. Il più grande uomo che la Storia annoveri, o dopo Cristo altri ne vennero più grandi di lui?!” “No, Santo Padre, nessuno fino ad oggi può eguagliare o eguaglierà in futuro, per l’eterno scorrere del tempo, la gloria di Nostro Signore Gesù Cristo. Ai grandi personaggi di vostra conoscenza: Aristotele, Alessandro Magno, Giulio Cesare, S. Agostino, S. Benedetto, Carlo Magno, fecero seguito altri nomi illustri, ed essi sono i Santi Francesco, Antonio, Domenico, Tommaso; il sommo poeta fiorentino Dante, che riportò in versi immortali la visione dell’Aldilà coi dannati, i penitenti e i beati; Colombo, scopritore di un nuovo mondo nel mondo, Leonardo e Galileo giganti del pensiero, Napoleone, il più grande genio politico e guerriero, italiano di sangue ma gloria di Francia. Poi altri vennero, grandi nel bene e nel male, fino a questi giorni. Nel XX secolo due grandi guerre mondiali arrecarono alla Terra i più grandi mali. Gli attuali pericoli più gravi sono rappresentati dall’inquinamento e dal depauperamento ambientale, causati dall’attività umana. Ma il pericolo più immediato è dato dalla sfida lanciata dal terrorismo islamico al mondo occidentale, che ancora detiene il primato socioeconomico,

12


politico e culturale. Masse umane arretrate ed affamate si riversano sull’Occidente come immane fiumana e gran parte di questa umanità è costituita dai seguaci di Allah il cui intento, subdolo o evidente, è quello di asservirlo ai dettami del Corano, da essi ritenuta l’unica legge per ogni essere umano. A dar loro una mano, in questo progetto disumano, c’è gran parte della nostra classe dirigente che, con politici, burocrati, banchieri e alta finanza costituisce la cosiddetta “Casta”, che detiene il più assoluto potere ed ogni sostanza. Ad essa s’affianca quel clero che offre in olocausto sé stesso e tutti noi, pur di redimersi dai mali suoi e sentirsi la coscienza rappacificata, dopo aver offerto a gran voce ogni sostegno ai nemici della Croce. Tutto quello che i Crociati – e chi col loro intento venne dopo – riuscirono ad ottenere, oggi è messo a repentaglio da chi non ha più fede, o, peggio, è in malafede. Il mio costume, santo Padre, non è da carnevale, ma un abito mentale. Sono un vero crociato, non un simulacro o un fittizio cavaliere che si fa bello di mestiere per avere il suggello di chi gli sta intorno e gli grida ogni giorno che è forte, che è bello, col volto gentile e il corpo snello. L’aspetto formale se pur conta, poco conta quando c’è da debellare tanto male, e allora addosso a tutti quei pubblici amministratori che danno gli alloggi pubblici e tutti gli appoggi a chi, per ora, ha una moglie e quattro figli e domani di mogli ne avrà quattro e dodici figli come i conigli. Addosso a quella falsa carità che a mensa accoglie il nemico giurato e rinnega chi ha sempre difeso e salvato la cristianità: il valoroso cavaliere crociato! Storci il naso, pavido prete, quando mi vedi, perché in cuor tuo sei un prete spretato. Getta la tua tonaca alle ortiche e dai il tuo culo alle formiche! Per colpa di questi dissennati fra un decennio l’Islam ci avrà tutti soggiogati!” “Se davvero di una nuova e subdola invasione islamica c’è la minaccia, mio piccolo combattente per la difesa dell’Occidente , inginocchiati e china la faccia. Col potere che Dio mi dà e quale unica autorità riconosciuta dall’Ordine Templare, l’autorità papale, con questa tua spada a forma di

13


croce ti nomino cavaliere crociato di Gran Croce e a te, quale impavido cristiano, consegno il feudo di Fiagnano. Diffondi nel mondo a gran voce il valore della Croce, difendi i crocifissi in tutti i luoghi affissi, ricaccia nella fogna ogni cristiano che del credo suo ha vergogna. Con la spada fatti strada in ogni ufficio pubblico ove al nemico s’offre il bene pubblico, questa è l’Ultima Crociata e la grande occasione che ti è data; ora va e che la vittoria a te sia riservata. Ricorda infine ch’io mi manifesto solo se vi è la manifesta presenza d’un crociato templare; se ti necessita quindi la mia presenza, presentati con la tua veste da crociato, altrimenti per te venir quassù sarà solo tempo sprecato.” Così dicendo Onorio II sparisce in un secondo come sbuffo di vapore nella nebbia, che intanto è salita fra queste quattro mura e un brivido mi attraversa: è il freddo o la paura? “No! Un crociato non ha paura, mi ripeto mentalmente più volte: qui inizia l’avventura!” Torno dai miei compagni un chilometro più in basso. Qui la nebbia è sparita e riprende la solita vita; “No, non voglio che il sogno che ho vissuto si perda, per tornare nel solito mondo di merda!” “Finalmente sei tornato! Dove sei stato?!” strillano divertite le bambine come tacchine. “Sei il più carino, vieni qua che ti diamo un bacino!” fanno in coro, e una grassoccia e bruttina: “Ti mancano solo le ali per essere un angelo e volare qui da me.” “Se avessi le ali, volerei ben lontano da te e da questo branco di scalmanati, vestiti con i soliti costumi scontati: Superman, Batman, l’uomo ragno, l’uomo cranio, il pirata, il vampiro, il fachiro, il tapiro, la fatina, la Barbie, la velina…” dico fra me. A mezzogiorno la prof. lancia l’ordine: “Forza bambini, tutti sui pulmini! Il carnevale per oggi è finito, si torna a scuola con la speranza che ognuno di voi si sia divertito.” Nel breve viaggio di ritorno sto pensando alle parole di Onorio II, che praticamente mi ha eletto capo dell’ultima crociata; ma se è l’ultima, allora delle due l’una: o la vinco o la perdo; ma se mi guardo intorno di crociati in giro non ne vedo nessuno, nemmeno alle sfilate dei carri mascherati. Allora

14


sarei l’unico crociato a fare la crociata, l’ultima crociata dell’ultimo crociato! Certo che quell’Onorio II, sia che sia figlio d’un conte o di un contadino ha un bel cervello fino, lui se ne sta beato nell’aldilà ed io qua a risolvere il più grande problema contemporaneo, per di più armato di una spada di legno, con un elmo ed uno scudo di cartone. Comunque sia voglio lasciar fuori da questa faccenda parenti, amici e conoscenti; per ora è preferibile il detto – chi fa da sé fa per tre, del detto opposto – l’unione fa la forza! Tanto per cominciare, vista l’aria che tira, è meglio che non mi faccia vedere in giro vestito da crociato e anche se a carnevale ogni scherzo vale, con gli islamici c’è poco da scherzare. Quelli mi riducono a uno scherzo da carnevale e la mia carne ben poco vale se un’autobomba o un kamikaze ne fa polpette di coriandoli e fette di stelle filanti! Per risolvere questa intricata situazione ci vuole una trovata. Trovato! Un’inserzione! Inoltro su internet la mia richiesta: “Scambio abito da crociato usato con burqa in buono stato.” Il costume da crociato nessuno l’ha richiesto, forse per paura – è una mia congettura –il burqa, invece, l’ho avuto subito, un po’ malandato ma a un prezzo stracciato. Dopo averlo lavato e sterilizzato lo indosso sulla veste da crociato e così, camuffato da musulmana integralista, mi avvio verso Bologna per vedere cosa c’è di nuovo in vista; salgo sull’autobus munito di regolare biglietto, ma qui c’è di tutto, la fauna umana più varia: africani, cinesi, filippini e solo qualche italiano intimidito; due o tre di questi si alzano per cedermi il posto, che io accetto ringraziando con un cenno del capo. Scendo in Piazza Maggiore; l’ultima volta che c’ero venuto era il 2008. Una delle più belle piazze d’Italia è percorsa da una prevalente etnia afroasiatica; solo qualche bambino in maschera, a rappresentare l’ultimo asfittico giorno di carnevale. Con questo burqa addosso mi sento protetto perché posso adocchiare tutti senza essere adocchiato, anche se do nell’occhio; provo però un senso di pena per le povere musulmane sotto questa campana, d’estate fra il sudore e ogni altro

15


fetore, senza l’ausilio d’un ventilatore fra poppe e chiappe a dar frescura fugando ogni cattivo odore, anche se con questa zanzariera ambulante ogni insetto sta distante. Salgo la gradinata antistante la chiesa di S. Petronio, la cui facciata è ormai da anni semi occultata da transenne che nascondono lavori di restauro mai iniziati; risibile trovata ‘buonista’ per occultare all’interno, con altre transenne e pannelli, la famosa scena dantesca di Maometto all’inferno, affrescata nel 1408 da Giovanni da Modena (scena tratta dal Canto XXVIII dell’Inferno, Canto mai inserito nei programmi scolastici dai nostri intrepidi insegnanti). Giunto sul sagrato vengo però fermato all’istante da un vigile zelante “Ehi lei, signora col burqa, sì dico a lei, è in multa!” mi urla “Ma questo è un costume da carnevale non un burqa reale” faccio io “Non me la dà a bere: si faccia vedere la faccia, sveli quel velo e si riveli!” “Le dico di no e mi lasci stare, lei è solo un vigile urbano poco urbano e molto villano. Se insiste chiamo i miei confratelli – ne è piena la piazza – che le spaccano la faccia se mi scopre la faccia!” Difatti alcuni individui d’aspetto magrebino si fanno avanti con atteggiamento belluino. Allarmato da tutto quel frastuono, dal portone del vicino palazzo comunale esce di corsa il sindaco, scortato dalla scorta personale e per giunta da tutta la giunta comunale, provinciale e regionale. Cento membri tremanti, col sindaco che a nome di tutti quei membri ammosciati, ammonisce il vigile troppo vigile. “Se non vuol essere licenziato per il suo comportamento screanzato stia al suo posto e faccia la posta a chi ha l’auto in sosta mal riposta e lasci stare chi è senza permesso di soggiorno, se non vuol soggiornare nelle patrie galere per un lungo soggiorno; usi rispetto per gli usi, i costumi e la religione di chi viene da un’altra nazione o regione. I loro usi un domani saranno i nostri usi, quindi della mia pazienza non abusi e con questa signora si scusi per averle arrecato dei soprusi, e da buon cristiano giuri sul Corano di non far più uso di azioni moleste nei confronti di queste persone oneste.” Approfittando della situazione, dopo aver ricevuto

16


le scuse dal vigile, mi allontano di qualche metro, ma sentendomi soffocare per la concitazione e per tutto il vestiario che indosso, mi tolgo il burqa rivelando la mia veste da crociato; non sfuggo però alla vista del sindaco che sta ancora li in mezzo alla piazza a discutere: “Ma quello è un crociato, è un crociato! Insegui telo…prendetelo! Si è camuffato col burqa per compiere qualche attentato in S. Petronio, per poi dare la colpa agli islamici!” urla come un ossesso il sindaco e vista la situazione, me la do a gambe senza esitazione, tenendo in mano quello straccio di burqa. Il sindaco continua ad urlare: “E’ un crociato in tenuta da combattimento con spada, scudo ed elmo!” poi rivolto al vigile frastornato: “E lei che fa lì impalato, pistola! Ha la pistola d’ordinanza, la usi o le devo fare un’ordinanza?! Gli spari a vista, non vede che è armato?!” e quello: “Ma a chi sparo se è già sparito?” “Tutti con me all’inseguimento di quel criminale prima che commetta qualche altra azione criminale!” Ingiunge il sindaco alla sua scorta e a tutte le giunte sopraggiunte, congiunte in un unico serpentone che scivola per le stradine del centro storico per agguantare e stringere nelle sue spire quel crociato che ha tanto osato. Io ho un fisico da maratoneta e filo come una lepre zigzagando ogni ostacolo, mentre i miei inseguitori, abili solo nel valzer delle poltrone, col corpo flaccido e appesantito, hanno già finito la benzina e boccheggiano stravaccati sui marciapiedi e sotto i portici, guardati con commiserazione dai passanti. Il vigile, con un filo di fiato, rivolto al sindaco stremato gli dice ansimando: “Maa… maa oggi è l’ultimo giorno di carnevale e quello potrebbe essere solo uno che lo festeggia vestito da crociato” “Sì…questa è un’idiozia nemmeno degna di tua zia, quello sulla veste da crociato indossava un burqa; succeda quel che succeda bisogna prenderlo e consegnarlo ad Al Qaeda” e il vigile “Ma quelli lo torturano e poi lo sgozzano rivolto alla Mecca, come fanno dopo il Ramadan coi montoni.” “Non mi rompa più i coglioni con le sue supposizioni e metta subito una taglia di cinque

17


milioni sulla testa di quel crociato” “Vivo o morto?” “Preferibilmente morto, o comunque più morto che vivo e mi raccomando che la taglia non sia meno di 5 milioni!” “Di lire?” “Macchè lire e lire, sono ormai otto anni che c’è l’euro e lei mi parla ancora di lire, ma dove vive?! Ma vada ben a farsi benedire!” “Ma cinque milioni di euro son quasi dieci miliardi di lire!” “E dàila con ‘ste lire! Voglio vedere cosa se ne fa delle sue lire quando Al Qaeda ci fa saltare in aria le Due Torri, il simbolo di Bologna, che son novecento anni che stan lì a sfidare la legge di gravità e in un botto ‘boom’, ground zero come le torri gemelle di New York l’11 settembre; ma lì c’è stata la zampaccia di quel guerrafondaio di Bush, che per prendersi l’oppio dell’Afghanistan e il petrolio dell’Iraq, ha pagato quattro fanatici islamici bramosi di andare nel paradiso di Allah a fottersi settanta vergini, i quali non ci hanno pensato due volte a combinare quell’immane disastro, dove son perite più di tremila persone. Lo stesso in Vietnam, quando gli americani per smaltire il loro enorme arsenale bellico, hanno condotto una guerra disastrosa contro quel popolo pacifico e civile” “Ma le settanta vergini son per tutti e quattro gli attentatori o per uno solo?” “Ma che razza di testa, settanta a testa!” “Allora settanta per quattro fan duecentottanta vergini, quel paradiso deve essere un vero e proprio verginificio. Sta a vedere che la guerra santa contro l’Occidente, la Jihad, è motivata dal desiderio di impossessarsi di tutto il Viagra da noi prodotto per soddisfare le loro voglie sessuali, come noi siamo interessati al loro petrolio e al loro oppio. Allora se il nocciolo della questione è tutto qui, perché non ci si mette attorno a un tavolo per aprire una trattativa atta a definire un accordo ‘super partes’, al fine di pervenire ad una soluzione che soddisfi congruamente i contendenti?” “Lei parli da vigile e non mi rubi il linguaggio; ci ho messo anni di cellula di partito per esprimermi così e il primo vigile che capita m’imita come un pappagallo! Dalla rabbia sto diventando giallo!” Arriva il messo comunale: “Signor sindaco, il

18


procuratore della repubblica ha spiccato il mandato di cattura contro un crociato ignoto” “Più che ignoto, idioto; andare in giro così conciato con tutti i musulmani in giro, se gli mettono addosso le mani finirà mal conciato. Sarebbe la migliore soluzione per toglierci da questa critica situazione” “Speriamo bene, altrimenti per noi saran grosse pene!” “Un grosso pene ce lo daranno tutti quanti i maomettani se a quello non mettiamo le mani addosso prima di domani!” Intanto arrivano anche il questore e il procuratore: “Avete incrociato per caso un crociato?” chiedono alla gente intorno “Sì ne ho incrociato uno a quell’incrocio” risponde un’islamica col burqa “Urka!” esclama il questore”E dove è andato il crociato?!” “E’ andato in quella direzione là per sfuggire ai seguaci di Allah” “E lei non poteva bloccarlo?” “Col burqa che ho indosso proprio non posso: è come una prigione con la grata per visione, e poi quello menava con la spada fendenti a profusione!” “Ha ragione, se è ben vero che mai la polizia e i carabinieri han preso chi fugge rincorrendolo a piedi con le loro uniformi da cerimonieri, figuriamoci una col burqa, urka urka!” “Ma lei ce l’ha con questo urka urka, boia d’un burqa e sta contagiando anche me, urka urka” “Ma io uso l’urka perché rima col burqa, urka!” “E allora lo dica col ‘q’ invece che col kappa, mezza schiappa!” “Stia attento a come parla, pezzo di pirla, perché se lei è il procuratore, io sono il questore e pertanto procuri di far arrestare quel criminale prima che si metta male!” “Ma se ho già spiccato il mandato di cattura! Vuol dire che è lei come questore che deve provvedere alla sua cattura e portarlo in questura e poi in tribunale, dove sarà processato per direttissima e condannato alla pena massima: il carcere a vita!” “Ma se qui da noi sono i processi che durano tutta una vita, la faccia finita!” Ah ah ah, io me la rido perché sotto questo burqa ci sono sempre io e adesso me la svigno ben spedito per non essere scoperto ed inseguito; intanto il procuratore rivolto al questore: “Ce lo siam perso, a quest’ora quel crociato sarà già alla nona crociata, jella dannata!” “Caspita!

19


Lei pensa che quel crociato si sia rifugiato da sua nonna crociata?!” “Macchè nonna crociata! Ho detto nona crociata con una sola enne, sfiga perenne! Perché le crociate furono otto e questa sarebbe la nona” “Come quella di Beethoven?” “Questa è tutt’altra musica; gli islamici ci faran fare la danza del ventre prima di sventrarci se non diamo da farci e intanto quello sciagurato cosa vuol fare, una crociata da solo?! Dove? Contro chi? Roba da pazzi!Sarà meglio fare una ricerca su internet per accertarsi che non ci siano in circolazione altri squilibrati come questo, vestiti da crociati. Ecco, vediamo…vediamo, il computer dà un esito negativo, per fortuna; si sa, siamo una società di fifoni dove ognuno bada solo al proprio culo e ai suoi coglioni, di tutto il resto se ne scazza e nella propria merda se la sguazza.” “Come disse Pier Capponi: meglio dei coglioni vivi che dei capponi morti.” “No! E’ il contrario: meglio dei capponi vivi che dei coglioni morti, anche perché lui si chiamava Pier Capponi e non Pier Coglioni; ma poi, a pensarci bene, ci conviene essere cristiani o non è forse meglio farci musulmani? Avremmo diritto a quattro mogli che ci costerebbero molto meno dell’amante, considerando anche l’ottimo stipendio che percepiamo; potremo ripudiarle quando ci rompono le palle e se ci facessero le corna finirebbero lapidate. Facendo una vita domestica non ci sarebbe più bisogno della domestica; coperte da capo a piedi da chador, nikab, burqa e vari veli ogni loro nudità è a nostra esclusiva disponibilità, poi col viagra a disposizione ce le fotteremmo tutte ogni sera a rotazione.” “Ottima soluzione, così non rischiamo più la pelle cambiando pelle: via la cravatta, via la giacca d’ogni giorno che ci acciacca, indossiamo il chaftano, vera veste di ogni vero musulmano; viva l’Islam, viva il Ramadan, abbasso il credo cristiano, viva il Corano!” Così dicendo se ne vanno a braccetto invocando Maometto. Vedendo il procuratore e il questore in quello stato d’euforia che lanciano il grido liberatorio: “Abbiamo Fede, abbiamo Fede, abbiamo Fedee!!!” il sindaco, il vigile, la scorta ed ogni giunta

20


aggiunta e congiunta s’affrettano verso quei due; e il sindaco concitato: “E’ Fede, è proprio lui! Il crociato è Fede, il crociato è Fede! Lo sapevo che in tutta questa faccenda c’entrava Berlusconi, dove c’è Fede c’è Lui con Maroni!” e rivolto al procuratore: “Spedisca subito l’avviso di garanzia a Berlusconi, anzi…no, la polizia per l’arresto immediato di Fede, Berlusconi con Maroni!” E il procuratore al questore: “Proceda all’arresto di Fede, Berlusconi con Maroni! Prima che il lodo Alfano gli salvi anche stavolta il deretano!” “Allora arresto immediato per Fede e Berlusconi, con o senza Maroni?” Precisa il questore “Giusto! Senza marroni, senza marroni: così non potrà più rompere i coglioni con tutte le sue escort e le veline, così imparerà a non respingere quei disperati islamici sui gommoni. Da evirato finirà a far l’eunuco nell’harem di qualche emirato, o il cameriere nella tenda del suo socio Gheddafi, inchiappettato, se gli va bene, dal suo cammelliere.” Il giorno dopo i mass media di tutto il mondo annunciano l’arresto del capo del governo più immondo del mondo! Poi però: contrordine compagni! C’è stato uno sbaglio, il cane infedele non era Fede! Il carnevale è finito e nonostante tutte queste peripezie mi sono proprio divertito, ma in questa giornata così movimentata una cosa però l’ho imparata: che un sol crociato, per giunta bambino e male armato, non potrà mai affrontare un’intera armata di islamici fanatici e chi, in buona o mala fede, li fiancheggia. Perciò trascorrerò almeno tre mesi interi ad organizzare una vera crociata, perché se l’ultima ha da essere che sia almeno ben preparata; dedico quindi tutto il 2010 alla prova del nove, con la ricerca di ciò che mi occorre e anche di chi mi potrà soccorrere. Ripongo nel vecchio baule di mia bisnonna la mia veste da crociato con la spada, l’elmo e lo scudo cartonato, che spero possano essere di acciaio ben temprato, quando finalmente sarò veramente armato. Per prima cosa dovrò provvedere a fondare un’associazione per aggregare il maggior numero di adepti, anche se ho poca fiducia in merito, data l’attuale società fondata sul denaro, il potere e il piacere materiale; ma

21


forse l’attuale crisi economica mondiale potrebbe, almeno in parte, far rivalutare i valori umani più essenziali, fra cui il coraggio è quello determinante per il buon esito dell’impresa che devo intraprendere. Dunque pensiamo alla sigla più idonea, vediamo quale potrebbe andar bene…vediamo…vediamo, eccola! ACI…ACI, massì: Associazione Crociati Internazionali potrebbe andare, ma…ma se non sbaglio l’ACI c’è già: è Automobil Club Italia, niente! Cerchiamone un’altra. Allora… allora vediamo: ci siamo! CAI: Crociati Associati Internazionali; ma no noo, che scemo, è il Club Alpino Italiano; CIA… CIA, questa suona anche bene: CIA CIA sei figlia di Maria, sei figlia di Gesù, quando muori vai lassù! Bello! Ma no noo , che idiozia! E’ l’opposto: spia spia non sei figlia di Maria, non sei figlia di Gesù, quando muori vai laggiù! E la CIA è il famoso controspionaggio americano, la Central Intelligence Agency; poi c’è anche una CIA agricola, la Confederazione Italiana Agricoltori. CIA, via! Andiamo nel passato, se ben ricordo la prima associazione fu fondata da S. Francesco, quando il santo fraticello cominciò ad avere un nutrito seguito di confratelli, coi quali predicava agli uccelli. Era la Fraternita Italiana Giovani Asceti, che potrebbe benissimo essere adattata, con le opportune modifiche in: Fraternita Internazionale Crociati Armati; bene! L’associazione è fatta, facciamoci gli associati; lancio su internet un messaggio forte e provocatorio: “Se hai coraggio da vendere e vuoi acquisire onore e gloria, difendi l’Occidente dalla minaccia oscurantista! Se sei un vero cristiano entra nella Fraternita Internazionale Crociati Armati!” Che delusione! Nessuna, dico nessuna, adesione! Solo qualche risposta, senza senso, con l’affermazione che quell’associazione esiste da sempre e che in essa entrano, da che mondo è mondo, tutti o quasi i maschi del mondo. Vacci a capire cos’han voluto dire! Non tutti i mali vengono per nuocere, lasciamo perdere l’associazione, anche perché sono sempre stato contrario alle ammucchiate; fan tanto partitocrazia con ogni annessa e connessa porcheria. Sarà pure una

22


magra consolazione, ma non c’è altra soluzione; anche la stagione non aiuta: questo è ritenuto l’inverno più avverso degli ultimi duecento anni, fin verso la metà di marzo pioggia, nebbia e neve non hanno dato tregua. Osservando i calanchi dal fondovalle si vedono masse di melma grigiastra scivolare con sordo rumore giù per i canaloni per centinaia di metri, fino a fermarsi nel piano, lambendo o addirittura ostruendo la sede stradale; interi costoni di terra crollano nei rii e nei torrenti, come tanti montblanc inghiottiti da fauci golose. Anche la primavera, con una facile battuta, potrebbe dirsi che prima v’era, tanto da sembrare la coda dell’inverno; poi, finalmente, sboccia maggio col suo floreale omaggio e anche l’animo si fa coraggio. Giugno 2010, le scuole si sono chiuse e sono stato promosso in II media; iniziano le tanto sospirate vacanze estive ed ora avrò tre mesi abbondanti di tempo per dedicarmi alla mia missione, per la quale ci vorranno fondi a profusione e io, come bambino, non ho il becco d’un quattrino, se si esclude il maialino salvadanaio; nella pancia di quel maiale ci saranno cento euro bene o male e qui senza quattrini non si fa niente. Però, adesso mi vengono in mente le parole di Onorio II, quando quella mattina di febbraio mi era apparso nel castello di Fiagnano, parole che alludevano a una mia presunta ricerca del tesoro dei Templari, proprio in quel suo luogo avito; ricordo bene di essere stato proprio io ad informarlo in merito all’esistenza di tale presunto tesoro, essendo egli morto nel 1130, a solo un anno dal riconoscimento da parte sua di quell’Ordine cavalleresco, che per altro era operativo da soli dieci anni, un periodo di tempo troppo breve per poter accumulare un tesoro, seppure di un’entità contenuta. Ora che ci penso, esiste una leggenda popolare riferita ad un presunto tesoro di Fiagnano e qualche accadimento del passato sembra accreditare tale diceria; fra tutti quello riferibile ad un coltivatore diretto, proprietario di un podere sito nelle immediate vicinanze del castello di Fiagnano, il quale, una quarantina di anni fa, volendo ricostruire parte del fienile crollato per vetustà,

23


aveva ottenuto dalla Curia di Imola, alla quale si era rivolto, il permesso di utilizzare il materiale edile ottenibile dalla demolizione della chiesa parrocchiale di Fiagnano, già sconsacrata dai primi anni sessanta e all’epoca in uno stato di totale incuria. I lavori di demolizione della chiesa e di sistemazione del fienile furono però improvvisamente interrotti perché l’agricoltore e tutta la famiglia si erano trasferiti in un bel podere, acquistato più a valle, nelle vicinanze di S. Martino in Pedriolo. Il precedente podere non fu venduto ed è tutt’ora posseduto da quell’agricoltore, oggi novantenne; c’è il legittimo sospetto che fra quei vecchi muri sia stato rinvenuto qualcosa di prezioso. Il tesoro dei Templari? O solo una piccola parte del medesimo che probabilmente, se veramente esiste, potrebbe essere stato occultato in luoghi diversi e fra loro molto distanti; vale comunque la pena di andare a dare un’occhiata in loco. Metto la mia veste da templare nello zainetto, mentre l’elmo, la spada e lo scudo li lascio a casa, tanto non mi servono, porto invece con me in una saccoccia una piccozza ed un badilino pieghevole; con la scusa di andare a trovare un mio compagno di scuola che abita poco oltre S. Martino in Pedriolo, mi faccio dare un passaggio in auto da mia madre, dicendole di tornare a prendermi verso le venti, dato che le giornate si sono allungate anche per via dell’ora legale. Ovviamente non vado da lui, ma punto diretto su Fiagnano; tre chilometri di strada in salita senza che passi nessun veicolo, meglio così! Qui, all’inizio dell’estate, è tutt’altra cosa rispetto all’inverno; i prati sono lussureggianti, il grano e l’orzo stanno indorando e i pascoli, fin sull’orlo dei calanchi, si coprono di un bel manto rosso con la sulla, una pianta erbacea simile alla lupinella, in piena fioritura. Nell’aria le ginestre e le rose canine diffondono il loro profumo, mescolato a quello più intenso del biancospino; un cocktail di odori in una tavolozza di vividi colori. Ci voleva, dopo un inverno micidiale! Mi godo questo paesaggio mentre mi avvicino alla meta; faccio una breve sosta sulla collinetta, dove svetta ancora la vecchia torre campanaria

24


della chiesa parrocchiale demolita. Butto lo sguardo a sud, si notano i campi delimitati da siepi, come lo erano già al tempo degli Etruschi, antichi abitatori di questi territori, avvicendati poi dai Celti e dai Romani. Cinquant’anni fa, durante i lavori di aratura, furono rinvenuti un bronzetto di gran pregio ed alcune fibule d’epoca etrusca e ancora oggi si trovano mattonelle esagonali della pavimentazione d’una villa d’epoca romana, da cui deriva il nome di via della Villa dato alla strada che dal crinale conduce alla valle del torrente Sellustra, in terra di Romagna. Monete romane, poi, sono state rinvenute un po’ dappertutto; ma già, noi oggi siamo il prolungamento dell’antica Roma, scavalcando tutto il Medioevo, che appare come un’epoca più lontana. Percorsi altri trecento metri sono dentro l’abitato del castello di Fiagnano; non c’è nessuno, forse perché è un giorno feriale, meglio così, altrimenti non avrei potuto effettuare la mia ricerca. Escludendo gli edifici e le loro pertinenze, gli unici posti da esplorare sono i tratti di mura superstiti: il muraglione in totale rovina sul calanco, di cento metri di lunghezza e due di spessore e il muro opposto, circa dieci metri merlati con torretta. Comincio dal muraglione sul calanco, mi avventuro lungo la base esterna del muro, fatto di grossi massi calcinati fra loro; l’equilibrio è precario perché tra il muro e il calanco ci saranno sì e no due metri, mentre sotto c’è un volo di quasi duecento metri; non a picco, ma con una pendenza tale da rendere inespugnabile il castello da questa direzione. A metà percorso mi fermo perché le piogge invernali hanno provocato una frana profonda non meno di due metri, tanto che alcuni massi del muraglione, rotolati fino in fondo al canalone, biancheggiano nella melma non ancora del tutto essiccata; scendo nella frana e noto con sorpresa, seminascosto da un rovo, un pertugio di circa un metro di diametro che s’addentra all’interno del muraglione. Il cunicolo è buio, fortuna che ho portato con me una torcia elettrica; entro carponi dopo aver rimosso terriccio e pietre che ostruivano parte dell’accesso,

25


strisciando come un verme per tutto il tratto di larghezza delle mura, poi, dopo circa cinque metri, il passaggio diventa più agevole e dopo altri cinque o sei metri sono in un corridoio largo un metro e mezzo. Procedo chinando la testa per una dozzina di metri, qui mi fermo perché il corridoio, ora alto due metri, si divide in due: uno procede, parallelamente alle mura, in direzione dell’interno del castello mentre l’altro corridoio procede, in direzione opposta, verso la vecchia chiesa demolita. Percorro questo secondo corridoio per un centinaio di metri, fino a che mi trovo di fronte ad un portone di legno massiccio con borchie e chiavistelli arrugginiti, questi sono bloccati e non si muovono di un centimetro; do alcuni colpi di piccozza al portone, il suono è sordo, ciò vuol dire che al di là dello porta lo spazio è ostruito, forse a causa di terreno franato e costipato sul portone stesso. Di qui non si passa, a meno che non si intervenga con attrezzi più idonei e con più tempo a disposizione; torno indietro e proseguo per l’altro corridoio, dopo una trentina di metri incontro un portone simile all’altro e anche qui i chiavistelli sono bloccati. Per oggi il mio lavoro è finito, comunque posso dire di avere avuto fortuna, perché senz’altro questi sono due passaggi segreti: uno di collegamento alla chiesa e l’altro per una eventuale evacuazione del castello in caso di pericolo o di necessità. Senza quella provvidenziale frana il passaggio non si sarebbe mai potuto trovare e gli accessi dal castello e dalla chiesa, a quanto pare, sono rimasti occultati perché nessuno è a conoscenza dell’esistenza di questi collegamenti sotterranei. Anch’io non avrei mai immaginato che potessero esserci, se non nell’eventualità della presenza del tesoro dei Templari proprio qui, nel luogo dov’era nato il papa che ne aveva approvato l’Ordine. Evidentemente finora nessuno ha collegato questo luogo alla presenza di tale tesoro. Devo quindi agire con estrema cautela per non destare sospetti e per evitare che qualche curioso segua le mie mosse; esco quindi dal cunicolo e ne occulto l’accesso con alcuni massi e del terriccio, ripercorro in breve tempo

26


la via del ritorno fino nei pressi dell’abitazione del mio compagno, dove poco dopo arriva mia madre per ricondurmi a casa. “Tutto bene? Ti sei divertito?” mi fa lei “Sì…sì molto” rispondo “Siamo andati in giro per i campi e lungo il torrente, abbiamo visto anche due caprioli abbeverarsi ad una pozza d’acqua; vorrei chiederti se giovedì prossimo mi potresti accompagnare di nuovo qui, perché siamo intenzionati ad andare fin sul crinale per vedere i falchi in volo sui calanchi e con un po’ di fortuna potremmo anche vedere due aquile reali, di cui è stata già da tempo segnalata la presenza” “Interessante, giovedì ti riporto dal tuo compagno: va bene per le otto?” “Benissimo, poi vieni a prendermi verso le sei del pomeriggio” “Come vuoi, per me va bene.” Come d’accordo, giovedì mia madre mi lascia nei pressi della dimora del mio compagno; io naturalmente torno lassù a Fiagnano, questa volta ben attrezzato, con i soldi del salvadanaio ho infatti acquistato una potente torcia elettrica a batteria, un seghetto elettrico a pile e un palanchino. Ho anche il badilino, la piccozza e l’abito da crociato nello zainetto; mi muovo lungo il muraglione fino al pertugio. All’improvviso, mentre sto spostando le pietre che ne occultano l’accesso, due striduli fischi e una folata violenta, quasi uno schiaffo, mi fanno sobbalzare; d’istinto sollevo la piccozza, che nello slancio sfiora l’ala di un grosso uccello: è l’aquila! è l’aquila! c’è anche l’altra, sono le due aquile reali; la loro livrea con una fascia bianca in mezzo alla coda e due cerchietti chiari sotto le ali, indica che sono due esemplari giovani che provengono probabilmente dal Cimone, dove torneranno a due anni d’età per nidificare. Però che spavento! non penso che volessero aggredirmi…ma…eccole che tornano, mi attaccano! schivo i loro artigli buttandomi nel pertugio; se ne vanno, se ne vanno, ma adesso che faccio? Se torno indietro e quelle mi aggrediscono rischio un volo mortale nel calanco. Stesso problema se entro nel sotterraneo e quelle mi attaccano all’uscita; l’unica soluzione è indossare la veste da crociato e sperare nell’intervento di Onorio II, come lui mi aveva

27


detto; appena indossata la veste…’fluum’, ecco Onorio con un colpo di vento lanciar nel vento le sue parole: “Che fai qui, sbilenco sul calanco e perché hai chiesto il mio intervento?” “ Volevo esplorare queste mura, ma per mia sventura due aquile mi attaccano e ho una gran paura… aiutooo, eccole che tornano!” “Taci, non aver timore. Ti credono un profanatore, in quanto questo è un luogo consacrato per la nascita mia e per l’imperiale potestà che d’ogni terra ha sovranità e l’aquila è il sacro simbolo di re e imperatori, molti dei quali vestirono la veste che tu vesti e per tal veste al fianco tuo si poseranno non più moleste.” Infatti, ‘quali colombe dal desio portate’ planano nella mia direzione posandosi su due massi ai lati della mia testa, come quelle aquile di pietra poste sui pilastri dei cancelli delle ville, a mo’ di eterne immobili guardiane. Il loro aspetto fiero ora mi rincuora, sono le mie guardie del corpo e a loro compenso offro due merendine estratte dallo zainetto e un po’ di coca cola, usando il palmo della mano come coppa. Risolto questo problema, mi rivolgo di nuovo a Onorio II: “Santo Padre” gli dico “Sono solo, non ho trovato nessun seguace e di condurre la crociata in queste condizioni temo di non essere capace.” “Fatti forza” mi risponde con tono benevolo “E dal cielo ti verrà più forza. Or devi sapere che chi il Paradiso s’è guadagnato, in tre diverse sfere s’è trovato e il godimento di Dio – suprema luce – è dato in ogni sfera per quel che ognuno ha meritato; la prima sfera è quella dei purificati, quelli giunti dal Purgatorio dopo l’espiazione dei peccati; la seconda è quella dei beati, quelli che dalla vita terrena in Paradiso son subito arrivati, mentre la terza e più luminosa è quella dei santi, che non son tanti, ma di tutti quanti i più importanti. Seppur diversa è tra lor la loro condizione, di chi sta lassù in Paradiso ho io piena cognizione, essendo tra i beati la mia posizione; per tal ragione S. Pietro, che del Paradiso è il custode, mi ha confidato che dal Purgatorio sono ora giunti nella prima sfera quattro nobili cavalieri, che in terra furon tutti sovrani ognun nella sua terra. Or te ne faccio elenco in ordine di tempo: il primo ed il più noto è quel Riccardo re d’Inghilterra, nominato Cuor di Leone dai Saraceni,

28


di cui fece strage con la sua spada abbattendone ben seicentottanta, per cui la sua fama fu sì tanta nella Terza Crociata, da lui guidata dopo la morte del Barbarossa che l’aveva in principio comandata. Mai si vide simil campione fra i crociati e fra tutti quanti i cavalieri armati, forte e coraggioso come un orso, chiamalo e verrà tosto in tuo soccorso; gli alatri tre sovrani furon della stirpe germanica di Svevia: Enzo, re di Sardegna; Manfredi, re di Napoli e Sicilia; Corradino, sedicenne, imperatore del Sacro Romano Impero Germanico. Nipote, questo, e figli gli altri due di quel grande imperatore, Federico II, che a nessun fu mai secondo; biondi, belli e di gentile aspetto, invocali e saranno tosto al tuo cospetto. La lor sembianza non t’inganni perché ai nemici diedero dolore e danni” “Tante grazie sincere, e per aver le armi vere?” chiedo io a lui “Le avrai la prossima volta che qui tu ti farai vedere” è la sua risposta breve, quindi scompare come brezza lieve. Però, adesso che ci penso il Paradiso descritto da Papa Onorio assomiglia a quello dantesco. Che il grande poeta avesse davvero doti di chiaroveggenza? Che avesse naso sì, ma che fosse un mago…mah! Un fatto è certo: con le sue sfere celesti ha rotto un po’ le sfere a tutti noi terrestri. Quanto ai sovrani cavalieri che dovranno sostenermi, si tratta di personaggi storici da me ben conosciuti; Riccardo Cuor di Leone, di stirpe normanna, ebbe il coraggio di sfidare da solo i diecimila saraceni del Saladino, spaventandoli a tal punto da farli fuggire lasciando lì il Saladino come un salatino. Re Enzo, considerato il più bel cavaliere del suo tempo, fu poeta della scuola aristocratica siciliana e combattè con valore contro i comuni della Lega Lombarda, ma nel 1249 a Fossalta, vicino a Modena, in uno scontro con le milizie guelfe bolognesi, rovinato sotto il proprio cavallo ucciso, fu catturato e imprigionato a Bologna in un palazzo dove visse una prigionia dorata fino alla morte. La sua tomba è nella chiesa di S. Domenico a Bologna e io, visitandola, sono stato colto da una grande emozione; Manfredi, suo fratello, ereditò il Regno di Sicilia dal padre, l’imperatore Federico II di Svevia, ma

29


nel 1266 fu sconfitto e ucciso dalle preponderanti forze dell’esercito di Carlo d’Angiò, intervenuto su richiesta del papa. Il suo corpo fu sepolto sotto un cumulo di sassi in terra sconsacrata, in quanto scomunicato, mentre Corradino, ultimo erede del casato di Svevia e imperatore ‘in pectore’ del Sacro Romano Impero, sceso in Italia dalla Germania per riprendersi il Regno di Sicilia usurpato da Carlo d’Angiò, da questo sconfitto a seguito del tradimento di alcuni nobili, fu decapitato a soli sedici anni a Napoli, nel 1268. Con lui finì la gloriosa casata di Svevia, che con Federico II (insieme a Carlo Magno il più grande imperatore del Medioevo) aveva dato lustro alla cultura fondando, tra l’altro, la prima scuola poetica italiana e l’Università di Napoli. Pur avendo avuto tutti e tre un destino nero, han dimostrato tuttavia che il principe azzurro esiste davvero! Dopo questa doverosa citazione storica posso riprendere il mio lavoro; ripulita bene l’apertura d’accesso, percorro il cunicolo e poi il corridoio in direzione del castello, fino alla porta bloccata. Ad un’attenta osservazione noto però che i chiavistelli sono aperti, anche se la porta è bloccata; allora col seghetto a batteria taglio i cardini della porta, poi la sollevo con il palanchino; per un attimo resta in bilico per poi cadere di colpo verso di me, che con un balzo faccio appena in tempo ad evitarla, vedendola abbattersi subito sul pavimento sollevando una nuvola di polvere. Impiego quasi un’ora a rimuovere, con la piccola pala e la piccozza, il mucchio di pietrame misto a terra e calcinacci che ostruisce il passaggio oltre la porta; quindi proseguo per il corridoio fino a una successiva porta in ferro con serratura. La apro facilmente smuovendola col palanchino, ma dall’alto sono investito da calcinacci e da un denso polverone che mi costringe a chiudere gli occhi; mi giro e apro gli occhi lanciando un urlo lacerante: la gamba e il braccio sono stretti come in una morsa da due mani scheletriche e due figure in uniforme militare si stanno sollevando da terra tirandomi a loro. Le facce sono due teschi coperti dall’elmetto, cerco di divincolarmi ma non ci riesco, poi, con stupore e raccapriccio, vedo che

30


quegli scheletri si stanno reincarnando; le ossute falangi si rivestono di carne e pelle, così pure i teschi si rimpolpano e nelle orbite si muovono bulbi oculari come quelli delle vecchie bambole, con iridi d’un azzurro vitreo. Che impressione! In pochi istanti le due figure si ricompongono completamente e si muovono: “Chi siete chi sieteee..! “ urlo io “Tu pampino, tu krociato, tu buono, jaa?!” “Ma insomma, chi siete, cosa volete ?! è un incubo! E’ un incubooo!!!” “Nein inkubo, noi essere due parakatutisti teteschi. Noi finiti qui fine 1944, poi grande esplosione fatto kaputt sotto grossa trave krollata!” “Ma come?! Due morti, due scheletri che tornano in vita, che si muovono…parlano…impossibile! E’ solo una visione, una suggestione. Sto delirando, avrò avuto un colpo in testa…non può essere…due soldati tedeschi, con la guerra finita il 25 aprile 1945…la Liberazione…ma che Liberazione! Qui si torna indietro di sessantacinque anni!” “Tu krociato, tu templare, tu amiko. Noi mandati qui per cerkare tesoro, tesoro dei Templari kon Santo Graal. Noi cerkato tutta Europa, niente, trovato niente!” “Ma eravate morti, due scheletri, come avete fatto a tornare in vita?!” Intanto altri calcinacci cadono dal soffitto e un pezzo di mattone centra in pieno la torcia elettrica frantumandola; è buio pesto, poi…incredibile ma vero! Al di là d’una cortina di polvere, tante piccole fiaccole appese ai muri s’accendono illuminando una sala grande; grande ma vuota, priva di qualsiasi arredo. Sulle pareti sono raffigurate scene di guerra, Crociati contro Saraceni, lo stile è quello schematico, tipico del duecento; i crociati sono templari, questo vuol dire che i templari sono giunti fin qui, che qui hanno lasciato una traccia evidente del loro passaggio, se non addirittura di un loro soggiorno. Qui c’è il segno del soprannaturale! Delle fiaccole spente da secoli non possono accendersi all’improvviso e due scheletri sepolti dalle macerie non possono tornare in vita d’incanto, ci deve essere una spiegazione; sotto le scene dipinte ci sono delle scritte in latino, vediamo se riesco a capirci qualcosa, anche perché i miei nonni e mia

31


mamma, citando brani, frasi e massime d’autori latini o recitando preghiere in latino, mi avevano invogliato a studiacchiarlo sui loro libri scolastici. Poi l’italiano non è altro che il latino moderno e non è vero che il latino è, come tutti sostengono, una lingua morta, perché assieme all’italiano è la lingua ufficiale del Vaticano; dunque, leggiamo e cerchiamo di capire: ‘QUI HUNC LOCUM PERVENIT ET IN IPSO EXPIRAT AD VITAM REVERTERIT SI HIC JERUSALEM TEMPLI DEFENSORIS RUBRA CRUX IN TUNICA ALBA APPARET’ “Pampino, io sapere latino. Io fatto studi klassici, pampino…” “E basta con questo pampino, ho quasi dodici anni, caso mai sono un ragazzino!” “Tu rakazzino, jaa, rakazzino…” “Sì, io rakazzino e tu rakazzone” “Kazzone, jaa, gut kazzone, adj gut buono kazzone” “Contento te… comunque vediamo se in due qualcosa ci capiamo. QUI chi, colui che in questo luogo perviene, giunge e nello stesso (luogo) EXPIRAT muore AD VITAM REVERTERIT, reverterit? Boh…” “Reverterit essere tornare, tornare in vita, rakazzino” “Ah, sì grazie, torna in vita, resuscita SI se HIC avverbio che vuol dire qui. Cerchiamo il verbo e il soggetto in fondo alla frase…APPARET appare RUBRA CRUX ruber è rosso, rubra rossa, crux crucis croce, la rossa croce IN TUNICA ALBA sulla tunica alba…alba…” “Alba essere bianka, rakazzino” “Giusto! Sulla tunica bianca DEFENSORIS JERUSALEM TEMPLI del difensore del tempio di Gerusalemme. Ricomponiamo la frase tradotta: ‘COLUI CHE GIUNGE IN QUESTO LUOGO E NELLO STESSO LUOGO MUORE, TORNA IN VITA SE QUI APPARE LA ROSSA CROCE SULLA TUNICA BIANCA DEL DIFENSORE DEL TEMPIO DI GERUSALEMME’. Torna in vita se qui appare un templare, il difensore del tempio di Gerusalemme è il templare, il crociato templare! Ecco perché siete tornati in vita! Miracoloso! Semplicemente miracoloso! Vallo a raccontare in giro…non mi prendono solo in giro, mi ricoverano alla neurodeliri! Qui in poche ore è successo di tutto! A proposito di poche ore, che ore sono? Ah, mezzogiorno…” “Ehi rakazzino, rakazzino krociato, noi avere fame, molta fame, tu avere cibo?” “Ecco, prendete,

32


mangiate tutto!” dico allungandogli lo zainetto, che in cinque minuti è completamente vuoto. “Li capisco, poveretti; sono sessantacinque anni che non mangiano!” dico fra me “ In un altro momento li avrei invitati al ristorante ma ora c’è altro da fare” poi, rivolto a loro: “Ditemi di voi, come vi chiamate, quanti anni avete…” “Io essere tenente Franz, lui sottotenente Fritz, essere nati nel 1920 quindi noi avere ventiquattro anni” “Sì, mia nonna, anzi mia bisnonna; adesso siamo nel 2010, quindi avreste novant’anni. Non c’è male, ne dimostrate una settantina di meno, complimenti!” “Kome essere in anno 2010?! Kome finita guerra? Male per noi, vero?” “Eh sì, non c’era nessuna possibilità; con gli Stati Uniti di mezzo non c’è niente da fare, come nella prima guerra mondiale. L’intervento americano era vincolato all’impegno della Gran Bretagna di decolonizzare l’Impero, come poi è avvenuto con grave conseguenza per tutto l’Occidente, sottoposto al continuo ricatto petrolifero degli stati islamici detentori dell’oro nero.” “E nostro Fuhrer…come finito Hitler? Lui ordinato noi trovare tesoro templari” “Si è suicidato il 30 aprile 1945, quando le truppe sovietiche erano già entrate a Berlino, difesa da anziani e ragazzini come me; è colpevole dello sterminio di sei milioni di ebrei, da lui ritenuti i responsabili di tutti i mali del mondo” poi chiedo a quei due ragazzoni biondi, alti due metri, notizie sul tesoro dei templari. Franz mi dice che è meglio lasciar parlare Fritz, perché conosce molto bene l’italiano in quanto di madre bilingue di Bolzano, e Fritz racconta: “L’abbiamo cercato ovunque: in Francia, Olanda, Belgio, Spagna… nel febbraio 1941 siamo perfino andati in Libia con l’Africa Korps di Rommel” “Ah, davvero? Anche mio bisnonno ha combattuto in Libia e mi ha raccontato di aver conosciuto il famoso generale Rommel, la Volpe del deserto. Sposato da poco, nel 1940 era andato ad abitare, con mia bisnonna appena diciottenne, a Tripoli in una villetta, e lì il 2 gennaio 1941 era nato il primo figlio, il fratello maggiore di mio nonno” “Aspetta aspetta: hai detto a Tripoli?” fa Fritz “Noi due, appena

33


arrivati lì, siamo stati ospitati nella villetta di un militare italiano con una giovane moglie e un piccolo bambino bello, biondo con gli occhi azzurri, che noi abbiamo subito adottato come nostra mascotte” “Ma guarda come è piccolo il mondo! Voi due a Tripoli con mio bisnonno… mio bisnonno aveva anche un cagnolino , un volpino di nome Drin, che proprio nel momento in cui la colonna dei vostri carri armati stava avviandosi al fronte, era scappato in strada accucciandosi davanti al primo panzer della colonna in movimento. Tutta la colonna si fermò immediatamente e dal primo carro scese un tenentino, che con modi garbati porse il volpino a mia bisnonna, precipitatasi sul posto “ e Franz: “Rikordo, rikordo e noi fare battuta umoristika dicendo ke infece di folpino esserci giudeo o arabo panzer non fermati. Ah ah ah ah!” quattro risate ci volevano proprio per alleggerire quel clima di forte tensione emotiva, poi continuando la mia rievocazione: “Mio bisnonno mi raccontò che una notte, dal fronte in cui si trovava a una cinquantina di chilometri da Tripoli, vedendo i bagliori di un attacco aeronavale inglese sulla città e udendo le esplosioni dei proiettili da trecentottanta millimetri dei cannoni navali, angosciato per la sorte della moglie e del figlioletto, avuto dal colonnello il permesso di rientrare a Tripoli, per la mancanza di un veicolo si era incamminato sulla strada litoranea (la famosa via Balbia, così chiamata dal nome del governatore della Libia Italo Balbo, abbattuto col suo aereo per errore dalla nostra contraerea nel 1940), una strada asfaltata di circa millenovecento chilometri che dalla Tunisia arriva fino in Egitto, con l’intento di raggiungere Tripoli in ogni modo. Percorsi pochi chilometri, vedendo i fari di un’auto che stava sopraggiungendo, mio bisnonno, messosi a braccia aperte in mezzo alla strada, la fermò chiedendo agli occupanti -una famiglia di ebrei- un passaggio per Tripoli. Ricevuto un rifiuto, mio bisnonno estrasse la pistola e, fattili scendere, si diresse a gran velocità verso casa; giunto in meno di mezz’ora in città, vide un ammasso di rovine, per fortuna però la villetta era quasi intatta.

34


Rischiarati dai lampi delle ultime esplosioni, appesi alla recinzione del giardinetto c’erano brandelli di corpi umani; arabi, a giudicare dai caftani lacerati e insanguinati. Precipitatosi dentro, mio nonno si tuffò su mia bisnonna che, seduta sul letto, stringeva singhiozzando il piccolo che piangeva a dirotto; una striscia di sangue macchiava il cuscino, una scheggia, entrata dalla finestra e centrata la statuetta di S. Antonio posta sul comodino, aveva sfiorato la testa del bambino andandosi a conficcare nella testiera del letto. S. Antonio, deviando la scheggia, l’aveva salvato, aveva fatto la grazia!” Dopo il racconto di quei fatti commoventi, chiedo dove volessero arrivare con la loro ricerca del tesoro. “Rommel puntava dritto su Alessandria” spiega Fritz “E dopo l’occupazione dell’Egitto, l’obiettivo finale erano i pozzi petroliferi del medio oriente e il ricongiungimento con le armate dell’Asse operanti nel settore sud dell’Unione Sovietica. Se il piano avesse avuto successo la guerra poteva dirsi vinta, ma sappiamo tutti come è andata ad El Alamein, dove il rapporto col nemico era di uno a tre; noi avevamo il compito di setacciare tutto il territorio occupato dall’avanzata di Rommel, ma in tutta la Libia, perfino nelle oasi, non abbiamo rinvenuto la pur minima traccia di un passaggio di templari e così pure in Tunisia, seguendo le truppe dell’Asse in ritirata. Poi in Sicilia, nel sud Italia, nel Lazio a Montecassino, dove noi paracadutisti – denominati per il nostro valore Diavoli Verdi di Montecassino - tenemmo per quattro mesi la posizione, bloccando l’avanzata del nemico. Rovistammo tutta l’abbazia benedettina, prima e dopo il folle e inutile bombardamento alleato che la rase al suolo; niente di niente! Arretrando verso nord, dopo Roma, Firenze e la linea Gotica sul crinale appenninico, subito sfondata dagli alleati, giungemmo in questo territorio calanchivo, a soli dieci chilometri dalla pianura Padana, dove attestammo la nuova linea difensiva i primi di ottobre del 1944.” “E come giungeste proprio qui a Fiagnano?” “Gli abitanti del luogo ci dissero che a Fiagnano era nato il

35


papa Onorio II; noi sapevamo che questo era il papa che nel 1129 aveva riconosciuto l’ordine dei Templari e svolgemmo quindi un accurato sopralluogo nell’ambito del castello. Avevamo anche dell’esplosivo per rimuovere grossi ostacoli e per accedere a cavità sotterranee; il castello era completamente abbandonato come pure la chiesa parrocchiale, perché con l’arrivo del fronte gli abitanti erano scesi a valle, verso la via Emilia. Cominciammo ad esplorare l’area della chiesa e a una trentina di metri dall’abside notammo un leggero abbassamento del terreno; con l’esplosivo provocammo in quell’avvallatura una buca profonda circa tre metri e larga due, poi ci mettemmo a scavare e alla profondità di quattro metri trovammo una porta in legno massiccio alta un metro e sessanta, sbarrata. La facemmo saltare e rimosso il materiale di ostruzione ci trovammo in un sotterraneo; proseguimmo per un centinaio di metri fino ad un’altra porta che riuscimmo ad aprire seppure con una certa difficoltà. Richiusala, percorremmo poi circa altri cento metri fino a una biforcazione con un corridoio, che a destra conduceva verso le mura del calanco; noi proseguimmo in direzione del castello giungendo in questo punto, poi un’esplosione provocata da una bomba causò il cedimento della trave che ci ha colpiti uccidendoci.” “Bene ragazzi, adesso diamoci da fare; analizziamo con cura le figure sulle pareti e vediamo se c’è qualche indizio utile. Nella parete di sinistra è rappresentata una schiera di cavalieri templari che affronta una schiera di saraceni; nella parete di fronte ci sono i saraceni in fuga e i crociati che li incalzano. Un momento! Il templare sul cavallo bianco che precede gli altri ha in mano qualcosa, qualcosa che ha terrorizzato il nemico; guardiamo meglio..col braccio alzato proteso in avanti, stringe nella mano una coppa, un calice…ma sì è il Graal, il santo Graal! È quello che ha fatto fuggire i saraceni terrorizzati. Infatti, sulla parete poco sopra il santo Graal, c’è la scritta ‘IN HOC SIGNO VINCES’, la stessa scritta che apparve con la croce a Costantino, dandogli la vittoria su Massenzio.

36


Al posto della croce, qui c’è il Graal!” voglio analizzare meglio l’immagine, allungo la mano sul santo Graal ma non ci arrivo, allora interviene Fritz, che toccando il calice lancia un’esclamazione: “Ma questo calice non è dipinto, è un calice vero incastonato nel muro! È di metallo…sembra peltro…” “Prova a staccarlo” gli dico. “Non ci riesco, è murato” mi risponde “Prova col palanchino” insisto allungandoglielo “Fai piano…pianoo…così…sì, sì…ecco, benee…” “Ce l’ho fatta! Eccolo qua!” dice trionfante Fritz stringendo la coppa come un trofeo, poi me la passa “E’ proprio peltro o qualcosa del genere. Comunque è una lega metallica sconosciuta duemila anni fa” affermo; nello stesso momento un cigolio smorzato ci fa girare tutti e tre verso la parte più corta, dove si è aperto un passaggio. Staccando il calice dal muro si è azionato un meccanismo di apertura in quella parete; rimettendolo al suo posto il passaggio si richiude, mimetizzandosi perfettamente nella parete dipinta a figure araldiche, forse gli stemmi dei crociati raffigurati nella scena guerresca. Azioniamo due, tre volte il meccanismo: funziona alla perfezione; procediamo col falso Graal oltre l’apertura, facendoci luce con le fiaccole. Attraversiamo una sala stretta e lunga una ventina di metri, del tutto priva di immagini; sul muro in fondo, ad un’altezza di circa due metri, c’è una cavità a forma di calice nella quale inseriamo la copia del Graal. Si apre un nuovo passaggio, pochi metri oltre il quale c’è una parete di terra, forse un accumulo prodotto dalle esplosioni del periodo bellico, scaviamo a turno rimuovendo almeno quattro metri cubi di terra; poi la piccozza urta contro una parete di mattoni, di quelli antichi fatti a mano. Il muro è sottile e con pochi colpi di piccozza cede; ci apriamo un varco attraverso il quale passiamo uno alla volta. Di là c’è uno stanzone che si illumina nell’istante in cui vi entriamo, senza che vi sia alcuna lampada o altra fonte di luce, ma è il soffitto stesso composto di una sostanza altamente luminosa e diffusa uniformemente; sembra un laboratorio di chimica per la presenza ovunque di provette, alambicchi e strane

37


apparecchiature mai viste. Su uno schermo gigante si susseguono dei segni strani che si compongono e si scompongono in continuazione: sembrano formule non riconducibili comunque a nessuna simbologia matematica conosciuta. Udiamo un fruscio: nella parete di fronte si apre un accesso che si richiude subito. Ci nascondiamo dietro un tavolo; sentiamo dei passi, ma non vediamo nessuno, eppure c’è qualcuno, i passi si avvicinano ad una scansia dove ci sono delle provette. Qualcuno le prende e le pone sul tavolo dietro il quale siamo nascosti, ma continuiamo a non vedere nessuno; “Qui c’è l’uomo invisibile” penso. Poi i passi si spostano e cessano sotto una specie di lampada solare che emette una luce iridescente. Appare una persona, un uomo vestito come negli anni trenta: completo grigio-ferro con giacca svasata a un petto, calzoni larghi e flosci con risvolto, camicia bianca con papillon scuro. Porta gli occhiali da vista a lenti spesse, il volto è scavato, il naso un po’ adunco, i capelli bruni arruffati; un’età indefinibile, comunque al di sotto dei quarantanni, direi sui trentacinquetrentasei. L’aspetto è lo stereotipo dello scienziato: “Ma è il fisico Majorana, Ettore Majorana; ho qui in tasca la sua foto. L’abbiamo cercato dappertutto dopo la sua improvvisa scomparsa nel 1938” mi sussurra Fritz “Ma chi, Majorana l’allievo di Fermi?” “Proprio lui.” “C’è qualcuno? Chi è?...qui c’è qualcuno!” grida allarmato il presunto Majorana “Ci ha scoperti! Mostriamoci” faccio io “ Siamo qui, siamo amici…” dico andando verso di lui, che con una provetta in mano ci fissa immobile con gli occhi dilatati dalle lenti e dallo stupore. “Siamo amici, non abbia timore” dico tendendogli la mano, esita…si ritrae, poi forse rassicurato dal mio sorriso e dalla mia veste mi dà la mano, che sento debole e tremante. “Ma loro…chi sono?” Hanno uniformi naziste…mi sembra…” chiede con voce soffocata, quasi un gemito, girando gli occhi di vetro verso Fritz e Franz. “Stia tranquillo, sono miei amici, adesso le spiego” e gli racconto tutta la vicenda; lui, scuotendo leggermente il capo, sembra accompagnare quelle mie parole che hanno

38


dell’incredibile. Poi, rinfrancato forse dalla mia giovane età, racconta anch’egli la sua storia che, a suo dire, è ancora più incredibile della nostra. “Dovete sapere” dice “che nel 1938 avevo trentadue anni…” “Ma come!” intervengo io “Lei avrebbe oggi centoquattro anni, ma ne dimostra sempre trentadue, ha scoperto l’elisir dell’eterna giovinezza?” “Pazientate e vi spiegherò tutto. Dunque, dicevo che nel 1938, insieme a tre altri fisici teorici facevo parte del gruppo di ricerca diretto dal prof. Enrico Fermi; per la nostra giovane età eravamo conosciuti come “i ragazzi di via Panisperna” dove era ubicato il nostro centro di studi a Roma. Quell’anno, quasi casualmente, facemmo una scoperta di un’importanza straordinaria; una scoperta che avrebbe cambiato il corso della storia e dato inizio ad una nuova era, in breve avevamo scoperto l’energia nucleare. Mi sembrava di toccare un dito con il cielo…ma che dico! il cielo con un dito, scusate sono ancora così emozionato da quell’evento che non so quel che dico. Esultanti ci abbracciammo complimentandoci a vicenda, il professor Fermi propose un brindisi col fiasco di Chianti che usavamo quando eravamo costretti, per l’impegno dei nostri studi, a consumare un pasto frugale in laboratorio; un laboratorio anch’esso ‘frugale’, tanto che quando mancava la luce s’accendeva una candela. Ma da quello studio composto da due tavoli, tre lavagne, due calcolatrici e poco altro, era uscita la più grande scoperta del secolo: l’energia atomica! Era già sera quando uscimmo dal centro tutti pieni d’euforia, ci salutammo e ognuno andò per la sua strada; camminando però, poco a poco all’euforia subentrò una sensazione di disagio, una forma di turbamento e poi di angoscia. Capivo che quella stessa energia che consentiva all’umanità un progresso mai registrato in cinquemila anni di storia, avrebbe anche potuto causarne la distruzione totale; quell’energia, racchiusa in una bomba, era in grado di radere al suolo città come New York, Londra, Parigi, Mosca, provocando la morte di milioni di persone in pochi minuti. Colto da una convulsa

39


agitazione, mi diressi verso la periferia. Camminavo senza una meta precisa, finchè mi trovai in aperta campagna; era notte, un buio pesto, preso dalle mie angosce non mi rendevo conto di dov’ero e di quel che facevo. All’improvviso vidi una sfera luminosa, un piccolo globo scendere dal cielo nero e poi atterrare a poche decine di metri da me, rimanendo immobile per una decina di minuti a luci accese; notai la sua forma simile ad una trottola dalle dimensioni di una roulotte, poi le luci si spensero e nel silenzio della notte vidi due figure luminescenti uscire e procedere direttamente nella direzione dove io mi trovavo, nascosto dietro un folto cespuglio. Non sapevo cosa fare, se scappare o restare per sapere con chi avevo a che fare. Stetti fermo e accovacciato, ma in un attimo quei due esseri misteriosi mi furono addosso e, sollevati i miei sessanta chili con estrema facilità, mi portarono all’interno del loro strano veicolo. Dentro c’era tutta una serie di quadri di comando luminosi con pulsanti multicolori, mi posero su un sedile ‘calamitato’, perché non riuscivo più a muovermi; sullo schermo più grande apparve un volto umano maschile, senza sopracciglia e con gli occhi che mutavano di colore secondo il tono della voce: dal verde al nero, dal rosso al blu…lo stesso avveniva per i capelli. Le orecchie, di formato normale, si muovevano avanti e indietro a seconda dell’intensità dei rumori, parlava una strana lingua a me sconosciuta e comunque non terrestre, però si rivolse a me in un italiano perfetto, dicendomi che proveniva dal pianeta Geovia, conosciuto dai terrestri come Giove, che era la prima volta che scendevano sul pianeta Terra e che io ero la prima persona terrestre contattata, in quanto informati degli studi effettuati dal mio gruppo di ricerca e dei risultati ottenuti. Erano addirittura al corrente – a suo dire – della nostra scoperta, avvenuta solo poche ore prima; con poche chiare parole disse che nella conoscenza tecnico-scientifica ci sopravanzavano di almeno due secoli, ma che non erano ancora in grado di produrre una forma di energia come quella da noi appena ottenuta, seppur per ora

40


solo sul piano teorico. Aggiunse che gli abitanti di Geovia erano ridotti ormai a solo settecentosettantasette individui, in quanto decimati dai continui attacchi dei Marziani, provenienti dal pianeta Marte, seguaci di quel dio e quindi molto bellicosi, i quali erano intenzionati a soggiogare i Geoviani, seguaci di Geova e delle sue leggi, del tutto pacifici e privi di armi di elevata potenza in grado di dissuadere ogni aggressore. Mi informò che un anno prima, il 1937, erano pronti a scendere sul pianeta Terra per contattare Guglielmo Marconi in merito alla sua sperimentazione di un ‘raggio della morte’, con cui nel 1936 a Roma sarebbe riuscito a ‘paralizzare’ per alcuni minuti un corteo di auto di membri del Regime, bloccando a distanza tutti i motori dei veicoli. L’incontro col grande scienziato bolognese però non ebbe luogo a seguito della morte del medesimo, avvenuta poco tempo dopo; mi chiese quindi se fossi a conoscenza di tale arma segreta e se fossi in grado di utilizzare l’energia atomica, appena scoperta, per scopi difensivi. Mi chiese anche se volessi trasferirmi sul loro pianeta per approntare un piano di difesa che potesse salvarli da un totale sterminio ad opera dei Marziani. All’improvviso però l’immagine scomparve per poi riapparire dopo pochi secondi con un urlo straziante, che ho ancora nei timpani: “I marziani, i marziani…i marziani sono quiii…siamo perduti, che Geova ci aiuti!!!” Il geoviano scomparve dallo schermo e al suo posto apparve l’immagine di un essere con l’elmo chiuso e crestato, simile ai guerrieri omerici, il quale si mise a lanciare proclami in una lingua sconosciuta. Immediatamente gli risposero i due geoviani che mi avevano trasportato nella loro navicella spaziale, le voci si fecero sempre più concitate fino a diventare rabbiose, poi di scatto, il collegamento saltò e lo schermo andò in frantumi. I due geoviani si avvicinarono a me scuotendo la testa, poi con un gesto rapido si tolsero la tuta spaziale lasciandomi di stucco: davanti ai miei occhi avevo le ragazze più belle che avessi mai visto, forse gemelle, simili fra loro come due gocce d’acqua; alte, slanciate con un volto perfetto e la pelle candida…stupende, semplicemente

41


stupende! Il sogno di ogni uomo si incarnava in queste due creature, rese ancor più affascinanti dai capelli e dagli occhi cangianti e dalle orecchie mobili. Parlottarono un po’ fra loro poi, rivolte a me, dissero in un italiano corrente che quella figura apparsa sullo schermo era quella di un marziano che annunciava la conquista di tutto il pianeta Geovia e lo sterminio totale dei geoviani. Qualche lacrima accompagnava le loro parole, poi tacquero e in quel silenzio c’era tutto il dramma di un popolo che non esisteva più. Anch’io, colpito da quel tragico avvenimento, partecipavo al loro dolore esprimendo muto la più profonda afflizione. Dopo qualche minuto d’intenso raccoglimento, ripresero a parlare, dicendomi che ormai non c’era più niente da fare per i geoviani e che per loro la soluzione migliore sarebbe stata quella di restare sul mio pianeta, eventualmente unendo le loro acquisizioni cognitive alle mie, nella prospettiva di un miglioramento ambientale della Terra. Mi dichiarai subito d’accordo con quanto propostomi e le invitai gentilmente a raccontarmi le vicende più significative del loro pianeta. Mi dissero che i geoviani furono il primo popolo monoteista, in quanto il nome del loro pianeta, Geovia, derivava direttamente da Geova, l’unico, solo vero Dio, creatore e signore di tutto l’universo. Aggiunsero che Geova aveva dato al popolo geoviano la facoltà di diffondere il credo monoteista tramite messaggi inviati nello spazio e che i primi a recepire il messaggio monoteista furono gli Ebrei con lo stesso Mosè che ricevette sul Monte Sinai le tavole dei comandamenti, e con la Bibbia, il testo sacro ispirato da Geova. Precisarono anche che un loro messaggio fu captato nel 1879 negli Stati Uniti da Taze Russel, che diede vita ai “Testimoni di Geova”, diffondendo in terra la religione geoviana nella sulla forma più vera, fondata sull’insegnamento della Bibbia e sul rigorismo morale. Definirono poi in maniera sintetica ma molto efficace la differenza sostanziale fra monoteismo e politeismo, che consisterebbe nel fatto che per i monoteisti fu Dio a creare l’uomo, mentre per i politeisti fu l’uomo a creare gli dei. In questo non potevo

42


che essere pienamente concorde con loro; continuando nella loro esposizione, mi dissero che la durata della vita sul pianeta Geovia era doppia rispetto alla nostra e che il loro aspetto fisico era dovuto in gran parte alla temperatura molto bassa nel loro pianeta. A questo punto interrompo il racconto di Majorana chiedendogli perché decisero di venire proprio qui a Fiagnano e lui mi dice che furono le due geoviane a proporre come destinazione immediata questo luogo, in quanto informate della possibile presenza del santo Graal nel castello di Fiagnano, dove vi giunsero con la piccola astronave, che fu poi smontata ed immagazzinata nel sotterraneo segreto del castello, localizzato da speciali sensori in loro possesso, in un momento in cui nell’abitato non c’era nessuno. Mi riferisce poi che nel sotterraneo posero la loro dimora, allestendo il laboratorio di ricerca, dove avevano ottenuto dei risultati straordinari. “Complimenti, mi congratulo con lei!” faccio io “Ma potrebbe dirmi di che si tratta, o è un segreto?!” “No…noo, anzi…” mi risponde un po’ esitante “Guardi che se crede può anche tacere, non mi offendo mica, in fondo sono fatti suoi…” gli dico “No, ma no, noo…fra noi si è ormai instaurato un rapporto di fiducia; anzi, direi di stima reciproca e quindi non ho alcun motivo per tacere su tutto ciò che fino ad oggi abbiamo realizzato. Faccio un elenco in ordine di tempo: nel 1941 costruimmo una micro bomba atomica in grado di distruggere una città come Mosca o Londra…” “Accidenti!” esclama con uno scatto Fritz “avevate già la bomba atomica e lei non l’ha consegnata all’Italia, la sua patria! Questo è tradimento, alto tradimento! Con la bomba atomica avremmo vinto la guerra e si sarebbero potuti risparmiare milioni di morti!” “Sì” ribatte lui “Ma dimenticate le leggi razziali del 1938. Come ebreo, anche se italiano, avrei perso subito il posto e forse peggio, da come andarono le cose, avete dimenticato la vicenda di Fermi; lui, non ebreo, che intuendo che aria tirava, prese sua moglie ebrea e se ne andò negli Stati Uniti” “Bravo!

43


E così fece fincere komunisti e kapitalisti, nostri nemici, bella roba!” incalza Franz. “Basta! Lasciate parlare Majorana” e rivolgendomi a lui: “Continui pure, professore e scusi l’intemperanza di questi due giovani, ma deve capirli…appena risuscitati dopo sessantacinque anni e sapere di aver perso la guerra, quando invece ora da lei apprendono che avrebbero potuta vincerla, non deve essere poi tanto piacevole…” “Ah sì! E i sei milioni di ebrei sterminati da Hitler ce li siamo scordati?! Con la bomba atomica nelle sue mani quel criminale avrebbe fatto fuori mezzo mondo: prima gli ebrei, poi gli zingari, i negri, gli arabi e chi più ne ha più ne metta! Col razzismo si sa dove si comincia, ma non si sa dove si va a finire! Alla fine sarebbe rimasto solo lui con la sua follia a gesticolare istericamente come una marionetta lì davanti allo specchio, prendendosela con sé stesso fino a spararsi un colpo in testa e intanto il disastro era già fatto…” “Il professore ha le sue buone ragioni” dico “Ma adesso lasciate che finisca di illustrarci ciò che fino ad oggi è riuscito a realizzare, anche con l’aiuto delle due geoviane” “Dunque” riprende Majorana “Dopo l’atomica, allestimmo una piccola centrale nucleare per fornirci di tutta l’energia occorrente. L’uranio, sia per questa micro centrale che per la mini bomba, proveniva dal pianeta Geovia, racchiuso in due speciali bracciali indossati dalle due geoviane; all’inizio del 1945 fummo in grado di perfezionare il cosiddetto ‘raggio della morte’ di Marconi, con cui era possibile ‘paralizzare’ persone e cose per una durata massima di ventiquattrore. Alla fine dello stesso anno, elaborando una sostanza, anche questa proveniente da Geovia, ottenemmo una miscela che cosparsa sugli oggetti li rendeva invisibili; l’effetto svaniva con l’uso di raggi elettromagnetici emessi dalla lampada che precedentemente ho azionato per tornare visibile. Sia ben chiaro però, che questa sostanza rende invisibili ma non trasparenti; i corpi rimangono tali, con la loro fisicità, ma non si vedono, mentre i suoni ed i rumori sono percettibili, anche se in forma attenuata. Senza l’uso dei raggi elettromagnetici l’invisibilità ha una persistenza massima di sette ore” “Ma come!” sbotta Fritz “ Con tutto questo ben di Dio a

44


disposizione saremmo stati i padroni del mondo!” e Franz di rincalzo. “Jaa, noi potere ankora essere patroni del mondo, ja!” “E daila!” replica seccato Majorana “Questi due sono proprio fissati col predominio sul mondo, quando il nostro pianeta rischia l’autodistruzione con tutti i problemi che ci sono.” Mentre si svolge questo battibecco, si apre di nuovo il passaggio nella parete e qualcuno, invisibile, con una breve corsa si avventa su Franz e Fritz. I due, però, seppur colti di sorpresa, reagiscono prontamente e data la loro prestanza fisica e la loro conoscenza delle arti marziali, in breve, afferrati gli aggressori invisibili li trasferiscono sotto la lampada elettromagnetica. In pochi attimi si visualizzano le due stupende geoviane, che si divincolano dalla presa ferrea dei due parà; questi, a bocca aperta, fissano estasiati quelle creature che, per la loro bellezza, sono davvero d’un altro pianeta. A questo punto interviene il professor Majorana, facendo le presentazioni: “ Fritz e Franz, vi presento Geo e Viana. Geo e Viana, vi presento Franz e Fritz” ma le due ragazze si ritraggono spaventate dalle uniformi naziste. “Nein paura, noi teteschi buoni, nein SS, noi buoni… noi parakatutisti” cerca di rincuorarle Franz, tendendo la mano “Noo… noo, nazisti cattivi. I nazisti hanno ucciso molti testimoni di Geova, i più fedeli seguaci della nostra religione” rispondono loro ancora scosse “Purtroppo” interviene Fritz “In ogni guerra ci sono sempre delle vittime innocenti e questo conflitto non ha risparmiato nessuno.” “Belle parole” fa Majorana “Peccato che vengano dalla parte sbagliata” “Ora basta” dico io “Datevi la mano in segno di pace e d’amicizia e che la fortuna vi sia sempre propizia.” Le mani, gli uni alle altre strette, suggellano questo nuovo rapporto proiettato, si spera, verso le più alte vette; Fritz e Franz fanno anche di più, stampando sulle guance delle due giovani un sincero bacio affettuoso, da loro timidamente ricambiato quale presagio d’un futuro gioioso.

45


Queste sono le immagini che danno più soddisfazione e che inducono alla speranza di un domani sereno e radioso; purtroppo la realtà è ancora ben diversa: due opposte concezioni di vita stanno fronteggiandosi per uno scontro sempre più vicino, il cui esito sarà per tutti decisivo. “Ma adesso” chiedo a Majorana “Potreste rivelarmi il segreto della vostra eterna giovinezza? Questo è ciò che più mi ha colpito, qualcosa di inconcepibile…” “Preparatevi alla sorpresa più incredibile, al bene più agognato dall’uomo fin dalla sua prima età; quel dono che Dio gli aveva dato nell’Eden e che poi egli perse per la sua disubbidienza ed ingenuità: il dono dell’immortalità! Orbene, son lieto di annunciarvi che per grazia di Dio il qui presente professor Ettore Majorana e le sue assistenti Geo e Viana sono riusciti a ridare all’uomo il dono supremo dell’immortalità, qui in terra e non nell’aldilà, vivendo sempre in sanità nella più bella età. Come? Direte voi increduli, così!...” ed ecco, come per sortilegio, dal nulla si materializza nelle sue mani un calice grande, splendente d’una luce abbagliante, divina…” “Cos’è?” chiedo estasiato “Non sarà…non è…” “Sì!” risponde con un sorriso radioso e compiaciuto “Sì, è proprio lui: il più mitico, il più bramato, il sogno d’ogni sovrano e cavaliere, qui giunto per le mani d’un crociato ignoto, lui il bene più noto, la più grande testimonianza del Cristo figlio di Dio e Dio egli stesso incarnato in terra; ciò che la sua divina ed umana mano strinse prima d’essere sulla croce immolato per riscattare l’uomo dal suo primo peccato…” le sue labbra stanno per pronunciare il nome di quell’immagine sublime, quando noi tutti a terra genuflessi, in quell’immensa luce riflessi e circonfusi, in un sol coro celestiale fusi, lanciamo il grido sovrumano: “Il Santo Graal, il Santo Graal è in quella mano e in quella mano c’è la cosa che più amiamo…” poi si leva d’incanto il più bel canto: “Oggi è un giorno di Paradiso, tutto è un sorriso, questo giorno beato Gesù Dio ci ha dato. Viva Gesù Viva Gesù!” Ognuno sembra annullarsi in tutto quel fervore mistico ed ogni sensazione si fonde in quell’atmosfera di abbagliante luminosità, dove il sacro Calice pare fluttuare come di moto proprio. Poi s’ode la

46


voce concreta del professore che spiega: “Trovammo il Santo Graal pochi giorni dopo il nostro arrivo qui a Fiagnano, stavamo esplorando il sotterraneo quando, giunti in quest’ambiente dove ora ci troviamo, il sensore di Geo e Viana si mise a suonare lanciando segnali luminosi davanti a una parete sulla quale appariva, sbiadita dai secoli, questa scritta: ‘SANGUIS DOMINI NOSTRI JESU CHRISTI ANIMAM CORPOREMQUE SERVAT AETERNUM’. Percossi col pugno il muro in quel punto e sentii che lì c’era un vuoto, con cautela praticammo un foro nella parete poco al di sopra della scritta e poi ampliammo l’apertura fino a mettere in luce un’intercapedine in cui era collocata una cassa di legno massiccio, racchiusa in una gabbia metallica. Liberata la cassa dalla gabbia che l’avvolgeva, la smontammo sfilando le borchie che la tenevano unita e ai nostri occhi apparve una pelle conciata, arrotolata attorno a una pezza di lino in cui era avvolto qualcosa. Nella parte interna della pelle c’era una scritta in ebraico che io, ebreo praticante, non ebbi difficoltà a comprendere, in quanto la lingua ebraica è rimasta quasi immutata dall’antichità ad oggi. La scritta diceva così: ‘ in questo sacro lino è avvolto il santo calice con cui il Nostro Signore Gesù Cristo celebrò l’ultima cena; in questo calice è racchiusa un’ampolla che contiene il Suo sangue, versato dalla ferita mortale procuratagli dalla lancia del centurione romano Longino per abbreviare la sua agonia sulla croce.’ Tolto il lino, apparve un calice di metallo lucente, all’interno del quale era collocata un’ampolla di vetro contenente del sangue raggrumato; usando ogni precauzione togliemmo l’ampolla e rigiratala più volte, notammo con stupore che il sangue si era liquefatto, un fenomeno simile a quello che da secoli avviene a Napoli con il sangue di S. Gennaro. Da quel momento intraprendemmo uno studio approfondito su quel sangue, che risultò compatibile con qualsiasi gruppo sanguigno e quindi idoneo per un uso trasfusionale su chiunque; dopo alcuni mesi riuscimmo ad ottenere in vitro la riproduzione illimitata di quel sangue. Era fatta!

47


Da quel momento potevamo disporre di tutto il sangue che volevamo, partendo da quel solo litro contenuto nell’ampolla; nel luccichio delle nostre pupille dilatate si poteva leggere tutta la gioia del più grande trionfo! A piccole dosi, periodicamente, facemmo uso di quel sangue per trasfusioni su di noi e da quel momento ci sentimmo in una forma psicofisica mai provata prima, notando – nel tempo – che il nostro aspetto fisico rimaneva non solo inalterato, ma che addirittura andava sempre più migliorando, con la pelle liscia e turgida e la chioma folta con capelli forti e lucidi, senza tracce di incanutimento. Il tono muscolare si manteneva perfetto e la mente più elastica che mai, da allora ad oggi siamo rimasti come ci vedete; per noi il tempo si è fermato, mantenendoci al meglio della nostra condizione.” “Fantastico!” esclamo io “Nei sotterranei del castello di Fiagnano invece del buon vino si produce dell’ottimo sangue divino! Se lei è d’accordo, professore, si potrebbe effettuare subito una trasfusione su Franz e Fritz, per conservarli fin d’ora nella loro forma migliore?” “Senz’altro, non c’è nessun problema, adagiatevi qui” dice Majorana a Fritz e Franz indicando loro due lettini. Poi, in pochi minuti i due sono di nuovo in piedi, rinvigoriti “Io forte kome Erkole, io patrone mondo!” esulta Franz “Eh no, questo, mi dispiace, è proprio irrecuperabile” fa il professore scuotendo la testa sconsolato. “Mi dica ancora, professore” riprendo io “Come avete fatto per alimentarvi in tutti questi anni?” “Col preziosissimo sangue di Gesù a disposizione, non è più necessario alcun alimento, sia esso solido che liquido, anzi ogni altra sostanza potrebbe avere effetti negativi, in quanto quel sangue è in assoluto il nutriente più completo e puro. Nutre l’anima e il corpo, come avete potuto constatare. Prima della scoperta delle proprietà veramente miracolose del sangue di nostro Signore, ci nutrivamo con apposite pillole che avevano in dotazione Geo e Viana; la dose giornaliera era costituita da due pillole sciolte lentamente in bocca, ne abbiamo ancora una cassa, sufficiente ad alimentare una persona per cinque anni. Per il loro uso

48


non ci sono limiti di scadenza e poi, vi dirò che non sono neanche tanto male, se gradite un assaggio…” “Ah, no, grazie” rispondo prontamente “Anche perché adesso devo proprio andare; alle sei viene mia madre e non vorrei tardare…ah, dimenticavo…in tutti questi anni non siete mai usciti da qui?” “No, noo…solo qualche volta andavamo a fare un giretto qua intorno, giusto per vedere qualcosa di reale. Ma questo è avvenuto solo dopo che fu possibile renderci invisibili col nostro ritrovato, del resto con le apparecchiature recuperate dall’astronave di Geo e Viana eravamo in grado di visualizzare la realtà esterna ed eravamo anche informati su tutto ciò che accadeva nel mondo. Una curiosità: tutti i proprietari che si sono succeduti in questo luogo ne stavano alla larga e al più presto cercavano di disfarsene perché lamentavano la presenza di fantasmi, manifestantisi con rumori di passi e strane voci” “Adesso capisco lo stato di abbandono in cui versano gli edifici e tutta l’area circostante; ma con fantasmi come Geo e Viana questo sito diventerebbe una meta turistica di fama mondiale e il suo valore andrebbe alle stelle” faccio io “Ma adesso vado via, ci vediamo domani.” Dopo questo ‘D-DAY’ – il giorno più lungo – con una volata in un quarto d’ora brucio i tre chilometri e mezzo da Fiagnano al fondovalle, andando quasi a sbattere contro il muso della Mercedes di mia madre che sta arrivando; un frontale evitato per i suoi rapidi riflessi, con fulminea frenata. “Ma è il modo di correre? Potevi farti male! C’è qualcuno che ti insegue?!” mi fa allarmata, rifilandomi una sgridata; “Ma no…noo” sbuffo ansimando “Volevo essere puntuale per non farti aspettare. Che giornata, mamma! Lo sai, ho visto anche le due aquile…stavano per aggredirmi… che spavento! Poi, invece, si sono posate vicino a me mansuete come due capponi” “Non è una capponata quella che mi stai raccontando?” fa lei “Ma no, mamma, ti giuro…è vero: due aquile grandi così” dico spalancando le mani a mo’ di misura “Gli ho anche dato due kinder e la coca cola!” “Sì, e la vuoi dare a bere anche a me?!” risponde

49


“Ma mamma, non ci credi? E’ vero! Guarda, questa non è una penna d’aquila?!” le dico, porgendole una penna dei due rapaci. “Per me può essere anche una penna di tacchino, l’importante è che tu ti sia divertito” “Moltissimo, tantissimo…ah, mamma, potresti portarmi di nuovo qui domani? Perché coi miei amici vorremmo fare una festa medievale con damigelle, principi, cavalieri, armigeri, monaci, contadini…io, ovviamente, mi vesto da crociato” “Sì, però il vestito te lo metti alla festa, perché andare in giro con quell’abito da crociato può essere pericoloso” “Dici? Non me ne sono accorto” faccio, camuffando un sorrisino furbetto. E poi: “A proposito, non sai mica dov’è finito lo stemma del bisnonno Camillo, quello di latta a forma di scudo?” “Non so, non ricordo…perché ti serve?” “Eh sì, perché quello è uno scudo di latta, sempre meglio di quello da crociato, che è di cartone” “Dev’essere in cantina, appena a casa lo cerchiamo.” Arrivati a casa corro in cantina; frugo qua e là, tossendo per la polvere che è ovunque e…voilà, ecco lo scudo; per fortuna era avvolto nella plastica. Che bello! È lo stemma più bello! C’è qui anche un libro d’araldica con la descrizione degli stemmi nella terminologia particolare, tipica della materia. Vediamo come è rappresentato quello di mio bisnonno: ‘inquartato’, cioè diviso in quattro quarti; nel primo e quarto d’azzurro alla banda d’oro carica di tre foglie d’edera verde; nel secondo e terzo di rosso al grifone d’oro. Devo proprio ringraziare mio bisnonno Camillo, a lui devo la mia passione per cavalieri, paladini, crociati e tutta la magia del medioevo, epoca da favola: c’era una volta un re…c’era una volta una principessa…c’era una volta…ma adesso c’è davvero. Non è più una favola: il crociato è tornato; sono io, Micky di Fiagnano, pronto per la nona crociata con quest’arma sullo scudo rappresentata! La mattina dopo mia madre mia lascia al solito posto “Ciao mamma, ci vediamo stasera alle otto” “Ciao, fai il bravo e divertitevi.” Via la mamma, macino i chilometri che mi separano da Fiagnano, qui giunto, indosso la veste da crociato e dopo aver salutato

50


le due aquile, che mi rispondono con due fischi svolazzandomi intorno amichevolmente, eccomi apparire papa Onorio, che mi dice: “Bravo figliolo, sei qui per le armi vere, ma che scudo hai? Fammi vedere” giro il braccio rispondendo: “questo è lo stemma di mio bisnonno e con questo scudo voglio onorare il suo eterno sonno, perché fu lui il primo a farmi vivere questo sogno.” “Giusto! E sai che facciamo? Or diamo vita a questi due grifoni d’oro che si stagliano sulla porpora dello stemma tuo. Loro ci porteranno in volo là dove trarremo le tue armi vere, sciogliendo il voto suo di chi andò crociato e tornò per essere a Dio consacrato, divenendo poi santo Beato!” “Beato lui! Il tuo dire mi è alquanto oscuro, ma di seguire te son ben sicuro.” Acciderba a forza di sentire il suo linguaggio medievale uso anch’io la sua forma lessicale, ma questo non è un male in quanto non il mezzo ma il fine è quel che vale. Il santo Padre allunga le mani diafane fino a sfiorare i due grifoni, poi le ritira provocando il distacco dei due mitici animali dallo scudo. Questi prendono vita ampliando le loro forme fino ad assumere le dimensioni di un leone, ormai son talmente abituato a vedere fatti tanto straordinari, che anche questo è per me un fatto quasi del tutto ordinario; ma un tanto di sorpresa c’è ugualmente, perché resta pur sempre un fatto sorprendente. Prima di partire cospargo me stesso e i due grifoni con la sostanza che rende invisibili, per evitare possibili attacchi aerei con abbattimenti tipo Ustica, spacciati per incidenti; poi papa Onorio sale sul primo grifone, io sul secondo e dopo due battiti d’ali inizia il volo di quelle creature eccezionali. Affiancatosi a me col suo grifone per tutto il volo lui mi fa da cicerone, dandomi d’ogni luogo la più ampia descrizione: “Ecco” mi dice “Scavalchiamo l’Appennino lasciando a retro l’Italia continental detta Padania, per passar nell’Italia peninsular mediterranea. Qui più che di là risplende il sole e le persone si senton tutte meno sole, qui molto men che di là la nebbia annebbia e bagna, ma qui più che di là ognun si lagna; diversa è pure la parlata, dalla città alla più piccola

51


borgata: celtica di là e mediterranea di qua. Qui c’è l’ulivo, il cipresso e la più verde macchia, di là dominano il corvo e la cornacchia, siamo sulla Toscana, culla e splendore del Rinascimento, di cui nell’arte ha dato ogni più insigne monumento; ecco laggiù Firenze dall’Arno attraversata, città nell’arte e nella cultura molto ben versata. Vedi più in là S. Gimignano dalle cento torri tutte ancor ben alzate (Non come Bologna che quasi tutte le sue duecento se l’è da sé atterrate); ecco qui Monteriggioni cinta tutta dalle sue alte mura, forti e sicure come questi due grifoni. Ora voliam su Siena anch’essa d’arte e di cultura piena, che con Firenze rivaleggiò con l’arme e l’arte dando ognuna alla storia tanta parte; siamo al fine giunti a quella che è la gran rovina dell’antica chiesa di San Galgano, ed è proprio qui che noi ora atterriamo.” I due grifoni scendon giù planando piano piano, posandosi poi adagio su un ripiano, le ali prima al cielo dispiegate, or sono al suolo entrambe ripiegate; poi il santo Padre rivolge a me queste parole: “Innanzi all’imponente abbazia abbandonata vedi tu là una figura amata, veste la stessa veste tua del templare, valla tu subito a salutare ed onorare, perché la vita sua a te vuol raccontare.” Mi avvicino allora emozionato a quel cavaliere crociato, cui porgo il mio saluto con l’animo più grato, ed egli levatosi l’elmo, scoprendo il suo volto giovane e delicato, inizia poi a parlar della sua vita e dice: “Il mio nome è Galgano, della nobile famiglia dei Guidotti di Chiusdino, in quel di Siena. Ebbi una giovinezza d’ogni avventura piena, gaudente e spensierata finchè andai crociato alla crociata, da cui tornai però assai mutato; vidi la morte di tante persone in quel deserto immenso ed assolato, dove ogni dì potevi cadere ucciso e depredato. Così di nuovo spirito armato, dopo aver ogni mio avere abbandonato, mi ritirai in quel colle lassù, il monte Siepi, dove vissi da eremita fino alla fine della mia vita, avvenuta nell’anno del Signore 1181, d’anni trentatre, la stessa età della morte sua. E nostro Signore col suo immenso amore diede poi a me l’onore, che è sì tanto, d’accogliermi lassù nella più alta sfera come

52


Santo; ma or seguimi fin sul monte Siepi, ove fra arbusti e siepi c’è una rotonda chiesetta, subito dopo la mia morte in mio onore eretta nel luogo in cui vissi la mia vita romita, che a me fu la pù gradita. Là la mia spada è custodita, quella spada ch’io nella roccia conficcai, tornato dalla crociata dove conobbi sol dolore e guai.” Giunti lassù nel più raccolto silenzio, oltrepassato un prato di trifoglio e assenzio, entriamo in quel luogo ristretto con umiltà e rispetto; sostiamo per un momento innanzi a quella reliquia che della pace è il più sincero monumento. Poi San Galgano traendomi per mano, vincendo ogni mia titubanza mi ordina con creanza: “Ecco questa spada mia, da questa guaina sguainala e sarà tua; con essa tu sarai invincibile e ragione avrai d’ogni tuo nemico, sia pur esso il più temibile. Sappi però che finora chi in quest’intento s’è cimentato alla fine ogni suo sforzo ha abbandonato, andandosene sconfitto e umiliato; come vedi la mia spada è sempre qui in attesa di chi la tolga via da lì” al che io fiero gli rispondo: “Non son qui come turista, ma come colui che a questa prova si propone alla fine della lista. Dopo di me d’estrarla più nessun ci proverà, perché sarà la mano mia quella che da questa roccia l’estrarrà!” Afferrata con le dita l’impugnatura di quella spada arrugginita, la tiro con uno sforzo sovrumano usando una sola mano; niente! Provo a tirarla con entrambe fino a farmi tremar le gambe. Niente di niente, non si muove minimamente! Allora invoco l’aiuto divino e subito sento che qualcuno mi è vicino, quasi dentro me, che son lì chino e una voce amica che mi fa: “Son qui con te, son re Artù e questa spada è come Excalibur, forza, proviamo insieme e quella viene!” un ultimo strappo e la spada dalla roccia esce come il cavatappi esce dal tappo. Da quella reliquia arrugginita una nuova spada prende vita, dando vigore alla mia mano e alle mie dita; ora è di acciaio lucente e sarà per sempre la mia arma vincente. Bacio quella lama come un’immagine santa che si ama, poi l’alzo al cielo per un momento

53


pronunciando con profondo sentimento il seguente giuramento: “Con questa spada che ha la forma della croce difenderò, Signore, la tua croce, invocando il nome tuo finchè avrò voce!” poi il santo Galgano ed io torniamo laggiù tra le illustri rovine della antica abbazia, che da tre secoli ha il tetto scoperto, così che i suoi acuti gotici archi e gli altissimi pilastri si slanciano verso il cielo aperto. Il papa Onorio è lì in attesa e con me si felicita nel vedere l’invincibile spada al mio fianco appesa; prima di salutarci chiedo a San Galgano d’impartirmi la benedizione di sua mano. In ginocchio davanti a lui, mi pone il suo elmo sulla testa pronunciando queste chiare parole: “La spada è per l’offesa, quest’elmo è per difesa, a che la dignità e l’incolumità tua non sia mai lesa; ed ora va alla tua crociata e che tutta la gente ti sia per sempre grata.” Il santo Padre ed io montiamo sui grifoni che s’alzano al cielo leggeri come aironi e con un volo d’aeroplano in un’ora atterrano a Fiagnano. Dopo aver riposto i due grifoni nello stemma sullo scudo, papa Onorio mi lascia con queste parole: “Metti al dito quest’anello col mio stemma, una piccola croce con Gesù, che ti protegga ogni giorno di più:” Poi in breve si eclissa alla mia vista, fin che non lo vedo più; son colto per un istante dalla commozione, ma poi rapidamente entro nel sotterraneo dove i miei amici mi stanno aspettando con apprensione. “Ragazzi, son qua, son tornato” mi annuncio ad alta voce, poi, giunto fra loro, vedo che c’è una persona nuova, uno vestito da vampiro: “E questo chi è, Dracula il vampiro? Cosa c’è, un carnevale estivo?!” chiedo fra il sorpreso e il divertito; “E’ proprio lui, Dracula” mi rispondono in coro “E’ giunto fin qui dalla Transilvania attratto da un inebriante profumo di sangue sopraffino, che ha fiutato col suo fiuto raffinato. Ci ha chiesto un po’ di quel sangue da bere, ma noi glielo abbiamo rifiutato” “Ma io sono molto assetato, dopo un viaggio così lungo che mi ha tanto stancato” fa il vampiro e aggiunge indicando Geo e Viana:

54


“Fatemi almeno succhiare un po’ di sangue dal collo di quelle due belle ragazze…” al che Fritz e Franz, prendendolo a colpi di ramazze, gli gridano infuriati: “A konte Drakul, ma vaffankul!” allora lui offeso, mostrando i suoi bianchi canini bramosi di sangue, lancia un lamento dal suo volto esangue: “Voi avete fatto una bella scoperta con quel sangue divino, ma io son cinquecento anni che vivo di solo sangue e non mi hanno mai dato il premio Nobel e nemmeno l’Oscar alla carriera come personaggio cinematografico più famoso fin dai tempi del muto. Per decenni mi hanno fatto apparire mostruoso, diabolico e repellente, e solo di recente anche buono e piacente. Mi facevano sempre morire con un paletto piantato nel petto, o dissolto dalla luce diurna perché tardavo a rientrare nell’urna; oggi, con la crisi mondiale, anche al mio paese le cose van male, tanto che ho svenduto il mio castello a una multinazionale, che mi usa come zimbello per far soldi con un turismo dozzinale. Ora, però, voglio riappropriarmi della mia identità vera, quella del principe Vlad detto Dracul, il ‘Diavolo’, personaggio storico che lottò ferocemente per difendere il credo cristiano contro l’invasore musulmano. E adesso che vedo qui questo giovane crociato con l’aria del capo, chiedo di essere anch’io nel vostro gruppo arruolato; tenetemi con voi, ve ne prego, e di succhiar il sangue me ne frego. Fatemi solo qualche periodica trasfusione, come purificazione, e sarò per sempre a vostra disposizione.” Siccome il mio ruolo di capo vale in quanto nominato tale dall’autorità papale, perché la sua richiesta non sia fatta invano chiedo che sia messa al voto per alzata di mano; tutte le mani s’alzano per il ‘sì’ e quindi il principe-conte Dracula può restare qui, anche perché, provenendo dalla Romania, è cittadino comunitario e non si può mandare via. E adesso, col vostro permesso, credo che qualche giorno di relax mi sai concesso; lo faccio per accontentare mia nonna Cristina, altrimenti mi rompe le bilie dalla sera alla mattina. Dieci giorni a Cesenatico a rosolarmi e rinfrescarmi le chiappette sul mare

55


Adriatico, mi ritempro con belle nuotate e intanto preparo il mio piano di battaglia riproducendo il centro di Bologna sulla sabbia e con la sabbia costruisco ogni più importante monumento come punto strategico di riferimento. Intorno a me tanti bambini mi danno un giocoso aiuto coi loro pupazzetti e soldatini. Poi anche l’estate se ne va portandosi via il caldo e le vacanze, lasciando in molti cuori ricordi e speranze. La mia più grande speranza è di condurre una crociata fortunata; lo storico evento si sta avvicinando e sta a meno solo decidere quando, intanto preparo libri e quaderni per il ritorno a scuola, uffa che noia! Invidio quelli che hanno finito di studiare e non hanno nulla da fare, mentre io avrò molto da fare e non so come fare per fare quello che devo fare, così fra il dire e il mare c’è di mezzo il fare. E fare quel che si può fare non sempre è quel che si vuol fare. 14 settembre 2010, inizia il nuovo anno scolastico. Ho dodici anni e frequento la seconda media; quest’anno c’è una novità: bravi o sfigati, con più di cinquanta giorni di assenza si è bocciati. Bene! Per la mia crociata di giorni me ne bastano meno della metà, poi si vedrà. Domenica 10 - 10 – 2010, vado su a Fiagnano, solo una scappata approfittando di questa simbolica data per vedere come va la mia ‘allegra brigata’: baci e abbracci, tranne col vampiro di cui ancora tanto non mi fido. “Ma come” mi fa Dracula “Ma se sono più fido del cane Fido e sulla mia fedeltà chiunque sfido! Di sangue non ne ho più succhiato, perché me lo sono solo trasfusionato e mi sento in ottimo stato.” “Va bene” dico io “E siccome non si vive di solo sangue con lo stomaco che langue, ecco qua cosa vi ho portato…” ed estraggo dal mio zainetto pane, salame, birra e qualche dolcetto. Trascorriamo alcune ore in allegria, poi decidiamo unanimemente di attendere il 2011 prima di intraprendere qualsiasi azione concreta, fidando che ogni nostra intenzione resti segreta. 23 Dicembre 2010-6 Gennaio 2011: trascorro le festività natalizie nel modo più tradizionale col presepio e l’albero di Natale. Il 31 dicembre, a mezzanotte, dò un addio al 2010 che se

56


ne va, dandogli un bel dieci per quel che mi ha dato: l’incarico più ambito e mai sperato di salvare l’occidente da ogni male e accidente. Saluto poi il 2011 con un festoso benvenuto e un goccio di spumante, dandogli fin d’ora undici per voto, anche se non c’è in pagella, purchè mi dia la vittoria più bella. Questo è il centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia: festeggiamo tutti gli eroi e gli uomini di vaglia, cui dobbiamo quel grandioso evento che per la storia ha il nome di Risorgimento! Passano i giorni e il primo quadrimestre a scuola per me si chiude bene, spero che anche la mia crociata possa andare altrettanto bene. Arriva anche il carnevale e il mio pensiero torna indietro un anno, quando salii lassù a Fiagnano con affanno, in quel castello che fece il mio futuro assai più bello, trasformando un costume da carnevale in un simbolo sacrale, che più d’ogni altro vale. Per onorare tale evento ho deciso in questo preciso momento, ai fini della prossima crociata, di indire una riunione per definire un piano d’intervento.

57


Carnevale 2011, assemblea generale a Fiagnano. Ordine del giorno: definizione di un Piano Operativo relativo all’attuazione della IX Crociata, tutti i membri sono stati convocati via etere. Sono presenti tutti i membri, così rappresentati:

MICKY DI FIAGNANO

-

Templare, Organizzatore e Guida

DOTT. PROF. ETTORE MAJORANA

-

Fisico Ricercatore

GEO E VIANA

-

Aliene del pianeta Geovia (Giove)

FRANZ E FRITZ

-

Ufficiali Paracadutisti III Reich

CONTE DRACULA PRINCIPE VLAD

-

Vampiro Svampirato

RICCARDO CUOR DI LEONE

-

Re d’Inghilterra

ENZO DI SVEVIA

-

Re di Sardegna

MANFREDI DI SVEVIA

-

Re di Sicilia

CORRADINO DI SVEVIA

-

Imperatore del Sacro Romano

Impero Germanico

PAPA ONORIO II

Assistente e Guida Spirituale

-

58


Presiede l’assemblea Micky di Fiagnano, che ha la parola: “Siamo tutti qui seduti intorno ad una tavola rotonda, a dimostrazione che fra noi c’è un’uguaglianza assoluta e che tutte le decisioni son prese all’unanimità. Prima di esporre il mio Piano Operativo chiedo se qualcuno ha qualcosa da dire” si alza re Enzo di Svevia e chiede la parola, con l’assenso di tutta l’assemblea. “Amici miei” inizia il biondo sovrano svevo “Avevo circa l’età di Micky quando, nel 1228, con mio padre l’imperatore Federico II di Svevia, presi parte a quella che fu la sesta Crociata. Ero alto e snello; i miei capelli d’oro lucente e gli occhi due gocce di mare. Mio padre inviò araldi e ambasciatori al sultano d’Egitto al-Kamil, col quale intratteneva buoni rapporti, per annunciare il suo arrivo a Gerusalemme. Tutto il mondo di allora riveriva il gran nome di mio padre imperatore, e tutti di lui avevano rispetto e timore, tanta era la sua potenza d’arme e d’intelletto che ognuno chinava il capo al suo cospetto. Il sultano, uscito in corteo sfarzoso da Gerusalemme, ci venne incontro solennemente; quando i due cortei furono uno di fronte all’altro, una giovinetta della mia età, che stava vicino al sultano, all’improvviso mi corse incontro fermandosi a due passi da me. Era snella come una gazzella, la sua pelle ambrata, i capelli di lucido ebano, la bocca piccola con labbra di corallo carnose; mi guardava estasiata con i suoi grandi occhi neri, che apparivano ancor più grandi spalancati su di me, poi esitante, mi si avvicinò e senza dir nulla allungò una mano sfiorandomi i capelli con leggerezza, quasi una carezza, continuando a fissarmi con stupore. Il sultano la chiamava: “Fahtmah, Fahtmah…” ed egli stesso con alcuni dignitari venne fino a noi, rivolgendosi a mio padre abbozzando un sorriso; mio padre conosceva bene l’arabo e fra loro si svolse un breve amichevole dialogo, che poi mio padre stesso, avviandoci tutti verso Gerusalemme, mi riferì dicendo che il sultano era favorevolmente colpito dall’attrazione da me esercitata sulla sua ultimogenita Fahtmah, che mi aveva scambiato per un angelo. Avevo la stessa veste da crociato

59


di Micky, quella veste che terrorizzava i saraceni, ma che ai suoi occhi mi faceva apparire più una creatura celeste che terrena; quella scena l’ho sempre negli occhi e nel cuore. La sesta Crociata fu l’unica dove non si versò neppure una goccia di sangue, ottenendo molto più di quello che non si era ottenuto con cruente battaglie. E ciò lo sa bene il qui presente Riccardo re d’Inghilterra, protagonista della III Crociata, che dopo sanguinosi scontri armati, concluse una pace onorevole col Saladino. L’imperatore mio padre ottenne pacificamente, seppure con alcune limitazioni, Gerusalemme, Betlemme e Nazareth, più un corridoio di collegamento fra Gerusalemme e il mare. La rievocazione di questo storico evento dovrebbe quindi indurci ad un incontro e non a uno scontro con la parte avversa, forti anche per i mezzi di persuasione e dissuasione in nostro possesso. Chiedo pertanto che questa mia proposta sia presa in seria considerazione e messa ai voti.” “Ringraziamo re Enzo per questo suo intervento e per quel bel ricordo che ci ha tutti commossi” intervengo io “Vedo poi che tutti noi concordiamo con quanto da lui proposto e quindi posso ora passare ad esporre il piano d’azione da me preparato. Come già precedentemente concordato, il piano operativo dovrà attuarsi nella città di Bologna, e precisamente nell’area compresa fra Piazza maggiore, Piazza Nettuno e le Due Torri, su una superficie complessiva di circa trentamila metri quadrati, in grado di contenere almeno sessantamila persone. In quest’area saranno convocati tutti gli islamici residenti a Bologna e Provincia, cui saranno distribuiti buonicasa e buoni-pasto gratuiti, oltre a biglietti omaggio per una crocierapremio nel Mediterraneo da effettuarsi nel periodo corrispondente alle festività pasquali, periodo da ritenersi il più idoneo per lo svolgimento della nostra Crociata. Gli interessati saranno informati da comunicati radiotelevisivi e mediante manifesti stradali almeno venti giorni prima della data di convocazione. Una volta riempita l’area interessata col maggior numero di presenze, sarà bloccata ogni via d’uscita dai presidi così costituiti: Piazza Maggiore, con direttrici sud per Firenze: Micky-

60


Riccardo Cuor di Leone. Piazza Nettuno, con direttrici ovest per Modena: Re Enzo-Re Manfredi-Imperatore Corradino. Due Torri, con direttrici est per Ravenna e Rimini: Franz e Fritz-Conte Dracula. A Geo, Viana e al prof. Majorana sarà affidata la sorveglianza aerea con l’astronave munita del Laser paralizzante e del devisual, la sostanza che rende invisibili. A questo punto, dal sagrato della chiesa di S. Petronio che domina la piazza, io terrò un discorso atto a persuadere i convocati a far ritorno ai luoghi di provenienza, abbattendo i governi dispotici che li hanno ridotti in uno stato di tale miseria da costringerli ad emigrare nei paesi occidentali per svolgervi umilianti lavori servili. In tale azione saranno supportati dalle armi invincibili in nostro possesso, di cui daremo loro un’efficace dimostrazione paralizzandoli per pochi minuti, dopo esserci resi invisibili. Dopo di che verranno convogliati sull’unica via d’uscita non presidiata, quella con direttrice nord che porta alla stazione ferroviaria. Da lì, raggiungeranno, con treni già predisposti, tutti i porti d’Italia dove si imbarcheranno per una ‘crociera’ avente come destinazione la Libia. Rovesciata la dittatura di quello stato e liberati tutti i correligionari internati nei lager, ognuno farà ritorno al proprio Paese, dove intanto ogni regime tirannico, terrorizzato da quell’evento, si è sgretolato.” Approvato all’unanimità il mio piano, approfittando del carnevale, andiamo tutti a Bologna ad ispezionare l’area delineata dal nostro piano d’azione. In Piazza Nettuno Re Enzo si commuove nel rivedere il palazzo che porta il suo nome, dove visse in prigionia dorata dal 1249 al 1272, anno della sua morte. Maggior commozione prova poi davanti alla propria tomba nella chiesa di S. Domenico, dove c’è pure la mirabile tomba del santo fondatore dell’Ordine dei Domenicani, i ‘canes Domini’. Per la nostra presenza e per i ‘costumi’ che indossiamo siamo guardati con ammirazione, ma anche con sospetto. Un figurone lo fanno i tre sovrani svevi e le due geoviane, che attirano gli sguardi degli opposti sessi, mentre io mi devo accontentare degli urletti delle solite bambine-ragazzine.

61


Giovedì Santo 2011, ha inizio la IX Crociata. Dopo aver invocato l’aiuto divino, ciascuno di noi prende posizione collocandosi nei punti indicati nel piano d’azione. Tutta l’area compresa fra la Piazza Maggiore e le Due Torri è gremita d’islamici; molte sono anche le donne e i bambini. Bene! Dal sagrato di S. Petronio rivolgo loro queste parole: “Fratelli musulmani, questa mia veste non vi incuta timore perché nel nome di Dio, vostro e nostro unico solo Dio, avete la mia promessa che tutti i vostri mali finiranno in poche ore e che da questo momento avrà inizio la vostra resurrezione, se solo seguirete quanto vi dico con la massima attenzione. La civiltà occidentale cristiana e quella orientale musulmana, ormai si è visto in milletrecento anni di lotte e tensioni, mai potranno integrarsi in quanto sempre più grandi son fra loro le divisioni. Riconosciamo che la vostra fede è più sincera, ma di cambiar la nostra con la vostra resta però per voi solo una chimera. Quindi ognuno si tenga la sua propria religione facendosene in cuor suo una ragione; tornate, figli di Allah, donde veniste e tutte le discordanze fra noi e voi saran riviste. Appropriatevi delle vostre terre e di quell’oro nero che ora è appannaggio sol d’ogni tiranno vero, abbattete tutti i dittatori che sono i vostri più grandi sfruttatori; ridate dignità alle vostre donne togliendo burqa e veli, senza conceder loro tanga e minigonne . Abolite mutilazioni e lapidazioni per più giuste punizioni, atterrate le grate che tante femmine e non donne tengono negli harem segregate e per la libertà riacquistata tutte loro saranno a voi per sempre grate. Cacciate sceicchi e sultani, sovrani sempre più ricchi che vi sfruttano tutti a piene mani, trattandovi da bestie e non da esseri umani; tutti questi despoti promettono, a chi fa più strage di infedeli, settanta vergini nel paradiso di Allah, mentre loro vergini e ricchezze se le godono di qua. Dividete equamente tra voi le vostre ricchezze, come vuole il grande Allah e il suo profeta Maometto, che nel sacro testo del Corano ha messo tutto il suo cuore e la sua mano.

62


Noi vi daremo la vittoria con queste armi invincibili, con cui caccerete anche i nemici più irriducibili; guardatele queste armi, son qui davanti a voi, son quelle che a voi daran difesa e a loro offesa, facendogli alzar le mani per la resa e levar le gambe in fuga innanzi a voi domani. Guardate quell’astronave lassù: al mio ordine mi renderà invisibile, paralizzando voi per pochi istanti; poi tutto, a un mio ordine, tornerà come prima così da meritarmi la vostra più alta considerazione e stima. Allah è grande e Maometto è il suo profeta: Giustizia e Libertà, questa è la vostra meta!” s’alza allora al cielo un grido corale: “Allah è grande e Maometto è il suo profeta: Giustizia e Libertà, questa è la nostra meta!” e a squarciagola io li esorto: “Seguite tutti la scia luminosa dell’astronave, che come una cometa vi condurrà sicuri alla vostra meta.” Una fiumana umana si riversa allora dalla piazza Maggiore e dalle Due Torri come una lunga processione giù giù fino alla stazione; tutti i treni son ben presto pieni e strapieni. Portano tutti ai porti d’Italia, dove una flotta di mille navi imbarca quella grande armata che poi, resa invisibile, sul litorale libico viene sbarcata. Dall’astronave il ‘raggio della morte’ paralizza chiunque opponga una resistenza armata; fugge il tiranno con pochi suoi fidati ben presto dal deserto divorati, mentre chi nei suoi lagher langue versando lacrime e sangue è finalmente liberato e ognuno della sua propria terra si è appropriato. Il giorno di Pasqua tutta Bologna si desta al suono delle campane a festa: si celebra la Resurrezione non solo del Signore, ma di tutta la popolazione e sull’esempio di Bologna, tutta l’Italia s’è desta e festeggia tale evento il 25 Aprile, giorno della Liberazione. Poi è la volta dell’Europa e dell’Occidente intero, per cui ognuno per aver difeso i suoi valori sarà sempre fiero. Ma non è finita qui; ora c’è da regolare i conti col nemico interno, quello che la vita ci rende ogni giorno di più un inferno. Così per dare alle Crociate un numero pari, finchè ci siamo facciamo anche la decima e più non ci pensiamo, sarà attuata al termine dell’anno scolastico in corso e tutti daranno il lor concorso, senza fare alcun ricorso.

63


Giugno 2011, è indetta la X Crociata contro il nemico interno costituito da: Casta-Cricca-Mafia-N’Drangheta-Camorra e lor aggregati. Tutti i luoghi di potere son circondati e in quest’azione siamo aiutati dalle forze dell’ordine, passate dalla nostra parte insieme a tutta la gente presente. Politici, burocrati, banchieri, magistrati e faccendieri in mutande son condotti incatenati in fila per le strade, dileggiati e condannati a lunghe marce prendendo in faccia pomodori e uova marce. Intanto si verifica un evento strepitoso: in tutti i luoghi dove politici e pubblici amministratori stanno celebrando il centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia, tenendo i soliti retorici e ampollosi discorsi davanti ai monumenti dei ‘Padri della Patria’, questi: Garibaldi, Vittorio Emanuele II, Cavour e Mazzini, animandosi, scendono dai loro piedistalli e rincorrono quei falsi celebratori prendendoli a calci nei posteriori, fino poi a spingerli fra i loro ‘colleghi’ che già sfilano in mutande, tanto che la fila di tutti questi parassiti s’ingrossa e si espande. Il nostro più vivo ringraziamento va ai quattro grandi del Risorgimento, che col loro intervento han dato vita a questo incredibile portentoso evento. Tutti i componenti della Casta e della Cricca con tutti i personaggi televisivi che hanno lasciato mogli e figli per prendersi escort e veline, vengono imbarcati a forza su enormi zatterone per ignota destinazione in compagnia delle più laide velone. Tutti i mafiosi son portati in crociera ai Caraibi, dove son gettati in mare zavorrati per essere dagli squali divorati. Grandi fratelli, Grandi sorelle, Tronisti, Troniste, Porcelli e Porcelle, con tutte le Veline hanno per sempre l’obbligo di pulir cessi e latrine, e perché ciascuno dietro ai propri vizi più non si perda, la loro vita d’ora in poi sarà solo di merda. Trans ed escort, sporcaccione e sporcaccioni compromessi con la casta, sono affidati al Grande Inquisitore Sadomaso d’Aquino, d’ogni pervertito gran persecutore. Egli dei ‘Flagellanti’ è il degno fondatore, quelli che in fila si prendono a frustate tutte le ore, sferzandosi la schiena nuda con la voluttà più cruda; naturalmente l’ultimo della fila è sempre lui, Sadomaso, molto

64


sado e poco maso, perché di frustate ne dà sempre molte più di una, senza riceverne mai alcuna. Sadomaso d’Aquino annota i nomi degli affidati al suo giudizio sul proprio taccuino, facendone poi la trascrizione sul libro ‘AD FLAGELLUM’ di prossima pubblicazione, dove riporta l’elenco di tutti i condannati alla flagellazione, indicando per ciascuno la motivazione. Nell’elenco figurano molti nomi famosi di personaggi della politica, del cinema e della TV, tutti quelli che alla gente, bene o male, interessano di più. L’Occidente così ben ripulito, dopo aver dato a criminali e parassiti il benservito, torna ad essere quel faro di progresso e civiltà per il benessere dell’intera umanità. Ma di tutta questa storia c’è pure un finale rosa, perché Geo e Viana a Franz e Fritz ognuna va sposa; la cerimonia è celebrata a Fiagnano da papa Onorio di sua mano, col prof. Majorana testimone per le spose e Dracula per gli sposi. Tutt’intorno, Riccardo Cuor di Leone, i tre Svevi ed io applaudiamo e le lucenti spade al cielo alziamo, invocando con tono devoto e pio ogni giorno di più sugli sposi la Grazia di Dio. Con quell’unione nazigeoviana si realizza la più pura razza ariana, e il Fuhrer dall’inferno manda un ghigno paterno, che tutti noi ricambiamo con l’augurio fraterno di bruciare laggiù fra le fiamme in eterno. Poi ognuno segue il proprio cammino; il prof. Majorana, ora scienziato di gran fama, vorrebbe ricontattare la Montalcini, sua vecchia fiamma negli anni venti al liceo e all’università, per vedere se ora la Rita Levi ci sta, perché allora lo respingeva sempre dicendogli che non aveva l’età. Quarant’anni prima che la Cinquetti, dicendo la stessa cosa, vincesse a Sanremo con ‘Non ho l’età’. Ora che la scienziata, premio Nobel, l’età non ce l’ha più perché ha cent’anni e più, l’insigne professore, con una trasfusione di sangue divino, le darebbe l’età giusta per essere la partner più giusta sempre a lui vicino. Riccardo Cuor di Leone e i tre sovrani Svevi, fulgide stelle, tornano lassù in Paradiso fra le anime belle e chissà se re Enzo in quell’immensità celeste non

65


incontri la bella Fahtmah, che in lui con la rossa croce sulla bianca veste vide un’entità celeste. E il buon Dracula che fa? Tolti i canini, tolto il mantello, gettate le ali da pipistrello, ora vuol tornare in Transilvania nel suo castello e, come ‘Principe Vlad il Menestrello’, ha intenzione di incidere una canzone che ha per titolo “La più grande Tenzone”, dove farà, delle due crociate vittoriose, la più grande celebrazione. E a me, che fui alla testa della Grande Tenzone, resta la più grande gloria, poiché d’ora in poi tutti i testi di storia riporteranno che le crociate non otto furon ma dieci, e colui che guidò le ultime due fu, come ben scritto appare, Micky di Fiagnano. L’ULTIMO TEMPLARE. “Micky svegliati, dai che è tardi!” “Geo…Viana…siete voi?” “Ma cosa dici?...sono Eliana, la mamma…alzati, su dai! I tuoi compagni ti aspettano per festeggiare il carnevale. Alzatiii!” “Dove sono Majorana… gli Sevi…Dracula?” “Dracula? Hai avuto un incubo?!” “No…nooo… non un incubo…no…è stato tutto un sogno…un sogno bellissimo! Ma i sogni, si sa, a volte diventano realtà…” Sogno o realtà stamattina saprò la verità. Io e miei compagni sui pulmini raggiungiamo un ampio spiazzo situato a circa un chilometro da Fiagnano. Mentre loro di divertono rincorrendosi, io con la mia veste da crociato, raggiungo in pochi minuti l’abitato deserto di Fiagnano. Scivolo lungo le rovine del muraglione sul calanco fino alla frana, che c’è. C’è anche il cespuglio di rovo: lo scosto e scopro il pertugio. Fin qui tutto corrisponde al vero; non vedo però né le due aquile né il papa Onorio. Questo vorrebbe significare due cose: che non ci sono mai stati, o che la loro presenza non è più necessaria a seguito del successo della Crociata e per il trasferimento del Santo Graal da parte del prof. Majorana. Superato il cunicolo, percorro l’intero sotterraneo fino al laboratorio, completamente vuoto: un’altra conferma di una realtà esistente. In un angolo del vano noto però un cedimento del pavimento, su cui intervengo togliendo alcune piastrelle sotto le quali c’è un coperchio, che sollevo scoprendo una botola fornita di

66


una scala a chiocciola. Discesi i tortuosi gradini di pietra facendomi luce con la torcia elettrica, giunto sul fondo mi blocco dalla paura: sul pavimento tanti sassi di varie dimensioni si muovono intorno a me fino a circondarmi. Hanno forme mostruose di sole teste con occhi e bocche colorati. All’improvviso, una voce cavernosa lancia l’ordine: “Mostriciottoli, fermatevi!” L’ordine è eseguito all’istante ed ogni sasso si ferma. Illumino il fondo della stanza, una specie di grotta col soffitto a volta, e mi appare la figura imponente di un templare ricoperta da uno strato di polvere secolare, con la spada e lo scudo incastonati nella veste del colore della sabbia. L’elmo è una forma fra il casco e il teschio. Sembra una figura di pietra, una statua sbozzata in un masso arenaceo. Si rivolge a me nel tono di comando: “Chi sei tu che fin qui sei giunto? Avvicinati che ti possa meglio vedere con questi occhi per tanti anni spenti, com’è pur l’udito mio; perciò parla forte ch’io intenda il tuo dire per rivolgere poi a te ogni mio riferire, chè il lungo sonno mio è sul finire. Vesti la veste del templare e a te sarò per sempre grato perché la presenza tua m’ha rigenerato”; e io a lui di rimando: “Sono Micky di Fiagnano, consacrato templare da Onorio II, il papa che qui è nato. Ho condotto due crociate con successo: la nona crociata, riportando milioni d’islamici nei loro siti d’Africa e d’oriente, dopo ch’eran giunti stremati ed affamati in occidente. Li ho aiutati a conquistare la libertà e la democrazia abbattendo i tiranni che li dominavano con spietata supremazia. E la decima crociata, con cui ho cacciato la Casta di privilegiati che ci rendevano sempre più poveri e sfruttati.” “Mio giovane e bravo cavaliere” mi risponde con tono di piacere “Con te mi compiaccio per aver fatto bene e con mestiere il tuo dovere. Ed ora ti racconto la mia storia, se d’ascoltarmi tu hai tempo e voglia.” Al mio annuire risponde col dire: “Questi che tu vedi qui a me vicino ed essi pure pietrificati, sono la sposa mia Ubalda della Bernarda e i nostri figli Ubalduccio e Ubalduccia, detti Duccio e Duccia; e ai loro piè si accuccia la fedele cagnetta Puccia. Il mio nome è Ubaldello

67


degli Ubaldelli, feudatario di parte ghibellina, quella che all’imperatore attribuiva la potestà terrena e la divina. Servii la casa imperiale di Svevia, seguendone la sorte giurandole fedeltà fino alla morte. Nel 1249, appena quindicenne, fui alla Fossalta dove i bolognesi fecero prigioniero il giovane re Enzo; ed io, benché mi fossi battuto con bravura, scampai alla cattura celandomi sotto il ponte di S. Ambrogio per mia fortuna. Nel 1260 fui coi senesi comandati dal grande Farinata degli Uberti nella vittoriosa e sanguinosa battaglia contro i guelfi fiorentini a Montaperti. Nel 1266 fui col re Manfredi a Benevento contro Carlo d’Angiò in quell’avverso evento in cui i francesi, superiori in forze del cinquanta per cento, ebbero su di noi il sopravvento. Nel più grande scompiglio vidi il mio valoroso sovrano colpito al cuore e a un sopracciglio. A colpi di spada fra quella rabbiosa marmaglia mi feci strada e sottrassi il suo corpo al più empio scempio. Con un filo di fiato egli chiese perdono d’ogni suo peccato; poi tacque ed ai miei piedi giacque. Chiusi i suoi occhi di color del cielo pregando la misericordia divina d’accogliere l’anima sua nel più alto cielo e il suo corpo ricoprii col mio mantello a mo’ di velo, dopo averne incrociate le braccia sul petto con somma commozione e gran rispetto. L’occultai poi sotto un cumulo di sassi e mi allontanai quindi a lenti passi. Ma peggior sorte toccò al sedicenne imperatore Corradino, nipote di re Enzo e di Manfredi, che sceso in Italia nel 1268 per riprendere il regno degli Svevi, tradito ad arte da alcuni signori di sua parte, fu dal nemico angioino imprigionato e poi con crudele viltà decapitato. Ed io nulla potei fare per salvare quel giovane malcapitato. Unica consolazione fu che nel 1282 la rivolta dei Vespri Siciliani cacciò dal regno di Sicilia i rapaci d’Angiò e sul quel trono andò Pietro II d’Aragona, la cui moglie era Costanza, figlia di re Manfredi. Così qualcosa del casato di Svevia di salvò. Nel 1289 combattei a Campaldino coi ghibellini aretini contro i guelfi fiorentini. A un punto della sanguinosa battaglia vidi il capo di mia parte Bonconte da Montefeltro circondato da ogni parte da dieci feditori, nobili cittadini costituenti la cavalleria leggera col compito di

68


sfondamento all’inizio di ogni combattimento. Corsi in suo soccorso battendomi con la forza d’un orso. Quattro ne abbattè la lama mia ed altri due furon colpiti da Bonconte, mentre tre di loro, vista la malaparte, si diedero ad una fuga disperata. Uno sol ne rimase, che con rabbiosa lena colpì mortalmente Bonconte alla gola e alla schiena. Il capo ghibellino, barcollando sul cavallo si allontanò verso un profondo vallo. Poi, quel dannato feditore si rivolse contro me con furore tagliandomi la strada e con un fendente mandò all’aria la mia spada. Schivai un suo colpo mortale, ed impugnata la mia mazza ferrata approfittai di una sua mossa errata e un colpo gli calai sulla celata, tanto che la sua faccia mi fu interamente rivelata. Vidi due occhi di fuoco e un gran naso aquilino che parevano trafiggermi da vicino. Ma la mia mazza sfiorò solo la sua faccia, che mai potrò scordare, mi piaccia o non mi piaccia. Quindi di quel nemico più non mi curai, evitandogli peggiori guai, e seguii le impronte di sangue di Bonconte, che trovai steso nel secco letto del torrente Archiano con le braccia incrociate sul petto. Il cielo si fece all’improvviso nero e si scatenò una tempesta d’una violenza tale da essermi quasi fatale. Mi sottrassi a quella furia infernale dando di sprone al mio cavallo lanciato al galoppo oltre il profondo vallo. Tutta la piana di Campaldino si mutò in un immenso acquitrino e il corpo di Bonconte, che io tentai di salvare indarno, dalle acque fu travolto e dall’Archiano fu gettato in Arno e dall’Arno in mare senza che io per lui potessi nulla fare. La vittoria arrise quel giorno ai fiorentini, di numero maggiore rispetto agli aretini. A stento sfuggii alla cattura, tanta era la rabbia dei guelfi fiorentini per aver io abbattuto tanti lor concittadini. Ormai per me non era più sicura ogni parte d’Italia perché sulla mia testa pendeva una gran taglia. Anche il mio castello fu distrutto e saccheggiato e di ciò fui molto amareggiato. Allora pensai di farmi crociato e con la sposa mia e i miei figlioli, pur essi abili nel maneggiar la spada, per la Terrasanta presi la strada. Colà arrivati contammo solo un migliaio di crociati. Era l’anno 1291 e

69


dopo quasi due secoli di scontri cruenti, capimmo che per noi cristiani combattenti non c’era più nulla da fare per arrestare una marea di mussulmani fanatici credenti. L’ultimo di quei luoghi sacri ad essere abbandonato fu San Giovanni d’Acri. C’imbarcammo su un piccolo naviglio, ma al largo ci sorprese una tempesta con tuoni, fulmini e lampi che Dio ancora ce ne scampi. Un’onda furiosa spazzò il ponte della nostra imbarcazione danneggiando gravemente il timone, e mentre per la sua riparazione ci davamo da fare, un vecchio mercante ebreo ch’era con noi finì in mare. Fortuna volle che in quella furia folle ebb’io l’accortezza d’afferrare il disgraziato per la lunga barba sua e di riportarlo in salvo a prua. Egli, seppur mezzo affogato, giurò d’essermi per sempre grato e per dar prova della sua riconoscenza mi fece dono d’una cassetta che custodiva con cura e diligenza. “Prendila, è tua…” mi disse affannato “Qui è celato quel ch’ogni cristiano, crociato o non crociato, ritiene essere il bene più sacro e più bramato. Quando sarai giunto nella terra tua amata, saprai cos’è la cosa qui celata.” Ringraziai quel poveraccio con un forte abbraccio, ma portandolo al coperto in braccio m’accorsi ch’era spirato per lo spavento e per l’addiaccio. La curiosità di sapere cosa c’era in quella cassa era tanta, ma la parola data a quel vecchio non andava infranta. Dopo dieci giorni di perigliosa navigazione giungemmo finalmente a destinazione prendendo terra sul litorale piano di Fano, dove potemmo, con grande emozione, aprire la cassetta donataci dal vecchio mercante e all’istante, avvolto in una vecchia pergamena ci apparve, circonfuso di una luce abbagliante, un calice che una scritta sulla pergamena indicava come il Santo Graal. Caduti in ginocchio ci facemmo il segno della croce recitando una preghiera ad una sola voce; poi, sul fare della sera, col cuore gonfio di commozione, c’incamminammo senza una precisa destinazione, e dopo aver percorso la Romagna con circospezione, trovar riparo in questo castello di Fiagnano fu per noi la miglior situazione. Nel luogo non c’era nessuno, ma il portone d’accesso era sbarrato e la cinta muraria invalicabile, per cui l’aggirammo dalla parte del calanco con estrema

70


prudenza per non cader nel vuoto al nostro fianco. Fatti pochi passi notammo un grosso masso che spostammo usando un palo a mo’ di palanco; poi, rimosso un mucchio di terriccio, scoprimmo un cunicolo che percorremmo strisciando per un breve tratto fino a giungere in una grotta rischiarata da due pallidi raggi di luce gialla. Quei raggi si spostarono su di me e in quel momento a terra sentii uno strano rumore, come degli oggetti in movimento. Poi, qualcosa s’attaccò al mio mantello; allungai una mano, ma un morso quasi mi staccò un dito. Allora afferrai la mazza e menai più colpi che potei a terra, dove con la luce mossa scorsi tanti sassi dalle forme mostruose che si muovevano intorno a me con mosse sinuose. Gettai via il mantello e con la mazza ne fracassai più che potei, finchè si ritrassero dai piedi miei. Intanto la luce si fece più diffusa e mi apparve ben visibile un essere orribile, la spaventosa visione d’una pantera con testa di leone. La luce che illuminava sempre più quel luogo proveniva dai suoi occhi e mi accorsi che non era un animale, ma un masso che si muoveva ed emetteva suoni gutturali che sembravano parole innaturali. Forse era un segnale, perché tutti quei sassi mostruosi si fermarono e così bloccati potei vederli bene: erano tante teste deformi con bocche e occhi colorati. Forse avevano capito che avrei potuto distruggerli tutti, perché quella specie di pantera leone – che seppi poi essere il loro re – cambiando posizione si avvicinò a me abbassando la testa in segno di sottomissione; poi m’invitò a seguirlo con un gesto ed io gli tenni dietro lesto. Per una scala in pietra salimmo su un piano più alto del terreno da cui, percorso un sotterraneo, giungemmo all’interno del castello, dove potemmo fornirci di una sostanziosa scorta alimentare. Successivamente, presa conoscenza del luogo, occultammo ogni accesso mediante passaggi segreti, e in una parete del sotterraneo murammo il Santo Graal ponendo una lapide in latino. Poco alla volta apprendemmo il linguaggio del re di quei sassi denominati “MOSTRICIOTTOLI”, il nome del quale era Inqubo – col q come quore e qulo e non col c come cuadrato. “Un Inqubo sgrammaticato”, l’interrompo io. Ma lui,

71


non intendendo il mio dire, continua il suo racconto: “Inqubo mi fece capire che la sua lingua era quella degli antichi celti, che abitarono quel luogo tanto tempo prima e che furono gli stessi Celti, adoratori d’alberi e di pietre, a dar vita a lui e al popolo del Mostriciottoli colorandogli bocche e occhi. Un giorno re Inqubo ci presentò a Wagina, gran regina e sua sposa, che viveva occultata in un’alcova generando con oscena posa mostriciottoli a iosa. In tutta coscienza posso ben affermare che mai vidi io nel corso dell’intera mia esistenza una simile indecenza. Col tempo, finite le provviste, imparammo ad alimentarci come loro ingerendo il terreno ricco di minerali e poco a poco la nostra carne, con quella nuova dieta, si fece pietra. Poi in questa grotta tutti ci chiudemmo e da lì più non ci muovemmo. Ma dimmi or tu perché sullo scudo tuo porti lo stemma mio? Sei tu forse a me discendente ed io a te son avo? Ed è per questo che a condurre le tue crociate fosti tanto bravo?!” Al che gli rispondo io: “Questo è lo scudo con lo stemma di mio bisnonno Camillo e io sono il figlio della figlia di suo figlio.” “Allora tu sei sangue del mio sangue e se buon sangue non mente tu sei veramente mio discendente , e per tener alta la nostra genealogia a te darò compagna questa figlia mia, che è la più bella d’ogni reame che ci sia. E’ fresca e odorosa come una rosa e quando Dio vorrà sarà tua sposa.” “Duccia è tanto caruccia” gli rispondo “ Ma una nostra unione, a scanso di guai, avverrà più tardi che mai perché, come ben sai, un crociato è sempre impegnato ad ottenere il miglior risultato. E poi penso proprio che nessuno la vorrebbe come sposa finchè ella resta così pietrosa. Voglio poi anche svelarti che il santo Graal non è più nel luogo ove tu l’occultasti…” “Che mi stai dicendo?!” m’interrompe egli infuriato, urlandomi sdegnato: “Qual mano sacrilega l’ha mai violato? Chi tanto ha osato per sempre sia dannato!” “Frena la tua ira, avo mio” replico io a lui con tono moderato “Perché colui che ora ne ha il possesso è pur esso amico mio: si chiama Majorana ed è scienziato di gran fama. Pensa che col prezioso sangue di Gesù ogni malattia non ci sarà più e tutti potran vivere felici assai di più” “Ma che mi dici

72


tu?... Questa è pura follia, la più grande eresia che ci sia!” ribatte con veemenza, non credendo al potere della scienza. “Se dubiti ch’io sia con te sincero, presto con gli occhi tuoi vedrai che ciò che ho detto è vero.” Così dicendo senza esitazione col cellulare contatto Majorana spiegandogli la situazione; e lui, lieto di sentire la mia voce, mi rassicura sul ‘vivavoce’ con queste parole: “Domenica devo essere a Ravenna per una riunione, ma prima potremmo incontrarci lì a Fiagnano; facciamo per le otto, ti va bene?” “Benissimo… Allora a domenica e stammi bene.” La domenica, dopo aver informato mia madre che mi sarei assentato per tutta la giornata, alle otto in punto sono a Fiagnano dove pochi attimi dopo atterra un elicottero pilotato dal mio amico Majorana, che mi corre incontro abbracciandomi. “Avevo proprio voglia di vederti” gli dico con calore “Ma dimmi come sta la tua illustre moglie” “Rita sta molto bene” mi risponde con un sorriso “E ti annuncio con grande piacere che attendiamo un erede…” “Questa è la più bella notizia che tu possa darmi; e avete già deciso che nome gli darete?” “Sì…lo chiameremo Neutrino” mi fa lui con un po’ d’imbarazzo “Non perché sia di sesso incerto, ma per onorare una grande scoperta fatta da noi ricercatori italiani” “Di che scoperta si tratta? Puoi dirmelo?” lo incalzo con curiosità “Ma certo…e penso proprio che sia una delle maggiori scoperte in assoluto” mi fa lui con orgoglio “Praticamente abbiamo accertato, per ora solo in via sperimentale, che la velocità del neutrino è superiore a quella della luce: 007NANOSFERE!” “Caspita! Ma cosa c’entrano l’agente 007 e le sfere del nano?” gli chiedo stupito “Ma cosa hai capito? Questi sono termini scientifici ignoti a voi profani” mi risponde con ironica sufficienza. Ma con altrettanta ironia prontamente gli ribatto: “Io sarò un prof.ano, ma voi scienziati di gran fama con tutte le vostre nano sfere, i neutrini e i neutroni avete un po’ a tutti rotto i coglioni. Ma adesso seguimi che ti voglio mostrare qualcosa di mostruosamente mostruoso” E lui, lasciando la sua aria distratta, m’incalza: “Andiamo, dai, che son curioso di sapere di che si tratta!” Per l’angusto passaggio

73


raggiungiamo la grotta sotterranea e nella luce giallastra appare quel presepe vivente fatto di creature mostruose che si muovono tortuose. “Ma questo è un incubo!” grida atterrito l’allibito Majorana. “Certo” faccio io “Perché Inqubo è proprio il re di questi sassi deformi, il popolo dei mostriciottoli; e questa luce proviene dal suo sguardo terrificante…” “E quella pietra laggiù a forma di gran gnocca?...” Mi chiede con voce soffocata in bocca. “Ah, quella è la gran regina Wagina, madre di tutte queste schifose creature e schifosa essa pure” gli spiego con un po’ di ripugnanza. Ma lui, all’improvviso, cambiando l’espressione del suo viso da schifata ad arrapata, esce con questa sparata: “Visto che l’Italia è una repubblica burocratica fondata sulla gnocca e sulla natica, e che lo stesso Cavaliere, ch’era partito col partito ‘Forza Italia’, vuol ora rifondare il suo partito col partito di ‘Forza Gnocca’, dalla mia mente scocca l’idea un po’ tocca di offrire allo stesso Cavaliere, come logo di “Forza Gnocca”, quella gran gnocca pietrosa che è la regina Wagina. Sarà pure un loco un po’ loco, cioè pazzo, ma vincente contro un’opposizione da strapazzo! Un logo che vale più dei cinque milioni cuccati dalla Ruby!” “Un’idea geniale!” gli rispondo entusiasta “Ma diamoci da fare prima che qualcuno ce la rubi” E così dicendo mi metto a scattare alla regina una serie di foto col mio cellulare. Poi, finita questa operazione, rivolgendomi a lui con un po’ di commozione gli dico: “Ed ora, caro professore, ho l’onore di presentarti quattro crociati miei antenati: il tempo lì ha alquanto pietrificati perché è dal 1291 che sono in questa grotta, ma dobbiamo essere per sempre loro grati in quanto furon proprio loro a portare il Santo Graal dalla Terrasanta in questo sito, ed ora ciascuno per nome te li cito: Ubaldello, la sua sposa Ubalda, i figli Duccio e Duccia e la loro cagnetta Puccia che laggiù s’accuccia.” Poi, in breve, gli racconto la loro storia di lotta e di gloria, e il grande scienziato dopo aver elogiato il loro operato li rassicura con queste parole: “D’accordo con Micky, ho qui con me il Santo Graal, ed ora farò su di voi un’operazione che vi darà la più grande emozione, riportandovi a quella che in vita fu la migliore vostra

74


condizione.” Così dicendo versa nella bocca di ciascuno dei miei avi, come fosse vino, qualche goccia di sangue divino, e in un istante quelli riassumono le loro più belle sembianze e increduli per quanto accaduto si guardano, si toccano, si muovono…poi, lanciano un grido di gioia e fra lacrime e sorrisi ci abbracciano baciando i nostri visi. E’ una scena commovente: nel tempo presente poter stare coi miei avi medievali; e i settecento anni che ci separano in un attimo scompaiono. Ma ci siamo scordati di Puccia, che ci guarda tenerina standosene a cuccia: un po’ di sangue di Gesù nella boccuccia e la cagnetta corre su e giù come una saetta finendo vicino a me che sto lì chino, e sulla guancia mi stampa un bel bacino. Poi salta in braccio ai suoi padroni che con lei son sempre stati molto buoni, tanto che è la cagna più longeva dai tempi di Adamo ed Eva. Dopo aver goduto tutti contenti quei felici momenti, riponiamo il Calice sacro e puro dentro il muro, non collocandovi più la lapide per farlo stare più al sicuro. Finito quell’avvenimento così bello, Majorana m’invita ad andare con lui a Ravenna insieme ad Ubaldello. L’elicottero appare agli occhi del mio avo come una gigantesca libellula e gli aerei sfreccianti nel cielo enormi aquile argentate, per lui opera di maghi e fate. In dieci minuti siamo già sulla città che, per la sua posizione conveniente, fu dal 402 capitale dell’Impero romano d’Occidente, e possiede la più grande vetrina di tutta l’arte bizantina. Scesi a terra, mentre il professore va alla sua riunione, noi due visitiamo Ravenna rione per rione; ma il gran bordello del traffico veicolare lascia stupito e spaurito il povero Ubaldello, che io subito rincuoro rendendolo edotto su tutto ciò che il progresso scientifico e tecnologico ha prodotto. Intanto il tempo passa in un baleno e, trascorse due ore, Majorana è di nuovo con noi e tutti e tre insieme ci avviciniamo all’elicottero parlando del più e del meno. Ad un certo punto il professore si fa pensoso e mi dice: “Sono preoccupato per il nuovo forte flusso migratorio dai paesi arabi verso l’Europa, dovuto al fatto che, nonostante l’abbattimento di molti tiranni, in quei paesi il processo di transizione verso la libertà e

75


la democrazia ha generato uno stato di forte tensione e confusione, che allontana la possibilità di una rapida e soddisfacente soluzione. C’è poi il forte rischio che il potere vada ai fondamentalisti islamici, quelli che praticano la Sharìa, la legge islamica che contempla i più duri supplizi; e in Egitto i ‘Fratelli islamici’ uccidono centinaia di cristiani copti, i discendenti degli antichi egizi. Stavo pensando a una nuova crociata…” “Per il momento direi di aspettare” replico io “E intanto diamoci da fare per evitare col mondo islamico ogni contrasto, dal più piccolo al più vasto; e visto che siamo a Ravenna e qui c’è la tomba di Dante, potremmo risvegliare il sommo poeta dal suo sonno eterno per fargli cambiare i versi della ‘Divina Commedia’ dove condanna Maometto all’inferno.” Tutti e tre d’accordo in pochi minuti siamo davanti al sepolcro del poeta e, approfittando dell’assenza di visitatori, non senza alcuna difficoltà riusciamo a trafugarne le spoglie; poi, senza che nessuno faccia caso a noi perché il carnevale impazza in ogni via e in ogni piazza, ci rechiamo nella pineta di Classe, dove nella più perfetta solitudine estraiamo il corpo del poeta che giace custodito in due casse. Indossa la lunga tipica veste e il capo è ancora cinto con la corona d’alloro; le mani e la faccia sono scure e rinsecchite. Nella fessura della bocca versiamo alcune gocce di sangue divino e in un battito d’ali egli, riacquistate le sue forme vitali, così ci apostrofa: “Chi siete voi che dal sonno mio eterno m’avete destato e qui condotto in questo stato? Ditemi la cagione di questa situazione per poter farmene una ragione!” “Divino Poeta, io sono Micky di Fiagnano, l’ultimo templare, questo con la veste di crociato è un mio antenato e l’altro è uno scienziato di gran fama e mio compare. Abbiamo un bisogno urgente del tuo aiuto per cambiare il canto ventottesimo del tuo Inferno, scambiando il profeta Maometto con un altro peccatore provetto” “Il mio aiuto non vi rifiuto, ma al posto di Maometto chi ci metto? E Maometto dove lo metto?” Mi risponde con apprensione. Ed io a lui prospetto questa soluzione: “Al posto di Maometto ci puoi mettere il capo del ‘terrorislam’ Bin Laden Osama che nel male raggiunse la più grande fama. In tal modo,

76


invece di godersi 70 vergini nel paradiso mussulmano, quel terrorista disumano dovrà subirsi le più dure pene dell’inferno cristiano. Provvederò poi io personalmente a sostituire il nome di Maometto con quello di Bin Laden nell’affresco in San Petronio a Bologna, dove nella nona bolgia infernale l’autore del Corano subisce la più grave pena corporale. Mi sembra anche giusto e naturale che il posto del Profeta sia là accanto all’unico solo grande Dio Allah.” Ritenuta giusta tale indicazione, Dante provvede subito alla doverosa correzione, e d’incanto su Internet appare di quel Canto la nuova versione, che per tutti è motivo di grande soddisfazione. Ma sul più bello, fissando Dante in viso, esplode all’improvviso Ubaldello: “Ma…ma…ma io costui ben lo conosco: è colui che a Campaldino ferì a morte Bonconte il mio capo ghibellino, e poco mancò che procurasse pur a me tal sorte.” E il poeta a lui di rincalzo: “Allora fosti tu a far saltare l’elmo mio dalla testa, che per poco non finì fracassata dalla tua mazza ferrata!” A questo punto intervengo io rabbuiato in viso: “Così quel feditore a cavallo era Dante, e se fosse stato ucciso addio all’Inferno, al Purgatorio e al Paradiso; e proprio tu, caro Ubaldello, avresti privato l’umanità del poema più bello. Ma ora scordate entrambi quel fatto lontano e fate il gesto più sincero ed umano stringendovi la mano.” Detto e fatto: nella più serena letizia, fra i due viene suggellato quel patto di sincera amicizia. Chiedo poi a Dante se desidera restare con noi o se vuole rientrare nella sula tomba; e lui senza esitare decide di accompagnarsi a noi, anche perché è curioso di sapere come si vive nel ventunesimo secolo. Può indossare le sue vesti, tanto è carnevale ed anche ogni Dante vale. Egli manifesta pure il desiderio di vedere Firenze, la sua città natale, e i discendenti di coloro che gli furono tanto ingrati da esiliarlo, per fargli saper come sa di sale lo pane altrui e com’è duro calle salire e scendere le altrui scale. L’accontentiamo senza reticenze e in venti minuti d’elicottero siamo a Firenze. “Ma come l’è cambiato il mondo dal tempo mio ad oggi” esclama il poeta con stupore e ammirazione “Io percorsi a cavallo la tratta Firenze – Bologna in

77


quattro ore e fui veloce, mentre questo fenicottero di metallo da voi detto elicottero è dieci volte più veloce del mio cavallo! E che son quei lucenti enormi uccelli che rombano in cielo cento volte dieci più veloci dei più veloci uccelli?” “Son nominati aeroplani, e ci son anche le astronavi con cui l’uomo nel 1969 conquistò la luna, come pure, se si darà da fare, conquisterà ogni pianeta del sistema solare” Lo ragguaglio io. “Ma se tanto potè l’umana scienza” replica lui incredulo “Il mio poema ognun l’avrà scordato, in quanto frutto di fantasia e spirituale essenza.” “No, mio caro Dante” lo rassicuro io con confidenza “Una cosa è l’arte e un’altra è la scienza: la tua Commedia divina è stata e sempre divina resterà per l’eternità, perché la forza che l’ha generata mai non finirà, finchè Dio vorrà.” E lui, rasserenato, mi risponde d’un fiato: “Quel che tu dici assai mi conforta e ben lieto sono di fare a voi da scorta.” Visto che rintocca mezzogiorno e siamo affamati, cerchiamo un ristorante lì intorno. Siamo fortunati: un’insegna ci indica la trattoria ‘Dante’ e vi entriamo all’istante. Dentro c’è il pienone, ma alla vista del sommo Poeta scoppia un’ovazione e tutti fanno a gara per liberarci un tavolo. Arriva anche il proprietario, un Dante pur esso che, allietato dal successo generato dal nostro ingresso, si dice onorato di offrirci il pranzo che ci servirà lui stesso. Ringraziamo e ordiniamo, carta alla mano: per primo, tortelli alla ricotta e pasta con ceci; per secondo, Dante e Ubaldello due fiorentine con insalatine; per me che son vegetariano, verdure miste con parmigiano reggiano, mentre Majorana sceglie il fegato alla veneziana con l’aggiunta di qualche foglia d’alloro; ma il gestore con gran doglia dice di non averne neppure una foglia; al che il grande fisico replica d’accontentarsi d’un po’ di basilico. A questo punto interviene Dante con voce incalzante: “Scusate se mi intrometto, ma questo non lo permetto: avete scordato la corona d’alloro che ho sul capo, la quale prima mi ha fatto d’ornamento ed ora ad una pietanza farà da condimento.” Così dicendo offre il suo alloro che vale più d’ogni oro, e in quel momento un applauso caloroso premia quel gesto generoso, che Majorana ricambia facendogli

78


degustare patatine fritte, pomodori gratinati, caffè e cioccolata; tutte delizie del ‘nuovo mondo’, che il poeta non conosceva perché vissuto nella precedente era. L’invito vale anche per Ubaldello, ed entrambi i ‘medievali’ ingurgitano quel cibo a piene mani, perché risulterà a loro tanto gradito da leccarsi ogni dito. La grande abbuffata di prelibate vivande è annaffiata da varie bevande: il poeta divino si scola un intero fiasco di vino, mentre Ubaldello tracanna un buon litro di chianti novello. Il loro pranzo termina con due sonori rutti che lasciano stupiti tutti, ma ciò al tempo loro non era segno di mala educazione, bensì di buona digestione. “Disgustibus non risputandum” è il mio commento a quel rumoroso ‘post prandium’. Usciamo poi dalla trattoria incamminandoci per la pubblica via pieni d’euforia, finchè giungiamo nella piazza dove c’è la chiesa di S. Croce, quella che conserva le ‘urne dei forti’ – gli illustri italiani cantati nei ‘Sepolcri’ foscoliani – e qui siamo colpiti dal lungo applauso con cui una gran folla saluta Benigni, che da un palco sta per commentare la ‘Divina Commedia’, con la diffusione di vari media. Il comico comincia a declamare: “Nel mezzo del cammin di nostra vita…” “Ma questa è l’opera mia e chi è quell’ometto ch’osa recitar li versi miei? Maremma maiala non glielo permetto!” urla adirato Dante, che di slancio è sul palco e spostando il comico di fianco, annuncia ai fiorentini: “Io son Dante, l’Alighieri, e son 710 anni che da qui manco, seppur sembrami sol da ieri.” “A Dante Alighieri, ma dov’eri?” Ride il pubblico applaudendo quella che crede una trovata comica, una carnevalata. Ma Benigni rivolto al poeta:” Codesta mascherata l’è tutta una gran bischerata; e chi sei tu travestito da Dante che vuoi declamare Dante con fare pedante? Vattene all’istante! O t’hanno offerto meno dei 6 milioni d’euro a me concessi, con cui sto facendo i fiorentini e tutti gli italiani fessi?” “Io non chiedo neppure due fiorini per declamar li versi miei divini ai miei concittadini; e tu vattene in altro sito a vaneggiare, buffone d’un giullare!” Risponde con sdegno Dante a quel pagliaccio indegno. “Abbasso Benigni! Viva Dante!” Applaude tutto il pubblico urlante. “Adesso ti fo vedere io chi

79


l’è il Benigni vero” gli dice il comico storcendogli il gran naso austero. “Ma…ma ‘sto naso qui l’è vero; allora questo qui l’è proprio il Dante vero! O mamma mia, ma questo l’è uscito dal cimitero tutt’intero; ma come l’ha fatto se l’è tutto quanto intatto?!” Constata con stupore il buffo attore, e poi urla al pubblico a squarciagola col volto viola: “O fiorentini, questo l’è proprio il vero Dante…il vero Danteeee!” E scoppia un fragoroso applauso all’istante. E Dante, rivolto a lui con tono sprezzante: “Ora, piccolo giullare, ti puoi allontanare per lasciare a me declamare li versi miei affinchè ognun li possa meglio amare!” Ciò detto, con toni struggenti di quella Commedia divina evoca i più intensi momenti, e da quella gran folla di delirio pazza un diluvio d’applausi s’abbatte sulla piazza. Poi il Poeta, divenuto di quel popolo il sovrano, scende dal palco e a tutti firma autografi e stringe la mano; ai più piccoli dà un bacio ed un buffetto, espressione del più grande affetto. Infine, a noi ricongiunto, riceve la manifestazione della nostra più profonda stima e ammirazione, ed io rivolto a lui gli dico: “Ora che tutto è sistemato, indicaci il luogo da te più desiderato e le preferenze sulle future tue residenze, se a Ravenna o a Firenze.” Questa è la sua rapida risposta: “Visto che a Ravenna ho trascorso gli ultimi settecento anni, ritengo ora essenziale ch’io riposi nella mia città natale” “Bene” replico io “Se questo è il sito da te preferito, il tuo desiderio sarà presto esaudito: nella chiesa di S. Croce, qui di fronte, oltre al tuo cenotàfio, ci sono tante altre tombe belle e pronte di grandi personaggi che ora ti elenco in ordine di tempo: Machiavelli, gran politico che per primo dei prìncipi indagò i cervelli – Michelangelo, sommo artista che a Roma in una grande cappella affrescò dell’Aldilà la visione più grandiosa e bella – Galileo, fondatore della moderna scienza, che col cannocchiale dell’eliocentrismo diede la dimostrazione, seppur costretto poi ad una ritrattazione per scampare al rogo dell’Inquisizione – Alfieri, il nostro maggior autore di tragedie, che trasfuse la passione patriottica nei suoi versi fieri – Foscolo, cantore di questi sepolcri nell’ode ‘Dei Sepolcri’, che per l’Italia combattè con la penna e con la

80


spada ogni battaglia; lui nominò te il ‘ghibellin fuggiasco’ e anch’egli andò fuggendo di gente in gente vivendo l’esilio più avvilente.” A questo punto Dante mi corregge precisando ch’egli fu guelfo e non ghibellino; e io prontamente gli rispondo che ha sì ragione, ma altresì che riconobbe al papa la solo potestà spirituale, riservando all’imperatore quella temporale, e perciò fu più ghibellino che guelfo, non esitando ad invocare l’intervento dell’imperatore contro la papale corruzione, spedendo pure il papa Bonifacio VIII nel più profondo inferno, in quanto reo del suo esilio eterno. “Scegli dunque a tuo piacere con chi di questi vuoi giacere” gli chiedo io. “Veramente” mi fa Dante “Piuttosto che con un uomo importante io preferirei giacere con una donna arrapante.” Io gli faccio però notare che nelle condizioni in cui sono ridotti costoro, maschio o femmina non fa molta differenza; ma lui mi dice di avere in cuor suo una preferenza. “Allora favella senza alcuna reticenza” lo sollecito con insistenza. Ed egli a me: “Ecco, se è lecito, io vorrei giacere con colei che solo a me par donna…” “Chi, Laura?” gli chiedo perplesso. “No, Beatrice” precisa lui. “Certo, la tua donna angelicata; sai dov’ella è tumulata?” “No, lo ignoro completamente” mi risponde prontamente “Perché ella morì ventenne ed io presi poi sposa, senza essere innamorati, Gemma Donati, cugina del potente capo dei guelfi neri dominanti a Firenze, Corso Donati, che se non l’avessi impalmata, m’avrebbe cambiato i connotati.” “Forse in meglio” gli dico sveglio. “Ho un’idea” interviene Majorana “E se usassimo un cane molecolare? Un simile cane è il migliore aiuto, perché sa trovare qualsiasi persona o cosa col suo fiuto.” “Giusto! E’ proprio quello che ci vuole” approvo io; e in pochi minuti, via internet, ce ne procuriamo uno: si chiama Pluto ed ha un ottimo fiuto. Chiediamo poi a Dante se conserva qualcosa appartenuta a Beatrice. “Sì, una ciocca dei suoi biondi capelli” ci dice con profonda emozione, e scucendo un lembo della sua veste estrae il dolce ricordo di quell’amore celeste. Pluto fiuta la ciocca e subito la giusta direzione imbocca; poi, percorsi pochi chilometri nella dolce collina fiorentina,

81


giungiamo davanti ad una chiesetta che è tutta un amor nascosta in mezzo ai fior. Pluto raspa la porta insistentemente finchè s’apre facilmente e noi entriamo prudentemente: non c’è nessuno, forse perché trattasi di un edificio privato usato solo occasionalmente; in un momento Pluto s’accuccia su una lapide posta nel pavimento. Sulla lapide c’è una scritta: ‘A.D. MCCLXXXX BEATRIX FULCI PORTINARII FILIA IMMATURA MORTE RAPTA VIXIT ANN. VIGINTI PATER MATERQUE POSUERUNT IN LACRIMIS REQUIESCAT IN PACE’ “E’ lei! E’ lei!” Esplode Dante con commozione “E’ lei, la mia Beatrice!” “Bene!” faccio io “Adesso procediamo al recupero.” Rimossa la lapide, solleviamo la cassa; l’apriamo, ma subito ci ritraiamo inorriditi: davanti a noi c’è uno scheletro con brandelli di veste e carne putrescente; il teschio è avvolto da due stoppose trecce e dalle orbite fuoriescono, come passatelli, bianchi vermicelli. In un istante un tanfo insopportabile ammorba lo spazio circostante e Dante, ch’era uscito per cogliere un fiore per il suo amore, nel vedere quell’orrore lancia un grido di terrore: “Noo…noo! Non può essere la mia Beatrice…Noo! Un mostro! A questo dunque s’è ridotto tutto il grande amore nostro?! Mi fai orrore, ti lascio solo questo fiore!”; poi si ritrae singhiozzando dalla rabbia e dal dolore e sconvolto in volto così protesta a noi rivolto: “E io dovrei giacere in quel fetido avello con questo misero fardello?! Riportatemi a Ravenna o in S. Croce ma, vi prego, non datemi questa croce!” Noi cerchiamo di consolarlo nel timore che gli prenda un colpo al cuore!” Dài Dante, non fare così; le soluzioni possono essere tante e una te la daremo fra un istante” così dicendo, alcune gocce del divino sangue versiamo nel ghigno di quel teschio esangue, e in breve quella che fu una tanto gentile e tanto onesta donzella torna a vivere con la sua forma più bella. Dante, che intanto si era girato per non vedere Beatrice in quel macabro stato, viene da noi richiamato a gran fiato: “Dante, girati e guardati intorno: ammira di colei che sopra ogni cosa amasti il gran ritorno; questo per te sarà il più mirabile giorno e per sempre viver

82


potrai con lei un lungo felice terreno soggiorno.” E lui, con lo sguardo perso di stupore: “No…noo…non ci credo, non può essere vero, c’è un errore che…che quel mostro d’orrore trasformato si sia in questo meraviglioso profumato fiore!” “Sì, proprio così” gli rispondiamo noi “A te è venuta a miracol mostrare: ammira il suo radioso sorriso che illumina il suo fresco e levigato viso, il suo azzurro sguardo ch’evoca l’intero paradiso, e le sue trecce che ora sono un tesoro di puro oro.” E Beatrice a lui rivolta “Dante, sei proprio tu…il mio Dante d’una volta dalla sguardo penetrante ed il naso importante… Dal nostro lungo sonno siamo stati ridestati ed ora insieme potremo stare felici e beati.” E lui felice le dice: “Sì, non però in quel giaciglio sepolcrale ma in un luogo a noi più congeniale: scegli tu, donna mia amata, quale sia per te la dimora più desiderata” Ed ella a lui con devozione: “Ovunque tu sia, amato bene mio, là con te starò pur bene anch’io; da te quaggiù non sarò mai divisa e tu da me mai sarai diviso, finchè insieme saliremo in Paradiso.” Giunge poi il momento del commiato e Dante ci lascia con queste parole, emozionato: “Amici miei, la mente mia ed il mio cuore sempre saranno dove sarete voi, e se necessità avrete d’un buon crociato contate pure sul mio braccio armato! Ebbi io la fortuna d’avere come trisavolo Cacciaguida, che combattè e morì con valore nella seconda Crociata del 1147 condotta da Corrado III imperatore.” E Ubaldello così gli risponde: “Io ebbi l’onore di provare a Campaldino il tuo valore e se il tuo avo fu come te un sì bravo armato, noi felici saremo d’averti al bisogno insieme a noi crociato!” Ci salutiamo e vediamo i due innamorati allontanarsi abbracciati, scambiandosi baci appassionati fino a svanire in un tramonto dai riflessi rosati. Si chiude così l’avventura dantesca, breve ma di tante emozioni densa; e la sera di questa stessa giornata sono già a casa dalla mia mamma adorata. Passano poi i giorni, passano i mesi; termina la scuola e anche il tempo delle vacanze vola. Intanto ci giunge una notizia nefasta: sta tornando la ‘Casta’. Apprendiamo che i suoi componenti, cacciati sulle zatterone insieme alle più laide velone, avevano raggiunto fortunosamente le

83


isole Cayman da dove, dopo aver prelevato i capitali esportati e gettato ai caimani le velone, stanno ora tornando per riprendere possesso delle loro poltrone. Sono scortati dai feroci Kaymanmans – gli uomini caimano – così chiamati perché per copricapo usano la testa imbalsamata di quel rettile e per corazza il suo corpo squamoso, e in più hanno guanti e stivali di quegli animali dotati di unghioni affilati, con cui i nemici sono dilaniati e poi smembrati con le fauci azionate meccanicamente dagli impulsi della mente. Bisogna subito correre ai ripari, altrimenti per noi tutti son grossi guai. In gran segreto io e Majorana c’incontriamo a Fiagnano, dove rapidamente elaboriamo un piano. L’idea è quella di creare un templare androide transgenico in grado di muoversi il più velocemente possibile e di essere pressoché invincibile. Majorana propone di impiegare i neutrini per trasferire il templare in una frazione di secondo in ogni parte del mondo, mentre per dotarlo delle migliori risorse transgeniche io suggerisco l’occhio di lince per la migliore vista diurna e notturna, il fiuto di un cane molecolare come Pluto, e a completamento di questo ‘clone’ l’astuzia della volpe e la forza del leone. A questo punto occorre reperire un modello sul quale costituire il prototipo di templare dotato dei requisiti desiderati, e all’improvviso nella mia testina s’accende la lampadina: “Ho trovato!” Esclamo eccitato e a gran voce domando: “Chi di tutti i crociati è stato il più grande campione?” “Riccardo Cuor di Leone!” è la nostra univoca ovvia risposta. Detto e fatto: voliamo subito in Francia, nella regione Maine-Loira dove, nell’abbazia di Fontevrault, sono conservate tombe dei Plantageneti – dinastia inglese (1154-1485) che prese nome dal ramoscello di ginestra (planta genista) che adornava lo stemma del suo capostipite – fra cui quella di Riccardo I Cuor di Leone. Dopo esserci resi invisibili col ‘Devisual’, entriamo nell’abbazia accodandoci ad un gruppo di visitatori; poi, quando questi se ne vanno e come dappertutto s’usa la chiesa viene chiusa, noi possiamo operare in tutta tranquillità per estrarre dal sarcofago il corpo di quell’alta maestà, la cui immagine

84


nella dura pietra scolpita appare in serena distesa posa assopita. Con ardore e con pudore a capo chino col palanchino solleviamo il pesante coperchio facendo il minimo rumore; poi, aperto il portone, prima che si faccia l’alba ce ne andiamo con la regale salma. Ben sappiamo che il suo cervello ed il suo cuore sono conservati altrove, ma col sangue divino, come è avvenuto per Dante e ancor più per Beatrice ogni organo, anche se consumato, viene rigenerato e l’immagine riacquista la sua migliore matrice. Poche gocce…ed ecco innalzarsi in tutta la sua altezza quella regale altezza, che ci guarda prima con fierezza e poi così ci parla con franchezza “Vi riconosco, amici miei, già venni a voi in soccorso scendendo giù dal Paradiso, ed ora son qui a dare a voi nuovo soccorso offrendovi il mio corpo ed il mio viso.” “Col tuo cuore di leone vinceremo ogni tenzone” gli rispondo io con rispetto e ammirazione. Spiegandogli poi in dettaglio tutta la situazione; ed egli senza esitazione si dichiara subito a nostra completa disposizione. In poche ore siamo nel laboratorio riattivato di Fiagnano, dove su di lui operiamo gli interventi necessari per farlo diventare il prototipo degli ‘ATT’ , Androidi Templari Transgenici, inserendo il DNA di lince, di cane molecolare, di volpe e di leone, e poi i neutrini nel mantello; ed ecco pronto il nostro bel modello. mancano solo l’elmo, lo scudo e la corazza per avere un templare di gran razza. Per la spada occorre l’acciaio più temprato e il taglio più affilato, mentre per gli elementi difensivi necessitano materiali appositamente studiati, che offrono la massima solidità, leggerezza, elasticità, impenetrabilità, per garantire una quasi totale invulnerabilità, con la possibilità che proiettili indirizzati contro l’ATT rimbalzino sul medesimo andando a colpire chi li ha sparati. Per produrre un templare così attrezzato occorre una struttura a livello tecnologico avanzato, “Potremmo ricorrere alla FIAT” propongo io “Visto l’attuale andamento negativo del mercato automobilistico, come risulta da ogni dato statistico; e quindi direi di contattare senza esitazione l’amministratore delegato della Fiat, quello col maglione…

85


come si chiama pure… ce l’ho qui sulla punta della lingua…aspetta… Marpionne… Maglionne…Minchionne…Melchiorre…” “Sì, Gaspare, Baldassarre, i re Magi e la Befana!” m’interrompe ridendo Majorana “L’amministratore delegato della Fiat si chiama Marchionne, come Marchio e non Minchio o Marpio! Marchio…Mar-chi-o!” E io a lui scandendo: “Ti ho ca-pi-to ti ho!” E lui a me: “Citando Marchionne mi è venuto in mente che io sono stato compagno di studi delle sue nonne…” “Benissimo! Allora cosa aspetti? Contattalo subito!” Con un po’ di fortuna Majorana lo rintraccia sul cellulare e Marchionne, senza tardare un attimino, ci fissa un incontro per le ore quindici nel suo studio di Torino. A quell’ora esatta ci troviamo al suo cospetto ed egli ci viene incontro con aria affabile stringendoci la mano con rispetto, e rivolto a Majorana così lo saluta: “Professor Majorana, ad majora! La conosco per la sua fama di scienziato di gran fama ed anche per l’amicizia con le mie nonne, che son morte vent’anni fa mentre lei è qui davanti a me e sembra mio figlio. Ma quanti anni ha? E come fa? La prego, mi dia un consiglio…” “Caro dottor Marchionne, la ringrazio per avermi ricordato le sue care nonne. Io sono del 1906 e fra poco di anni ne compio 106; e questa mia giovanile presenza la si deve ai miracoli della scienza.” E lui, con deferenza: “Non potrebbe fare un miracolo anche per me o, meglio, per la Fiat?” “Fiat voluta sua: son qui apposta per una proposta che ora le esporrò assieme a questo giovane dall’aria composta” “E’ suo figlio?” “No, noo; io ho un figlio neonato” “Lei è fortunato; ma non mi dica che questo ragazzino è suo nonno da lei rigenerato dopo essere trapassato?” “No! Solo Gesù può fare questo e molto di più, anche se io, come ogni scienziato, ho il compito di portare l’umanità sempre più su; e ciò è ben vero anche se, con l’attuale crisi economica, la maggior ricerca per un ricercatore è ricercare un posto da ricercatore, e può capitare di scambiare il posto di ricercatore col ricercatore del posto. Ma veniamo alla nostra proposta e, in merito, caro il mio dottore, credo proprio che sia giunto il momento di un turn over per il suo

86


pullover e per tutta l’attuale produzione automobilistica industriale a livello globale. Dunque, deve sapere che siamo riusciti a creare un androide templare transgenico da noi denominato ATT, e sarebbe nostra intenzione potere utilizzare la struttura industriale da lei diretta per produrre su ampia scala tale tipo di templare col sistema della clonazione. Inoltre a lei sarebbe anche demandata la produzione di spade dell’acciaio più resistente e dal filo più tagliente, ma soprattutto degli elementi difensivi: elmo, scudo e corazza con l’impiego di un materiale innovativo atto a garantire la massima sicurezza, con la possibilità di respingere ogni tipo di proiettile…” “Sì, sì!” lo interrompe Marchionne “Siamo già in possesso di un materiale di questo tipo, da noi progettato per la Formula Uno e non vedo nessuna difficoltà di un suo impiego per altre finalità” “Benissimo!” fa Majorana “Così potremmo dare subito il via alla fase attuativa e in onore suo e delle sue nonne suggerirei l’adozione di un nuovo marchio: il marchio Marchionne! Non più FIAT – Fabbrica Italiana Automobili Torino’ bensì ‘FIATT – Fabbrica Italiana Androidi Templari Transgenici’. Che ne dice? Lasci perdere l’auto e pensi all’automazione transgenica; con la realizzazione degli ATT si potrà finalmente conseguire quella pace universale col bene che vince sempre sul male!” Marchionne ascolta con attenzione e non sta più nel pullover per l’eccitazione, mentre dietro le spesse lenti dei suoi occhiali le pupille gli brillano e si dilatano come due fanali; poi, con entusiasmo ed emozione dà seguito alla nostra proposta con questa sua risposta: “E vai! Il mio stipendio supererà quello del presidente della RAI e guadagnerò non come cinquecento, ma come mille operai!” “Forse sarebbe meglio che mille operai guadagnassero come lei” gli dico io “Ma non è la stessa cosa?” replica lui con aria spocchiosa, e poi così chiosa: “Chi non s’ama non s’osa!” “Siamo ben lieti che il nostro progetto abbia la sua approvazione, così ora passiamo alla sua esecuzione” fa Majorana, e Marchionne con queste precise parole gli esprime la sua soddisfazione: “Poiché, caro professore, come penso, data la sua fama lei sia propenso

87


a declinare ogni compenso, ritengo però sensato che il suo giovane amico venga compensato per il grande impegno prestato, ragion per cui a lei sarò per sempre grato.” E rivolta a me la sua attenzione ecco cosa mi propone: “Anche perché il mercato dell’auto s’espanda t’offro la nuova Panda” “Mah…” faccio io con perplessità “Panda è sinonimo d’estinzione…” “Vuoi la Punto?...la Grande Punto?!” mi chiede lui; ma io così gli rispondo: “Punto o Grande Punto siamo sempre punto e a capo” “Allora ti do l’Evo” replica lui “Medio?” gli chiedo “Sì, è un modello medio” mi precisa “E vale?” puntualizzo io “Sì…sì, vale!” mi rassicura “Ma se è medio e vale allora è un modello medioevale!” gli ribatto; e lui con insistenza: “Ti do il Cubo! Ti do il Cubo!” E io: “Quello se lo tenga pure lei, non sono gay!” E lui con prontezza: “E se ti offrissi la Giulietta?” E io con sicurezza: “Mi chiamo Micky e non Romeo e quindi niente Giulietta Alfa Romeo: ho solo tredici anni e per la patente devo aspettare almeno cinque anni. Per ora mi basta il mio cavallo baio” “Perché baio?” mi chiede con curiosità. “Perché caval ch’è baio non morde” gli chiarisco “Ma non è il cane…” mi fa perplesso. “Sì, il cane che morde non abbaia, mentre il cavallo non abbaia ma morde!” preciso con sicurezza. Dopo un momento d’incertezza Marchionne mi dice con franchezza: “Visto che l’auto non ti può interessare, qualcosa ti dovrò pur dare…Trovato! Ti darò ciò che ho sempre amato e da cui mai finora mi sarei separato; ma poiché è giunto il triste momento del suo turn over, ti donerò proprio lui, quello che per me fu in gioventù il simbolo del latin lover e poi quello del manager cover…” “Non mi dica…il suo pullover!” lo interrompo senza esitazione, aggiungendo poi con decisione: “Lasciamo perdere auto e maglione e facciamo in modo che il nostro progetto abbia una rapida realizzazione” “Ma ha il marchio Marchionne” ribatte lui con insistenza “E va bene coi pantaloni e con le gonne” “Non sono un trans” faccio io “Quello lo dia pure ai suoi fans, e adesso dopo aver sottoscritto l’accordo con una stretta di mano ci segua col suo elicottero fino a Fiagnano, dove le daremo la dimostrazione

88


della validità della nostra invenzione.” In un’ora e mezza di volo siamo a Fiagnano, dove ci viene incontro Ubaldello con Duccio, Duccia e Ubalda e la loro accoglienza è festosa e calda; con noi c’è anche Pluto, che subito annusa la piccola Puccia e accanto a lei sì’accuccia. Poi entriamo tutti nella grotta dove i mostriciottoli, il re Inqubo e la regina Wagina si radunano in gran frotta; ma fatti pochi passi, spaventato da quei mostruosi sassi, Marchionne si ritrae appoggiandosi a Majorana e a me come a due colonne. Rincuoratolo, gli raccontiamo tutta la storia dei mostriciottoli, di Ubaldello e famiglia, tacendo ovviamente sul Santo Graal, e per una volta almeno sul buon sangue si mente. “Deve sapere” spiego io a Marchionne “Che questa grotta e tutti i sotterranei del castello di Fiagnano sono stati scavati da questi mostriciottoli, che si nutrono del terreno con la bocca ed espellono lo scarto sempre dalla bocca. Praticamente usano la bocca sia per mangiare che per defecare” “E cosa defecano?” mi chiede lui incuriosito. “Stronzio” gli rispondo. E lui: “Lo stronzio…il minerale?” “E che stronzio vuol che sia?! Il sasso fa lo stronzio e l’uomo fa lo stronzo” gli preciso prontamente. “Quindi questa pavimentazione è di stronzio!” esclama stupito. “Sì, ed è sempre preferibile ad un pavimento di stronzi, che praticamente sarebbe un pavimento di merda” faccio io. E lui: “Merda! Certo che con quelle facce da deretano è del tutto naturale che la bocca faccia anche da ano.” “Esattamente: la bocca immette e la bocca emette” è la mia risposta. E lui, quasi fra sé: “Interessante…la doppia funzione di alimentazione e scarico in un unico organo; la si potrebbe applicare in campo motoristico…” “Dimentichi i motori” lo distolgo in un momento dal suo ragionamento “E ci segua al piano superiore dove ci attende quel superesemplare di templare. Forza, dottor Cambronne, diamoci da fare per non farlo troppo star lì ad aspettare!” “Ma cosa dici?!” mi fa Marchionne un po’ seccato per il suo nome alterato “Cambronne era quel generale di Napoleone che a Waterloo, agli inglesi che gli intimavano la resa, rispose ‘Merda!’” “Grazie tante” gli rispondo “A quella proposta quello ha dato la giusta risposta: ‘il water l’ho e ci faccio la popò!’; e mi

89


scusi se ho fatto confusione con il suo cognome.” E lui sorridente: “Non fa niente: c’è gente che storpia il mio nome abitualmente, ma questo mi lascia ormai del tutto indifferente; pensa che mi hanno chiamato perfino Minchionne!” “Minchia! Davvero, dottore?!” faccio io con falso stupore. E lui, in prosecuzione: “E poi Cambronne si pronuncia Cambron.” E io di rimando: “Allora Marchionne fa Marchion e Minchionne fa Minchion: però, non suona mica male…” A questo punto con un tono un po’ alterato mi fa: “Adesso basta con queste minchionnate: sono qui per visionare questo esemplare di templare, altrimenti salta l’affare!” “Andiamo, andiamo…” lo sollecito, e tutti e tre saliamo su per la scala a chiocciola da dove, attraverso la botola, entriamo nel laboratorio di Majorana, che rivolgendosi a Marchionne con tono trionfale gli fa: “Le presento il nostro campione, Riccardo I Cuor di Leone re d’Inghilterra, il più valoroso crociato che mai si sia visto sulla faccia della terra; ed ora l’abbiamo reso pressoché imbattibile dotandolo della vista della lince, il fiuto del cane molecolare, l’astuzia della volpe e la forza del leone” “Che campione!” esclama Marchionne ammirato da quel fior fiore di crociato e rivolgendosi a lui con riverenza gli fa: “Ed ora se sua maestà vuol seguirmi, col mio elicottero voleremo a Torino con gran celerità.” Ma avvolgendo Marchionne nel suo mantello ai neutrini quell’alto templare, senza esitare, gli dice: “Non c’è necessità: a Torino ci siamo già!” Sbalordito da quel fatto inaudito, a dimostrazione che anche lui sa agire con rapidità, Marchionne dispone che l’armamento del templare sia approntato in un momento; e così, in breve tempo, elmo, scudo, corazza di materiale ultraresistente e ultrarespingente con la grande spada extrapungente ed extratagliente sono a disposizione di Riccardo Cuor di Leone. Poi entrambi, avvolti nel magico mantello, sono in un fiato a Fiagnano, nel sotterraneo del castello. Nessuno, come noi ora, è stato mai così contento e tutti quattro assieme andiamo in pizzeria a festeggiare l’avvenimento: Majorana ed io ordiniamo due margherita con mezzo litro di minerale naturale, Marchionne e Riccardo

90


Cuor di Leone due quattro stagioni con abbondanti libagioni. All’uscita, notiamo due vigili urbani che, con modi arroganti, contestano a due giovani che stanno mettendosi al volante delle loro auto uno stato di ebbrezza, con l’immediato ritiro della patente e il sequestro dell’auto. Ci avviciniamo e constatiamo che quei ragazzi ci sembrano del tutto sobri, ed invitiamo pertanto i due vigili a restituire loro patente ed auto, anche perché l’abuso di potere sta diventando un comodo sistema per rimpinguare le casse pubbliche a danno di tanti giovani che, penalizzati dalla grave crisi economica, sono disoccupati o sottoccupati. Quelli, però, ci rispondono in malo modo intimando al nostro templare di togliersi l’elmo per farsi identificare; lui esegue, ma la sua statura, i suoi occhi di ghiaccio e un ruggito lacerante uscito dalla sua bocca raggelano quei due tapini, che al suo cospetto sembrano fastidiosi moscerini. A questo punto la paura li spinge ad assalirlo a manganellate, che però s’infrangono sul suo scudo crociato rimbalzando contro le loro facce che si gonfiano come due focacce. Pieni di rabbia e di dolore, impugnate le pistole, scaricano entrambi sul templare l’intero caricatore; ma i proiettili rimbalzano sulla corazza conficcandosi nelle chiappe di quelle due malcapitate schiappe. “Quale collaudo migliore di questo avrebbe sortito un risultato migliore di questo?!” Esplode di gioia Marchionne stringendo la mano a me e a Majorana; poi, trionfale, così proclama: “Ora possiamo passare alla produzione industriale di questo magnifico templare!” “Diamoci da fare” faccio io “Se vogliamo fermare quelli della Casta e i loro feroci Kaymanmans prima che possano sbarcare: basta il DNA di Riccardo Cuor di Leone per dare inizio alla clonazione.” Così lui e Marchionne son subito a Torino, dove i tecnici della FIATT prelevano un campione di DNA da quel gran campione; poi, finita questa rapida operazione, entrambi sono già qui a Fiagnano e tutti insieme decidiamo quale dovrà essere nei dettagli la missione del nostro campione. All’unanimità deliberiamo per un’azione dimostrativa contro la Casta prima che raggiunga la costa; e Ubaldello ed io ci offriamo volontari e ci mettiamo agli ordini

91


di Riccardo cuor di Leone, che ci consegna il nuovo armamento e il mantello ai neutrini; inoltre siamo tutti e tre dotati di navigatori satellitari di ultima generazione, forniti di sensori ad elevata definizione inseriti nei cimieri sopra l’elmo, che ci permettono di intercettare l’obiettivo simultaneamente al trasferimento sul medesimo. La velocità impressa dai neutrini ci rende invisibili, ma nelle fasi di stasi e di scarsa celerità è il Devisual a garantirci una totale invisibilità. In una frazione di secondo siamo sull’imbarcazione che guida la flottiglia della Casta e cogliamo di sorpresa i Kaymanmans, che sono fatti a pezzi dalle nostre affilatissime spade: teste e zampe degli uomini-rettili schizzano in aria come proiettili. Ci sparano addosso raffiche di mitra, che gli ritornano addosso forandogli le squame ed ogni osso; spalancano e serrano le mandibole possenti con acuto stridore di denti, mulinando nell’aria gli unghioni terribili alla cerca di noi assalitori invisibili. Sul più bello, una zampata strappa la spada dalla mano di Ubaldello, che però, afferrata la sua mazza ferrata menando colpi all’impazzata fracassa corpi e teste di quelle spaventose bestie. Il ponte dell’imbarcazione e tutto il mare intorno son rossi di sangue umano e non caimano, e i resti di un centinaio di Kaymani fan da banchetto a pesci e gabbiani. Vista la malaparata, quella pavida armata batte in ritirata, e Majorana dal suo video satellitare ci comunica di rientrare; ma con i mantelli ridotti a brandelli, per potere tornare io e Ubaldello ci aggrappiamo a Riccardo Cuor di Leone e al suo mantello. Quasi istantaneamente ci ritroviamo a Fiagnano, dove Majorana e Marchionne ci abbracciano e ci stringono la mano, poi tutti insieme esaminiamo i mantelli fatti a brandelli e con un intervento risolutivo Marchionne dispone che la FIATT appronti nuovi mantelli con lo stesso materiale usato per l’apparato difensivo. Il giorno dopo la FIATT ci comunica di aver approntato già cinque ATT, che in un attimo sono a nostra disposizione qui a Fiagnano. Questi cinque templari sono quasi la copia perfetta di Riccardo Cuor di Leone, anche se mai potranno uguagliare il nostro gran campione. Dopo sei giorni i templari disponibili sono trenta

92


pari pari, sufficienti a sbaragliare quei parassiti milionari con tutti i loro sanguinari mercenari. Intanto con la videosservazione rileviamo la Casta di nuovo in navigazione verso un’unica destinazione: le perdute poltrone. Io mi assumo l’incarico di compiere un’ispezione su ogni singola imbarcazione; ne conto ben ottanta, perché di quella marmaglia milionaria ce n’è tanta, e vista la subìta batosta la sete di vendetta è assai più tosta. Comunico poi a Majorana di fare molta attenzione perché i Kaymanmans hanno ora molti lanciarazzi a loro disposizione, e pertanto elmi, corazze e scudi vanno rinforzati per impedirne la perforazione. Lui mi rassicura di provvedere immediatamente in merito e mi invita a tenere sotto stretta osservazione tutta la situazione. Non interrompo la comunicazione perché scorgo in lontananza un barchino che procede in questa direzione. Dilato l’immagine… “Ma… ma è Schettino, il comandante Schettino!” esclamo con stupore “Sta remando forsennatamente su un pattìno: è in fuga solitaria perché dopo il disastro della Costa Concordia per lui tira una gran brutta aria” “Segui i suoi movimenti e verifica i suoi intendimenti” mi sollecita Majorana. “Ecco…avanza…avanza…è qua sotto e segnala di voler salire. Lo issano a bordo” faccio io. “Bene! Adesso osserva cosa fanno” mi dice il professore. “Parlottano concitatamente…Schettino afferra il timone risolutamente…manovra, manovra, manovra…l’imbarcazione cambia direzione” comunico con concitazione “Un momento! In lontananza vedo una grande nave che avanza in questa direzione. Ne leggo il nome: è la Costa Serena, è enorme e bella come la Costa Concordia, sua gemella. Ma cosa sta succedendo?! Ci stiamo dirigendo a gran velocità sulla Serena; l’affianchiamo. Vengono lanciati uncini e scalette: è un arrembaggio…un arrembaggio! Con un urlo selvaggio i Kaymanmans straripano sulla grande nave buttando a mare i turisti con tutto l’equipaggio. Adesso la Serena è completamente sgomberata e tutti i membri della ‘Casta’ vi trasbordano in gran parata. Bisogna intervenire immediatamente per salvare tutta quella gente in mare che sta per annegare!” Fulmineamente gli ATT

93


sono sul posto e in breve mettono in salvo quei disperati trasferendoli sulle imbarcazioni abbandonate dalla Casta e dai Kaymani, che intanto navigano senza sosta per raggiungere la più presto la costa. Qui già però si schierano gi ATT in loro attesa per chiederne la resa. Al timone della Costa Serena c’è sempre lui, quel gran volpino di Schettino; ma all’improvviso, virando bruscamente, con gran cipiglio si dirige verso l’isola del Giglio, forse per omaggiare, col suo pallino del rituale dell’inchino, la Costa Concordia che sta là semiaffondata sulla fiancata. Due Kaymani gli sono subito addosso per strappargli il timone dalle mani, ma lui non molla l’osso reagendo a più non posso. Con una gran sbandata la Serena centra la Concordia sulla fiancata procurandosi una vasta falla: la grande nave traballa e non sta più a galla. Fra urla di terrore e di dolore si genera un’enorme ressa che presto si trasforma in una furiosa rissa, mentre la Serena s’inabissa; gli ATT, a stento, fanno appena in tempo, sfidando la sorte, a portare al sicuro la cassaforte prima che la nave finisca in fondo al mare trascinandovi tutta quella marmaglia criminale. “C’è un solo superstite che si allontana su un barchino” comunico a Majorana “Ma…ma è quel furbino di Schettino: che dobbiamo fare?!” “Lasciatelo andare al suo destino” mi rassicura il prof. “Tanto prima o poi andrà in altomare a fare il saluto e l’inchino a qualche pescecane da cui si farà divorare.” Così è terminata anche l’XI Crociata, la seconda contro la Casta, ma non basta: ora bisogna rastrellare e processare tutti quei suoi membri tuttora presenti e operanti, che sono ancora tanti. In breve questi privilegiati sono individuati e arrestati; i loro beni sono tutti sequestrati. I meno responsabili subiscono gli arresti domiciliari insieme ai loro familiari, mentre tutti gli altri sono condotti a Fiagnano, dove nella Sala dei Templari è allestita la Corte giudicante presieduta dal Grande Inquisitore Sadomaso d’Aquino. Al suo fianco, quale giudice a latere e gran consigliere massimo esperto del mestiere siede il divino Dante, di tutti i poeti il più importante e in fatto di condanne un vero asso, in quanto ideatore del contrappasso, per cui il condannato subisce lo

94


stesso supplizio che sugli altri ha praticato, con rigorosa corrispondenza della pena alla colpa per un’adeguata e meritata sofferenza. La fama dell’Alighieri è oggi più grande di ieri, da quando l’O.N.U l’ha bollato di nazismo e razzismo accusandolo d’antislamismo e antiebraismo per aver collocato, nel suo poema eterno, Giuda e Maometto nel più profondo inferno. Ma al Poeta il Profeta non è più inviso perché l’ha trasferito in Paradiso, mentre Giuda resta là dov’è in quanto è il peccatore più tristo per aver tradito Gesù Cristo. La Corte giudicante, presieduta da Sadomaso e Dante decide all’unanimità che tutti coloro che arrecano danno all’umanità subiscano il supplizio della “Croce di sangue”, con una croce incisa sul corpo diversa per grandezza e profondità secondo il crimine commesso e la sua gravità. Il primo su cui si esegue la più dura condanna è quel Cesare Battisti, già capo di quei terroristi denominati “Proletari armati per il comunismo”, nel cui nome trucidò quattro innocenti persone col più crudo cinismo, riparando poi in Francia ed in Brasile protetto da quelle autorità con la complicità più vile. Mentre il carnevale di Rio impazza in ogni favela e in ogni piazza, sulla spiaggia di Copacabana dove si crogiola al sole in compagnia di qualche puttana, il terrorista rosso si ritrova addosso un templare transgenico che con la spada lo squarcia da ascella ad ascella e dal pube al mento, gettando tutt’intorno terrore e sgomento. In breve, sul corpo ormai inerme di quel lurido verme, sotto il sole che langue resta solo una croce di sangue. Dalla statua del Cristo sul Pan di Zucchero alzata, un enorme condor si getta su quel cadavere in picchiata; ne divora le frattaglie col grosso becco e dopo aver strappato i bulbi oculari, spruzza i suoi escrementi nelle cavità orbitali. Poi vola via alla spiccia con l’intestino di quel vile assassino che gli ciondola dal becco come lunga salsiccia. Una simile sorte è riservata, perché il loro crimine non si rinnovi, ai “fidanzatini” di Novi, che massacrarono la madre e il fratellino di lei con 97 coltellate senza che le loro colpe fossero equamente espiate. Si procede poi alle condanne di chi, direttamente o indirettamente, ha

95


danneggiato l’Occidente e la sua gente. La prostituta marocchina Ruby, che ha sbeffeggiato e ricattato lo Stato italiano spacciandosi per la nipote del presidente egiziano, senza essere punita dal rigore musulmano per la sua immoralità volgarmente esibita, è condannata a tre colpi di ‘flagellum’ (la frusta a tre strisce con nodi apicali) sui genitali e a cinque colpi di ‘flagrum’ (la frusta a cinque strisce con ossa appuntite apicali) sulle zone perianali. Le vengono inoltre incise due croci sulle gote, due sulle poppe, due sulle natiche, due sulle cosce, una sul pube. Le vengono altresì requisiti i cinque milioni estorti a Berlusconi facendo il bunga bunga al ritmo della rumba. Infine in Marocco è rispedita come persona non gradita. A Berlusconi, per le sue erotiche pulsioni considerate esagerate, è confiscata villa Certosa in Sardegna, che viene affidata per un’attività più degna ai monaci certosini, di cui il cavaliere sarà priore a ore per tutte le ferie estive, quale tutore della moralità migliore. Per curare in modo graduale la sua sessualità maniacale, gli è concessa la presenza in veste monacale della Minetti per ballare solo casti minuetti. Il capo della polizia Manganelli, se non rinuncia ai suoi 640.000 euro all’anno, riceverà 640 manganellate a suo danno. Il direttore di Equitalia, Cuccagna, dovrà salire sull’albero della cuccagna cosparso di viscida merda, per poter raggiungere non più uno stipendio d’oro ma di merda. Il “sorcio” Amato, che tagliò stipendi e pensioni agli italiani rendendoli più poveri e coglioni, fornendo però a sé trentacinquemila euro mensili con ben tre pensioni, è condannato a vivere nelle fogne urbane in compagnia di ratti e pantegane. Il “rospo” Dini, stracolmo di dindini erosi ai suoi concittadini, viver dovrà nella più mefitica palude col culo che gli prude per le punture di zanzare sulle chiappe nude. I 60 profumati milioni liquidati ai banchieri Profumo e Geronzi son commutati in altrettanti stronzi. Monti e Tremonti, seduti su monti di rifiuti, attendono tremanti che il sole tramonti sui loro tristi destini per avere depredato tutti i cittadini. La condanna per la Fornero è di pulire ogni pozzo nero. Se ciò l’ha fatto a viso aperto Emanuele Filiberto, erede

96


al trono d’Italia, ben può farlo lei che è pur di bassa taglia. Per i seguenti ministri questa è la condanna: Profumo senza passera – Passera senza profumo, e tutti i loro stipendioni in fumo! Giunge poi il turno di colui che più danno ha arrecato a tutto lo Stato, quel Prodi il cui cognome non deriva da ‘prode’, cioè impavido, ma da ‘prete’, per di più pavido, una specie di don Abbondio ma di pubblici privilegi abbondo, in un processo diretto di due ore, il Grande Inquisitore, senza incertezze, gli chiede conto delle sue ‘prodezze’: “Dunque…vediamo…” fa l’accorto Sadomaso andando un po’ a naso “Ci risulta che lei ha smantellato l’IRI di cui era presidente strapagato, per cui ogni impiegato venne licenziato. Cos’ha da dire a sua discolpa?” “Mah…dovrebbe rivolgersi al mio commercialista” risponde Prodi tremebondo da perfetto don Abbondio. “Ci risulta che lei ha “regalato” l’Alfa Romeo alla FIAT di Agnelli. Cos’ha da dire a sua discolpa?” “Mah…dovrebbe chiederlo al mio commercialista” risponde ancora Prodi abbassando la vista. “Ci risulta che lei ha ‘svenduto’ le aziende alimentari di Stato: Motta, Alemagna, De Rica, Cirio…Cos’ha da dire a sua discolpa?” “Mah… dovrebbe chiederlo al mio commercialista” seguita Prodi con la solita risposta prevista. “Ci risulta che lei ha venduto una quota di telefonia Telecom alla Serbia per 300 miliardi di lire, riacquistandola poi poco dopo per 900 miliardi di lire. Cos’ha da dire a sua discolpa?” “Mah… dovrebbe chiederlo al mio commercialista” risponde Prodi con la solita solfa. “Ci risulta che lei stava per vendere a un prezzo stracciato la Mondadori a De Benedetti. Cos’ha da dire a sua discolpa?” “Mah… dovrebbe rivolgersi al mio commercialista” è la stessa risposta senza alcun senso di colpa. “Ci risulta che lei è il responsabile del raddoppio del costo della vita col suo Euro malfatto. Cos’ha da dire a sua discolpa?” “Mah…dovrebbe chiederlo al mio commercialista” insiste sempre quel gran pallista. “Ci risulta che lei vuole candidarsi alla Presidenza della Repubblica. Certo che ha una gran bella faccia tosta e la modestia non le manca, perché alla nutrita collezione delle sue poltrone questa è la sola poltrona che le manca.

97


Cos’ha da dire a sua discolpa?” E Prodi dà una risposta imprevista: “Mah…dovrebbe rivolgersi al mio commercialista” “E chi è il suo commercialista?” Gli urla infuriato Sadomaso con le narici che gli fumano dal naso. “Mah…dovrebbe chiederlo al mio commercialista.” Questa è l’ultima risposta della lista perché il Grande Inquisitore grida alle guardie con furore: “Portatelo via…portatelo via…viaaa!” “Ad flagellum…ad flagrum?” chiedono le due guardie armate afferrando l’accusato come un sacco di patate. “Ad calancum… ad calancum… statim statim! Subito, subitooo!!! No, anzi…aspettate, portatemelo qui!” ordina Sadomaso, ingiungendo poi: “Ora abbassategli le braghe e le mutande che gli faccio un massaggio curativo a base d’ulivo.” Così detto, strappa dalle mani di Prodi il ramo d’ulivo, simbolo del suo partito, e gli percuote 1936,27 volte le chiappe riducendogliele a sanguinanti frappe. Poi, mentre quella sottospecie di ‘cattocomunista’ urla e si contorce dal dolore, il Grande Inquisitore gli comunica, senza alcun rancore, che se le sue colpe son dovute ad un errore o ad una svista, può sempre rivolgersi al suo commercialista. Intanto, io e Majorana ci incontriamo nei pressi di Fiagnano e con una stretta di mano “Hai sentito?” mi dice rattristato “Quella dei neutrini è una gran bufala: il primato della velocità resta alla luce!” “Mi dispiace” gli rispondo “Ma chi ha sbagliato si è già dimissionato? E chi è stato?” “Il fisico Ereditato” mi fa lui contrariato. “Quindi quel falso primato l’abbiamo ereditato dal fisico Ereditato, che poi si è diseredato di quel falso primato?” gli chiedo accigliato. “Proprio così!” mi precisa il prof. “Mi spiace solo per il mio bambino Neutrino…” “Ma cosa dici!” lo rassicuro “Potrai rifarti quando avrai una bambina, che chiamerai Luce: così con l’uno o con l’altra quel primato di velocità è pur sempre ben rappresentato.” Mentre così discutiamo su questo argomento, in un punto del terreno fra le mura e il calanco notiamo un forte avvallamento, forse causato dai circa tre metri di neve caduti a febbraio, un primato negli ultimi due secoli mai uguagliato. Ci avviciniamo per un controllo, ma all’improvviso la terra

98


sprofonda sotto i nostri piedi facendoci cadere in una cavità profonda col rischio di romperci l’osso del collo. Per nostra fortuna ce la caviamo solo con qualche graffio e molto spavento, ma in quel momento dal fondo di quell’oscuro buco giunge un flebile lamento. Con la mia torcetta illumino quella specie di cavernetta e in un angolo mi appare la figura di un crociato allampanato, del tutto pietrificato e col volto d’un povero Cristo emaciato, che così si rivolge a me con un filo di fiato: “Tu, che porti la stessa mia veste di crociato, ti prego, aiutami e ti sarò per sempre grato se da te potrò essere liberato da questo luogo, dove sto imprigionato col mostro di sasso, che ora a te mostro qui dietro a me un passo. Egli mi prestò soccorso per non morir di fame, facendomi mangiar la terra morso a morso. Il suo nome è Becco, già sovrano assai retto, come da lui stesso mi fu detto, del popolo dei Mostriciottoli, sotterranei abitatori di questo posto e che dall’infida regina e sposa sua Wagina fu deposto e qui riposto con la complicità di Inqubo, di lei amante e succubo, eletto poi re, con cui ella giaceva nello stesso letto che divideva col marito Becco.” “Nomen omen, un nome un destino, come recita il detto latino” sussurra Majorana, così sentenziando: “Non è una cosa strana che per ogni becco c’è sempre una puttana” “E questa volta” aggiungo io “E’ pure una sovrana!” Poi, rassicurandolo in merito alla sua liberazione e a quella di re Becco, dati i miei buoni rapporti con i Mostriciottoli, re Incubo e la regina Wagina, chiedo a lui chi sia e come fin qui sia giunto. Ed egli prontamente delle vicende sue così mi fa il riassunto: “Il mio nome è Jerus e fui la più perfetta copia di Jesus; come lui alto e snello, tanto da sembrare il suo gemello. Vissi nei luoghi suoi negli stessi anni suoi, ma pur avendo la sua faccia e la sua statura mi tenni sempre in disparte per paura di fare una brutta figura, non possedendo quei suoi poteri forti, capaci di guarire gli infermi e di risuscitare i morti. Vidi la sua atroce Passione con la flagellazione, la crocefissione e la deposizione. Seguii poi di nascosto la traslazione del suo corpo fino al luogo in cui fu riposto, al cui ingresso furono posti come guardiani

99


due soldati romani, e senza essere visto spiai per tre giorni il sepolcro dov’era sepolto Gesù Cristo. All’alba del terzo giorno dalla sepoltura vidi una gran luce uscire dall’apertura; quella luce si fece talmente abbagliante che le guardie caddero a terra come accecate, all’istante. Al centro di quell’immenso bagliore, scorsi con stupore la figura di Cristo nostro Signore, che s’innalzava verso la sfera del sole. Caddi in ginocchio sfregandomi incredulo ogni occhio; poi, quando mi ripresi dal torpore, notai che i guardiani erano ancora storditi dal terrore, e dopo una breve attesa, mi feci forza ed entrai nel sepolcro del nostro Salvatore. A terra c’era il suo bianco sudario e la rossa tunica indossata nell’ascesa al Calvario; mi misi quella veste rossa tremando di paura, coi brividi che mi penetravano le ossa. Addossato alla parte c’era un calice dorato pieno di sangue addensato; con la gola e la bocca arse dall’emozione, bevvi pochi sorsi di quel sangue per placare la mia sete. All’istante mi sentii nello spirito e nel fisico rinvigorito e nell’aspetto ringiovanito; uscii in fretta dal sepolcro, anche perché le due guardie, già rialzate, stavano venendomi incontro, ma invece di arrestarmi caddero in ginocchio gettando le armi; poi fuggirono verso Gerusalemme gridando: “Bone Deus, iste est Deus! Iste est Deus!” Seppi, in seguito, che avevano informato Ponzio Pilato che Gesù era risuscitato e che lui, in qualità di procuratore romano della Giudea, turbato da quell’avvenimento, aveva ordinato di frustare a sangue il gran sacerdote Caifa e tutti i membri del Sinedrio, responsabili della morte di Gesù, in quanto avevano preferito liberare al suo posto il brigante Barabba, il quale fu poi ucciso in uno scontro coi soldati romani. Io, intanto, ancora frastornato dalla visione della risurrezione di nostro Signore vagavo senza una precisa direzione quando m’imbattei in Maria Maddalena, la donna che Gesù aveva salvato dalla lapidazione. Lei, che aveva ancora gli occhi pieni di pianto, cadde ai miei piedi di schianto e baciando con fervore il mio manto: “Gesù, sei proprio tu?! Tu ch’eri morto… tu sei risorto! Oh, mio Gesù, fa ch’io t’ami sempre più!” mi diceva singhiozzando per la

100


commozione; ed io, pieno d’emozione, la feci rialzare traendola a me in un forte abbraccio che mi procurò non poco impaccio. La sentivo palpitante e ansante sulla mia pelle umida per le sue calde lacrime che mi bagnavano la tunica, mentre la morbida e fluente chioma mi sfiorava il viso con una carezza di paradiso. Mi prese allora all’improvviso una strana frenesia e ben conscio di non essere il Messìa, serrai le mie labbra alle sue nel bacio più appassionato che ci sia. Cademmo stesi al suolo avvinti in un corpo solo ed io, stringendo con le dita le sue dita, giurai di amarla per tutta la vita. “Più della vita, mio Gesù” mi sussurrò ella “Il tuo amore per me sarà eterno perché sei il figlio del Padreterno.” Quando ci riprendemmo da quel dolce abbandono la vidi molto più giovane e bella, e intuii che quel miracolo, più che all’amore, era dovuto ad un goccio di quel sangue divino da me sorseggiato e poi passato dalla mia alla sua bocca con quel bacio appassionato. E lei, sentendosi in uno stato di grazia portentoso, credendo ad un mio intervento miracoloso “Mio Signore” mi disse con tono gioioso “Questo è frutto del tuo amore: ti dono tutto il mio cuore!” A quel punto pensai che se le avessi fatto bere qualche sorsata di quel sangue che l’aveva rigenerata, l’effetto benefico avrebbe avuto su di lei una più vasta portata e una maggior durata; e così le dissi che mi sarei assentato per breve tempo e di aspettarmi in quel luogo appartato fino a che non fossi tornato. Giunto al Sepolcro m’accorsi con grande disappunto che il Calice col sangue di Gesù non c’era più; avevo però visto che a terra c’era ancora il sudario con impressa l’immagine di Cristo, così avvolsi quel sacro lenzuolo e lo portai con me quale prova testimoniale di quell’evento soprannaturale. Tornato con rapida lena dall’amata mia Maddalena, le mostrai quella tela di lino con la sacra immagine segnata dal sangue divino; ed ella più volte la baciò, divenendo così ancor più fresca e bella, tanto da assumere l’aspetto di una verginella. Poi, ci incamminammo verso occidente cercando di evitare ogni inconveniente; e dopo un lungo peregrinare per terra e per mare giungemmo infine a Roma ‘Caput Mundi’, dove ci facemmo

101


registrare come ‘oriundi’, presentandomi con la faccia ben rasata e la testa ‘rapata’ come un perfetto romano da parata. Intanto, a nove mesi da quel nostro incontro, fra un sorriso e un gemito, Maddalena aveva messo al mondo il nostro primogenito. Ne seguirono poi altri sei, con due gemelli e due gemelle, e la nostra gioia era alle stelle perché la nostra famiglia era una delle più unite e belle. Poi, i figli e le figlie crebbero e si fecero le proprie famiglie. La mia amata Maddalena visse senza malanni oltre duecento anni perché, oltre alla stilla di sangue divino che le avevo trasmesso col nostro primo bacio, aveva assunto piccoli frammenti di quel sangue prezioso baciando ogni giorno la sacra Sindone con slancio amoroso. Anch’io baciavo spesso il volto di Gesù su quella tela impresso, ma avendo bevuto quel sangue direttamente dal calice di nostro Signore la durata del viver mio è assai maggiore, tanto che posso ancor parlare qui con te. Per celare la nostra longevità eccezionale cambiammo spesso la località residenziale. Rimasto solo non volli più al mio fianco donna alcuna, perché come la mia Maddalena non poteva più al mondo essercene nessuna. Nel 476, alla caduta dell’Impero Romano d’Occidente, mi trasferii in quello d’Oriente, per poi tornare in Occidente con l’avvento del Sacro Romano Impero di Carlo Magno nell’anno del Signore 800. Dopo l’anno mille avvertii che il mio stato fisico non faceva più faville: avevo già superato l’età di Matusalemme e i miei occhi non erano più limpide gemme; il mio corpo si faceva fiacco ed il pensiero sempre più bislacco. Compresi allora che per riavere la mia forma migliore dovevo ritrovare il calice col sangue del Signore. All’improvviso, un avvenimento epocale fece confluire questa mia storia personale nella più grande storia universale: la crociata, per liberare il Santo Sepolcro con una spedizione armata. E per cercare quel Calice tanto desiderato divenni anch’io crociato, vivendo duecento anni di lotte e di affanni alla sua caccia senza trovarne, ahimè, alcuna traccia. Con l’anno 1291 in Terrasanta di crociati ormai non ce n’era quasi più nessuno e i pochi superstiti, alla spicciolata, stavano abbandonando quella terra tanto

102


amata. Anch’io seguivo quella ritirata, quando notai che insieme ad alcuni crociati c’era un vecchio vestito alla foggia dei mercanti ebrei al quale, nella fretta, era caduta di mano una cassetta. Avvicinandomi per raccoglierla, vidi accanto ad essa, che s’era aperta nell’impatto col suolo, un calice splendente più dell’oro. Con mossa agile presi quel calice, ma il vecchio mercante me lo tolse di mano in un istante e dopo averlo riposto nella cassa, ringraziandomi per l’intervento, si era allontanato in un momento lasciandomi in uno stato di profondo turbamento. Non ebbi allora più dubbi: quello era il calice di chi ci ha redento e al suo recupero dovevo indirizzare ogni mio intento. Non persi di vista un attimo quel vecchio che in compagnia di quattro crociati, fra loro ben affiatati, era intanto giunto al più vicino porto; e di lì a poco, dopo essersi tutti insieme imbarcati, erano poi salpati. Anch’io, con altri tre crociati, mi misi in navigazione seguendo la stessa rotta della loro imbarcazione. Ma quando dal mar Egeo passammo nel mar Ionio si scatenò una tempesta del demonio, tanto che la navicella pareva una fuscella sballottata qua e là come una botticella, e i miei tre compagni di viaggio finirono in mare e per loro non ci fu più nulla da fare. Tutto quel pandemonio cessò quando oltrepassai lo Ionio entrando in adriatico, un mare più statico e adatto ad uno come me nel navigar per nulla pratico; e fu per me una grande emozione veder ancora, là davanti, l’imbarcazione dov’era quel Calice, al cui possesso era rivolta ogni mia azione. Alzai così la vela e presi il timone seguendone la direzione con trepidazione, mantenendomi un po’ lontano; e dopo due giorni di navigazione vidi la nave approdare sul litorale marchigiano, in quel di Fano. Poi notai, però, che da lì a poco erano sbarcati solo i quattro crociati, mentre non c’era il mercante ebreo, forse perito per la tempesta che ci aveva sorpreso entrando nel mar Ionio dall’Egeo. C’era invece la cassetta, trasportata da quei quattro sulla spiaggia in gran fretta; e li osservai attentamente mentre armeggiavano attorno ad

103


essa alacremente, fino a quando uno di loro alzò al cielo trionfante quel Calice dai riflessi d’oro. Presi poi anch’io terra, appena quelli si furono allontanati, seguendoli a distanza perché non s’accorgessero d’essere spiati. A passo svelto attraversarono prima il Montefeltro, sfiorando Urbino e San Marino, e di seguito, tenendosi a ridosso della montagna, percorsero tutta la Romagna fino a questo castello dove io, vicino ormai a realizzare il desiderio mio più bello, ebbi la sventura di precipitare in quest’orrido budello; e senza l’aiuto del re Becco ci sarei restato pure secco. Questa è la storia di tutta la mia vita, che temo possa dirsi ormai per me finita.” “Non ti devi scoraggiare, perché noi abbiamo un rimedio che ti può salvare facendoti vivere a lungo in modo salutare” così dicendo Majorana, che ha sempre con sé un po’ di sangue divino, versa nella sua bocca una fialetta di quel miracoloso toccasana; e in un attimo Jerus ritrova la sua immagine più perfetta. “Ma questo Jerus est Jesus Christus Super Star!” urlo con gli occhi spalancati sulla più fedele copia del Redentore “Mamma mia, è il Gesù più bello che ci sia! Il Gesù dei santini, che incanta gli adulti e i bambini. Questo è uno scoop clamoroso, che smentisce tutte le balle raccontate nel ‘Codice da Vinci’ da quel pataccaro blasfemo di…di… come si chiama pure… Din…Don…Dan” “Ma cosa dici?! Quello è ‘Per chi suona la campana’ di Hemingway” interviene ridendo Majorana. “Macchè Hemingway!” ribatto io “Ecco chi è: è Dan Brown! Adesso dovrà fare ammenda descrivendo la vera vicenda in un ‘Codice da Vinci 2’, e i diritti d’autore andranno tutti ai poveri sofferenti credenti nel Redentore.” Intanto Jerus, tornato nella sua forma migliore, genuflesso manda laudi al Signore, e colmo di gioia manifesta la sua riconoscenza ringraziandoci fino alla noia. Poi, felici e contenti, Jerus, re Becco, Majorana ed io lasciamo quell’orribile prigione rendendo grazie a Dio. Ma il momento più bello lo viviamo nei sotterranei del castello, quando l’improvvisa apparizione del sosia di nostro Signore accende gli animi di un sacro furore: tutti si prostrano al suolo chinando la testa, che subito è rialzata con mossa lesta per contemplare quella divina immagine

104


che tanta gioia desta. Ed esplode la festa, con preghiere, canti e liete liturgie, per cui ognuno il proprio animo monda da tristi pensieri e da bugie, con la figura di Gesù che si ammira ancor di più perché appare in veste di templare. A questo punto, però, la verità non si può più celare e tocca proprio a me, come templare investito di titolo feudale, rivelare ciò che nessuno avrebbe mai avuto il coraggio di fare. “Amici!” parlo così a loro senza tremare “Amici miei, con parole amare devo a voi confessare che colui che ai vostri occhi e ai miei appare come il Messìa è invece il suo più perfetto sosia che ci sia. Il suo nome è Jerus; di Gesù coevo, vide la sua passione e la sua resurrezione; poi, bevendo il suo sangue dal calice riposto nel sepolcro, attraverso il medioevo è giunto fino a noi e può oggi ben testimoniare tutto ciò che ha visto e vissuto, così che si ravveda chi in Gesù non ha mai creduto e chi addirittura gli ha attribuito le più umane debolezze, mentr’egli era invece asceso al cielo alle più sublimi altezze.” Dopo un attimo di smarrimento, ognuno ancora incredulo per quell’avvenimento, non celando un certo turbamento, reagisce in modo differente al sorprendente mutamento: Sadomaso, discendente di san Tommaso e come lui diffidente, vuol metterci il naso; come pure Pluto, che annusando l’aria col suo fiuto sa già che Jerus non è una divinità: gli si avvicina, fa una pisciatina e se ne va; mentre Puccia, sempre caruccia, se ne sta scodinzolando a cuccia. Per l’Ubalda, Duccio, Duccia e Ubaldello questo è pur sempre un momento molto importante e bello; c’è invece un Dante titubante, che manifesta una certa delusione per quell’inattesa confessione. Ma alla fine Riccardo Cuor di Leone, da gran campione, trova per tutti la migliore soluzione, affermando che per un credente è sempre meglio una copia di Cristo vivente che niente. Certo che qui a Fiagnano di sorprese ce ne sono sempre più, tanto che adesso abbiamo addirittura il sosia di Gesù: ha 2012 anni, ma se li porta bene per il sangue che gli scorre nelle vene. Intanto, a causa della grave crisi economica provocata dalla ‘Casta’, si sono suicidati tanti imprenditori, lavoratori e pensionati e pertanto

105


mi rivolgo a Franz e Fritz, che sono ancora con Geo e Viana in luna di miele sulla Luna, per sapere da loro quale sia la misura più opportuna contro la ‘Casta’ canaglia; e la loro risposta è solo una: la rappresaglia! Per cui per ogni imprenditore, lavoratore e pensionato dalla Casta ‘suicidato’ dovranno essere eliminati dieci membri della stessa Casta; e questo è quanto basta, essendo la colpa della Casta tanto grave e vasta. 20 Maggio 2012, ore 4.03: il Terremoto! Una scossa del sesto grado mi butta giù dal letto. Sono a San Carlo di Ferrara, a casa di mio padre, e insieme ci precipitiamo in strada: ci è andata bene e anche la casa si è salvata, ma ogni cosa che c’era là dentro è andata rovinata. Ci sono vittime e crolli di case, capannoni, chiese, castelli e torri. 29 Maggio, ore 12.55: una seconda scossa devastante e crolla tutto ciò che era traballante; anche la torre medievale dimezzata sull’asse verticale, assurta a simbolo mondiale di questo sisma eccezionale, per quest’area del tutto anomala in quanto, in mille anni, si sono contati solo tre terremoti importanti: nel 1100, nel 1349 e nel 1570, con la constatazione amara che colpirono più gravemente la città di Ferrara. Ora, dopo due mesi, l’attività sisimica sembra del tutto cessata, ma una dura realtà va registrata: 27 morti, con la devastazione di quella che fu la più bella contrada delle Signorìe Estense, Bentivoglio e Gonzaga, sfigurata da una profonda e dolorosa piaga, col cuore in Mirandola, da cui prese il nome il conte Giovanni Pico, genio rinascimentale dalla memoria eccezionale, ricaricata come una girandola. I miei conterranei terremotati nel frattempo si son ricaricati, e già han dato il via alla ripresa rinnovando ogni impresa. Perché la loro ripresa sia più forte è stata messa a loro disposizione l’enorme cassaforte dei grandi evasori d’imposte, recuperata dagli ATT in una cabina di prima classe un attimo prima che la Costa Serena affondasse. C’è anche un fatto commovente: la ventenne Jessica Rossi, ‘terremotata’ emiliana di Crevalcore, ha dedicato ai suoi concittadini tutto il suo cuore e la medaglia d’oro di tiro al piattello, vinta alle Olimpiadi di Londra con 99 centri su 100, conseguendo nel contempo il primato femminile e maschile d’ogni

106


tempo. Intanto riprende il processo alla ‘Casta’, condotto sempre da Sadomaso d’Aquino e da Dante; ed ora si fa più importante perché i due inquisitori s’avvalgono di uno strumento di precisione messo a disposizione dal re Inqubo per l’occasione: un grosso masso antropomorfo con occhi forati e fauci profonde, che a tutti i rei paura e angoscia infonde. Il re Inqubo ne spiega la funzione, che è come quella della ‘Bocca della Verità’, quel mascherone che a Roma mozza la mano senza pietà a chi l’infila nella sua boccaccia dicendo falsità; ma invece della mano, la ‘Bocca della Verità’ di questo masso umano, ai membri della Casta che dicono falsità mozza le lingue senza pietà. In una zona appartata c’è anche un’aquila fossilizzata: è l’antenata delle due aquile mie amiche, quella che teneva tutta l’area del calanco sorvegliata, perché non fosse violata da qualsiasi presenza indesiderata. Una goccia del sacro sangue nel suo becco, e con una gran folata la nera enorme sua sagoma alata nella vampa del sole già si stampa, riprendendo a sette secoli di distanza la sua funzione di sorveglianza. Tanto più piace in quanto svolge un’azione di pace e non rapace. Nell’aula processuale viene introdotto il ‘sorcio’Amato, prelevato dalle fogne dove era stato relegato; ma la sua entrata è accompagnata da un lungo corteo di topi e pantegane, col rischio di grosse grane. Ben presto, però, re Inqubo libera tutti da questo incubo sguinzagliando il gatto Rupestro, che per ogni ratto è peggio d’un capestro, e in poche ore non c’è più un roditore. Il processo può così iniziare e il reo Amato da Sadomaso viene così apostrofato: “Chi, come te, a tutti ha dato solo pene, patire deve le stesse pene sul suo pene: questa è la legge del contrappasso e non si cede d’un solo passo; e quindi tu, misero sorcio, prodigo con te ma col prossimo spilorcio, di difendere il tuo operato hai facoltà, ma se dici falsità il masso della verità l’intera lingua tua ti mozzerà!” “Pietà…pietà!” implora il meschino sorcino “Tutto quel che dite contro me è pura verità, confesso le mie empietà ma lasciatemi almeno la lingua per parlare e il pene per pisciare, e nessuno farò mai più penare.” “La lingua ti lasciamo, ma il pene ti puniamo: Gatto

107


Rupestro ti mordicchierà il glande inzuppandolo di sangue e se tu sarai tanto maldestro da volerti sottrarre a tale suo gesto, lesto lesto egli ti lacererà pur tutto il resto, financo il coglion sinistro e quello destro!” “Poi mi lascerete andare?...” “Sì, nel calanco a meditare! Portatelo via! Ad calancum, statim!” A quell’ordine i due ATT guardiani afferrano il condannato per i piedi e per le mani e in un lampo lo depositano in fondo al calanco. “Avanti un altro!” è l’ordine sonante di Sadomaso e Dante, e al loro cospetto si presenta una figura curva, malferma e lenta, con una gran testa triangolare incassata nel busto basilare. In doppiopetto scuro, con distintivo all’occhiello e due orecchie ad ala di pipistrello; occhiali con spesse lenti stile anni venti, una gobba vistosa sormontata da un grosso corvo in posa. Sembra la larva d’un vecchio vampiro bolso e di più lungo corso. Nato nell’anno 19 del secolo scorso, è il decano della Casta politica italiana, cui è secondo quel Napolitano ex presidente dello Stato Italiano. Pur di governare, con amici e nemici cercò sempre di mediare; fu il massimo esponente DC, con ammiccamenti al PSI, PCI, PRI, PLI, PSDI, PP, POPO’ e alle tre civette ch’aveva sul comò, giusto per scaramanzia aggiunte alla sua gobba e al gatto nero di sua zia. Il suo cognome inizia con Andre e finisce in otti: fu il re dei compromessi con tutti gli annessi e connessi, noto anche per facezie e strambotti, con la sua più famosa massima che fa: ‘Il potere logora chi non ce l’ha!’ “Ahimè” fa Sadomaso a Dante “Mummificato com’è, costui è inutile che sia processato e condannato. Togliamoci pertanto lo sfizio di donarlo al museo egizio come frontespizio.” Poi, senza aspettare tanto, lancia il suo perentorio ordine: “Avanti un altro!” Intanto Ubaldello, da me posto al comando dei 30 ATT a presidio del castello, avverte che fuori dalle mura c’è una fila tale di membri della Casta da processare, che da Fiagnano arriva fino al mare. In quella fiumana dannata si scorgono personaggi di lunga data: Fini, Casini, D’Alema… come pecore in fila per sapere quale sarà la loro pena. C’è Santoro, meglio noto come Sant’oro, protettore di tutto il suo tesoro, detto anche

108


San toro, protettore delle ‘bufale’ rifilate al popolo bue, al quale fa venir la lue con tutte quelle tediose trasmissioni sociopolitiche di cui è il faro e il conduttore più caro, insieme al buon buonista Fazio di ‘Che tempo che fa’, che da tempo tanti soldi fa, da quando incassò più di 20 miliardi di lire da Telemontecarlo, più di tutto quanto fa il Casinò di Montecarlo. C’è pure, anche se defilato, quel semitico – più scemo che mitico – Infedele, errante prima nei canali televisivi, finchè approdò poi alla 7 e lì vi stette; l’aggeggio Gadget Lerner, che come una furia s’adirò quando Berlusconi tagliò il 10% dei compensi oltre i 150.000 euro all’anno, perché ciò gli avrebbe procurato un danno di alcune decine di migliaia di euro all’anno; da cui perciò si deduce che il suo presunto guadagno di almeno 550.000 euro all’anno, in un anno a 510.000 si riduce, ch’è pur sempre di gran lunga superiore a quello di mister Obama e di ciò che percepiva il Duce. Arriva poi la notizia ufficiale che quelli della Casta son più di cinquecentomila e che per processarli tutti un secolo non basta. Ci vuole subito una soluzione per non rischiare una rivoluzione, perché una massa di individui di tal misura può pur sempre far paura: per quantità è come la Grande Armata di Napoleone, anche se, pur messi tutti insieme, tutti quelli della Casta, a paragone di quel gran genialone, non valgono nemmeno la metà della metà di un suo coglione. All’improvviso, dalla testa di Dante esce un’idea strabiliante: la ‘Festa dell’assalto al Castello’, attività ludica esaltante per celebrare la sconfitta della ‘Casta’, quale avvenimento più grandioso e importante. La trovata è subito programmata in forma computerizzata, brevettata con attuazione immediata, dato che solo a Dante e Sadomaso spetta dare una soluzione a questo problematico caso. Sono assunti a tempo indeterminato: disoccupati, sottoccupati, esodati, esuberati, essudati, esondati, alluvionati, terremotati, insidiati, minorenni maggiorati, maggiorenni minorati, sottosviluppati, soprasvilupati, cazzintegrati, dissotterrati, precari e imprecari, co.co.pro, qui pro quo, qui quo qua, lì lo là, e chi più ne ha più non ne metta più di quelli che più ha; tutti

109


quanti col compito di difendere il castello sovrastante dall’assalto dei membri della Casta, che tenteranno di espugnarlo risalendo il calanco sottostante, con le spade degli ATT che punzecchiano chi è esitante. Chi riuscirà a entrare nel Castello avrà salva la vita dalla vita in su, se omosessuale, e dalla vita in giù, se eterosessuale. Gli assalitori sono disarmati e completamente denudati, mentre i difensori possono colpirli solo col lancio di ciottoli appartenenti al popolo dei Mostriciottoli. Dato il numero considerevole dei membri della Casta, l’Assalto al Castello ha luogo tutti i giorni festivi fino ad esaurimento degli assalitori. Gli assalitori morti e feriti saranno lasciati in pasto a lupi, volpi, corvi, cornacchie, gazze, falchi, aquile e cinghiali, in modo che questi predatori per molti anni non avranno più necessità di predare altri animali. Squilli di tromba e rulli di tamburi annunciano l’apertura ufficiale di questa olimpiade e Prodi, che ha vinto le primarie per la carica di presidente d’ogni penitente, inerpicandosi per primo su per il calanco, con le spade degli ATT che gli punzecchiano l’uno e l’altro fianco, rivolto ai difensori del castello che lo sovrastano dall’alto, con voce isterica urla la frase evangelica: “Chi è senza peccato scagli la prima pietra!” E subito una grandinata di mostriciottoli s’abbatte sulla sua testa sventurata, che però è talmente dura e quadrata da non essere neppur sbozzata. Ben presto, quell’euromane maldestro batte lesto in una rovinosa ritirata con una gran massa di quei mostruosi ciottoli a lui aggrappata; ne ha perfino due, simili a corbezzoli, che gli mordicchiano i capezzoli. Stessa sorte spetta poi a tutti i suoi compagni di malasorte: ognuno cerca scampo di qua e di là, ma gli ATT li spingono tutti contro il calanco senza pietà. Chi cerca di salire su per quegli orridi canaloni, giunto fino a metà più non ce la fa e colpito dagli spaventosi sassi che piovono dall’alto, ruzzola fino in fondo ferito e moribondo. Ma il peggio sta per arrivare, ed eccolo lassù nel cielo volteggiare: è il grande avvoltoio grifone, l’uccello sacro ad ogni Faraone, ch’era quasi in estinzione e che qui ora può trovare la sua resurrezione. Con la sua acuta vista dall’alto tutti quei bei culi avvista, e sceso a terra, con la testa

110


e col lungo collo ignudi penetra in ogni sedere, dando a tutti i rei gay moribondi un piacere stupendo, seguito da un dolore tremendo, segno d’un estremo atroce destino per l’estrazione col grande becco a uncino di tutto l’intestino, che il grifone inghiotte senza esitazione volando poi di culo in culo per svolgere in continuazione la stessa identica macabra funzione, per cui ognuno capisce che chi di culo gioisce di culo perisce, anche se il grifone non fa distinzione fra etero e culattone, entrando pure nell’apertura anale d’ogni reo eterosessuale. Intanto, per tanti rei che son caduti, altrettanti ne son venuti; fra i più colpiti c’è anche quel Romiti già amministratore delegato della FIAT, che in fatto di liquidazioni detiene in assoluto il primato con la modica cifra – si fa per dire – di 130 miliardi di lire, primato a tutt’oggi ineguagliato. Una delle più bersagliate è la ‘pasionaria’ Turco, d’ogni migrante adorante, quella che ad ogni sua apparizione in TV provocava un’unica unanime reazione di riprovazione con l’esclamazione: “Mamma, la Turco!!!” ora è qui relegata dopo essere stata condannata, dato il suo nome, a pulire in Turchia cessi alla turca in un gran bagno turco di periferia. Santoro, Lerner e Fazio subiscono il più tremendo strazio, mentre l’arrivo di Tremonti e Monti nel calanco è salutato dall’alto da questo corale canto: ‘Tremonti, promettevi mari e monti – Monti, hai promesso monti e mari – ma per noi imprenditori, lavoratori, disoccupati e pensionati son sempre solo cazzi amari!’, e giù una gragnola di mostriciottoli a riempire la testa dei due economisti di bernoccoli. D’Alema, Casini e Fini sono anche loro incasinati lì dove la sofferenza pare non aver confini, mentre sopraggiunge la sera e di salvarsi ormai nessuno più ci spera. Ben presto la grande conca che s’apre ai piedi del calanco diventa un’enorme discarica, dove il lezzo della morte esala da chi ha subito la più dura e triste sorte e in quell’immenso catino ribolle il sangue di tutte quelle canaglie come rosso vino nel più capiente tino. All’improvviso, una figura umana con grandi ali di pipistrello, dopo aver volteggiato più volte sul castello, si tuffa in picchiata in quell’orgia di sangue facendo una gran sbornia.

111


E’ Dracul, il demonio, che dal suo castello in Transilvania è giunto in questo castello al confine fra l’Emilia e la Romagna, e Dante lo nomina all’istante guardiano sovrano di questa conca infernale. Il grande Poeta realizza così il suo sogno esistenziale: l’Inferno reale! Dove dannati in carne ed ossa subiscono i più tremendi tormenti in quest’orrida fossa, che assume da ora la denominazione ufficiale di ‘Parco Naturale della Grande Bolgia Infernale’. Intanto, ogni giorno feriale, prosegue la lunga Via Crucis dei condannati verso il loro destino finale: la Bolgia Infernale, da cui nessuno avrà speranza di tornare. Sfilano in mesta fila Politici, Burocrati, Banchieri, Faccendieri e tutti quanti gli altri parassiti, ladroni con stipendi e pensioni da Paperoni. Per tutti costoro è ormai finita la ‘bella vita’: con questa ‘gita’ si conclude la loro dannosa, avida, inutile vita. Ad attendere questi predatori nell’infernale buca ci sono già tanti altri predatori, perfino l’orso Marsicano, che quando marsica stacca almeno una gamba e una mano. Ben presto, ciò che avviene nel Parco naturale della Grande Bolgia Infernale, diffuso per via satellitare, diventa il più grande spettacolo del mondo, trasmesso da tutte le TV con un successo tale che tutte le altre trasmissioni nessuno le vuole più guardare, e la sua fama giunge perfino ad oscurare i più cruenti spettacoli circensi della Roma pagana, coi gladiatori ed i leoni del Colosseo che fan la figura dei coglioni a paragone di quel che accade nella Grande Bolgia Infernale ad ogni reo. E’ data la notizia ufficiale che la meta preferita di tutti i turisti del Pianeta è il Parco naturale della Grande Bolgia Infernale, dove giungono frotte di spettatori da ogni parte del mondo per godere della fine d’ogni essere immondo. Questo è per Dante un fatto molto importante perché la sua ‘invenzione’ è richiestissima da ogni nazione, e siccome è coperta da copyright, in breve il sommo Poeta va ad occupare il primo posto fra tutti i Paperoni, superando perfino Bill Gates e Berlusconi. In testa all’esportazione ci sono i ‘Mostriciottoli da lapidazione’, con i Paesi musulmani che ne fanno incetta a piene mani; e la regina Wagina si dà da fare dalla sera alla mattina sfornandone ogni mezzora almeno una dozzina, per soddisfare

112


le grandi richieste che giungono da ogni parte del mondo, dall’America all’Oceania, dall’Africa alla Cina. Intanto in Sardegna, nell’ex villa Certosa, ora sede d’una pia comunità operosa, fra’ Silvio da Arcore si dimostra un Padre priore di gran cuore, offrendo nell’estate calda della Costa Smeralda, alle turiste giovani e belle, un ritiro spirituale nell’area conventuale con sacre funzioni, litanìe contrizioni alternate al ‘Burlesque di Berlusquoni’, il tutto accompagnato dal canto accorato del refrain di ‘Per fortuna che Padre Silvio c’è!’. Così, in breve, tanti monaci penitenti si trasformano in impenitenti frati gaudenti; e poiché vale il detto che fin che c’è vita c’è speranza, ognuno fa quel che vuole nel ritiro della propria stanza. E a Villa Certosa di stanze ce ne sono ben quaranta! Per cui: ‘melius abundare quam deficere – melius gaudere quam affligere’; e via così se questa è la giusta via! Nel frattempo Beatrice comunica a Dante la sua intenzione di raggiungerlo a Fiagnano; al che, però, sapendo che quella creatura tanto sensibile non potrebbe reggere alla vista di quella bolgia infernale così terribile, Sadomaso consiglia il Poeta di mandare la sua dolce sposa in Sardegna, a Villa Certosa, ora sito conventuale molto ospitale per chi necessita di quiete corporale e spirituale. Dante non si fa pregare e subito provvede a fare trasferire, quasi simultaneamente da due ATT, la sua cara metà in quella stupenda località dove, preavvisato, c’è già ad accoglierla il priore Padre Silvio da Arcore, che riserva a Beatrice gli alti onori che spettano ad una così illustre visitatrice, rivolgendole il saluto: “Ave, Beatrix, gratia plena, innamoriturus te salutat!” Ed ella, giungendogli vicino, ricambia il suo saluto con un lieve inchino: è una creatura così eterea e celestiale che ogni sguardo non ardisce di guardare, quella nel cui viso sta riflesso il paradiso. In lui c’è una sensazione nuova mai provata, generata da quell’immagine tanto delicata, trasfigurata in un’entità angelicata, che annulla ogni desiderio carnale sublimandolo nella più totale estasi spirituale. E il godimento interiore è così intenso da far quasi venir meno ogni senso. Ma intanto la Mignetti, che è lì accanto è talmente indignata per essere di colpo

113


del tutto ignorata, da fargli questa sparata: “Caro il mio Cavaliere, se non sai più fare il tuo mestiere ti saluto e vado con Corona, che regina del gossip m’incorona! Ciao papi, tu sempre mi hai appagata tanto, così come pur io t’ho dato tanto, e pertanto t’auguro tanto di poter diventare Papa o Santo!” Così dicendo se ne va, e lui sempre lì fermo se ne sta, null’altro facendo che contemplare quella soave visione purificatrice che ha per nome Beatrice. Ma all’improvviso un acuto grido di dolore interrompe il suo estatico torpore: una vipera orrenda ha morso la caviglia di quella creatura stupenda. Con coraggio e con ardore quell’insolito priore, come un proiettile, schiaccia la testa del rettile, e succhiato il sangue dalla ferita ne sputa il primo sorso col veleno, ingerendo poi un secondo sorso di solo sangue; quindi porta soccorso a lei che ancora a terra langue. Svanisce in breve ogni pallore da quel dolce viso, che riacquista in pieno tutto il suo splendore col più radioso sorriso; e con movenza lieve ella si rialza aiutata da quel perfetto ‘Cavaliere’, e leggiadra verso lui s’avanza sfiorandogli poi la guancia con un casto bacio, che lo lascia lì ammutolito come un pezzo di cacio. E come nella fiaba del ranocchio mutato dal bacio della principessa in un bel giovanotto, così accade che quell’attempato ‘monaco’ coi capelli trapiantati e tinti, in un attimo diventi un giovane bello e snello, con una folta chioma e i modi distinti: è il Silvio chansonnier, che allietava col suo canto i crocieristi coi quali navigava nei paradisi dei turisti. Non è stato, però, il bacio di Beatrice a riportarlo nell’età più felice, ma il sangue che lui ha succhiato dalla sua ferita; quel sangue divino che aveva rigenerata quella creatura angelica dopo ch’era stata riesumata. Frate Silvio, intanto, dalla gioia non sta più nel saio ed eleva al cielo il canto suo più gaio, mentre tutti i confratelli, colpiti da quello che appare come uno dei miracoli più belli, l’accompagnano in coro come tanti fringuelli. Ma quel miracolo è ufficialmente attribuito a Beatrice, che d’ufficio è proclamata ‘Beata’, così come ‘Beato’ è pure proclamato padre Silvio da Arcore, il miracolato, che vede pertanto spianato il cammino verso un suo probabile Papato.

114


Di lì a poco, i due ‘Beati’ vengono scritturati da Mediaset come protagonisti della Fiction ‘Padre Silvio’, che in breve strappa al ‘Don Matteo’ della Rai il primato di religioso più amato. Intanto a Fiagnano ci sono in vista dei guai: i crociati ATT minacciano d’incrociare le braccia perché giustizia si faccia. Sono stufi di star lì tutti i dì festivi a punzecchiare dei culi, quando invece potrebbero andare a pizzicare ben altri culi al mare. Per dare una rapida soluzione a quest’incresciosa situazione, chiedo subito l’intervento di Marchionne, il massimo esperto d’ogni vertenza sindacale, che fa ricorso al licenziamento come miglior mezzo di convincimento. Avvolto nel mantello di un ATT, il presidente della FIATT è in un attimo qua, col solito maglione e un’insolita barba grigia incolta da uomo in rivolta, tanto che gli chiedo se non ha caldo sotto il solleone col maglione e con quella barba da barbone. “Austerity and Solidarity” mi fa lui sentenzioso “Così esprimo la mia solidarietà a tutti i lavoratori nel modo più sincero, austero e caloroso; e il caldo non mi dà tormento perché mi faccio vento coi cento bigliettoni da 500 euro al giorno del mio compenso. Adesso, orsù, diamoci da fare per trovare un’intesa sindacale.” Gli comunico, però, con rammarico, che nella gran Bolgia Infernale, fra coloro che hanno il culo più punzecchiato, ci sono proprio quelli del sindacato. “Tanto di guadagnato!” mi risponde rassicurato “Austerity and Solidarity” ripete “Questo è il mio motto e chi non ci sta lo faccio secco e cotto!” Così, con serena severità, persuade gli ATT ad abbandonare ogni velleità, col beneficio, concesso loro, di alternare turni di riposo a quelli di lavoro. All’improvviso, molti di quelli che stanno bersagliando i membri della Casta nel calanco, riconosciuto dal maglione Marchionne che sta lì al mio fianco, esacerbati dai suoi guadagni esagerati, dandogli del marpione, lo fanno segno di un nutrito lancio di quei mostruosi sassi, che io però, postomi davanti a lui alcuni passi, riesco a neutralizzare facendogli scudo col mio scudo. Poi, con un rapido saluto, alla stessa velocità con cui è qua venuto, lo induco a tornare là dond’è venuto. Marchionne si è appena involato ed ecco che

115


arriva Majorana, da me qui convocato per fare il punto della situazione. Lo accolgo con un sorriso e una provocazione che ha il sapore di una riprovazione: “Caro professore” gli faccio io “Non c’è più religione: per gli scienziati finora Dio non c’era od era un’invenzione o una pura astrazione, mentre adesso sostengono che è un bosone, o il bosone è Dio, che è poi la stessa situazione. Questa è mera presunzione, dal momento che stanno ancora cercando l’anello di congiunzione fra l’uomo e lo scimmione, quando l’anello ce l’hanno loro al naso, ma nessuno ci fa caso!” “E non farci caso nemmeno tu!” mi risponde lui con decisione “Adesso vediamo cosa succede qui a Fiagnano per verificare se è giusta la giustizia di Dante e Sadomaso, perché qualcuno ne sta montando un caso.” Al che gli replico che potrebbe trattarsi del solito ‘buonista’, desideroso di sottrarre ad una giusta pena qualche condannato che già figura in quella lunga lista. E probabilmente a Dante gli è andato il sangue alla testa quando l’ONU gli ha affibbiato l’appellativo di nazista, per cui lui, con mossa lesta, ha realizzato un vero Inferno con la sua azzeccata ‘Festa dell’assalto al Castello’, che tutto il mondo celebra come lo spettacolo più grandioso e bello. Per onor del vero, poi, tutti ormai sanno che i nazisti hanno sterminato sei milioni d’innocenti ebrei, mentre Dante e Sadomaso, non a caso, stanno castigando mezzo milione d’incalliti rei, quelli a cui non gliene fregava un accidente di affossare l’intero Occidente con tutta la sua gente, pur d’ottenere tutto ciò che più a loro fosse conveniente. Quindi la via da loro intrapresa è la più giusta per una giustizia giusta, e per chi nega questa verità non può esserci pietà! Frattanto, pochi metri lì di fianco, tra i turisti che si godono lo spettacolo dai bordi del calanco, ci sono tanti bambini che, con schiamazzi e risolini, scagliano a mitraglia mostriciottoli su tutta quella marmaglia che là sotto urla e si lagna. E i loro nonni e nonne ci chiedono perché in quella bolgia non c’è anche Marchionne: a uno come lui, coi suoi

116


mostruosi incassi, gli scaricherebbero volentieri addosso una montagna di quei mostruosi sassi. A quei nonni e a quelle nonne do l’immediata spiegazione del perché in quella infernale bolgia non c’è Marchionne: non c’è per la semplice ragione – ed è ciò che basta – che, come imprenditore, non fa parte della Casta. A lui dobbiamo la fornitura, tramite la sua FIATT, di tutti quegli ATT, la cui finalità è quella di difendere la nostra Civiltà. Qualcun altro chiede perché a subire quelle punizioni non ci sia Berlusconi, capo del governo in ben tre occasioni, vincendo le elezioni. Al che, visto che sto cominciando a rompermi i coglioni, rispondo dando le medesime spiegazioni fornite ai precedenti richiedenti, e cioè che il Cavaliere ha sempre fatto l’imprenditore per mestiere, non avendo la pasta per far parte della Casta, entrato in politica per tutelare le categorie produttive e i meno abbienti, colpendo i privilegi della Casta, dimezzandone i componenti con tutti i loro monumentali emolumenti; in ciò però impedito da politici, burocrati e magistrati, tutti contro lui schierati, compresi i parlamentari suoi compari, a cominciare da Casini e Fini, che per i loro personali fini l’han cacciato per primi nei casini; seguiti poi dalla cancelliera tedesca Merkel che, sentendosi offesa per essere stata da lui chiamata ‘Kulona’, si è vendicata mandandolo in mona – sua abituale zona – e col colpo di mano di Napolitano, è giunta alla definitiva resa dei conti nei suoi confronti, con la sostituzione del suo governo col governo Monti. Tutti i ‘media’, poi, e la Magistratura, con gran zelo e premura, l’han sempre colpito – e ciò tuttora dura – nel suo punto più debole, che da sempre era stato il sesso debole. E così, fra gossip e accanimento giudiziario, non ha mai potuto svolgere la sua funzione nel modo più ordinario, e ciò a spese del Paese che ha visto aumentare le sue spese, con la gente che non riesce ad arrivare alla fine del mese. Fervente monateista misscredente, per questa ragione si è sempre attirato l’avversione di ‘benpensanti’, gay e trans, che non hanno mai cessato di ostacolarlo in ogni occasione; ma molti di loro, quali componenti della Casta, sono già nella Bolgia Infernale o vi stanno per precipitare, mentr’egli, per

117


la sua nuova condizione spirituale è stato elevato allo stato di Beato. E così rigenerato potrebbe tornare al governo di questo Stato, dalla Casta tanto disastrato. Tale evento non sarebbe poi insperato, perché chiunque non avrebbe mai il coraggio di negare il suo voto ad un ‘beato’. All’improvviso, dal fondo del calanco vola fin su posandosi al mio fianco Dracula, che Dante ha nominato guardiano ufficiale della Bolgia Infernale. Ma non è il Dracula ch’io ebbi con me crociato, e perciò chiedo a lui con cortesia di dirmi quale Dracula egli sia. Al che, ritraendosi da me spaventato dalla mia croce di crociato, rivolgendosi a Majorana così risponde con tono concitato: “Io sono il vero conte Dracula, nonché principe Vlad, e colui che fu con voi crociato non era un vero vampiro ma solo un vampiro simulato, essendo il figlio mio adottivo: infatti non ha mai succhiato sangue nemmeno da una rapa; con i canini posticci combinava solo pasticci; le ali di pipistrello se l’era costruite copiando i disegni di Leonardo sul volo d’ogni uccello; la vista della croce non lo terrorizzava affatto, tanto da indossare l’abito da crociato senza esserne impacciato. Tornato al nostro castello, dopo la vostra crociata, per un po’ fece il menestrello, poi il cantautore; ma la sua più grande aspirazione era sempre stata quella di poter fare l’attore col ruolo del vampiro, e così se n’è andato ad Hollywood con l’intento di sostituire quel Pattinson tanto celebrato, ma talmente pallido e assonnato da sembrare, più che un vampiro, un vampirizzato. Io, da buon padre, per poterlo mantenere nella costosissima mecca del cinema con la speranza che prima o poi possa ‘sfondare’, mi son dato da fare, e dopo tanto cercare ho colto al volo – usando un’espressione reale – l’occasione, a me congeniale, di poter svolgere l’attività di guardiano ufficiale di questa grande Bolgia Infernale. E ciò è il meglio che mi potesse capitare, perché con l’attuale crisi dell’economia, qui c’è tanto di quel sangue da spedirne anche in Romania per curare tutti i vampiri che soffrono d’anemia. Così parlando, quando ormai il sole dietro i monti langue, scoprendo gli aguzzi canini in un sorriso, ci saluta ripiombando giù nella bolgia a succhiar sangue.

118


Si è appena dileguato, e Majorana mi confida sconcertato che aver nominato quel Dracula guardiano della Bolgia gli sembra un’idea balzana. Ma io lo rassicuro precisando che Dracul è il diavolo, e un inferno senza diavolo è un inferno del cavolo; e non c’è diavolo in giro, che non sia anche un vampiro, che possa risucchiare tutto il sangue di questa conca più d’una pompa, come invece sa fare questo Dracula che lo divora con la rapidità d’un’idrovora. Intanto mi giunge la notizia della morte di Armstrong, il primo uomo che mise piede sulla Luna il 21 luglio 1969; ciò mi rattrista, anche perché m’era parso di sentire che quel primato gli era stato tolto in quanto dopato, ma Majorana mi rassicura che non si tratta di questo Armstrong, ma di Armstrong Lance, quello che ha vinto sette Tours de France. E’ giunto il momento di lasciare questa ‘valle di lacrime’, dove per chi c’è dentro è un gran tormento, mentre per chi dall’alto la sovrasta c’è un divertimento che mai non basta: bersagliare la ‘Casta’. Ora ci attende la riforma dello Stato, dopo che il potere della Casta è stato alfine debellato. Da questa data ogni istituzione repubblicana viene cancellata; i partiti sono aboliti, i sindacati radiati. Al posto dell’attuale Repubblica Italiana e di ogni altra repubblica e monarchia puttana, è proclamato il ‘SACRO UNIVERSALE IMPERO OCCIDENTALE’, retto da un’autorità imperiale sovrana, coadiuvata da una aristocrazia feudale col feudo ricevuto non per nascita ma per merito, in conformità al motto crociato così formulato: ‘Strenuus – Justus – Probus (Valoroso – Giusto – Virtuoso)’. Per l’elezione del primo imperatore convoco urgentemente i protagonisti delle Crociate da me guidate: Riccardo Cuor di Leone, che ha il comando di tutti gli ATT già a disposizione e di quelli in elaborazione; Ubaldello; Corradino e Manfredi di Svevia, direttamente dal Paradiso; Majorana, che è già qui a me vicino; Franz, Fritz con Geo e Viana, appena tornati dallo loro lunga luna di miele sulla Luna, da cui mi hanno portato come ricordo il calco dell’impronta di Armstrong, uno dei più bei doni che mi sia mai stato dato. Così tutti riuniti, all’unanimità

119


eleggiamo, quale primo imperatore del Sacro Universale Impero Occidentale, Enzo di Svevia, che abbiamo appena sottratto al suo eterno sonno e riportato alla vita col sangue di Cristo al suo frammisto. Con l’aspetto ch’ebbe nella sua migliore età, ora ci guarda, ci sorride e poi con umiltà ci dice: “Amici miei, son di nuovo qui con voi, venuto non dal Paradiso, ma dal loculo da cui non fui mai diviso. Ma al mio fianco, per regnare insieme a me pur anco, chi siederà su questo trono come imperatrice?” E io a lui sollecito rispondo: “Ci sarà, fra i più alti fasti, colei che tu più d’ogni altra amasti del più forte amore, quello che dallo sguardo giunge fino al cuore. Concedi a me l’onore, o mio sovrano e imperatore, di congiungere la tua con la sua mano: ella sarà con te qui fra non più di tre dì.” Ciò detto, io e il mio avo in Egitto voliamo, e con l’aiuto di Allah, senza neppure il tempo di chiederci dove sarà, troviamo subito la tomba di Fahtmah, quella fanciulla che nel 1228 incontrò re Enzo giovinetto e lo scambiò per un biondo angioletto. Solleviamo il coperchio del sarcofago e ci appare, così ben conservato, quel corpo tanto desiderato: i capelli ancora folti e neri, tanto ch’ella pare morta solo da ieri; e la bocca di corallo, abbozzata in un sorriso, fa più bello il suo bel viso. Poche stille del divino sangue in quella bocca e l’ora della sua resurrezione scocca. E’ fatta: ella sta ora innanzi a noi fissandoci coi suoi occhi di cerbiatta. Poi, con voce tenue ci dice: “Voi che vestite la veste dei crociati, ditemi quanti anni ho io qui passati da morta e come a nuova vita son risorta.” E a me rivolta: “In te, giovane templare, ravviso il viso che mi è familiare, di quel figlio del secondo Federico imperatore, che una volta vidi, ma che impresso rimase sempre nel mio cuore. Sei tu forse quello? O pur solo suo fratello?” “Mia principessa” rispondo a lei davanti inginocchiato “Non sono colui che in me tu hai ravvisato, ma se mi seguirai, in breve innanzi a lui sarai. Egli è imperatore di tutto l’Occidente e se il tuo cuore come il suo non mente, visto che vi amate entrambi tanto intensamente, sarai tu a lui sposa in un tempo assai imminente. Sono ben settecentocinquant’anni che giaci in questo avello

120


ed ora, rediviva, egli nel dito tuo infilerà il suo anello.” E lei a me, con emozione: “Sarà per me il più grande onore essere sposa di colui che fu, ed è, il mio solo unico immenso amore.” In ossequio a queste sue parole, eseguo ciò che ella vuole, e avvolta la principessa nel mantello ai neutrini, voliamo alla volta di Bologna, che raggiungiamo in soli due minutini, scendendo davanti a quel palazzo in cui Re Enzo visse prigioniero, e dove adesso vi sta come sovrano del più vasto impero. Ed ora è l’ora dell’incontro tanto atteso: lui è lì dall’emozione tutto teso, e lei gli sfiora, come quel giorno lontano, i biondi capelli con la mano; poi, mentre la folla tutt’intorno tace, le loro labbra si uniscono nel bacio più tenace, e il plauso più fragoroso scoppia rivolto alla regale coppia. Dalla piazza Maggiore il corteo nuziale si trasferisce, in pompa ufficiale, di cinquecento passi nella piazza dov’è la chiesa basilicale dedicata a San Domenico che, uscito dalla sua tomba monumentale dopo aver ingerito un po’ di quel sangue soprannaturale ch’io gli ho fornito, aspetta all’altare di poter celebrare il rito nuziale. E quando quel re divenuto imperatore, davanti a lui ora è venuto, egli, dopo il saluto dovuto, gli rivolge queste parole: “Rammenti quante volte, nel silenzio della notte, uscendo dalle nostre tombe vagavamo fantasmi sotto queste alte volte, e tu mi confessavi le tue colpe ch’io assolvevo sempre tutte quante le volte? E a questa vostra unione impartisco ora la mia benedizione, invocando su voi la divina protezione; e in nome di colui che regge tutto l’universo a voi rivolgo questo verso: ‘Vuoi tu, Enzo di Svevia, imperatore di tutto l’Occidente, prendere come tua sposa la principessa Fahtmah, qui presente?’” “Sì, lo voglio per sempre!” “E tu, principessa Fahtmah, vuoi prendere come tuo sposo il qui presente Enzo di Svevia, imperatore di tutto l’Occidente?” “Sì, io lo voglio per sempre!” “Apponete la vostra firma su questo foglio, poi scambiatevi gli anelli davanti a questo popolo di sorelle e fratelli, con l’augurio che i giorni della vostra vita sian sempre più belli.” Intanto, si leva in alto d’incanto un soave canto, che dalla chiesa s’espande in un istante nella piazza antistante.

121


La regale coppia esce poi fra due ali di crociati in fila doppia, e in un tripudio di folla il più grande applauso con fragore scoppia. Nell’aria serena leggera incombe una nuvola di bianche colombe, mentre belle fanciulle promesse spose inondano gli sposi di profumati petali di rose. Cento campane suonano a festa ad allietare il più bel giorno di festa, e l’aureo vessillo imperiale con impressa la nera aquila regale s’eleva al cielo sopra ogni torre, fra squilli di trombe e il rullo di tamburi, che rendono gli animi più forti e puri. Tre sono i preziosi doni per cui stan tutti davanti al gran sovrano proni: la corona sul suo capo, la stessa che cinse la testa del padre suo Federico, nominato ‘stupor mundi’, secondo solo per dinastia, ma fra tutti primo per grandezza e cortesia; la spada al suo fianco, quella invincibile del nobile Galgano, che prima fu crociato e poi eremita e santo; gli speroni con le rotelle d’oro ai suoi talloni, quelli di Tex Willer, del fumetto western gran portento, per il copyright non presente a questo epocale evento. Le TV di tutto il mondo riprendono questo avvenimento grandioso e pur giocondo, preludio di un domani più felice e fecondo. Dante, che fra ogni astante è il personaggio più importante, così eleva al cielo il suo canto immortale per celebrare la novella coppia imperiale: “Innanzi a te, mio re, ora imperatore, biondo, bello e di gentile aspetto m’inchino tutte l’ore con rispetto, dedicandoti questo mio umile versetto – E pur innanzi a te, mia sovrana e regina, la testa mia s’inchina; moresca dalla pelle di pesca, di stirpe principesca, per il tuo amato la più bella esca, e lui per te il più bel re; imperatrice e del suo cuore detentrice, come del mio fu Beatrice, ora beata mia protettrice e al par tuo su ogni mal trionfatrice – Le stupende vostre figure scaccian tutte le paure, rendendo l’anime a Dio più degne e pure – E questo gran giorno nessuno potrà scordare, ch’è quello che più fa ogni creatura amare – Ora che ben vegg’io di tutta la gente qui presente farsi ogni volto d’emozione rosso, invito tutti al plauso più commosso, sì che ciascun al paradiso salga dipoi promosso.” All’invito di Dante fa seguito l’applauso scrosciante, mentre fra la regale coppia un gran bel bacio schiocca, rendendo felice

122


ogni persona, dalla più furba alla più sciocca. Poi, a poco a poco, tutta quella gran folla sfolla e nella grande piazza restano i due sovrani, più belli, ognun per la sua razza, fra tutti gli esseri umani. Intanto a Fiagnano, in assenza di Dante, il processo alla Casta, non a caso, resta in mano al solo Sadomaso, e i colpevoli, in successione, sottostanno senza interruzione al verdetto dell’Inquisizione. E’ inquisito il governatore della Lombardia Formigoni, che si concedeva vacanze da Faraoni con ricchi amiconi lazzaroni. Per tutte le sue balle, lo si condanna a tre calci nelle palle. C’è poi il PD Penati, che ha lo stesso nome delle divinità, i Penati, che nell’antica Roma proteggevano la famiglia e lo Stato, mentre costui protegge la propria famiglia e sé stesso facendo lo Stato tutto fesso, cuccando soldoni a profusioni senza tante esitazioni. Penati non fa nessuna pena e la sua pena è di penare fra i dannati. Un altro, dall’aspetto d’un porcantropo di due quintali, è pur esso uno di questi tali, solo per sé filantropo. Di nome fa Fiorito, nel fregar soldi un mito, tanto che nel calanco è subito spedito. Anche nella Regione Emilia-Romagna se magna, e il presidente Errani è pur esso indagato per peculato, avendo finanziato con più d’un milione la cooperativa del fratello: colpa che è punita col flagello, per cui Sadomaso emette, con parvenza di clemenza, questa sentenza: “Errani humanum est, diabolicum perseverare; deinde verum est ad flagellum te damnare!” E giù dieci frustate sul fondoschiena ben assestate. E il processo alla Casta va avanti avanti avanti, perché tutti questi mangioni privilegiati son tanti tanti tanti … - Venerdì 17 aprile 2017, ore 17: nel calanco della Bolgia Infernale c’è un allarme generale. Dracula è ricoverato al Pronto Soccorso in stato comatoso per ingestione di sangue velenoso. Come da prassi, gli sono praticati d’urgenza la lavanda gastrica e vari salassi e dopo poche ore è dichiarato fuori pericolo. Il giorno dopo viene dimesso con la raccomandazione di trovarsi un’altra occupazione o andarsene in pensione, in quanto soggetto ad una forma irreversibile d’intolleranza ad ogni genere di sostanza ematica. Così, dopo secoli

123


d’onorata attività, il grande Dracula lascia tutto e se ne va. Senza più ali e denti canini non spaventa né grandi né bambini, ed in aereo vola ad Hollywood dal figlio adottivo che, grazie a lui, è diventato un grande divo. Intanto i predatori carnivori di tutte le età presenti nella conca di Fiagnano, disgustati da tutta quella carnaccia marcia inzuppata nella brodaglia di sangue fetido, a loro disposizione senza interruzione, stanno mutando la loro abitudine alimentare con un’alimentazione di tipo vegetale. Così lupi, volpi, linci e cani randagi lasciano tutti i disagi di quella conca infernale e se ne vanno a pascolare tenere erbette con mucche, asini, pecore e caprette. Ogni rapace ha fatto pace con colombe e tortorine, ed ora si nutre solo di insetti e di becchime, mentre l’avvoltoio grifone preferisce rischiare l’estinzione piuttosto che continuare a cavare budella e merda dai culoni di quei sozzi ladroni. Senza più predatori che faccian pulizia della residua marmaglia della Casta, ad ogni suo membro si fa dono della grazia purchè se ne vada via: vengono perciò tutti imbarcati su gommoni e sbarcati sul suolo africano, nello stesso numero degli extracomunitari che dal suolo africano sbarcano su quello italiano. Nel volgere di pochi anni il Parco naturale della Gran Bolgia Infernale, concimato dal sangue della Casta, acquista il migliore aspetto naturale con lo sviluppo d’ogni più lussureggiante specie vegetale. Così quel luogo d’espiazione mortale assume l’immagine di quel che fu l’Eden prima del peccato originale. Questo verde paradiso è pur sempre però sovrastato da quel tetro gran calanco grigio, da cui sorse colui che fece ogni crociato vivo. Onore quindi al secondo papa Onorio per quel suo intervento meritorio. Qui finisce questa Storia che, come ognuno ben capisce, fu di vera grande gloria. Resta però il mistero se tutto questo è stato solo un sogno o un fatto vero.; ma posso ben dire a cuor sincero: “TU SOL PENSANDO – O IDEAL – SEI VERO!”.

124


Questi sono i personaggi della storia: per ravvivarli basta colorarli.

MICKY DI FIAGNANO

125


RICCARDO CUOR DI LEONE

126


FEDERICO II DI SVEVIA

127


ENZO DI SVEVIA

128


MANFREDI DI SVEVIA

129


CORRADINO DI SVEVIA

130


SAN GALGANO

131


DRACULA PRINCIPE VLAD

132


DAI IL TUO VOLTO AL CROCIATO SENZA VOLTO

133


FRANZ E FRITZ

134


FRANZ E FRITZ

135


GEO E VIANA

136


ETTORE MAJORANA

137


RITORNO A FIAGNANO CON L’ELMO E LA SPADA DI SAN GALGANO

138


JERUSALEM

FEDERICO II ENZO FAHTMAH AL-KAMIL

1228 - L’INCONTRO FRA ENZO E FAHTMAH

139


DUCCIO

UBALDELLO

REGINA WAGINA

UBALDA

RE INQUBO

140

DUCCIA


MOSTRICIOTTOLI

141


JERUS

142


RE BECCO

GATTO RUPESTRO

143


MASSO DELLA VERITA’

144


AQUILA GUARDIANA

145





Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.