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GFE - Giovani Federalisti Europei

Oltre la COP, per salvare il pianeta


Som m a r i o

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GFE Legnago: un laboratorio di militanza politica

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La fragile vittoria di Olaf Scholz

Oblio democratico

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Energia, inflazione e clima: una triade esplosiva

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Il grande assente del dibattito ambientale: la questione istituzionale

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Rubrica Erasmus: Covid-Erasmus a Nantes

15 Un angolo sul faceto della politica europea Stampato da

Per collaborare con noi, contattaci a: gfe.verona@gmail.com! Rivista del gruppo studentesco GFE - Giovani Federalisti Europei Con il contributo dell’Università degli studi di Verona. Responsabile del gruppo studentesco: Maddalena Marchi. Co-direttori: Maddalena Marchi, Salvatore Romano. Collaboratori: Camilla Bastianon, Gianluca Bonato, Giacomo Brunelli, Carlo Buffatti, Caterina Cognini, Lea Dietzel, Gabriele Faccio, Francesco Formigari, Andrea Golini, Filippo Pasquali, Filippo Sartori, Andrea Stabile, Alice Tommasi, Alberto Viviani, Filippo Viviani, Sofia Viviani, Andrea Zanolli. Redazione: Via Poloni, 9 - 37122 Verona • Tel./Fax 045 8032194 • www.mfe.it • gfe.verona@gmail.com • Progetto grafico: Bruno Marchese. GFE - Giovani Federalisti Europei

Articolor Verona Articolor Verona srl srl Via Olanda, 17 ComuniCazione GrafiCa 37135 Verona Via Olanda, 17 37057 Verona Tel. 045 584733 Tel. 045 584733 Fax 045 584524 articolor@articolor.it P.I.email: C.F. 04268270230 REA 406433

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di lli Gia como Brune

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GFE Legnago: un laboratorio di militanza politica • Tempo di lettura: 5 minuti

uando a luglio della passata estate ho deciso di fare il possibile per fondare una nuova sezione della Gioventù Federalista Europea nel legnaghese, sapevo che non sarebbe stata una facile impresa. L’idea è venuta parlando con l’allora Presidente MFE Giorgio Anselmi, e il Tesoriere GFE Gianluca Bonato. Entrambi storici militanti della sezione di Verona. Iscritto da poche settimane, ho domandato loro, beato nella mia ignoranza della «macchina federalista», se oltre alla giovanile veronese ce ne fosse anche una legnaghese: abitando a metà strada, speravo di poter partecipare alle iniziative di entrambe e quindi formarmi maggiormente. Mi hanno risposto che no, non c’era, ma che avrei potuto fondarla. Mi chiedo ora se fosse stato uno scherzo o qualcosa di simile. In ogni caso, non capisco l’ironia ed amo le sfide in proporzione alla loro importanza e difficoltà. Le calde notti di agosto hanno notevolmente diminuito le mie ore di sonno e ne ho approfittato per leggere gli statuti MFE e GFE, per approfondire i grandi del federalismo italiano ed europeo e le iniziative che attualmente i Federalisti portano avanti: missioni politiche di ampio respiro, rivoluzionarie, adatte a raggiungere quel cambiamento di potere che è necessario a rendere moderno l’apparato governativo, ad adeguarlo alla globalizzazione in modo tale da evitare che soccomba sotto il suo peso. È stato così che, durante una “pausa riflessiva” al termine della classica grigliata di Ferragosto, ho capito che si poteva e si doveva fare. Il problema era come. Legnago è un Comune estremamente vivo. Non ha un numero di abitanti troppo elevato (25.000 ca.) ma funge da crocevia, da collegamento, tra le Province di Verona, Rovigo, Padova (con le quali confina direttamente) e Vicenza. Inoltre, ha un’importante zona industriale che ha retto meglio di altre alle ultime crisi. Questi elementi lo rendono un territorio politicamente fertile, aperto al dibattito pubblico, con una popolazione che tiene particolarmente alla buona amministrazione del territorio, con un sano attaccamento. Tuttavia, è lontano dalle sedi universitarie, dalle città, dai grandi centri culturali: i giovani più interessati alla riflessione politica si trasferiscono altrove.

Il presidente della GFE Legnago, Andrea Spiazzi

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Il segretario della GFE Legnago, Giacomo Brunelli e Giorgio Anselmi durante un incontro del ciclo di formazione sul federalismo Ecco la prima questione: chi coinvolgere e in che modo. Ho creduto opportuno rivolgermi alle Scuole Superiori del Comune, ed in particolare agli studenti del Liceo, che si sono dimostrati i più interessati. Spero però di poter includere il più possibile gli studenti iscritti in altri istituti perché includere – non escludere – è l’obiettivo della militanza federalista. Per quanto riguarda gli universitari, che difficilmente possono essere attivi sul territorio, dal nuovo anno attiverò strumenti di militanza a distanza (stiamo valutando i più efficaci), accompagnati da ritrovi de visu organizzati nei periodi in cui si è soliti far ritorno alle proprie abitazioni. Più complicato l’avvicinamento ai giovani lavoratori, che troppo spesso vedono le nostre attività come dibatti astratti e le nostre proposte come sofismi. A questo punto nasceva una seconda questione: i tesseramenti. Sarebbe stato impensabile credere di poter cominciare con una larga base di soci in un Comune dove quasi nessun giovane conosceva il Movimento Federalista. Lo statuo GFE prevede un minimo di cinque iscritti se è presente anche la sezione MFE e, fortunatamente, a Legnago lo è. Qui ho avuto un’intuizione che si è rivelata giusta: partire con un piccolo nucleo di militanti attivi, ma proporre da subito un ciclo di incontri e attività del livello di una grande sezione e permettere l’iscrizione gratuita alle attività. Se avessi atteso che la sezione crescesse gradualmente, iscritto dopo iscritto, prima di farla decollare e iniziare con le attività più serie, non sarebbe mai cresciuta e mai decollata. Il modo

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giusto di aumentare gli iscritti sarebbe stato mostrare concretamente cosa la GFE fa e cosa potrebbe fare con qualche militante in più. Ricordiamoci che «gli Apostoli erano solo in dodici». Si è rivelata la strada giusta ed oggi contiamo, oltre ai cinque soci fondatori, due nuovi militanti e trenta iscritti permanenti alle attività. Più tutti coloro che di volta in volta prendono parte ai nostri incontri. Questo è stato possibile anche grazie al gentile supporto del Sindaco di Legnago Graziano Lorenzetti, che ci ha permesso di incontrarci nella Sala Civica. Il 16 settembre abbiamo inaugurato la sezione, con una cerimonia pubblica al Piccolo Salieri, e giorno dopo giorno stiamo portando avanti con passione le sfide per il rinnovamento dell’Europa e il confronto tra giovani cittadini: sale della democrazia. Nessuno, però, riesce a far qualcosa di importante da solo: io sono stato costantemente supportato - e spesso sopportato - dall’amico Andrea Spiazzi, Presidente di sezione. Sempre pronto a consigliarmi, a coinvolgere nuovi ragazzi, a rappresentare la sezione agli eventi regionali e nazionali con umiltà e grande dedizione. A lui un grazie dal cuore. Spero che questa testimonianza possa aiutare tutti gli attivisti politici in generale: non concentratevi sui numeri. Come scrisse Seneca a Lucilio «Vivere, mi Lucili, militare est»: se credete davvero in grandi ideali cercate il modo migliore per portarli avanti e se le vie tradizionali non funzionano sperimentate percorsi alternativi. Federazione europea subito!

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La fragile vittoria di Olaf Scholz di ri Fra ga i nces co Form

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• Tempo di lettura: 9 minuti

a macchina elettorale tedesca, internamente regolata da un sistema in parte proporzionale e in parte maggioritario, ha svelato il proprio responso: con il 25,7% dei voti, a trionfare è stato il Partito Socialdemocratico (SPD) guidato da Olaf Scholz, attualmente ministro delle finanze nella Grosse Koalition assemblata dalla cancelliera Angela Merkel nel 2017. Non si tratta, tuttavia, di una vittoria travolgente: l’altro membro della coalizione attualmente al governo, ossia il sinolo composto dalle forze conservatrici comunemente indicate come CDU e CSU (rispettivamente: Unione cristiano-democratica di Germania e Unione cristiano-sociale di Baviera), ha registrato sì una storica sconfitta, ma è ugualmente riuscito a conseguire una corposa quantità di consensi: il 24,1% dei voti. I partiti che nello scenario odierno formano il governo capitanato da Angela Merkel, la quale quest’anno ha scelto di non ricandidarsi con il proprio partito (CDU/CSU) per l’ottenimento di un quinto mandato, sono dunque stati capaci di confermarsi come le principali forze dello scacchiere politico tedesco. Tuttavia, posto che il quantitativo di voti raggiunto dal SPD non è sufficiente a reggere in

forma autonoma un governo, l’ipotesi di una nuova Grosse Koalition è considerata dalla maggior parte dei commentatori come un evento alquanto improbabile: l’accordo tra le due parti, infatti, si è ormai logorato. A quali forze politiche guardare, allora? Entrano in scena, a questo punto, i partiti che le recenti elezioni parlamentari hanno collocato subito dopo le summenzionate formazioni: da un lato, con il 14,8% dei consensi, i Verdi di Annalena Baerbock, i quali si attendevano una percentuale più alta di voti; dall’altra, con l’11,5% delle preferenze, il Partito Liberale Democratico (FDP) di Christian Lindner, in ascesa rispetto ai risultati delle precedenti consultazioni. Alcuni organi mediatici hanno rapidamente applicato alle due forze in questione l’etichetta di king makers, volta a indicare la funzione di aghi della bilancia (ricordando il nostrano Guicciardini) che saranno chiamati a svolgere. Nonostante le forti incongruenze che disgiungono i partiti in questione, le dichiarazioni espresse dai principali esponenti degli stessi sembrano indicare una rilevante disponibilità al confronto: entrambe le forze sono consapevoli del fatto che il prossimo governo dovrà probabilmente includerne la presenza. In questo senso, molti analisti ritengono che l’ipotesi più probabile per il prossimo governo sia quella costituita dalla cosiddetta “coalizione semaforo”: un’alleanza tra il vincente SPD, i Verdi, e il FDP. L’alternativa, decisamente meno probabile ma teoricamente possibile, è quella costituita dalla cosiddetta “coalizione Giamaica”, ossia un accordo tra gli sconfitti esponenti della CDU/CSU, i Verdi, e il FDP. Sicuramente, come ha specificato la maggioranza dei commentatori, i negoziati post-elettorali richiederanno lunghi tempi di sviluppo: nel 2017, ad esempio, Angela Merkel impiegò cinque mesi per riuscire a comporre l’attuale esecutivo. Scholz, stando alle dichiarazioni formulate in seguito alla vittoria, vorrebbe costruire il prossimo governo prima di Natale: arduo obiettivo, secondo gli analisti. Se il leader del SPD non riuscisse a individuare una coalizione entro il 17 dicembre, Angela Merkel diverrebbe la figura più longeva al timone della Repubblica tedesca, superando così il record del compagno di partito Helmut Kohl.

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Prima di interrogarsi intorno all’identità del vincitore, pare opportuno chiedersi quali fattori abbiano determinato la caduta della CDU/CSU, formazione che negli ultimi anni aveva garantito perlopiù solide vittorie ai propri elettori. Gli organi mediatici non risultano concordi rispetto alla questione; tuttavia, la maggior parte degli stessi conviene intorno al punto seguente: Armin Laschet, il candidato proposto dalla CDU/CSU, si è rivelato una figura politica poco convincente. Sia sufficiente pensare, in questo senso, al terribile errore commesso da Laschet in occasione della propria visita nei luoghi devastati dalle alluvioni estive: lì si fece cogliere intento a scherzare e sorridere. Più generalmente, come spiegato da Francesco Russo per “AGI”, Laschet non è mai stato il miglior candidato possibile per la CDU/CSU, la quale è stata indotta a selezionarlo in seguito alle criticità legate agli altri nomi posti in esame. Il promettente Friedrich Merz, in quanto orientato a un significativo conservatorismo, avrebbe reso difficile la necessaria intesa con i Verdi in caso di vittoria; Ursula von der Leyen, fortemente legata ad Angela Merkel, attualmente ricopre l’irrinunciabile posizione di presidentessa della Commissione europea; Annegret Kramp-Karrenbauer, altra figura appoggiata da Merkel, è stata oscurata dai fatti avvenuti in Turingia, dove si era consumato un sospetto avvicinamento tra CDU/ CSU e AfD, partito di estrema destra; Jens Spahn, giovane ministro della Salute, è stato inabissato dalla problematica gestione della pandemia. Non soltanto una questione di personalità politiche, però: alcuni commentatori, infatti, hanno illustrato la sconfitta della CDU/CSU evidenziando anche altri elementi. In primo luogo, la pandemia: benché nelle fasi iniziali il modello tedesco abbia incassato diffusi apprezzamenti, lo scorso marzo la campagna vaccinale ha palesato un ritmo d’avanzamento imbarazzante: soltanto il 2% della popolazione, in quel momento, risultava vaccinata. Più generalmente, l’intera gestione della pandemia è parsa poco efficace: il sistema tedesco, caratterizzato da una complessa architettura interna e da sfibranti confronti con le autorità dei Land, ha costretto il governo di Angela Merkel a risposte spesso tardive, e pertanto deleterie sul piano elettorale. In secondo luogo, l’economia: anche a causa della pandemia, le stime di crescita si sono abbassate. Stando ai dati rilevati dall’istituto Ifo, l’incremento previsto per il 2021 è passato dal 3,3% al 2,5%; per il 2023, invece, è prevista una crescita del PIL pari al solo 1,5%. Critica pare soprattutto la situazione dell’industria manifatturiera, una delle più rilevanti in Germania, che attualmente si ritrova a dover sostenere una svilente scarsità di chip e di altri beni intermedi. Un quadro simile non

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può certo aver agevolato la popolarità del partito di Merkel, il quale ha scontato anche alcune delle dannose conseguenze derivanti dalla politica dello schwarze null, ossia “deficit zero”: a causa di tale indirizzo non sono stati realizzati i necessari investimenti infrastrutturali (banda larga, alta velocità, etc.), e anche da ciò è dipesa la tragica situazione verificatasi durante le alluvioni estive. A Olaf Scholz e al suo partito, tornato ai livelli di consenso del 2002, è così toccata la vittoria: una vittoria fragile, ma comunque sufficiente a porre l’attuale vicecancelliere nella condizione di poter legittimamente ambire alla successione di Angela Merkel. Sebbene la loro storia politica li veda in opposizione, alcuni analisti ritengono che tra Scholz e Merkel possano essere individuate delle similarità: entrambi, infatti, rappresenterebbero personalità aventi nel loro atteggiamento moderato, autorevole e rassicurante il proprio punto di forza rispetto all’elettorato tedesco, solitamente poco favorevole nei confronti di personalità esuberanti. Nonostante ciò, i due sono indubbiamente legati a contesti differenti: mentre Merkel è cresciuta nella Germania Est ed è da anni il più rilevante membro della CDU/CSU, Scholz ha vissuto nella Germania Ovest e ha sempre militato nel SPD. Più specificamente, Scholz è stato ministro nella prima coalizione guidata da Merkel, quindi ha ricoperto la carica di sindaco di Amburgo tra il 2011 e il 2018 conseguendo alti livelli di apprez-

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Il Cancelliere della Germania Olaf Scholz con il Presidente del Consiglio Mario Draghi zamento, e successivamente è divenuto vicecancelliere e ministro delle Finanze all’interno dell’ultimo governo dell’era Merkel. Durante la pandemia, Scholz ha acquisito particolare popolarità, come ricorda CNN, varando una serie di misure economiche finalizzate a compensare le perdite subite da quanti erano stati costretti alla quarantena. Rispetto alle questioni di politica estera, Scholz si è dichiarato favorevole al rinforzo dell’Unione europea, propenso al mantenimento degli Stati Uniti come alleato atlantico, e desideroso di contribuire allo sviluppo di una solida cooperazione tra le democrazie mondiali. Benché disponga di ragguardevole autorità in seno al governo tedesco e alle istituzioni europee, Scholz non ha sempre ricevuto un deciso appoggio da parte del proprio partito, storicamente più propenso a farsi guidare da personalità nettamente orientate a sinistra: in occasione delle ultime elezioni, l’atteggiamento centrista di Scholz era parso poco convincente ad alcuni membri del SPD. Infine, però, la vittoria è arrivata. Oltre ai vincitori e agli sconfitti, altri componenti del panorama politico tedesco meritano delle attenzioni. Die Linke, partito rientrante nell’estrema sinistra, ha rischiato di non raggiungere la soglia necessaria per accedere al Bundestag: ha conseguito appena il 4,9% dei voti, registrando così un calo nei propri consensi. Prima che le elezioni per il rinnovo del parlamento si concludessero, dinnanzi agli scoraggianti exit poll alcuni esponenti di Linke – tra i quali Bartsch – hanno dichiarato che nella prossima legislatura il partito si schiererà all’opposizione: qualsiasi possibilità di una coalizione rosso-rosso-verde, dunque, si è chiusa. Diversa,

invece, la situazione del polo opposto, rappresentato dagli estremisti di destra coagulati in Alternative für Deutschland (AfD): benché l’ultimo risultato rappresenti un calo rispetto al 12,6% ottenuto nel 2017, il 10,3% conseguito quest’anno rivela la sorprendente – e per certi versi preoccupante – stabilità acquisita dalla forza in questione. Parte dei consensi legati ad AfD, i cui membri vorrebbero l’uscita dall’UE e dagli accordi climatici di Parigi, si è attestata nelle regioni orientali, laddove il governo Merkel collocò consistenti quantità di profughi in seguito alla crisi del 2015. AfD, non casualmente, ha condotto una campagna elettorale caratterizzata da slogan anti-migranti, erodendo i consensi della CDU/CSU nelle summenzionate aree. Secondo Alexander Gauland, leader onorario di AfD, i risultati delle ultime elezioni dovrebbero indurre proprio la CDU/CSU a instaurare dei tentativi di collaborazione con la formazione di estrema destra: ipotesi quanto mai impraticabile, data la radicale incompatibilità tra i due schieramenti e le vergognose controversie legate ad AfD, nelle cui file è stata rilevata la presenza di neonazisti. Arduo è lo scenario, difficile il momento: nonostante i tempi d’attesa, le probabilità sono tutte a favore di un governo guidato da Olaf Scholz, che se diverrà a tutti gli effetti il prossimo cancelliere tedesco dovrà confrontarsi con la consistente eredità lasciata da Merkel e con un futuro al quale la Repubblica tedesca dovrà rispondere con intelligenza. Le trattative politiche in corso forniranno già alcuni indizi rispetto alle possibilità della nuova era.

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di lli And rea Zano

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Il grande assente del dibattito ambientale: la questione istituzionale • Tempo di lettura: 6 minuti

ovrebbe essere ovvio che non si può risolvere una crisi con gli stessi metodi che ci hanno portato in questa crisi». Sono le parole di Greta Thunberg davanti alle decine di migliaia di manifestanti di Glasgow durante la COP26. Ascoltando l’intero discorso, sembra complesso capire a cosa stesse facendo riferimento la giovane attivista. Per quanto riguarda la crisi, ovviamente si tratta della tragica crisi ambientale e climatica, ma per quanto riguarda, invece, «i metodi che ci hanno portato in questa crisi» la faccenda diventa più ambigua e non univoca. Al di là di cosa intendesse effettivamente Greta Thunberg, è interessante porre l’attenzione su quali metodi possono più efficacemente aiutarci a risolvere la crisi ambientale. E il riferimento è a quali istituzioni sono le più adatte per fronteggiare questa crisi. Infatti, il dibattito sulla crisi climatica non può non essere declinato anche nel senso di quali modelli istituzio-

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nali siano i più efficaci per affrontare questa minaccia, soprattutto alla luce del fatto che, allo stato attuale, l’umanità si sta dimostrando incapace di autogovernarsi per evitare la catastrofe ambientale. L’assunto iniziale per una tale riflessione deve essere sulla portata e sulle caratteristiche della minaccia da contrastare. Infatti, la minaccia ambientale ha la particolarità di non rispettare i confini politici, né nazionali né continentali. Per quanto possa sembrare banale, in realtà, se considerato su scala globale, questo è un caso quasi unico. Così, facendo eccezione per i grandi inquinatori mondiali, le politiche virtuose contro il cambiamento climatico da parte dei singoli stati nazionali possono avere impatti minimi e, nella maggior parte dei casi, trascurabili. Ed ecco che si potrebbe declinare in una prima battuta quanto sostenuto da Greta Thunberg: in un mondo con problemi nuovi servono strumenti di risoluzione nuovi. E, in parte, i governi nazionali sembrano essersene accorti, tanto che nel corso del Novecento, soprattutto

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a partire dagli anni Sessanta, ci sono stati alcuni tentativi volti a far collaborare i diversi stati per la risoluzione comune dei problemi ambientali. La strada scelta è stata quella della cooperazione intergovernativa, soprattutto in seno alle Nazioni Unite, fino alla costituzione della arcinota COP. Tuttavia, anche i risultati di questi nuovi mezzi sono stati insufficienti. Insomma, la strada intrapresa non è stata quella giusta, e i risultati sono oggi sotto gli occhi di tutti. E il perché è presto detto. Ancora oggi siamo bloccati in questo sistema istituzionale incapace di agire efficacemente e tempestivamente contro il cambiamento climatico. Gli attuali organi internazionali che riuniscono i grandi decisori nazionali sono composti dall’insieme dei governi degli stati membri. I quali stati mantengono intatta e assoluta la sovranità in ambito ambientale. In poche parole, l’esito è che gli accordi presi sono sempre dei compromessi al ribasso fra un ampio numero di governi, ciascuno portatore di un interesse particolare da difendere. Inoltre, va ricordato che anche quando un accordo viene raggiunto, si tratta di semplici impegni, la cui attuazione rimane volontaria. Vale a dire che non esiste nessun organo istituzionale che possa esercitare azioni coercitive contro chi non rispetta i patti. Insomma, in organi internazionali di questo tipo ci si ritrova, ci si confronta, si cercano obiettivi condivisi che possano accontentare l’opinione pubblica e gli interessi di ciascuno e poi ognuno può scegliere se rispettare effettivamente gli accordi presi. E nessuno ha il potere di far rispettare tali decisioni o di punire chi viola gli accordi. Oggi più che mai, probabilmente, risulta evidente che le istituzioni intergovernative non sono le più adatte per contrastare gli effetti del cambiamento climatico. E così, davanti all’incaponimento dei governi nazionali, gelosi del proprio potere, i problemi ambientali persistono e si aggravano. In breve, a distanza di decine di anni l’uomo si sta dimostrando

ancora incapace di trovare i giusti mezzi politici e istituzionali per affrontare la catastrofe climatica. Così, da un lato c’è l’estrema e urgente necessità di intervenire e dall’altro lato c’è l’inadeguatezza degli strumenti istituzionali di cui l’uomo dispone. In altri termini ancora, da un lato c’è la necessità di agire uniti contro una minaccia che non ha confini, dall’altro c’è l’inadeguatezza degli stati sovrani e delle loro deboli cooperazioni intergovernative. Il problema ambientale, infatti, ci dimostra come non sia possibile, almeno in questo campo, continuare a perpetuare il paradigma della governabilità del mondo senza un governo mondiale. L’assenza di un’istituzione sovranazionale, alla quale gli stati nazionali scelgano di cedere parte della loro sovranità in materia ambientale, preclude la possibilità dell’umanità di difendere unitamente ed efficacemente i propri interessi. Interessi che in questo caso arrivano fino alla stessa sopravvivenza della specie. La sovranità assoluta nazionale, invece, porta i governi nazionali a difendere l’interesse di una singola parte dell’umanità, spesso in conflitto con altre parti, e non il bene comune dell’umanità. Finché la sovranità in una materia di interesse dell’intera umanità resterà fra le mani di chi persegue anzitutto l’interesse di solo una parte dell’umanità, si dovrà continuare a prendere atto di un ordinamento internazionale anarchico incapace di rispondere a minacce di portata così ampia da coinvolgere indistintamente tutti. Le raccomandazioni non vincolanti fra governi non funzionano, ma rimarranno la via primaria finché non verrà creato un organo sovranazionale non più intergovernativo, ma sovrano in materia ambientale. Tale organo, per rappresentare e difendere gli interessi dell’intera umanità, dovrebbe avere la capacità di regolare, di rendere effettive e di far rispettare le politiche concordate dai sottoscrittori. Questa deve essere la direzione cardine nella costruzione di strumenti nuovi per problemi nuovi, perché non è, come si è velocemente visto, con quello strumento vecchio e obsoleto che è lo stato nazionale che possiamo affrontare la crisi ambientale efficacemente. Altrimenti, legati a visioni, metodi e istituzioni del passato, l’umanità resterà bloccata nell’incapacità di agire o, al limite, dovrà limitarsi a fingere di festeggiare per risultati insufficienti o in ritardo. La riflessione ambientale deve porsi anche questo obiettivo, che è un obiettivo che ha un carattere ambizioso e, anzi, rivoluzionario. Ed è la sfida che anche i federalisti possono lanciare ai movimenti ecologisti: salvare il pianeta senza una riflessione sulla sovranità e sui mezzi istituzionali è insufficiente, limitativo e nel lungo termine distruttivo. Perché non possiamo pensare di risolvere una crisi con le istituzioni con cui siamo finiti in tale crisi.

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Oblio democratico di ri Fra ga i nces co Form

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Roma, sabato 9 ottobre 2021, una manifestazione finalizzata a esplicitare l’opposizione di alcune fasce della popolazione verso l’obbligatorietà del green pass, che risulterà attiva dal 15 ottobre, è culminata in una terrificante deflagrazione di violenza. La sede della Cgil, lo storico sindacato al cui vertice si trova attualmente Maurizio Landini, è stata assaltata e sconquassata con brutalità allarmante. Dodici persone sono state arrestate: tra i nomi più rilevanti, quelli di Roberto Fiore e Giuliano Castellino, rispettivamente leader nazionale e responsabile romano della formazione filofascista Forza Nuova. Oltre a loro, anche Luigi Aronica, già membro dei Nuclei Armati Rivoluzionari: in passato era stato condannato a diciotto anni di carcere. Molti esponenti del panorama politico sono intervenuti in merito alla vicenda: il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha condannato i fatti av-

venuti parlando di un «turbamento forte»; il presidente del Consiglio Mario Draghi si è recato in visita alla sede sventrata della Cgil e ha dichiarato che valuterà quali provvedimenti adottare nei confronti di Forza Nuova; il segretario del Partito democratico Enrico Letta si è espresso con notevole decisione affinché il Parlamento approvi una mozione volta a decretare lo scioglimento del movimento di estrema destra, il quale negli ultimi giorni è stato identificato con buona certezza come l’attore che infiltrandosi nella manifestazione ha condotto la stessa alla più esecrabile degenerazione. Pare che anche i membri di Fratelli d’Italia, partito nettamente prossimo all’estrema destra, siano intenzionati ad appoggiare lo scioglimento di Forza Nuova. Molti commentatori, analizzando quanto accaduto, hanno parlato di una violenza simile a quella delle squadracce fasciste. Che a oltre un secolo dall’annus horribilis in cui vennero fondati i Fasci italiani di combatti-

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mento avvengano episodi come quello occorso a Roma desta non poche preoccupazioni. Tali inquietudini non derivano certo dal fatto che manchino le forze in grado di arrestare materialmente il dilagare di certe brutalità. Piuttosto, a ingenerare timori è l’eventualità che una certa tipologia di mentalità si radichi in fasce sempre più larghe della popolazione, conducendo a scenari pervasi da un ributtante logoramento dei valori propri delle democrazie occidentali. Lo scrittore e filosofo Albert Camus (1913-1960), in una conferenza tenutasi ad Atene nel ’55, esplicitò con mirabile lungimiranza la necessità di un’Europa federalmente unita affinché i migliori ideali della stessa potessero prosperare quantomeno all’interno dei suoi confini. In particolare, Camus affermò che «il contributo più importante della nostra civiltà» coincidesse con «quel pluralismo che è sempre stato il fondamento della nozione di libertà europea». Una libertà, quella riconducibile alla dimensione europea, che deve tenere conto della nozione ellenistica di metron, ossia “misura”: «Si arriverà […] a quel concetto […] che consiste nel riconoscere che la libertà ha un limite, che anche la giustizia ne ha uno, che il limite della libertà risiede nella giustizia, cioè nell’esistenza dell’altro e nel riconoscimento dell’altro, e che il limite della giustizia si trova nella libertà, cioè nel diritto della persona di esistere così com’è in seno alla collet-

tività». Una democrazia in cui la cittadinanza, a causa dei più disparati fattori, smarrisce la consapevolezza di quanto siano vitali i pilastri che reggono la dimensione stessa della democrazia corrisponde a un sistema che si lascia permeare, più o meno gradualmente, da fenomeni potenzialmente capaci di intaccarne la solidità: i facili schemi interpretativi del populismo, che con poco raggiungono in maniera penetrante ampie fasce della popolazione, sono uno dei pericoli più insidiosi. Esistono, tuttavia, degli antidoti. Il primo dei quali è costituito dall’educazione, che in sé comprende elementi quali la memoria storica e culturale. In questo senso, ricordare autori come Ignazio Silone (1900-1978) è un atto pressoché dovuto. Fontamara è un classico della letteratura italiana che Silone, esule in Svizzera a causa del proprio orientamento politico, scrisse nel 1930: l’autore vi narra le vicende di un paese immaginario collocato nelle misere terre del Fucino, in Abruzzo. A Fontamara vivono i “cafoni”, poveri contadini che conducono la propria esistenza tra inenarrabili fatiche e indegne privazioni. Durante il corso di un’estate, la vita dei “cafoni” subisce radicali stravolgimenti: il governo fascista e il nuovo ordine imposto dal medesimo, infatti, giungono sino a Fontamara, provocando soprusi, rivolte, tragedie. In una pagina memorabile dell’opera, Silone descrisse con totale disincanto e senza sconto

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alcuno il profilo dei fascisti dell’epoca, per certi versi non troppo dissimili da coloro che ancora oggi cercano di imitarne le gesta vergognose: Questi uomini in camicia nera, d’altronde, noi li conoscevamo. Per farsi coraggio essi avevano bisogno di venire di notte. La maggior parte puzzavano di vino, eppure a guardarli da vicino, negli occhi, non osavano sostenere lo sguardo. Anche loro erano povera gente. Ma una categoria speciale di povera gente, senza terra, senza mestiere, o con molti mestieri, che è lo stesso, ribelli al lavoro pesante; troppo deboli e vili per ribellarsi ai ricchi e alle autorità, essi preferivano di servirli per ottenere il permesso di rubare e opprimere gli altri poveri, i cafoni, i fittavoli, i piccoli proprietari. Incontrandoli per strada e di giorno, essi erano umili e ossequiosi, di notte e in gruppo cattivi, malvagi, traditori. Sempre essi erano stati al servizio di chi comanda e sempre lo saranno. Ma il loro raggruppamento in un esercito speciale, con una divisa speciale, e un armamento speciale, era una novità di pochi anni. Sono essi i cosiddetti fascisti.

odore di frittate, cotolette, pollo arrosto e vino scuro. Quei giovani avevano quasi tutti capigliature alla brava, con grandi ciuffi crespi laterali e basette, che era allora il massimo dell’eleganza canaille. (E. Flaiano) Nel medesimo testo, Flaiano colpisce con una tagliente stilettata una delle classi che all’epoca si lasciarono sedurre con maggiore facilità dalla retorica fascista: la borghesia più incline a una certa passività e a un certo perbenismo. Verso la metà di novembre, una compagnia di spettacoli musicali [...] dette una grande rivista satirica e patriottica al teatro Costanzi [...]. Il titolo: «Mussolineide». All’apoteosi finale la soubrette, addobbata come l’Italia del diplomi, veniva avanti circondata da camicie nere e la sala strepitava di applausi. Può sembrare incredibile, ma io ricordo che l’orchestra riprendeva il motivo musicale più cattivante della rivista [...], e tutti gli attori ne ripetettero le parole, che erano queste: «Oh, l’abat jour / i colori del mare e del cielo // Oh, l’abat jour / i misteri di un magico velo...». Bisogna tener presente che l’abat jour in quei tempi era l’ultima conquista erotica e tecnologica della borghesia. Forse questa è l’unica spiegazione possibile.

(I. Silone) Più sottile e sorniona la descrizione dei fascisti che elaborò il giornalista, scrittore e sceneggiatore Ennio Flaiano (1910-1972), abruzzese come Silone. Nel ‘22 Flaiano, a causa di una coincidenza, poté osservare personalmente i fascisti intenzionati a marciare su Roma a bordo del treno che li avrebbe condotti nella capitale. In un articolo comparso sul Corriere della Sera il 5 novembre del 1972, così il pescarese ricorda quanto vide: Soltanto allora mi accorsi che il mio vagone di terza classe era pieno di fascisti locali, alcuni dei quali conoscevo di vista, tutti già inebriati dall’avventura che li attendeva. Cantavano e, appena il treno si mosse, tirarono fuori una quantità incredibile di cibarie. Nel vagone si sparse un forte

(E. Flaiano) Ebbene: affinché le degradazioni legate al fascismo non si ripetano è necessario tenere a mente la lezione di Camus, così come quella derivante da autori quali Silone e Flaiano. Le democrazie occidentali abbisognano di tutela e di mantenere ben saldi i propri valori essenziali, dal pluralismo alla libertà individuale, passando per il cruciale equilibrio tra doveri e diritti. Contro ogni violenza e ogni sopruso. Per un’Europa in grado di fiorire grazie ai propri ideali più alti.

12 Eureka GFE - Giovani Federalisti Europei•Dicembre 2021


di ni Filli ppo Vivia

I

Energia, inflazione e clima: una triade esplosiva • Tempo di lettura: 3 minuti

n un intervento che ha riportato alcuni alle atmosfere della crisi energetica degli anni ‘70 (sicuramente non noi più giovani), il Ministro per la transizione ecologica Cingolani lo scorso 13 settembre ha dichiarato che «lo scorso trimestre la bolletta elettrica è aumentata del 20%, il prossimo trimestre aumenta del 40%, queste cose vanno dette». Ovviamente, una comunicazione così diretta su un tema così delicato ha scatenato non poche polemiche, soprattutto dato l’elevato numero di famiglie in “povertà energetica” in un Paese sempre più povero (secondo l’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani di Carlo Cottarelli nei venti anni prima della pandemia il reddito pro capite italiano è cresciuto di appena l’1,21%, contro una media europea del 27,6%). Il numero di famiglie in povertà energetica in Italia ha raggiunto l’allarmante numero di 2,3 milioni (l’8,8% del totale), tuttavia l’aumento dei prezzi dell’energia non ha colpito solo in nostro Paese. Infatti, secondo Bloomberg, in Spagna i prezzi sono raddoppiati in due anni ed in Germania è stato registrato un aumento del 60% da inizio anno. Questa impennata riconosce molte e differenti ragioni. Innanzitutto, con la ripresa economica dovuta al (parziale) controllo della pandemia, le attività industriali e manifatturiere hanno ripreso a pieno ritmo, determinando un rapido aumento della domanda di materie prime, petrolio e gas in primis. Un secondo fattore è costituito dalla diminuzione del flusso di gas naturale proveniente dalla Russia, che rappresenta la fonte di più del 20% dell’energia elettrica prodotta da tutti i paesi dell’Unione Europea. Il 90% del gas utilizzato viene importato da Paesi extra-UE, di cui il 40% proviene dalla Russia. In particolare, l’Italia è fortemente dipendente dall’importazione di gas naturale, dal quale deriva più del 40% dell’energia elettrica prodotta nel nostro Paese. Recentemente, Vladimir Putin ha dichiarato di aver ordinato al colosso Gazprom di aumentare le forniture ai Paesi europei, promessa che, come tante volte succede quando entra in gioco il Cremlino, è stata poi disattesa. La terza concausa si ritrova nell’aumento del prezzo dei permessi per emettere anidride carbonica scambiati sull’Emission trading system, il mercato introdotto nel 2005 che permette di scambiare “permessi per inquinare”, emessi in numero limitato dalle autorità europee. Dall’inizio del 2021, il prezzo del permesso di

emettere una tonnellata di CO2 è passato da 33,7 a 56 euro, con la previsione che possa arrivare ad 85 euro entro il 2030. Tale andamento riporta in auge il dibattito sul “Fit for 55”, l’insieme delle misure che la Commissione Europea intende varare per rispettare (e superare) gli accordi presi in occasione della Cop25 e della Cop26. Misure che inevitabilmente porterebbero ad un ulteriore rialzo dei prezzi dell’energia. Infine, una stagione sfortunata relativamente ai venti nel mare del Nord ha portato ad una diminuzione dell’energia elettrica prodotta dai sistemi di pale eoliche, mettendo ulteriormente pressione al già stressato mercato europeo dell’energia (circa il 16% in meno di energia elettrica prodotta dalle “wind farms” tedesche). A questo enorme problema i governi nazionali hanno risposto tutti allo stesso modo: stanziando fondi per “attutire” parzialmente questi rincari. Simile soluzione è stata approvata dalla Commissione Europea attraverso una toolbox: una serie di raccomandazioni per contenere l’aumento dei prezzi: aiuti e sussidi, azzeramento degli oneri di sistema ecc. Tutte queste misure non sembrano essere in grado, per il momento, di agire efficacemente su una situazione esplosiva, legata a doppio filo al grave problema dell’inflazione galoppante e quello del cambiamento climatico, mentre i più esperti si stanno ancora chiedendo se questo aumento sia solo temporaneo o se saremo costretti a conviverci. È ora di immaginare un’ulteriore diversificazione del nostro paniere energetico (magari rispolverando l’energia nucleare di cui si sta dibattendo in seno alle istituzioni europee)? Trovare nuovi Paesi fornitori e fonti sostenibili? Di sicuro il problema non ha né una soluzione semplice, né una economica.

Dicembre 2021•GFE - Giovani Federalisti Europei

Eureka 13


Rubrica Erasmus: Covid-Erasmus a Nantes di io Gab riele Facc

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• Tempo di lettura: 3 minuti

n verità devo ammettere che, più che la pressione dell’ambiente accademico o le lusinghe dell’ambiente federalista, ciò che mi ha costretto, letteralmente, a chiedere di partire sono state le misure sanitarie del primo lockdown del 2020. Si dice che questa pandemia abbia agito da acceleratore per molti fenomeni contemporanei. Di sicuro ha anticipato la volontà della nostra generazione ad uscire. Non importa da cosa, verso dove o in che maniera. Solamente uscire. Le necessarie e legittime restrizioni introdotte durante la crisi sanitaria, dobbiamo sempre ricordarlo ad alta voce, sono state vissute da chi ha avuto la (s)fortuna di avere 20 anni nel 2020, penso, più intensamente di ogni altra generazione a livello psicologico. La crisi sanitaria mi ha dato una motivazione inaspettata, quasi ossessiva, di partire. La mia salute mentale in un certo senso me lo chiedeva. Così sono stato preso per uno scambio di un anno accademico presso l’Università di Nantes, in Francia. Sapevo di fare una scelta un poco azzardata partendo, visto che tutta la famiglia mi aveva sconsigliato, gli uffici del mio Dipartimento mi avevano fatto firmare una dichiarazione in cui se ne lavavano le mani di tutta una serie di responsabilità e sapevamo tutti che un’ulteriore ‘ondata’ invernale stava arrivando. In effetti, fino a qualche giorno prima la partenza lo scambio poteva saltare per volontà di una delle due università o per la richiusura delle frontiere dello Spazio Schengen, come sappiamo

a discrezione della decisione unilaterale e scoordinata dei singoli stati membri UE a cadenza bisettimanale. Io sono partito e sono riuscito ad arrivare a destinazione. La pandemia ci ha mostrato la vulnerabilità dello Spazio Schengen e del Progetto Erasmus, forse consentendoci di apprezzarli maggiormente. I primi due mesi di Erasmus devo dire hanno abbondantemente ripagato tutti gli sforzi e le ansie della pre-partenza. La città di Nantes è una piccola metropoli che si affaccia sull’Atlantico che riesce ad essere relativamente ricca in monumenti e siti storici ed estremamente prospera di verde, di parchi pubblici e botanici in piena città. Nella ‘capitale’ della Bretagna si può vivere un’atmosfera letteralmente frizzante, con gli innumerevoli locali che servono bicchieri di birra o sidro spumeggianti, le numerose accademie e università presenti che consentono di incontrare tanti studenti e tantissimi giovani coetanei. Vi si può condurre uno stile di vita veramente attento al pianeta, con le onnipresenti piste ciclabili, il tram e le frequentate botteghe dove comprare locale e senza imballaggi. Nantes riesce ad essere una città a misura di studente, viva, piena di iniziative e non avere le limitazioni, di prezzo o di altro genere, di capitali come Parigi, ad esempio. A Nantes, in definitiva, ho fatto esperienza di un ambiente urbano vivibile, più verde e attento al ciclista come allo studente. Un esempio di pianificazione del territorio che manca a molte città del nord-Italia come Verona, ingolfate dall’auto, dallo smog e ancora molto indietro nell’organizzazione di un’efficiente, accessibile e sostenibile mobilità urbana. A Nantes, rispetto per esempio sempre a Verona, ho visto la grande differenza nella disponibilità di verde, curato e ricco in specie botaniche che attrae famiglie e gruppi di amici in pieno centro. Se il capoluogo scaligero vuole davvero misurarsi con le altre città d’Europa, penso debba ripensare completamente il suo spazio cittadino in moti ambiti, e questo varrà per molte altre città della penisola, certamente. Parlando con non importa chi ci si accorge, infine, di quanto le persone siano alla fine tutte uguali, seppur provenendo da regioni così lontane del mondo. In particolare, non si può non accorgersi di quanto studentesse e studenti europei siano accomunati tra di loro da valori e sogni così simili; che pur nella loro ricca diversità locale, alla fine fanno tutte e tutti parte di una comune società di persone.

14 Eureka GFE - Giovani Federalisti Europei•Dicembre 2021


Questa nuova rubrica di Eureka nasce con l’intento di fornire un angolo sul faceto della politica europea. Eurelax - la parte relax di Eureka - come la tanto declamata marca di materassi, vi allieterà nei momenti di stanchezza regalandovi un sospiro di rilassatezza. Non perdetevi allora la nostra parte Eurelax!

Dicembre 2021•GFE - Giovani Federalisti Europei

Eureka 15


«[...] La grande posta in gioco non è un governo di sinistra o di destra in tale o tale paese. La posta è la rinascita della libera civiltà democratica europea che può avere luogo solo sulla base di una Europa unita.» Dal discorso tenuto da Altiero Spinelli al 1° Congresso UEF del 27 agosto 1947

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