Eureka Universitari per la Federazione europea
07 - Febbraio 2017
DOPO 60 ANNI SI TORNA A ROMA: PER IL FUTURO DELL’EUROPA
1
Indice Editoriale…………………………………………………………………………………………………………3 Autore: Gianluca Bonato…………………………………………………………………………….3 Presa di Roma 2.0: dalla CEE al prossimo 25 marzo………………….…………………….4 Autore: Andrea Golini…………………………………………………………………………………4 A Roma per chiedere un’Europa a più velocità…………………………………….…………6 Autore: Andrea Zanolli………………………………………………………………………………..6 In marcia per l’Europa………………………………………………………………..……………………7 Autore: Salvatore Romano…………………………………………………………………………..7 Tre Rapporti e un progetto per il futuro dell’Ue…..………………………………………….8 Autore: Gianluca Bonato……………………………………………………………………………..8 Rubrica Erasmus: Irlanda………………………………………………………………………………..10 Autrice: Beatrice Righetti…………………………..……………………………………………….10 La grande sfida del riscaldamento globale……….……………………………….…………...11 Autrice: Deborah Gianinetti……………………………………………………………………….11
2
Editoriale Autore: Gianluca Bonato
S
crive Altiero Spinelli, nella premessa alla seconda parte della sua autobiografia, che ciascuna delle sei avventure, tramite cui ha cercato di costruire una Federazione europea, terminò con una sconfitta. A queste sei, ne potremmo aggiungere altre due, avvenute dopo la sua morte. La Costituzione europea del 2005 fallì. E quindi ora è in corso l’ottava avventura. Scrive ancora Spinelli che nessuna sconfitta è stata decisiva per il fatto che il valore di quell’idea era talmente forte, che la rendeva capace di risorgere dalle proprie sconfitte. La tentazione, però, di dire che oggi quel momento decisivo è arrivato si fa sentire. Perché un Paese con un referendum ha espresso la volontà di uscire. Perché l’alleato americano non è più così amico. Perché mai, nei Paesi chiave, partiti nazionalisti sono stati tanto vicini a governare. Lo status quo si profila come una nave in balia delle onde; sembra improbabile che il 25 marzo prossimo, a Roma, in occasione del Vertice europeo che, a sessant’anni dai trattati firmati al Campidoglio, stenderà una Dichiarazione per il futuro dell’Europa, resisterà. Prima di chiederci quale futuro si possa delineare, Andrea Golini ci fa una rapida ma chiara panoramica di come si sviluppò il processo di integrazione europea prima e dopo il 25 marzo 1957. Poi, Andrea Zanolli ci parla delle due velocità di Angela Merkel e del ruolo dei cittadini europei il 25 marzo, mentre Salvatore Romano del ruolo dell’Italia a quel Vertice europeo. Non poteva mancare qualche riflessione sui tre importanti rapporti che recentemente il Parlamento europeo ha approvato e, infine, diamo spazio alla consueta rubrica Erasmus, con il racconto di Beatrice di ESN, e all’incontro del 28 febbraio sul clima con un pezzo sul tema di Deborah di Greenpeace.
Arnold Toynbee, storico britannico di metà Novecento, paragonò gli Stati europei di quest’epoca con le città-Stato dell’antica Grecia e gli Stati regionali italiani del Rinascimento, poiché la scelta è sempre fra unirsi o perire. La civiltà delle poleis greche pian piano sparì e gli Stati regionali italiani diventarono terra di conquista e persero la loro vitalità, non ascoltando la lezione di Machiavelli. Resta da vedere se l’Europa di oggi saprà trarre una lezione dalla storia o vedrà questa civiltà, con i suoi valori affermatisi in secoli, declinare passo dopo passo. A partire dal 25 marzo, vedremo come procederà questa ottava avventura. 3
Presa di Roma 2.0: dalla CEE al prossimo 25 marzo Dopo sessant’anni di storia della Comunità economica europea, nata con i Trattati di Roma, serve una breccia federalista in Europa. Autore: Andrea Golini
R
oma, 25 marzo 1957: i rappresentanti degli Stati della CECA (Comunità europea del carbone e dell’acciaio), ovvero Italia, Francia, Germania, Belgio, Olanda e Lussemburgo, sull’onda del successo della CECA, istituiscono la Comunità economica europea firmando il Trattato di Roma, entrato in vigore il 1 gennaio 1958 [nella foto, si riuniscono a Roma le delegazioni dei sei Stati che fondano la CEE]. La Comunità economica europea (abbreviata in CEE) è un’organizzazione internazionale creata per estendere la cooperazione degli Stati della CECA ai settori economici. L’obiettivo cardine della CEE è quello di realizzare una progressiva integrazione degli Stati europei partendo dal campo economico, nella previsione che ciò favorisca una futura integrazione politica, promuovendo quindi la libera circolazione attraverso le frontiere non solo dei capitali e delle merci, creando così un “mercato comune”, ma anche delle persone e dei servizi. La CEE è nata con il compito di promuovere uno sviluppo armonico ed equilibrato delle attività economiche degli Stati coinvolti, per dare crescita ma soprattutto stabilità e per migliorare le relazioni economiche e politiche tra gli Stati. Nel 1973 al Trattato di Roma vi hanno aderito la Gran Bretagna, la Danimarca e l’Irlanda. Successivamente, nel 1981 la Grecia e nel 1986 la Spagna ed il Portogallo. Gli obiettivi della CEE si concretizzano nel 1987 con l’entrata in vigore della disposizione dell’Atto unico europeo, che, integrando il Trattato di Roma, realizza il mercato unico europeo e crea uno spazio senza frontiere interne nel quale è assicurata la libera circolazione di merci e di persone.
Il sistema istituzionale della CEE è modellato secondo uno schema quadripartito presente ancora oggi: vi sono il Consiglio, organo di direzione politica che esercita il potere normativo, composto dai rappresentanti dei governi degli Stati membri ovvero i ministri; la Commissione, collegio indipendente dai governi degli Stati membri che viene nominata con accordi comuni, dotato di potere esecutivo e di controllo sulle norme dei trattati e delle decisioni comunitarie; il Parlamento europeo (nato con il 4
nome di “Assemblea”), organo di rappresentanza politica che in origine disponeva solo di potere consultivo, i suoi membri non erano eletti a suffragio universale diretto (dal 1979 vengono eletti direttamente dai cittadini europei, attraverso consultazioni che si svolgono ogni cinque anni) e ha poteri di controllo generale sull’operato della Commissione; infine, la Corte di giustizia, organo giurisdizionale che assicura il rispetto del diritto nell’ordinamento comunitario. La CEE ha un bilancio comunitario, le cui entrate sono alimentate dai contributi degli Stati membri ripartiti secondo percentuali fissate dal trattato. Gli istituti finanziari che caratterizzano la CEE sono due: il Fondo sociale e la Banca europea degli investimenti. Il primo promuove lo sviluppo dell’occupazione dei lavoratori, fronteggiando le difficoltà di occupazione ed eventuali esigenze di riconversione collegate all’unificazione del mercato. Il secondo (abbreviato in BEI), con sede a Lussemburgo, ha la funzione di erogare e garantire prestiti destinati allo sviluppo dei settori energetico, industriale e infrastrutturale nell’interesse generale dei paesi membri della Comunità europea (sviluppo equilibrato del “mercato comune”). La Comunità economica europea rimane tutt’ora difficile da definire in quanto non è chiaro se si tratti di una vera e propria organizzazione internazionale, cioè di un’organizzazione tra Stati sovrani, oppure di un embrione di Stato federale. La CEE è caratterizzata da elementi che non si riscontrano in nessun’altra organizzazione internazionale, come per esempio gli ampi poteri decisionali dei suoi organi o all’esistenza di una Corte di giustizia destinata a controllare la conformità al trattato istitutivo dei comportamenti degli organi e degli Stati membri. Alcuni principi propri del diritto comunitario, poi, sono tipici del vincolo federale come, ad esempio, il principio della prevalenza del diritto comunitario sul diritto interno. Maastricht, 7 febbraio 1992: gli Stati membri della CEE individuano un nuovo obiettivo ovvero un’unione politica degli Stati membri. Questo ampliamento degli obiettivi della CEE determina una nuova denominazione: nasce la Comunità Europea (CE), formalmente adottata con il Trattato di Maastricht. Lo stesso Trattato accenna alla futura Unione Europea (UE), che, allora, veniva concepita come meccanismo di cooperazione intergovernativa tra gli Stati membri della CE, in materia di giustizia e affari interni e coordinamento delle politiche relative agli affari esteri. Lisbona, 13 dicembre 2007: con il Trattato di Lisbona (entrato in vigore nel 2009) si è poi sancita la nascita dell’Unione europea, in sostituzione alla CE, configurandola come un’organizzazione sui generis, piuttosto che uno Stato federale. Ma avere elementi di federalismo mescolati a quelli di un’organizzazione internazionale ha portato ad un forte scetticismo e non ha creato una vera identità europea. La diversità tra gli stati ha reso la crescita europea eterogenea rafforzando così i nazionalismi, aumentando la volontà di tornare agli Stati sovrani. Oggi, la situazione globale ha portato il “vecchio continente” a chiudersi. Sono stati costruiti muri lungo i confini, un chiaro segnale non solo contro l’immigrazione, ma anche contro la libera circolazione delle persone. Le potenze esterne, come quelle gestite da Putin e da Trump, possono diventare opprimenti nei confronti di un’Europa debole. Le potenze interne, come la Francia, potranno avere un ruolo chiave nella futura stabilità europea. Insomma, oggi più che mai è necessario dare un segnale. L’Unione europea sta perdendo i valori che dovevano distinguerla dagli altri continenti. Dopo sessant’anni di unione economica è necessaria un’unione politica inclusiva che riprenda i valori umanitari e solidaristici ormai sempre più marginali. Sessant’anni di storia che ci chiedono di migliorare e rinnovare l’Unione europea. Serve una breccia federalista nei problemi che scherniscono l’Europa. Per questo andiamo a Roma.
5
A Roma per chiedere un’Europa a più velocità Autore: Andrea Zanolli
A inizio febbraio, la Cancelliera tedesca Angela Merkel è ritornata su un tema caro a molti federalisti, affermando che «la storia degli ultimi anni ha insegnato che ci potrebbero essere differenti velocità e che non tutti devono partecipare a tutte le tappe dell’integrazione europea». Qualche giorno dopo, la stessa Cancelliera ha precisato che le diverse velocità esistono già, che l’Eurozona non potrà dividersi e che gli Stati che vi appartengono dovranno continuare a correre sugli stessi binari. Ad oggi, questo possibile scenario prospettato da Merkel ci appare vago e deve ancora essere definito in ogni sua parte. Solo quando questo accadrà potremo reputare soddisfacente o meno questo possibile cambiamento. Fra gli altri aspetti che definiranno la proposta tedesca, sarà importante che il processo di integrazione differenziata non diventi una divisione fra Stati di Serie A e Stati di Serie B, dove i Paesi della prima fascia decidono chi deve stare nella seconda, ma anzi dovrà essere una differenziazione fra chi autonomamente decide di mirare a una maggiore unione e chi invece vorrà restarne fuori, ma con la possibilità di modificare la propria posizione senza essere emancipati permanentemente dall’una o dall’altra fascia. Nel frattempo, possiamo valutare le prime buone notizie che ci giungono e che ci devono far sperare. Innanzitutto, non è irrilevante il fatto che la proposta arrivi da Frau Merkel e quindi dallo Stato che finora più ha pressato per il mantenimento e il rispetto assoluto della situazione attuale. Se anche Merkel arriva a proporre tale novità, forse significa che anche il governo tedesco si è reso conto che il perpetuo stallo conduce l’Unione sempre più verso la sua fine. Inoltre, la Cancelliera ha anche precisato che una definizione di questa eventualità potrà uscire già dal vertice del 25 marzo a Roma. Questo secondo aspetto rappresenta per noi un minuscolo ma importante messaggio che ci giunge da un Capo di governo: il 25 marzo non si dovrà andare a Roma solo per celebrare i 60 anni dei Trattati, ma si dovrà farlo per chiedere ai Capi di Stato un deciso rilancio contro nazionalisti ed eurofobi. Tutti sappiamo che il 2017 sarà un anno determinante, nel quale potremmo vedere l’Europa sgretolarsi e i nazionalismi innalzarsi. Proprio per questo motivo, il 25 marzo è bene prendersi la responsabilità di andare a Roma a manifestare il nostro dissenso verso la situazione odierna, a dire che questa non è la nostra Europa e a dimostrare ai governatori nazionali che esistiamo anche noi cittadini europei, che appoggiamo e che chiediamo azioni di rinnovamento dell’UE. Probabilmente, l’Europa a più velocità non è ciò che ognuno di noi sogna, ma, ai fini del nostro obiettivo, non possiamo ostacolare la proposta di Frau Merkel in principio. Dobbiamo supportarla, affinché diventi concreta e favorisca l’aumento di integrazione, in prospettiva, ovviamente, federale. Così, sarà determinante che il 25 marzo il popolo europeo scenda nelle strade della Capitale per sostenere ogni proposta che può aprire spiragli di novità nell’intricato e stagnante quadro europeo. Non basterà sfilare per vantarsi dei risultati che l’Unione ha raggiunto in questi 60 anni, ma dovremo anche chiedere una nuova Europa, che abbia il coraggio di compiere quei salti in avanti di cui i suoi cittadini hanno urgente bisogno.
6
In marcia per l’Europa Autore: Salvatore Romano
el banchetto della vita per i poveri non c'è posto”, scriveva l’economista inglese Thomas R. Malthus in un suo saggio proprio nel momento in cui l’Inghilterra, entrando a pieno regime nella rivoluzione industriale, invalidava in parte le sue fosche previsioni sullo squilibrio futuro tra popolazione e risorse alimentari. Nel mondo di oggi, la globalizzazione da una parte e lo sviluppo tecnologico dall’altra hanno permesso ad una larga fetta della popolazione mondiale di sedersi a tavola. La cooperazione economica a livello internazionale fu la soluzione adottata anche all’indomani della seconda guerra mondiale. Nel secondo dopoguerra, il piano Marshall, insieme all’istituzione del Fondo monetario internazionale e ai diversi accordi per la circolazione delle merci, favorirono la ricostruzione e la ripresa economica dei paesi danneggiati. Così furono vitali, per i paesi firmatari, gli accordi istituzionali volti alla costruzione di un primo abbozzo di Europa comunitaria. Nel 1951 fu fondata la Comunità europea del carbone e dell’acciaio (Ceca) da Italia, Belgio, Lussemburgo, Paesi Bassi, Francia, Germania Occidentale. Sei anni dopo, il 25 marzo 1957, fu la volta dei Trattati di Roma che diedero vita alla Comunità economica europea (Cee) e alla Comunità europea dell’energia atomica (Euratom). Queste misure furono la base della stabilità di molti paesi europei nel successivo mezzo secolo. L’Italia allora contribuì a quella cooperazione economica, ne fu anzi protagonista. Oggi, invece, mentre si frantuma quella forza politica che con timore e a bassa voce ha rivendicato come propria la battaglia europea e parallelamente soffia il vento nelle vele dei movimenti euroscettici, il paese deve chiarire le sue posizioni in Europa. Lo deve fare non solo in vista degli appuntamenti elettorali che si terranno aldilà delle Alpi, delle celebrazioni il prossimo 25 marzo a Roma. Ma anche e soprattutto in vista di quell’Europa a due velocità annunciata da Angela Merkel per superare lo stato di inerzia attuale. Che ruolo giocherà nelle trattative per una maggiore integrazione? Reciterà la parte del commensale che, ricevuto il pasto, denigra a casa, tra i suoi, la pessima qualità del cibo? Oppure sarà un ospite gradito per le sue larghe vedute, i suoi modi affabili? Siederà a tavola per necessità o per virtù?
“N
“Franza o Spagna purché se magna” era il triste motto di chi un tempo si trovò in balia degli eventi, incapace di reagire. La Penisola fu degradata a bottino dagli eserciti delle potenze continentali. Vide il re di Francia, Carlo VIII, scendere le Alpi e muovere verso il regno di Napoli. Ascoltò in silenzio il Papa, Giulio II, il re di Francia, Luigi XII, e l’imperatore Massimiliano I confabulare a Cambrai. Sospirò per un po’ di pace in seguito all’accordo siglato a Noyon tra Francesco I e Carlo V. Sentì i passi dei lanzichenecchi nel 1527 dirigersi verso Roma. A cavallo tra XV e XVI secolo, si concretizzarono con più evidenza gli effetti di una divisione mantenuta in nome dei numerosi particolarismi regionali. L’unità si raggiunse proprio grazie al loro superamento. “Tutte le città, tutti gli stati, tutti i regni sono mortali; ogni cosa o per natura o per accidente termina e finisce qualche volta; però uno cittadino che si truova al fine della sua patria non può tanto dolersi della disgrazia di quella e chiamarla mal fortuna, quanto della sua propria; perché alla patria è accaduto quel che a ogni modo aveva a accadere, ma disgrazia è stata di colui a battersi a nascere a quell’età che aveva a essere tale infortunio”, scriveva Guicciardini nei suoi Ricordi. Esempio di quel metodo di osservazione disincantata della realtà per scoprirne le leggi. E proprio quest’anno si potrebbe rivelare decisivo per le sorti dell’Unione europea. In meglio come in peggio. Ma i risultati per chi reputa le libertà fondamentali, l’uguaglianza di tutti i cittadini, e i valori della democrazia come diritti e non come privilegi ereditati non verranno se costoro, desiderosi di abbattere ogni forma di parassitismo sociale, non si metteranno in marcia per un’Europa sempre più unita.
7
Tre Rapporti e un progetto per il futuro dell’Ue Autore: Gianluca Bonato Questo articolo, in una versione leggermente diversa, è apparso anche su L’Unità europea, 01/2017.
I
l 16 febbraio scorso, nell’aula di Strasburgo, sono stati approvati tre cruciali rapporti per il futuro dell’Unione europea: il Rapporto Bresso-Brok su “come migliorare il funzionamento della costruzione europea sfruttando il potenziale del trattato di Lisbona”, il Rapporto Verhofstadt sulle “possibili evoluzioni della struttura istituzionale dell’Unione europea” e il Rapporto Berès-Bӧge sulla “capacità di bilancio della Zona euro”. Un’azione di tale portata del Parlamento europeo nel delineare una strategia per il futuro assetto istituzionale europeo non si vedeva dall’Atto Spinelli del 1984 (sì, l’Altiero Spinelli del Manifesto di Ventotene). I tre rapporti non hanno efficacia immediata, ma aprono la discussione (e come lo fanno!) sul futuro dell’Ue. Il Rapporto Bresso-Brok [vedere anche numero di gennaio di Eureka], approvato dall’aula con 304 voti a favore, 255 contrari e 68 astensioni, indica le possibilità offerte dal trattato di Lisbona per aumentare l’integrazione fra i Paesi europei e irrobustire così il consenso verso l’Europa. In particolare, nel Consiglio, l’organo dove siedono i ministri dei governi, il voto a maggioranza qualificata dev’essere notevolmente ampliato (oggi la prassi è l’unanimità) e le sue configurazioni ridotte, mentre il Parlamento europeo deve avere un maggiore controllo. Ciò permetterebbe di procedere verso un vero parlamento bicamerale posto a controllo della Commissione. Sul piano delle politiche, invece, si chiede di completare l’unione bancaria, rendere più trasparenti le procedure dell’Eurozona, introdurre il Meccanismo europeo di stabilità (fondo di garanzia dei Paesi euro oggi al di fuori dei trattati Ue) nel sistema istituzionale dell’Unione. Infine, si propone di mettere in piedi una Cooperazione strutturata permanente fra i Paesi disponibili al fine di avere un comando militare europeo unico.
Il Rapporto di Guy Verhofstadt [nella foto], passato con 283 voti a favore, 269 contrari e 83 astensioni, è in linea di continuità con il precedente e mira a cambiare a medio-lungo termine i trattati europei per rivedere la struttura stessa dell’Unione, nell’ottica della formazione di una Federazione europea. 8
Fondamentale è la distinzione istituzionale fra Paesi membri della Zona euro (partecipano in pieno al metodo comunitario bicamerale) e gli altri Stati, che assumono la posizione di “associati”, godendo solo dei diritti e doveri legati al mercato unico. Parlamento e Consiglio devono avere diritto di iniziativa legislativa e il coordinamento di quest’ultimo viene garantito dal Consiglio europeo (l’organo dei periodici vertici fra Capi di Stato), che vede così ridotte drasticamente le sue prerogative di organo principe dell’Unione europea. Si propone di riformare, poi, la Commissione europea, riducendone il numero di membri (ora 28, uno per Stato membro) e limitando i Vice-presidenti a due, uno per gli Esteri, l’altro per le Finanze. Ancora: istituzione di una capacità fiscale dell’Eurozona dotata di risorse proprie, tramite un codice di convergenza che prevenga il rischio di azzardo morale e gestita da un Ministro delle Finanze europeo, responsabile di fronte a una composizione dei rappresentanti nelle due Camere limitata ai Paesi dell’Eurozona. Infine: consentire riforme dei trattati con l’approvazione di almeno quattro quinti dei Paesi membri, aprendo così la strada a un’Unione europea sempre meno organizzazione internazionale e sempre più organizzazione statale. In sintesi, nel Rapporto di Verhofstadt, due sono le proposte di modifica davvero fondamentali: il passaggio di potere dal Consiglio europeo a Parlamento e Consiglio e la suddivisione fra Eurozona e mercato unico. Perché la prima? Perché oggi il Consiglio europeo detta gli indirizzi politici generali dell’Ue e sta poi solo alla Commissione europea proporre regolamenti e direttive coerenti con quei principi generali. Se, invece, il potere di iniziativa legislativa va in mano a Parlamento e Consiglio in maniera autonoma, si forma così un parlamento bicamerale sul modello degli USA e dunque federale! I Capi di Stato non sono più i padroni primi dei trattati e non hanno più il diritto di veto garantito dall’unanimità, che impone l’accordo di tutti i 28 (e presto 27) Stati membri, per prendere qualsiasi decisione. E nemmeno per modificare i trattati ci sarà diritto di veto: “basteranno” i quattro quinti degli Stati membri. Organizzazione statale, non internazionale dunque. Perché la seconda? Perché, fra le altre, positive o negative, la più grande anomalia dell’Ue è quella di avere una moneta senza un governo. È qui che si gioca oggi il campo dove andare verso gli Stati uniti d’Europa, e mettere questa proposta al centro del progetto di riforma è senza dubbio fondamentale. Il Rapporto di Pervenche Berès e Reimer Bӧge, approvato con 329 voti a favore, 223 contrari e 83 astensioni, indica le fonti della “capacità di bilancio della Zona euro”: il Meccanismo europeo di stabilità, che diventerebbe nel tempo un Fondo monetario europeo e fondi provenienti dal bilancio comunitario, con l’obiettivo di prevenire shocks asimmetrici, che colpiscono non tutti gli Stati. Cruciale, per l’ottenimento di trasferimenti da parte dei Paesi che ne avessero necessità, è il criterio di condizionalità, che richiede di adempiere al quadro di governance economica (Patto di stabilità e crescita e riforme strutturali). Infine, si propone di unire le posizioni di Presidente dell’Eurogruppo e Commissario agli Affari economici e monetari nel Ministro delle Finanze richiamato dal testo di Verhofstadt. Il Parlamento europeo afferma, dunque, con questi tre rapporti, un progetto chiaro, che apre il varco per un’Europa più efficiente e capace di rispondere ai bisogni dei cittadini europei. Culmine della discussione sarà ora il Vertice del 25 marzo, quando sarà sul tavolo dei governanti europei, oltre ai tre rapporti, anche un Libro bianco della Commissione e verrà, quindi, approvata dal Consiglio europeo una Dichiarazione di Roma. A breve termine, con le elezioni olandesi, francesi, tedesche (e forse italiane) alle porte, è probabile che maggiori appoggi li ottenga il testo di Bresso-Brok. Tuttavia, con Brexit che si profila realtà, una presidenza americana lontana se non ostile e attacchi all’Europa, dopo che anche la cancelliera tedesca ha scoperto il vaso di Pandora sulle più velocità, non si può più ignorare la discussione sul futuro assetto istituzionale e sul bilancio dell’Eurozona. Il campo della difesa dell’esistente è sempre di più uno spazio vuoto, il Parlamento apre la battaglia per l’elezione europea del 2019, modellando posizioni politiche e partiti europei. Lo mostrano le discussioni nel Parlamento europeo, ma lo mostrano altrettanto, fra le altre, le elezioni francesi. Resta da vedere se sarà chi è a favore dell’integrazione o i nazionalisti a vincere questa battaglia. Il 25 marzo avremo una prima risposta. 9
Rubrica Erasmus: Irlanda Autrice: Beatrice Righetti
N
on so come, o perché, ma l’Erasmus è sempre stato un mio chiodo fisso. Non ricordo quando è stata la prima volta che ne ho sentito parlare, ma già dalle superiori sapevo di voler partire e fare quest’esperienza. Infatti, proprio la possibilità di fare l’Erasmus è stata una delle motivazioni più forti che mi hanno spinto ad iscrivermi all’Università. E così, dopo la prima sessione d’esami della mia vita, ho atteso trepidante l’uscita del Bando con un misto di paura ed impazienza. Non mi importava dove, mi importava solo andare, partire. Mai avrei creduto di trovare in me il coraggio di partire per nove mesi, di andare a vivere in una delle capitali più belle d’Europa: Dublino. La partenza sembrava così distante, sei mesi di snervante attesa, che sono trascorsi così velocemente che quasi non me ne sono resa conto. Dopo un’estate di lavoro e di preparativi ero pronta, ed il momento di partire è arrivato. Indescrivibili sono le emozioni che ho provato in quel momento, ma sapevo che una volta partita non sarei stata più la stessa. Tutti dicono che l’arrivo sia traumatico, che ambientarsi a volte possa risultare difficile… per me non è stato così. Sarà che ero emozionata come mai in vita mia, sarà che sono sembra stata brava ad adattarmi alle nuove situazioni, ma per me niente è mai stato più facile. Le coinquiline erano così carine, eravamo in tutto quattro ragazze: una irlandese, una francese, una svedese ed io. Insomma, niente di meglio per creare quell’atmosfera internazionale che spesso si ricerca in Erasmus. C’è anche da dire che è facile ambientarsi quando hai tutte le comodità di cui potresti aver bisogno; vivere in un campus universitario infatti aveva decisamente i suoi vantaggi, primo tra tutti la vicinanza agli edifici dove si svolgevano le lezioni. Dopo aver fatto per un anno la spola su autobus extraurbani dalle tempistiche decisamente discutibili con tanto di sveglia alle 6:15, essere a cinque minuti a piedi da tutto quello di cui potessi aver bisogno mi sembrava un sogno.
Non avevo mai provato una tale sensazione di “casa” pur avendo casa, amici e famiglia così distanti. Non giudicatemi male, anche io ho sofferto di nostalgia (soprattutto quando è arrivato il momento di fare la prima lavatrice), ma la forza e l’indipendenza che ho scoperto dentro di me mi hanno lasciata veramente stupita. E questo è stato per me l’Erasmus, un percorso alla scoperta di me, di lati che non credevo di avere ed altri che sono riuscita a migliorare. Ogni persona che incontri, ogni cosa che fai, ogni viaggio, oggi esame (si, ho anche studiato), ogni cosa che impari a fare da solo; tutto questo ti rende migliore. Purtroppo, così velocemente come era iniziata, la mia avventura è anche finita tra saluti, lacrime, abbracci, e nostalgia di casa ma con la voglia di restare. Sono passati quasi tre anni dal mio ritorno, ma ancora mi emoziono parlandone. Ogni volta che guardo le foto di quel periodo mi appare chiaro come è stata la scelta migliore della mia vita. Ogni tanto mi chiedo se tornando indietro cambierei qualcosa… la risposta è no. Prenderei ogni scelta nello stesso identico modo. Se leggete questa testimonianza e state pensando di partire posso dirvi solo: andate. Non abbiate paura, siete più forti di quello che credete. E poi, il mio Erasmus ancora non è finito. Dopo essere tornata e dopo aver passato un’estate succube della famosa “Post-Erasmus Syndrome”, ho incontrato Erasmus Student Network Verona. Sono diventati la mia famiglia, mi hanno aiutato a superare un momento davvero difficile, facendomi sentire ancora parte di quell’ambiente che sembrava ormai così lontano e così impossibile da raggiungere. Finalmente potevo parlare di Erasmus con qualcuno che mi capiva, (mi dispiace, bisogna decisamente provare per credere), e allo stesso tempo avevo, e ho, la possibilità di dare una mano a chi l’esperienza più bella della sua vita la sta vivendo.
10
La grande sfida del riscaldamento globale Autrice: Deborah Gianinetti (Greenpeace) Martedì 28 febbraio, assieme ai gruppi in università di Aegee, AIESEC, Ase-ESN, La Gallina ubriaca, Open Your Mind, Pass e, per l’occasione, Greenpeace, organizziamo, sul tema “Paradigmi da cambiare, un mondo da salvare”, il terzo incontro della nostra serie su Europa e società. In questo pezzo, Deborah, del gruppo di Greenpeace, ne dà un assaggio.
Q
uello del cambiamento climatico è uno dei più grandi problemi che ci si ritrova oggi ad affrontare. Non è più possibile procrastinare, il nostro pianeta ha bisogno di un'azione concreta in questo preciso momento. Nessun Paese, però, può affrontare questa sfida in autonomia, indipendentemente dalla sua potenza politica ed economica: è necessario trovare una soluzione globale, è necessario che ci sia collaborazione, cooperazione e unità di intenti. La prima conferenza mondiale sul clima venne organizzata dalle Nazioni unite nel 1992, a Rio. Da questa e da quelle successive uscirono solo belle parole e buoni propositi, ma di fatto non si fece nulla di tangibile per rallentare l'ormai rapido deterioramento della Terra. Solo due di queste conferenze si sono concluse con un accordo: quella di Kyoto nel 1997 – dove venne firmato il famoso protocollo – e quella più recente di Parigi, la COP 21. Si può dire che la conferenza di Parigi abbia avuto una portata storica: mai si era registrato il consenso di tutti i 169 Paesi partecipanti, e mai c'era stata una movimentazione popolare di così grandi dimensioni per questioni ambientali. Questi accordi, però, lasciano un po'di amaro in bocca: seguendo la traccia degli impegni sottoscritti da ciascun Paese, si arriverà ad un aumento della temperatura terrestre di ben 3°C rispetto all’epoca preindustriale, mentre l'obiettivo da raggiungere tassativamente è quello di non superare l'1.5°, la soglia di sicurezza che segna la differenza tra la vita e la morte di tante specie. Il testo, inoltre, non indica ad ogni Stato la strada da seguire, ma si limita a tracciarne le linee guida che potranno essere accettate o meno. Insomma, la situazione è tutt'altro che idilliaca, ma è indubbio che la COP 21 sia stato un importantissimo punto di partenza verso l’obiettivo di un concreto ed efficiente sviluppo sostenibile a emissioni zero entro il 2050. A seguito delle varie conferenze sul clima, sono nate diverse “alleanze globali” per far fronte alle minacce climatiche. Una è, per esempio, l'Alleanza solare internazionale, lanciata alla COP 21 da parte del governo dell'India. Si tratta di un progetto di collaborazione tra tutti gli Stati con un alto potenziale di produzione di energia fotovoltaica, attivando anche programmi di cooperazione tra le nazioni industrializzate e quelle più povere. Un'altra iniziativa degna di nota è quella dell'Alleanza per l'energia rinnovabile lanciata da Bill Gates: è stato creato un fondo che investirà nelle aziende che si dedicano alla ricerca di energie pulite. La situazione è diventata più spinosa e ancora meno prevedibile dopo l'elezione di Donald Trump. È infatti diventata realistica la possibilità che gli Stati Uniti abbandonino gli accordi di Parigi, e non portino a termine nemmeno quelli siglati con la Cina durante l'amministrazione Obama. Trump, infatti, non ha mai nascosto la sua visione avversa alla COP 21, vista come una minaccia agli interessi delle compagnie petrolifere americane. Un primo passo in questa direzione è stato quello di approvare la costruzione della Dakota Pipeline nonostante le sonore e numerose proteste arrivate da tutto il mondo. Molti Paesi si sono comunque detti pronti a prendere la leadership nel campo ambientale, tra cui anche – oltre ogni aspettativa – la Cina. 11
Disertando la politica non si lasciano le cose come sono, nemmeno nella vita privata. Si creano vuoti di potere, cioè si affida il potere agli altri, si accetta che degli altri divengano i padroni del proprio futuro. Mario Albertini
Rivista degli Universitari per la Federazione europea Con il contributo dell’Università degli studi di Verona
Responsabile del gruppo studentesco: Marco Barbetta Direttore: Filippo Sartori Collaboratori: Gianluca Bonato, Davide Corraro, Deborah Gianinetti, Andrea Golini, Beatrice Righetti, Salvatore Romano, Andrea Zanolli Responsabile grafica: Andrea Leopardi Redazione Via Poloni, 9- 37122 Verona Tel./Fax 045 8032194 www.mfe.it gfe.verona@gmail.com
12