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Universitari per la Federazione europea

26 maggio: quale Europa scegliamo?


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Editoriale: Sentirsi europei

Intervista a Nada Ladraà

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Tre idee di Europa per il nuovo Parlamento Europeo

Il Parlamento europeo del cambiamento

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6/7 Le superpotenze si riarmano. E gli Stati europei? Stampato da

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Rubrica Erasmus: Passau, quell’atto di follia che mi ha svelato l’umanità Per collaborare con noi, contattaci a: gfe.verona@gmail.com! Rivista degli Universitari per la Federazione europea Con il contributo dell’Università degli studi di Verona: Responsabile del gruppo studentesco: Marco Barbetta. Co-direttori: Salvatore Romano e Filippo Sartori. Collaboratori: Gianluca Bonato, Andrea Golini, Maddalena Marchi, Filippo Pasquali, Alice Tommasi, Elisa Treglia, Sergio Varesco, Alberto Viviani, Filippo Viviani, Andrea Zanolli. Redazione: Via Poloni, 9 - 37122 Verona • Tel./Fax 045 8032194 • www.mfe.it • gfe.verona@gmail.com Progetto grafico: Bruno Marchese. Universitari per la Federazione europea

Articolor Verona Articolor Verona srl srl Via Olanda, 17 ComuniCazione GrafiCa 37135 Verona Via Olanda, 17 37057 Verona Tel. 045 584733 Tel. 045 584733 Fax 045 584524 articolor@articolor.it P.I.email: C.F. 04268270230 REA 406433

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Editoriale: Sentirsi europei di to Gia nluca Bona

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erché sentirsi europei? E perché quindi andare a votare alle elezioni europee del 26 maggio? Qualche motivo c’è. Eccone alcuni. Siamo europee ed europei perché non presupponiamo che a ogni confine ci sia un muro. Perché, grazie a Schengen, possiamo prendere un Flixbus o un Ryan Air e andare a trovare un amico a Monaco o Parigi; possiamo fare un interrail d’estate e scoprire la penisola iberica, fra Catalogna, Andalusia, Algarve. Perché, da studenti, grazie all’Erasmus, andiamo a studiare alcuni mesi a Varsavia, o ascoltiamo la lezione di un professore di York e, da lavoratori, grazie al mercato unico europeo, l’azienda dove siamo impiegati fa il 50% del fatturato tra Francia, Germania e Regno unito, o il ristorante dove lavoriamo d’estate accoglie turisti tedeschi, olandesi, danesi. Siamo europee ed europei perché, come dice una delle innumerevoli cit. attribuite a Winston Churchill, «ci siamo combattuti per secoli per riconoscerci diversi». Perché la christianitas, l’illuminismo, il romanticismo fanno parte della civiltà europea; perché Kant ha influenzato tutta la filosofia europea, non certo solo quella in lingua tedesca, e, se Baudelaire ha aperto le porte della poesia moderna, questo non è avvenuto certo solo per le opere scritte in francese. O, come diceva Umberto Eco, «c’è un’identità di spirito europeo perché tutta la storia del pensiero occidentale non è altro che un commento a Platone». Siamo europee ed europei perché ci siamo sì combattuti per secoli; ci siamo uccisi in cento guerre, grandi e piccole, nei trecento anni precedenti all’inizio del processo di integrazione europea; 80 milioni di persone sono morte fra Prima e seconda guerra mondiale; ma, dopo quelle immani stragi, abbiamo scelto la pace. Perché nel 1970 l’allora cancelliere tedesco Willy Brandt si è inginocchiato in una visita al ghetto ebraico di Varsavia; a settembre 1984, François Mitterrand e Helmut Kohl si sono stretti le mani davanti al memoriale dei caduti di Verdun; le costituzioni dei Paesi europei respingono fermamente i nazifascismi. Perché l’Unione europea ha vinto nel 2012 il Nobel per la Pace. Siamo europee ed europei perché in Europa sono nate le idee di democrazia, Stato di diritto, parità fra uomo e donna, giustizia sociale, libertà, difesa delle minoranze; in Europa sono nati i diritti umani. Perché tali valori e diritti sono protetti dalle costituzioni europee e dalla Carta dei

diritti fondamentali dell’Ue. Perché abbiamo letto Cesare Beccaria e rinneghiamo la pena di morte, tanto nell’Unione europea non accettiamo Stati il cui sistema giudiziario uccide. Perché pensiamo che sia doveroso curare chiunque ne abbia bisogno, con sistemi sanitari pubblici, crediamo nell’istruzione pubblica e, sebbene rappresentiamo solo il 7% della popolazione mondiale e produciamo il 20% del pil mondiale, spendiamo il 50% del welfare nel mondo. Siamo europee ed europei perché la globalizzazione degli scambi economici, finanziari, sociali ha reso i singoli Stati europei irrilevanti: scriveva Luigi Einaudi nel 1954 che gli Stati europei da soli «sono polvere senza sostanza […] il problema non è fra l’indipendenza e l’unione; ma fra l’esistere uniti e scomparire». Scomparire come civiltà europea e avere forse solo la possibilità di scegliersi un padrone, che siano USA, Cina, Russia, India o qualcun altro. Perché, se non ci uniremo, dovremo subire un qualche sistema politico diverso dalla democrazia liberale europea. Perché tutte le principali questioni politiche di oggi sono questioni quanto meno europee: il riscaldamento climatico, la non-proliferazione nucleare, le migrazioni, la rivoluzione tecnologica e del mondo del lavoro, per citarne alcune. Perché l’interesse nazionale è l’interesse europeo. C’è però, infine, una ragione determinante per la quale non ci sentiamo abbastanza europee ed europei. Il fatto che non esiste ancora una democrazia federale europea. Per diventarlo, non basta che in Europa ci sia una comunità di destino; servono anche decisioni politiche in tal senso. L’elezione del nuovo Parlamento europeo il 26 maggio sarà fondamentale per stabilire che strada prenderà il processo di integrazione.

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di lli And rea Zano

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Tre idee di Europa per il nuovo Parlamento Europeo

e elezioni europee di fine maggio si avvicinano e gli schieramenti dei vari partiti sono ormai chiaramente delineati in tutti i paesi. Oltrepassando le Alpi e analizzando la situazione da un punto di vista europeo, credo ci si renda conto del fatto che gli schieramenti in gioco, in fin dei conti, ruoteranno attorno a tre diverse idee di Europa. Vediamo quali. Innanzitutto, ci sarà chi, una volta eletto al Parlamento Europeo, avrà come prerogativa quella di difendere lo status quo delle istituzioni europee. Il primo punto del programma di costoro sarà la difesa degli attuali trattati, unico sentiero sul quale ci si può incamminare; ciò significa lasciare un ruolo centrale al Consiglio e al Consiglio Europeo, con possibilità di richiedere l’unanimità in determinate materie. Al centro di questa idea di Europa rimangono gli stati nazionali, che dovranno mantenere chiuse in tasca le chiavi per possibili ritocchi all’attuale struttura dell’Unione. Ma non solo, non si accettano neanche avanzamenti democratici a livello europeo e ulteriori cessioni di sovranità da parte degli stati nazionali. Dall’altro lato, certamente, questa fazione continuerà a supportare – e a sottolineare l’importanza – delle azioni di cui l’UE ha competenza, senza richiedere nessun arretramento. Capofila di questa idea pare essere la Germania, soprattutto con la guida di Annegret Kramp-Karrenbauer (facilmente nota al resto d’Europa come AKK), neo-presidente della CDU tedesca e fervente oppositrice delle proposte di “Rinascimento Europeo” di Emmanuel Macron. Il secondo schieramento sarà quello di chi avrà l’ambizione di smontare alcune parti dell’attuale Unione Europea. In questo campo, però, non troviamo più chi vuol smantellare l’intera Unione (Brexit insegna), ma chi vorrà ridurre le istituzioni europee a semplici luoghi di incontro intergovernativo fra i capi di Stato. Chissà se in questa idea di Europa ci sarà ancora spazio per la Commissione, il Parlamento o la Corte di Giustizia Europea, organi sovranazionali e sganciati dalle grinfie dei governi nazionali. In ogni caso, al di là della configurazione istituzionale, questa corrente si

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schiererà a favore di un’Europa estremamente debole e con poche o nessuna possibilità di interferire nelle decisioni dei governi nazionali: in poche parole, gli stralci di sovranità ceduta negli anni dovrebbero tornare alle capitali nazionali. Questa è l’Europa di chi si illude che Parigi o Madrid possano competere, tornando a essere padroni a casa propria, con Washington, Pechino, Mosca e, fra qualche anno, con Seul, Nuova Delhi e molti altri. Questa è anche l’Europa di chi si illude che Lisbona o Roma possano autonomamente reggere, sempre essendo padroni a casa propria, i propri welfare state nazionali, con tassi di invecchiamento rabbrividenti. Ma si potrebbe continuare con la lista: è anche l’Europa di chi si illude che Atene possa gestire e integrare i migranti diretti verso i confini europei, o di chi si illude che Berlino possa sconfiggere i cambiamenti climatici tramite buone politiche interne ai soli confini tedeschi. Non è distopia, è un disegno concreto che trova supporto fra molti politici, particolarmente in auge in diverse regioni europee. Capofila di questa Europa con il filo spinato sono Matteo Salvini e Viktor Orban, che con i loro successi domestici hanno spodestato dal trono Marine Le Pen. Il terzo schieramento, infine, è quello di chi parte dal presupposto che l’Unione Europea non è nelle condizioni di garantire risposte adeguate a molti dei problemi che affliggono i suoi cittadini e, quindi, non è neanche nelle condizioni di sopravvivere. Ma, a differenza della seconda corrente, questo è lo schieramento di chi crede che la soluzione non sia sfogliare all’indietro i calendari, riconsegnando agli stati nazionali la sovranità ceduta alle istituzioni europee dal secondo dopo guerra in poi. Al contrario, questa è la frangia di chi vede le possibili soluzioni in una maggiore unità europea. Questo è lo schieramento di chi propone riforme dei trattati vere e proprie, che vadano a intaccare parti della sovranità nazionale a vantaggio di istituzioni europee con maggiori competenze. Questo aspetto, però, deve essere inestricabile da un aumento della legittimità democratica delle istituzioni europee, a scapito dei metodi intergovernativi e poco trasparenti,

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tipici del Consiglio e del Consiglio Europeo. Insomma, questa fazione spingerà per l’unione politica e per la formazione di una federazione di stati, che finalmente possano superare le paralisi decisionali che l’Unione Europea odierna vive. Capire chi farà parte effettivamente di questo schieramento è molto complicato. Dal “Rinascimento Europeo” di Macron, alle proposte del liberale belga Verhofstadt, passando per le spinte da parte della società civile, le proposte non mancano, ma spesso peccano di coesione interna e di confronto reciproco. Spostandoci dalle idee e andando ad analizzare i sondaggi rilasciati dall’Unione Europea il 18 aprile, possiamo provare a descrivere il Parlamento che sarà. Innanzitutto, si nota a prima vista una drastica riduzione di parlamentari per i due gruppi che hanno formato la maggioranza parlamentare fino a oggi. Il Partito Popolare Europeo e i Socialisti e Democratici, infatti, potrebbero perdere oltre trenta parlamentari ciascuno, forse addirittura quaranta. Sempre nel capitolo dei seggi persi, troviamo il gruppo della Sinistra Europea, che però non dovrebbe subire enormi variazioni in termini assoluti, e il gruppo dei Conservatori e Riformisti, il cui futuro è addirittura in dubbio, in caso di uscita della Gran Bretagna (e quindi dei Tories) dall’Unione. Dove andranno a finire, quindi, tutti questi seggi? In cima alla lista di chi guadagnerà parlamentari, c’è il gruppo Europa delle Nazioni e delle Libertà, dove stazionavano – per capirsi – Salvini e Le Pen; per loro, l’aumento sarà di oltre venti seggi, un aumento a cui parteciperà

con rilevanza la Lega in Italia. Il secondo gruppo ad aumentare i propri seggi è di pensiero diametralmente opposto al gruppo appena citato: si tratta dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa (ALDE), che potrebbe guadagnare fino a dieci parlamentari, ma che, subito dopo le elezioni, si scioglierà per formare un nuovo gruppo centrista ancora più ampio, comprendente anche En Marche, il partito di Macron. Infine, dovrebbero vedere un lieve accrescimento anche il gruppo dei Verdi e il gruppo Europa della Libertà e della Democrazia (qui c’è il Movimento 5 Stelle), che però potrebbe anche scomparire in seguito a Brexit. A questa descrizione dobbiamo aggiungere i partiti nazionali che per la prima volta entreranno nel Parlamento Europeo o che non si sono ancora allineati a un gruppo a livello europeo. Questi partiti comprendono addirittura una cinquantina di deputati, che non sappiamo ancora con certezza a che gruppo si affilieranno. La loro rilevanza è di primo piano e potranno anche spostare gli equilibri: basti pensare che rappresentano poco meno del 10% dell’intera assemblea. Ricapitolando, il quadro pare essere di questo tipo: tre diverse idee per il futuro dell’Europa sono diffuse fra i vari gruppi parlamentari, i quali, a loro volta, potrebbero subire decisi ridisegnamenti in confronto all’attuale Parlamento. Capire cosa accadrà dopo il 26 maggio, ad assemblea rinnovata, non è cosa facile, ma sarà fondamentale, perché la nuova maggioranza dovrà, innanzitutto, approvare la Commissione in carica nei prossimi cinque anni.

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di si Alice Tomma

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Le superpotenze si riarmano. E gli Stati europei? Quali cause e quali effetti dell’uscita degli USA di Trump dal trattato sui missili a medio raggio. Come si può rispondere all’anarchia internazionale?

el dicembre del 1987 venne firmato, dal Presidente Reagan e dall’ultimo Segretario generale del Partito Comunista dell’URSS Gorbacëv, il Trattato INF (Intermediate Nuclear Force Treaty), che fissò per i missili strategici a medio raggio il principio di “riduzione simmetrica”, ponendo così fine alla crisi degli euromissili del 77-87. L’accordo siglato portò all’eliminazione, in soli tre anni, di 2692 missili, alla firma del CFE (il Trattato per la riduzione e la limitazione delle forze armate convenzionali in Europa, firmato nel 1990 e da cui la Russia si è ritirata nel 2007), alla messa a punto delle procedure di controllo reciproco per l’INF e infine alla firma dello START 1 (Negoziati per la riduzione delle armi strategiche), che prevedeva una riduzione

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complessiva del 40% delle testate nucleari; tale accordo fu poi integrato nel 1993 dallo START 2, che impegnava Stati Uniti e Russia a ridurre gli arsenali nucleari da 11/12.000 a 3.000 testate e ad eliminare completamente i missili nucleari a testata multipla entro il 2003. Il Trattato INF, che insieme al CFE costituiva il pilastro portante della neonata politica di sicurezza internazionale a seguito della Guerra Fredda, era stato favorito dall’approccio pragmatico di Reagan e Gorbacëv, dal consolidamento nella cultura politica europea del principio di sicurezza comune e dalla pressione pubblica degli europei occidentali, che rifiutarono fermamente lo schieramento degli armamenti, sia americani che russi. Tuttavia, nell’ottobre dello scorso anno, Donald Trump ha segnato la fine dell’INF, sospensione formalmente comunicata lo scorso 2 febbraio e accettata da Putin il 4 marzo. Le cause intrinseche possono essere individuate ancora una volta nell’approccio dei due leader, quali l’orientamento anti-multilateralistico del presidente Trump e l’insofferenza di Putin per le limitazioni all’espansionismo russo; il deterioramento delle relazioni tra i paesi europei e il totale silenzio da parte dell’opinione pubblica. Due i pretesti: da una parte, gli americani accusano i russi di aver violato l’accordo a seguito dei test effettuati con il razzo

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Novator (avente una gittata di 480 km e quindi facilmente estendibile ai 500 km vietati dall’INF); dall’altra parte, i russi accusano gli americani che i sistemi di lancio verticale Mk 41 dei missili anti-balistici installati in Romania e Polonia possano essere utilizzati anche per il lancio di missili con gittata di 3000km. Inoltre, la Cina è libera di produrre armi proibite dall’accordo poiché non ne fa parte, ponendo in una posizione di svantaggio l’America di Trump. La fine del trattato sulle forze nucleari a raggio intermedio ha delle conseguenze di carattere globale e locale. Se le prime comprendono la corsa agli armamenti (che vede protagonista anche la nuova potenza cinese) e il congelamento dei rapporti tra americani e russi, le seconde riguardano direttamente l’Europa: i nuovi missili russi con testate nucleari e convenzionali porrebbero la NATO nella condizione di rispondere con armi analoghe, che determinerebbe di conseguenza un inasprimento dei rapporti tra i paesi europei a causa delle divergenze sul tema. Ciò detto, in una situazione di estrema crisi del sistema internazionale, determinata non solo da un oggettivo rischio di sicurezza a livello globale, a causa del dilagare incessante delle guerre civili (in Africa, Medio Oriente, Asia) connesse a motivazioni di ordine religioso, economico, geopolitico, climatico ecc, si sommano i cambiamenti climatici e la resistenza alla progressiva integrazione del mercato mondiale. Se alla sfida climatica l’Europa ha già iniziato a rispondere efficacemente (articolo 191 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, sistema di scambio di quote di emissione dell’UE, Accordo di Parigi, direttiva sulle fonti energetiche rinnovabili, tecnologie per la cattura e lo stoccaggio del carbonio, direttiva sulla plastica...), al problema della sicurezza deve ancora dare una risposta comune.

Premesso che l’aumento della spesa militare di ogni singolo paese non rappresenterebbe di certo una soluzione, in quanto determinerebbe un ingente incremento della tassazione sui singoli cittadini, l’implementazione del limitato ruolo formale nel processo decisionale di politica estera della PESC (attraverso la creazione di un “ministro degli Esteri” dell’UE e di un “servizio diplomatico europeo”), garantirebbe: un maggior rafforzamento della sicurezza internazionale, la promozione e lo sviluppo della democrazia a livello globale, il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali. La via da percorrere dev’essere tale da governare l’interdipendenza tra stati. L’OSCE (Organizzazione regionale per la sicurezza e la cooperazione in Europa), comprendente 57 paesi che si impegnano a promuovere la pace dialogando di cooperazione, giustizia e politica, dovrebbe essere estesa anche agli altri attori globali, al fine di rispondere a problemi di dimensione sopranazionale, in un sistema in cui le istituzioni politiche hanno ancora dimensioni prevalentemente nazionali. Per questo è necessario traslare l’OSCE, dallo stato embrionale corrente, ad uno tale da garantire risposte trasparenti e concrete di livello globale. Quindi, oltre al necessario rafforzamento degli organi regionali, è saliente implementare il ruolo della NATO e dell’organizzazione intergovernativa ONU, al fine di abbattere l’anarchia nel sistema internazionale attuale, costituendo un sistema pluripolare cooperativo. L’Europa ha in questo senso un ruolo cruciale nel processo di unificazione mondiale, essendo l’integrazione europea un progetto di pacificazione interstatale, nato a seguito di plurisecolari conflitti tra stati. Il processo di integrazione dev’essere dunque implementato per costituire una federazione di stati (politica comune estera, vera politica di sicurezza e difesa) ed esteso a tutti gli altri attori globali al fine di ricreare lo spirito di sicurezza comune, imporre nuovi metodi di controllo degli armamenti a tutti i livelli possibili, salvaguardare il regime di non proliferazione, ostacolare il terrorismo internazionale, normalizzare il Medio oriente, ma soprattutto garantire il diritto dei popoli alla pace.

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Rubrica “L’Europa attraverso gli ultimi cinquant’anni”

di hi Ma ddalena Marc

Intervista a Nada Ladraà

La rubrica “L’Europa attraverso gli ultimi cinquant’anni” vuole capire, attraverso varie testimonianze, com’è mutata l’idea di Europa nell’ultimo mezzo secolo. Oggi vedremo l’Europa attraverso gli occhi di una ragazza, Nada Ladraà, che, dopo tre anni di liceo scientifico a Lecco, è stata ammessa ai Collegi del Mondo Unito nella sede di Duino (TS), dove ha avuto l’opportunità di vivere e studiare due anni con ragazzi da tutto il mondo. Dopo questa esperienza si è presa un anno sabbatico che ha sfruttato per passare sei mesi in Marocco.

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ome quando sei in classe e qualcuno fa qualcosa e tutti sapete che lui fa quella cosa perché ha un determinato carattere, perché ha la tendenza a fare così, perché pensa così. All’inizio sei “Oddio, tutte queste persone vengono da tutti questi Paesi”. Poi, a un certo punto, inizi a capire

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che sì, lei è palestinese, lui è palestinese e poi in realtà possono essere palestinesi in due modi completamente diversi. Ed è la stessa cosa per tutte le persone: è vero che la cultura è un po’ appartenere a un gruppo, per il quale so che, se tu sei afgano, tendenzialmente non sei abituato a vedere ragazze in bikini per strada, però questo non vuol dire che non possiamo avere una relazione in generale molto più aperta mentalmente rispetto che con un cattolico americano. Quando inizi a vedere queste cose, diventa naturale considerare tutte le persone come persone. Quindi so che, se sto parlando con un ragazzo dell’Arabia Saudita, magari su certe cose ci vado un pochino con calma, ma oltre a questo perdi completamente quell’Arabia Saudita. Diventa semplicemente una delle tante etichette che diamo alla persona e che questa persona porta con sé.» Ciao Nada, prima mi hai parlato di avere un impatto sul mondo. Ma cosa vuol dire rendere il mondo un posto migliore? Come si può raggiungere questo scopo? Per me vuol dire ascoltare. Sono entrata a Duino dicendo tante cose e ne sono uscita imparando a pensarle mentre ascoltavo gli altri. Mi sono resa conto che possiamo avere delle idee su quale sia l’assetto politico o economico giusto, su come gli altri dovrebbero comportarsi, come dovrebbero mangiare, vestirsi, banalmente se una persona sia bella o brutta. E queste idee hanno un senso, però sostanzialmente non servono a niente; perché se le vuoi costruire devi avere delle altre persone con te e l’unico modo per avere persone con te è capirsi l’un l’altro. È un po’ il motivo per cui a volte mi dà fastidio il modo in cui la sinistra in generale tende ad affrontare alcune problematiche come il neofascismo: è vero che ci sono degli estremismi con cui è difficile, se non impossibile, parlare, però è anche vero che molte delle persone che votano Casa Pound, o almeno quelle che ho incontrato io nella mia vita, spesso lo fanno per tutta una serie di motivi che stanno dietro al loro ruolo. Imparare ad ascoltare e capire perché queste persone votano in questo modo serve molto di più che cercare di indottrinarli in modo diretto. Ed è più efficace. Quando hai sentito parlare di “Europa” per la prima volta e sotto quali vesti? Credo di aver prima sentito parlare di “Europa” in

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senso geografico. Successivamente, forse alle medie, ho sviluppato un po’ più di coscienza di Unione Europea. Però fino a due/tre anni fa l’UE è stata un’entità molto lontana, che mi sembrava non stesse influenzando molto la mia vita. Mi sono resa conto del potere reale dell’Unione sia con Brexit sia quando quest’anno sono stata in Marocco, dove ho lavorato con questi rifugiati immigrati siriani, subsahariani, emiriti, che cercano di passare attraverso il Marocco per poter andare in Spagna. Quando esci dall’area “Schengen” l’UE come entità politica può essere fortissima. Lavorando con questi rifugiati, i ricercatori, affrontando le dinamiche di frontiera, mi sono resa conto che in molte cose, più di quelle che pensiamo, esiste prima l’Europa e poi i singoli Paesi al suo interno. Io da italiana non me ne ero mai resa conto prima di quest’anno. Come un’Europa unita ha influenzato la tua vita? Penso che ci sia tutta una questione storico-economica che oggettivamente l’Ue ha migliorato e che inevitabilmente ha toccato me personalmente. Però non saprei indicarti esattamente come mi ha toccato perché ritengo che siano questioni economiche, sociali, legali, che non posso ancora comprendere a fondo. Tuttavia, in Marocco mi sono resa conto che è abbastanza assurdo come noi cresciamo ed è ovvio che possiamo andare in Francia, in Svizzera ecc. È normale, quando leggiamo i nostri giornali, sapere cosa succede in Spagna o in Francia. Si sente comunque un po’ un senso di fraternità: sappiamo che c’è l’UE che dice questo e poi la Francia che ribatte quest’altro e l’Italia che afferma un’altra cosa. E lo senti che è come se ci fosse una grande casetta e noi siamo lì e magari è vero che vorremmo dirci divisi, però in realtà sappiamo che possiamo tranquillamente passare da un posto all’altro, che poi vuole anche dire crescere sapendo cosa sono le realtà negli altri Paesi. Non è una cosa ovvia. Quando ero in Marocco, mi sono resa conto che il 99% di quella popolazione non potrà mai uscire dalle proprie frontiere (anche perché è molto difficile ottenere un visto anche solo turistico). Questo vuol dire che per te il mondo finisce con il Marocco. Nei giornali sì, si parla del mondo oltre i confini nazionali, però sembra sempre tutto così lontano e questo porta ad avere meno possibilità di vita. L’Italia ha intrinsecamente, assieme a tutti gli altri Paesi, questa apertura che viene dal fatto di potersi confrontare con gli altri. Se critichiamo il nostro governo è perché sappiamo esistere un’altra possibilità di governo. In Marocco non sai come sia la vita negli altri Stati: non sai se ci sia davvero una possibilità migliore. Questa cosa che noi diamo tanto per scontata ha in realtà un valore immenso. Tu ti senti cittadina italiana, marocchina, europea e del mondo? Sì.

Come fa però a nascere questo senso di appartenenza? Cosa crea l’identità di una persona? Credo dipenda semplicemente da quello che consideriamo casa. Hai presente l’emozione che provi quando sono passati anni e rivedi qualcosa? Qualsiasi cosa. Magari è un tappeto indiano che ti aveva portato tuo nonno quando avevi tre anni e non c’entra niente, però tu lo vedi e fa parte di te. E magari quando hai tre anni sei tipo “Okay, va bene, bello”, però poi quando lo rivedi a trent’anni è Casa. Me ne sono resa conto soprattutto durante quest’anno sabbatico, mentre ero in Marocco. Io sono italo-marocchina però lo sono a modo mio: non c’è nessun italo-marocchino, per quanto magari anche lui abbia due genitori marocchini, sia nato in Italia, magari proprio a Merate come me, che sia come me. Ciò che plasma l’identità di una persona sono tutta una serie di cose che ha vissuto: banalmente per me è stato sicuramente avere una casa in cui all’interno si parlava arabo, Merate (però nella sua biblioteca e non nella frazione di Sartirana), l’Italia (però non l’accento napoletano, più quello brianzolo). In Marocco mi sono sentita marocchina per tutte quelle cose che io stessa riconoscevo perché le faceva mia mamma. La cittadinanza è solo alla fine una costruzione che raccoglie tutta una serie di cose in cui nessuno rientra perfettamente. Cosa ti aspetti dalle prossime elezioni europee e come vedi l’Europa fra 10 anni? Più che mi aspetto, spero che tante persone partecipino. Spero che banalmente i vari partiti di estrema destra non prendano una fetta così grande. Non ho delle particolari aspettative: sono solo curiosa di sapere quali saranno i risultati. È anche vero, comunque, che il fatto che parte di estrema destra vinca non è necessariamente il segno che ci siano tanto persone che condividano le loro idee quanto che la sinistra sia eccessivamente debole, come è successo nel caso dell’Italia. Sono curiosa di sapere cosa succederà nel Parlamento Europeo in cui questi dualismi vengono un pochino meno. Non so come vedo l’Europa fra dieci anni. Diciamo che in questo momento sono anche molto di parte: negli ultimi sei mesi della mia vita l’UE era il male del mondo che bloccava le frontiere, non faceva passare nessuno e pagava gli altri Stati per buttare fuori tutti coloro che avevano diritto all’asilo. Ho tanta paura per l’UE perché sta gestendo malissimo l’immigrazione dando origine a una serie di movimenti che la stanno distruggendo dall’interno. Non penso che da un giorno all’altro possiamo distruggere questa unione, però allo stesso tempo ho paura che continuando così entreremo sempre più in circoli viziosi da cui è molto difficile uscire. Inoltre, l’economia di molti Stati, tra cui la Germania, sta iniziando a retrocedere. Non stiamo gestendo bene l’aspetto economico che inevitabilmente andrà a toccare le persone, che inevitabilmente cercheranno una risposta.

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di o Sal vatore Roman

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Il Parlamento europeo del cambiamento

a recessione è una porta girevole. Entri ed esci come niente fosse. In un secondo sei dentro, un attimo dopo fuori. Così sembra essere per l’Italia, così per le economie più fragili del continente. I dati non vogliono parlare chiaro, e l’occhio scrutatore del cittadino/lettore insegue angosciato i numeri e le percentuali tra i solchi neri delle righe dei giornali. Legge e rilegge, poi fa schemini a margine, qualche operazione magari. Sfoglia una pagina dopo l’altra, e le cifre e i numerini corrono via, scappano veloci come nere nubi in un cielo grigio. Il giornale tra le mani verrebbe voglia di stracciarlo. Gettare via questo oroscopo sfortunato. Le previsioni degli economisti annunciavano una stagione poco felice, il rallentamento dei Paesi del Nord avrebbe trascinato con sé il resto d’Europa, e così è stato. Le difficoltà tedesche hanno sottratto carburante anche al vicino francese, mettendo in soffitto i sogni di ripresa di Macron. Ma negli ultimi giorni sono arrivate buone notizie per l’Italia, e queste si riferiscono ai dati del primo trimestre del 2019. L’Istat e l’Eurostat segnalano una crescita dello 0,2 per cento del Pil, poca cosa ma meglio dello zero virgola zero di crescita che si dava già per scontato. È stato l’export ad essere il cavallo da traino. Niente a che vedere con le recenti riforme messe in campo. I dubbi sul futuro si riservano al dopo elezioni europee, allora si scoprirà se il ventisei maggio segnerà o meno una discontinuità in Europa e in Italia, con la rottura dell’attuale maggioranza in parlamento. Intanto le dichiarazioni dei due leader, Salvini e Di Maio, si assomigliano, sull’Europa dicono tutto e nulla: “Vogliamo cambiarla!”, “riforma dei trattati!”, “basta con l’Europa dei burocrati!”. Le alleanze che in questi mesi hanno cercato per le elezioni europee sono con forze di cui condividono le idee e i programmi. Ma, per la Lega, vale la teoria di Eraclito sugli opposti. Se questi si attraggono, allora le cose simili si respingono, ed è ciò che stanno dimostrando nelle ultime ore le posizioni di quelli che erano

i leader alleati di Salvini. Il fronte sovranista si scioglie per contraddizione interna. Le ultime dichiarazioni del cancelliere austriaco Kurz lasciano ben poco spazio per contatti con il vicepremier italiano. Come riporta Tonia Mastrobuoni su Repubblica di domenica 5 maggio, Kurz avrebbe dichiarato: «Non vedo proprio niente di positivo in una cooperazione con partiti come quello di Marine Le Pen in Francia o l’Afd in Germania, che chiedono di abbandonare l’Ue». L’idillio non sarebbe sbocciato neppure con Jorg Meuthen, candidato di punta alle prossime elezioni europee dell’Alternative für Deutschland (Afd), partito di ultradestra tedesco. Le divergenze sorgono sul tema dei conti pubblici. Il candidato tedesco è sostenitore di una politica di rispetto del pareggio di bilancio e delle regole del Trattato di Maastricht, Salvini punta invece al superamento di quelle politiche di austerity che il suo compagno sovranista vuole continuare. Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, in una recente convention promossa a Washington da Trump e allargata al campo conservatore, ha esplicitato le sue posizioni sull’Europa. Il suo mantra è quello di distruggere l’attuale Unione, e creare una confederazione di stati in cui soltanto la politica estera deve essere di competenza dello stato confederale. Forza Italia, partito di Silvio Berlusconi, ha scelto come slogan: “Sovranismo europeo”. Lo stesso Berlusconi in un’intervista rilasciata a Omnibus ha dichiarato che un nuovo sovranismo europeo è necessario per permettere al nostro continente di sedersi ai tavoli coi grandi della terra, tenersi ben saldo ai principi liberali dell’Occidente, e contrastare «il regime comunista cinese». La strategia del nuovo segretario del Pd, Zingaretti, è quella di tenere insieme i cocci di un partito a pezzi. Niente di nuovo sul fronte di sinistra, si potrebbe ben dire. Ciò che è destinato a cambiare è il Parlamento europeo: a fianco delle tradizionali alleanze politiche ve ne saranno di nuove, anche nella prevista maggioranza che si comporrà tra il Ppe e il Pse. Comunque andranno, queste elezioni segneranno una discontinuità.

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di E lisa Treglia

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Rubrica Erasmus: Passau, quell’atto di follia che mi ha svelato l’umanità

ià solo dopo qualche settimana in Germania, Anna, la mia compagna di Erasmus, ed io convenivamo che per iscriversi in Erasmus ci vuole davvero un pizzico di sana follia, perché, finché non si entra nel pieno dell’esperienza, non si riesce a capire fino in fondo la portata di sfide e di avventure che un periodo in scambio comporta. È stata proprio quella follia descritta nell’Elogio di Erasmo da Rotterdam e che è così importante avere quando si è nei primi 20 anni, che ci ha permesso di superare insieme i momenti più difficili, gioire delle nostre avventure e dei nostri momenti di festa e che ci ha fatto commuovere quando è arrivato il fatidico momento di congedarsi dalle meravigliose persone incontrate. Se vi dovessi descrivere brevemente com’è la città dove ho vissuto per sei mesi, vi direi che è piccola, molto carina e peculiare nel suo genere e assolutamente coinvolgente, visto che la “Universitas Passaviensis” ha fatto tutto il possibile per rendere la città a misura di studente, per cui non ci si annoia mai. A partire dallo Sportzentrum dell’Università che offre una quantità strabiliante di corsi dalla classica squadra di calcio, ai corsi di capoeira, yoga e canoa, il tutto pagando solamente 10 euro a semestre; sono presenti associazioni studentesche come AEGEE che si occupava prevalentemente dell’intrattenimento degli studenti internazionali con feste e gite, o come Studentenwerk Niederbayern che offriva corsi gratuiti di teatro, danza, fotografia e cucina etnica. Fra i miei ricordi più belli ci sono le “Tertulias de Español” organizzate dalla Associazione Panamericana di Passau, dove, seduti attorno ad un tavolo, davanti ad una helles o una cerveza si parlava in spagnolo, e il laboratorio di cultura italiana fatto con una classe di studenti tedeschi che studiano italiano e organizzato da una professoressa italo-tedesca. Aldilà delle belle attività e dei viaggi compiuti, è stata la costellazione di persone incontrate che mi ha se-

gnato maggiormente: a partire dai miei professori tedeschi che mi hanno dato l’ispirazione per la tesi di laurea, ad Anna, la mia compagna di Erasmus e ultima amica di questa triennale all’Università di Verona, con cui ho sviluppato la delicata arte della mediazione e della collaborazione, a Diogo, con cui ho avuto le più belle discussioni sulla politica e sull’Europa, che mi ha stimolato a riprendere la buona pratica della meditazione giornaliera e che mi ha fatto scoprire che il Portogallo e l’Italia sono più simili di quanto si immagini, ad Annika, studentessa di scienze politiche di Amburgo, che mi ha stupito per la luce negli occhi che aveva quando parlava del mio Paese e che si vorrebbe occupare delle relazioni fra Italia e Germania, ai miei amici messicani, argentini, tunisini, rumeni e ungheresi, con cui ho riso, imprecato in tutte le lingue, ballato e cantato. Ora che sapete che cosa ho vissuto in questa piccola e vivace città di frontiera bavarese, se mi chiedeste qual è la lezione più importante che ho imparato in questo mio attimo di follia, vi direi semplicemente questo: si può riconoscere umanità ovunque e in ogni persona proveniente da qualsiasi luogo e nel momento in cui io l’ho colta, sono finalmente tornata a stupirmi e ad essere piena di speranza per la mia umanità.

Maggio 2019•Universitari per la Federazione europea

Eureka 11


«[...] La grande posta in gioco non è un governo di sinistra o di destra in tale o tale paese. La posta è la rinascita della libera civiltà democratica europea che può avere luogo solo sulla base di una Europa unita.» Dal discorso tenuto da Altiero Spinelli al 1° Congresso UEF del 27 agosto 1947

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