Eureka 05 - Novembre 2016
Universitari per la Federazione europea
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Indice Editoriale........................................................................................................................................................................... 3 Autore: Filippo Sartori................................................................................................................................................... 3 La nascita dell’Europa .......................................................................................................................................................... 4 Autore: Pierfrancesco Bettini………………………………………………………………………………………………………………………………….5 Difesa comune europea: l'utopia che si riaccende dopo sessant'anni……………………………………………………………………….6 Autore: Davide Corraro……………………………………………………………………………………………………………………………………………7 Il sogno americano diventa un incubo ................................................................................................................................... 8 Autore: Andrea Golini ................................................................................................................................................... 8 Il cielo sopra l’Europa ........................................................................................................................................................... 9 Autore: Salvatore Romano............................................................................................................................................ 9 (Non ancora) Erasmus: Germania ....................................................................................................................................... 10 Autore: Enklida Allgjata............................................................................................................................................... 10 Istituzioni: Banca Centrale Europea ..................................................................................................................................... 11 Autore: Andrea Zanolli ................................................................................................................................................ 11
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Editoriale
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Autore: Filippo Sartori iscutere di Europa non è mai facile. Farlo tramite un giornalino destinato soprattutto ai più giovani lo è ancora meno. Oltre alla delicatezza del tema, difficilmente trattabile in poche righe, si aggiunge anche la diffidenza generale a riguardo.
L’Europa è ripetutamente additata come causa principale di gran parte delle difficoltà dei singoli Stati: se in alcuni casi l’atteggiamento delle Istituzioni europee mostra una difficoltà reale nel rispondere alle necessità dei cittadini, più spesso prevale uno sterile populismo, che per mascherare una mancanza di argomentazioni sostanziale, cerca un capro espiatorio contro cui puntare il dito. Spesso, in quanto gruppo di “federalisti europei”, ci vengono fatti notare tutti i difetti dell’attuale Unione, rendendo complicato il compito di spiegare la nostra posizione. Ciò che, senza dubbio, è innegabile è che l’attuale configurazione abbia delle mancanze: oltre alla già citata questione dell’integrazione “a diverse velocità”, con settori già unificati e altri ancora lontani dall’esserlo, quello che in questi giorni è balzato all’occhio di tutti è un deficit democratico importante a livello continentale. Il 16 settembre scorso è stata pubblicata la Dichiarazione di Bratislava, documento che riassume le decisioni prese dai Capi di Stato e di governo dei paesi membri (Gran Bretagna esclusa) durante il summit nella capitale slovacca. Nella Dichiarazione, oltre a leggere tutti i meriti dell’Unione – comunque importanti e non sottovalutabili –, si legge l’intenzione, da parte dei Paesi membri, di proporre ai cittadini una tabella di marcia che porti ad un rafforzamento e ad uno sprint nella formazione di una vera Unione. Sulla carta, diverse di esse sono intenzioni condivisibili. Manca però un progetto credibile di lungo periodo e una leadership europea che lo porti avanti. Se poi ci si concentra sul vertice vero e proprio, vi sono parecchi punti discutibili. Innanzitutto il concetto per cui i leader dei Paesi membri “propongano” ai cittadini delle soluzioni: a livello europeo esiste un organo, il Parlamento (mai, ahinoi, neppure menzionato nella Dichiarazione), direttamente espresso dai cittadini, che dovrebbe avere un ruolo preponderante in situazioni tali, altrimenti risulta complicato capirne l’utilità! La Dichiarazione recita poi, come sempre, i mantra già sentiti più e più volte: che a tutti i Paesi serve un’Unione europea più forte, che tutti lavoreranno in quella direzione ecc. Riesce però difficile, visto il recente passato, credere davvero a queste parole, se ad esse non seguono fatti concreti a riguardo. In seguito a quanto appena detto, uno scetticismo generale quando si parla di Europa in questi termini è comprensibile. Proprio per questo occorre far capire, tramite tutti i mezzi possibili, che un’Europa di belle parole ma scarse azioni concrete non è la nostra Europa, non è l’Europa che vogliamo. Questo però non basta! Ancora più indispensabile è portare avanti una proposta alternativa concreta, che in parte è già emersa da queste pagine.
Perché se è facile prendere le distanze da ciò che non ci trova in accordo, più complicato è far passare un’idea alternativa. Più complicato, ma fondamentale, soprattutto rivolgendosi alle nuove generazioni, perché siano poi i primi ad impegnarsi attivamente per scuotere lo stallo creatosi e indirizzare il processo in maniera convinta.
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La nascita dell’Europa Autore: Pierfrancesco Bettini
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uando si utilizza il termine integrazione in ambito europeo, sarebbe importante tenere conto delle svariate sfumature ad esso connesse, cariche di molteplici significati e contenuti.
Valutiamo ancor oggi l’integrazione non come uno stato, una situazione, ma come un processo in lento divenire, non senza battute d’arresto e notevoli accelerazioni e allo stesso tempo come fine, più o meno lontano, di tale tensione. Un processo dunque vario ed estremamente complesso per il concorso di numerosi elementi: il suo stesso manifestarsi nella concretezza della realtà fattuale; la peculiarità del protagonista, il continente Europa; l’interazione e l’analisi approfondita dei fattori coinvolti. Tra i vari fattori risulta difficile ignorare il percorso storico del “Vecchio Continente”, un continuum variegato dotato di una realtà segnata da guerre, stravolgimenti, tensioni e accordi tra differenti protagonisti che dialoga con una componente culturale caratterizzata da dinamiche e peculiarità proprie: la quotidianità del vissuto, le imprese, gli avvenimenti, gli ideali, le correnti di pensiero, le scelte dei singoli, dei gruppi e dei popoli. Tale storia ha origine agli albori della civiltà e, in un contesto geografico piuttosto ristretto, ha visto affermarsi realtà differenti che hanno condotto a formazioni statali sempre più moderne dotate di una propria sovranità. È da sottolineare che la competizione tra le varie sovranità nazionali si è concentrata costantemente nell’approvvigionamento di risorse e materie prime sul suolo d’Europa, senza tralasciare una conquista che sfondava in modo centrifugo gli angusti limiti geografici delle colonne d’Ercole. Un Vecchio Continente quindi frammentato per interessi e strategie, coeso invece grazie agli elementi culturali e religiosi che ci permettono di parlare d’Europa. Questi Stati hanno assistito al progressivo sgretolarsi della loro fierezza per la posizione di preminenza internazionale alla fine del periodo da alcuni denominato “guerra civile europea”, comprendente entrambi i conflitti mondiali: la situazione alla fine degli anni ’40 è peculiare, pesante, le due nuove superpotenze, USA e URSS, vantano la supremazia economica, militare e politica sulle macerie di un’Europa annientata dalla guerra, ma capace, come spesso in passato, di alzare la testa. E così, un vecchio continente si affaccia su un nuovo continente e ne insegue il progetto, all’epoca ancora informe, forgiato negli anni tramite l’attenta valutazione degli eventi e una visione sempre più intenta a strapparsi la benda ormai pesante delle valutazioni a breve termine e del conflitto come metodo risolutivo: un processo complesso, anche considerando gli equilibri geopolitici di allora, le rivendicazioni, le rivalità, le condizioni innescate, affievolite o esasperate dal conflitto mondiale, e che continua fino ad ora. Nel suo realizzarsi e nel suo concretizzarsi, questa dinamica ha dovuto confrontarsi con realtà nazionali e internazionali e ha risentito dei vari quadri socio-economici e politici in costante evoluzione negli ultimi sessanta anni. L’evolversi degli accordi tra Stati, il prevalere di varie correnti d’azione, riflettevano dinamiche rivolte al contesto ad ampio respiro cui
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questa nuova formazione europea tendeva e aspirava. Si rese chiaro, progressivamente, il tentativo di inserirsi come soggetto attivo all’interno di equilibri e decisioni mondiali. Infatti, la Comunità europea si configurava nel 1986, dopo l’ingresso di Spagna e Portogallo, come il più grande tra i Paesi industrializzati, contando 320 milioni di abitanti. Dunque è evidente che già agli albori il processo di integrazione avvenne per piccoli passi, senza un progetto delineato riguardo agli sviluppi futuri ma a volte legato alle congiunture storiche, al panorama internazionale e a dinamiche intraeuropee. Già fu un notevole avanzamento nel 1951 la costituzione della CECA (Comunità europea del carbone e dell’acciaio), organismo cui aderirono Italia, Germania di Adenauer, Francia e Benelux che prevedeva l’inizio di una collaborazione in ambito economico, per un controllo europeo dell’industria carbo-siderurgica e che derivava dalla dichiarazione del 9 maggio 1950, legata ai nomi di Schuman e Monnet. Tuttavia, la cooperazione tra gli Stati membri fu caratterizzata non sempre da unità di intenti, ma pure da una difformità di correnti e di strategie d’azione tra i pensatori europei. Riguardo a quest’ultimo punto infatti si considera il variegato sostrato teorico, variamente espresso e organizzato nel suo concreto realizzarsi per la costruzione di un progetto europeo il più possibile condiviso e favorevole alle necessità e peculiarità delle regioni. Esso affonda le radici nel pensiero europeo, principalmente in quelle costruzioni filosofiche volte a valorizzare accordi contrattuali tra Stati per il raggiungimento di un fine comune e alto, come per Kant l’eliminazione dei conflitti e la pace condivisa, conseguibili tramite il solo pactum societatis, slegato dal pactum subiectionis a cui invece era saldamente unito nella visione giusnaturalistica della formazione della singola entità statale. Dunque con il tempo il confronto si imperniò attorno due tendenze: federalista e funzionalista. I fautori della prima, tra cui i connazionali Altiero Spinelli, fondatore del Movimento federalista europeo (MFE) nel 1943 a partire dal “manifesto di Ventotene” da lui redatto insieme a Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni, e Luigi Einaudi, teorizzavano una forte ed inarrestabile decadenza degli Stati nazionali, resa esplicita dalla dicotomia tra un metodo di produzione sempre più tendente a entità statali continentali e le dimensioni anguste degli Stati nazionali e concretizzatasi nel secondo conflitto mondiale, ultimo tentativo di imporsi da parte di questi ultimi. Essi puntavano al raggiungimento di una federazione europea maggiormente slegata dai governi nazionali, un soggetto autonomo, una struttura generale capace di provvedimenti rivolti ad ambiti particolari, autorizzata da un’assemblea costituente europea di rappresentanti del popolo. Dal punto di vista dei risultati pratici ottenuti, tale corrente ottenne un grande successo nel giugno del 1979, con l’elezione diretta del parlamento europeo, nuovo mezzo costituente e promotore dei processi di progressiva istituzionalizzazione e definizione dei compiti della Comunità. Nonostante ciò, il terreno fertile per il processo di integrazione è stato reso possibile anche tramite accordi preparatori che facevano leva sulla condivisione di obiettivi principalmente in ambito economico. La corrente funzionalista, infatti, che ha come iniziatore David Mitrany, pur condividendo con i federalisti l’obiettivo del superamento delle varie sovranità nazionali, poneva l’accento sullo sviluppo graduale di forme di cooperazione in particolari settori, come quello economico e scientifico. Questo approccio, rispondente alle necessità immediate dei governi, fu quello che caratterizzò la prima fase di integrazione, tramite la formazione delle varie comunità europee, come CECA, l’effimera esperienza della CED, la CEE e l’EURATOM. Queste ultime due, costituitesi nel 1957 a Roma, ebbero notevole importanza come premessa per gli sviluppi successivi. La Comunità economica europea, infatti, proponeva una duplicità di strumenti: “negativi”, come l’eliminazione degli ostacoli alla libera circolazione di prodotti e di persone; “positivi”, mirati a superare le disparità e ad uno sviluppo congiunto in svariati settori. Entrambi furono rafforzati dal successivo Atto unico europeo, entrato in vigore nel 1987. Gradualmente, così, contributi importanti e tra loro consequenzialmente collegati nel fluire storico, concorsero alla ricerca di una situazione europea avente come comune denominatore il termine integrazione, nella direzione di coesione economica e di condivisione di mezzi e risorse, strumenti difensivi e piani di crescita e sviluppo, come ribadito nel 1992 con il Trattato di Maastricht. Si pensi oggi alle ricadute importanti e concretamente percepite di un mercato ed una moneta comune, di organi e provvedimenti europei che vincolano e in qualche modo tentano di influenzare le tendenze dei componenti, della libera circolazione senza controlli alle frontiere sostenuta dal trattato di Schengen. Certamente non ci si trova nella situazione di “nani sulle spalle di giganti” per quanto riguarda il processo di integrazione europea, molto ancora rimane prima di un’Unione europea che abbia effettivamente una forte componente di crescita comune, che renda i propri provvedimenti opportunità e non imposizioni, che si presenti non come peso, ma come risorsa, che sia vicina agli interessi dei cittadini e che voglia tentare di rendere il progetto di integrazione reale, non un’utopia: un dialogo diretto ad obiettivi condivisi, tramite la valorizzazione delle peculiarità e caratteristiche dei Paesi membri, il “consenso costruttivo e il rispetto della libertà” che Alcide De Gasperi suggeriva nel 1952, un sentimento coesivo e un’emozione che sappia valorizzare i termini “unità nella diversità”.
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Difesa Comune Europea: l’utopia che si “riaccende” dopo sessant’anni. Autore: Davide Corraro
È una sera del 1954, dopo una riunione estenuante, durata giorni, a parlare di un progetto che avrebbe potuto cambiare le sorti dell’Europa, i Ministri della Difesa di Francia, Italia e Germania, sentono alla radio una notizia che lascia, nella stanza dell’hotel parigino che li ospita, un silenzio assordante. Il parlamento francese ha appena bocciato il progetto per una Comunità Europea di Difesa. I rappresentanti dei cittadini della nazione che ha insegnato al mondo a ribellarsi ai poteri forti hanno inflitto il colpo quasi mortale all’Europa dei popoli, a quello Stato federale immaginato da un visionario in una sera d’inverno di tredici anni prima, sulla piccola isola di Ventotene.
Se della storia della CED fosse stato scritto un romanzo probabilmente sarebbe iniziato così. La storia, però, non è di certo meno avvincente. Cercheremo di raccontarla anche alla luce dei recenti sviluppi.
Il tutto nasce nel 1949 con un’iniziativa francese, appunto, che aveva lo scopo mirato di pacificare una volta per tutte il vecchio continente grazie all’eliminazione dei singoli eserciti nazionali, ma il progetto fallì per paura di allontanarsi definitivamente da quegli schemi consolidati di sovranità nazionale che per decenni avevano imperato in Europa. Una paura irrazionale, dato che quegli stessi ideali di sovranità nazionale avevano portato ai più grandi massacri della storia dell’umanità. Di unire gli eserciti praticamente non si parlò più fino al 1992. Ma il trattato di Maastricht riaprì in un certo senso la questione, in quanto al suo interno si fece riferimento al fatto che occorresse sviluppare una “graduale definizione di una politica di difesa comune della UE”. Nel 1998, con la dichiarazione di SaintMalo, tra Jacques Chirac e Tony Blair, si assistette a qualcosa di miracoloso, in quanto gli inglesi, da sempre riluttanti ad abbandonare le forze armate di Sua Maestà, realizzarono che soltanto attraverso l’UE sarebbe stato possibile migliorare le capacità militari europee. Questo importante passo rimase però fine a se stesso, in quanto la politica europea di quegli anni stava assistendo ad un altro miracolo che fino a poco tempo prima il mondo mai avrebbe immaginato: la creazione di una moneta unica.
Saint-Malo segnò il punto di massimo avvicinamento degli inglesi al progetto di creare un esercito europeo. Dopo Tony Blair, nessun altro politico britannico ha nemmeno mai pensato di fare dichiarazioni favorevoli alla politica di difesa comune, anzi l’atteggiamento è sempre stato negativo. In più occasioni, esponenti della classe politica inglese, con lo humor che li contraddistingue, hanno infatti dichiarato: “Visto quello che l’eurocrazia di Bruxelles è riuscita a combinare dopo che le sono stati affidati la gestione economica e quella della moneta unica, figuriamoci cosa sarebbe capace di fare una volta che le venisse affidata anche la difesa”.
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Qualcosa però è cambiato. Il 23 giugno scorso, il popolo di Elisabetta II ha deciso che l’Europa non faceva più per lui. La Brexit, che ancora deve attuarsi concretamente, non ha avuto tuttavia solo conseguenze negative. Cinque giorni dopo il referendum, l’Alto Rappresentante Mogherini ha lanciato la Global Strategy dell’Unione europea – tra cui rientra anche un capitolo strettamente legato alla difesa comune – dichiarando, a tal proposito,che i “cittadini ed il mondo hanno bisogno di un’Unione Europea forte come non mai”.
L’idea della Mogherini è stata ripresa, tra gli altri, dai Ministri della Difesa di Francia, Italia e Germania, che hanno presentato proposte concrete su come realizzare questo importante passo di costituzione di un’Europa politicamente e militarmente più forte. Attenzione però, non si parla più della creazione di un esercito unico. Si tratta di condividere mezzi, uomini ed energie per proteggere i confini esterni dell’Europa. Le discussioni sono ancora in corso e dopo due vertici a Bratislava nel settembre scorso non si è ancora riusciti ad arrivare ad una posizione comune.
È sotto gli occhi di tutti che l’Europa dei “piccoli passi” ha prevalso ancora. È un bene? Oppure condurrà all’ennesimo polverone alzato per nulla? Certo è che la Brexit ha tolto l’alibi dietro il quale i governi degli Stati europei si sono nascosti per anni pur di non intraprendere delle scelte fortemente impopolari di diminuzione della propria sovranità interna.
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Il sogno americano diventa un incubo Autore: Andrea Golini
potrebbe essere trascurato, ma in una situazione di incertezza e confusione interna, esse ricoprono un ruolo importante per il futuro dell’UE.
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Il cielo sopra l’Europa Autore: Salvatore Romano
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n un video della sua campagna “no-referendum” lanciato il 17 ottobre, Di Battista, leader del M5s, agita un fogliettino davanti alla telecamera. Quando decide di leggerlo, si scopre trattarsi del nuovo rapporto Caritas che dice: «Per la prima volta il numero degli italiani che si rivolge ai centri Caritas ha superato il numero degli stranieri». Il giorno dopo Di Battista, ospite alla trasmissione “Politics” su Rai 3, domandatogli se si riconoscesse un’anima di sinistra, risponde che ragionare su categorie come destra e sinistra è obsoleto e che la «battaglia del futuro sarà tra sovranità e globalizzazione della privazione dei diritti». I pentastellati, sempre schierati in prima linea su posizioni critiche verso un Parlamento che viene tacciato di illegittimità, in quanto sottratto, secondo loro, all’unica forma di legittimazione politica, ossia il voto popolare, fanno della partecipazione popolare e del principio di wilsioniana memoria, «l’autodeterminazione dei popoli», i loro marchi di fabbrica. In linea con il programma si oppongono a quell’“Europa delle banche” che impone riforme deleterie per i Paesi membri dell’Unione, inficiandone in primo luogo la sovranità. Oscillando tra chiusura nazionale e apertura verso le fasce dei lavoratori più sensibili agli effetti di crisi economiche, si dichiarano portavoce dei diritti dei cittadini italiani a fronte di processi di globalizzazione che ne intaccano la validità. L’articolo 3 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789 dichiara: «Il principio di ogni sovranità risiede essenzialmente nella Nazione». Su questo assunto, i moti d’indipendenza del XIX sec. si dotarono di un programma che venne percepito allora come sovversivo perché minacciava gli ordinamenti istituzionali allora esistenti. Nel giro di un secolo il nazionalismo passò da movimento rivoluzionario a conservatore, e venne quindi riformulato in un’ottica di mantenimento dell’ordine costituito, di cui il trasformismo di Depretis fu un prodotto immediato. Il Novecento ne ebbe i suoi illustri portabandiera, e tutt’oggi i movimenti euro-scettici trovano in quest’ideologia un campo ancora fertile per un buon raccolto di consenso elettorale. In nome del popolo italiano, del popolo francese, tedesco, inglese, ungherese, austriaco ecc., si chiamano pronti a difendere interessi, e diritti. Per la salvaguardia di una nazione sofferente, spingono i governanti ad innalzare muri e barriere, addossando i problemi, che la globalizzazione ha presentato, sulle spalle di quell’istituzione che ai loro occhi ne sembra la genitrice, l’Unione Europea. La risposta naturale ad una globalizzazione sregolata, o regolata solamente da una legge economica, è la dichiarata pretesa di rifarsi a carte di diritti che proteggano i cittadini di ogni singola nazione. La crisi migratoria ha posto sotto gli occhi di tutti l’incapacità del sistema europeo di vedere applicate le proprie delibere da quelli che sono ancora degli Stati sovrani. Così in piena libertà il premier ungherese Orbàn ha indetto un referendum sulla ripartizione della quota dei migranti decisa da Ue, così si allestiscono campi profughi su numerose frontiere, come a Calais. Il deficit d’indirizzo politico delle istituzioni Ue dovrebbe essere compensato da quel ruolo che la Carta di Nizza vuole svolgere: quello di scoprire un’altra Europa diversa da quella economica. Un’Europa che si identifichi nel rispetto dei diritti dell’uomo in quanto tale. Così il diritto di cittadinanza sarà spogliato delle catene nazional-territoriali, per proiettarsi al di là delle frontiere accompagnando la persona ovunque si trovi.
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(Non ancora) Erasmus: Germania Autore: Enklida Allgjata Da 2 anni a questa parte, la mia vita è a stretto contatto con la realtà Erasmus: ho vissuto 9 mesi all’estero, studiato una nuova lingua e conosciuto studenti da tutto il mondo. Questa, però, è la storia di una ragazza che l’Erasmus non l’ha (ancora) fatto. Fin da quando avevo sedici anni, il mio sogno nel cassetto era di partire. Ammettiamolo, a chi non è mai passato per la testa almeno una volta di lasciare tutto e andarsene, per scoprire cos’altro c’è al di fuori delle quattro cose che si vedono tutti i giorni? La svolta arriva quando al primo anno di università (purtroppo o per fortuna) non ho passato i primi esami di tedesco del CLA (studio lingue!). Presa dallo sconforto mi sono convinta che se volevo imparare davvero il tedesco dovevo viverlo! Qualche mese dopo le valigie erano pronte: stavo partendo per nove mesi come ragazza alla pari in Germania. Quando si parte, non si sa bene che cosa aspettarsi. Col senno di poi devo ammettere che non ero del tutto cosciente di quello che stavo facendo. Trovarsi in un posto mai visto, con persone sconosciute, una lingua che ti sembra aramaico antico e una vita completamente diversa è spiazzante. All’inizio c’è un po’ di paura, perché sai che ci sei tu, che questa è la tua nuova vita e ogni cosa che ti capiterà dovrai affrontarla da sola. Non ci sono scuse: l’alternativa è tornare a casa (ma quello non è da prendere in considerazione). Allo stesso tempo però la sfida ti eccita. L’idea che il tuo tempo sia limitato in fondo è parecchio allettante. Tanto sai benissimo che tornando a casa sei tu a decidere quali esperienze riportare indietro e quali lasciare in Germania. Di certo non ti vuoi portare dietro i rimpianti! E allora ti butti, ti metti alla prova, spingi i tuoi limiti, esplori ed esperimenti. 05 - Eureka
Non riesco a credere a quante cose siano successe in quei nove mesi! Ho passato non so quante ore in viaggio tra Flixbus, treno, aereo e BlaBlacar. Ho fatto il mio primo viaggio completamente da sola (ad Amsterdam!). Ho rinnovato il mio guardaroba e sono passata da castana a bionda a rossa. Ho iniziato a vedere cos’è la vita Erasmus tramite gli occhi di chi lo stava facendo. In pochi mesi ho creato dei legami così stretti da competere con gli amici di una vita, e allo stesso tempo ho capito quali sono le vere amicizie che resistono alla distanza. Mi sono presa malissimo per ragazzi improponibili. Ho imparato che una volta che lo si capisce il tedesco non suona più così aggressivo e che la freddezza dei tedeschi è solo uno stereotipo: sono persone davvero gentili, disponibili ed estremamente leali, e se sembrano un po’ distaccati è solo per rispettare i tuoi spazi. Ho capito che non è vero che siamo tutti uguali, ma le differenze culturali non sono barriere che ci separano. Mi sono sentita per la prima volta cittadina d’Europa e del mondo, ma allo stesso tempo non mi sono mai sentita così italiana come in quel periodo. Ho scoperto cosa vuol dire sentire che ti manca casa quando sul bus per tornare a Verona mi sono venute le lacrime agli occhi sentendo parlare italiano. Inutile dire che ora sono molto diversa. Che la vita di prima di certo non mi basta! Appena tornata, ho sentito il bisogno di rimanere in contatto con persone da tutto il mondo che stavano vivendo ciò che ho vissuto io. Sono quindi entrata in ASE-ESN Verona, associazione che si occupa degli Erasmus per rendere Verona la loro seconda casa. Un anno e mezzo dopo sono ancora qui e amo ciò che faccio. Ma ancora una volta, questo non mi basta: come ho scritto all’inizio, questa è la storia di una ragazza che, ancora, non ha fatto l’Erasmus.
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nazionali di tutti i paesi dell’UE e che dal 2011 è presieduto da Mario Draghi e dal vicepresidente Vìtor Constâncio. Oggi oltre 2500 persone provenienti da tutta Europa lavorano nella sede di Francoforte sul Meno, in Germania, per la Banca.
Istituzioni: Banca Centrale Europea Autore: Andrea Zanolli
La BCE è suddivisa in tre organi:
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a Banca Centrale Europea è un'istituzione dell’unione economica e monetaria (UEM) che definisce la politica monetaria nella zona euro, ponendosi come obiettivo principale il mantenimento della stabilità dei prezzi. Fu fondata nel 1998 e ne fu primo presidente l’olandese Wim Duisenberg, poi succeduto dal francese Jean-Claude Trichert e dall’italiano Mario Draghi. Ciò che rende particolare la BCE all’interno del panorama comunitario è il fatto che essa sia indipendente e che adotti le proprie decisioni senza consultarsi né prendere direttive dai governi nazionali o da altre istituzioni europee.
DI COSA SI OCCUPA LA BCE Come abbiamo già detto, l’obiettivo principe della BCE è preservare la stabilità dei prezzi. Inoltre, per poter svolgere le operazioni di prestito, la BCE detiene e gestisce le riserve di valuta estera ufficiali dei paesi della zona euro. Infine, fra le altre competenze, troviamo la promozione del regolare funzionamento dei sistemi di pagamento a sostegno del mercato unico, l’approvazione della produzione di banconote in euro da parte dei paesi dell’Eurozona, l’acquisizione di informazioni statistiche pertinenti dalle banche centrali nazionali. In risposta alla crisi economica, oggi la BCE ha anche il compito di controllare che le operazioni delle banche siano sicure e affidabili. A questo meccanismo di vigilanza partecipano tutti gli Stati dell’Eurozona, ma anche altri Paesi dell’UE possono aderirvi.
COM'È ORGANIZZATO IL LAVORO DELLA BANCA
Consiglio generale del Sistema europeo di banche centrali, che comprende i governatori delle banche centrali nazionali, oltre al Presidente e al Vicepresidente della BCE; • il Comitato esecutivo della BCE, che comprende il Presidente, il Vicepresidente e altri quattro membri nominati, a maggioranza qualificata, dal Consiglio europeo, e che è l’organo responsabile dell’attuazione della politica monetaria; • il Consiglio direttivo della BCE, che comprende i sei membri del Comitato esecutivo e i governatori delle 19 banche centrali degli Stati dell’Eurozona e che è l’organo decisionale principale. Inoltre, a partire dal 1° gennaio 2014, è stato istituito anche un ulteriore organo, il Consiglio di vigilanza, che comprende un presidente, un vicepresidente (non quelli della BCE), quattro rappresentanti della BCE e un rappresentante per ogni banca centrale nazionale dell’Eurozona. Questo organo discute, pianifica e svolge i compiti di vigilanza della BCE e viene convocato due volte al mese, così come accade per il Consiglio direttivo. •
CURIOSITÀ: UNIONE BANCARIA EUROPEA Un importante progetto, ancora da completare, che vede coinvolta la BCE è l’Unione bancaria europea, strumento che, in diversi modi, come il Meccanismo unico di vigilanza, il Meccanismo unico di risoluzione e il Fondo unico di risoluzione, mira a spezzare il circolo vizioso tra banche e credito sovrano.
La BCE è il fulcro del sistema europeo di banche centrali, che unisce la Banca e le banche centrali 05 - Eureka
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Disertando la politica non si lasciano le cose come sono, nemmeno nella vita privata. Si creano vuoti di potere, cioè si affida il potere agli altri, si accetta che degli altri divengano i padroni del proprio futuro. Mario Albertini
Rivista degli Universitari per la Federazione europea Responsabile del gruppo studentesco: Marco Barbetta Direttore: Filippo Sartori Collaboratori: Enklida Allgjata, Pierfrancesco Bettini, Gianluca Bonato, Davide Corraro, Andrea Golini, Salvatore Romano, Andrea Zanolli Direttore grafico: Andrea Leopardi Collaboratori: Mattia Maltauro Redazione Via Poloni, 9- 37122 Verona Tel./Fax 045 8032194 www.mfe.it gfe.verona@gmail.com Numeri passati e singoli articoli su‌ http://www.mfe2.it/verona/?cat=10
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