I Fondamenti Storici e Mitici delle Religioni Moderne

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Bruno SAETTA

I Fondamenti Storici e Mitici delle Religioni Moderne

(dell’origine degli uomini, delle razze, delle lingue, delle religioni e dei simboli)

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Vedi la foresta ? No, non ci riesco, ci sono tutti quegli alberi in mezzo.

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INDICE dei CONTENUTI

Il “mito” e la storia ...........................................................................................1 Le quattro razze ................................................................................................6 L’uomo primitivo ...........................................................................................10 La maternità ....................................................................................................15 Le comunità nomadi .......................................................................................17 Le comunità di coltivatori...............................................................................19 La Grande Madre............................................................................................24 Dei primitivi, semidei ed eroi .........................................................................36 La scoperta della paternità ..............................................................................46 Le feste stagionali ...........................................................................................52 Il culto dei morti .............................................................................................59 Il giovane dio ..................................................................................................63 Il re sacro ........................................................................................................67 La storia e i miti della Grecia..........................................................................78 I popoli della Grecia .......................................................................................86 Le migrazioni..................................................................................................93 Il Grande Anno e l’evirazione di Urano .........................................................96 Il sistema patriarcale .....................................................................................103 La battaglia degli alberi ................................................................................110 L’alfabeto segreto .........................................................................................118 Lo Spirito Santo............................................................................................126 La storia della Britannia................................................................................131 Il Dio-Cielo...................................................................................................137 La storia degli Ebrei......................................................................................140 Mosè e i misteri dell’antico Egitto................................................................150 Il sacro e ineffabile nome di Dio ..................................................................155 Il viaggio verso la terra promessa .................................................................159 Il regno di Israele ..........................................................................................163 Gesù e la comunità essena ............................................................................174 Vita e morte di Gesù .....................................................................................179 Le chiese primitive .......................................................................................194 iv


I rotoli del “mar morto” ............................................................................... 203 L’ascesa della religione cristiana e i “secoli bui”......................................... 212 Il dio degli Ebrei e la nuova religione .......................................................... 222 Dio e la Vergine Maria................................................................................. 228 La guerra contro le eresie............................................................................. 232 La nascita di un dio ...................................................................................... 235 Maria Maddalena ......................................................................................... 248 e la leggenda del Santo Graal....................................................................... 248 La religione moderna ................................................................................... 259 Le menzogne della Chiesa ........................................................................... 270 Le tre religioni.............................................................................................. 281 Gli dei moderni ............................................................................................ 288 A P P E N D I C E ........................................................................................ 294 Il calendario ............................................................................................. 294 B I B L I O G R A F I A ................................................................................ 304

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Il “mito” e la storia

L

o studio dei miti è divenuto, ai giorni nostri, l’oggetto privilegiato di una disciplina diversa dall’archeologia, e cioè della storia delle religioni. Inoltre, il “mito”

nella nostra cultura si è caricato di significati molto distanti da quelli propri nelle società primitive; basti pensare all’uso che si fa del medesimo vocabolo in contesti come la pubblicità e lo sport. All’interno di questo studio, invece, il termine mito deve essere inteso nella sua accezione originaria, vale a dire come il racconto, di una civiltà antica, che ha per protagonista uno o più esseri sovrumani, oggetto della fede di quel popolo. Il mito, per i popoli primitivi, è un tentativo sistematico di spiegare o giustificare la realtà, passata o presente. Il mito quindi è “storia sacra1” che non solo spiega razionalmente la realtà, ma la fonda in tutti i suoi aspetti; dà significato alle condizioni dell’esistenza raccontandone le origini. Il mito appartiene, quindi, alle tradizioni religiose di un popolo, che lo interpreta e lo trasmette, di generazione in 1

Come affermava lo storico delle religioni Angelo Brelich. 1


generazione, affinché tutte le componenti della realtà trovino in esso il necessario e incontestabile fondamento. I miti s’intrecciano tra loro inestricabilmente, formando un sistema complesso e coerente di racconti che si integrano riflettendo le mutazioni del popolo stesso. Secondo Giambattista Vico il mito è una dimostrazione delle differenti categorie di organizzazione dell’esperienza, occhiali che ormai non ci sono più familiari, coi quali l’uomo delle origini e i popoli antichi hanno guardato il mondo in cui vivevano. Lo scopo è capire da dove veniamo, come siamo arrivati ad essere ciò che siamo e in che misura portiamo il passato ancora con noi. Ma, a lungo gli studiosi si sono chiesti se il mito abbia un fondamento storico, e in che misura ciò accada. Se il mito è la religione2 delle civiltà antiche, cercare il fondamento storico del mito vuole dire cercare la base delle religioni dei nostri avi. Può tutto ciò portare ad una migliore conoscenza delle religioni moderne ? Numerosi studiosi sostengono che gran parte delle lingue del subcontinente indiano, dell’Asia occidentale, dell’Europa e di alcune

regioni

dell’Africa

settentrionale

scaturiscono

da

un’unica, comune matrice. Il sanscrito, la lingua indiana, il

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Da rem legere, cioè “scegliere, cogliere la cosa giusta”. Per i Greci e i Romani primitivi, la religione non era l’obbedienza alle leggi, ma un mezzo per proteggere la tribù contro il male adottando attive contromisure benefiche. Essa era in mano ad un clero di formazione magica (gli Auguri, per i Romani) che aveva il compito di suggerire le azioni gradite agli dei in particolari occasioni, di buono o cattivo auspicio. 2


latino, il greco e le lingue germaniche e celtiche fanno parte di un’unica famiglia di lingue3, la quale venne diffusa da popolazioni di pastori nomadi che avevano addomesticato il cavallo e usavano il carro da guerra. A comprovare quest’ipotesi sono le assonanze riscontrabili tra centinaia di idiomi diversi. Un simile ragionamento può verosimilmente essere applicato anche alle religioni, poiché i popoli nelle loro migrazioni esportavano non solo la lingua, ma anche costumi, leggende e divinità. In questo scritto si cercherà di compiere la “reductio ad unum”, vale a dire ricercare il principio primordiale, come nel più classico procedimento alchemico, delle religioni moderne. Come tutto ciò che ci circonda oggi, anche le religioni, infatti, sono semplicemente un complesso stratificato di elementi tratti da luoghi ed epoche diverse, uniti e miscelati in maniera tale da renderli inestricabili ed irriconoscibili se non ai cultori dei miti e delle leggende. Le origini delle religioni moderne, infatti, possono essere ritrovate, come per quasi tutte le cose moderne, nell’epoca degli uomini primitivi, o più esattamente in quel periodo in cui i nostri antenati lasciarono lo stadio primitivo per avviarsi verso la costruzione del primo gradino della civiltà moderna. Caratteristica della nostra epoca è la ricerca multimediale, per usare un termine di moda, cioè la ricerca effettuata

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Denominate da sir William Jones lingue indoeuropee. Altri studiosi, successivamente, hanno riscontrato affinità tra lingue indoeuropee e asiatiche, avanzando l’ipotesi di una macrofamiglia linguistica euroasiatica. Il concetto è stato portato ulteriormente avanti da studiosi che hanno individuato una lingua radice, dalla quale sarebbero scaturite tutti i linguaggi del mondo, definita nostratico. 3


parallelamente in vari campi, in modo da combinare i risultati di più scienze. In particolare, per comprendere l’evoluzione dell’uomo non è più sufficiente uno studio solo archeologico, ma è necessario affiancargli una sistematica ricerca biologica, uno studio dell’architettura, della medicina e, perché no, anche uno studio genetico. Se si vuole capire l’uomo, si deve però allargare necessariamente il campo e studiare le religioni, i miti e le leggende che hanno

accompagnato

i

nostri

progenitori

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dall’antichità fino ad oggi . I miti tradizionali non sono semplici favole per bambini, ma costituiscono invece un tentativo di tramandare ai posteri importanti insegnamenti morali o fatti accaduti realmente, anche se in qualche maniera mascherati. Per quanto sia infinitamente più comodo fare proprie delle tesi preconfezionate, bisogna imparare ad andare controcorrente, a guardare oltre la superficie, e cercare la realtà nascosta tra le righe. Questo scritto non vuole essere, né mai potrebbe esserlo, una ricerca così complessa tanto da rendere necessaria l’attività a tempo pieno di varie generazioni di studiosi, ma cerca semplicemente di riassumere, in maniera si spera comprensibile e sintetica, alcune delle voci che si sono espresse autorevolmente sul problema dei miti e delle religioni, o meglio dei fondamenti delle religioni, chiarendo da quali esigenze queste sono nate, perché sono così oggi, e quale influenza hanno avuto sull’uomo e sulla sua evoluzione. Si potranno trovare quindi risposte a 4

Il lavoro dell’antropologo spesso consiste proprio nell’esaminare usi, costumi e credenze che, agli occhi di persone moderne e istruite, potrebbero apparire come fantasiose superstizioni. 4


domande curiose e interessanti al tempo stesso, ad esempio si accennerà al problema del vero nome del Dio trascendente che oggi veneriamo, o meglio di quale dovrebbe essere tale nome secondo gli antichi studiosi e i profeti. L’accenno al “nome di Dio” potrebbe sembrare a qualcuno blasfemo, ma ci teniamo a precisare che niente di tutto ciò è nelle nostre intenzioni. In particolare l’autore è profondamente credente, ma al contempo, come già precisato più sopra, crediamo fermamente che tutto ciò che esiste oggi abbia una sua origine e spiegazione nel passato, e che disconoscerla significhi non capire se stessi o capirsi solo parzialmente. E che tale origine non può che ritrovarsi all’alba dei tempi !

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Le quattro razze

L

e quattro razze5 che attualmente si dividono il globo terrestre sono figlie di terre e di zone diverse. Per prima venne la razza rossa, che occupava le

terre australi, in pratica quella regione che poi Platone identificò con Atlantide, terre che scomparvero a seguito di cataclismi. Gli ultimi discendenti della razza rossa sono gli indiani d’America oggi, gli Atzechi nel passato. Dopo la razza rossa fu la nera a dominare il globo terreste; il suo tipo superiore va ricercato nell’Abissino e nel Nubiano. I neri invasero l’Europa del sud in tempi preistorici, e ne furono ricacciati dai bianchi. Questo pericolo è ricordato nei miti dei bianchi dall’orrore per il drago, che fu l’insegna dei re neri, e dal colore che i bianchi affibbiarono al diavolo, il nero appunto. Di contro, anche la razza nera ricordò le terribili guerre con i bianchi, dipingendo il proprio diavolo di bianco.

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Ovviamente in questa sede il concetto di “razza” è inteso in senso puramente biologico e non sociologico o psicologico. Cioè, si intende la differenza tra le “razze” come dovuta alla maggiore o minore esposizione a radiazioni solari, ritenendo del tutto inaccettabile la tesi in base alla quale la differenza di colore sarebbe sintomo anche di una differenza di abilità degli esseri umani. Tale delirante tesi è ampiamente sconfessata da tutti gli studi scientifici ed è del tutto priva di alcun fondamento. 6


Se il sole d’Africa ha generato la possente razza nera, i ghiacci del nord hanno costruito la fiera razza bianca6. Sono gli Iperborei dai capelli rossi e dagli occhi azzurri, guidati dalle donne veggenti e dagli eroi temerari. Questa razza era destinata ad inventare il culto del sole e del fuoco sacro, e la nostalgia per il cielo, venerato ma agognato, al punto che qualcuno cercherà, a suo rischio e pericolo, di scalarlo. Infine l’Asia ha dato la luce alla razza gialla, che si conserva oggi nei Cinesi. La mescolanza tra la razza bianca e quella nera si ebbe in modi diversi. Per lo più si possono individuare popoli che nascono a seguito di una dominazione dei neri sui bianchi (come gli Ebrei, gli Egiziani e gli Arabi), e altri che nascono a seguito di una dominazione dei bianchi sui neri (Iranici, Indiani, Greci ed Etruschi). I primi furono detti semiti, i secondi ariani7. I semiti erano invasori provenienti dal deserto, ed occuparono il vicino oriente. Gli ariani erano degli invasori seminomadi che, con la loro ondata migratoria, investirono, nel corso del secondo millennio a.C., tutta l’Europa e parte dell’Asia, sovrapponendo la loro società guerriera, dedita alla pastorizia e patriarcale, a società preesistenti dedite all’agricoltura e matriarcali. Essi parlavano le lingue indoeuropee. Quando questi popoli si 6

In realtà i moderni studiosi assicurano che la specie umana ha avuto origine in Africa, con uomini con pelle nera. Questi popoli si espansero nelle altre terre. Quelli che rimasero in zone equatoriali diventarono più scuri, mentre coloro che si trasferirono al nord, per insufficienza della vitamina D, dovuta alla dieta basata sull’agricoltura in sostituzione a quella basata sulla caccia, e per la scarsità della radiazione ultravioletta nella luce solare a latitudini elevate, mutarono colore della pelle, diventando più chiari. 7 Ariano in sanscrito significa “nobile”. 7


insediarono in zone precedentemente occupate da razze dalla pelle scura, le conquistarono, e tutto ciò che era collegato con la carnagione scura assunse connotati negativi. Ad esempio, in India la parola Dasyu, che originariamente indicava le popolazioni di pelle scura, divenne sinonimo di demoni. Tra gli ariani ed i semiti, invero, si ricomprendono in genere anche i popoli che rimasero puri (ad esempio per gli ariani abbiamo i Celti8, i germani e gli sciiti). Così si spiegano le differenze religiose. Tra i semiti, infatti, si osserva una tendenza al monoteismo, poiché il principio dell’unità del dio nascosto, assoluto e senza forma, fu uno dei dogmi essenziali dei sacerdoti della razza nera. Presso i bianchi, invece, si osserva la tendenza al politeismo, alla mitologia, alla personificazione della divinità che proviene dal loro amore (o timore) per la natura, e dal culto per gli antenati. L’idea monoteistica ha per ovvia conseguenza l’unificazione dell’umanità sotto un solo dio e una sola legge. Si può quindi affermare che i popoli monoteisti sono di certo più tirannici e portati alla conquista (dapprima terrena e poi spirituale) degli altri

popoli,

laddove

quelli

politeisti

sono,

in

genere,

maggiormente tolleranti (si pensi agli Egizi). Esiste una peculiare differenza nel modo di scrivere dei semiti e degli ariani. I primi scrivono da destra a sinistra, i secondi all’incontrario. Il perché e facilmente spiegabile. I semiti, anzi i loro antenati, la razza nera, nello scrivere si volgevano verso il sud, terra dei loro padri, e dirigevano la mano verso l’oriente, 8

Da Keltoi, cioè stranieri. 8


dove sorge il sole. Gli ariani impararono a scrivere dai semiti, ma quando in loro si rafforzò il seme dell’identità nazionale, invertirono il modo di scrivere. Si volsero a nord, terra dei loro padri, e scrissero dirigendo la mano verso l’est, dove sorge il sole, così la mano scorreva da sinistra verso destra. È da queste razze che nascono le religioni moderne.

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L’uomo primitivo

L

a religione nasce dal timore dell’uomo verso la Natura. Secondo Giambattista Vico la prima nozione di divinità deriva dall’esperienza della voce del

tuono, che è il primo indizio di un potere superiore a quello umano. Nei popoli primitivi è la donna che afferma l’invisibile, grazie alla sua sensibilità nervosa. Fabre d’Olivet elabora in tal proposito: all’interno di un gruppo, un clan, due uomini si scontrano, due rivali scatenano una rissa; una donna, sorella di uno e moglie dell’altro, si pone tra loro e, per quietarli, grida che le è apparso nella foresta, vicino alla quercia grande, uno dei loro antenati, lo heroll9, che vuole che i due non si combattano, ma si uniscano contro il nemico comune. Così sarebbe nata la religione. La quercia diventa sacra, la donna profetessa, e il grande Antenato diviene il dio della comunità. Meno poeticamente possiamo sostenere che quando l’uomo comparve sulla terra, il primo problema che si pose fu quello della propria sopravvivenza.

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L’eroe. 10


La sopravvivenza propria, e della propria specie, è il valore primario per tutti gli animali, compreso lo stesso uomo. La selezione naturale, e quindi l’evoluzione, si è sviluppata su questa regola fondamentale che ancora oggi permane nel nostro comportamento quotidiano. Se ai nostri giorni elementi fondamentali per la sopravvivenza sono diventati l’intelligenza, la cultura e, soprattutto, il denaro, ai tempi dell’uomo primitivo si richiedeva forza, velocità e astuzia. Questo “istinto di base” portava l’uomo a cacciare gli animali per procurarsi il cibo necessario al sostentamento. Ma, d’altro canto, era anche essenziale escogitare metodi efficaci per difendersi da altri predatori che erano mossi dal medesimo istinto. Ciò che fece la differenza furono le gambe, ciò il passaggio alla posizione eretta dell’uomo, posizione che consentiva di avere le mani libere di manipolare, di costruire strumenti ed utensili; solo a quel punto si sviluppò il cervello, che permise all’uomo di prevalere definitivamente sugli altri animali, e di uscire dallo stato di barbarie. È con l’homo sapiens, che emerge dalle nebbie del tempo intorno al 200.000 a.C., che compaiono i primi segni del pensiero mitologico: le sepolture. Gli avvenimenti naturali, come ad esempio i fulmini, le piogge, specialmente se di particolare intensità e violenza, catturarono subito l’attenzione degli uomini, i quali credevano di trovarsi di fronte a manifestazioni soprannaturali. È ancora presto per parlare di forme religiose, ma si può senz’altro affermare che già in età paleolitica si compivano delle cerimonie per cercare di 11


influenzare quelle manifestazioni che andavano oltre la comprensione umana10. In buona sostanza è proprio della mente primitiva la tendenza ad attribuire un’anima all’ambiente circostante11. A quell’epoca le cerimonie si accentravano nei periodi di riproduzione della selvaggina o della comparsa di frutti, radici e bacche selvatiche. Del resto le qualità intellettive superiori dell’homo sapiens sapiens, che apparve sulla terra circa 40.000 anni fa e rappresenta l’ultima tappa verso l’uomo moderno, si manifestarono non solo nel consueto ambito delle tecniche di 10

Le prime manifestazioni di pratiche religiose si hanno circa nel 28.000 a.C. La moderna psicologia del profondo tende a liberare da queste proiezioni antropomorfiche la realtà inanimata, per introiettare, cioè per riportare nella nostra testa, la qualità vivente che noi, nella nostra ignoranza, gettiamo sulle cose inerti che ci circondano. Tale introiezione è ritenuto il segno della vera maturazione dell’individuo, nonché il tratto caratteristico della civiltà, in contrapposizione alla mera cultura sociale, propria invece delle società tribali. Si potrebbe quindi sostenere che un primitivo vede il mondo esterno come qualcosa di vivo, animato in realtà da sé stesso e dalle sue paure o emozioni. Una volta superate queste proiezioni egli vede finalmente che il mondo è inerte e che la vita è patrimonio esclusivamente suo. In questo momento si può dire che è psicologicamente maturo. A questo proposito è interessante notare come gli indiani d’America fossero evoluti sotto questo profilo. Infatti per essi l’universo era, nelle sue innumerevoli forme, un’emanazione del grande spirito. “Madre terra”, “padre sole”, “sorella luna”, non erano solo figure poetiche, ma rivelavano una profonda credenza in una comunione dell’uomo con l’intero creato. L’energia divina, che dava stura al mondo, non viveva, come per i cristiani, in un paradiso isolato dal mondo, ma era insita nel mondo stesso, dove si manifestava nell’immensa varietà delle cose e della vita. Per un indiano l’intero universo era la “casa di dio”, e quindi era sacro, così come era sacra ogni singola sua parte, anche un semplice sasso. È ogni parte del creato era una parte del grande spirito, una sua emanazione. Caratteristica era, però, la diversa concezione che essi avevano sull’origine fisica o spirituale di numerosi disturbi. Essi credevano che una delle cause più importanti delle malattie sia la stessa mente del paziente, che desidera qualcosa e tormenta il proprio corpo fino a quando non ottiene ciò che desidera. Gli sciamani avevano proprio il compito di scrutare i recessi delle loro menti. Insomma i pellerossa applicavano, prima di Freud, la cura delle frustrazioni dell’individuo, causa di squilibri psicosomatici. 12 11


lavoro, ma anche nelle prime, rudimentali, espressioni artistiche, in altre parole pitture e graffiti che ornano tutte le grotte che egli abitò. Sin dai tempi più antichi l’uomo capì che il gruppo assicura in modo più efficiente la sopravvivenza, non solo del singolo, ma anche della specie. Nacquero così le regole sociali da rispettare per consentire al gruppo di restare unito e non degenerare. Si comprese come fosse molto meglio accettare alcune limitazioni alla propria libertà, piuttosto che rimanere da soli a combattere contro tutto e contro tutti. Si formarono quindi i “valori” da rispettare, che portarono alla distinzione tra “bene” e “male”, che all’epoca significava “ciò che consente la sopravvivenza del gruppo” e “ciò che distrugge il gruppo”12. All’interno del gruppo, ovviamente, ognuno tendeva ad ottenere il maggior numero di vantaggi, attraverso una lotta di sottogruppi. Questa forza di autoconservazione, trasferendosi dall’individuo al gruppo ed infine alla collettività, dette origine alle leggi13 che colpivano, anche uccidendo, coloro che si ponevano contro l’interesse collettivo, vale a dire contro i principi che regolavano la sopravvivenza della collettività.

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È possibile ricondurre alla fondamentale spinta di sopravvivenza tutte le attività umane, comprese quelle artistiche, scientifiche e culturali. Si possono così, per trasparenza, interpretare meglio quei valori che simboleggiano il “bene” e il “male”, e che in pratica coinvolgono la conservazione o la distruzione di una struttura, un gruppo, una comunità, cioè la sua vita o la sua morte. 13 Lex, “legge”, all’inizio aveva il senso di “parola scelta”, o proclamazione magica. Solo in seguito fu erroneamente collegata a ligare, “legare, avvincere”. A Roma le leggi nacquero dalla religione, quando le proclamazioni degli Auguri acquistarono forza di proverbi e diventarono principi legali. 13


Tutte le specie di homo sapiens conducevano, sia pure a livelli elementari, una vita socialmente organizzata.

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La maternità

L

’uomo era comunque predestinato alla morte che, all’epoca,

giungeva

inevitabilmente

in

età

relativamente giovane, e spesso in maniera violenta.

Questa consapevolezza fece sì che l’istinto di sopravvivenza si allargasse fino a racchiudere l’intero gruppo, e poi la specie umana, come oggetto di difesa. L’uomo comprese che poteva sopravvivere anche attraverso i propri simili, la propria specie. Del resto questa era una scelta obbligata nel momento in cui gli uomini si riunirono in gruppo e comunità. La difesa di se stessi comportava necessariamente la difesa degli altri appartenenti al gruppo. Oggi potremmo affermare che noi continuiamo a vivere attraverso i nostri figli, i quali portano parte del nostro patrimonio genetico. In realtà a quell’epoca non solo non conoscevano, ovviamente, la genetica, ma neppure avevano contezza del concetto di paternità. In altre parole non coglievano il ruolo del padre nel concepimento. Era la donna che procreava e dava alla luce altri esseri umani, per questo i figli erano propri della madre, ma non avevano

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nessun rapporto col padre il quale, date le condizioni di promiscuità, sarebbe stato anche difficile da individuare. Infatti, si credeva che la donna rimanesse incinta per le virtù fecondatrici del vento14, o perché aveva mangiato fagioli15, oppure perché aveva inghiottito un insetto, o per altri assurdi motivi. Erano quindi sostanzialmente gli spiriti che fecondavano la donna, alla quale si consigliava di distendersi e tenere le gambe divaricate, ma semplicemente per rendere le aperture più facili all’ingresso degli spiritelli che si sarebbero insediati nell’utero e poi sarebbero cresciuti. La funzione materna era considerata essenziale fino al punto di fare della donna sterile un’immagine della dannazione, e ancora oggi, nelle società primitive, la sterilità è considerata la peggiore delle malattie. La paternità non era tenuta in nessun conto. Esisteva però anche una mitologia maschile, che si esprimeva sopratutto nella grandi caverne-tempio. La caverna è simbolicamente il ventre della madre, nella quale si entra attraverso una piccola entrata, come se si trattasse della vulva, come oggi noi entriamo per una piccola porta nelle enormi cattedrali, piene di simboli e di dipinti e di vetri colorati, così come all’epoca dei primitivi le caverne iniziatiche erano piene di graffiti. Come nelle caverne veniva rappresentato lo sciamano, così nelle chiese vi è raffigurato Gesù, la guida. 14

Il Vento del Nord, o anche detto di Borea, era considerato un vento fecondatore. Infatti, si diceva che le cavalle rimanessero incinte se si rivolgevano al nord. Anche la dea Eurinome, la pelasgica madre di tutte le cose, fu fecondata dal vento del nord. 15 Esisteva un vero e proprio tabù che aveva per oggetto i fagioli. 16


Le comunità nomadi

Q

uesti primi gruppi vivevano essenzialmente di caccia. In realtà erano gli uomini a cacciare, non tanto perché le donne non fossero in grado di farlo, ma soprattutto

perché esse erano quasi sempre incinte. In quelle condizioni non potevano certo inseguire pericolosi animali, mettendo a repentaglio la vita sacra di un nuovo essere, sacra perché così difficile da mantenere a quei tempi, ovviamente. Quelle che non erano in dolce attesa potevano tranquillamente cacciare insieme agli uomini, anche se questa era un’attività più adatta alla maggiore forza e velocità propria dei maschi. A ben vedere però, la caccia era un’attività difficile, pericolosa (spesso l’animale cacciato si rivoltava contro i cacciatori e talvolta ne aveva la meglio), e per questo poco redditizia. Intere giornate erano sprecate a seguire una preda che, una volta catturata, non bastava a sfamare che poche persone. Così accadde che la donna improvvisasse nuove attività: andava in cerca di piante commestibili, pescava e preparava gli indumenti. In realtà pensare che l’attività di caccia fosse quella 17


che dava il sostentamento alla comunità non è propriamente esatto. Anche se può sembrare strano, le attività della donna procuravano una maggiore quantità di cibo al gruppo di quanto riuscivano a fare gli uomini; circa il 60% contro un misero 30, 40%. Le donne, infatti, fornivano cibo costantemente e senza alcun pericolo di sorta, mentre non altrettanto accadeva agli uomini. Il fatto che le attività gestite dalle donne fossero una maggiore fonte di cibo rispetto a quelle gestite dagli uomini, insieme al prodigio della creazione di una nuova vita, che soltanto esse erano in grado di compiere, fece sì che la figura femminile fosse fortemente esaltata e, col tempo, divinizzata nella sua funzione di creatrice di vita16.

16

Gli studiosi moderni ipotizzano che nell’Europa preistorica esistesse una cultura, detta gilanica, caratterizzata da una totale parità fra uomini e donne. Un esempio di questa cultura sembra ritenersi che possa essere il popolo delle Amazzoni. 18


Le comunità di coltivatori

A

d un certo punto quei popoli, che inizialmente avevano vissuto di caccia, si stabilirono in luoghi fissi, senza più seguire le migrazioni degli animali

da cacciare, e cominciarono a coltivare la terra. In un secondo momento si diedero anche ad ammaestrare gli animali e sfruttarli per i lavori dei campi, per ricavarci latte e carne, ed anche vestiti rudimentali. La stabilità della comunità consentì un rapido progresso, laddove le migrazioni costringevano i gruppi a lasciarsi dietro tutto ciò che non era strettamente indispensabile, compreso gli uomini e le donne meno validi; permise inoltre il sorgere di vere e proprie abitazioni e, con il crescere della popolazione, il nascere delle prime istituzioni. Non fu facile per l’uomo trasformarsi da raccoglitore-cacciatore nomade in agricoltoreallevatore. Si trattava di apprendere una serie molto complessa di regole e tecniche di lavoro, ma soprattutto di mutare totalmente le abitudini di vita, rimaste costanti per millenni. La sedentarizzazione e lo sviluppo dei primi villaggi comportò l’evolversi della vita sociale e delle istituzioni. La vita culturale di una comunità nomade era condivisa da tutti, si trattava di una 19


comunità di persone socialmente uguali. Ma l’ampliamento della comunità

seguita

dell’addomesticamento

all’introduzione degli

dell’agricoltura

animali

innescava

e una

differenziazione legata alla professione. Ciò implicava di far sentire come parte di un’unica società persone che conducevano vite profondamente diverse. Si divisero i compiti e i ruoli all’interno della comunità, e chi aveva compiti di maggiore importanza acquistava automaticamente maggior prestigio. Nacque così la gerarchia e le prime forme di governo. La comunicazione orale e il linguaggio si adeguarono alla nuova società, divenendo più complessi ed articolati. La coltivazione della terra innescò una modificazione dello stile di vita: ci si doveva adattare ai capricci della natura. Si seminava, ma se non pioveva il raccolto andava a male. Lo stesso accadeva se il sole non era sufficiente o le piogge erano eccessive. In altre parole, l’uomo capì che la sua sopravvivenza era legata a fattori imponderabili che non era in grado di controllare, né di capire. Erano i prodromi delle divinità. L’ambiente fisico ovviamente influenzava molto questi primi elementi religiosi. Ad esempio in Egitto, dove le inondazioni del Nilo erano periodiche e quasi mai distruttive, si sviluppò una mentalità etica, e gli dei erano per lo più benefici. Nel clima più instabile ed imprevedibile della Mesopotamia, con i suoi venti torridi e soffocanti, le sue piogge torrenziali e le disastrose inondazioni, invece, la posizione e il destino dell’uomo avevano una forte indeterminatezza, simile a quelli della natura, e il male era visto prevalere spesso sul bene. 20


Pian piano si scoprì che la semina doveva avvenire in un preciso momento dell’anno, e il raccolto in un altrettanto preciso momento, al fine di ottenere il maggior vantaggio possibile. Molto importante era il ruolo della pioggia, dell’acqua vivificatrice che penetra nella terra, che irrogava i campi coltivati e permetteva la crescita del raccolto, come anche del sole che infondeva il calore necessario alla vita. Nel momento in cui le comunità iniziarono a coltivare la terra si creò un ovvio parallelismo tra quest’ultima che, fecondata dall’acqua, dava il raccolto, e la donna che dava alla luce i figli. L’uomo

non

conosceva

ancora

il

proprio

ruolo

nel

concepimento, e per questo il ruolo della donna fu maggiormente esaltato; il parallelismo con la terra che, attraverso il raccolto, donava la vita e consentiva la sopravvivenza della specie, comportò una vera e propria divinizzazione della donna, così come la Madre Terra. La donna, come simbolo di fertilità, fu quindi identificata con la Madre Terra. Come il raccolto nasce dal terreno, il sottosuolo, il nascosto, così anche i bambini nascevano dal ventre nascosto della madre. La terra era quindi vista come dea che, per essere feconda, era preferibile fosse nera (come il terreno, appunto), esprimendo con ciò una più alta capacità fecondante. Nasce proprio da questi culti della terra-dea il riferimento alle madonne nere17, per le quali è tanto forte l’attenzione anche attuale dei cristiani.

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Nel museo Benáki di Atene vi è una splendida raffigurazione, del XVII secolo, di Sant’Anna, con in braccio la Vergine Maria bambina. Entrambe sono inequivocabilmente di pelle scura. 21


La Madre Terra fu chiamata dai Greci18 Gea. Gea, detta anche Gaia o Ghé, che in greco significa “Terra”, è appunto l’elemento primordiale che generò dal suo grembo tutte le stirpi divine. Nacque da lei Urano19 (il Cielo) col quale si unì, essendo l’unico elemento che può “coprirla” interamente, ed ebbe con lui i figli che rappresentano la prima generazione di dei propriamente detti: i Titani20, Oceano, Ceo, Crio, Iperione, Giapeto e Crono21, e poi le divinità femminili che sono le Titanidi, cioè Teia, Rea22, Temi23, Mnemosine, Febe, Teti. Il più giovane di questi figli è Crono. Nacquero poi i Ciclopi24 e gli Ecatonchiri.

18

Graeci significa “coloro che venerano la Vegliarda”, presumibilmente la dea della Terra di Dodona, che nella triade ha il nome di Graia. 19 Urana è in realtà un epiteto che significa: madre terra, nostra signora dell’estate, dea dei monti, regina dei venti, dea dalla coda di leone, regina guardiana. Deriva da Ur (ouros, guardiano, urus, toro), e An, (cielo), cioè “guardiana del cielo”, da cui l’epiteto classico, la Celeste. In un secondo tempo questa divinità fu mascolinizzata in Urano. 20 Cioè “uomini bianchi come la calce” (Titanoi). Od anche Titanes, “signori della settimana di sette giorni”. 21 Kronos era probabilmente in origine un dio del raccolto, trasformato successivamente nel signore dell’universo, come dio del Tempo immutabile, e sposato a Rhea, sua sorella, la Dea Madre cretese. 22 Rea, o Rhea, che si accoppiò a Crono come Titanessa del settimo giorno, corrisponde a Dione o Diana, la triplice dea della colomba e della quercia, a lei sacra. 23 Temi è la personificazione della Legge e della Giustizia e, dopo Meti, la seconda moglie di Zeus. Inventò gli oracoli, i riti e le leggi, ed insegnò ad Apollo l’arte della divinazione. È rappresentata con la cornucopia e la bilancia. 24 I Ciclopi, “dall’occhio rotondo”, erano i membri di un’associazione di fabbri durante la civiltà elladica primitiva. Probabilmente essi avevano tatuato sulla fronte dei cerchi concentrici in onore del sole, fonte del fuoco che alimentava le loro fornaci. I Ciclopi erano descritti come monocoli anche perché i fabbri ferrai spesso si coprono con una benda un occhio per ripararlo dalle scintille. I fabbri erano chiamati “artefici del bronzo”, ed erano fortemente considerati alla stregua di un dio. Ma quando tutti furono in grado di possedere un’arma di ferro, l’era del mito si chiuse, se non altro perché il ferro non era nella lista dei cinque metalli sacri alla dea, e cioè l’argento, l’oro, il rame, lo stagno e il piombo. 22


Urano, geloso di tutti questi figli, voleva che restassero seppelliti nel grembo della madre, ed essa ottenne l’aiuto di Crono che riuscì a castrarlo, ma dal sangue di lui sparso sulla terra nacquero le Erinni, i Giganti e le ninfe degli alberi. Gea generò poi le divinità marine, e con Tartaro generò Tifone, un dio prodigioso e spaventoso, ed Echidna. In genere, tuttavia, tutti i mostri che rappresentano le forze prodigiose e violente della natura sono considerati suoi figli: così lo erano Anteo, Cariddi, le Arpie, Pitone e anche la Fama. Gea fu poi confusa con Demetra, mentre i Romani la chiamavano Tellus e la identificavano con Cibele25. Gea e Crono conoscevano i segreti del Fato, che rivelarono a Rea. Per questa ragione erano famosi e celebrati i suoi oracoli, che si trovavano nei luoghi di culto a lei dedicati, e che erano ancora più sicuri e antichi di quelli di Apollo.

25

Il culto di Cibele fu introdotto a Roma nel 207 a.C. quando, alla fine della guerra annibalica, inviati Romani consultarono la Sibilla di Delfi prima di incontrarsi con Attalo di Pergamo per chiedergli di trasferire a Roma la pietra meteorica che simboleggiava la Magna Mater. Forti del suo responso portarono a termine con successo la loro missione a Pessinunte. La Magna Mater frigia venne, quindi, installata nel tempio della Vittoria, e nel 191 a.C. fu eretto un tempio a lei dedicato sul Palatino. I fedeli di Cibele tentavano di raggiungere l’unione estatica con la dea evirandosi e vestendosi da donne. 23


La Grande Madre

L

a deificazione della donna nella forma di Madre Terra fece così nascere la prima forma di religione dell’uomo. Una forma di religione che si manifestò

con i primi esseri definibili come uomini, discendenti delle scimmie primitive, e che quindi trovava origine sia nell’Asia Minore, in particolare nell’alto Iraq, sia in Egitto. Questi notoriamente sono i luoghi dove l’uomo passò dallo stadio primitivo ad uno stadio umano vero e proprio, grazie alla particolare fertilità del terreno dovuta alle inondazioni periodiche e regolari del Nilo, e irregolari, e perciò maggiormente temute, del

Tigri

e

dell’Eufrate26.

Nacquero

così

le

prime

rappresentazioni della Madre Terra, madre creatrice della vita, con i suoi attributi in evidenza (il ventre, l’ombelico, il seno). Queste sculture risalgono al periodo tra il 30.000 e il 10.000 a.C. Quindi, le immagini di dei fino al 3500 a.C. sono esclusivamente femminili. Ma fin dall’inizio, oltre al collegamento della donna con la Terra, quest’ultima intesa come la Natura che concede il raccolto, si evidenziò un collegamento con la luna. 26

Queste inondazioni sono ricordate nelle leggende, comuni a tutti i popoli, del diluvio universale. 24


La dea della fertilità era spesso una divinità lunare poiché in regioni aride, come alcune zone della Mesopotamia e dell’Asia occidentale, la luna stimola la rugiada, e quindi lo sviluppo della vegetazione, allo stesso modo come si pensava che la Madre Terra fosse fecondata dalla pioggia mandata su di lei dal Padre Cielo. Ci si avvide inoltre che la semina doveva avvenire con la luna crescente, perché il raccolto maturava più in fretta. Meno velocemente cresceva con la luna calante, per questo la mietitura doveva avvenire con la luna calante. Si evidenziò anche un altro parallelismo, vale a dire il collegamento tra il periodo mestruale della donna e il ciclo lunare (di ventotto giorni). Questi e tanti altri elementi fecero sì che si rendesse evidente un collegamento tra il raccolto, la luna e la madre. Come la terra faceva crescere le messi, così la madre faceva crescere i bambini. La donna si identificò, di conseguenza, anche con la luna, anche se era principalmente identificata con la madre terra, perché era la terra che dava i frutti, il raccolto, ma era la luna che favoriva questo raccolto. Si può affermare che la Terra e la luna divennero due momenti differenti della stessa forma divina. Ecco perché tra il V e il III secolo a.C. si diffusero un po’ dovunque una serie di figure che, in maniera simbolica e stilizzata,

rappresentavano

la

figura

femminile,

con

le

caratteristiche proprie della donna, cioè il ventre, le mammelle e l’ombelico, accentuate27. Esse erano le antesignane del culto

27

La prima di queste figure è oggi conservata nel Museo di Storia Naturale di Vienna, con il nome di “Venere di Willendorf”; ritrovata nella Bassa Austria, 25


accentrato nel mistero della nascita e della generazione, della fertilità, che costituì una caratteristica saliente delle religioni di tutto il vicino Oriente e che si propagò ad est fino all’India e ad ovest fino a Creta28, in seguito rappresentata come la patria originaria della Gran Madre frigia Cibele, all’Egeo, alla Sicilia e a Malta per passare poi alla penisola iberica. Con successive migrazioni questo culto si spinse lungo il litorale atlantico fino alla Bretagna e alle isole Britanniche, e dai Pirenei fino alla regione Senna-Oise-Marna nel bacino di Parigi. Altra caratteristica propria di questa divinità femminile fu quella di essere la guardiana dei morti. Questa accezione probabilmente nasceva dal fatto che essa sorvegliava il seme prima della sua crescita, cioè mentre era nel sottosuolo, appunto nel regno dei morti. Allo stesso modo era la guardiana del re morente, l’Anno Vecchio, nel periodo che trascorreva nel regno dei morti, prima della sua rinascita come dio dell’Anno Nuovo. Originariamente, non dimentichiamolo, si credeva che l’anima risiedesse nella testa, per questo il teschio era conservato, spesso staccato dal resto dello scheletro, e sotterrato in luoghi dove potesse servire come vivificante per i vivi. L’anima come agente vivificante passava dal teschio ai vivi, talvolta anche mangiando la testa del morto. Più spesso però si preferiva sotterrare la testa al di sotto del pavimento della casa dei parenti. Così l’anima risalirebbe addirittura a circa 24.000 anni fa. Molte sono visibili nel Museo Campano di Capua, risalenti ad un periodo tra il V e il I secolo a.C. 28 Creta è una parola greca, una forma di crateia “dea forte o imperante”, probabilmente riferito alla Dea Bianca nella sua forma di Asteria (“stellata”), cioè di Regina del Cielo. Infatti, per lungo tempo i Greci occuparono l’isola, divisa tra Achei, Dori, Pelasgi, Cidoni (Eoli) e i cretesi veri che occuparono l’estremità occidentale dell’isola. 26


poteva svolgere la sua funzione vivificante e protettiva nei confronti di questi. La dea era venerata sotto tre forme che però erano sempre facce della stessa divinità. Le tre forme evidenziavano le tre età della donna, la fanciulla (Atena), la ninfa-sposa (Afrodite) e la vegliarda (Era). Per questo in età più tarda si trovano molti miti che parlano di tre divinità o semidivinità femminili. Nel tempo le tre forme della Triplice Dea si sono divise del tutto. Sia le tre Moire29 sia le tre Esperidi30 non sono altro che la dea-luna nel suo aspetto di sovrana della morte; ugualmente le tre Cariti (dee

29

Le tre Moire (Cloto, che fila il filo della vita di un uomo, Lachesi, che lo misura e Atropo, che lo recide quando è il momento giusto), altrimenti dette a Roma Parche, sono la personificazione del destino di ciascun uomo, la “parte” che ognuno ha in questo mondo, fortunata o sfortunata che sia; rappresentano e custodiscono l’ordine del mondo. Esse in realtà sono la Triplice Dea Luna (ecco perché sono vestite di bianco e di bende di lino) sacra alla Dea in qualità di Iside. Moira significa “fase” e la luna ha appunto tre fasi e tre persone, la luna nuova, cioè la dea-vergine della primavera, il primo periodo dell’anno; la luna piena, la dea-ninfa dell’estate, il secondo periodo dell’anno; e la luna calante, la dea-vegliarda dell’autunno, l’ultimo periodo dell’anno. Originariamente anche lo stesso Zeus, come tutti gli altri dei, doveva sottostare al potere delle Moire, figlie per partenogenesi della Grande Dea Necessità, con la quale gli dei non osano contendere, e che è chiamata “La Possente Moira”. 30 Dee del tramonto (Espéra in greco significa “sera”), sono figlie di Nyx, la notte o, secondo tradizioni successive, di Zeus e di Temi, o di Atlante e di Esperide. Di solito sono tre, e abitano in riva all’Oceano, non lontano dall’Isola dei Beati. Avevano l’incarico di sorvegliare con l’aiuto del drago Ladone il giardino degli dei, nel quale crescevano i pomi d’oro, che erano stati regalati da Gea (la Terra) a Era, in occasione delle sue nozze con Zeus. Questi pomi furono colti da Eracle in una delle sue dodici fatiche. Ma la parola Mela in greco può significare tanto “pomi” quanto “montoni”, e infatti secondo l’interpretazione evemerista le Esperidi, che possedevano greggi di montoni, erano state rapite per conto del re d’Egitto, Busiride. Eracle le liberò e le restituì ad Atlante, il loro padre, che per ricompensa diede a Eracle i greggi di montoni. 27


della bellezza, della gioia e della vegetazioni), le tre Muse31 sono la dea nel suo aspetto positivo. Anche le tre Erinni32, o Furie33, che nacquero dal sangue di Urano, sono la triplice dea stessa; durante il sacrificio del re sacro, destinato a fecondare i frutteti e i campi di grano, le sacerdotesse della dea indossavano minacciose maschere di Gorgoni per spaventare e scacciare i visitatori profani. Molti erano i nomi che la dea assunse, ad esempio Cerridwen (wen significa bianco e cerdd, in irlandese e gallese, significa guadagno, e indica anche le arti ispirate, specialmente la poesia),

31

Figlie di Zeus e di Mnemosine, presiedono al canto, alla musica, alla danza e a tutte le forme di pensiero artistico. In origine erano tre (Melete, Mneme, Aoide), ma successivamente aumentarono di numero e divennero nove (Clio, musa della storia; Euterpe, del suono e del flauto; Talia, della commedia; Melpomene, della tragedia; Tersicore, della danza; Erato, della lirica corale; Polimnia, della pantomima; Urania, dell’astronomia; Calliope, dell’epica). Il loro canto è divino ed esse intervengono cantando a tutti gli avvenimenti festosi della vita dell’Olimpo, come le nozze. 32 Quando Urano fu mutilato dal figlio Crono, le gocce di sangue cadute sulla terra generarono questi mostri violenti e primitivi, ai quali lo stesso Zeus è soggetto. Sono analoghe alle Parche. Tra loro ne sono nominate tre: Aletto, Tisifone e Megera. Abitano nell’Erebo (figlio del Caos e fratello della notte, Nyx, personifica le tenebre infernali) e sono raffigurate come geni alati, con i capelli di serpenti e con torce o fruste nelle mani, per torturare le loro vittime. Si sacrificavano loro pecore nere e si offrivano offerte senza vino. Gli antichi le chiamavano anche Eumenidi (le Benevole), forse per propiziarle. I Romani le chiamavano Dirae, o Furie. Vendicano soprattutto i delitti commessi contro la famiglia e contro la società, ma castigano anche l’hybris, ovvero la perdita da parte dell’uomo della coscienza del proprio limite. Castigano in modo particolare il crimine dell’assassinio, e l’uccisore, anche se involontario, è da loro torturato in mille modi, fino ad impazzire; per questo motivo sono dette “cagne”, che non lasciano più la vittima, una volta che ne siano venute in possesso. Più tardi avranno il compito di torturare nell’aldilà le anime dei morti. 33 Le Ninfe del frassino sono le tre Furie sotto un aspetto più benigno. 28


Cardea34 (da kerdos e kerdei viene il latino cerdo, artigiano), Era35, Rea36, Demetra37, oltre che Gea. 34

Cardea era Alfito, la dea bianca che uccideva i bambini dopo essersi travestita da uccello o da animale. Il biancospino a lei sacro non doveva essere portato dentro casa se non si voleva che essa uccidesse i bambini che vi si trovavano. Giano (da Ianua, “Porta”), il robusto guardiano della porta di quercia nonché uno dei protettori di Roma, teneva lontano Cardea con le sue streghe perché in realtà era il dio della quercia Diano, che si incarnava nel re di Roma e in seguito nel flamen dialis, suo successore spirituale. Sua moglie Giana era Diana (Dione), la dea dei boschi e della luna. Janus e Jana erano in realtà forme rustiche di Juppiter e Juno. La doppia p di Juppiter indica l’elisione di una n: Jun-pater, il padre Diano. Ma Giano, Diano o Giove, prima di sposare Giana, Diana o Giunone sottomettendola a sé, era suo figlio ed essa era la dea bianca Cardea. 35 Figlia di Crono e di Rea, sorella e poi moglie di Zeus, era considerata, come tale, la sovrana dell’Olimpo. Anch’essa era stata inghiottita da Crono appena nata, e come i suoi fratelli fu restituita alla vita grazie allo stratagemma ideato da Meti e attuato da Zeus. Fu allevata nella casa di Oceano e Teti, e poi nel giardino delle Esperidi, o sulla cima del monte Ida, sposò Zeus, che però segretamente l’amava già dal tempo in cui Crono regnava sui Titani. Con lui ebbe quattro figli: Efesto, Ares, Ilizia ed Ebe. Era la protettrice delle spose e dei parti, in quanto moglie del sovrano dell’Olimpo, ma aveva un carattere litigioso, geloso e vendicativo, che dimostrava soprattutto in occasione delle frequenti scappatelle di Zeus. La sua collera era spesso rivolta contro Eracle, che perseguitò incessantemente, e per il quale ideò le dodici fatiche. È presente in numerosi miti, nei quali il suo carattere aggressivo e vendicativo contrasta spesso con il volere di Zeus, che più volte deve agire d’astuzia per aggirarne la collera. Prese parte al concorso di bellezza in cui fu messa a confronto con Afrodite e Atena e, poiché Paride scelse Afrodite, perseguitò i Troiani per tutta la durata della guerra di Troia. Aveva templi in quasi tutte le città della Grecia. Le erano consacrati il pavone (il cui piumaggio passava per essere l’immagine degli occhi di Argo), il cuculo e la cornacchia, e tra le piante prediligeva il melograno. I Romani la identificarono con Giunone. 36 Rea è probabilmente una variante di Era, “Terra”, dea alla quale era sacra la colomba. A Rea era sacra la quercia. Secondo la tradizione la Galassia o Via Lattea nacque dal latte (rhea in greco) di Rea, la Grande Dea di Creta, spruzzato abbondantemente in cielo dopo la nascita di Zeus. 37 Demetra significa “Grande Orzo”, ed era di origine libica. Probabilmente giunse in Grecia passando per Creta, poiché a Cnosso erano celebrati riti analoghi a quelli eleusini. Demetra insegnò all’uomo la coltivazione dell’orzo, o del grano; in particolare ella si rivolse a Trittolemo, che l’aveva aiutata nella sua ricerca della figlia Persefone, e lo istruì personalmente nella pianura Raria. Per questo Trittolemo, che significa “che osa tre volte”, probabilmente un appellativo del re sacro che osò per tre volte violare la dea arando il suo campo ed accoppiandosi con la sacerdotessa del grano, fu conosciuto anche 29


Un altro dei nomi della Dea era Eurinome38. Eurinome significa “vagante in ampi spazi”, ed era l’appellativo della dea nella sua epifania lunare. Il suo nome sumerico era Iahu “divina colomba”, un epiteto che in seguito passò a Jahvè come Creatore. Fu, infatti, proprio una colomba che Marduk tagliò simbolicamente in due durante le feste babilonesi della Primavera, quando inaugurò il nuovo ordine del mondo. Eurinome, dea di tutte le cose, emerge nuda dal Caos, divide il mare dal cielo e intreccia una danza sulle onde. Da questa danza sorge un turbine che si trasforma nel Vento del Nord. Eurinome si volta e lo afferra. Poi lo sfrega tra le mani, e dal vento appare il serpente Ofione39. Ofione o Borea40 è il serpente Demiurgo del mito Ebraico ed Egiziano, e nell’arte arcaica mediterranea la dea è sempre raffigurata col serpente41 al suo fianco. Il serpente, acceso di desiderio dalla danza della dea, la avvolge con le sue spire, e si accoppia con lei. Così Eurinome rimane incinta dopo l’accoppiamento col Vento del Nord, il come “rario”, o “raro”. “Raro” in realtà significa “grembo”, e si riferiva senza dubbio al grembo della Madre del Grano da cui germogliava il grano. 38 Eurinome, “ampio-regnante” o “ampio-vagante”, era l’appellativo della dea come signora del cielo e della terra; Euribia, “dalla forza immane”, come signora del mare; Euridice, “ampia giustizia”, come signora dell’Oltretomba. Altri appellativi marini erano Teti, “colei che dispone”, Elettra, “patrona dell’ambra”, un prodotto del mare, Taumante, “la meravigliosa”, Nereide, dea dell’elemento umido. 39 Da ophis, “serpente”. 40 Il culto di Borea era di origine libica. 41 Nelle religioni antiche il serpente simboleggia insieme il cerchio fatale della vita e il male che necessariamente ne deriva. Il serpente, inoltre, perde la pelle per nascere nuovamente, così come la luna perde la sua ombra per rinascere. Quindi il serpente, come la luna, è simbolo della coscienza lunare, è simbolo della luna. Il serpente è simbolo di energia, anche se limitata, a differenza del leone che è associato al sole, il quale non ha ombre. Il serpente che si morde la coda, inoltre, è altresì simbolo dell’anno che si rigenera, cioè del tempo che scorre. 30


vento di Borea, che è considerato vento fecondatore. Eurinome prende forma di colomba e depone l’Uovo Universale42, attorno al quale, per ordine della dea, si avvolge sette volte43 Ofione, finché l’uovo si schiude e ne escono tutte le cose. Eurinome e Ofione si stabilirono sul monte Olimpo, ma il serpente irritò la dea, vantandosi di essere il creatore dell’Universo, cosicché ella lo relegò nelle buie caverne sotterranee, dopo averlo colpito con un calcio44. Poi la dea creò le sette potenze planetarie45, e mise a capo di ciascuna di esse una Titanessa e un Titano: Tia e Iperione46 al Sole; Febe e Atlante alla Luna; Dione e Crio a Marte; Meti e Ceo a Mercurio; Temi ed Eurimedonte a Giove; Teti e Oceano a Venere; Rea e Crono a Saturno. I Titani, “signori”, e le Titanesse, ebbero i loro corrispondenti in certe divinità dell’antica astrologia babilonese e palestinese, preposte ai sette giorni della sacra settimana planetaria. Il loro culto fu probabilmente introdotto in Grecia da una colonia 42

Poiché il gallo per gli orfici era l’uccello della resurrezione, sacro a Esculapio, figlio di Apollo, nei misteri druidici le uova di gallina presero il posto di quelle di serpente e furono colorate di rosso in onore del sole; da cui le nostre uova di Pasqua. L’uovo è il simbolo della rinascita della natura, e nei tempi antichi era usanza regalare uova, spesso colorate. Poi la Chiesa si appropriò del rito e lo trasformò nella Pasqua moderna. 43 Sette era il numero della santità, dieci quello della perfezione. Per cui spesso gli eroi vivono settant’anni, cioè “sette volte dieci”. 44 O calpestato, come si può osservare nelle rappresentazioni odierne della Madonna. 45 Le potenze planetarie erano le seguenti: il Sole che presiedeva alla luce; la Luna che presiedeva agli incantesimi; Marte, alla crescita; Mercurio, alla saggezza; Giove, alla legge; Venere, all’amore; Saturno, alla pace. Gli astrologi Greci dell’epoca classica seguirono lo schema dei babilonesi e aggiudicarono i pianeti a Elio, Selene, Ares, Ermete (o Apollo), Zeus, Afrodite, Crono; dai loro equivalenti latini derivano i nomi dei giorni della settimana in Italia, Francia e Spagna. 46 Iperione, figlio di Urano e Gea, è uno dei Titani che, sposatosi con sua sorella Teia (o Tia), una delle Titanidi, ebbe da lei Elio (il Sole), Selene (la Luna) e Eos (l’Aurora). Anticamente era chiamato Iperione lo stesso Sole. 31


cananea, o ittita, che si stabilì nell’istmo di Corinto nel secondo millennio a.C., oppure dagli antichi portatori della civiltà elladica47. Quando il culto dei Titani fu abolito in Grecia, e la settimana di sette giorni cessò di figurare nel calendario ufficiale48, certi autori elevarono il numero di tali divinità a dodici per farlo corrispondere ai segni dello Zodiaco. Il primo uomo fu Pelasgo, il quale insegnò agli altri, che lo seguirono emergendo in Arcadia, a costruire e a nutrirsi. Afrodite49, “nata dalla schiuma”, è la medesima dea dall’immenso potere che nacque dal Caos e danzò sul mare, la dea che era venerata in Siria e in Palestina come Ishtar, o Ashtaroth. Il centro del suo culto era Pafo dove si trova la bianca 47

L’isola di Samotracia era il centro della religione elladica, e gli iniziati ai misteri della sua dea-Luna, misteri il cui segreto fu sempre ben conservato, avevano il diritto di portare un amuleto di porpora che si diceva potesse proteggerli da pericoli di ogni sorta, ma specialmente dai naufragi. Essa cadde in mano ai Greci nel 700 a.C., e gli invasori sostituirono i culti preesistenti, in particolare quello della Gran Madre Axerios, con quelli degli dei dell’Olimpo. 48 Nella leggenda Zeus divorò i Titani, incluso se stesso nella sua forma più antica, così racchiudendo in sé tutte le potenze planetarie della settimana. Anche gli Ebrei di Gerusalemme veneravano un Dio trascendente che racchiudeva in sé tutte le potenze planetarie della settimana: questa teoria è simboleggiata dal calendario dalle sette braccia e dai Sette Pilastri della Saggezza. Non si sa se gli Ebrei abbiano preso a prestito questa teoria dagli Egiziani o viceversa, ma il cosiddetto Zeus eliopolitano era Egiziano nell’aspetto. Anche Giove a Roma fu proclamato dio trascendente da Quinto Valerio Sorano. In Grecia invece le potenze planetarie non prevalsero mai sul culto olimpico ufficiale, poiché erano considerate non greche. 49 Afrodite Urania (regina delle montagne) o Ericina (regina dell’erica) era la dea-ninfa della mezza estate. Essa uccideva il divino paredro, che si era accoppiato a lei sulla vetta della montagna, così come l’ape regina uccide il maschio, cioè strappandogli i genitali. Per la medesima ragione Cibele, l’Afrodite frigia del monte Ida, era adorata come ape regina, e i suoi sacerdoti si autocastravano nel corso di un’estasi mistica in memoria di Attis, amante della dea. Come signora della Morte e della Vita, Afrodite ebbe molti appellativi che paiono contrastare con la sua fama di dea bella e compiacente. Ad Atene essa fu detta la maggiore delle Moire e sorella delle Erinni; altrove Melenide (la nera), Scotia (l’oscura), Androfone (omicida). 32


primitiva immagine aniconica della dea. Là, ogni primavera, le sue sacerdotesse si bagnavano (il bagno simboleggia la fertilizzazione, così come la pioggia per la terra seminata) nel mare e ne riemergevano vergini50. La dea era chiamata figlia di Dione, perché Dione era signora della quercia, dove l’amorosa colomba fa il nido. Zeus si vantò di essere il padre di Afrodite dopo essersi impadronito dell’oracolo di Dione a Dodona51. Teti o Tetide sono i nomi della dea come Creatrice (da tithenai, “disporre”, “ordinare”), e come dea del mare, dato che la vita cominciò nel mare. Colombe e passeri sono noti per la loro lussuria, e in tutto il Mediterraneo il cibo di mare è tuttora considerato un afrodisiaco. Afrodite, la dea del desiderio, emersa dalla spuma del mare giunse, cavalcando una conchiglia, all’isola di Citera, per poi passare nel Peloponneso e poi stabilire la sua residenza a Pafo, nell’isola di Cipro. Citera era un importante centro di scambi tra Creta e il Peloponneso, perciò si può affermare che il culto di Afrodite passò da Creta (Cnosso, Festo) alla Grecia, dove si diffuse. Come la maggior parte delle religioni del mondo antico, anche quella dei Celti all’inizio conosceva il concetto di una “dea50

Questo si può considerare come l’antesignano dei riti di purificazione. Anche per gli Esseni, la comunità alla quale apparteneva Gesù, il nucleo della Redenzione era il bagno di purificazione che facevano ogni giorno, immergendosi completamente nell’acqua ogni mattino, così come l’uomo occidentale che fa la doccia mattutina senza pensare di prepararsi e battezzarsi per la venuta del Messia. 51 L’oracolo in questione è il più antico della Grecia, e il secondo in ordine di importanza dopo quello di Delfi. L’oracolo si basava su una quercia sacra circondata da tripodi, contenenti diversi calderoni bronzei disposti in modo tale che si toccassero l’un l’altro. Le profezie erano divinate in base al suono emesso, in armonia con il fruscio delle foglie della quercia, quando uno dei calderoni veniva colpito. L’albero venne sradicato nel 393 d.C. dall’imperatore Teodosio nell’ottica di distruggere qualsiasi pratica pagana. 33


madre”. Questa dea era Danu (“acqua dai cieli”), ed è indicativo il fatto che il grande fiume52 Danubio prenda il nome da lei. Infatti si ritiene che proprio alle sorgenti del Danubio si sia evoluta la civiltà dei Celti. L’acqua, elemento femminile, per i Celti era ciò che nutriva la quercia, e cioè era il simbolo della crescita della vegetazione. La quercia quindi, elemento maschile e simbolo fallico, era dipendente dalla dea, e ad essa sottomessa. Ma presso alcune popolazioni celtiche essa era anche chiamata Goda53, “la Buona”. La dea giungeva alla sua annuale festa d’amore cavalcando una capra, completamente nuda ma ricoperta da una rete, con una mela in mano e scortata da una lepre e da un corvo. Tale rituale ricorda la leggenda di Lady Godiva. La mela è il simbolo della morte imminente del re; la lepre è il simbolo della battuta di caccia durante la quale la dea si trasformerà in segugio; la rete servirà per catturare il re trasformatosi in pesce e il corvo pronuncerà oracoli sulla sua tomba. A Creta il re era il re-capro; in Germania e in Inghilterra era coperto da una pelle di capra. In seguito il re sacro divenne metà uomo e metà capro, trasformandosi nel diavolo. Nell’epopea

babilonese

di

Gilgamesh,

che

si

diffuse

probabilmente in Grecia in epoca tarda, la dea Aruru crea il primo uomo, Eabani, modellando la creta. Benché Zeus fosse considerato Signore Onnipotente da molti secoli i mitografi furono costretti ad ammettere che il Creatore di ogni cosa avrebbe potuto anche essere una Creatrice. Gli Ebrei, come eredi del mito pelasgico o cananeo della creazione, si 52 53

Per i Celti era “il mare”. Quando fu mascolinizzata divenne God, cioè Dio in inglese. 34


trovarono di fronte allo stesso dilemma. Nella Genesi uno “spirito del Signore” di sesso femminile si preparava a covare sulla superficie delle acque, benché poi non deponga l’uovo del mondo; ed Eva, “la madre di tutti i viventi”, riceve l’incarico di schiacciare la testa del serpente.

35


Dei primitivi, semidei ed eroi

L

a rilettura degli antichi miti e delle loro diverse versioni, alla luce delle conoscenze storiche ed antropologiche, è prodiga di sorprese. Le antiche

leggende, viste in una prospettiva simbolica, ci spiegano gli avvenimenti storici che hanno interessato i vari popoli. In particolare risulta illuminante analizzare i miti Greci, non solo perché più conosciuti ai giorni nostri, ma anche perché più ricchi di informazioni. In tutta l’Europa neolitica, a giudicare dai miti sopravvissuti, le credenze religiose erano molto omogenee e tutte basate sul culto di una dea madre dai molti appellativi, venerata tra l’altro anche in Siria, in Libia, in Egitto. Infatti, nel terzo millennio prima di Cristo emigranti neolitici lasciarono la Libia e si sparsero in tutte le direzioni, fuggendo probabilmente una inondazione che allagò i loro campi e portandosi dietro le loro credenze religiose. Il delta del Nilo era abitato soprattutto da Libici. L’antica Europa non aveva né dei né sacerdoti, ma solo una dea universale e le sue sacerdotesse. La successione era matrilineare e si credeva che i serpenti fossero incarnazione dei morti. Ancora 36


oggi, infatti, esiste in villaggi alle pendici dell’Himalaya, una forma di governo matriarcale, con discendenza esclusivamente matrilineare. La grande dea era considerata immortale, immutabile e onnipotente, e il concetto della paternità non era stato introdotto nel pensiero religioso. La dea occasionalmente si sceglieva degli amanti per soddisfare il suo piacere e non per dare un padre ai propri figli. L’indipendenza della donna dalla tutela maschile e la discendenza matrilineare erano caratteristiche di tutti i popoli di ceppo cretese54, ma non solo. I Lidi conservavano un altro vestigio dello stesso sistema: le ragazze si prostituivano prima del matrimonio, e poi disponevano dei loro guadagni e della loro persona come meglio credevano. Tale situazione è perfettamente compatibile con quanto abbiamo accennato più sopra. Gli uomini temevano la matriarca, la riverivano e le obbedivano. Il focolare, che essa alimentava in una grotta o in una capanna, fu il loro primo centro sociale, e la maternità il loro primo mistero. Ecco perché la prima vittima di un sacrificio pubblico greco era sempre offerta a Estia55 del Focolare. In tutta 54

I bambini cretesi erano chiamati scotioi, “figli delle tenebre”, perché rimanevano chiusi fino alla maggiore età nei quartieri delle donne, non avendo ancora ricevuto dalla sacerdotessa madre il permesso di usare le armi e di godere della libertà. Infatti, il dono delle armi era una prerogativa matriarcale, che si esplicava al momento del matrimonio sacro. Così anche nei miti celtici e germanici. 55 Personifica il focolare, di cui è dea e custode. Figlia di Crono e Rea, sorella di Zeus e di Era, fu eternamente vergine e riceveva un culto particolare sulla terra, in tutte le case degli uomini, e sull’Olimpo dagli dei, di cui rappresenta l’immobile centro. I Romani la chiamarono Vesta e le dedicarono un culto particolare, in cui le sacerdotesse, dette vestali, dovevano tenere sempre acceso il fuoco sacro e dovevano anche mantenere intatta la loro verginità, 37


la Grecia anche a Sparta, dove la famiglia era subordinata allo Stato, la vita si accentrava attorno al focolare domestico considerato quindi altare sacrificale; ed Estia, dea del focolare, rappresentava la sicurezza familiare e la felicità, nonché i sacri doveri dell’ospitalità. Questa dea era oggetto di grande venerazione, non solo perché era la più mite, la più onesta e la più caritatevole delle dee dell’Olimpo, ma anche perché inventò l’arte di costruire le case, e il suo fuoco56 è tanto sacro che semmai un focolare si spenga, o per caso o in segno di lutto, subito lo si deve riaccendere con l’aiuto della pietra focaia. L’arcaico simbolo aniconico della Grande dea, diffuso in tutto il bacino del Mediterraneo, e che troviamo a Delfi come omphalos o ombelico, era un braciere, il cui fuoco era mantenuto vivo sotto un velo di cenere. Lo si vede spesso nelle pitture vascolari greche e si supponeva fosse il centro del mondo. Su questo sacro oggetto di culto, scampato alla distruzione del tempio, sta scritto il nome della Madre Terra. Corrispondeva in pratica al mezzo di riscaldamento più semplice ed economico del tempo; non faceva né fumo né fiamma, e la famiglia, o il clan, vi si raggruppava attorno durante le riunioni. In seguito fu identificato col tumulo pena la morte. Una delle vestali, Rea Silvia, generò Romolo e Remo per intervento di Marte (Ares), come accadde alla Vergine Maria in seguito. Le feste di Vesta erano dette Vestalia e avevano luogo il 9 giugno. Le vergini Vestali custodivano in Roma, come talismano della città, il Palladio, che era una pietra o altro oggetto del culto, attorno al quale danzavano le ragazze di una particolare tribù, oppure dei giovanetti, poiché pallas era termine usato indiscriminatamente per i due sessi. Palladia probabilmente veniva da “palta”, cioè “cosa caduta dal cielo”. 56 Il fuoco aveva un duplice scopo, tenere lontani i predatori ed il freddo, e costituire un fattore di aggregazione delle persone. Per questo era considerato sacro, ed era usato in molte cerimonie. Era uno stimolo forte per visioni e previsioni, per cui era usato dai sacerdoti. Ricorrente era il rito di camminare nel fuoco, poiché si riteneva che il fuoco rendesse immortali. 38


sbiancato a calce, sotto il quale era sepolta la bambola del grano che a primavera sarebbe risorta come germoglio; e coi tumuli di conchiglie marine o di quarzo o di marmo bianco che coprivano le tombe dei re defunti. Non soltanto la Luna, ma (a giudicare da Emera in Grecia e da Grainne in Irlanda) anche il Sole era uno dei simboli celesti della dea. Nei miti Greci primitivi, tuttavia, il Sole è meno importante della Luna, poiché quest’ultima ispira un terrore superstizioso, non attenua la sua luce quando l’anno volge al termine e ha il potere di concedere o negare le benefiche piogge ai campi. Per i Greci, ma non solo, le variazioni meteorologiche, e in particolare le più o meno abbondanti piogge, potevano fare la differenza tra la vita e la morte. I Greci, infatti, celebravano le feste in occasione dei cambiamenti di tempo, dei cicli agricoli, al tempo dell’aratura, della semina, della mietitura. Si uccidevano allora animali a scopo di sacrificio57 e si mangiavano con l’accompagnamento di musiche e danze. Si può validamente ritenere che il ricordo di questi sacrifici, e del successivo pasto, sia ancora vivo tutt’oggi nel rito della comunione, dove è offerto ai fedeli il “corpo di Cristo”, il quale si è sacrificato per la salvezza dei propri sudditi, così come allora si sacrificavano agli dei gli animali per la salvezza dei loro sudditi. Invece per gli Egiziani era il Sole la massima divinità, poiché in luoghi dove le inondazioni del Nilo erano periodiche e 57

L’idea del sacrificio è stata portata agli estremi in India. Il sacrificio è crudele, ma necessario. Si fa ciò che si deve, per consentire che la vita continui. Dalla morte nasce la vita, così come dai rami morti nascono i nuovi germogli. Il mondo è un fuoco sempre acceso, e deve essere alimentato mediante i sacrifici compiuti dai sacerdoti. 39


regolari, e quindi non distruttive, l’attenzione del popolo non era volto alle piogge, la cui mancanza in Mesopotamia poteva essere causa di molte morti, ma al sole, che assicurava la crescita delle messi. Per cui in Egitto la suprema divinità era una divinità solare, alla quale si affiancava una divinità lunare femminile. Le tre fasi della Luna si riflettevano nelle tre fasi della vita della matriarca: vergine, ninfa (nubile) e vegliarda. In seguito, giacché l’annuale corso del Sole ricordava anche il crescere e il decrescere delle sue forze fisiche (la primavera come vergine, l’estate come ninfa, l’inverno come vegliarda), la dea fu identificata con i mutamenti stagionali che segnavano la vita delle piante e degli animali, e dunque con la Madre Terra che all’inizio dell’anno vegetativo produce soltanto foglie e boccioli, poi fiori e frutta e infine si isterilisce. La dea fu poi identificata anche con un’altra triade: la vergine dell’aria, la ninfa della terra e la vegliarda del mondo sotterraneo, personificate rispettivamente da Selene, Afrodite ed Ecate58. Questi accostamenti fecero sì che il numero tre59 divenisse sacro,

58

Divinità femminile dalle origini piuttosto misteriose, anche se Esiodo la considera figlia di Asteria e Persete. Il suo culto faceva parte dei misteri orfici. Concede ogni genere di favori, tra cui la benevolenza e l’eloquenza, la vittoria e ogni genere di abbondanza a tutti gli uomini che la invocano, secondo le loro attività. Più tardi divenne una specie di maga legata al mondo delle ombre, che regna sui demoni e sulle maghe, evoca gli spiriti, spaventa gli uomini, vaga nella notte per le strade (i trivii, da cui il suo appellativo di Trivia), annunciata dal latrato dei cani. Era rappresentata con tre teste o anche con tre corpi. Ecate in origine fu la triplice dea, dal potere supremo sul Cielo, sulla Terra e sul Tartaro. Ma gli Elleni diedero la preminenza alla sua forza distruttrice a scapito di quella creatrice, e infine fu invocata solo nei riti di magia nera, specialmente nei luoghi di confluenza di tre strade. 59 L’universo è costituito infatti da tre mondi: naturale, umano e divino. 40


mentre il numero della dea Luna divenne il nove60, poiché ognuna delle tre manifestazioni della dea era a sua volta scomposta in una triade. Queste varie manifestazioni col tempo si divisero, disgiungendosi, ma all’inizio era ben presente l’idea che esse fossero partecipazioni della stessa persona. Pur tuttavia, solo a Stinfalo in Arcadia tutte e tre le persone portavano lo stesso nome: Era. Come dea dell’anno vegetativo, cioè primavera, estate e autunno, era venerata come Fanciulla, Sposa e Vedova. Il mito relativo a questa dea è significativo per capire il passaggio dalla società matriarcale a quella patriarcale. La dea Era, figlia di Crono e di Rea, nacque nell’isola di Samo (oppure ad Argo), ed ebbe le Stagioni come sue nutrici. Dopo aver bandito il padre Crono, Zeus, che era il gemello di Era, la raggiunse è la corteggiò, ma solo quando egli si trasformò in un cuculo infreddolito ella ne ebbe pietà e lo riscaldò sul suo seno. Zeus riassunse il suo aspetto e la violentò, ed Era fu costretta a sposarlo. Alle nozze accorsero tutti gli dei con doni; in particolare partecipò la Madre Terra che donò un albero dalle mele d’oro. Significativo è anche il fatto che Era riacquista la verginità bagnandosi regolarmente alla fonte di Canato presso Argo61.

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Il nove è il numero lunare per eccellenza, la luna attrae le maree e la nona onda è per tradizione la più alta. 61 Anche Afrodite compiva a Pafo la stessa cerimonia. Il mito ricorda la cerimonia di purificazione imposta alla sacerdotessa della Luna dopo l’assassinio-sacrificio del suo amante, il re sacro. Inoltre, ovviamente, ricorda l’odierno battesimo, che purifica l’anima del battezzato. 41


Il nome di Era, interpretato di solito come parola greca che significa “signora”, deriva probabilmente da Herwa (“la protettrice”). Ella era la Grande Dea pre-ellenica venerata ad Argo e a Samo. La leggenda di Era ricorda forse la conquista di Creta e della Grecia micenea (cioè sotto l’influsso cretese), da parte degli Elleni62 invasori che, giunti a Creta come fuggiaschi (il cuculo), si arruolarono nella guardia reale e ordirono una congiura per impadronirsi del regno. Tutto ciò accadde tra il 1700 e il 1400 a.C. La dea Era veniva considerata una dea del calendario (le sue nutrici furono le stagioni), ecco il perché del cuculo, simbolo della primavera, e del melograno63 che reggeva in mano, simbolo del tardo autunno, a indicare la morte dell’anno. Un eroe non è altro che un “re sacro sacrificato ad Era”, il cui corpo riposava sotto terra, mentre la sua anima, cavalcando sul Vento del Nord, raggiungeva il Paradiso64. Le mele (o pomi) d’oro, nel mito 62

Il nome Elleni deriva da Elleno, figlio di Deucalione, che fu l’antenato dell’intera razza. Elleno a sua volta indica che egli era il rappresentante regale della sacerdotessa di Elle o Ellena, o Elena (Elena era il nome della dea-Luna spartana; gli spartani erano Dori) o Selene: la Luna. Infatti la prima tribù di Elleni giunse dalla Tessaglia, dove si onorava Elle. Secondo Aristotele il diluvio di Deucalione si scatenò nella regione compresa tra Dodona e il fiume Acheloo. Fu fatta quindi l’ipotesi che gli Achei invasero il Peloponneso, costretti a fuggire in seguito a piogge violentissime che avevano allagato le loro terre. Il culto di Elle pare abbia sopraffatto quello di Graia, proprio della città di Dodona. 63 Il melograno, il cui frutto quando è maturo si fende a forma di ferita e mostra i chicchi rossi all’interno, è simbolo della morte e promessa di resurrezione, laddove entrambe stanno nelle mani della dea Era o Persefone. Anche l’albero di mirto era in origine simbolo della morte. In seguito questa pianta divenne simbolo della colonizzazione, perché gli emigranti portavano con sé rami di mirto per dimostrare che intendevano por fine a un periodo della loro vita. 64 Paradiso è un termine quasi certamente di origine iraniana, e significa parco o giardino. 42


celtico e greco, erano appunto il passaporto per il Paradiso. L’eroe classico era appunto Eracle che, come il mitico Artù, morì mentre la sua anima veniva accolta nel paradiso, l’argenteo castello, la Corona Boreale che sta dietro il Vento del Nord. Eracle aveva vari aspetti. L’Eracle celeste nasce dalla fusione con Asclepio65, il dio della guarigione, che è a sua volta un amalgama del dio dell’orzo con un dio del fuoco. Asclepio è considerato figlio di Apollo, perché Apollo era identificato con il dio-Sole Elio66, e perché i sacerdoti del culto di Asclepio, derivato da quello del dio Egiziano Thoth, dio della guarigione e inventore della scrittura, erano giunti profughi dalla Fenicia e si erano rifugiati nelle isole di Coo, Taso e Delo, ove all’epoca la divinità prevalente era appunto Apollo. Quest’ultimo, secondo la tradizione, era nato nell’isola di Ortigia, vicino Delo, ed era identificabile con questo aspetto di Eracle fenicio, con Asclepio (cioè Crono, Saturno67 o Bran), Thoth68, Ermes69 (che i Greci 65

Asclepio, “sempre gentile”, anche detto Esculapio, era probabilmente l’appellativo elogiativo dato a tutti gli eroi guaritori, con la speranza di attirarsi la loro benevolenza. Ma Asclepio significa anche “colui che pende dalla quercia esculenta”, vale a dire il vischio (ixias, forza), usato dalle sacerdotesse della luna per guarire. 66 In epoca tarda il dio Elio, personificazione del sole, figlio di Iperiore e di Teia, fratello di Eos (Aurora) e Selene (Luna), appartenente alla generazione degli dei pre-olimpici, fu confuso con Apollo. In onore del dio Elio fu costruita la famosa statua di Rodi, poi conosciuta come il “Colosso di Rodi”. 67 Saturno regnò in Italia (Saturnia tellus). Da lui gli italiani si chiamarono saturnia gens. 68 Messaggero divino, come Mercurio e l’arcangelo Gabriele, annunciò alla regina Maud la sua divina maternità per diretta intercessione del dio Amon. Lo stesso dio Amon porrà nella bocca della regina una croce che donerà l’anima al futuro faraone. 69 Araldo e messaggero degli dei, è spesso presente nei miti come personaggio secondario ma fondamentale per lo svolgimento dei fatti. Era anche il dio dei sogni (si facevano a lui libagioni, prima di andare a dormire), delle invenzioni, del commercio, dei ladri, degli inganni, dei pascoli, delle strade, degli 43


identificavano con Thoth), Dioniso (che nelle leggende più antiche è un altro nome di Ermes. Inoltre Dioniso significa “il dios di Nisa”, cioè lo Zeus di Nisa70, località dell’antica Grecia71, laddove Zeus era identificabile con Saturno) e Melkarth (re della città), che si immolò su una pira come l’Eracle di Eta. L’Eracle-Melkarth era inoltre venerato a Corinto sotto il nome di Melicerte, figlio della Dea Bianca72 dei Pelasgi, Ino73 del monte Pelio. La figura di Eracle diviene ancora più gloriosa con la sua assunzione in cielo, fino ad essere un altro nome greco del Sole. strumenti musicali (inventò il flauto e la lira, che poi vendette ad Apollo), dei riti religiosi. Nei crocicchi delle strade si ponevano in suo onore delle immagini sotto forma di pilastro la cui parte superiore rappresentava un busto umano, ma con organi virili molto appariscenti, chiamate Erme. Porta in mano la verga, detta caduceo, al giorno d’oggi noto come emblema della professione medica, ha i calzari alati, un cappello a larghe tese (il petaso) e spesso è rappresentato con un agnello sulle spalle. Come accompagnatore delle anime dei morti agli inferi si chiamava “Psicopompo”. I Romani lo identificavano con Mercurio. Fu detto Trismegisto, cioè tre volte grandissimo (come re, legislatore e sacerdote). Probabilmente in origine era il Divino Fanciullo del calendario pre-ellenico, o l’Egizio Toth, dio dell’intelligenza, o ancora Anubi, che guidava le anime nell’oltretomba. I nastri bianchi araldici che ornavano la verga di Ermete furono più tardi erroneamente scambiati per serpenti, poiché il dio era araldo di Ade. L’invenzione di un metodo per accendere il fuoco fu attribuita a Ermete, poiché il roteare del succhiello (maschile) nel ceppo (femminile) suggeriva una magia fallica. 70 Sul monte Nisa, Dioniso inventò il vino, cosa che gli dette grandissima fama. Secondo Ferecide, Nisa significa “albero”, con riferimento ovviamente all’albero della vite. 71 A Nisa la genealogia dei sovrani mostra chiaramente che la successione era matrilineare. 72 Leucotea, la Dea Bianca, era stata una pazza che si era gettata nelle acque da una rupe, con il figlio in braccio. Si chiamava in realtà Ino, ed era una delle quattro figlie di Cadmo e Armonia, e aveva sposato il re Adamante. Quella principessa pazza, poiché memore di indicibili orrori, e suicida, fu salvata perché aveva dato ospitalità all’orfano Dioniso, lo aveva cresciuto, dandogli il seno bianco come al figlio Melicerte. Suo simbolo era un nastro portato nei capelli, purpureo come il sangue. 73 Ino era Leucotea “la Dea Bianca”. Il suo nome significa “colei che rinvigorisce”. 44


Egli era quindi oggetto di culto sia come il Sole che non muore, sia come lo Spirito dell’Anno che di continuo muore e si rinnova, cioè sia come dio (Apollo, che non muta mai) che come semidio (Dioniso, che cambia continuamente aspetto). È questo il tipo di Eracle che i druidi veneravano con il nome di Ogma, inventore delle lettere, dio della guarigione e dell’eloquenza, della fertilità e della profezia (come Apollo).

45


La scoperta della paternità

A

i Natufani, una popolazione dell’Asia minore, si deve attribuire l’aver messo in rapporto il coito con la nascita di un bambino, aver cioè stabilito un

rapporto di causa ed effetto tra due eventi a distanza di nove mesi l’uno dall’altro. Tale scoperta avvenne in un arco temporale abbastanza lungo, probabilmente. Cioè fu l’effetto di una presa di coscienza che richiese molto tempo. In ogni modo tale conoscenza, oggi persino banale, allora rappresentò una scoperta straordinaria. Essa ha gradualmente cambiato la storia dell’uomo, consentendo l’instaurazione di legami e attribuendo all’uomo un potere enorme che ha finito per dargli un ruolo determinante prima riservato agli dei. Sino allora vi erano stati solo matrimoni di gruppo di tutte le donne di una data società con tutti gli uomini di un’altra: l’identità della madre era certa, quella del padre incerta ed irrilevante. L’istituzione della paternità recò con sé l’istituzione della monogamia. A seguito di questa scoperta si sono diffuse le religioni dell’ingam (pene), e le donne lo portavano appeso al collo, come un amuleto che propiziava la fecondità. Si giunse così ad una 46


vera esaltazione del pene che, simbolicamente, entrava in tutte le espressioni produttive legate alla sopravvivenza. La semina, per esempio, avveniva attraverso la penetrazione di un legno che mentre entrava nella terra, seguiva un andamento a vite. Si creava lo spazio per poi porre il seme. Man mano che la funzione del maschio nel processo di riproduzione divenne più evidente ed essenziale, probabilmente in conseguenza dell’allevamento del bestiame, alla Dea madre fu assegnato uno sposo che facesse la parte del padre nella procreazione.

Quest’ultimo,

nelle

vesti

del

Padre-Cielo,

fecondava la Madre Terra per generare un erede al trono che avrebbe regnato come suo figlio. L’uomo assunse molte delle pratiche sacre cui il suo sesso gli aveva impedito di accedere, e infine si dichiarò capofamiglia, anche se la successione femminile sopravvisse ancora a lungo. In realtà il re esercitava le sue funzioni solo per mandato della dea. Ciò non risultava vero solo in Egitto dove, come abbiamo visto, era data maggiore importanza al Dio-Sole, identificato col Faraone, che regnava in prima persona, affiancato dalla dea. La dea prese quindi a scegliersi ogni anno il suo amante, un re che sarebbe stato sacrificato alla fine dell’anno e che così diveniva un simbolo di fertilità più che uno strumento del piacere della ninfa. Il suo sangue, spruzzato tutto intorno, avrebbe fecondato i campi, gli alberi e le greggi, e le sue carni erano fatte a pezzi, bruciate e divorate dalle sacerdotesse, ninfe compagne della regina. Tale usanza fu poi modificata, così che il re moriva quando la forza del sole, con il quale il re si identificava, 47


cominciava a declinare a mezza estate, e un suo gemello o supposto gemello, diventava il nuovo amante della regina per essere a sua volta sacrificato a metà inverno reincarnandosi, come ricompensa, in un serpente oracolare (come il mitico Ofione). Ma quei re non comandavano, se non quando parlavano in nome della regina, cosicché i regni rimasero sempre sotto la tutela della Luna, e allo stesso modo il re (la cui vita era identificata con il corso stagionale del sole) rimase sempre sotto la tutela della regina, almeno in teoria, anche quando il periodo matriarcale era stato superato. Nella società matriarcale il divorzio dalla moglie regale implicava la rinuncia al regno che costituiva la sua dote. Quando gli antichi pregiudizi si furono affievoliti in Grecia, un re sacro alla fine del regno poteva sfuggire alla morte abbandonando il trono e sposando un’altra ereditiera. La discendenza matrilineare, ovviamente, era un assioma ereditato

dalla religione pre-ellenica.

Poiché il

re era

necessariamente uno straniero, che regnava soltanto in virtù del suo matrimonio con la sacerdotessa, i principi del sangue imparavano a considerare la loro madre come l’unica e vera sovrana, e il matricidio diventava così un delitto orrendo. Inoltre, essi erano istruiti nei miti dell’antica religione, secondo la quale il re sacro era stato sempre tradito dalla moglie sacerdotessa, ucciso dal successore e vendicato dal figlio, e sapevano che il figlio non puniva mai la madre adultera, poiché essa aveva agito col pieno consenso della dea.

48


Quando le donne erano sovrane in materia di religione gli uomini potevano agire liberamente in certi campi, purché non infrangessero le leggi matriarcali. Queste leggi variavano leggermente, così in una società era eletto comandante in capo lo zio materno della regina, oppure suo fratello. Il tempo fu inizialmente suddiviso secondo le fasi lunari, e le più importanti cerimonie erano celebrate in corrispondenza di queste fasi. Il numero sette74 acquistò carattere sacro perché il re moriva durante la settima luna piena che seguiva il giorno più corto. Anche quando si calcolò in maniera più precisa la durata dell’anno, suddividendolo in 364 giorni (con qualche ora di differenza), lo si divise comunque in mesi, cioè in cicli lunari, anziché in frazioni dell’anno solare. I mesi all’origine erano di ventotto giorni, e anche il ventotto era numero sacro, poiché la Luna era considerata come una donna il cui ciclo mestruale è approssimativamente di ventotto giorni. La settimana di sette 74

La sacralità del numero sette ha in realtà origini antichissime, addirittura risalenti ai tempi degli Egizi. La visione di Ermes, il primo sacerdote iniziato che ebbe una rappresentazione della divinità nella sua forma statica e dinamica, è costituita, in prevalenza, dall’osservazione dei sette pianeti, sette sfere collegate ai sette principi che reggono il mondo. Il sette però simboleggia i sette stadi della materia e dello spirito, sette sono i geni e gli dei cosmogonici legati ai pianeti, prima, e ai giorni della settimana, poi; i sette geni della visione di Ermes sono i sette Deva dell’India, i sette grandi angeli della Caldea, le sette Sephirot della Qabbalah (più tre che rappresentavano la triade divina), i sette Arcangeli dell’Apocalisse cristiana. Non solo, ma sette sono i colori dell’arcobaleno, sette sono le note del pentagramma, ma anche la costituzione dell’uomo, triplice per essenza, è settupla per evoluzione. Secondo gli Egizi abbiamo: chat, il corpo materiale, ankh, la forza vitale, ka, il doppio eterico o corpo astrale, hati, l’anima animale, bai, l’anima razionale, cheybi, l’anima spirituale, ku, lo spirito divino. Ma soprattutto, secondo Pitagora, il sette è la somma del tre, che simboleggia la divinità, e del quattro, che rappresenta l’uomo. Il sette è simbolo di ritorno all’uno, è immobile perché ingenerato ed ingenerante, simbolo dell’unione di contrari, dunque di unità e di perfezione, è il numero del compimento del mondo e della pienezza dei tempi. 49


giorni era l’unità del mese lunare e le caratteristiche di ciascun giorno furono dedotte dalle caratteristiche attribuite al mese corrispondente della vita del re sacro. Questo sistema portò ad un’identificazione ancora più stretta della donna con la Luna e, poiché l’anno di 364 giorni è esattamente divisibile per ventotto, l’annuale succedersi delle feste popolari poteva essere regolato dal succedersi dei mesi. Ovviamente questo anno era di tredici mesi, e sopravviveva ancora mille anni dopo l’adozione del calendario75 giuliano, come tradizione religiosa tra il volgo europeo. Il tredici è considerato un numero infausto; esso è, infatti, il numero del mese nel quale muore il Sole. I giorni della settimana erano affidati alla tutela dei Titani: geni del Sole, della Luna e di cinque pianeti scoperti in seguito, essi erano responsabili dei corpi celesti. Il Sole passava quindi attraverso tredici fasi mensili che iniziavano col solstizio d’inverno, quando i giorni cominciano ad allungarsi dopo il lungo declino autunnale. L’anno sidereo aveva un giorno in eccedenza e divenne il più importante poiché in quel giorno appunto la ninfa tribale, la dea, sceglieva il suo divino sposo, di solito il vincitore di una gara atletica. Questo primitivo calendario subì delle modifiche. In certe regioni il giorno eccedente non fu posto dopo il solstizio d’inverno, ma fu intercalato dopo la Candelora, quando si 75

Kalendarium deriva da Kalendae, ed era in origine il libro dei crediti dei banchieri e di color che prestavano denaro. Infatti, il primo del mese si dovevano pagare gli interessi, sicché i debitori lo chiamavano tristes Kalendae. Solo successivamente assunse il significato di sistema convenzionale di suddivisione dell’anno. 50


manifestano i primi segni della primavera, o all’equinozio di primavera, quando si supponeva che il Sole giungesse a piena maturità, oppure a mezza estate, o anche al sorgere di Sirio, quando il Nilo inondava la pianura Egiziana, o ancora all’equinozio d’autunno quando cadono le prime piogge; insomma fu posto in un diverso tempo, un diverso Capodanno. Col concentrarsi dell’energia creativa sul principio generativo maschile, la dea andò perdendo in certo qual modo la sua supremazia e il suo prestigio, ma il culto originario dell’Asia occidentale si conservò diffondendosi dalla sua patria natale nel vicino Oriente all’Anatolia e all’Egeo, e di là alla penisola iberica

e

all’Europa

nordoccidentale,

dove

accompagnò

l’espansione della cultura megalitica. La figura della dea si andò trasformando sempre più in una divinità sincretistica che abbracciava tutte le dee connesse ai vari attributi della maternità, della generazione e della fecondità. Ciò fu più evidente nel caso di Iside che, inizialmente subordinata al Dio-Sole, divenne poi la madre di tutti gli dei diffondendosi ovunque e acquistando santuari anche a Malta, in Sardegna, in Fenicia, a Pozzuoli, Pompei, Ercolano e Ostia, fino al colle Capitolino di Roma.

51


Le feste stagionali

I

l fenomeno di un culto comune accentrato nel ciclo della vegetazione, in cui il re e la regina impersonavano il giovane dio e la Dea madre, ricorrente in tutto il Vicino

Oriente e nell’Egeo, con notevoli punti di contatto ma anche di discordanza, è stato largamente influenzato dalle caratteristiche dell’ambiente nel quale si manifestava, e in particolare dai fenomeni climatici. Se nell’era paleolitica le feste (o cerimonie) stagionali si accentravano all’epoca della riproduzione della selvaggina o della comparsa di frutti, radici e bacche selvatiche, più tardi, quando l’agricoltura e la pastorizia divennero i principali mezzi di sussistenza, le feste furono riferite alle operazioni relative, semina e raccolto, governate a loro volta dal ciclo della natura: primavera e autunno, estate e inverno. In Egitto, dove le inondazioni del Nilo erano periodiche, la semina e il raccolto erano quindi gli avvenimenti principali dell’anno, corrispondenti alla stagione delle nascite nelle società di cacciatori o di pastori. L’anno iniziava il 19 luglio, in coincidenza

con

la

piena

del

fiume,

nella

“stagione

dell’Inondazione” (Thoth). Quattro mesi dopo si celebrava la “stagione

dell’Apparizione”

(Tibi), 52

quando

le

acque


raggiungevano il massimo livello, e in febbraio-marzo la “stagione della Scarsezza” ne segnava il declino con la scomparsa del grano seminato in novembre e con l’approssimarsi dell’estate (da marzo a giugno). L’intima relazione esistente tra la resurrezione del dio Osiride76 e il risveglio della natura era dimostrata dalle sue riproduzioni che lo vedevano morto, ma da lui germogliavano spighe di grano. In Mesopotamia la situazione era dissimile, poiché le piogge e le piene dei due fiumi non erano periodiche come in Egitto, per cui quest’incostanza rendeva difficile collegare le feste con gli andamenti dei fiumi. Si doveva perciò fare ricorso alla periodicità della natura e all’alterno declinare e rinnovarsi della vita, così come osservato nel corso naturale degli avvenimenti. Questi però non erano considerati avvenimenti naturali, ma soggetti a un controllo soprannaturale, per cui i periodici festeggiamenti e celebrazioni rappresentavano uno sforzo collettivo della comunità per effettuare il passaggio da una fase all’altra senza incidenti. Questa maggiore incertezza provocava un atteggiamento pessimistico nei confronti del corso degli avvenimenti naturali; i Babilonesi, infatti, celebravano al principio dell’anno un

rito di transizione che doveva

controbilanciare i rischi del ringiovanimento della natura. Essi, a differenza degli Egiziani, si preoccupavano più del fato presente della società che del proprio destino futuro personale. Perciò alla festa dell’anno nuovo concentravano tutta la loro attenzione sul ristabilimento dell’ordine cosmico. 76

O-Sir-Is, cioè il “signore intellettuale”, era la chiave di volta del governo di sacerdoti iniziati dell’Antico Egitto, cioè una sintesi delle scienze. 53


Anche in Palestina il ritorno di siccità e carestie costituiva un timore costante. Per evitare questo pericolo si compivano sacrifici e si celebrava la sconfitta, non definitiva ovviamente, ma continua come l’alternarsi delle stagioni, di Baal77 e di Mot. La religiosità di stampo agricolo degli Israeliti fu notevolmente influenzata dall’ambiente cananeo preesistente all’invasione degli stessi Israeliti. Le tribù Ebraiche si appropriarono dei templi dell’età del bronzo e delle osservanze rituali ad essi connesse, adattando tutto ciò alle proprie esigenze. Per quanto oscure siano le origini di Jahvè, è certo che egli non era un dio della vegetazione, anche se non è improbabile che prima dell’occupazione israelita fosse già conosciuto in Canaan come una divinità minore sotto il nome di Jau o Jo. Tutto sta ad indicare che prima dell’incontro con Mosè, Jahvè fosse una divinità del deserto venerata probabilmente tra i Keniti. Non si può fare a meno di supporre che, quando il culto jahvistico fu adottato da una parte delle tribù ebraiche, abbia subito un considerevole processo di adattamento per allinearlo alla memorabile esperienza della liberazione dalla schiavitù d’Egitto e a tutte le implicazioni che essa comportava. Quest’importantissimo avvenimento era commemorato alla festa di Primavera, rimasta conosciuta col nome di Pasqua, quando si offrivano i primi parti del gregge. Tale offerta era in ricordo di un massacro, quello effettuato dell’angelo di Jahvè nella sua campagna sanguinosa contro gli Egiziani.

77

Da ba’lu, “signore”. 54


La Pasqua (Pesach) aveva ovviamente in origine un significato lunare inteso ad assicurare la fertilità dei greggi e degli armenti, poiché il dio-Luna era un dio della fertilità. Ma Pesach significa “saltellare”, e ricorda la festa di primavera eseguita in onore della dea-Luna durante la quale si svolgeva una danza erotica della pernice, e i danzatori maschi saltellavano quasi zoppicando78. Il movimento dei danzatori era a spirale. Questa particolare forma di danza in seguito fu eseguita in onore del dio che aveva soppiantato la dea-Luna. Con il passaggio dalla società matriarcale a quella patriarcale il culto della pernice fu sostituito dal culto del toro celeste79, e le evoluzioni dei danzatori rappresentavano il corso annuale dei corpi celesti. La festa autunnale, invece, segnava l’inizio dell’anno agricolo, e dietro di essa si celava il dramma della morte e resurrezione del Dio-Anno, per quanto il tema potesse essere stato trasformato sotto l’influenza jahvistica e reso conforme alla posizione del dio d’Israele, che si elevava al di sopra della creazione e dei suoi processi come una divinità trascendente e non come un semplice dio della vegetazione. Del resto Jahvè era associato ad Anat, sua consorte, e d’altra parte il culto della regina del cielo80 era solidamente affermato in Israele prima dell’esilio. Quindi anche gli Ebrei, a Gerusalemme, prima delle riforme religiose 78

Come Efesto, che camminava zoppicando, Vulcano, anch’egli zoppo, ed anche Giacobbe, cioè Jah Aceb (“il dio tallone”) che era zoppo. 79 L’originario sacrificio del re venne sostituito dal sacrificio del toro. La figura del toro, o del minotauro, mezzo uomo e mezzo toro, parallela a quella del bisonte indiano, diventa assimilabile alla divinità. Il rito del sacrificio del toro riecheggia nelle moderne corride spagnole o nelle manifestazioni in cui si lotta con un toro, tipiche di alcune città francesi. 80 La “Regina del Cielo” era la Dea Madre Astarte, l’equivalente fenicia di Iside. 55


dell’Esilio, a settembre, celebravano il matrimonio tra il gran sacerdote che rappresentava Geova, e la dea Anatha, cioè Neith, o Atena. Caratteristici erano i riti di espiazione per la nazione ed i suoi membri, in cui assumeva un ruolo fondamentale il sangue come simbolo di vita. Il male, attraverso questi riti, inteso quasi materialmente come un miasma, era trasferito su un portatore, solitamente un capro (il “capro” espiatorio), che portava su di sé l’impurità allontanandola dalla nazione. Tale rito, se era peculiare delle tribù israelitiche81, in quanto le vicissitudini storiche facevano sì che si credessero impure, cioè mancanti nei confronti del loro dio, e quindi bisognose di aspersione, era però proprio anche di altre culture, come quella greca. In Attica la Thalysia, posta sotto l’influenza di Apollo, era appunto una cerimonia con la quale il male accumulato durante l’anno si accumulava su un criminale, pharmakos, che era fustigato, e consentiva che le nuove messi non nascessero contaminate. Più conosciuta è la Thesmophoria, cerimonia greca alla quale partecipavano sole donne, che costruivano capanne e sedevano per terra per stimolare la fertilità del grano, che era stato appena seminato, e assicurare la propria fecondità. Anche in Grecia, quindi, le feste erano stagionali, e legate ai cicli agricoli. In particolare i Misteri82 Eleusini83, legati alla oscura figura di 81

Il capro espiatorio era sacrificato ad Azazel (poi nome di un demone), che altri non era che Dioniso-Pan. 82 Dal verbo greco myò, che vuol dire “tenere la bocca chiusa”, da cui my’stés, cioè “tenuto al segreto”. 83 I misteri di Demetra, detti Tesmoforie, “debite offerte”, furono importati dall’Egitto. Erano orge di tipo agreste durante le quali si portavano in processione, in un canestro, i genitali del sacro re. In tempi più civili questi 56


Demetra e di Kore84, la prima personificazione dell’antica Madre Terra (o Grande Madre), che col tempo mitigò i suoi poteri a favore di Iacco (Bacco o Dioniso), il figlio che nasceva dalla dea durante i misteri, così come la spiga di grano, simbolo della vita e dell’immortalità dell’anima, nasce dalla terra. La spiga, infatti, cade nella terra e muore per poi fruttare nell’aldilà (cioè dove era stata portata Kore), come il grano che gli Ateniesi seminavano nelle loro tombe. Lo scopo principale delle feste stagionali era quello di celebrare il sacro connubio tra la dea e il re sacro, connubio che aveva lo scopo di risvegliare le forze riproduttive della natura, dopo il letargo in cui avevano trascorso la lunga notte dell’inverno, ed era messo in relazione con la morte e resurrezione del sacro sovrano che simboleggiavano l’annuale languire e rivivere della vegetazione. Poiché questi riti davano luogo a orge, dissolutezze e frenesie poco edificanti, una volta che il culto assunse queste caratteristiche, la sua diffusione nel mondo greco-romano fu ufficialmente condannata e il suo carattere e il suo contenuto vennero accusati di non essere né ellenici né Romani, nonostante che esso potesse vantare nella regione una storia lunga e variegata. Ma le sue radici e il richiamo che esso esercitava sul popolo erano così profondi che furono sostituiti da pani a forma di fallo e da serpenti vivi. Il momento culminante della cerimonia consisteva nell’elevazione di un chicco di grano, ovviamente come simbolo del dio della fertilità che rinasce, proprio come oggi il momento culminante della messa cattolica è quello dell’elevazione di un’ostia di grano. Durante i misteri eleusini venivano consumate dagli iniziandi notevoli quantità di un fungo allucinogeno, l’Amanita muscaria. Tale fungo sembra fosse coltivato anche nelle grotte di Qûmran. 84 Kore, la fanciulla o la vergine. 57


alla fine dovette essere accettato, e nel periodo imperiale la dea riacquistò la sua posizione ufficiale, seppure in una forma più contenuta e moderata come il culto di Dioniso in Grecia. La morte temporanea cui il re sacro si sottoponeva mentre un fanciullo interrex prendeva il suo posto per un solo giorno, che aveva lo scopo di eludere la legge che proibiva al re di regnare per più di tredici mesi dell’anno solare, ispirò probabilmente il mito dell’eroe che discendeva negli inferi, così come avvenne per Teseo, Eracle, Dioniso, Orfeo in Grecia, ma anche Bel e Marduk in Babilonia, Enea in Italia, Chuchulain in Irlanda, Artù, Gwydion ad Amathaon in Britannia. In origine, quando la successione era matrilineare, il re sacro durava in carica un solo Anno e, alla fine, veniva sacrificato alla dea, mentre un sostituto si univa alla sacerdotessa della dea. Il primo passo verso la successione patrilineare fu quello di allungare la carica del re che, alla fine del Grande Anno, non moriva. Un sostituito solo per un giorno prendeva il posto al fianco della regina e, alla fine del giorno, veniva sacrificato. Dopo il sacrificio il re, quale dio del Tuono, riassumeva il suo posto. Il sostituto veniva detto interrex. In origine il re che doveva essere sacrificato indossava, durante la cerimonia, una pelle di capra, perché egli impersonava il dio dell’anno calante, il cui simbolo era un capro appunto. A volte al suo posto veniva immolato un capro, il cosiddetto capro espiatorio.

58


Il culto dei morti

L

a stretta associazione del dramma stagionale con la morte e la resurrezione ad una nuova vita oltre la tomba, dimostra quanto fosse intima la relazione

esistente tra il desiderio di vita in questo e nell’altro mondo. Il culto dei morti era già osservato all’età della pietra. Esso si modificò adattandosi alle credenze e alle esigenze dei popoli. Il mistero della morte, ovviamente, suscitava ovunque un complesso di sentimenti profondi di timore, e rispetto. Ciò che si cercava

maggiormente

era

un

mezzo

per

ottenere

il

rinnovamento della vita, un prolungamento della vita terrena nell’aldilà. Così come accadeva alle messi, che stagionalmente rinascevano, si affermò la credenza che lo stesso accadesse all’uomo. Il culto funerario Egizio, ma non solo, era inteso ad assicurare al morto condizioni uguali ai vivi. Originariamente ci si occupava soprattutto della sopravvivenza del Faraone, in quanto simbolo dell’intero popolo. Con la diffusione del culto di Osiride, che per gli Egizi era il simbolo della resurrezione di tutta l’umanità (come lo è oggi Gesù per i cristiani, e come lo era Dioniso per i Greci), il concetto di sopravvivenza oltre la morte 59


si ampliò a tutti coloro che erano in grado di superare la prova, ossia il giudizio davanti ad Osiride e ai quarantadue assessori radunati nella “Sala della Doppia Verità”. In

ogni modo, questo processo di democratizzazione

dell’accesso all’immortalità non fu esclusivo dell’Egitto. In Babilonia il concetto di immortalità era poco sentito. La morte era ineluttabile, e anche se alla festa dell’Anno Nuovo si celebrava la sconfitta della morte e la vittoria della natura, con l’avvento delle piogge, tuttavia, era solo la vita sulla terra che si rinnovava. Nelle comunità palestinesi il culto dei morti era inizialmente praticato in maniera diffusa. Tanto i Cananei che gli Ebrei erano concordi nel ritenere che la morte non fosse il termine ultimo dell’esistenza; ma a questo culto si aggiungevano pratiche negromantiche e di divinazione attraverso i morti. Queste pratiche contrastavano con l’autorità assoluta del dio unico Jahvè, perciò i morti, da elohim (esseri divini), con i quali si può discutere, divennero rephaim, cioè esseri “impotenti”, che risiedevano nello Sheol, luogo che fu posto fuori della giurisdizione del dio, il quale si occupava esclusivamente dei vivi. L’uomo quindi poteva rivivere solo attraverso i suoi discendenti, e non sperare in una vita dopo la morte, se non sotto forma di anima, afflato aeriforme di nessuna importanza. Quando l’escatologia85 iraniana penetrò in seno al giudaismo e si affermò la giurisdizione di Jahvè sui morti, lo Sheol divenne uno stato 85

L’escatologia, da eskhatos “ultimo”, si occupa delle cose ultime, del destino finale dell’uomo e del mondo e, perciò, della credenza nell’immortalità dell’anima, nella fine del mondo, nella resurrezione dei morti. 60


transitorio per gli Israeliti fedeli, pur rimanendo la dimora finale per il resto dell’umanità. I fedeli potevano sperare di raggiungere il Paradiso. I malvagi erano destinati alla Gehenna, una sorta di Tartaro86 infernale inteso come luogo di perenne tormento. Il concetto di immortalità si sviluppò in Grecia parallelamente a quello di Israele. Inizialmente, ai tempi di Omero, i morti diventavano delle semplici ombre, alla stregua dei rephaim ebraici. Alla morte la psiche, o alito di vita, fuggiva dal corpo con l’ultimo respiro e, quale debole ombra, prendeva dimora nel regno di Ade. Invece di continuare, insieme al corpo, la vita consueta in una tomba ricca di suppellettili, le spoglie mortali erano distrutte col fuoco il più presto possibile per evitare che potessero ostacolare la partenza dell’anima. Ma poiché la sede della sensibilità e delle percezioni era il cuore e il diaframma, e quindi apparteneva al corpo fisico, la psiche liberata era priva di coscienza e di emozioni, e ciò che rimaneva era un’ombra spettrale senza sostanza. Solo agli eroi privilegiati, come Eracle, era concesso una sopravvivenza nelle Isole dei Beati. Ma essi erano semidei, e conservavano i loro corpi. Come accadeva in Israele, però, non poteva essere questa la sentenza definitiva circa il destino finale dell’umanità. Se inizialmente solo agli dei era riservata l’immortalità, in seguito la tradizione omerica, che non soddisfaceva i bisogni spirituali dell’umanità, fu superata da nuovi movimenti religiosi che introdussero il concetto misteriosofico di un beato aldilà cui si poteva pervenire attraverso un processo di iniziazione in culti 86

Tartaro è il raddoppio della parola tar, frequente in nomi di località che si trovano ad occidente. Tar-tar, quindi, indicava “il lontanissimo ovest”. 61


esoterici. Lo scopo principale di questi culti segreti era quello di ottenere una sorte migliore oltre la tomba. Una volta affermata l’origine divina dell’anima, si poteva raggiungere la beatitudine eterna adottando il sistema di vita orfico, con le sue purificazioni attraverso cicli di rinascite successive, che si protraevano fino a quando l’anima si liberava dalla prigione del corpo e raggiungeva il suo Elisio finale. Poiché questo comportava ricompense e punizioni che venivano dopo la morte, il concetto di aldilà si arricchì di un elemento etico ben discosto dall’amorale Ade della tradizione omerica. Toccò a Platone portare alla viva luce del pensiero filosofico l’origine e il destino dell’anima intesa, adesso, quale parte nobile rispetto al corpo, che era solo uno strumento. Ma prima di pervenire allo stato di pura conoscenza essa poteva essere soggetta a un ciclo di rinascite anche di diecimila anni; perciò molti si volsero ai Misteri ellenizzati di Iside e di Atti (o anche Hatti), che offrivano ai loro seguaci l’assicurazione più immediata di un beato aldilà attraverso un processo rituale di iniziazione87. È palese che dietro le speculazioni simili di tutti questi popoli si intravede il concetto primitivo di sopravvivenza umana.

87

Il supremo comandamento dell’iniziazione è di riprodurre la perfezione divina nella perfezione dell’anima. 62


Il giovane dio

Q

uindi, se la figura dominante prima era stata quella della madre prolifica e vivificatrice, da un certo punto in poi le cose cambiarono. L’uomo cominciò ad avere

coscienza del proprio ruolo nella procreazione, si avvide che per la generazione dei figli occorreva anche un proprio apporto. Forse inizialmente si credeva che questo apporto fosse minimo, in ogni caso si ebbe una prima idea del reale funzionamento del processo della nascita. Per cui alla dea femminile si affiancò un dio maschile. Questo

nuovo

tipo

di

società

che

nasceva

era

fondamentalmente una società di coltivatori. Quindi, essendo la loro vita basata essenzialmente sui cicli di semina e raccolta, fu giocoforza creare dei parallelismi (o meglio rinsaldare quelli che già esistevano nella società matriarcale) tra questo ciclo della natura e il ciclo umano della vita e della morte. Possiamo

sostenere

che

alla

nascita

dei

primi

culti

contribuirono le condizioni ambientali nella situazione critica venutasi a creare nel periodo di transizione dalla caccia e dalla pura ricerca di cibo all’agricoltura e alla pastorizia. È ovvio che, se nella prima fase l’uomo si sentiva padrone del proprio destino, 63


anche se le proprie condizioni di vita non erano certo ottimali, nella seconda non è più così. Con il passaggio alla seconda fase, infatti, si può asserire che l’uomo acquista una certa stabilità, nel senso che non è più legato alla lotteria della caccia, che un giorno va bene e uno va male (anche se poi il rischio di rimanere senza cibo era mitigato, come abbiamo visto, da altri elementi), ma è connesso alla riuscita delle coltivazioni. Questa riuscita è, però, in parte indipendente dall’attività umana. La caccia è opera dell’uomo, mentre la coltivazione è opera esterna all’uomo. L’uomo semina, ma non è lui che fa piovere. Neppure è lui che fa crescere le messi. Questo è opera di qualcosa di esterno all’uomo, di qualcosa che, proprio per questo, l’uomo teme, e cerca di ingraziarselo. Ecco quindi la necessità di crearsi degli dei, cioè delle persone che comandano gli elementi, con i quali si può parlare, discutere, mercanteggiare, contrattare. Qualcosa insomma di meno impersonale di quanto possa essere il vento e la pioggia. Cioè si personifica tutto ciò che colpisce l’immaginazione dell’uomo, in senso positivo o negativo. Così si ha il dio dei venti, quello della pioggia e via discorrendo. Questo elemento personalizzato viene identificato nella Madre Terra, come divinità femminile, madre di tutti i viventi, e, nell’altra sua accezione, nella luna. La dea Terra veniva concepita come forza generatrice della natura nel suo complesso, e a lei venne attribuito il periodico rinnovamento della vita in primavera, dopo la gelida desolazione dell’inverno o l’arsura dell’estate. 64


In quei popoli vigeva una società matrilineare nella quale era la regina a comandare, ed essa si sceglieva di volta in volta un consorte che sarebbe poi stato sacrificato, anche se in seguito ciò avveniva solo simbolicamente, per poi far ripetere il ciclo. È di tutta evidenza il parallelismo con la coltivazione. Si semina, poi si raccoglie. Il seme viene inserito nella fredda terra, e perciò va nel regno dei morti, ma esso rinasce e diventa spiga (o orzo; una di queste due fu la coltivazione originaria dell’uomo). Ma esso per rinascere di nuovo deve morire, cioè deve ritornare nel mondo dei morti, sottoterra. Per questo il re deve essere sacrificato, affinché il nuovo re spiga possa poi rinascere da se stesso, come la fenice. La costante in questo ciclo è la donna dea che, come incarnazione della Grande Madre, la dea Terra che dona il cibo all’uomo, svolge il ruolo di vaso, di contenitore, per il seme che diventerà spiga. Essa accoglie in se il re chicco-di-grano, e lo restituisce poi sotto forma di spiga nuovo-re, dando così al suo popolo il cibo che gli consentirà di sopravvivere. I calendari originari erano basati sull’alternarsi dei cicli delle coltivazioni. Erano quindi prettamente calendari lunari. Il ciclo della coltivazione si svolgeva all’interno di un anno (che non corrispondeva al nostro), ed è per questo che il vecchio re ed il nuovo re acquisivano il nome di Anno Vecchio e Anno Nuovo, identificandosi con essi. L’Anno Vecchio doveva morire perché potesse nascere l’Anno Nuovo, e non poteva essere altrimenti. Solo così il ciclo poteva ricominciare, perpetuandosi e consentendo al popolo di continuare a vivere. 65


È importante notare come il processo, per potersi svolgere correttamente, dovesse sviluppare tutte le sue fasi, cioè si doveva avere l’inverno, la primavera e l’estate. Non era possibile saltare una fase, non era possibile, ad esempio, non far venire l’inverno, non far morire l’Anno Vecchio, perché altrimenti non ci sarebbe stato l’Anno Nuovo, cioè il rinnovamento non sarebbe stato compiuto. Non poteva esistere l’uno senza l’altro. La maggiore importanza dell’uomo nel processo procreativo comportò quindi la necessità di dargli un ruolo nel ciclo cosmico, dapprima come un semplice comprimario, poi in seguito con un ruolo, e un’importanza, maggiore. Egli diverrà quindi un semi dio, poi un dio vero e proprio. Alla fine diverrà il dio unico e occuperà il posto che era stato inizialmente della dea, scalzandola dalla sua posizione egemonica. All’inizio, al fianco della Grande Madre, signora di tutte le creature viventi, si pose quindi il giovane dio, che fu proprio il “re chicco di grano-spiga”, che acquisiva finalmente un ruolo nella creazione. Dapprima la creazione era emanazione della sola dea madre Terra, adesso partecipa anche il “dio Anno VecchioAnno Nuovo”. Quest’ultimo, infatti, viene inglobato dalla dea che lo fa morire per poi riportarlo alla vita come raccolto. Adesso la spiga è diventata un Dio vero e proprio, anche se subordinato alla dea. Infatti, è la dea che lo comanda, che lo ingloba e lo fa rinascere donandogli la vita. Il dio senza la dea non è nulla, infatti è destinato a morire. Egli, come re, comanda solo per voce della dea, la regina. Ma è importante che adesso egli esiste e acquista finalmente un ruolo nella creazione. 66


Il re sacro

A

d un certo punto il re che governava in nome della dea e che veniva ciclicamente sostituito, rifiutò di sacrificarsi.

Il classico re sacro88, o giovane dio, che si sacrifica alla Dea dopo essere stato suo consorte, è Eracle89. Eracle, o Ercole (Herakles in greco significa “gloria di Era”, antico nome della dea della morte cui erano affidati gli spiriti dei re sacri, che essa trasformava in eroi oracolari), è una divinità maschile composita, in cui convergono diversi eroi oracolari di diversi popoli a 88

Il re sacro veniva consacrato al frassino, di cui ci si serviva in origine durante le cerimonie propiziatorie della pioggia. 89 Detto Ercole dai Romani, è il più grande e popolare eroe di tutta la mitologia classica. Figlio di Zeus e di Alcmena, si chiamava Alcide o Alceo, ma ebbe il nome mutato in Eracle dal momento in cui divenne il servitore di Era. Il suo padre mortale, marito di Alcmena, è Anfitrione, nelle cui sembianze Zeus si presentò alla moglie. Era, gelosa di Alcmena, ottenne che la nascita di Eracle, e del suo gemello Ificle, figlio di Anfitrione che possedette Alcmena subito dopo Zeus, fosse ritardata affinché non si compisse il vaticinio secondo il quale il bambino nato in quel giorno avrebbe regnato su Argo. Appena i due gemelli nacquero, Era mandò due serpenti affinché li uccidessero nella culla, ma Eracle li strozzò. Eracle apprese da Anfitrione a guidare il cocchio, da Castore l’uso delle armi, da Autolico la lotta, da Eurito il tiro con l’arco, da Eumolpo la musica, da Chirone le scienze. Si sottopose alle famose dodici fatiche, istituì i Giochi Olimpici, innalzò le Colonne d’Ercole ai due lati dello stretto di Gibilterra, liberò Prometeo, si fece iniziare ai Misteri Eleusini al fine di introdursi nell’oltretomba, e infine sposò Deianira, che fu la causa della sua morte. Zeus lo portò sull’Olimpo, rendendolo immortale. Si riconciliò con Era, e sposò Ebe. 67


diversi stadi di sviluppo religioso, alcuni assurti al rango di veri e propri dei, altri rimasti eroi, cioè semidei. Egli nasce nella leggenda come un re sacro pastorale, porta con se la clava di quercia90 (la quercia attrae il fulmine); suoi emblemi sono: la ghianda91 (per la sua forma il glans penis in greco e in latino), il colombo che nidifica anche nelle querce (la colomba era sacra alla dea dell’amore), il vischio (era considerato una panacea, e i suoi nomi, latino e greco, viscus e ixias, sono collegati a vis e ischius, “forza”, probabilmente a causa della vischiosità delle sue bacche che richiama lo sperma, veicolo della vita). Questo dio era la guida maschile di tutti i riti orgiastici. Ogni anno celebrava il suo matrimonio silvestre con la regina dei boschi (come il giovane dio con la Dea Bianca). La sua morte è abbastanza particolare. A metà dell’estate, alla fine di mezzo anno del regno, Eracle viene ubriacato di idromele e condotto al centro di un cerchio di dodici92 pietre disposte intorno ad una quercia, di fronte alla quale c’è un altare di pietra. La quercia è 90

La quercia è l’albero sacro a tutti gli dei del tuono, come Zeus, Giove, Eracle, Dagda (il capo dei più antichi dèi irlandesi), Thor, Allah, Jahvè. La quercia, albero sacro per eccellenza, fiorisce di mezza estate, è l’albero della sopportazione e del trionfo. Si sostiene che le sue radici siano tanto alte quanto i suoi rami, cosa che lo rende simbolo di un dio la cui legge vige sia in cielo sia nell’oltretomba. La quercia, forse a causa del suo aspetto maestoso, delle sue dimensioni e della sua longevità, specie se rapportata ad altri alberi, simboleggiava “il padre degli dei” tra tutti i popoli di ceppo ariano. Era quindi un simbolo fallico. 91 Le ghiande dolci, che costituivano il nutrimento principale dell’uomo, prima della coltivazione del grano, crescevano in Libia. 92 Il numero dodici è spesso ricorrente nella mitologia. L’Attica fu divisa in dodici comunità, così come la confederazione formatasi nel delta del Nilo e in Etruria; anche il territorio di Canaan fu diviso tra dodici tribù. Probabilmente tali divisioni nascevano dall’esigenza che il re potesse passare un mese presso ciascuna tribù. 68


sfrondata fino ad assumere la forma di una T. Eracle è legato all’albero con corregge di salice ed è percosso fino a perdere i sensi. Allora viene scuoiato, accecato, castrato e trafitto con un paletto di vischio, e infine smembrato sull’altare di pietra. Il suo sangue viene disperso sull’intera tribù per renderla forte e vigorosa, i pezzi del suo corpo bruciati, mentre selvagge danze iniziano intorno al fuoco, e i danzatori mangiano la carne del dio. La sua testa viene posta su una barca di legno d’ontano per raggiungere un’isola nel fiume93. All’ucciso succede il suo successore che regna per un nuovo anno fino alla sua morte rituale. Le dodici fatiche di Ercole, non furono altro che combattimenti rituali cui si sottoponeva il re sacro. La prima fatica era il combattimento con il leone; il combattimento rituale del re sacro con gli animali faceva parte della cerimonia dell’incoronazione in Grecia, Asia Minore, Babilonia e Siria. Ogni animale rappresentava una stagione dell’anno. Domando questi animali il re acquistava potere sulle stagioni che si susseguivano nel corso dell’anno. La seconda fatica, la lotta con l’idra di Lerna, ricorda la lotta contro le Danaidi, le antiche sacerdotesse delle acque di Lerna, che erano in numero di cinquanta, come le teste dell’idra. La vittoria di Eracle ricorda il tentativo compiuto per sopprimere i riti della fertilità che si svolgevano a Lerna. La terza fatica, la cattura della cerva (o daina) di Cerinea, probabilmente si rifà alla ricerca faticosa della Saggezza che viene raggiunta, secondo la tradizione mistica 93

Similmente Artù, alla sua morte, fu portato su una barca per raggiungere l’isola di Avalon. 69


irlandese, all’ombra di un albero di mele. Ciò spiegherebbe perché Eracle non uccise la cerva, ma si limitò ad inseguirla per un anno intero fino alle terre degli Iperborei, esperti in questi misteri, dove gli furono offerte delle mele (da cui il soprannome di Eracle, Melon), in onore della sua saggezza. La quarta fatica fu di catturare vivo il cinghiale Erimanzio, e poiché i cinghiali erano sacri alla Luna per via delle loro zanne ricurve, tale avventura è senz’altro riferibile alla guerra contro i seguaci della dea-Luna. L’ottava fatica, la cattura di quattro cavalle, era una prova che doveva superare il re sacro durante la cerimonia di incoronazione. L’undicesima fatica fu di raccogliere i pomi delle Esperidi, che simboleggiavano la saggezza e l’immortalità. L’impossessamento dell’oro che custodiva un serpente era anch’esso una prova che si chiedeva al re sacro. La dodicesima fatica, la cattura del cane Cerbero, era il culmine della divinizzazione

di

Eracle

che,

quale

eroe,

entrava

nell’Oltretomba, ma quale dio ne usciva portando con se il suo carceriere. Così, quindi, si sottraeva alla tutela della dea, rifiutandosi di morire per lei, ed avviando il passaggio alla società patriarcale. Allo stesso modo il tema principale dell’epopea di Gilgamesh è la ribellione degli dei del nuovo ordine patriarcale contro l’ordine matriarcale. Marduk, il dio di Babilonia, sconfigge Tiamat, la dea sotto forma di serpente marino, e poi annuncia di essere lui il creatore di tutte le cose. Anche Bel, che non è altro che la mascolinizzazione di Belili, la dea-madre sumerica, si era

70


vantato di aver sconfitto Tiamat attribuendosi il merito della creazione. Eracle è apparentabile a molti dei, come lo stesso Dagda, Zeus e Bran, ma il suo nome è chiaramente indice della sua sudditanza alla Dea, la Regina dei boschi. Infatti Eracle subisce le donne come una fatalità; le può violentare, può fecondarne cinquanta in una notte94, ma non sa impadronirsi della loro sapienza. Non sa neppure che è in loro la sapienza che gli manca. Invece il più giovane, e umano, Teseo, è in grado di andare oltre. Egli va in cerca delle Amazzoni e inganna subito la loro regina, Antiope; la rapisce, la fa innamorare, la sposa e ne fa la madre di Ippolito. Alla fine Antiope morì eroicamente combattendo al fianco di Teseo per la salvezza di Atene. Quindi è con Teseo che si ha il vero ribaltamento di ruoli. Egli sa che è nella donna il segreto che gli manca, che ella possiede la saggezza, perciò “usa” Antiope sino alle ultime conseguenze, perché tradisca tutto: la sua patria, la sua gente, il suo sesso, il suo segreto. Così quando Eracle giunse ad Eleusi, fu accolto solo perché Teseo garantiva per lui. Eracle quindi è l’esempio dei popoli che non accettano l’assoggettamento ai riti della Dea, ma non riescono a mutare lo status quo. Teseo invece capisce che per fare ciò deve sfruttare i punti deboli delle sacerdotesse, le concupisce, e raggiunge la divinità attraverso di esse, poi le soppianta.

94

Come del resto fece il dio celtico Bran. 71


Anche Zeus nasce come re sacro, soggetto alla dea. Egli, infatti, viene custodito dalla ninfa dei frassini Adrastea95, da sua sorella Io96, e dalla capra Amaltea97 (tre aspetti della dea). Egli si cibava di miele in compagnia del suo fratellastro Pan98. Zeus si trasformò in serpente per sfuggire al padre Crono che lo cercava per ucciderlo. Egli poi detronizzerà Crono uccidendolo, mentre Pan urlerà99, e ne prenderà il posto, così come Crono aveva fatto col padre Urano. 95

Adrastea significa “colei cui non si sfugge”, cioè la Vegliarda oracolare dell’autunno. Era anche l’appellativo di Nemesi, “debita esecuzione”, figlia di Nyx, che rappresenta la vendetta, e tende a castigate la hybris, cioè ogni tentativo di uscire dal limite imposto dalla propria natura, e ha il compito di riportare l’ordine e l’equilibrio ogni volta che una qualsiasi dismisura lo mettano in pericolo. Solo in un secondo momento divenne la personificazione della “Vendetta Divina”. Come Adrastea, era la nutrice di Zeus, una ninfa del frassino, e sorella delle Erinni. Inoltre era figlia di Oceano, come dea ninfa del melo, e rappresentava quindi anche Afrodite. 96 Io (“luna”) era un’orgiastica dea ninfa. 97 Il nome di Amaltea, “tenera”, dimostra che essa fu una dea vergine. 98 Dio dei pastori e delle greggi, è rappresentato come un demone mezzo uomo e mezzo animale, coi piedi e le corna di caprone, il naso schiacciato, il corpo peloso, la coda. Ha un’espressione di astuzia bestiale, la faccia grinzosa, i capelli incolti, la barba lunga e il mento prominente. Generalmente porta in mano un ramo di pino. È selvaggio e rumoroso, e insidia le ninfe. Conosce l’arte della divinazione, protegge le pecore, i capri, i pastori e i guerrieri. Il nome Pan, che generalmente si fa derivare da paein “pascolare”, sta per il “demone” o l’“uomo eretto”, presente nei culti arcadi di fertilità che erano assai simili alle operazioni magiche dell’Europa nord-occidentale. La leggenda di Pan che seduce Selene si riferisce probabilmente a un’orgia che si svolgeva al chiaro di luna a Calendimaggio, giorno in cui la Regina di Maggio cavalcava sull’ “uomo in piedi” prima di celebrare le sue nozze con lui. La Regina di Maggio era la personificazione della dea madre pagana presente nella wicca e in altri culti precristiani. Ella si avviava verso la foresta dove era ricevuta da Robin della foresta e dai suoi merry men (allegri compari). Robin provvedeva all’iniziazione sessuale delle fanciulle o, in tempi successivi, benediceva le giovani coppie dalle quali nascevano i Robinson, cioè i figli di Robin. È interessante notare che il nome della Regina di Maggio era Lady Marian. Mentre durante l’impero romano Pan venne riconosciuto come la divinità che governa il mondo naturale, con l’avvento del cristianesimo fu demonizzato e gli vennero attribuite caratteristiche sataniche. 99 L’improvviso urlo di Pan che atterrì i Titani divenne proverbiale e diede origine alla parola “panico”. 72


Questa

ripetizione

del

sacrificio

eucaristico,

conferiva

continuità alla regalità, giacché ogni re era per un certo tempo il dio-Sole amato dalla dea-Luna regnante, fino a quando doveva essere sacrificato e il suo posto veniva occupato dal nuovo dio. Ma quando questi riti cannibaleschi vennero abbandonati e il sistema a poco a poco si modificò fino a sfociare in un regno pluriennale da parte di un unico re, Saturno-Crono-Bran divenne semplicemente uno spirito dell’Anno Vecchio, per sempre sconfitto da Giove-Zeus-Belin, benché annualmente evocato a fini propiziatori nella festa dei Saturnalia o del solstizio d’inverno100. Il re sacro quindi è un re solare che alla morte fa ritorno alla Madre Universale, la Dea Bianca lunare, che lo imprigiona nell’estremo nord, lì dove non risplende mai il sole e da cui il vento porta la neve; nel freddo nord polare ci sono unicamente i morti101. Il dio solare nasce a mezzo inverno, quando il sole è più debole e ha raggiunto la sua stazione più meridionale; il suo rappresentante, il re-Sole, è ucciso al solstizio d’estate102, quando il sole raggiunge la sua stazione più settentrionale. Il luogo di sepoltura del re era un tumulo su un’isola, marina o fluviale, dove il suo spirito viveva sotto la protezione di sacerdotesse 100

Il solstizio d’inverno si aveva il 25 dicembre, ed era a tutti gli effetti una festività solare. Si festeggiava la nascita del sole, perché a partire da quella data i giorni cominciano ad allungarsi e la potenza del sole ad aumentare. 101 Il paradiso celtico era il Sole, una vampa di luce causata dal simultaneo risplendere di miriadi di anime pure. Il purgatorio era invece in una zona dove non splendeva mai il sole, e cioè nel freddo nord, oltre l’origine di Borea, il vento del nord, nella terra degli Iperborei. 102 Nei tempi antichi il solstizio d’estate era festeggiato con grandi falò. In seguito questa festa fu sovrapposta dalla festa di San Giovanni, ma ancora oggi in alcune regioni si festeggia alla maniera antica. 73


oracolari orgiastiche, ma la sua anima si trasferiva tra le stelle e là attendeva di rinascere in un altro sovrano. I miti, nordici in special modo, sono pieni di isole sacre e di isole dei morti. È appunto in una di queste, Avalon103, che viene portato re Artù alla sua morte. I re sacri dell’Irlanda dell’Età del bronzo, che erano monarchi solari di tipo assai primitivo, venivano sepolti in tumuli, ma i loro spiriti si trasferivano a “Caer Sidi”, il castello di Arianna104, ossia Corona Borealis. Il luogo veniva definito “il Castello a spirale105”, ed è piuttosto comune trovare, nelle leggende goideliche, davanti alla porta di un castello, una ruota che gira. La spirale era un talismano che non consentiva l’accesso al castello fintanto che il suo movimento non veniva interrotto. I re venivano condotti in castelli di cristallo, santuari insulari, circondati da acque verdi e splendenti come il cristallo, o come prigioni stellari disseminate a mo’ di isolette nel blu scuro del cielo notturno. Ma nella leggenda medievale erano fatti di cristallo e la loro connessione con la morte e con la dea-Luna si è

103

Avalon, la segreta isola dei meli, pianta dell’immortalità. L’Averno è una variante italica del celtico Avalon (“isola dell’albero di mele”). I Campi Elisi ne sono la versione greca. Elisio pare significhi “terra di mele” (alisier era parola pre-gallica per indicare la sorbola) e ha dunque lo stesso significato dell’Avalon dei celti e dell’Avernus latino, entrambi formati dalla radice indoeuropea abol, che significa mela. I Campi Elisi sono un luogo al limite della terra, dove è sempre primavera. È governato da Radamanto, ed è, secondo Omero, la sede degli uomini che hanno il privilegio di non passare attraverso la morte. Secondo Esiodo invece è il luogo dove gli uomini buoni ricevono il loro premio eterno dopo la morte, sotto il governo di Crono e di Radamanto. 104 Arianna, che i Greci chiamavano “Ariagne” (“santissima”), era l’appellativo della dea-Luna che si onorava con la danza. 105 Nel Castello a spirale (tomba a corridoio) l’entrata alla camera interna è sempre angusta e ha il soffitto basso, perché simboleggia l’entrata nel grembo materno. 74


conservata nella superstizione popolare che considera foriero di sventura guardare la luna attraverso uno specchio. La bara di quercia nell’isola di Avalon106 indica chiaramente che il culto di Artù ha origine nel Mediterraneo orientale e giunge nel Nord lungo la via dell’ambra, il Baltico e la Danimarca, tra il 1600 e il 1400 a.C.; il culto di altri eroi oracolari in Britannia107 e in Irlanda tuttavia è probabilmente più antico di sette o otto secoli. La spirale di cui abbiamo parlato più sopra è una chiaro simbolo del ciclo morte-rinascita. La verga dei druidi, che era di frassino, aveva delle decorazioni a spirale, simbolo della vita. Nel mito celtico anche il labirinto108 finì col rappresentare la

106

L’antica Avalon potrebbe storicamente essere l’isola di Anglesey (Il nome Anglesey deriva dalla locuzione Ongull’s isle, “isola di Ongull”, dal nome del capo scandinavo che dominò l’isola nell’800). Ai tempi di Artù era fertile e ricca di alberi di mele, oltre ad essere uno dei centri industriali più importanti della Britannia (per l’estrazione del rame). Inoltre, essa era un importante centro religioso, e lì vi era il bosco sacro dei druidi. Era infine la sede di una comunità religiosa formata da vergini sacre, che fu fondata da Elena, moglie dell’imperatore Magno Massimo. Elena fondò a Penmon un priorato ed un ospizio. Ella diventò molto importante per i Britanni, che la chiamavano “Elena del lago”, in riferimento ad una presunta visitazione di un angelo nei pressi del lago Tegid, e sembra che dalla sua comunità venne forgiata la spada di Artù. La spada di Artù, infatti, aveva inciso il simbolo della famiglia di Elena, due serpenti intrecciati. La figlia di Elena, Severa, andò in sposa al primo re di Powys, per cui i successivi re discendevano dalla stessa Elena. Anche Artù era un re di Powys, regnante a Viroconium. Quando venne ferito a morte nella battaglia di Camlan, il probabile Artù storico, cioè Owain Ddantgwyn, si recò al priorato delle nove vergini per essere curato, priorato che all’epoca era retto da suo figlio, Seiriol. 107 Il nome Britannia probabilmente è il risultato dell’unione di Bri o Brit (contrazione di Brigit) e Anu (che sta per Danu); Brigit significherebbe “potenza” e Anu “terra”. 108 Sul piano psicologico il labirinto è l’immagine del procedere umano “per tentativi ed errori” alla ricerca della luce, cioè di una verità che sembra inattingibile. Sul piano religioso simboleggia l’itinerario dell’anima durante la vita terrena, vittima di tentazioni, abbagli, priva di conoscenza e che deve 75


tomba reale, e lo stesso accadde presso i Greci primitivi. Anche l’etrusco Porsenna si fece costruire una tomba a forma di labirinto. Fuggire dal labirinto, come fece Dedalo, significa reincarnarsi, attività propria degli eroi. Il passaggio dal matriarcato al patriarcato sembra quindi si verificasse in Mesopotamia, come altrove, in seguito alla ribellione del principe consorte, cui la regina aveva delegato il potere esecutivo permettendogli di servirsi del suo nome, delle sue insegne regali e degli oggetti di culto. Quando fu instaurato il sistema patriarcale, non fu più la dea munita di rete (dictyon, da cui Ditte o Dittina, appellativo della dea a Creta) a inseguire il re sacro per ucciderlo e sacrificarlo, ma toccò al re di inseguire la dea, spinto da brama amorosa, proprio come fece Zeus con Europa, il cui ratto avvenne a Calendimaggio, quando le querce sono coperte di foglie. Ci sono diverse eroine che portano il nome Europa, ma la più famosa è la figlia di Agenore e Telefassa (a volte detta anche figlia di Fenice). Zeus la vide mentre giocava sulla spiaggia con le sua amiche a Sidone (o Tiro), e si trasformò in un toro dal candore abbagliante con le corna lunate. La fanciulla dapprima intimorita, si avvicinò ad accarezzare il toro e poi si sedette sulla sua groppa. Il toro si lanciò verso il mare e, nonostante le grida della fanciulla, arrivò fino all’isola di Creta. Lì Zeus si unì con Europa sotto i platani109, vicino alla fonte di Gortina. Nacquero tuttavia, un giorno o l’altro, sfociare nella luce divina rappresentata dal Cristo trionfante. 109 Che per privilegio, in ricordo di questo fatto, non perdono mai le foglie. 76


tre figli: Minosse, Sarpedonte e Radamanto. Europa poi fu sposa del re di Creta, Asterione, che non poteva avere figli e adottò i figli di Zeus. Il toro divenne una costellazione. Europa significa “dalla larga faccia”, ed è sinonimo di luna piena (il cui simbolo era “⊂⊃”, mentre il simbolo del sole era “O”) ed appellativo della dea-Luna Demetra. Se invece il termine non è eur-ope ma eu-rope può anche significare “buona per i salici” o “bene irrigata”. La leggenda di Europa che incontra Zeus sotto forma di toro, lo cavalca senza riconoscerlo e poi ne viene violentata, sembra sia un riferimento all’invasione ellenica. In origine la sacerdotessa della luna era raffigurata trionfante in groppa ad un toro solare, sua vittima. Zeus quindi, con il suo gesto, come Alessandro che recise con un sol colpo di spada il nodo gordiano, invece di scioglierlo, impose il potere temporale su quello religioso, e rivendicò tutto per sé.

77


La storia e i miti della Grecia

A

questo punto è necessario fare un breve excursus storico al fine di inquadrare meglio la successione degli eventi. In questa prima fase ci limiteremo ad

analizzare alcuni periodi della storia della Grecia. I primi abitatori della penisola greca avevano un sistema di successione matrilineare. Probabilmente venivano in parte dalla Libia e dall’Egitto, in parte dalla Mesopotamia. Platone, infatti, identificò Atena110, patrona di Atene111, con la dea libica Neith112, che apparteneva ad un’epoca in cui non si onorava né si rispettava la paternità. L’abbigliamento di Atena era stato copiato appunto dalle donne libiche. Le ragazze etiopiche portano ancora oggi un costume simile e anche le grida lanciate in onore di Atena, ololu, ololu, erano di origine libica.

110

Gli Itoni sostenevano che Atena fosse figlia di Itono (uomo-salice), così implicitamente affermando di aver onorato Atena assai prima degli ateniesi, e il mito stesso dimostra che alla dea era tributato un culto del salice (ricordiamo che il salice era l’albero sacro alla Grande Madre) nella Ftiotide, così come ne era oggetto, a Gerusalemme, la dea Anatha (doppione di Atena) finché i sacerdoti di Jahvè la esautorarono e consacrarono a Jahvè il salice propiziatore di pioggia durante la Festa dei Tabernacoli. 111 Anche altre città le erano consacrate, come Argo, Sparta, Troia, Smirne, Epidauro, Trezene e Feneo, tutte località pre-elleniche. 112 Infatti, Atena prese possesso dell’Attica piantando un ramo di olivo, pianta che fu importata proprio dalla Libia. 78


Il vasellame ritrovato a Creta lascia supporre che immigranti libici giunsero nell’isola verso il 4000 a.C., e un gran numero di seguaci della Grande Dea, provenienti dal Delta occidentale, pare si rifugiò a Creta quando l’Alto e il Basso Egitto si riunirono verso il 3000 a.C. La prima civiltà minoica iniziò poco tempo dopo, e la civiltà cretese si diffuse nella Tracia e nell’antica Grecia elladica. A Iolco, il più importante porto della Tessaglia meridionale, si ergeva un tempio della dea lunare Artemide113 (corrispondente alla Diana latina), alias Nereide114, o Teti, e inoltre vi era un collegio di cinquanta sacerdotesse. Questa Artemide era patrona dei pescatori e dei marinai. Ogni cinquanta mesi si sceglieva a rappresentare la dea una sacerdotessa, forse la vincitrice di una gara di corsa, e costei si univa a un consorte annuale che diventava re della quercia, o Zeus, della regione e che era sacrificato allo scadere della sua carica. All’epoca in cui gli Achei riuscirono a imporre la religione olimpica in Tessaglia, la durata del regno si era estesa a otto o forse sette anni115, e ad ogni solstizio d’inverno, sino allo scadere del suo mandato, si offriva in sacrificio un bambino in sostituzione del re. 113

Artemide era un appellativo della triplice dea-Luna. Essa aveva perciò il diritto di nutrire le sue cerve col trifoglio, simbolo della trinità. Il suo arco d’argento è il simbolo della luna nuova. Artemide si ricollega alla cretese “signora della selvaggina”, la suprema dea ninfa delle società totemistiche arcaiche. Artemide era anche detta Alfea; le sacerdotesse di Artemide Alfea si impiastricciavano la faccia di bianco in onore della loro Dea Bianca. Alph denota sia il candore, sia i prodotti cerealicoli: alphos è la lebbra; alphe è il guadagno; alphiton è l’orzo perlato; Alphito era la dea del grano bianco come seminatrice. 114 Nereide significa l’ “umida”, ed era un appellativo locale, insieme a Teti e Anfitrite, della stessa triplice dea Luna nel suo aspetto di signora del mare. 115 Sette anni durava in carica il re dei Tuatha dè Danann. 79


Similmente, ad Argo le Danaidi, le cinquanta sacerdotesse della dea dell’orzo Danae116, che provvedeva a garantire la pioggia ai campi coltivati ed era venerata con quattro diversi titoli divini, sceglievano una rappresentante che ogni quattro anni (vale a dire al cinquantesimo mese lunare) si unisse con l’Eracle. Gli anni furono poi portati ad otto, con il solito sacrificio annuale di un bambino. Le leggende relative ad Apollo indicano che gli Elleni117 del Nord, alleati ai Traci e ai libici, invasero il Peloponneso, dove sconfissero i pre-ellenici seguaci della Madre Terra (Apollo inseguì il serpente Pitone fino a Delfi, nel tempio della Madre Terra, e lo uccise118). A Delfi uccisero il serpente sacro e si assunsero la tutela dell’oracolo in nome del loro dio Apollo Sminteo, cioè simile al topo. Gli Elleni lo identificavano con l’Apollo Iperboreo venerato dai loro alleati Traci e libici. Quindi la danaa Argo fu conquistata dai figli d’Egitto, che invasero il Peloponneso passando per la Siria, e molti dei Danai che opposero resistenza furono sospinti verso nord, fuori dei confini della Grecia.

116

Il nome sumerico di Danae era Damìkina. Gli Ebrei la chiamarono Dinah e la mascolinizzarono come Dan. 117 Elleno era figlio di Deucalione. Sposò Orside ed ebbe un figlio, Eolo, che gli succedette, e un altro Doro, che emigrò sul monte Parnaso. Eolo dette vita alla tribù degli Eoli, Doro ai Dori. Il terzo figlio, Suto, si spostò ad Atene, dove generò Ione, da cui nacquero gli Ioni, e Acheo, da cui gli Achei. 118 Apollo uccisore del serpente è il simbolo dell’iniziato che penetra la natura (il serpente simboleggia la vita) con la scienza, la domina con la volontà e, rompendo il cerchio fatidico della carne, ascende allo splendore dello spirito, lasciando dietro di sé i tronconi dell’animalità umana. Ricordiamo che anche la Vergine Maria è generalmente ritratta nella posa di schiacciare un serpente. 80


La figura di Perseo119, cioè Pterseus, “il distruttore”120, rappresenta gli Elleni patriarcali che invasero la Grecia e l’Asia Minore all’inizio del secondo millennio prima di Cristo e sfidarono, vincendo, la potenza della triplice dea. Le vittorie di Apollo su Marsia e su Pan (battaglie combattute a suon di musica), commemorano appunto le conquiste elleniche della Frigia e dell’Arcadia121. La leggenda di Apollo che insegue Dafne, sacerdotessa della Grande Madre, per farle violenza, si riferisce evidentemente alla conquista ellenica di Tempe, dove la dea Dafene, “la sanguinaria”, era venerata da un collegio di Menadi orgiastiche masticatrici di foglie di alloro. Dopo la conquista, Apollo divenne il patrono dell’alloro122, e in seguito soltanto la Pizia, la sacerdotessa delfica riconsacrata ad Apollo, poté masticarne le foglie. Il dio-Eracle dei mistici orfici era Apollo Iperboreo123. I sacerdoti iperborei si recavano a Tempe124, nella Grecia 119

Figlio di Zeus e di Danae, fu gettato in mare chiuso in una cassa insieme alla madre, per ordine di Acrisio, padre di Danae, ma fu salvato da Dite che lo fece accogliere da Polidette, re di Serifo, una della isola Cicladi. Divenuto adulto fu mandato a uccidere la Medusa, cosa che fece grazie allo scudo di Atena, lucente come uno specchio, che gli permise di guardare la Medusa senza divenire pietra. Fuggì poi con Pegaso, il cavallo alato, e tornò ad Argo. 120 Ermete fu confuso con Perseo in quanto il dio, come messagero della Morte, era anch’egli onorato con l’appellativo di Pterseus. 121 Arcadia deriva da Arkades, che significa “il popolo dell’orso”. Presso il popolo degli Arcadi, e quello dei Franchi, l’orso era venerato quale forma di Artemide, dea delle Ardenne. Il nome dato dai Romani ad Artemide era Diana, il cui culto era lunare, e le sue immagini portavano la falce di luna. 122 Le foglie di alloro, usate per inebriare le sacerdotesse durante le cerimonie sacre, contengono cianuro di potassio. 123 I Greci riconoscevano in Apollo un nuovo arrivato, e si diceva che fosse stato preceduto dalla Madre Terra, Gea-Themis, e probabilmente da Posidone. Apollo era anche l’ombra del re sacro che aveva mangiato la mela: la parola Apollo infatti deriva forse dalla radice abol, mela, anziché da apollunai, distruggere, come di solito la si interpreta. 81


settentrionale, per venerare Apollo. La terra degli Iperborei (luogo natale di Latona, madre di Apollo, e dove Apollo era venerato al di sopra di tutti gli altri dei), nel VI secolo a.C., era la Britannia, o più esattamente l’Irlanda, che si trovò al di fuori dei confini dell’Impero romano. Gli Iperborei erano un popolo mitico che si diceva vivesse nelle parti più settentrionali della terra, oltre il Vento del Nord, in uno stato di perpetua felicità. Presso di loro avrebbe trascorso un lungo periodo Apollo, prima di recarsi a Delfi125, dove aveva il suo santuario. Probabilmente gli Iperborei originari erano libici, e probabilmente la vera identità dell’eroe venerato come Artù è Eracle-Dioniso, “rex quondam rexque futurus” (“re un tempo, re futuro”), che al suo secondo avvento sarà l’immortale Eracle-Apollo. Il culto di Apollo presso Delfi fu, infatti, contaminato da quello di Dioniso, e si sosteneva che quest’ultimo occupasse il posto di Apollo nel tempio durante i tre mesi invernali in cui egli si ritirava al Nord. L’Apollo Delfico deriva da una precedente divinità. Infatti, secondo l’antica tradizione dei Traci126 la poesia era stata

124

Nel fiume Pineios, che attraversa la valle di Tempe, la leggenda racconta che Apollo si purificò dopo aver ucciso il serpente Pitone. 125 Delfi, sede della Pizia, la sacerdotessa di Apollo, era considerato il centro della terra, e l’omphalos, o pietra dell’ombelico, era situato nell’adytum del tempio di Apollo dove la Pizia vaticinava. 126 La Thrakia aveva, per i poeti e gli iniziati dell’antica Grecia, un significato simbolico, e indicava più che altro una regione intellettuale (pur essendo anche una regione fisica, a nord della Grecia propriamente detta, ed origine dei vigorosi Dori), luogo privilegiato della dottrina dorica, sorta dallo spirito ariano e poi impiantata a Delfi, dove vi erano una classe di sacerdoti Traci, custodi dell’alta dottrina. In seguito il verbo “tracizzare” fu usato ironicamente, dopo la conquista di Sparta, ad indicare i devoti delle antiche dottrine. La Tracia fu comunque il paese sacro per eccellenza, per i Greci, poiché le sue alte montagne ospitavano i santuari più antichi di Kronos, Zeus e Urano 82


inventata da Olen, che in fenicio significa l’“Essere universale”. Apollo ha la stessa radice: Ap Olen significa “Padre universale”. In età primitiva si adorava a Delfi l’Essere universale sotto il nome di Olen. Il culto di Apollo fu introdotto da un sacerdote innovatore, seguace della dottrina del verbo solare di origine Indiana e Egiziana. Fu però Orfeo a dare nuova energia al verbo solare di Apollo, rianimandolo con i misteri di Dioniso. Orfeo127 è figlio di Apollo e di una sacerdotessa, padre dei misti, cioè i partecipanti i misteri, salvatore degli uomini, sublime ispirato, antenato della poesia e della musica, con la sua lira a sette corde (come la menorah ha sette braccia !), concepite come rivelatrici della verità eterna. Orfeo è sovrano immortale e tre volte coronato, negli inferi, sulla terra e in cielo. La testa di Orfeo che canta ricorda quella del dio Bran decapitato, la quale cantava dolcemente sulla roccia di Harlech nel Galles del Nord. Orfeo, che significa anche “sulla riva del fiume”, forse è solo un appellativo del corrispondente greco di Bran, cioè Crono, e si riferisce all’ontano che cresce sulle rive del fiume. Latona, madre di Apollo, è la dea-Luna Brizo (che placa) di Delo, che può essere identificata con la triplice dea Brigit, che poi entrò nel mondo cristiano come santa Brigida. Brigit era patrona di tutte le arti, e Apollo seguì il suo esempio, sostituendosi, talvolta con la forza, talvolta gradualmente, ad essa.

127

Orfeo o Arpha (aur, luce e rophae, guarigione), che in fenicio significa colui che guarisce con la luce. 83


La Medusa128 era la dea stessa che si nascondeva dietro la profilattica maschera della Gorgone: un volto orrendo inteso a sgomentare coloro che volessero violare i Misteri. Quindi Perseo che decapita Medusa rappresenta gli Elleni che occuparono i principali templi della dea, strapparono alle sue sacerdotesse le maschere di Gorgoni, le maschere che indossavano durante la cerimonia della morte del re sacro, e si appropriarono dei sacri cavalli alati, strappando loro i segreti religiosi. Il mito della rivolta dei Giganti129 contro gli dei dell’Olimpo, nel quale si narra di un attacco furioso che fu rintuzzato solo grazie ad una mobilitazione degli dei tutti, con l’aiuto determinante di Eracle, campione di Era, può essere letto come un tentativo dei montanari non ellenici di catturare alcune fortezze degli invasori, tentativo respinto dagli Elleni e dai loro alleati e sudditi. Di seguito la Madre Terra generò l’enorme e mostruoso Tifone, che avrebbe dovuto vendicare l’eccidio dei Giganti. Tifone riuscì a catturare Zeus e tenerlo prigioniero per un po’, finché non fu liberato da Apollo e riuscì a vendicarsi dell’onta

subita.

Tifone,

in

origine

Pitone,

“serpente”,

personificava la forza distruttrice del vento del Nord, agli ordini della Grande Madre. Tifone significa anche “fumo stupefacente”, e la sua descrizione assomiglia a quella di un vulcano in 128

Medusa, l’astuta, era una delle Gorgoni, che rappresentavano la triplice dea. Le Gorgoni portavano maschere terrificanti per spaventare gli estranei ed allontanarli dai loro misteri. Le altre Gorgoni erano Sino, “forte”, ed Euriale, “Ampio-vagante”. Gli orfici chiamavano “testa di Medusa” la faccia della luna. 129 I Giganti (da gigas) erano associati con le montagne della Grecia Settentrionale. Uno di essi era Gige (“nato dalla terra”), figlio di Urano e della Madre Terra. 84


eruzione. Comunque è da interpretare come un’emanazione della triplice dea che cerca di ristabilire, senza riuscirci, la supremazia della sua religione.

85


I popoli della Grecia

G

li Ioni e gli Eoli, cioè le prime due ondate di Elleni patriarcali, furono indotti dai portatori della civiltà elladica, già stabilitisi nella penisola, a onorare la

triplice dea e a mutare di conseguenza le loro consuetudini sociali, divenendo Greci, da graikoi, “devoti alla dea Vegliarda”. Gli Eoli, invasero la Tessaglia dal nord e si insediarono pacificamente tra i Danai, assumendo il nome di Mini. All’inizio cercarono di distruggere la semi-matriarcale civiltà del bronzo che avevano trovato in quelle terre, ma poi finirono per accoglierla ed assimilarla (o esserne assimilati) in parte, accettando la successione matrilineare e riconoscendosi figli della dea che gli indigeni adoravano, la Grande Madre con i suoi diversi epiteti. Essi furono accettati come figli della dea locale, e così l’aristocrazia militare maschile si accordò con la teocrazia femminile, non solo in Grecia, ma anche a Creta, dove gli Elleni si installarono stabilmente, diffondendo poi la civiltà cretese ad Atene e nel Peloponneso. I popoli invasori si allearono, quindi, con gli abitanti della terraferma e delle isole, una popolazione di dolicocefali e brachicefali cui assegnarono il nome di “Pelasgi”, cioè 86


navigatori, i quali si ritenevano discendenti del serpente cosmico Ofione che la grande dea, col nome di Eurinome (“ampio regno”), aveva preso come amante dando inizio alla creazione. Probabilmente i Pelasgi chiamavano se stessi Danai (secondo Euripide i Pelasgi adottarono il nome di Danai quando Danao130 con le sue cinquanta figlie giunse ad Argo), dal nome della dea nel suo aspetto di Danae, che presiedeva alle attività agricole. Anche gli Achei assunsero il nome di Danai, e divennero navigatori. Quelli che rimasero a nord dell’istmo di Corinto presero invece il nome di Ioni, figli della dea-vacca Io, altro epiteto della Grande Madre. Probabilmente i Danai venivano dalla Palestina. Essi erano i superstiti della tribù di Beniamino, una delle dodici tribù di Israele, i quali, dopo una cruenta guerra che oppose questa tribù alle altre undici, furono costretti all’esilio. Si diressero verso occidente, aiutati dai Fenici, i quali adoravano la stessa dea madre della tribù di Beniamino, i primi con il nome di Astarte131, Regina del Cielo, i semiti con il nome di Belial, che ricorda ovviamente Belo, padre di Danao. Furono questi fuggiaschi dalla Palestina a introdurre il culto della dea madre in

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Danao era figlio di Belo, re Egiziano, e di Anchinoe, fratello di Egitto. Aveva 50 figlie, le Danaidi, mentre Egitto aveva 50 figli. Fuggì su una nave ed approdò ad Argo dove divenne re. I figli di Egitto, giunti anch’essi ad Argo, gli chiesero in spose le figlie. Danao accettò, ma fece promettere alle figlie che avrebbero ucciso i loro mariti nella prima notte di nozze. Tutte eseguirono l’ordine, tranne Ipermestra che salvò Linceo che, poi, uccise le Danaidi insieme al loro padre. 131 Dea madre fenicia che, con l’avvento del cristianesimo, fu costretta ad un cambio di sesso e trasformata nel demone Ashtaroth. 87


Grecia, e precisamente in Arcadia132, culto che prosperò e sopravvisse più a lungo di qualunque altro, associato al nome di Demetra, poi Artemide-Diana. Gli Elleni, giunti nelle città pelasgiche e cretesi, iniziarono col rendere omaggio alla Grande Dea e fornirono alle sue sacerdotesse dei mariti obbedienti e devoti, ma ben presto ne ostacolarono il sovrano potere, come Zeus ingannò Nemesi, la dea del culto peloponnesiaco del cigno, facendo appello alla sua pietà. Altra invasione, dall’est, fu quella degli Achei, che irruppero nella Tessaglia all’incirca nel 1900 a.C., conquistando l’intera penisola. Erano pastori patriarcali e adoratori di una trinità maschile indoeuropea (in origine probabilmente Mitra, Varuna133 e Indra, poi Zeus, Poseidone e Ade134). Parte dei Pelasgi, al momento dell’invasione degli Achei, furono costretti a lasciare le loro terre, e iniziarono le migrazioni che portarono i Danai fino alla lontana Irlanda.

132

I due libri dei Maccabei nella Bibbia sottolineano il legame esistente tra gli Spartani, abitatori dell’Arcadia, e gli Ebrei. Si parla infatti di Ebrei che si recarono presso gli Spartani nella speranza di trovarvi protezione in nome della “comunanza di stirpe”. 133 E’ l’equivalente di Urano, il Cielo. 134 Ade, Poseidone e Zeus sono fratelli e ciò li ricollega alla triade maschile vedica Mitra, Varuna e Indra, citata in un trattato ittita datato 1380 a.C. Ma pare che essi rappresentino le tre successive invasioni elleniche note come Ionica, Eolica ed Achea. I pre-ellenici adoratori della dea-Madre assorbirono le stirpi Ioniche che divennero nel mito i figli di Io; ammansirono poi anche gli Eoli, ma finirono per essere sopraffatti dagli Achei. I primi capitani Ellenici che divennero i re sacri nel culto della quercia e del frassino, presero gli appellativi di “Zeus” e “Poseidone” e furono costretti a morire al termine del loro regno. La quercia e il frassino sono due alberi che attirano facilmente i fulmini e perciò figurano sempre nelle cerimonie popolari organizzate in Europa per invocare la pioggia o per propiziarsi il favore del fuoco. 88


Verso la fine del secondo millennio prima di Cristo, i navigatori Eoli, che avevano accondisceso a onorare come loro divina antenata e protettrice la dea pre-ellenica della Luna, divennero sudditi degli Achei devoti a Zeus, e così furono costretti ad accettare la religione olimpica. Il nome “Zeus” che fino a quel momento era stato un appellativo dei re, fu riservato al solo Padre Celeste. Solo a Creta sopravvisse fino all’epoca cristiana l’antica tradizione misterica di uno Zeus che nasceva e moriva ogni anno135. Dopo la distruzione di Creta, questi popoli si espansero dovunque nella zona del mediterraneo. In tutte le regione bagnate dall’Egeo si parlava ormai il greco. Il re agiva come rappresentante di Zeus o di Poseidone o di Apollo, sebbene per molti secoli Zeus fu considerato solo un semidio e non un’immortale divinità olimpica. Tutti gli antichi miti che parlano degli amori di dei e di ninfe si riferiscono evidentemente ai matrimoni tra i capitani degli invasori e le locali sacerdotesse della Luna, matrimoni cui si opponeva rabbiosamente Era che personificava l’atteggiamento conservatore. Intorno al 1500 a.C. si sviluppò una differenziazione tra gli Achei-danai. Quelli meno civilizzati del nord-ovest fondarono una nuova dinastia patriarcale e, rifiutando la sovranità della grande dea, istituirono il pantheon olimpico retto da Zeus e composto da dei e dee a pari merito. Una generazione dopo la distruzione di Troia, una nuova invasione, della quale facevano parte i Dori, calò in Grecia, uccidendo e saccheggiando, e 135

Del resto, secondo la leggenda, Zeus nacque proprio a Creta, dove Rea diede alla luce il dio nella grotta Diktian, e fu poi allevato nella grotta Idaian. 89


provocando una nuova migrazione verso occidente, dall’Egeo alla Spagna sul finire del XIII secolo a.C. I Dori erano montanari patriarcali che calarono nel Peloponneso verso il 1100 a.C. Erano così chiamati perché venivano dalla Doride. Tre tribù componevano la lega dorica: gli Illidi, che onoravano Eracle, i Dimani, “invasori”, che onoravano Apollo, e i Panfili, “uomini di tutte le tribù”, che onoravano Demetra. Invasa la Tessaglia meridionale, i Dori sembra che si alleassero con gli Ateniesi prima di rischiare un attacco al Peloponneso. Il primo tentativo fallì, benché Micene fosse bruciata all’incirca in quell’epoca. Ma un secolo dopo i Dori conquistarono le regioni orientali e meridionali del Peloponneso, avendo ormai distrutto gli antichi centri culturali dell’Argolide. Questa invasione, che provocò emigrazioni in massa dall’Argolide a Rodi, dall’Attica alle coste ioniche dell’Asia Minore e, a quanto pare, anche da Tebe alla Sardegna, segnò l’inizio del Medio Evo in Grecia. In seguito, gli Achei e i Dori riuscirono a introdurre i costumi patriarcali e la discendenza patrilineare, e fecero di Acheo e di Doro i figli di un comune antenato, Elleno, cioè dell’epifania maschile della dea lunare Elle o Ellene. Questo passaggio da Greci ad Elleni si verificò tra il 1500 e il 1200 a.C. Venne quindi condannata la devozione degli Eoli e degli Ioni per Afrodite, l’orgiastica dea-Luna, le cui sacerdotesse non tenevano in alcun conto della legge patriarcale che considerava le donne come proprietà dei loro padri e mariti. Questi avvenimenti storici sono raccontati dal mito di Orfeo che scaccia le Baccanti. Nei tempi antichi la Tracia era guidata per lo più dalle sacerdotesse 90


orgiastiche delle divinità femminili, le Baccanti, che adoravano la triplice Ecate dal volto infernale, e che avevano sottomesso il Bacco dal volto di toro136. Orfeo riuscì a capovolgere la situazione, sottomettendo le Baccanti, e consacrando la Grecia a Zeus ed Apollo, come divinità solari, in contrapposizione a quelle lunari137. Il nuovo culto del sole come padre di tutte le cose pare fosse stato portato nell’Egeo settentrionale dai sacerdoti profughi del culto monoteistico di Akhenaton nel XIV secolo a.C., e si innestò sui culti locali. Pare che gli elementi conservatori in Tracia si fossero opposti tenacemente alla nuova religione, soffocandola nel sangue in alcune parti del paese. Con la creazione dei misteri, Orfeo plasmò l’anima religiosa della sua patria, fondendo la religione di Zeus con quella di Dioniso in un pensiero universale. Così Orfeo divenne il pontefice della Tracia, il grande sacerdote di Zeus Olimpio e, per gli iniziati, il rivelatore del Dioniso celeste. Nel pensiero orfico, infatti, Dioniso e Apollo erano due rivelazioni diverse della stessa divinità. Dioniso rappresentava la verità esoterica, l’intimo delle cose aperto solo agli iniziati, Apollo personificava la stessa 136

Bacco dal volto di toro, dio delle Baccanti orgiastiche dell’antica Tracia, riecheggia nel Satana col volto di toro evocato ed adorato dalle streghe del Medioevo nei loro sabba notturni. È il famoso Baphomet, il cui culto fu attribuito dalla Chiesa ai Templari per screditarli. 137 Fin dai tempi più antichi vi fu una accanita guerra tra culti solari, i cui sacerdoti avevano i loro santuari sulle montagne e sulle alture, e culti lunari, che regnavano nelle foreste e nelle valli profonde. I primi erano caratterizzati dalla presenza di sacerdoti maschi regole rigide e severe, ed improntavano la società ad un marcato maschilismo; i secondi si servivano di sacerdotesse, erano caratterizzati da una pratica sregolata delle arti occulte e dal gusto per l’eccitazione orgiastica. Questi ultimi infondevano la società del principio femminile. 91


verità applicata alla vita terrestre e all’ordine sociale. Cioè Dioniso, per l’iniziato, era lo spirito divino in evoluzione nell’universo, e Apollo era la sua manifestazione all’uomo. I sacerdoti orfici, che indossavano un costume Egiziano, chiamarono Dioniso il dio dei sensi, distinguendolo da Apollo, appellativo del sole immortale. Ma entrambi erano la stessa divinità vista in aspetti diversi.

92


Le migrazioni

T

utti questi popoli nelle loro migrazioni diedero origine a numerose discendenze, come i Tirreni (i quali scacciati dall’Asia Minore approdarono in Italia

dove divennero noti come Etruschi138), i Sardi, i Siculi, e così via. Plausibilmente quindi i Tuatha dè Danaan che colonizzarono l’Irlanda (i Danai, chiamati in Egitto “il popolo del mare”), venivano dalla Grecia, e furono allontanati da quell’area dagli invasori provenienti da nord-est e da sud-est. Lasciarono l’Egeo per muoversi verso il nord. Alcuni giunsero in Irlanda passando per la Danimarca, alla quale diedero il proprio nome (regno dei Danai), e la Britannia settentrionale, lungo rotte commerciali già consolidate. Altri seguirono altre rotte commerciali, attraverso la Spagna e l’Africa settentrionale. Altri ancora invasero la Siria e Canaan, strappando le terre al clan di Caleb, ma i Calebiti (uomini-cane) alleati

della tribù israelita di Giuda, le

riconquistarono due secoli dopo. Questi popoli portarono con se il culto della dea del mare (anche detta Scota, “la Scura”, epiteto

138

Gli Etruschi o Tirreni erano di ceppo cretese e veneravano le gru, poiché esse depongono le uova in boschetti di salice, e i salici sono sacri alla Dea. 93


greco della dea del mare di Cipro) e di suo figlio Eracle, e in Irlanda trovarono già pronti i necessari altari di pietra. Nel Peloponneso, invece, si festeggiava l’uccisione del dio dell’Anno Vecchio, la morte dell’Eracle agricolo, e l’elezione del suo successore, Zeus. Ciò avveniva durante i giochi di Olimpia (si festeggiava anche l’evirazione di Crono da parte di Zeus, che è, mitologicamente parlando, la stessa cosa). La data dell’arrivo dei Danai in Irlanda è all’incirca il 17001400 a.C. Riscontro a ciò è il racconto di Erodoto, nelle sue Storie, della cattura da parte dei Fenici del tempio danao della Dea Bianca139 Io ad Argo, allora capitale religiosa del Peloponneso, colonizzata dai cretesi intorno al 1750 a.C. Erodoto in realtà non fa date, ma si limita a affermare che l’avvenimento è temporalmente collocato prima della spedizione della nave Argo nella Colchide, che i Greci ponevano nel 1225 a.C. Probabilmente ci fu un’altra spedizione in Irlanda, due secoli dopo quella dei Danai. Gli invasori partirono stavolta dalla Tracia, attraversarono sulle navi il mediterraneo e, usciti nell’atlantico, sbarcarono nella baia di Wexford, dove si scontrarono con i Danai, ma furono respinti, e quindi proseguirono verso la Britannia settentrionale allora chiamata Albania (Albany). Questi, denominati Pitti, cioè uomini tatuati, avevano usanze assai bizzarre, e praticavano il cannibalismo, il tatuaggio, e facevano partecipare le donne alle battaglie. Queste

139

Dea bianca perché il bianco è il colore fondamentale, primario, della prima persona della sua trinità lunare. La luna nuova è la dea bianca della nascita e della crescita, la luna piena la dea rossa dell’amore e della battaglia, la luna vecchia la dea nera della morte e della divinazione. 94


usanze erano però molto simili a quelle dei popoli che risiedevano in Tessaglia prima dell’arrivo degli Achei.

95


Il Grande Anno e l’evirazione di Urano

Q

uando si cominciò a considerare troppo breve il periodo di regno concesso al re sacro, probabilmente in contemporanea con l’acquisizione di maggior

potere da parte degli uomini, l’anno di tredici mesi fu prolungato nel Grande Anno di cento lunazioni, nell’ultima delle quali l’anno solare e quello lunare approssimativamente coincidevano. Ma, poiché bisognava pur fertilizzare i campi, il re acconsentì a subire ogni anno una morte apparente, e simbolica, e a cedere il trono per un solo giorno (il giorno intercalato che non apparteneva all’anno sidereo) al sostituto fanciullo o interrex, che moriva nel giorno stesso e il cui sangue veniva spruzzato sui campi. Il re rifiutò di morire al termine del suo regno. Regnava quindi per l’intero anno, oppure regnava in contemporanea con il suo luogotenente, oppure regnavano ad anni alterni. Il re sostituiva la regina in molte delle funzioni sacre, paludandosi da simbolo lunare, o anche da donna, ad indicare che il potere era sempre della regina e lui interveniva in sua vece. Il mito di Crono, che divora i propri figli per evitare di essere detronizzato, è rivelatore. La roncola, o falcetto, di Crono e di 96


Saturno140, veniva usata nel settimo mese dell’anno sacro di tredici mesi per evirare la quercia recidendo il vischio. Con questa cerimonia si dava inizio al sacrificio del re sacro identificato con Zeus. Una nuova fase porto la sostituzione del fanciullo con animali, come avvenne ben presto a Creta, e un allungamento del periodo di regno. La scusa fu che nuovi calcoli avevano stabilito una più esatta coincidenza tra l’anno solare e quello lunare ogni diciannove anni, cioè ogni 235 lunazioni. Il Grande Anno divenne il Grandissimo Anno. Tuttavia nei distretti più remoti dell’Arcadia, ancora al tempo di Cristo si effettuavano sacrifici umani. Queste modifiche, le quali si riflettono in innumerevoli miti, non apportarono mutazioni al fatto che fosse sempre la regina a detenere il potere, e che il re lo esercitava solo in quanto si era unito in matrimonio con la ninfa tribale che veniva eletta o per aver vinto una gara atletica o per diritto di ultimogenitura, cioè perché era la più giovane figlia nubile del ramo cadetto della famiglia. La successione al trono rimase quindi matrilineare. Ad esempio Dagda, il dio-padre dei Tuatha dè Danaan, che corrisponde al Saturno romano, era sicuramente un figlio della Triplice Dea Brigit (l’eccelsa o la potente), ma il mito aveva subito una serie di manomissioni. Dapprima egli si sarebbe unito in matrimonio con la Dea, poi avrebbe avuto una sola moglie con 140

Antica divinità italica, raffigurata spesso con la falce e la roncola. La leggenda vuole che Saturno fosse spodestato da altre divinità in Grecia, e per questo giunse nel Lazio, dove sarebbe stata fondata Roma. Poi si stabilì in cima al Campidoglio, e da lì comandò durante l’età dell’oro dei primi abitanti della zona. Per la sua natura fu riconosciuto come il Crono dei Greci. 97


tre nomi, Breg, Meng e Meabel (menzogna, sotterfugio e infamia), che gli diedero tre figlie tutte chiamate Brigit. Poi non lui, ma tre suoi discendenti, Brian, Iuchar e Iuchurba, avrebbero sposato tre principesse che insieme possedevano l’Irlanda141: Eire, Fodhla e Banbha142. Il Dagda era figlio di Eladu (scienza o conoscenza), che probabilmente è il re Elato (uomo-abete), antico re acheo di Cillene, monte dell’Arcadia sacro a Demetra e in seguito famoso per il suo collegio di araldi eruditi e inviolabili. Il Dagda ed Elato possono essere assimilati ad Osiride, o Adone143, o Dioniso144, nato da un abete e dalla cornuta dea-Luna Iside145, o Io, o Hathor. Comunque l’uomo, a differenza della donna, non era considerabile come divino. Egli è divino non nella sua persona singola, ma nella sua gemellarità. Come Osiride, Spirito dell’Anno Crescente, egli è costantemente geloso del suo rivale Seth, lo Spirito dell’Anno Calante, e viceversa; non può essere entrambi se non mediante uno sforzo intellettuale che distrugge la sua umanità, e proprio in questo consiste il difetto fondamentale di ogni culto apollineo o jahvistico. L’uomo è un semidio: ha sempre un piede nella fossa; la donna è divina 141

Cioè Terra di Ir; costui era figlio di Mil, uno dei colonizzatori dell’isola. I figli di Mil probabilmente spodestarono i Tuatha dè Danaan. 142 Che furono tre nomi dell’Irlanda. 143 Da adon, “padrone”. 144 Dioniso, figlio di Zeus e Semele (Luna), dio del vino, della gioia e del delirio mistico, era detto anche Bacco e, in Italia, Liber pater. Nacque dalla coscia di Zeus. Era, moglie di Zeus, lo cercava per ucciderlo, con l’aiuto della stessa Semele, così il padre lo portò a Nisa, dopo averne ucciso la madre con la folgore. Dioniso in realtà significa “il dios di Nisa”, cioè era lo Zeus di Nisa. 145 Iside, dea venerata dagli egiziani, era anche oggetto di culto da parte dei Templari, che la veneravano sotto le spoglie della Madonna Nera. 98


perché può tenere entrambi i piedi nello stesso posto, in cielo, nell’Oltretomba o su questa terra. L’uomo ne prova invidia, racconta a se stesso frottole sulla propria presunta completezza ed è in tal modo causa della propria infelicità: perché se lui è divino, lei non è neppure una semidea, bensì una semplice ninfa e l’amore di lui per lei si muta in disprezzo e odio. La donna adora il bimbo maschio, non l’uomo adulto: il bimbo è la prova della sua divinità, del fatto che l’uomo dipende da lei per la sua esistenza. Ma essa ha un interesse passionale per gli uomini adulti, perché l’amore-odio che Osiride e Set provano l’uno verso l’altro per causa sua è un tributo alla sua divinità. Lei cerca di soddisfarli entrambi, ma può riuscirci solo uccidendo ora l’uno ora l’altro e l’uomo fa di tutto per vedere in questo la prova della sua fondamentale falsità, anziché la prova della contraddittorietà di ciò che egli da lei pretende. Riassumendo, quindi, il pensiero pagano146 si andò sempre più orientando verso l’adorazione di un’unica Grande Madre designata

con

nomi

diversi

a

seconda

delle

diverse

manifestazioni o dei luoghi dove era adorata. Ishtar, Inanna, Iside, Demetra, Era, Giunone, Venere, Atena, Nanna, Nut, Hathor e tanti altri furono i nomi assegnati ad essa, ma essa era sempre la stessa entità, la divinizzazione del principio femminile come creatore di vita, generatrice di vita, intesa sia come vita

146

Pagano deriva da paganus, contadino e pagus, villaggio. Nel medioevo indicherà l’insieme delle superstizioni e delle eresie che attecchivano negli ambienti meno acculturati, appunto tra i contadini. 99


umana che come vita del raccolto (che poi consentiva la vita umana; per cui le due cose erano strettamente correlate). In tutta l’Asia occidentale il culto della dea e del giovane dio presentava sempre le stesse caratteristiche accentrate nel ritmo delle stagioni in cui essa era l’incarnazione della generazione e della procreazione in perpetuo e il suo giovane compagno personificava la vita effimera delle fasi sempre mutevoli del ciclo cosmico, e ciascuno di essi assumeva un significato autonomo a se stante. Originariamente questo era un culto naturalistico, derivato in un primo tempo dalla produttività del suolo capace di autofecondazione come la Madre Universale. Col tempo vi venne incorporato anche il giovane dio, come satellite della dea, quando si comprese che un apporto alla fecondazione era proprio dell’uomo, sia pure modesto. Mentre la dea veniva invocata perché promuovesse alla fertilità, favorisse il regolare susseguirsi delle stagioni, procurasse il benessere dell’ordine della natura e proteggesse il focolare domestico, il dio era solo un suo satellite, in posizione subordinata, e quando compariva non veniva messo in gran risalto. Il mito dell’evirazione di Urano147, da parte del figlio Crono148, e della successiva vendetta inflitta a Crono dal figlio 147

Il mito patriarcale di Urano fu accettato ufficialmente con l’avvento della religione olimpica. Urano, il cui nome finì con l’assumere il significato di “cielo”, assunse l’importante ruolo di Padre Progenitore perché lo si identificò col dio Varuna, della triade maschile ariana. Ma il suo nome in greco è la versione maschile di Ur-ana (“regina delle montagne”, “regina dell’estate” o “regina dei venti”), cioè la dea orgiastica del pieno dell’estate. Le nozze di Urano con la dea Madre ricordano senza dubbio un’antichissima invasione degli Elleni nella Grecia Settentrionale, invasione che permise ai seguaci di 100


Zeus, non è altro che il simbolo di una trasformazione economica. Il significato originario è quello dell’eliminazione annuale del vecchio re ad opera del nuovo re, come nel culto della dea modificato nella seconda fase. Zeus, è importante precisarlo, era un tempo un eroe oracolare dei pastori, legato al culto della quercia di Dodona in Epiro, dove officiavano le sacerdotesse colombe di Dione, una grande dea silvestre

altrimenti

nota

come

Diana.

La

deposizione

dell’eviratore Crono da parte del figlio Zeus, in realtà simboleggia l’arrivo dei pastori Achei che assimilarono il loro dio del cielo al locale eroe della quercia, e si imposero agli agricoltori Pelasgi. Tra i due culti si giunse ad un compromesso. La Dione (Diana) dei boschi fu assimilata alla Danae dell’orzo, e il fatto che i druidi galli adoperassero, per recidere il vischio, uno scomodo falcetto d’oro in luogo di una roncola di selce o di ossidiana, dimostra che il rituale della quercia si era fuso con quello del re dell’orzo che la dea Danae (o Demetra, o Cerere149) mieteva con la sua falce a forma di mezzaluna. La mietitura simboleggiava, ovviamente, la castrazione. Varuna di proclamare che il loro dio era stato il padre delle tribù indigene, benché ammettessero che Varuna, a sua volta, era figlio della Madre Terra. 148 Il mito di Crono è simile ad un mito ittita. Kumarbi (Crono) stacca con un morso i genitali del dio del cielo Anu (Urano), inghiotte parte dello sperma e sputa il resto sul monte Kansara dove lo sperma genera una dea; e il dio dell’Amore, concepito da Anu in questo modo, viene staccato dal suo fianco dal fratello di Anu, Ea. Codeste due nascite sono state fuse dai Greci nella leggenda di Afrodite che sorse dal mare fecondato dai genitali di Urano. Kumarbi genera poi un altro figlio che gli viene estratto dalla coscia, così come Dioniso rinacque da Zeus. 149 Il culto di Demetra in Roma, dove fu chiamata Cerere, fu imposto dai Libri Sibillini, libri oracolari che una strana vecchia aveva venduto all’ultimo dei Tarquini. Questa “vendita” simboleggia l’introduzione degli dei ellenici e dei loro culti in Roma. 101


Il Crono latino fu chiamato Saturno e nelle statue è armato di un coltello da potatore ricurvo (la falce) come un becco di corvo, allusione ovvia al suo nome. Infatti il suo nome più che da chronos, tempo, era presumibilmente derivato da kron o korn, da cui korone e il latino cornix, cornacchia. Egli è inoltre dipinto con un corvo al suo fianco, come Apollo, Asclepio, Saturno e Bran. È evidente quindi che Crono doveva essere identificato con Bran150. Il corvo era un uccello oracolare e si supponeva che ospitasse l’anima del re sacro dopo il suo sacrificio.

150

Il corvo di Bran era parimenti sacro a Jahvè. 102


Il sistema patriarcale

L

a supremazia della Luna sul Sole, cioè della triplice dea sugli dei olimpici, fino all’epoca in cui Apollo usurpò il trono di Elio, è una caratteristica degli

antichi miti Greci. Elio non era nemmeno un dio olimpio, ma solo un titanide, e la madre di Elio, Eurifessa dagli occhi bovini, era in realtà la Luna stessa alla quale i bovini sono consacrati. Quindi, in origine la dea controllava sia la luna che il sole. A un certo punto un re audace decise di commettere incesto con l’ereditiera, che veniva considerata sua figlia, e acquisì così un nuovo diritto al trono quando il suo regno ormai volgeva al termine. Le invasioni achee alla fine del XIII secolo a.C. avevano, infatti, indebolito la tradizione matrilineare, al punto che il re regnava a vita e, quando arrivarono i Dori, verso la fine del secondo millennio, la successione patrilineare divenne la regola151. Il principe non abbandonava più la casa paterna

151

L’amore omosessuale dei Greci e, in parte, dei Romani, può essere visto come un modo per accentuare la vittoria del patriarcato sul matriarcato, dimostrando così che gli uomini potevano fare a meno delle donne anche in campo amoroso. Con l’avvento della filosofia platonica tale situazione si accentuò ulteriormente, per cui la donna greca, che prima aveva il predominio 103


quando sposava una principessa straniera, ma questa invece seguiva il marito, come Penelope con Odisseo. Anche la genealogia divenne patrilineare. Il

sistema

religioso

olimpico

fu

accettato

come

un

compromesso tra il culto matriarcale pre-ellenico e il culto patriarcale ellenico. Si ebbe così una divina famiglia di sei dèi e sei dee, capeggiata da Zeus ed Era, e che formava un Concilio. Ma dopo una rivolta della popolazione pre-ellenica, descritta nell’Iliade come una cospirazione contro Zeus, Era fu subordinata al marito, Atena si dichiarò tutta per il padre152, e Dioniso153, spodestando Estia, assicurò la preponderanza maschile nel divino concilio. In seguito fu cautelata la preponderanza maschile in ogni concilio degli dei, una situazione che si rifletté sulla terra, e ci si poteva opporre con successo alle antiche prerogative delle dee. Tuttavia le dee non furono estromesse, come invece accadde a Gerusalemme. Inoltre, il sistema di riunire tutte le donne di sangue reale sotto il controllo del re (scoraggiando così ogni tentativo di estranei di giungere al trono per via matrilineare), che fu adottato a Roma con l’istituzione del collegio delle Vestali e in Palestina quando re Davide creò il suo harem, non si diffuse mai in Grecia. La discendenza, la successione e l’eredità patrilineare scoraggiarono sempre più i creatori di miti. Iniziò così la leggenda storica che diverrà ben presto storia autentica. nella vita intellettuale, si trasformò in una lavoratrice domestica non pagata e in una procreatrice di figli. 152 Nacque infatti dalla testa di Zeus. 153 Nato dalla coscia di Zeus. 104


Il mito di Zeus che inghiotte Meti154, la dea della saggezza, indica che gli Achei soppressero il suo culto e attribuirono il monopolio della saggezza a Zeus come dio patriarcale. Il fatto che Atena, nata per partenogenesi da Meti, cioè era la più giovane persona della trinità che faceva capo a Meti, fosse figlia di Zeus, indica che gli Achei fedeli a Zeus risparmiarono i templi di Atena, purché i suoi devoti accettassero la suprema sovranità di Zeus. Il mito della nascita di Atena dalla testa di Zeus155 si può considerare un disperato espediente mitologico per liberarla dai suoi precedenti matriarcali. Il mito, infatti, insiste nel fatto che la saggezza fosse una prerogativa maschile, mentre in realtà fino a pochi anni prima solo la Grande Dea era stata saggia. Atena poi diventa la fedele interprete di Zeus e deliberatamente sopprime tutti i suoi antecedenti matriarcali. Al suo servizio, da quel momento in poi, officeranno sacerdoti e non più sacerdotesse. La vittoria degli adoratori di Zeus, gli Achei, pose fine ai sacrifici dei re, e fu l’inizio del regno del re sacro a vita. Anche il mito della nascita di Dioniso, la vicenda di Semele156, ricorda i metodi sbrigativi adottati per porre fine al tradizionale sacrificio 154

Meti, figlia di Oceano e Teti, fu la prima moglie di Zeus. Personifica la Prudenza (o in senso cattivo la Perfidia). Riuscì con un tranello a far bere un emetico a Crono, il quale dovette così rivomitare tutti i figli che aveva divorato. Poi, avendo l’oracolo vaticinato che avrebbe dato alla luce un figlio che avrebbe dominato su tutti gli dei, fu essa stessa divorata da Zeus, dal capo del quale nacque Atena. 155 Da notare come questo mito ricalchi perfettamente il mito della nascita di Kore, che balza fuori dalla testa della Madre Terra aperta da due uomini a colpi d’ascia. 156 Semele, madre di Dioniso, era un altro nome di Kore o Persefone. Kore, in verità, non saliva al cielo, cioè non era una dea, ma quando Dioniso divenne una divinità, la sua vergine-madre non poteva rimanere in terra, cioè una semidea, per cui la sua assunzione in cielo divenne un dogma (come accadde per la Vergine Maria), ed essa si differenziò da Kore che rimase sulla terra. 105


del re sacro: Zeus olimpico afferma il suo potere, prende il re sacro (Dioniso, suo figlio e immagine di se stesso) sotto la sua protezione e annienta la dea con la folgore157. Dioniso così diventa immortale nascendo da un padre immortale. Zeus e Posidone, che inizialmente si chiamava Potidan, nome che ricalcava quello della dea, sua madre, cui era sacra la città di Potidea (“la dea dell’acqua di Ida”, dove Ida significa “montagna boscosa”), passarono dal ruolo di semidei, perché sottomessi alla dea, a quello di dei immortali, scalzando la dea. Ambedue erano armati di folgore, cioè della bipenne158 di selce, un tempo sacra a Rea e che gli uomini non potevano toccare. In seguito la folgore di Poseidone, poiché i suoi fedeli erano per lo più gente di mare, divenne tridente, mentre Zeus mantenne la folgore come simbolo di suprema sovranità. Tale passaggio di ruolo si ebbe col matrimonio degli dei, Zeus, Posidone e Ade, con Era, Anfitrite159 e Persefone160. Tutte e tre le dee erano riluttanti, ma furono convinte o costrette ad accettare, consentendo così l’accesso alla deità del re sacro, non più sottoposto alla dea. Queste nozze simboleggiarono le interferenze dei sacerdoti maschi nel controllo dell’industria 157

Tale trinità incompleta è molto simile a quella cristiana, dove vi è un padre, un figlio e un terzo posto che, pur potendo essere occupato da una donna, la Vergine, è in realtà vuoto, cioè occupato dallo Spirito Santo. 158 La bipenne, o doppia ascia, era l’emblema della sovranità a Creta. Aveva la forma di due quarti di luna uniti a dorso a dorso e simboleggianti il potere creatore (il quarto crescente) e quello distruttore (il quarto calante) della dea. Essa era chiamata labrys, da cui venne il nome labirinto, probabilmente per indicare il palazzo di Cnosso, un vero e proprio intrico di camere. 159 Anfitrite (Demetra), sposa di Posidone, ebbe tre figlie, Tritone (la felice luna nuova), Roda (la luna piena del raccolto) e Bentesicima (la pericolosa luna calante). Ma Tritone in seguito fu mascolinizzata. 160 La vergine divina. 106


della pesca, monopolio femminile durante il periodo matriarcale. Posidone fu spesso in contrasto con Atena, e cercò di impossessarsi delle città sulle quali la dea aveva l’egemonia, come la stessa Atene. Non riuscendoci le inondava. Tale mito ha un ovvio carattere politico. Il suo litigio con Atena adombra il fallito tentativo di sostituire Posidone ad Atena, come nume tutelare di Atene. La vittoria della dea fu tuttavia compromessa dalle concessioni fatte al sistema patriarcale: infatti gli ateniesi, per placare l’ira di Posidone, che aveva inondato la città, rinunciarono a portare il cognome della madre, mentre i Cretesi rimasero fedeli a questa usanza fino ai tempi classici. È chiaro quindi che i Pelasgi ionici di Atene furono sconfitti dagli Eoli e che Atena riacquistò la sua sovranità grazie ad un’alleanza con gli Achei devoti a Zeus; la dea fu costretta in seguito a rinnegare la paternità di Posidone e ad ammettere di essere rinata dalla testa di Zeus. Inoltre Atena dovette, seguendo l’esempio di Apollo, maledire il corvo, che un tempo le era caro161, e che era anche il simbolo della triplice dea. Posidone stuprò la stessa Demetra. Quest’ultima, stanca per tanto cercare la figlia Persefone, si trasformò in giumenta, ma Posidone la riconobbe e, trasformatosi a sua volta in stallone, la ricoprì. Il furore di Demetra fu tale che in Arcadia ancora la si onora come “Demetra la Furia”162. Anche questo mito ha un significato strettamente politico. Demetra era onorata in Figalia, 161

Atena era assistita da una civetta e da un corvo. Uno degli appellativi di Atena era “coronide”. Il doppione gallese di Atena era Branwen (corvo bianco), sorella di Bran. 162 Demetra nel suo aspetto di Furia fu la dea che una volta all’anno diveniva assetata di sangue. 107


e rappresentata come una giumenta, animale a lei sacro. I cavalli, infatti, erano sacri alla Luna perché i loro zoccoli lasciano un’impronta a forma di primo quarto. Gli antichi Elleni, però, introdussero in Grecia dalle regioni transcaspiche una razza di cavallo più robusta, ed utilizzabile per trainare carri, mentre gli animali indigeni, alti come ponies, non ne erano in grado. Gli Elleni si impadronirono delle città dove fioriva il culto del cavallo, e di Demetra, costringendo le sacerdotesse locali al matrimonio. È facile notare i parallelismi tra il mito pelasgico della creazione (quello di Eurinome) e quello olimpico (legato alla figura di Gea). In realtà quest’ultimo soppiantò quello pelasgico con l’avvento appunto della religione olimpica. Inoltre, in un’altra leggenda si narra di Era che, sotto forma di serpente, subiva violenza da parte del figlio Zeus, anch’esso tramutatosi in serpente. Con questo accoppiamento iniziò la lunga serie di amori di Zeus163 (tra i quali anche quello con Eurinome, che era divenuta una dea minore), attraverso i quali Zeus estese il suo potere sopra e sotto la terra, laddove, nel frattempo, Era ne perdeva. I rapporti coniugali tra Zeus ed Era rispecchiano quelli della barbara civiltà dorica, quando cioè le donne perdettero tutti i loro poteri magici, salvo il dono della profezia, che era l’unico potere concesso ad Era, e vennero considerate alla stregua di oggetti di proprietà del marito. 163

Gli stupri compiuti da Zeus ricordano certamente le conquiste elleniche dei santuari dell’antica dea, come quello del monte Cillene; i suoi matrimoni invece ricordano l’antica usanza di dare l’appellativo di “Zeus” al re sacro del culto della quercia. 108


Il mito di Zeus che usa violenza alla dea madre Era, o Rea, implica che gli Elleni, devoti a Zeus, si assunsero il patrocinio di tutte le cerimonie funebri e agricole. Era non voleva che Zeus si sposasse perché fino a quel tempo la monogamia era sconosciuta; le donne prendevano tutti gli amanti che volevano164. Zeus che genera le stagioni in Temi significa che gli Elleni assunsero anche il controllo del calendario. Temi, “ordine”, infatti, era la Grande Dea che regolava il succedersi dei tredici mesi dell’anno, suddivisi nelle due stagioni dei solstizi d’inverno e di estate.

164

Nel culto pre-ellenico le donne si accoppiavano promiscuamente al di fuori del loro clan. 109


La battaglia degli alberi

C

on tutta probabilità il passaggio da una società matrilineare ad una patrilineare non è stato incruento. Anzi si può sostenere che questo passaggio fu il

risultato di vere e proprie guerre, materiali e simboliche, guerre che avevano come scopo la distruzione degli dei altrui. È facile a questo punto ricordare la “battaglia di Achren”, o anche “battaglia degli alberi165”, che si svolse nell’antica Britannia, e che simboleggiò il passaggio dalla società matriarcale a quella patriarcale. La battaglia, infatti, aveva come scopo la supremazia religiosa, e fu combattuta tra le schiere di Don, il popolo che nella leggenda irlandese è noto con il nome di Tuatha dé Danaan166, e le schiere di Arawn, “l’eloquenza”, re di Annwn, l’oltretomba o necropoli nazionale britannica. Vi era un profondo legame tra una città è il suo dio, il protettore della città e dei suoi abitanti. Una città che avesse perduto il simulacro del suo dio non avrebbe più potuto contare sulla protezione divina. Proprio per questo i Greci, nell’antichità, solevano legare le statue per evitare che gli dei fuggissero, e i 165

Nella lingua celtica “alberi” significa “lettere”. Tuath significa tribù, per cui questo nome significa “la tribù del dio che ha per madre Danu. 110

166


Romani si premuravano di trasferire i simulacri degli dèi dei popoli conquistati, per sottrarre a questi popoli la protezione dei loro dei. Antiche credenze sostenevano che una volta scoperto il nome segreto di un dio i nemici del suo popolo avrebbero potuto avvalersene per praticare magie a suo danno. Presso i Romani vi era una cerimonia particolare, detta elicio, che aveva come scopo proprio quello di scoprire il nome segreto del dio dei loro nemici. La battaglia di cui sopra, infatti, terminerà proprio nel momento in cui una delle due fazioni scoprirà il nome segreto del dio dell’altra. Il poemetto “La battaglia degli alberi” narra della conquista di un santuario oracolare, compiuta indovinando il nome di un dio, conquista che sarebbe avvenuta quando i Brittoni belgi, adoratori del dio del frassino Gwydion, con l’aiuto di una tribù di agricoltori già insediata in Britannia, si impadronirono del santuario nazionale, forse Avebury, sottraendolo all’ordine sacerdotale allora al potere, che adorava tra gli altri Arawn e Bran. Bran è il nome celtico dell’antico dio del corvo, variamente noto come Apollo, Saturno, Crono e Asclepio, che era anche dio della guarigione, e il cui culto si era fuso con quello di un dio del tuono raffigurato come ariete o come toro e variamente noto come Zeus, Tantalo, Giove, Telemone od Eracle. Probabilmente gli agricoltori che adoravano l’immortale Beli, nel suo tempio di Stonehenge, scoprirono di avere meno in comune con i loro signori adoratori della Dea Bianca che non con le tribù degli 111


invasori belgi dell’Età del ferro, il cui dio Odino, “Gwydion”, si era sbarazzato della tutela della Dea Bianca Freya. Una volta scacciati verso nord i sacerdoti di Bran, sarebbe stato loro possibile instaurare una sovranità permanente su tutta la Britannia meridionale sotto la tutela di Belin, il dio dell’Anno Nuovo che aveva ucciso permanentemente il dio dell’Anno Vecchio e aveva instaurato il suo regno pluriennale, scavalcando la regnante Dea. È facile capire a questo punto che i popoli dell’epoca avevano tutto l’interesse di mantenere segreto il nome del loro dio. Spesso arrivavano a attribuirgli altri nomi fittizi per celare il vero nome. Il nome della divinità che impersonava la luna fu reso oggetto di tabù dai druidi, i quali prescrissero che nessuno dovesse mai scriverlo né pronunciarlo. Era consentito quindi riferirsi alla luna solo con eufemismi. Oggi, quindi, il termine usato comunemente per riferirsi alla luna, in Irlanda, è gealach, che significa “splendore”. È interessante notare che anche la dea della luna greca, cioè Selene, era chiamata splendore, “Phoebe”. I Romani misero a morte un sabino, Quinto Valerio Sorano, verso la fine della repubblica, perché aveva sconsideratamente rivelato il nome segreto della loro divinità tutelare. Anche nell’antico Egitto i mistici erano specializzati nella conoscenza dei nomi segreti di dei e demoni. Nel libro della Genesi, infine, Adamo opera l’atto magico di attribuire un nome alle creature del mondo naturale, grazie al quale ottiene da dio il potere di dominarle; ed

112


anche Lilith167, la prima donna che venne affiancata ad Adamo, tormentata dagli angeli per aver abbandonato il primo uomo, rifiuta di obbedire agli ordini dell’eterno perché conosce il nome ineffabile di dio. Il linguaggio parlato, infatti, è stato sempre considerato come un mezzo per stabilire una “comunione” con la divinità, mediante uno scambio di parole tra l’interlocutore umano e l’ascoltatore divino. Conoscenze particolari, e soprattutto l’uso di linguaggi incomprensibili ai più, contribuirono a creare dovunque caste sacerdotali di mistici, di oracoli e di aruspici, che godevano di notevoli privilegi e di grande credito specialmente tra

il

popolo.

L’uomo

primitivo

rimase

probabilmente

impressionato dalla capacità del linguaggio di suscitare immagini dal nulla, di dare vita ad avvenimenti tramite un racconto, di rendere partecipi dei nostri pensieri i vicini. Per questo il linguaggio e la scrittura furono ritenuti opera di un artefice divino. Secondo la Qabbalah (“tradizione”) ebraica, ogni lettera dell’alfabeto

contiene

un

messaggio

segreto

la

cui

interpretazione permette di conseguire un superiore livello di conoscenza e, quindi, di avvicinarsi a Dio. Ciò spiega perché nei tempi antichi certi testi sono stati oggetto di una particolare forma di protezione. Lo stesso Vangelo, agli inizi del medioevo, si credeva avesse un potere taumaturgico, cioè di guarire le malattie. Nacquero le 167

Lilith era la prima sposa di Adamo, dal quale fuggì perché Adamo cercava di sottometterla. Quindi si diresse verso il Mar rosso gridando “perché dovrei giacere sotto di te ? Io sono tua pari !”. 113


cosiddette “parole di potenza”, cioè frasi che potevano essere pronunciate solo dagli iniziati in particolari occasioni, perché il solo fatto che fossero pronunciate poteva scatenare forze soprannaturali incontrollabili. Nel mito Egizio la divinità solare Ra creò se stessa a partire dal caos semplicemente chiamandosi per nome, e questo è un classico esempio del potere della parola, così come era inteso dagli antichi. Il nome del dio degli Ebrei, scritto su una pietra custodita nel Sancta Sanctorum all’interno del Tempio di Gerusalemme, poteva essere letto, e pronunciato, solo una volta all’anno dal sommo sacerdote. Ancora, la dea Iside avvelenò il vecchio Ra per potergli strappare il suo nome segreto. Caratteristica degli antichi druidi britannici era il fatto che essi non mettevano mai niente per iscritto. Quando i centurioni di Roma invasero, nel 60 d.C., l’isola di Anglesey, l’antica isola di Môn come la chiamavano i Britanni, o Mona secondo i Romani, e distrussero tutto ciò che trovarono, templi, ed anche alberi e boschi ritenuti sacri dai druidi della Britannia, coloro che si trovavano lì non sopravvissero, e così il druidismo, la parte più ermetica della religione britannica, fu estirpato con la forza poiché i druidi, le loro conoscenze, i loro rituali segreti, rimasero ignoti, e mai più furono recuperati. Solo nelle leggende popolari, si può notare l’eco delle storie e dei miti di quell’antica religione, con notevoli modifiche che, con tutta probabilità, sono dovute per lo più ai cristiani che agivano con l’intento di nascondere i

114


resti dell’antico sapere dei druidi. La storia di Artù168 è, infatti, storia di pagani, poi modificata in ambiente cristiano, e adattata dai cristiani per far notare la malvagità insita nella religione pagana. In buona sostanza la sua storia narra di una donna che rimane incinta di un altro uomo, non viene scacciata dal marito, e dà alla luce colui che diviene il difensore del suo popolo. Artù si circonda di dodici compagni d’armi, come gli apostoli di Gesù, e guida il suo popolo nella guerra contro il nemico invasore (per Gesù i Romani), nella quale rimane ferito a morte. Però non muore, ma va in una terra perfetta, dalla quale ritornerà quando il suo popolo avrà di nuovo bisogno di lui. Il parallelismo con la vita di Gesù è evidente. In realtà la religione di Artù era probabilmente pagana, anche se a quei tempi, si parla del quinto e sesto secolo d.C., la Britannia era già in parte cristianizzata. Tale operazione fu svolta con una certa efficacia dai soldati Romani, ed ebbe il suo culmine appunto con l’invasione dell’isola di Mon. È sufficiente notare come il ritrovamento del Graal nella leggenda serve per rinnovare il connubio tra Artù e la terra, e consentire quindi a quest’ultima di rifiorire. Oggi, purtroppo, non è più possibile cercare sull’isola sacra i resti dell’antica religione, poiché il luogo più sacro, il Lago delle Piccole Pietre, è stato interrato durante la seconda guerra mondiale per allungare la pista di un aeroporto. 168

Probabilmente l’Artù storico è Owain Ddantgwyn, detto arth, cioè l’orso, un capo guerriero che governò la città di Viroconium tra il V e il VI secolo d.C., rendendo la sua città la più importante della Britannia. Owein morì per mano del nipote, come l’Artù dei romanzi, nella battaglia tenutasi a Camlan, un passo desolato ancora oggi esistente nel Galles nord-occidentale. 115


Anche in Grecia gli oracoli, in origine, erano pronunciati tutti dalla Madre Terra, e la sua autorità era così grande che gli invasori patriarcali si affrettarono ad impadronirsi dei suoi santuari,

sostituendo

sacerdoti

alle

sacerdotesse

oppure

costringendo le sacerdotesse medesime a servire le nuove divinità maschili. Fu così che Zeus a Dodona ed Ammone nell’Oasi di Siwa169 soppressero il culto della quercia oracolare sacra a Dione, come Geova soppresse il culto dell’acacia oracolare di Ishtar e Apollo si impadronì dei santuari di Delfi e di Argo. In un mondo dominato dal Fato, nel quale non si aveva nozione di libero arbitrio, la fede negli oracoli doveva essere per forza di cose illimitata. Essendo ritenuto il futuro qualcosa di predeterminato e immutabile che l’intervento umano non poteva in alcun modo alterare né uniformandosi né contravvenendo alla volontà divina, veggenti e indovini avevano nell’antica Grecia un ruolo del tutto diverso da quello ricoperto nella società biblica. Essi,

infatti,

non

dispensavano

consigli,

ma

fornivano

informazioni su quanto sarebbe fatalmente accaduto. La sibilla, in dialetto eolico “colei che reca il consiglio degli dei”, da sisis, “dei”, e boullan, “consigliare”, con le sue profezie a lungo termine, derogava alla consuetudine pagana di mantenere gli oracoli ancorati all’attualità. I detti delle sibille assumevano in molti casi la portata di rivelazioni escatologiche, proiettate al di là dei millenni. Diversamente dagli auguri Romani, e dai 169

Dove poi sarà sepolto Alessandro il Grande. 116


veggenti Greci, le sibille si pronunciavano sul futuro del mondo, coinvolgendo nelle loro sentenze l’intero genere umano. Alcuni popoli primitivi ritenevano che il linguaggio avesse derivazione strettamente divina, e che attingendo la prima forma di discorso, o quella più pura, si sarebbe potuti pervenire alla lingua degli dèi. A tal fine il faraone Egizio Psammetek I condusse un curioso esperimento: fece crescere due bambini senza far loro udire parola umana, nella speranza che avrebbero istintivamente sviluppato un linguaggio puro e divino. Si narra che i piccoli cominciarono a parlare spontaneamente il frigio, antica lingua dell’Asia Minore. Per tornare alla battaglia degli alberi, essa fu vinta dalla fazione opposta ai Tuatha dé Danaan. Questi ultimi avevano una società matrilineare, e dopo la loro sconfitta, la loro dea Danu, venne assorbita dal popolo vincitore, e mascolinizzata in Don, o Donnus.

117


L’alfabeto segreto

I

n

Britannia

e

in

Irlanda,

alcuni

secoli

prima

dell’introduzione dell’alfabeto latino, esisteva un alfabeto goidelico chiamato ogham, consistente in venti lettere

(quindici consonanti e cinque vocali) corrispondenti, sembra, a un linguaggio muto che utilizzava le dita. I Goideli, cioè i Celti gaelici, passarono dal continente nella Britannia sudorientale duecento anni prima degli invasori belgi (celti-p) provenienti dalla Gallia agli inizi del IV secolo a.C. Le lettere ogamiche cominciarono ad essere usate nelle iscrizioni pubbliche solo con il declino del druidismo. Prima di allora erano state protette da un rigoroso segreto e quando venivano usate dai druidi170 per scambiarsi messaggi scritti intagliati su pezzi di legno, i messaggi erano di solito cifrati171.

170

Vi sono diverse interpretazioni sul significato della parola “druido”. Secondo alcuni deriverebbe dal greco drus, “quercia”; altri affermano che derivi da dru-wid, “conoscenza della quercia”. In ogni caso il termine druido avrebbe comunque un significato legato alla conoscenza, che sottolinea la sapienza di questa casta. Potremmo quindi tradurlo come “molto sapiente”. La radice wid, o vid, ha un’accentuata somiglianza con il termine sanscrito veda indicante la conoscenza. 171 Anticamente gran parte dell’istruzione poetica riguardava i diversi modi di complicare il linguaggio, al fine di proteggere il segreto. Nei primi tre anni l’apprendista ollave doveva imparare centocinquanta alfabeti cifra. Le Tredici Cose Preziose, i Tredici Gioielli Regali, le Tredici Meraviglie di Britannia, 118


Le quattro serie di cinque lettere che componevano l’alfabeto rappresenterebbero ognuna le dita usate in un linguaggio di segni; per formare qualunque lettera era sufficiente estendere il numero corrispondente di dita di una mano, orientandole in una delle quattro direzioni. Un metodo più rapido poteva essere quello di considerare la mano sinistra come la tastiera di una macchina da scrivere, con le lettere disposte sulla punta delle dita, sulle giunture e sulla base. Con l’indice della mano destra si toccavano via via i punti richiesti. Nelle iscrizioni le lettere sono formate da tacche incise con uno scalpello lungo il margine di una pietra squadrata; le tacche, da una a cinque, sono di quattro tipi, per un totale di venti lettere. Nel De bello gallico Giulio Cesare sostiene che i druidi, gli antichi sacerdoti-poeti gallici, usavano l’alfabeto per i loro scritti di natura pubblica e per la corrispondenza privata, ma che non affidavano alla scrittura le loro dottrine sacre, sia perché non venissero divulgate, sia perché la memoria dei dotti non venisse indebolita. Probabilmente il motivo fondamentale era un altro: in questo modo si voleva evitare che i segreti religiosi potessero essere carpiti dai nemici. Esistono puntuali corrispondenze tra questo alfabeto e forme antiche di alfabeti Greci. In realtà è più probabile che quello ogamico esistesse già prima, e che fosse poi stato solo modificato sulla base dell’alfabeto greco, con l’aggiunta di cinque lettere. L’antico termine irlandese per alfabeto era “BethLuis-Nion”, che indicava le prime tre lettere (B, L, N). Ma ecc., rappresentavano con ogni probabilità serie di equivalenti cifrati delle tredici consonanti dell’alfabeto britannico Beth-Luis-Nion. 119


l’ogamico inizia con le lettere B-L-F. Quindi probabilmente l’alfabeto originario, il Beth-Luis-Nion, veniva dalla Grecia, ma attraverso la Spagna, e non la Gallia, e poi, dopo l’interdizione all’uso epigrafico, fu modificato e divenne il B-L-F. Ognuna delle lettere aveva un proprio nome. Ad esempio la prima era Beth, l’ultima, la I, era Jaichim. Jaichim, o Jachin, era il nome di uno dei due misteriosi pilastri del tempio di Salomone172; l’altro si chiamava Boaz. I maestri rabbini insegnano che Boaz significava “in esso la forza” e Jaichim “egli stabilirà”, e che i pilastri rappresentavano rispettivamente il sole e la luna. Ma Jaichim è l’ultima lettera dell’alfabeto ogamico (la I), e nella mitologia celtica la I è la lettera della morte, associata all’albero del tasso. Quindi Jaichim sta per morte. L’essenza della filosofia druidica, così come quella della filosofia orfica greca, era contenuta nel nome della lettera R, secondo Gwion, cioè rheõ, “scorro”, da cui panta rhei, “tutto scorre”. Il problema principale del mondo pagano è invece rappresentato dall’altro nome della R, Riuben, che sta per “ruota” (“tutte le cose sono destinate a girare in tondo per sempre ? E se no, come si sfugge alla Ruota ?”). La soluzione degli orfici era molto tranquilla: non dimenticare, rifiutarsi di bere, anche se assetati, l’acqua del Lete ombreggiato da cipressi173 e accettare solo l’acqua sacra dello stagno di

172

Salomone, figlio del leggendario re ebreo David, costruì il famoso Tempio al centro del quale pose il Sancta Sanctorum, dove il Sommo Sacerdote poteva, lui solo, mettersi in comunicazione con l’Onnipotente attraverso l’Arca dell’Alleanza (arcis foederis). 173 Il cipresso, il cui nome deriva da Cipro così chiamata da sua madre Afrodite Cipra, era sacro a Eracle, che aveva piantato il famoso boschetto di 120


Persefone, diventando così immortali signori dei morti, al riparo da ulteriori smembramenti, distruzioni, resurrezioni e rinascite. Nelle civiltà antiche, e ancora oggi in quelle orientali, non esiste l’idea della fine del mondo, in quanto per esse il tempo ha un andamento ciclico e, alla conclusione di un lungo periodo, si ripete in modo identico, proprio come succede con l’avvicendarsi delle stagioni. Con l’avvento nella cultura ebraico-cristiana dell’idea di un Dio unico e creatore, la suddetta concezione ciclica del tempo viene sostituita da una lineare, caratterizzata da un inizio e da una fine. Il tempo nasce assieme al mondo fisico nel momento della creazione ed entrambi sono destinati, come tutte le cose materiali, a finire e a confluire in Dio. Da qui, l’idea della fine del mondo, alla quale s’accompagna quella della punizione dei malvagi e del trionfo del Bene. Le teorie della moderna scienza darwiniana, che propongono una concezione lineare del tempo, con un inizio ed una fine, sono in contrasto con gli insegnamenti ermetici provenienti dall’antico Egitto, che hanno impregnato il cuore mistico dell’ebraismo e delle religioni, così come gli insegnamenti tantrici dell’India e del Tibet. Allo stesso modo in cui noi percepiamo il flusso dei cicli, come quello delle stagioni, le fasi della luna, e così via, esistono cicli propri dell’esistenza. Questo grande ciclo è conosciuto come Maha Yuga, ed è composto da quattro epoche: Satya Yuga o età dell’oro, Treta Yuga o età dell’argento, Dvapara Yuga o età del bronzo, Kali

cipressi di Dafne, e rappresentava la rinascita. Il suo culto fu portato a Cipro da Creta. 121


Yuga o età del ferro174. La prima fase era quella in cui l’uomo si trovava in intimo contatto con lo spirito, mentre, nelle epoche successive questo contatto si è gradualmente perso, fino alla nostra epoca, il Kali Yuga, dove è maggiore la contaminazione della materia. L’essenza

della

filosofia

druidica,

poi

ripresa

dal

pelagianesimo che si oppose alla dottrina cristiana di Agostino, la quale ultima affermava che gli uomini non erano responsabili dei peccati, e che tutto era già preordinato, consisteva nel fatto che gli uomini sono responsabili delle loro azioni, e a loro spetta la scelta finale. Laddove la volontà non è libera, non vi può essere peccato. Pelagio, a differenza di Agostino che affermava che l’uomo era condannato dal peccato originale, sosteneva che gli uomini sono liberi di scegliere il bene o il male, e che quindi sono dotati di libero arbitrio. Pelagio criticò aspramente le opere di Agostino e, per questo, fu condannato come eretico. In seguito le posizioni di Agostino sulla predestinazione furono riviste dalla Chiesa. Quindi un alfabeto greco formato da tredici, e poi quindici consonanti e cinque vocali sacre alla Dea e avente origine a Creta, era in uso nel Peloponneso prima della guerra di Troia. Fu portato in Egitto e qui adattato all’uso semitico da mercanti 174

La più volte rinnovata paura per la fine del mondo, sempre invocata e rinnovata, non è altro che una errata comprensione della dottrina delle epoche. La fine del mondo, che per inciso dovrebbe avvenire nel 2012 circa, non è altro che il momento di chiusura del grande ciclo, al quale seguirà un nuovo grande ciclo, non una vera e propria fine. Come già detto nella filosofia ermetica non esiste il concetto di fine del tempo, ma solo il ciclo, e quindi un suo eterno rinnovarsi. 122


fenici che, alcuni secoli dopo, lo riportarono in Grecia, quando ormai i Dori avevano distrutto la civiltà micenea. Tutto ciò è dimostrato dalla somiglianza dei nomi delle lettere tra l’alfabeto greco, quello ebraico e quello irlandese: alfa, alef, ailm; beta, beth, beith; e così via. L’alfabeto Boibel-Loth, dove i nomi Greci delle lettere si riferivano al viaggio del divino Eracle nel nappo solare, alla sua morte sul monte Eta e alle sue benemerenze quale giudice e fondatore di città, soppiantò verso l’anno 400 a.C. l’alfabeto arboreo Beth-Luis-Nion, dove i nomi Greci delle lettere si riferivano all’uccisione di Crono sacrificato da donne inferocite. L’alfabeto greco era una semplificazione dei geroglifici cretesi. Il primo alfabeto scritto, probabilmente, nacque in Egitto, durante il diciottesimo secolo a.C., per influenza cretese. Tuttavia prima dell’introduzione dell’alfabeto modificato, in Grecia esisteva un alfabeto il cui segreto era gelosamente custodito dalle sacerdotesse della luna, cioè Io o le tre Parche. Tale alfabeto era strettamente legato al calendario e le sue lettere non erano rappresentate da segni scritti, ma da ramoscelli recisi da alberi di specie diverse. Anche le lettere dell’antico alfabeto irlandese, come di quello usato dai druidi della Gallia descritti da Cesare, portavano il nome di alberi. Infatti Beth, luis e nion erano in realtà le prime consonati del nome di tre alberi, la betulla, il frassino di montagna e il frassino. I nomi delle lettere del Beth-luis-nion, che secondo la tradizione giunsero in Irlanda dalla Grecia passando per la Spagna, formavano in origine un arcaico 123


incantesimo greco in onore dell’arcade Dea Bianca, Alfito, che nell’epoca classica era tanto decaduta da diventare uno spauracchio

per

bambini.

La

successione

delle

lettere

dell’alfabeto cadmeo, perpetuata nel nostro ABC, pare sia dovuta a un volontario errore dei mercanti fenici; essi si servivano di un alfabeto segreto per i loro commerci, ma temevano di offendere la dea rivelandone l’esatta sequenza. Il segreto che veniva custodito con le proibizioni relative all’uso dell’alfabeto era certamente il nome del dio. Gwion, chierico del Galles settentrionale alla fine del XIII secolo che difendeva i menestrelli popolari contro i bardi di corte, scrisse, o riscrisse, un romanzo su un Fanciullo miracoloso in possesso di una dottrina segreta che nessuno poteva penetrare, dottrina racchiusa in un serie di poesie mistiche inserite nel romanzo stesso. Il quale romanzo si basa su un testo più antico, dell’XI secolo, in cui Creirwy e Afagddu, figli di Tegid Voel e di Caridwen, svolgevano probabilmente una parte ben più importante che nella versione di Gwion. La storia dell’originale è abbastanza simile alla Tempesta di Shakespeare. Il fanciullo miracoloso pone un indovinello che presuppone la conoscenza non solo della mitologia gallese e irlandese, ma anche del Nuovo Testamento in greco e della versione greca dei Settanta, delle Scritture e degli apocrifi ebraici e della mitologia greco-latina. La risposta all’indovinello è una serie di nomi che corrisponde da vicino a un’altra serie che conteneva i nomi originali delle lettere dell’alfabeto ogamico, usato in numerose 124


iscrizioni (talora precristiane) in Scozia, Irlanda, Galles, Inghilterra e nell’isola di Man. La tradizione irlandese attribuisce l’invenzione di questo alfabeto al dio goidelico Ogma Volto-disole, che l’arte celtica rappresenta come un personaggio composito raggruppante caratteristiche degli dei Crono, Eracle e Apollo. Prima dell’ogamico era usato in Britannia una versione alfabetica leggermente differente (il Beth-Luis-Nion). I nomi delle lettere dell’alfabeto di Gwion nascondono il nome del dio trascendente venerato in Gallia e Britannia, che Cesare chiama Dite. Il B-L-N, precedente all’alfabeto ogamico (B-L-F o BoibelLoth) di Gwion, conteneva anch’esso nella disposizione dei nomi delle lettere un segreto religioso, il nome del dio, e, dopo la battaglia degli alberi, questo alfabeto fu mutato, disponendo in modo diverso le lettere, per proteggere il nuovo nome divino. Lo stesso Boibel-Loth consisteva in realtà in venti appellativi mistici di una singola divinità maschile proteiforme, corrispondenti ai suoi mutamenti stagionali, e questi appellativi erano tenuti segreti dapprima a causa del loro potere di invocazione e in seguito perché considerati eretici dalla Chiesa cristiana.

125


Lo Spirito Santo

S

econdo la dottrina gnostica175, Gesù fu concepito nella mente dello Spirito Santo di Dio, che in ebraico era femminile e aleggiava sulle acque. Nei primi secoli

del Cristianesimo, infatti, gli iniziati cristiani veneravano il principio femminile, ripreso dalla triade divina di origine indiana, nella forma dello Spirito Santo rappresentato da una colomba. In seguito la Chiesa per la sua nota avversione per tutto ciò che è femminile, nascose e smarrì la chiave dei suoi misteri. La Vergine Maria era il recipiente fisico in cui questo concetto si incarnò, e per gli gnostici “Maria” significava “del mare”. Lo 175

Lo gnosticismo o gnosi, cioè “conoscenza” in greco, era un movimento religioso cristiano con profonde radici esoteriche, sorto forse addirittura prima del cristianesimo “ufficiale”. Oltre che sugli insegnamenti di Cristo, si basava su diverse fonti: i culti misterici Greci, lo zoroastrismo, la qabbalah ebraica, la religione Egiziana. Sosteneva che tutta la realtà materiale è male, e che la salvezza si può ottenere solo liberando lo spirito dalla prigionia della materia. La maggior parte dei testi gnostici venne distrutta dalla Chiesa entro il terzo secolo. Dopo quasi 17 secoli, nel 1945, a Nag Hammadi in Egitto, è stata ritrovata una vera e propria biblioteca gnostica con 49 trattati datati tra il terzo e il quinto secolo. Tra questi ci sono alcune “Apocalissi” attribuite ad Adamo, Giacomo, Pietro e Paolo, e un vangelo attribuito a Maria Maddalena, donna per la quale gli gnostici avevano una venerazione particolare. I manoscritti di Nag Hammadi sono stati diffusi solo nel 1962, dopo una complicata serie di vicissitudini e una certa ostilità da parte della Chiesa. Potrebbero, secondo alcuni autori, dimostrare che la gnosi era la forma originaria del cristianesimo predicata da Gesù. Gli gnostici furono perseguitati e dispersi, e i pochi superstiti si unirono agli adepti di un altro movimento religioso, che presentava caratteristiche analoghe, il Manicheismo. 126


Spirito Santo maschile è un prodotto della grammatica latina (spiritus è maschile) e dell’avversione dei cristiani primitivi per le divinità femminili. Il concepimento da parte di un principio maschile è illogico è questo è l’unico esempio in tutta la letteratura latina. Gli gnostici identificarono lo Spirito Santo con Sofia, “Sophia176”, la Saggezza, che è femminile. Nella Chiesa cristiana primitiva il Credo veniva recitato solo durante il battesimo177, cerimonia di iniziazione al mistero cristiano dapprima riservata agli adulti. E anche la celebrazione dei misteri Greci, su cui si modellarono quelli cristiani, nonché di quelli druidici, era preceduta dalla cerimonia del battesimo. Il battesimo, infatti, i cristiani lo mutuarono da Giovanni Battista, che l’aveva appreso dagli emerobattisti, una misteriosa setta ebraica di solito considerata filiazione degli Esseni pitagorici, che venerava Jahvè nel suo aspetto di dio-Sole. Anche i devoti della dea Tracia Cotitto, antenata dei Cotti, impiegavano i “battisti” che battezzavano i devoti prima delle orge; e gli antichi irlandesi e gli antichi britanni praticavano il battesimo prima dell’arrivo del cristianesimo. I Veda individuarono nell’acqua il simbolo della purezza indù, e il bagno rituale nel Gange ne costituisce un esempio di rituale di purificazione. 176

Sophia, in ebraico Chokmah, era in inteso come sapienza, saggezza, in riferimento ad una figura femminile che appare nel Vecchio Testamento, nel Libro dei Proverbi. Essa in realtà è presentata come la compagna di Dio, così provocando notevole imbarazzo tra i commentatori ebrei e cristiani, ed è lei che lo influenza e lo consiglia. 177 Il battesimo era di origine Egiziana, poi passò agli Ebrei, infine ai cristiani. In greco significa “immersione”; infatti in origine i cristiani venivano battezzati mediante immersione in acqua santa per tre volte. Poiché tale operazione poteva provocare reazioni negative nei bambini, nei vecchi e nei malati, successivamente la si sostituì con la semplice aspersione. 127


La città di Eleusi era la sede dei più famosi misteri del mondo antico. Ma la parola eleusis significa “avvento”, e fu adottata dai misteri cristiani per indicare la venuta del Fanciullo Divino, venuta che era l’oggetto stesso dei misteri eleusini, anche se il fanciullo di Eleusi aveva, ovviamente, un altro nome. Nell’uso abituale l’Avvento comprende il Natale e le quattro settimane precedenti. Re Eleusi era un altro nome del Dioniso dei cereali, la cui vita era celebrata dai Grandi Misteri, una festa di ringraziamento per il raccolto che si svolgeva alla fine di settembre. A uno stadio molto antico degli annuali Misteri Eleusini, il Fanciullo Divino, figlio della “Saggia venuta dal mare”178, veniva esibito dai mistagoghi, perché fosse adorato dai celebranti. Era seduto in un liknon, un cesto per il grano fatto di vimini, più o meno come Gesù. Ovviamente non esisteva nessun Re Eleusi, visto che eleusis indicava l’avvento del Fanciullo Divino, figlio di Daeira, o Afrodite, la Saggia del Mare, lo Spirito che aleggia sulle acque. Eleusi quindi non aveva padre, ma solo una madre vergine; infatti la sua origine precede l’istituzione della paternità. I Greci che, essendo patriarcali, giudicarono la cosa disonorevole, gli diedero come padre “Ogigo” o Ermes. Allo stesso modo anche Dioniso nasceva senza padre. Solo più tardi le fu imposto Zeus, il quale costrinse Semele e poi se ne liberò.

178

Daeira, la madre del Re Eleusi era figlia di Oceano, la saggia del mare identificata con Afrodite, la dea-colomba che sorgeva dal mare a Pafo, nell’isola di Cipro, rinnovando di anno in anno la propria verginità. 128


Secondo Gwion, Dioniso era riconoscibile come Cristo, Figlio di Alfa, ossia della lettera A. “Alfa179 e Omega” era una perifrasi divina che era concesso di pronunciare in pubblico e il “Tetragrammaton” erano le quattro lettere JHWH, il modo crittografico ebraico di scrivere il nome segreto di dio. Per quanto riguarda le affermazioni di Gwion, si deve ricordare che Dioniso, a prezzo di lunghe guerre, affermò il suo culto in tutto il mondo, dopo di che ascese al cielo e, spodestando Estia, sedette alla destra del padre suo, che in questo caso era Zeus, alla mensa dei Dodici Grandi. L’analogia con la dottrina cristiana è evidente, come del resto è significativo il numero degli dei tra i quali viene accolto Dioniso. Gli Ebioniti, mistici Esseni del I secolo d.C., credevano in uno Spirito Santo femminile, e quelli di loro che abbracciarono il cristianesimo, e dai quali discendono gli gnostici clementini del II secolo, facevano della Vergine Maria il ricettacolo di questo Spirito Santo, che essi chiamavano Michael, che in seguito divenne l’arcangelo Michele. Quest’ultimo creò Adamo per ordine della Madre di tutti i viventi. Nella versione talmudica della creazione l’arcangelo Michele, che corrisponde a Prometeo180, crea Adamo dalla polvere non per ordine della Madre di tutti i viventi, ma per ordine di Jahvè. 179

Alpha fu la prima lettera, poiché alphe significa onore e alphainein significa inventare, e poiché Alfeo è il più nobile dei fiumi. Alfea era anche uno dei nomi di Artemide. 180 Prometeo, il “preveggente”, era cugino di Zeus e uno dei Titani; formò con la creta il primo uomo. Un giorno durante un sacrificio divise un bue in due parti, riempiendone una col grasso e le ossa, che diede a Zeus, e l’altra con carne e visceri, che destinò agli uomini. Zeus, adirato per non aver avuto la carne, punì gli uomini privandoli del fuoco. Prometeo rubò i semi del fuoco e li diede agli uomini. 129


Jahvè soffia in lui la vita e gli dà come compagna Eva che, simile in ciò a Pandora181, apporta sciagure al genere umano. Michal però era la donna che sposò Caleb, e rappresentava la dea del mare locale; ma Michal e Miriam182 sono la stessa persona che acquista un diverso nome, così come Giacobbe che, quando sposò Rachele sacerdotessa della colomba, divenne IšRachel, o Israel, cioè “l’uomo di Rachele”, poiché a quell’epoca erano gli uomini ad acquisire il nome della moglie, e non viceversa. È quindi evidente che in origine lo Spirito Santo aveva attributi femminili. Nel periodo di transizione dal matriarcato al patriarcato il fanciullo divino senza padre viene sottratto alla madre e affidato a un tutore, come Mosè, Romolo e lo Zeus cretese. Nei misteri eleusini il fanciullo entrava portato dai pastori, non dalla madre o dalla nutrice. Nella tradizione gnostica la madre della vergine Maria, Anna183, faceva parte di una triade completata da un’altra Maria e da Sofia. È di tutta evidenza il collegamento con la triplice dea.

181

Pandora, “che tutto dona”, era la dea terra Rea, venerata con quell’appellativo ad Atene e in altre città. Solo in epoca tarda fu costruita la storia del vaso di Pandora come mito antifemminista. 182 Il nome Miriam deriva da quello della moglie di Mosè, e significa “goccia nel mare”. 183 Anna significa “grazia”. 130


La storia della Britannia

A

questo

punto

conviene

tracciare

un

quadro

cronologico relativo alle invasioni della Britannia. Tra il 3000 e il 2500 a.C. assistiamo ad una

graduale immigrazione di cacciatori neolitici, i quali trovano sul posto insediamenti sparsi di cacciatori paleolitici risalenti addirittura al 6000 a.C. Tra il 2500 e il 2000 a.C. vi è un’invasione di agricoltori dolicocefali che addomesticano il bestiame, fabbricano vasellame con decorazioni a crudo e introducono la sepoltura a tumulo oblungo, come quelle rinvenute nella zona di Parigi. Questi invasori provengono dalla Libia attraverso la Spagna, il Portogallo, la Francia e la Bretagna. Tra il 2000 e il 1500 vi è un’invasione di una popolazione brachicefala proveniente dalla Spagna attraverso la Francia e la valle del Reno che introduce la lavorazione del bronzo. È seguita da un’ulteriore immigrazione di dolicocefali dal baltico e dalla zona del Reno, i quali introducono i tumuli circolari e la cremazione. Tra il 1500 e il 600 a.C. si situa lo sviluppo della cultura dell’Età del bronzo. I traffici attraverso la manica si

131


moltiplicano, ma non ci sono invasioni su larga scala, fino a quella dei Pitti (Picti). Nel 600 si può situare un’invasione di una popolazione goidelica, proveniente dalla Germania e dalla valle del Reno, dove ha adottato la cultura di Hallstatt (Età del ferro), che si ferma nella regione sudorientale. Nel 400 vi è la prima invasione belgica della Britannia e dell’Irlanda, da parte di Teutoni e Brittoni (Celti-p); questi sono gli antichi britanni che verranno a contatto con i Romani. Tra il 50 e il 45 a.C. vi è la seconda invasione belgica. Ed è proprio durante la prima, o forse la seconda, invasione belgica che deve essere accaduta la battaglia degli alberi, che era in realtà il racconto dell’espulsione di una classe sacerdotale dell’Età del bronzo dalla sua necropoli nazionale ad opera di un’alleanza tra una tribù agricola, da tempo insediata in Britannia e adoratrice del dio danao Bal, Beli o Belino, e una tribù di invasori brittonici. I primi comunicarono ai secondi un segreto religioso che permise al dio degli invasori di usurpare il posto del dio sconfitto, e così istituire un nuovo sistema religioso in luogo dell’antico. Il cane, il capriolo e la pavoncella, già usati dalla tribù sconfitta, furono posti a guardia del nuovo segreto religioso. Cioè, al di fuori della metafora, i vincitori utilizzarono gli stessi strumenti dei vinti per proteggere il loro segreto. Qual era questo segreto ?

132


I Celti gallici adoravano un dio di nome Dite184, che era un dio universale molto vicino a quello dei profeti Ebrei, e credevano di discendere da esso. Dite era un dio trascendente superiore ai vari Plutone, Minerva, Saturno (dio latino del corvo) e Venere, cioè era una sorta di Giove, anzi era addirittura superiore a Giove, per cui la conquista del suo santuario fu un evento di importanza storica. Al di sotto di questo dio vi erano altri dei, tra i quali Bran (che vuol dire “corvo”, ma anche “ontano” - in irlandese fearn, dove f è pronunciata v). Il culto di Bran parrebbe anch’esso importato dall’Egeo, forse dai Danai, in quanto questo dio mostra notevoli somiglianze con l’eroe pelasgico Asclepio che fu ucciso da Eracle, ed era re di una tribù che aveva come totem il corvo; Asclepio era il figlio di Apollo e forse di Atena, visto che entrambi questi dei avevano come animale sacro il corvo. Certamente Dite e Bran non erano la stessa cosa. Bran era insieme a Arawn il servitore di Dite. Dite fu rinominato Beli, ma se Beli è identificabile con Belo padre di Danao, esso è anche identificabile con Bel, il dio ctonio membro di una trinità maschile babilonese che assunse i titoli di una divinità mesopotamica più antica, Belili, cioè la dea Bianca dei sumeri, la Grande Madre, più antica anche di Ishtar e dea non solo lunare, ma anche arborea, nonché dea dell’amore e dell’oltretomba. Belili era sorella ed amante di Tammuz, era dea del salice e delle sorgenti. Tammuz, in particolare è il giovane dio che si unisce alla dea madre. 184

In tempi più tardi fu conosciuto come Plutone. Qualche volta lo stesso Inferno era chiamato così. 133


Ma il richiamo al salice ci consente anche un altro parallelismo. Infatti il salice aveva grande importanza anche per il culto di Jahvè a Gerusalemme. Tornando a Belili, questa venne spodestata da Bel, sua mascolinizzazione, come conseguenza delle modificazioni nella società di cui abbiamo parlato più sopra. Bel in seguito diverrà il più conosciuto Marduk. È quindi probabile che anche Bel originariamente fosse stato il dio giovane, figlio di Belili, e che poi ne usurpò i titoli. Il suo potere fu invocato nella battaglia degli alberi per soppiantare Bran dell’ontano. Allo stesso modo Bran doveva essere il dio giovane rispetto alla dea madre Danu, che poi fu mascolinizzata in Don, Donnus, e poi ancora in Dite, come dio universale. La Danu dei Tuatha dé Danaan, cioè i Pelasgi dell’Età del bronzo, si può quindi identificare con la Danae di Argo185, dea pre-achea, che fu poi mascolinizzata in Danao, figlio di Belo. Possiamo inoltre identificare Danu con la dea madre dei Danuna, una popolazione egea che intorno al 1200 a.C. invase la Siria settentrionale. Per gli Egiziani, che temevano il mare, tutti costoro erano “popoli del mare” costretti a migrare dalle fasce costiere dell’Asia Minore e della Grecia nonché dalle isole dell’Egeo. Ciò che accomuna i miti primitivi degli Ebrei, dei Greci e dei Celti è il fatto che tutte e tre le razze furono civilizzate da una popolazione che essi vinsero e assimilarono. I popoli invasori erano portatori del culto del dio guerriero (di origine aramaica o 185

Argos significa candido ed è l’aggettivo convenzionalmente usato per i parametri sacerdotali. 134


indoeuropea), mentre i popoli dell’Egeo si fondavano più sul culto della dea madre, anche se col tempo si modificò in seguito a riforme della società. I due fattori, quello esterno (il culto portato dagli invasori) e quello interno (la riforma della società chiesta dagli uomini che prendevano coscienza del proprio ruolo), si sommarono a formare i fondamenti delle moderne religioni. Nelle leggende di questi popoli è facile riscontrare temi analoghi, come ad esempio la presenza del cane (furto del cane Cerbero da parte di Eracle), del capriolo (Eracle porta via il capriolo bianco dal bosco sacro della dea Artemide), e della pavoncella (Zeus travestito da pavoncella). Quale è il significato di questi tre elementi costanti ? Il significato mitico, e perciò poetico, dato che i miti si esprimevano in poesia186 ad opera di poeti e narratori, del cane è “custodisci il segreto”, quel segreto dal quale dipendeva la sovranità del re sacro. Il cane infatti è posto a guardia di qualche cosa. Il significato del capriolo è “nascondi il segreto”, visto che il capriolo si nasconde nel folto del bosco, facendo così perdere le sue tracce al cacciatore. Il significato della pavoncella è invece “camuffa il segreto”, ed è la sua discrezione che ne fa un uccello sacro. Essa in particolare è molto abile nel nascondere i suoi nidi

186

La poesia antica, come ci dice Strabone, era la lingua dell’allegoria. Non è dunque esatto affermare che la parola poesia derivi dal verbo greco poiein, fare o creare. È invece più logico supporre che poiesis derivi dal fenicio phohe (bocca, voce, linguaggio, discorso) e da ish (essere superiore, cioè dio); cioè linguaggio degli dei. L’etrusco Aes o Aesar, il gallico Aes, lo scandinavo Ase, il copto Os (signore), l’Egizio Osiris, hanno la stessa radice. 135


e nel camuffarli, e nell’orchestrare vere e propri inganni per evitare che le sue uova siano scoperte.

136


Il Dio-Cielo

O

riginariamente dell’uomo,

gli

come

dei

erano

accadeva

per

ad i

immagine Greci.

Si

comportavano proprio come gli uomini, avevano gli

stessi difetti, le stesse manie, gli stessi problemi degli uomini, ed erano costantemente impegnati nei loro imbrogli e scherzi, al punto da rendere difficilmente accettabile che si potessero occupare della condizione umana. In particolare, tale aspetto era notevolmente accentuato nella Grecia omerica, dove gli dei non erano altro che uomini glorificati, eroi immortali. Questi dei non agivano in campo etico, infatti le loro azioni erano spesso dettate da motivi personali o dall’umore del momento. Tale situazione rendeva ovviamente difficile credere che un atto compiuto in questa vita potesse essere utile in una vita futura, per questo si diffusero le dottrine orfiche e pitagoriche o similari, le quali costruivano un sistema di vita in cui ognuno era padrone della propria vita, e nel quale un’azione buona o giusta aveva incidenza sulla posizione futura di quella persona. Tale tipo di dottrina, ovviamente, aveva necessariamente bisogno di un dio diverso, motore di ogni cosa e in grado di vedere tutto e

137


giudicare tutto in maniera oggettiva, e non capricciosa. Tale dio divenne quindi trascendente. Una volta che l’attenzione si fu concentrata sul problema cosmico della creazione, si cominciò ad affermare il più remoto e trascendente Dio-Cielo, come era all’origine Jahvè187. Il diocielo era un’ulteriore evoluzione del re sacro che, sganciandosi dalla soggezione alla dea e dalle questione strettamente materiali come la semina e il raccolto, il tempo e le piogge, si avviava a diventare un Essere Supremo celeste, capo del pantheon. Egli era innanzi tutto la fonte trascendente del processo creativo che assommava in sé tutti i suoi vari aspetti. In Egitto questa nuova divinità acquistò le caratteristiche del Dio-Sole, data l’importanza che il sole assumeva nelle condizioni ambientali della valle del Nilo. Il dio trascendente dei Greci, anche se non era il motore ultimo di tutto, era comunque l’origine dell’ordine e dell’armonia, alla quale si contrapponeva la “necessità”, dalla quale derivava il male. Né Platone, né Socrate, né Aristotele predicarono il monoteismo, anche se era in nuce nelle loro dottrine, in un contesto prettamente filosofico e non religioso. La teologia esoterica dei dotti era, infatti, monoteistica fin dai tempi più antichi. Più esattamente era chiara l’unità fondamentale dell’essere divino, anche se egli aveva più sfaccettature che erano viste dal popolo non colto come diverse divinità. Secondo gli iniziati dio è l’unico, comprende in sé il padre, la madre e il 187

All’epoca in cui Salomone gli innalzò il famoso tempio, grande più o meno quanto una chiesetta di campagna, e ciò a rinforzare l’idea della scarsa importanza del dio all’epoca, egli era solo un signore delle tempeste. 138


figlio, come diverse membra dello stesso corpo che concorrono alla sua perfezione. Le sue “membra”, identiche nella sostanza al dio unico, formano nuovi tipi da cui promanano tipi inferiori, in una sorta di gerarchia, senza mai inficiare l’unità del dio. Al monoteismo arrivarono invece altri popoli, quali quello ebraico.

139


La storia degli Ebrei

O

vviamente il popolo ebraico nasce come politeistico. Solo successivamente, quando i miti e le leggende furono trascritte dai saggi, si compì una vasta opera

di rielaborazione delle stesse, inserendo qua e là quel qualcosa che avrebbe dovuto esserci, ma non c’era, per far combaciare le loro leggende, specialmente religiose, con la storia, per confermare le tradizioni tramandate di padre in figlio oralmente. In realtà, anche parlare di Ebrei è inesatto, poiché questo popolo non era altro che un amalgama di tribù che proprio nel comune destino di nomadi senza una terra fissa trovarono motivo di fondersi, abbracciando una stessa leggenda teologica diramatasi da un sottogruppo sumero. L’etimo di ebreo, infatti, è il vocabolo Habiru (o Hapiru), un termine verosimilmente usato dagli Egiziani in maniera spregiativa per indicare le tribù semitiche188 dedite, come i beduini, alla vita raminga. Gli avi degli Ebrei si trovano tra i Bodoni (Beduini), gli Ammoniti, gli Elamiti, e tante altre tribù dedite alla vita nomade, sempre in 188

Il termine “semitico” fu coniato nel 1871 da Schlozer, uno studioso tedesco, per indicare un gruppo di lingue strettamente imparentate. Coloro che parlavano tali lingue finirono per essere chiamati “semiti”. La parola deriva da Shem (Sem), il figlio più importante di Noè, che era considerato il progenitore degli Ebrei. 140


viaggio con le loro greggi e le loro tende. Talvolta alcuni di loro, spesso perché fatti prigionieri, si abbandonavano alle mollezze delle maestose e possenti città dei sumeri, Babilonia per prima. Ma la loro vita era prevalentemente trascorsa nelle vallate all’aria aperta. Gli Ebrei però trovano probabilmente parte dei loro antenati nella mitica città di Ur, città dei Sumeri, popolo antichissimo che riuscì a creare una civiltà fiorente ed avanzata, civiltà che intrecciava commerci con molte altre popolazioni e che usava già la scrittura. Da essi inoltre abbiamo ereditato anche la ruota, il vetro, la suddivisione del giorno in ore, la matematica e l’architettura. Notevole importanza avevano per loro gli dei che impersonificavano elementi della natura, quali il dio delle tempeste, ad esempio, poiché la vita di questa comunità dipendeva in massima parte dalle piogge e dalle inondazioni. In un periodo più avanzato la città di Ur fu saccheggiata e depredata dagli Elamiti, e la sua importanza decrebbe. Si deteriorarono inoltre i rapporti tra uomini e dei, e sempre maggiore importanza acquistò la nozione di divinità personale, una sorta di angelo custode, col quale si dialogava e si contrattava. La civiltà sumera fu in parte decimata da un’alluvione vastissima, che reca le sue tracce nella leggenda del diluvio universale189, mito proprio anche di altri popoli, come i Greci190. Forse a seguito di questo evento, oppure a seguito di 189

Le vicende del diluvio narrate nella Genesi sono le stesse trascritte in un racconto sumerico della creazione, noto come Enuma elish (cioè “guerra degli dei”), che anticipa la leggenda biblica di circa mille anni. 190 Zeus mandò sulla terra il diluvio universale per punire gli uomini della loro malvagità, risparmiando Deucalione e Pirra, che costruirono un’Arca dentro la 141


altro accadimento quale potrebbe essere la deposizione dei rappresentanti divini sulla terra, cioè il sovrano e la classe sacerdotale di Ur (la Bibbia narra che Abramo sfuggì a un ordine creato dall’uomo e irriverente verso la legge di Dio), Abramo, con la sua tribù (cioè i suoi parenti ed affini), partì da Ur per dirigersi a nord, verso Canaan, senza mai interrompere il suo a volte burrascoso dialogo con il proprio dio personale. Abramo si può considerare il primo ebreo, vista la sua condizione di nomade. Ovviamente Abramo non fu l’unico sumero a dirigersi verso il nord, ma fu a lui che dio promise una terra per il suo popolo, cioè la sua tribù e quelle, di origine fenicia, che a loro si unirono durante il viaggio, terra in seguito identificata con la regione settentrionale della “mezzaluna fertile” chiamata Canaan. Le popolazioni che abitavano la terra di Canaan erano gli antenati di quelli che poi furono chiamati fenici dai Greci. Essi consideravano El come il dio creatore, mentre Baal era il protettore della creazione. In realtà ogni città aveva un Baal, quale signore della città stessa. Le divinità di Canaan avevano una stretta relazione con i fenomeni astronomici e i processi naturali. La religione ebraica è probabilmente un amalgama della religione degli ebrei, delle credenze dei cananei e di elementi della religione egizia. la consorte di El era Asherah, o anche Astarte, madre dell’aurora e del crepuscolo, connessa con la quale galleggiarono per nove giorni e nove notti finché sbarcarono sui monti della Tessaglia. Giunti sulla terraferma, per ripopolare la Terra fu detto loro dal dio Ermes che avrebbero dovuto lanciare alle loro spalle le ossa della madre. Deucalione comprese che si trattava delle ossa della Madre Terra, cioè dei sassi, che si trasformarono in uomini e donne. 142


nascita e l’allattamento, in diretta analogia con Maria, la madre di Gesù. Se El era il dio creatore, era Baal il signore e padrone della creazione, ma non creatore egli stesso. Come figlio di El egli vigilava sulla creazione e moriva per essa, per poi risorgere. È evidente il parallelismo tra la figura di Baal è quella di Gesù, anzi risalta anche un forte parallelismo tra la trinità cananea e quella cristiana. Probabilmente Abramo era un sacerdote, o forse addirittura un re della città di Ur che si trovò a dover condurre la sua tribù verso ovest. Purtroppo quella “terra promessa” era già abitata da una popolazione progredita, con sofisticati sistemi di produzione alimentare e manifatturiera, e un commercio internazionale. La conquista da parte degli “Ebrei” fu quindi ottenuta a prezzo di una vera e propria carneficina. Ma questo del resto è del tutto normale, considerando la vita dell’epoca e che il dio di Abramo, che poi all’epoca di Mosè divenne Jahvè, non era altro che il dio delle tempeste, cioè la divinità della guerra. Questa divinità è infatti dipinta nello stesso Antico Testamento come un dio vendicatore, privo di compassione, che legittimava invasioni, ruberie e stragi, e che si accaniva senza motivo contro lo stesso “popolo eletto”; infatti, in un momento di cattivo umore fece uccidere il figlio di Mosè. Questo viaggio di Abramo dovrebbe essere datato intorno al 1900-1600 a.C. Il dio degli Ebrei quindi non è altri che un dio personale sumero, che assurge a ruolo di maggiore importanza solo in tempi successivi, precisamente dopo la liberazione degli Ebrei da parte di Mosè. 143


Nella leggenda viene precisato che a un certo punto del suo viaggio Abramo pensò di sacrificare il figlio primogenito Isacco, per calmare l’ira e il turbamento del suo dio, così come i Fenici facevamo per i loro primogeniti. Tale sacrificio però non avvenne. Esiste però un altro racconto secondo il quale Isacco fu veramente sacrificato, però poi risorse, al pari di Gesù. Isacco, che viene indicato come figlio di Abramo, era probabilmente un altro capo tribù che fece lo stesso viaggio di Abramo, così come accadde anche per Giacobbe e la sua tribù, mentre poi Giacobbe venne indicato come figlio di Isacco. A quell’epoca il dio di Abramo aveva probabilmente nome Êlohîm. Questo dio era lo stesso dio di Melchisedec, re di Salem, l’odierna Gerusalemme, il quale incontra Abramo offrendogli “pane e vino” e dicendogli “Benedetto Abramo da Dio l’altissimo che creò il cielo e la terra”191. Abramo tratta il re come una sorta di superiore, e i due sono certamente accomunati da simbologie proprie del cristianesimo odierno. Il dio degli Ebrei era anche il protettore dell’orzo192, cioè del raccolto, proprio come Dioniso Sabazio, o Zeus Sabazio, dove Sabazio sta ad indicare che il giorno a lui sacro era il Sabato, come Jahvè, che era anche, inoltre, il signore degli eserciti (Sabaoth). La conquista di Canaan non fu probabilmente l’unica del guerrafondaio popolo ebreo. Verosimilmente una parte degli abitanti di Ur, guidati da Giacobbe, lasciando la città, si diressero verso l’Egitto. Il regno Egiziano era molto tollerante, e molto 191 192

Genesi, XIV, 18 e 19. La Pasqua ebraica era in origine una festa per il raccolto dell’orzo. 144


progredito, e accoglieva i nomadi che, per siccità o altri motivi, si dovevano spostare. Così al momento della caduta di Ur già probabilmente in Egitto vi erano altri Ebrei. A questi se ne aggiunsero altri ancora. Moltiplicatisi, e forti di armi da guerra migliori, mezzi migliori (cavalli invece di asini), ed essendo un popolo bellicoso, poco alla volta conquistarono il potere in Egitto, finché uno dei loro capi assunse il titolo di faraone, confinando il vero faraone nell’Alto Egitto, forse a Tebe. Gli usurpatori sono oggi ricordati con il nome di Hyksôs, che significava “i principi del deserto”, una popolazione asiatica mista, composta per lo più da Semiti, e giunta dalla odierna Siria e Palestina, ed esperti nell’arte della guerra193. Gli Egiziani, costretti ad accettare la supremazia degli invasori, nascosero nel profondo dei loro templi i loro segreti e misteri religiosi; gli iniziati che, in apparenza avevano calato il capo di fronte agli stranieri, in realtà conservavano in segreto la loro scienza e i loro segreti per evitare che gli invasori se ne impadronissero, e per preparare il terreno ad una riscossa. L’amore per la vecchia religione fu tenuto vivo con le rappresentazioni della leggenda di Iside194 e di Osiride, dello smembramento di questo e della sua resurrezione prossima per intervento di suo figlio Horus. Mentre le rappresentazioni 193

In particolare erano maestri dell’impiego dei carri da combattimenti, mezzi militari il cui uso completamente sconosciuto agli egiziani aveva inflitto loro sanguinose sconfitte. 194 Iside, nella mitologia Egizia, rappresenta la fertilità in generale, e il delta del Nilo in particolare, ma anche la Luna. Aveva poteri magici che le permisero di difendere il figlioletto Horus dalla furia di Seth e di resuscitare il marito Osiride, dando così origine al culto dei morti e alla pratica dell’imbalsamazione. 145


allegoriche preparavano il popolo, i riti religiosi si infarcivano di simbolismi, e si costruì attorno ad essi una barriera tale da renderla

impenetrabile

a

chi

non

fosse

stato

iniziato

accuratamente ai Misteri195. Il nuovo faraone, invasore, una volta ottenuto il potere temporale, volle allungare le mani anche su quello spirituale, e minacciò il vecchio faraone, spodestato, per farsi rivelare i segreti della intronizzazione, la cerimonia occulta grazie alla quale il faraone assurgeva al ruolo di dio, e diveniva immortale196. Il vecchio regnante, Seqnenrîe II197, si rifiutò; per questo fu raggiunto e ucciso a Tebe, insieme ai suoi sacerdoti. Così il segreto della cerimonia fu perduto per sempre.

195

L’idea di base dei Misteri Egiziani, e non solo, sta nella concezione che l’uomo deve essere considerato come un tutto inseparabile, e le sue tre nature, quella fisica, quella morale e quella intellettuale devono essere coltivate unitariamente, senza prescindere da nessuna di esse. Questo è proprio quello che si prefiggeva l’antico alchimista, lo studio del tutto. Le scienze moderne, invece, sono caratterizzate da un’eccessiva specializzazione ed una tendenza a separare i tre aspetti, per questo, ad esempio, la medicina non vuole sapere niente dell’anima e dello spirito, e la religione non soddisfa i bisogni dell’intelligenza, ma ogni cosa si occupa solo di una parte trascurando il tutto. Solo riunendo le tre nature, e considerandole unitariamente, è possibile per l’iniziato diventare iniziatore, profeta e teurgo, cioè veggente e creatore d’anime. “Perché solo colui che comanda a se stesso può comandare agli altri, solo colui che è libero può liberare”. Del resto dice Pierre Daco che “nessuno può condurre qualcuno più lontano di quanto sia arrivato lui stesso”. 196 Al versetto 49,6 la Genesi menziona l’assassinio di un uomo, commesso dai fratelli di Giuseppe al fine di impossessarsi di un segreto. 197 Questo re è forse identificabile con l’architetto Hiram Abif, che è considerato il creatore della massoneria e dei suoi rituali. Tale ipotesi è basata sul fatto che “Hiram” proverrebbe dall’ebraico “nobile” o “reale”, e “Abif” dal francese antico “perduto”, e quindi indicava il “re perduto”, come appunto il faraone Seqnenrîe che, dopo l’assassinio, fu nascosto, e il suo corpo venne ritrovato troppo tardi per dargli una resurrezione personale, e perché con la sua morte i segreti di Osiride andarono perduti per sempre, cosicché nessun re Egizio sarebbe stato più un dio, ma solo un semplice re. 146


Tale cerimonia avveniva probabilmente all’interno della piramide di Giza, nella quale veniva condotto il futuro faraone per essere iniziato ai Misteri. Egli subiva varie prove, ma soprattutto doveva “morire” simbolicamente, affinché potesse poi rinascere e diventare immortale, come faraone, cioè re e dio degli Egizi198. Nella piramide di Giza, infatti, in una delle stanze più profonde, vi è un sarcofago detto della resurrezione, dove probabilmente si distendevano gli iniziandi. Di lì, in quella particolare posizione, nel buio più assoluto, attraverso un piccolissimo corridoio obliquo, scavato nelle pareti della piramide,

l’iniziando

poteva

scorgere

la

stella

polare.

L’iniziando, lasciato solo nelle tenebre più profonde, cadeva quasi in uno stato letargico, di trance, mentre le fasi della sua vita gli tornavano in mente. Poi, lentamente, un punto luminoso si intravedeva in lontananza, impercettibile sullo sfondo buio. Cresceva progressivamente, fino ad invadere tutto, rischiarando l’ambiente quasi come se fosse un piccolo sole. Quindi le tenebre sparivano, soppiantate dalla luce della stella polare, così come la verità prende il posto dell’oscura ignoranza. L’assassinio del faraone fu decisivo per gli Egiziani, i quali si riscossero e in poco tempo riuscirono a ribaltare la situazione. Il primo atto di questa riscossa fu la sepoltura, da vivo, di un sacerdote che aveva tradito il vecchio re, accanto allo stesso re.

198

Una cerimonia molto simile è praticata oggi nella massoneria durante il rito per il passaggio di grado. Tale rito era praticato anche dai templari, e coloro che volevano entrare nell’ordine dovevano morire simbolicamente. Infatti, nelle raffigurazioni del rito templare si osserva un templare che tiene un cappio intorno al collo dell’iniziando. 147


I Semiti furono quindi ridotti al rango di schiavi199, e fu solo dopo molto tempo che riuscirono a lasciare l’Egitto per dirigersi verso la “terra promessa” e ricongiungersi con i loro cugini. Pur tuttavia, i Semiti fuggiti portarono con se parecchi elementi della mitologia e dei costumi degli Egizi; infatti gli Esseni, setta a cui apparteneva Gesù, come i sacerdoti Egizi, erano tenuti ad indossare solo vesti bianche, a compiere lunghi bagni rituali e purificatori, e ad astenersi in certi periodi dai rapporti sessuali, a praticare la circoncisione, a rifiutare alcuni alimenti, e svolgevano pratiche di tipo battesimale. Gli israeliti, quando fondarono un loro regno nella terra promessa, utilizzarono quei drammatici avvenimenti ai quali avevano partecipato, per darsi dei “segreti religiosi”. Giunto il momento di trascrivere questa leggenda, gli Ebrei dissimularono l’origine Egiziana collocandola in altra epoca, cioè al momento della costruzione del tempio di Salomone. Ovviamente l’eroe non poteva però essere lo stesso re, la cui vita era perfettamente conosciuta da tutti, per questo si inventò la figura dell’architetto del tempio. Tutto ciò spiegherebbe anche perché il Dio moderno è venerato, tra l’altro, come l’“Altissimo”; infatti il dio di Hiram Abif era, nella realtà, il dio degli Egizi, cioè Râ, che letteralmente significa appunto l’“altissimo”, ad indicare che il suo momento di massima potenza si ha quando il sole si trova allo zenit, a mezzogiorno. Nella stessa Bibbia si può leggere che Jahvè, prima di assumere questo nome (“il dio dei padri” 199

Probabilmente il periodo di schiavitù degli Ebrei in Egitto va dal 1650 al 1250 a.C. 148


d’Israele), era chiamato ‘el ‘elyon, vocabolo cananeo che significa “dio, l’altissimo”. Inoltre il dio Egiziano, in seguito all’unificazione dell’Alto e del Basso Egitto, divenne AmonRâ200, o più esattamente Amen-Rî’e201, da cui deriva l’invocazione cristiana Amen, che probabilmente era anche la formula conclusiva della preghiere Egiziane.

200

La predicazione del sacerdote-poeta Râm (o Râma), iniziata nell’odierno Iran, diede vita al culto solare di Ammon-Ra in Egitto. Amon in Egiziano significa bene. 201 L’emblema di Amon-Ra era una piramide (o un triangolo se si preferisce) con un occhio nel mezzo, a raffigurare dio, l’ente dotato dell’occhio eterno, che vigila sul suo popolo, giudicandone ogni azione. Tale emblema fu poi usato anche dai cristiani per raffigurare il loro dio. Il primo a utilizzare questo simbolo fu Kircher, ponendolo sul frontespizio della sua opera Ars magna sciendi. Successivamente venne impresso sulle banconote americane da un dollaro, e adottato dalla massoneria. 149


Mosè e i misteri dell’antico Egitto

A

nche se Mosè, colui che condusse gli Ebrei dall’Egitto

fino

alla

terra

promessa,

viene

generalmente indicato come il progenitore degli

Ebrei, probabilmente era un Egiziano. Il suo nome, infatti, sembra essere di origine Egiziana, e significherebbe “nato dalle acque”, o “salvato dalle acque”202. La versione ebraica è Moshé, e quella araba Musa, entrambe usate ancora oggi; gli Egiziani, infatti, si riferiscono al Monte Sinai con l’espressione gebel Musa, ossia “la montagna di Mosè”. L’episodio narrato dalla Bibbia, quando il faraone ordinò di gettare tutti i bambini nel Nilo, e che Mosè fu salvato perché messo dentro una cesta, e poi raccolto dalla figlia del faraone, é certamente frutto di fantasia. A 202

Gli Egizi chiamano l’acqua mou e quelli che sono salvati eses. La leggenda narra che al faraone fu predetto che un fanciullo sarebbe nato per sottrargli il trono. Il faraone ordinò che tutti i figli maschi fossero uccisi, e per evitare ciò i genitori di Mosè lo posero in una cesta e lo affidarono al Nilo. Il piccolo fu appunto salvato dalle acque del Nilo proprio dalla figlia del faraone, che se ne prese cura. È interessante notare la ricorrenza di dèi o uomini importanti che sono “salvati dalle acque”, come Osiride, Horus, Sargon re dei Mesopotami, e gli stessi Romolo e Remo. Se il tema del “salvataggio dalle acque” deve essere inteso in senso simbolico, come una sorta di rito di iniziazione, anche Gesù può essere considerato facente parte di questo gruppo, visto che egli nasce simbolicamente dopo il battesimo nel fiume Giordano ad opera di Giovanni Battista, dopo il quale comincia la sua predicazione ed inizia a compiere miracoli. 150


parte la scarsa verosimiglianza, sarebbe stato assurdo per gli Egiziani infestare di cadaveri putrescenti l’unica fonte di acqua che avevano. È evidente che si è voluto inserire in questa leggenda l’antico mito della creazione dalle acque, tema ideale per celebrare la nascita della nazione ebraica, che viene fatta coincidere appunto con la nascita di Mosè. Con tutta probabilità Mosè era un membro della famiglia reale Egizia203. Il suo nome Egizio era forse Osarsiph, ed era cugino di Merneptah, figlio del faraone Ramsete II. Osarsiph era probabilmente figlio (non si sa se naturale o adottivo) della sorella del faraone Ramsete II, era un sacerdote di Iside ed Osiride, iniziato ai misteri dei faraoni, ed aveva anche portato l’“arca d’oro”, che precedeva il pontefice nelle grandi cerimonie e conteneva i “dieci” libri più segreti del tempio204. Grazie a questa posizione particolare, e alla nomina a sacro scriba, Mosè venne a conoscenza dei segreti “sostitutivi” degli Egizi, il cerimoniale della intronizzazione e della resurrezione del sovrano Egizio. Poi egli si pose a capo del popolo ebraico e riutilizzò, in Israele, quel cerimoniale nel rituale di passaggio della cerimonia di intronizzazione del sovrano, adattandolo al popolo ebraico.

203

Gli Ebrei stessi affermano che Mosè fu educato in Egitto, pur precisando che egli faceva parte di una delle dodici tribù originarie, precisamente quella di Levi. I racconti dei sacerdoti Egizi, nonché quelli del greco Strabone, invece, fanno di Mosè un Egizio a pieno titolo. Tali racconti sono certamente più validi di quelli ebraici, poiché né gli Egizi né i Greci avevano alcun interesse a far risultare Mosè come un Egizio, mentre gli Ebrei non potevano dire che il loro patriarca era in realtà uno straniero. 204 È evidente il parallelismo con l’arca dell’alleanza che conteneva le tavole dei dieci comandamenti. 151


Perché Mosè fuggì dall’Egitto ? La storia di Mosè comincia con un omicidio. Egli vide un Egizio che malmenava un habiru, e lo uccise. Visto da altri Egizi, fu denunciato e condannato a morte. Fuggì così nella penisola del Sinai, tra i Keniti (anche detti Medianiti). Lì incontrò un sacerdote di nome Ietro, di origine etiope205, che gli fece conoscere il proprio dio. I Keniti infatti adoravano un dio unico il cui simbolo era una croce, che i Keniti portavano impressa sulla fronte, e che divenne il dio di Mosè. Era Êlohîm. Il primo incontro di Osarsiph con questo dio, una sorta di spiritello cattivo che dimorava in un’arca, come il genietto arabo che viveva nella bottiglia, fu piuttosto freddo. Osarsiph sapeva bene che il nome segreto di un dio, se conosciuto, avrebbe dato all’uomo un enorme potere sul dio stesso206, quindi tentò di strapparglielo. Ma il dio rispose: “Ehyeh asher ehyeh”, che tradotto significa “io sono colui che sono”207. Comunque il sacerdote Egizio Osarsiph da quel momento si impose una missione: fare di tutte quelle tribù sparse tra l’Egitto ed i paesi confinanti un unico popolo, comandato da un solo dio e da un’unica legge. Quindi assunse il nome Mosè, che significa “salvato” o “nato”. Per molto tempo Mosè dimorò presso i Keniti, studiando i testi sacri insieme al sacerdote Ietro. Scrisse quindi il Sepher Bereshit, il Libro dei principi.

205

Era di pelle nera. L’importanza del nome è sancita tra l’altro dalla antica credenza per cui il chiamare le cose per nome faceva sì che esse vivessero. Lo stesso Ra, il dio degli Egizi, creò se stesso chiamandosi per nome. Per i cristiani un neonato resta senz’anima finché non riceve il battesimo e, con esso, un nome. 207 Oggi avrebbe più prosaicamente detto “fatti gli affari tuoi !”. 152 206


La Genesi scritta dal dotto sacerdote Egizio potrebbe sembrare infantile, ma si deve ricordare che Mosè, essendo appunto un sacerdote Egizio (ed uno scriba), aveva imparato l’arte di scrivere in maniera ermetica. I sacerdoti Egizi scrivevano tenendo presente tre livelli di lettura208: il primo era chiaro, testuale, il secondo era simbolico e figurato, il terzo era criptico, e serviva per trasmettere i segreti religiosi, gli arcana. Si tenga presente che la Genesi che leggiamo noi oggi è in realtà il frutto di più rielaborazioni e di successive traduzioni209. Per meglio comprendere questo particolare modo di scrivere si pensi a questo esempio: su molti monumenti Egizi si vede una donna con la croce ansata, simbolo della vita eterna, in una mano, e uno scettro con i fiori di loto, simbolo dell’iniziazione, nell’altra. È la dea Iside che in senso proprio rappresenta la donna, e il genere femminile, in senso comparato impersona l’insieme della natura terrestre, la natura generatrice di vita, e nel senso estremo simboleggia la natura celeste, la luce spirituale e intelligibile, che può conferire solo l’iniziazione. Molto probabilmente Mosè era un funzionario della corte di Akhnaton, il faraone che impose in Egitto, contro la volontà della casta sacerdotale, un monoteismo al posto del politeismo preesistente, e invece di Amon, instaurò il culto di Aton, il dioSole, proibendo la raffigurazione del dio. Con la caduta di Akhnaton, Mosè dovette fuggire dall’Egitto, e si diresse in un luogo dove potesse continuare il culto monoteistico. Esiste 208

Questo modo di scrivere derivava dall’idea che la stessa legge (“parola”) regge il mondo naturale, quello umano e il divino. 209 La nostra Bibbia è il risultato della traduzione di quella greca. 153


comunque una profonda differenza tra il culto monoteistico Egiziano, secondo il quale gli dei degli altri popoli non sono altro che differente forme del dio dell’Egitto, e quello monoteistico che si sviluppò in Israele, dove il dio è unico e tutti gli altri sono demoni.

154


Il sacro e ineffabile nome di Dio

N

ella Genesi la dea Iside è Evè, cioè Eva210, che è non solo la sposa di Adamo, ma anche la sposa di dio. Infatti il nome che poi assunse il dio di Mosè è

Jevé211, poi trasformato in Jehovah o Jahvè, composto dal prefisso Jod e dal nome di Eva. La dizione Jahvè, in realtà non è altro che uno pseudonimo, tratto dall’originale scrittura ebraica YHWH, che non segna le vocali. Il gran sacerdote di Gerusalemme pronunciava il nome divino una volta l’anno, enunciandolo lettera per lettera nel seguente modo: Jod, hè, vau, hè; tale nome veniva scritto appunto senza vocali, come previsto dall’antica scrittura ebraica: YHWH. La prima lettera del nome 210

Eva, Eve ed Alva erano le figlie di Ailill di Aran, mitico re d’Irlanda. In particolare Eva, per aver tradito la fiducia del marito e del padre, spinta dalla gelosia nei confronti dei figli, fu tramutata in un demone dell’aria. 211 Ecco come Fabre d’Olivet spiega il nome Jevè: “Questo nome mostra prima di tutto il segnale indicatore della vita che è duplice e forma la radice essenzialmente vivente EE (ΠΠ), cioè hè hè. Questa radice non è mai impiegata come nome ed è la sola a godere di questa prerogativa. Fin dalla sua formazione, non è solo un verbo ma un verbo unico, da cui gli altri sono solo derivati; in una parola, il verbo Π⎤Π (Evé). Qui il segno intelligibile ⎤ (Vau) si trova in mezzo alla radice di vita. Mosè, assumendo questo verbo per eccellenza per formare il nome proprio dell’Essere degli esseri, vi aggiunge il segno della manifestazione potenziale e dell’eternità ⎫ Jod (J) e ottiene Π⎤Π⎫ (Jevé) nel quale il facoltativo essente è posto fra un passato senza origine e un futuro senza fine. Questo nome ammirevole significa dunque esattamente: l’Essere che è, che fu e che sarà.”. 155


di dio, la Jod (Osiride) era la divinità propriamente detta, l’intelletto creatore, l’eterno maschile. Le altre tre lettere, che componevano il nome di Evè, rappresentava l’eterno femminile, la Natura, ed esprimevano i tre ordini della natura, i tre mondi attraverso i quali questo pensiero si realizza e di conseguenza le scienze cosmogoniche, psichiche e fisiche che vi corrispondono. L’ineffabile racchiude nel suo seno profondo l’Eterno maschile e l’Eterno femminile, laddove quest’ultimo costituisce i tre quarti della sua essenza. La più alta iniziazione, quella delle scienze teogoniche e delle arti teurgiche, corrispondeva alla lettera Jod. Un altro ordine di scienze corrispondeva ad ognuna delle lettere di hè-vau-hè. Come Mosè, Orfeo riservò la scienza che corrisponde alla lettera Jod (Giove, Zeus, Jupiter) e l’idea dell’unità di dio agli iniziati di primo grado, cercando però di interessarvi il popolo, attraverso le arti e la poesia e i loro simboli vivaci. Per questo il grido “Evohè”, caratteristico di tutti i misteri dell’Egitto, della Giudea, della Fenicia, dell’Asia Minore e della Grecia, era pronunciato apertamente nelle feste di Dioniso, dove insieme agli iniziati si ammettevano anche gli aspiranti ai misteri. Mosè ed Orfeo quindi hanno in comune l’iniziazione Egizia, ma la applicano in senso opposto. Mosè aspramente, gelosamente, glorifica il padre, la divinità maschile e ne affida la sorveglianza ad un ordine sacerdotale chiuso sottoponendo il popolo a una disciplina implacabile, senza rivelazione. Orfeo, affascinato dall’eterno femminile della Natura, la glorifica in nome del dio che la penetra e che egli vuole far sgorgare nell’umanità divina. 156


Anche per il serpente, che la Genesi chiama Nahash, si può fare un analogo discorso. Per gli antichi il serpente significava, se disposto in cerchio212, la vita universale, il cui agente magico è la luce astrale. In senso profondo Nahash è la forza che mette la vita in movimento. Ma il mistero più profondo sta nel nome di dio: Jevé. La prima lettera, come già detto rappresenta il principio maschile, cioè, per un sacerdote Egizio, Osiride. Le altre tre invece sono il simbolo del principio femminile, cioè Iside, e i due principi si uniscono in uno solo. Il Padre e la Madre si uniscono a formare il Figlio, la Parola, il Verbo dal quale tutto nasce213. Dalla unione del principio femminile e maschile sgorga tutto, il verbo che crea l’universo. La prima lettera è il principio maschile, cioè quello che in origine Mosè aveva conosciuto come Êlohîm, che significa “Egli-gli-dei”, “la divinità degli dei”. Êlohîm è infatti il plurale di ‘Êl, nome dato all’essere supremo dai Caldei214 e dagli Ebrei, e derivante a sua volta dalla radice Ael, che esprime l’elevazione, la forza e la potenza espansiva e che significa la Divinità in senso 212

Il serpente che si morde la coda, simbolo dell’anno che perpetuamente si rinnova mangiando la propria coda, ovvero l’anno vecchio. Il serpente disposto in cerchio, cioè l’Uroboros, è il simbolo del rotondo, del grembo primitivo che da la vita e da cui tutto nasce, la risposta ultima alla prima domanda dell’uomo: “da dove veniamo ?”. 213 Per tutto il mondo indoeuropeo la verità è parola, ed è sinonimo di divinità. Per i druidi ed i bramini, il principio donatore di vita e alla base del potere, era la parola di verità, causa ultima di tutti gli esseri. 214 I Caldei erano i signori di Babilonia, di Assiria e di Ur. Sono i progenitori dell’astrologia; costruirono il più celebre monumento magico dell’antichità, lo Ziggurat o “montagna della terra”, denominata nella Bibbia come Torre di Babele. La torre sacra, detta El-Temen-An-Ki, cioè “casa di fondazione del cielo e della terra”, era luogo di raccolta di sapienti di ogni lingua e razza, era un luogo della tradizione ermetica, un tempio astrologico. 157


universale. Hoà, cioè Egli, è in ebraico, in caldeo, in siriaco, in etiopico e in arabo uno dei nomi sacri della divinità. Il primo atto del dio di Mosè è di creare la luce. Ed è il soffio divino che opera tale atto, laddove il soffio divino è “ruah Êlohîm”, ma la luce è Aur, cioè il rovesciamento di ruah. Il soffio divino quindi, facendo ritorno su se stesso, crea la luce intelligibile, che non è la semplice luce fisica, ma l’anima universale, la sostanza, il fluido etereo di cui sono composte le anime. “Ruah Êlohîm Aur”, cioè “dal soffio di dio la luce”. Ma l’anima umana (“Aisha”), creata dal soffio di dio, e che vive nel cielo (“Shamain”), viene tentata e corrotta dal desiderio della conoscenza, e cade al suolo. Ecco quindi che Mosè dichiara guerra alla natura debole e corrotta, ed invoca lo spirito, il fuoco originario e onnipotente, Jevé, per riscattare l’anima umana.

158


Il viaggio verso la terra promessa

D

opo parecchio tempo, e con la benedizione e i poteri del dio delle tempeste kenita, Mosè tornò in Egitto. L’incontro con il dio kenita aveva acceso in lui una

nuova fiamma, e intendeva sottrarre un intero popolo al giogo della nazione Egizia. Con lui molti Ebrei lasciarono quelle terre per dirigersi verso il Monte Sinai. Probabilmente essi furono molto meno di 600.000 persone, equivalente a meno di un quarto dell’intera popolazione Egiziana, perché nelle cronache Egiziane non ve ne è traccia. Ad essi si aggiunsero strada facendo molte tribù. Tra gli Ebrei e le altre tribù l’idea di un dio unico era viva solo in parte. Molti di loro erano politeisti, e Mosè dovette per forza imporre le sue idee, tramite delle leggi ferree. Raggiunsero i Keniti, dove Mosè tornò sul Sinai per parlare nuovamente col suo dio, il quale vietò al suo nuovo popolo di adorare altri dei, e ordinò loro di costruire un’arca215 d’oro che sarebbe divenuta la sua nuova dimora, sulla sommità della quale sarebbero stati posti quattro cherubini216 (“kerub”), che allora erano praticamente sfingi alate, e ammonì che in caso di 215

La radice indoeuropea arc esprime l’idea di protezione, da cui il latino arceo, “tener lontano”, arca “arca”, arcana, “segreti religiosi”. 216 Nella tradizione giudaica il dono distintivo dei cherubini è la conoscenza. 159


disobbedienza i trasgressori sarebbero stati duramente puniti, con la morte ovviamente, e con loro anche i loro parenti fino alla terza generazione217. Un dio certamente geloso e vendicativo! L’arca era ovviamente simile a quella Egizia, con scarne differenze218. Al suo interno era racchiuso il Sepher Bereshit redatto da Mosè in geroglifici Egizi. Sul Monte Sinai Mosè ricevette le dieci tavole219 della legge, i dieci comandamenti, che ricordano per il numero i dieci libri degli arcana Egizi220. Probabilmente le tavole della legge non erano altro che pietre cadute dal cielo221, cioè mandate da dio. Infatti nell’antichità Onori divini erano spesso tributati alle meteoriti e anche a piccoli oggetti rituali di dubbia origine, ma che si credeva fossero caduti dal cielo. Il racconto di Mosè che riceve le tavole della legge dal suo dio è simile a quello che vede Hammurabi, re di Babilonia nel 1750 a.C. circa, ricevere le leggi dal suo dio 217

Il patto siglato tra gli Ebrei e il loro dio rileva numerosi punti di contatto con i trattati di vassallaggio dei re hittiti, anzi ne ricalca quasi perfettamente lo schema. 218 L’arca dell’alleanza era identica ad uno scrigno ritrovato nella tomba di Tutankhamon, faraone Egiziano, oggi visibile al Museo del Cairo. 219 Le tavole erano di pietra. Nell’antichità le cose scritte su pietra erano ritenute più sacre. Lo ierofante di Eleusi leggeva agli iniziati cose incise su tavolette di pietra, ed essi giuravano di non dirle a nessuno. Esse non erano scritte da nessun’altra parte. 220 Dieci sono anche i numeri primordiali (sephiroth) della conoscenza universale, così come indicati dalla qabbalah. Il dieci è il numero perfetto per eccellenza, poiché rappresenta tutti i principi della divinità sviluppati e riuniti in una nuova unità. 221 In Esodo 34, 29-30 si legge che Mosè, scendendo dal Monte Sinai con le tavole in mano, aveva la pelle che brillava. Questo forse era dovuto alle radiazioni delle meteoriti. Inoltre alcuni dei portatori dell’arca morirono durante il viaggio; e al popolo era proibito avvicinarsi più di tanto all’arca. L’arca continuò per centinaia di anni a emettere luce e ad affliggere la gente che gli si avvicinava con gravi malattie. Secondo le fonti talmudiche le tavole erano fatte di pietra simile allo zaffiro, erano piccole ma molto pesanti, erano dure ma flessibili, ed inoltre erano trasparenti. 160


Shamash, il dio sole, e Urnamu, re di Ur, che le riceve dal suo dio. Gli Ebrei, ancora imbevuti di cultura e religiosità Egizia, si diedero da fare per costruire un vitello d’oro, rappresentazione forse del dio Egizio Apis, oppure del dio moabita Astarte; cosa che fece infuriare Mosè che si arrabbiò tanto che distrusse le tavole della legge, ed ordinò ai sacerdoti di uccidere circa tremila israeliti222. Fu quindi richiamato dal suo dio sul monte per ricevere altre tavole. Poi finalmente si misero in marcia verso la terra promessa, Canaan, dove, grazie alle raccomandazioni del loro nuovo dio, massacrarono e trucidarono tutti quelli che trovarono sul loro cammino, nessuno escluso. Mosè, si può dire, aveva certamente fatto molta strada, dall’assassinio di un Egizio al massacro di migliaia di pacifici canaanei ! In tutta questa fase il dio di Mosè viene rappresentato come una divinità irascibile e mutevole223, mentre Mosè (è lui probabilmente che scrisse la prima versione della Genesi) viene rappresentato sempre come saggio. Comunque Mosè riuscì a portare i semiti cacciati dall’Egitto, hyksos, e altri di loro, fino alla terra di Canaan, dove riuscì a convincerli a stabilirsi definitivamente. Tutto ciò non era da poco, considerando l’indole 222

La distruzione delle tavole risulta incomprensibile, se effettivamente le tavole in questione fossero state incise da dio. Mosè riceve quindi un’altra coppia di tavole sul monte, ed è solo in questa occasione che il suo viso brilla, mentre la prima volta non si fa riferimento a questo fenomeno. Forse la prima coppia di tavole erano di normale pietra, mentre le altre erano di origine meteoritica. 223 Il dio del Vecchio Testamento è capriccioso, vendicativo, spesso assetato di sangue, sia del suo popolo sia di quello nemico, e obbliga il credente a vivere sotto il “timore di dio”. Al contrario il dio del Nuovo Testamento è dipinto come un padre affettuoso che invita il credente alla comunione. 161


raminga degli habiru, per questo necessariamente Mosè doveva essere un uomo di grande cultura, e tale cultura doveva necessariamente venire dall’Egitto. Egli creò un dio e una nazione da un miscuglio di tribù nomadi che non sapevano fare altro che massacrare altre tribù. Diede agli Ebrei uno stato e una cultura propri, un’identità e una cerimonia esoterica. Inoltre Mosè fece in modo che la monarchia ebraica fosse ereditaria, alla stregua dei faraoni Egiziani, garantendo così un governo stabile. Ciò perché il re era considerato “figlio di dio”, come Davide, è tale titolo, di consacrato, veniva passato al figlio del re. È inoltre interessante notare che nel viaggio verso la terra promessa Mosè si comportò da guida politica, da comandante guerriero, mentre la guida spirituale era Aronne. Questo fino al momento in cui Aronne venne trovato da Mosè ad adorare il vitello d’oro. Da quel momento in poi Aronne fu escluso, e Mosè riunì in sé i due aspetti del comando, temporale e spirituale. Alla morte Mosè lasciò la sua eredità a Giosuè.

162


Il regno di Israele

C

on l’aiuto delle tecniche di coltivazione dei pochi superstiti canaanei, la nazione israelita iniziò a prosperare. L’apogeo di questo popolo si ebbe con il

re Salomone224, che fece costruire un tempio al dio Jahvè225 (circa 965 a.C.) con due colonne, sacerdotale e reale a simboleggiare il potere spirituale e temporale, sormontate da un arco il quale simboleggiava l’unione dei due poteri che porta alla stabilità politica. Nel tempio fu posta l’arca dell’alleanza226. 224

La stella di David non è altro che il sigillo di Salomone degli ermetici, simboleggiante l’interrelazione tra microcosmo e macrocosmo. È formata da due triangoli intrecciati, che puntano l’uno verso l’alto e l’altro verso il basso. 225 In realtà Salomone, probabilmente, era dedito al culto degli antichi cananei, ma fece costruire ugualmente il tempio al dio degli ebrei. 226 Quando l’arca dell’alleanza fu portata nel tempio di Salomone, fu chiamato Hiram di Tiro, per costruire un tabernacolo che contenesse l’arca. Questo tabernacolo era un cubo di circa 9 metri per lato, completamente in oro, del peso di circa 45.000 tonnellate. Un rivestimento così imponente tende a far credere che l’arca, o il suo contenuto, fosse pericolosa. Forse essa realmente conteneva delle pietre di origine meteoritica, radioattive. L’arca dell’alleanza rimase nel tempio fino ad una data imprecisata tra il X e il VI secolo a.C., quando scomparve misteriosamente. Secondo alcuni autori, durante il regno di Manasse, monarca di Gerusalemme che sostituì al culto di Jahvè un altro culto, i leviti, custodi dell’arca, la portarono via per sottrarla al monarca empio. Questi ebrei si insediarono sull’isola di Elefantina, nei pressi di Assuan, dove costruirono un tempio, all’interno del quale posero l’arca. Dopo circa 200 anni furono cacciati dagli Egiziani, e si dovettero trasferire a sud, dove si fermarono presso il lago Tana, dando luogo alla comunità ebraica dell’Etiopia (dalla parola greca ethiopia che significa “volti bruciati”), i falasha. Dopo 800 anni circa l’arca fu portata ad Axum, dove tutt’oggi si 163


Il tempio fu costruito in un luogo dove già sorgeva un tempio cananeo, dedicato probabilmente ad Enoch. La costruzione fu affidata a maestranze cananee. Il pilastro di sinistra, Boaz, rappresentava la terra di Giuda e stava a indicare la “forza”, laddove Jachin, rivolto a settentrione, era l’esponente della terra d’Israele227 e suggeriva la “stabilità”. Unite dall’architrave di Jahvè le due colonne avrebbero assicurato al paese la “solidità”, mutuando tale concetto dall’Egitto. In quel tempo di pace, però, il culto di Jahvè, che altri non era che il Signore degli eserciti, si andò rarefacendosi, al punto da essere quasi abbandonato, a favore di altre divinità, quali ad esempio Baal. I debiti fatti per costruire il tempio fecero il resto. Alla morte di Salomone il regno d’Israele era diviso in due, assillato dai debiti, e senza nemmeno più il loro dio che per una breve stagione li aveva portati alla gloria creando dal nulla una vera nazione. Solo i sacerdoti continuavano ad adorare Jahvè e a tramandarsi i segreti del rituale iniziatico della resurrezione e della probità morale basata sui principi della costruzione di un tempio. Il regno di Giuda ebbe un periodo di relativa tranquillità, dove i sovrani rimanevano a lungo sul trono, probabilmente grazie ad una cerimonia di intronizzazione simile a quella Egizia, troverebbe in una chiesa appositamente costruita dai cristiani per contenerla. L’arca non può essere vista da nessuno, se non dal suo custode. Tuttavia ogni anno l’arca viene portata in processione per la città, anche se coperta da spesse coltri. La cerimonia del Timkat, come è definita in Etiopia, è probabilmente derivata da una cerimonia Egiziana che si svolgeva portando in barca sul Nilo uno scrigno a forma di arca. 227 Il nome Israele deriva da ysra, “sovrano” o “signore”, e El, “dio” (che si trova in molti nomi, come Michele): quindi “dio (è) sovrano”. 164


che mostrava il re come unto dal dio e, per questo, intoccabile. Il regno d’Israele invece fu lungamente sconvolto da invasioni e guerre interne. In ogni caso, entrambi i regni furono conquistati dai babilonesi (circa 722 a.C.), e molti Ebrei furono deportati nella grandiosa città di Babilonia, circa quattromila persone che, però, costituivano l’élite intellettuale e sociale di Gerusalemme. Lì essi non smisero di adorare i loro dei, e in particolare Jahvè (poiché i deportati erano per lo più sacerdoti), e per non perdere l’identità nazionale che era ancora in formazione, iniziarono a costruire la loro storia, la storia del mondo. Numerosi elementi babilonesi furono inseriti in queste leggende, anche perché vi erano molti punti di contatto tra la cultura ebrea e quella babilonese, provenendo entrambi da un ceppo sumero228. Probabilmente per motivi di sicurezza questi Ebrei dovettero agire con cautela; in pubblico adoravano gli dei babilonesi, in privato continuavano ad adorare Jahvè. Inserirono nei loro scritti dei personaggi chiave, simbolo di qualcosa, con i quali trasmettevano significati specifici solo a coloro che avrebbero potuto leggerli. Ad esempio Giacobbe, proveniente dal sumero Ia-a-gub, significava “pietra eretta”, cioè colonna. Quando nella Bibbia si parla di Giacobbe i redattori della Genesi indicano che le colonne del nuovo regno sono state innalzate, che la nazione 228

In particolare tra i Babilonesi, inclini a personificare le forze della natura, gli Ebrei scoprirono uno stuolo d’angeli e demoni; questi ultimi avevano nomi specifici ed erano spesso associati alle malattie e alla morte. Uno di essi, Lilith, demone femminile notturno, passerà nella Bibbia. Prima dell’Esilio in Babilonia, il popolo d’Israele non possedeva una dettagliata demonologia, infatti, Jahvè era l’unico dio, creature di tutto l’universo, compreso tutti gli esseri e spiriti che lo abitano. 165


era pronta a ricevere un proprio nome. Infatti di seguito Giacobbe è ribattezzato “Israele”229; la costituzione di una vera e propria monarchia non poteva non avere un precursore. Uno di questi sacerdoti, Ezechiele, annunciò che la perdita del loro regno era da imputarsi alla disobbedienza ai precetti di Jahvè, in particolare alla pratica dei misteri pagani di origine Egiziana. Quindi ristabilì le regole da osservare, quelle stesse che diverranno le pietre miliari della comunità essena di Qumrân: i sacerdoti avrebbero dovuto indossare vesti bianche di lino, non si dovevano lasciar crescere i capelli, non dovevano bere vino, era vietata la proprietà privata, e così via. Inoltre egli purificò i rituali ebraici dagli ultimi elementi di origine Egiziana, in particolare, pare, cambiò il nome di Seqnenrîe Te’ in Hiram Abif. Inoltre, non avendo a disposizione il Tempio per i sacrifici rituali, gli Ebrei iniziarono a sacrificare qualcosa in sostituzione, cioè offrivano al loro dio la propria sofferenza, il proprio spirito tormentato per il paradiso perduto. Così, poco a poco, l’espiazione individuale, che sarà poi uno dei capisaldi del cristianesimo, sostituì il sacrificio animale. Quando nel VI secolo (circa 539 a.C.) i persiani conquistarono Babilonia, permisero agli Ebrei di tornare alle loro terre, riconsegnando loro i propri beni. In sostanza il regno ebreo divenne un protettorato persiano, e il re era eletto dai persiani. Gli Ebrei, ricchi delle nuove esperienze e delle idee sorte durante 229

Giacobbe fu ribattezzato Israele dopo la sua “lotta” con dio, un nome che può celebrare o meno quell’impresa, giacché Israel si può tradurre anche “dio lotta”. 166


la prigionia in Babilonia, si diedero alla riedificazione del tempio a Gerusalemme, detto di Zorobabele dal nome del capo degli Ebrei che impartì l’ordine. Zorobabele, per inciso, significa “seme di Babilonia”. Egli era il sovrano posto a capo della Giudea dal re persiano Dario. Furono precisate le regole da osservare, furono stabiliti un’infinita di divieti, specialmente alimentari, ma non solo; gli Ebrei si diedero il nome di “Giudei”, che significa appartenenti alla tribù di Giuda, per un nuovo spirito di nazionalità e per riunire finalmente le due diverse tribù. Ma soprattutto furono vietati i matrimoni misti. Gli Ebrei erano euforici per il ritorno alle loro terre, e questo lo imputavano ad un intervento diretto del loro dio, il quale aveva agito in seguito all’espiazione e alla sofferenza del “popolo eletto”. Al tempo della nascita della nazione ebraica era opinione generale che la creazione della vita doveva emanare da una fonte maschile, un dio associato con il sole o con il cielo, ed una femminile, una dea che aveva le sue radici nella terra e nel mare. Il mitico Salomone, anche se personalmente venerava Jahvè, il dio di una setta minoritaria, fu saggio al punto di tollerare anche le altre religioni, e i numerosi dèi che affollavano il tempo. La divinità femminile primaria della terra di Caanan era Ashtoreth, cioè l’equivalente di Ishtar, venerata in Mesopotamia ad Uruk, e di Astarte dea dei Fenici. All’epoca si riteneva che il Sancta Santorum fosse il grembo di Ashtoreh. Questa dea era la moglie celeste di El, la suprema divinità maschile, e la loro figlia era 167


Anath, regina dei cieli, e il loro figlio era He, re dei cieli. Col passare del tempo El ed He si fusero in un solo dio che prese il nome Jahvè. Anche Ashtoreth ed Anath furono congiunte per diventare la consorte di Jahvè, nota come la Shekinah o Matronit. Il nome Jehovah è una tarda ed anglicizzata traslitterazione di Yahweh, che è una forma del tema ebraico YHWH. Il tetregramma indicava le quattro persone della divinità, Y indicava El, il padre, H era Ashtoreth, la madre, W era He il figlio, e H era la figlia Anath. L’ideale ebraico dell’unico dio maschile si formò solo dopo la cattività degli ebrei a Babilonia, intorno al 536 a.C. Quando furono deportati da Nabucodonosor gli ebrei erano varie tribù divise, al ritorno erano diventati un solo popolo con un comune obiettivo nazionale. Gran parte del Vecchio Testamento fu scritto a Babilonia, per cui non ci si deve stupire se le storie sumeriche s’innestarono nella tradizione culturale ebraica, come i racconti del giardino dell’Eden, e il Diluvio. Quando tornarono a Gerusalemme quei testi divennero sacri. Vi era però una certa esitazione dovuta al fatto che, sebbene gli ebrei si sentissero il “popolo eletto”, il loro dio non li aveva trattati con molta bontà, costringendoli ad affrontare guerre, pestilenze e carestie. Per contrastare tale stato d’animo della nazione, si rafforzarono le promesse di Jahvè annunciando l’avvento di un Messia che avrebbe condotto il popolo alla salvezza. Grazie a ciò il popolo si riebbe, e il Tempio di Salomone fu ricostruito. Ma il Messia non apparve.

168


Fu in quel periodo che venne fondata la comunità di Qumrân230. Alcuni giudei si ritirarono spontaneamente nel deserto per star più vicini al loro dio, ed osservare minuziosamente le sue prescrizioni. Si diedero una rigorosa regola, e l’accesso alla comunità era possibile solo attraverso un vero e proprio rito di iniziazione, che assomiglia moltissimo a quello odierno della Massoneria. La comunità qumranica, molto simile ad una comunità monastica231, è probabilmente il gruppo da cui nasce la nuova religione cristiana. Essi si definivano “quelli della Via”, da intendersi ovviamente la Via di Dio, espressione usata comunemente dai primi cristiani. La visione del mondo degli Esseni era estrinsecata nel modello delle colonne gemelle. Le due colonne discendevano dalle colonne del regno unificato dell’Alto e Basso Egitto, ed erano Boaz, colonna di sinistra, simbolo regale e del “giudizio” (mishpat), indicante l’idea del regno ininterrotto di Jahvè e, pertanto, emblema stesso dell’ordine stabilito da dio; e Jachin, colonna di destra e pilastro sacerdotale, incarnazione della santità (zedeq) ed emblema dell’ordine fissato da dio tradotto come “rettitudine”. Quando il sacerdote e il re sono posti rispettivamente alla destra e alla sinistra di dio, l’archivolto di Jahvè va a sormontare le due colonne spirituali, con la chiave di 230

L’etimo di Qumrân potrebbe essere “volta, arco, entrata”, o simili; infatti, gli Esseni si identificavano con le colonne sovrastate da un arco. 231 I monaci benedettini vivono come originariamente vivevano nella comunità qumranica, cioè: vita in comune, fatica fisica per tutti, divieto di possesso di beni, rinuncia alle conversazioni inutili. I cistercensi portavano un abito bianco, come i qumranici, sotto uno scapolare nero. In realtà gli Esseni, a differenza dei monaci, erano ben addentro alla vita politica del tempo, anche se vivevano parte della loro esistenza in comunità appartate nel deserto. Questo era il periodo di iniziazione. 169


volta shalôm, termine che significa “pace”, ovvero l’assenza di conflitti armati. Shalôm era però una condizione di benessere e prosperità, trionfi in guerra e buona sorte che doveva essere conquistata creando in terra il regno di Jahvè232, secondo le sue regole; solo così sarebbe stato concessa questa particolare condizione. Nel VI secolo, con Alessandro il Grande il patrimonio culturale greco venne a contatto con il popolo ebraico (circa 332 a.C.), e alcuni di questi si spostarono in altre città, iniziando quelle attività mercantili per le quali gli Ebrei diventeranno famosi. Gli Ebrei in terra straniera cominciarono ad essere designati da coloro che erano rimasti a Gerusalemme come “ricercatori di comodità”, cioè furono accusati di essere amanti della bella vita fornita dal costume greco. L’accusa maggiore fu quella di aver trasformato la sinagoga, in origine l’“assemblea”, cioè il luogo d’incontro per coordinare i bisogni della comunità, in luogo di adorazione di Jahvè, laddove gli Ebrei ritenevano che il luogo di culto unico dovesse essere il tempio di Gerusalemme. A quei tempi gli Ebrei, per poter comunicare al semplice popolo di Giudea i propri comandamenti morali, utilizzavano allegorie, similitudini, parabole; addirittura in alcuni casi ricorrevano a codici segreti per nascondere le informazioni che dovevano essere conosciute solo dagli iniziati. Sfuggire alle maglie della censura romana, particolarmente severa verso chiunque attentasse anche solo con la parola alla sicurezza dell’impero, era il motivo del ricorso alla scrittura allegorica. 232

Il regno di dio che gli Ebrei attendevano era un regno terreno, uno stato di pace e prosperità da realizzarsi durante la vita, e non dopo la morte. 170


Scrivere in codice permetteva, infatti, di proclamare senza rischio, mimetizzandolo come innocua speculazione religiosa, quello che poteva essere nella realtà un messaggio rivoluzionario di liberazione233. Si narra che alcuni manoscritti segreti furono affidati a Mosè, il quale avrebbe dovuto nasconderli nel luogo indicato da dio, affinché fossero ritrovati alla fine del mondo. Tale luogo ovviamente non poteva che essere il tempio di Gerusalemme. Purtroppo se i primi Ebrei erano in grado di comprendere le allegorie e di ragionare in forme metaforiche, i successivi, imbevuti almeno in parte di cultura greca234, pensavano in termini più razionali e concreti, e quindi leggevano le allegorie come fatti realmente accaduti. Lo stesso accade oggi ai lettori moderni, che conoscono gli avvenimenti dell’epoca solo per sommi capi, e non possiedono quindi tutti gli strumenti per una comprensione adeguata dei testi.

233

Al tempo di Gesù gli ebrei erano sottoposti ad una rigida occupazione ed uno spietato controllo politico. Per cui forzatamente i loro scritti politici dovevano essere mascherati da scritti religiosi, con simboli ed allegorie che consentissero di comprendere il messaggio per coloro cui era diretto. La versione originale del Vangelo di Marco fu scritta nel 66 d.C., quando gli ebrei erano in rivolta nella Giudea contro gli occupanti Romani e venivano crocifissi a migliaia. L’autore doveva quindi preoccuparsi per la propria incolumità e non poteva presentare un documento apertamente anti-romano. 234 I Greci furono gli inventori del metodo di pensiero prosastico, contrapposto a quello poetico-mitologico, al fine di proteggere la ragione dagli assalti del fantasticare mitografico, ed è ormai diventato l’unico mezzo legittimo per comunicare il sapere. In particolare oggi vige l’opinione che la poesia si distingua dalla prosa esclusivamente per la sua musicalità, laddove originariamente la caratteristica saliente della poesia era di contenere allegorie, rimandi e significati nascosti su più livelli, oggi assolutamente incomprensibili per chi ragiona in prosa, la cui peculiarità è di avere un unico livello di significati. 171


Nel frattempo la religione ebraica cominciò a diventare oggetto di curiosità e studio da parte dei Greci, i quali erano principalmente attirati dagli aspetti ermetici, il significato dei numeri, il tetragrammaton, e così via. Pur tuttavia il comportamento degli Ebrei emigrati, e la politica dei popoli che circondavano gli Ebrei, in particolare i Romani, faceva sempre più credere agli Ebrei rimasti in patria che fosse vicina la “fine dei tempi”. I Romani, infatti, avevano conquistato il regno di Giudea e, pur nominando governanti ebraici per le dispute circoscritte al popolo ebreo, di fatto comandavano quel regno con pugno di ferro. Nacquero in questi anni le profezie apocalittiche235. La differenza tra le opere profetiche e quelle apocalittiche sta nel fatto che le prime intendono mostrare la via da seguire, intendono orientare l’agire del popolo, nelle seconde, invece, i giochi sono fatti, non c’è più tempo per cambiare le cose, si pone, tutt’al più, un problema di scelta etica puramente personale. Ciò che importa è solo di essere annoverati tra i giusti, per salvare il mondo (il popolo) non c’è più tempo. Probabilmente proprio il pensiero apocalittico portò al suicidio in massa dei difensori di Masada durante l’assedio dell’imperatore Romano Tito. 235

L’Apocalisse cristiana trova un formidabile contraltare nell’Apocalisse delle sibille pagane. Anche quest’ultima, infatti, oltre alla descrizione raccapricciante e dettagliata dell’ira di Dio, delle spaventose calamità che affliggeranno gli uomini all’approssimarsi del giorno del giudizio, prevede la possibilità di una soluzione salvifica. Le sibille nordiche, in particolare, predissero intorno all’anno Mille il “crepuscolo degli dei”, cioè l’apocalisse degli scandinavi. Esse narrarono di grandi cataclismi, e della lotta finale tra gli dei buoni, Odino su tutti, e quelli cattivi, guidati dal malvagio Loki, essere molto simile al Lucifero cristiano. 172


Così gli Ebrei, certi dell’approssimarsi della “fine dei tempi”, seppellirono i manoscritti segreti sotto la pietra del tempio, e cominciarono a cercare non uno, ma due messia, cioè il re (Boaz) e il sacerdote (Jachin) che sarebbero stati capi sopravvenienti, poiché a causa della dominazione romana la loro non poteva che essere una designazione a cariche non immediatamente accessibili. Mentre Gesù sarebbe stato il re messia236, il sacerdote messia237 forse era Giovanni Battista238. Infatti nella Bibbia si legge che Gesù avrebbe dovuto sedere alla destra di Dio, cioè avrebbe rappresentato la colonna di sinistra, quella regale; difficilmente gli Ebrei gli avrebbero consentito di ricoprire anche il ruolo di messia-sacerdote, oltre quello di messia-re. Paradossalmente il principio della separazione tra potere temporale e spirituale sarà applicato proprio dall’Impero romano, che aveva tanto avversato Gesù e i suoi seguaci.

236

Indicato anche come il messia di Davide, figura regale proposta all’amministrazione del nuovo regno, che avrebbe creato col proprio valore militare. La parola Messia, “l’unto”, deriva dall’Egiziano messeh, che significa coccodrillo. In Egitto, infatti, nacque l’usanza di ungere il re, con, appunto, grasso di coccodrillo. Il concetto del dragone nella mitologia celtica nasceva direttamente dall’idea del coccodrillo sacro dell’antico Egitto. 237 Indicato come il messia di Aaron, figura sacerdotale, interprete della Legge, e che avrebbe presieduto alla vita spirituale della popolazione. 238 Vangelo, Luca 3,15: “Poiché il popolo era ancora in attesa e tutti si domandavano in cuor loro, riguardo a Giovanni, se non fosse lui il Cristo”. 173


Gesù e la comunità essena

G

esù Cristo nacque probabilmente a Nazareth239, da Myriam, oggi Maria, e Josip, cioè Giuseppe240. Myriam, moglie del carpentiere241 Giuseppe, era

una galilea di famiglia nobile, affiliata alla comunità degli Esseni. Matteo ci descrive l’albero genealogico di Giuseppe, al fine di dimostrare che Gesù discendeva da Davide242. All’epoca della nascita di Gesù era fortemente sentita l’esigenza di un uomo che apportasse la salvezza al popolo ebraico, in senso però puramente terreno, cioè che riuscisse a liberarlo dal giogo dei Romani243. 239

Secondo alcuni studiosi la città di Nazareth all’epoca non esisteva ancora. Per il Donnini la città natale di Gesù era Gamla. 240 In ebraico significa “colui che aggiungerà”, ed era il titolo onorifico conferito al primogenito di ogni generazione della stirpe davidica. 241 In realtà nei vangeli Giuseppe viene definito ho tekton, in greco, e naggar, in ebraico, che più esattamente deve essere tradotto con “maestro del mestiere”, un erudito. 242 La società ebraica era patriarcale, per cui il lignaggio si trasmetteva di padre in figlio. Ma se Gesù, come ci dice la dottrina cristiana, non è figlio di Giuseppe, è ovvio che Gesù non è nemmeno discendente di Davide. 243 La visione di Gesù come Redentore non è ebraica; e non è neppure un tema familiare ai primi cristiani in Palestina. Il Messia che gli Ebrei aspettavano, e con loro gli Ebrei cristiani, non era figlio di Dio, ma “messaggero di Dio”, colui che salva il mondo non col dono del suo corpo e del suo sangue, ma attraverso l’avvento del regno messianico sulla terra. Gli Ebrei cristiani non speravano in una liberazione che li avrebbe portati in paradiso, ma in quella che avrebbe stabilito un nuovo ordine sulla terra, anche 174


L’ambiente in cui nacque Gesù era brutale. Vi era un clima di oppressione controllato da un monarca fantoccio appoggiato dai Romani occupanti, i quali non esitavano ad usare la forza, e le crocifissioni, per sottomettere gli ebrei. Questi, quindi, avevano un disperato bisogno del Messia, ma nessuno pensava che egli sarebbe stato divino. Ciò che volevano era un energico capo popolo che li liberasse dal giogo dei Romani244. Probabilmente il giovane Gesù fu consacrato a tale scopo, per questo assunse il nome di Gesù, che ha un preciso significato in tal senso. Anche il fatto che egli fosse appellato “figlio di dio”245 è spiegabile in questo modo. Essendo Gesù un “messia”, cioè colui che avrebbe dovuto liberare il popolo ebreo246, egli doveva essere guidato da dio, e per questo dio stesso intervenne nella sua procreazione, così come era credenza diffusa a quell’epoca. Ed è per questo anche che Maria viene definita Vergine247, poiché genera il fanciullo divino senza l’apporto materiale di un se credevano nell’immortalità. L’idea di Gesù come salvatore è nata soltanto quando la cristianità si è estesa nel mondo pagano. 244 Infatti nel Rotolo della Guerra trovato a Qumran si espone una strategia per la contesa finale, nominando il Messia quale comandante supremo delle milizie d’Israele. 245 Nell’iniziazione indiana, Egizia e greca il termine “figlio di dio” significa una coscienza coincidente con la verità divina. 246 Anche Davide quando divenne re fu appellato messia. E ogni successivo re ebreo della casa di Davide acquisì lo stesso appellativo. E Gesù era discendente in linea retta di Davide e Salomone, per cui legittimo aspirante al ruolo di re degli ebrei. Nel 131 d.C. vi fu Simone bar Kokhba che guidò in Palestina una rivolta, appellandosi messia e dicendo di esser il legittimo re dei Giudei. 247 La nozione di “vergine” attribuita abitualmente a Maria non è unicamente cristiana, ma appartiene anche alle religioni precedenti. La stessa Kore era considerata vergine. Il cristianesimo ha però considerato la verginità in senso puramente fisico, snaturando il significato di un termine che faceva invece riferimento a una radice, quella del latino vir e vires, che significa soltanto forte o potente. 175


uomo248. Ella quindi è soprattutto vaso249, contenitore del seme divino e del sangue divino. La Vergine Maria è l’Eterno Femminino, la personificazione del principio della Grande Opera alchemica. Il dogma cristiano talvolta si avvicina alla verità eterna quando descrive la Madonna come un vas spirituale, il Vaso contenente lo spirito di tutte le cose. Gesù Cristo è ovviamente il nome greco attribuitogli in epoca postuma. Benché non si conosca per certo il suo nome alla nascita, è indubbio che per tutta la vita egli si fece chiamare Yhoshua (o Yeshua nella forma abbreviata), ossia “Jahvè è salvezza”, traducibile oggi con l’espressione “apportatore di vittoria”. L’equivalente moderno sarebbe Giosuè. L’appellativo Iesus, cioè Gesù, è quindi la semplice traduzione dell’ebraico Yeshua.

248

Allo stesso modo Sansone nacque da una vergine, con l’intervento del Signore, così come viene raccontato nel libro dei Giudici. Le stesse circostanze si ripetono alla nascita di Samuele, l’ultimo dei giudici, e di Isacco, figlio di Abramo. In realtà nei Vangeli di Marco e Giovanni, che pure descrivono molti miracoli di Gesù, non vi è traccia della nascita miracolosa di Cristo. L’evangelista Matteo afferma la verginità della madre di Gesù basandosi su una profezia di Isaia che, a ben vedere, si riferisce in realtà a qualcosa che dovrà accadere in tempi diversi e, soprattutto, non parla affatto di una “vergine”. La parola usata da Isaia, cioè almah, deve essere tradotta più propriamente con fanciulla, ragazza. Oltre a ciò nell’antico testamento non esiste altra profezia attestante la verginità di Maria e la prodigiosa nascita di Gesù. Gli evangelisti Marco e Giovanni hanno ignorato del tutto questa circostanza, ma hanno precisato che Maria ebbe altri figli. 249 Da notare che anche il Santo Graal è generalmente visto come un calice, cioè una specie di vaso. E che esso, proprio come la Vergine Maria, conteneva il sangue del Cristo. Per alcuni, quindi, il Graal non è altro che un antico simbolo della madre di Cristo. Ad ulteriore riprova di ciò si noti che il Graal fu affidato a Giuseppe d’Arimatea, cioè al fratello maggiore di Gesù. Secondo l’usanza giudaica era, infatti, il figlio maggiore ad occuparsi della madre rimasta vedova. 176


Il vocabolo Cristo, invece, è la traduzione greca del titolo di “messia250”, cui è stato dato il significato di “apportatore di salvezza attraverso la redenzione dai peccati”, laddove con il termine ebraico-aramaico251 s’intende semplicemente “colui che diverrà legittimo re dei Giudei”. Nella tradizione ebraica l’appellativo di messia indicava un futuro re, e non aveva nessun significato ultraterreno, perciò la chiesa cristiana sbaglia quando si richiama all’Antico Testamento come testimonianza della venuta del suo Cristo, inteso come salvatore spirituale. Lo stesso fatto che Gesù si appellasse “figlio di dio” non modifica il discorso, in quanto questo titolo, come per i faraoni Egiziani, era proprio di coloro che rivendicavano

aspirazioni regali,

strettamente temporali quindi, e non ultraterrene. Il fatto che Gesù avesse aspirazioni politiche, più che religiose, ci viene confermato dal fatto che la sua condanna a morte fu decisa dalle autorità romane, e non da quelle ebraiche, che avevano il potere di infliggere pene per reati in materia religiosa, e che l’esecuzione avvenne secondo modalità, la crocifissione, proprie dei delitti politici. L’idea che Gesù avesse il compito di annunciare la fine dei tempi e di prepararsi con la preghiera al giorno del giudizio, 250

In ebraico “l’Unto” (Mashih, tradotto in greco Christòs), cioè colui che è consacrato attraverso l’olio sacro. Gesù, secondo i vangeli, fu unto dalla Maddalena con olio di nardo, proveniente dall’India e molto costoso, al fine di prepararlo per la sepoltura. Nella tradizione indiana l’unzione preparava all’illuminazione, cioè al contatto con il dio. Tutti gli unti divenivano cristo, cioè messia. L’unzione era quindi propria di un rito pagano, di cui faceva parte la sepoltura simbolica e la conseguente resurrezione a nuova vita. Proprio come avviene nel moderno rituale massonico e nell’antichissima cerimonia di intronizzazione dei faraoni egizi. 251 La lingua ebraica cadde in disuso fin dall’epoca dell’esilio, sostituita dall’aramaico. 177


l’idea quindi di un Gesù come “Salvatore”, è propria invece del mazdeismo,

antica

religione

dei

persiani

indo-europei,

probabilmente dal terzo millennio a.C. fino all’età ellenistica. Il mazdeismo deriva da Ahura-Mazda che era, secondo i persiani, il dio della luce. Il libro sacro dei mazdei è l’Avesta. In esso si narra il conflitto fra il principio del bene, rappresentato da Ahura-Mazda, e quello del male, rappresentato dal dio Ahriman. Si tratta di un conflitto perenne durante il quale uno dei due dei prende solo temporaneamente il sopravvento. Alla fine dei tempi, però, Ahriman sarà vinto e ritornerà al nulla, mentre AhuraMazda accoglierà nel paradiso di luce solo coloro che avranno osservato i comandamenti dell’Avesta. È evidente il parallelismo con l’escatologia cristiana, così come è evidente che Ahriman è il predecessore del diavolo cristiano. Inoltre, la disfatta definitiva delle potenze del male sarà annunciata dalla venuta del Saoshyant, cioè il Salvatore.

178


Vita e morte di Gesù

È

vero altresì che, come era costume a quei tempi, il re

atteso doveva avere anche il potere spirituale, oltre a quello temporale. Dai tempi di Zorobabele, infatti, il

Sommo Sacerdote aveva usurpato il potere temporale, riunendo entrambe le corone nelle sue mani252. Questo Sommo Sacerdote veniva anche chiamato Zadok, da cui l’ulteriore appellativo per i seguaci di Gesù di Zadochiti. Secondo la leggenda, un messaggero angelico avvertì Giuseppe e Maria del parto prodigioso. La storia, invece, vede le cose diversamente. Dal tempo di re Davide la dinastia di Abiatar era insediata nell’alta gerarchia ecclesiastica. La stirpe di Sadoc era al primo posto nella scala gerarchica ereditaria e quella di Abiatar al secondo. Oltre ai tradizionali titoli sacerdotali gli Esseni conservavano anche i nomi degli arcangeli del vecchio testamento nella loro struttura governativa, per cui il sacerdote

252

Il profeta Zaccaria, infatti, parla di due corone, una d’argento e una d’oro, da porre entrambe sul capo di Zorobabele. Se in origine il potere religioso e quello politico (le due corone) non fossero stati divisi, questo fatto non avrebbe alcun senso. 179


Sadoc, o Zadok, era anche l’arcangelo253 Michele254, mentre il sacerdote Abiatar (che all’epoca era Simeone l’esseno) era anche l’arcangelo Gabriele255, colui che dette la sua approvazione al parto di Maria e convinse Giuseppe a non lasciare la donna incinta. Giuseppe e Maria erano rei di aver violato le regole del matrimonio dinastico ebraico, che prevedeva l’unione tra gli sposi solo in particolari periodi dell’anno. Gli sposi erano uniti in matrimonio due volte, a distanza di un anno, durante il quale vi era una sorta di periodo di prova, e solo dopo il secondo matrimonio la moglie perdeva la qualità di almah, cioè giovane donna, termine che viene erroneamente tradotto nella Bibbia moderna con “vergine”. Maria e Giuseppe, invece, violarono tali regole poiché Maria partorì in marzo256, prima del secondo matrimonio. Per cui Maria concepì come almah, ma partorì anche come almah. Poiché il figlio dei nobili Giuseppe e Maria era il discendente della linea dinastica davidica, il sacerdote Abiatar decise di procedere ugualmente con il secondo matrimonio, applicando le normali regole, prima fra tutte quella che nessun contatto fisico era permesso finché non era trascorso un certo tempo dalla nascita del bambino, fu così che Giuseppe “fece secondo che l’angelo del Signore gli aveva comandato e

253

Angelo deriva da aggelos, traslitterato più comunemente come angelos, latino angelus, che significa “messaggero”. L’arcangelo, da arci-, “capo”, era un ambasciatore sacerdotale di altissimo rango. 254 Michele in ebraico significa “chi (è) come dio”. 255 Gabriele in ebraico significa “uomo di dio”. 256 Domenica, primo marzo del 7 a.C. secondo alcuni studiosi. La differenza con la datazione ufficiale deriva dall’uso da parte degli ebrei di un calendario lunare, sfasato rispetto a quello romano. 180


ricevette sua moglie: Ma egli non la riconobbe finche ebbe partorito il suo figliolo primogenito”257. Tuttavia la nascita di Gesù al di fuori delle regole dinastiche comporto il rifiuto degli ebrei ortodossi di riconoscerlo come legittimo erede. Mentre gli ebrei occidentalizzati vedevano in Gesù il futuro messia, gli ortodossi riconoscevano tale titolo a Giacomo, il secondogenito nato secondo le regole dinastiche. Gesù quindi crebbe in Galilea, educato secondo i dettami del luogo, dove la casa paterna era prima di tutto un tempio, dove sulla porte erano incisi i passi della legge e dei profeti, dove tutto era condizionato dall’unione fortissima tra legge e religione, dove la famiglia era dominata dall’idea religiosa e nazionale. Raggiunta infine l’età giusta258, Gesù si unì agli Esseni. Gli Esseni, erano una comunità che viveva in luoghi isolati per il dispotismo dei signori della Palestina, che non vedevano di buon occhio le idee professate da questa comunità, per la loro convinzione di essere gli unici portatori della verità in grado di salvare il popolo ebreo, ma soprattutto perché in contrasto con i Romani che a quei tempi governavano quelle terre. Il nome, Esseni, è stato dato loro dai commentatori Greci, laddove essi, probabilmente non avevano un nome definito, ma si indicavano in vari modi259: custodi del Patto260 (con dio) o guardiani del 257

Vangelo di Matteo 1:24-25. Secondo la regola degli Esseni, gli uomini dovevano attendere vent’anni per sposarsi, e poi, raggiunti i trenta, dovevano essere iniziati ai ranghi superiori della setta, essendo considerati, a quell’età, maturi. E il caso di ricordare che Gesù iniziò le sue predicazioni, e attività in generale, proprio all’età di trent’anni. 259 L’Essenismo deve essere considerato come un movimento, anche piuttosto vasto, non conformista dell’epoca, che si opponeva a Gerusalemme, ai farisei, 181 258


Patto, che in ebraico era nozrei ha.Brit. Da questo termine deriva nozrim (nazarei o nazareni), uno dei primi termini ebraici usati per indicare la setta in seguito chiamata cristiana. Avevano due centri principali, uno in Egitto, sulle rive del lago Maoris, l’altro in Palestina, a Engaddi, sulle rive del Mar Morto. Essi erano molto diversi dalle altre comunità. Studiavano con zelo, servivano dio con grande pietà, santificando il loro spirito, e non offrendogli vittime; non avevano schiavi, erano tutti liberi e lavoravano gli uni per gli altri. Tutte idee, insomma, non proprio comuni a quell’epoca. Gli Esseni, inoltre, avevano molti punti di contatto con la setta dei Pitagorici: la preghiera al levare del sole, le vesti di lino, le agapi fraterne, il noviziato di un anno, i tre gradi dell’iniziazione, l’organizzazione dell’ordine e la comunità dei beni amministrati da incaricati dell’ordine, la legge del silenzio, il giuramento dei Misteri, la divisione dell’insegnamento in tre parti, cioè la scienza dei principi universali o teogonia, la cosmogonia e la morale, cioè la scienza di ciò che riguarda l’uomo. Inoltre gli Esseni professavano il dogma essenziale della dottrina orfica e pitagorica, della preesistenza dell’anima, conseguenza e ragione di immortalità, e, cosa molto importante, avevano un orientamento sostanzialmente mistico, cioè insistevano per un contatto e una conoscenza diretta tra l’uomo e dio, non mediata quindi da caste sacerdotali.

e agli invasori Romani. In particolare non perdonavano il “tradimento” dei sadducei che appoggiavano i Romani. 260 O alleanza. In latino testamentum. 182


Gli Esseni erano convinti che le anime buone vivessero oltre il mare, ad occidente, in un luogo simile al paradiso. Tale concezione la ritroviamo nell’idea celtica delle isole dei morti, come Avalon, ma anche tra i Mandei, una setta che abitò quello che è oggi l’Iraq meridionale dal giorno in cui, dopo la crocifissione di Gesù, lasciò Gerusalemme per sfuggire alle purghe del predicatore Paolo. Secondo i Mandei, che ancora oggi praticano il battesimo nel fiume, esiste una terra meravigliosa al di là dell’oceano, che ospita gli spiriti più puri. Tale luogo è contraddistinto da una stella chiamata la Merika261. Comunque, gli Esseni, lungi dall’essere una comunità di asceti o monaci primitivi, erano ben inseriti nel quadro politico dei tempi, al punto di giungere a fomentare ribellioni contro gli invasori Romani. All’epoca il loro consiglio, formato da dodici persone, come gli apostoli di Gesù, risiedeva stabilmente a Gerusalemme.

261

L’America probabilmente ha preso il nome da questa stella, seguendo la quale si giungeva al nuovo mondo. La tesi che “America” deriverebbe dal nome del presunto scopritore, Amerigo Vespucci, è dovuta ad un errore di un monaco che era addetto a riportare carte geografiche nel medioevo. Il libro del monaco in questione, che si era dato nome Hylacomilus, venne prodotto a stampa, nel 1507, e la diffusione del testo fece il resto. Incidentalmente si deve notare che sussistono numerose prove che, prima di Vespucci, giunsero nel nuovo mondo navigatori del nord, vichinghi, e gli stessi Templari, che scolpirono pannocchie (mais indiano) e piante di aloe, quindi piante conosciute solo nel nuovo mondo, nella chiesa di Rosslyn, in Scozia, nel 1480, quando, secondo la storiografia ufficiale, lo sbarco nel sudamerica avvenne solo nel 1498. Secondo testi cinesi, i più antichi scopritori dell’America risalirebbero addirittura al 2640 a.C., e sarebbero due astronomi in missione esplorativa per conto dell’imperatore Huang Ti. Secondo le leggende indù alcuni sacerdoti provenienti dall’India avrebbero raggiunto il Messico tra l’800 e il 400 a.C. Fu nell’anno mille che l’islandese Leif Erikson, figlio di Erik il rosso, partì dalla Groenlandia per approdare nel nuovo mondo. 183


Yhoshua ben Yôseph (traducibile con Giosuè di Giuseppe) raggiunse la comunità qumranica, identificata generalmente con l’espressione “il deserto”, dove trascorse alcuni anni studiando i loro riti e i loro segreti. Nella comunità ebbe quindi l’iniziazione superiore al quarto grado, che veniva accordata solo nel caso di una missione profetica, voluta dal fratello Giacomo e confermata dagli Anziani. In una grotta i fratelli ammessi alla cerimonia salutarono il nuovo iniziato vestito di lino bianco, come “lo sposo e il re”. Il capo dell’ordine gli presentava un calice d’oro, simbolo dell’iniziazione suprema, che conteneva il “vino della vigna del Signore”, simbolo di divina ispirazione. Così Gesù fu lasciato libero di cercare il proprio destino, la propria missione, perché era scritto che “niente viene dal di fuori, tutto dall’interno”, ed egli doveva abbandonarsi ai venti dello Spirito. Nelle sue peregrinazioni Gesù incontrò Giovanni Battista, il quale applicava il cerimoniale del battesimo, attirando così a sé moltitudini di persone, colpite da quello strano individuo con la fama di santo. Egli affermava che il tempo del messia era giunto, e sarebbe arrivato tra loro un uomo capace di riscattarli dalla loro condizione e di liberarli dalla schiavitù262. Quelli che lo ascoltavano rapiti dalle sue parole profetiche, non chiedevano altro che di prendere le armi per cominciare la guerra santa. Gesù si recò quindi, con la veste di lino dal Battista, per essere battezzato dal profeta delle folle, e lì il Battista, riconoscendo i segni della comunità essena su di lui, gli chiese se fosse il

262

Del resto anche in Egitto i sacerdoti avevano annunciato che la Fenice sarebbe presto rinata dalle sue ceneri. 184


messia263. Gesù non rispose, e dal suo silenzio, legge degli Esseni, il Battista riconobbe il messia. Ma i Romani, temendo che il messia Giovanni potesse provocare un’insurrezione popolare, lo decapitarono. Tale atto fu visto dagli Esseni, e da Gesù, come un duro colpo alla loro comunità; era stata abbattuta una colonna del loro regno. Gesù decise quindi di agire, ma prima aveva bisogno di nuovi adepti. Quindi cominciò trasformando “l’acqua in vino” e “resuscitando i morti”. Il linguaggio è prettamente simbolico; infatti “l’acqua” erano i non adepti, non appartenenti alla comunità qumranica, “il vino” erano invece gli eletti, pronti per il regno di dio in cielo; ugualmente “i morti” erano gli altri, “i vivi” gli appartenenti a quella comunità264. L’ingresso nella comunità essena avveniva attraverso un complicato e lungo rituale che culminava in una simbolica resurrezione mutuata dal rituale Egiziano del faraone Seqnenrîe. Quindi il tutto significava che Gesù iniziò alla comunità qumranica numerosi profani, con ciò provocando il panico e suscitando l’indignazione all’interno della comunità stessa, ciò in particolare perché aveva ammesso unilateralmente molti dei suoi seguaci (in particolare gli Apostoli) al grado ultimo della comunità, rendendoli così partecipi dei segreti di Mosè, cioè del

263

Nel Vangelo si afferma invece che Giovanni Battista riconobbe immediatamente in Gesù il messia. 264 Vangelo, Matteo 8,21-22: “E un altro dei discepoli gli disse: - Signore, permettimi di andar prima a seppellire mio padre. Ma Gesù gli rispose: Seguimi e lascia i morti seppellire i loro morti.” È evidente che qui si riferisce agli “altri”, non appartenenti alla comunità. Sarebbe assurdo pensare che un morto vero potesse seppellire un altro morto. 185


rituale di “resurrezione” del faraone Egiziano265. È altresì evidente, allora, che la lettura allegorica della Bibbia può spiegare anche perché Gesù si appellasse “figlio di Dio”. Non certo in senso letterale, ma in senso simbolico, poiché egli era il candidato al titolo di messia, cioè “futuro re dei giudei”, e quindi egli era il reggente terreno in sostituzione di Jahvè. Del resto Gesù chiamava fratelli e vicini tutti gli appartenenti alla comunità qumranica, quindi i figli di Dio avrebbero dovuti essere molti di più. In sostanza l’idea di Gesù era di intraprendere una battaglia politica per la definitiva liberazione dei Giudei dal giogo degli stranieri, i Romani. Morto Giovanni assunse unilateralmente il ruolo anche di messia-sacerdote, mentre il fratello Giacomo266 lo sconsigliò in tal senso. Poi cominciò a fare nuovi adepti per prepararsi alla battaglia. Il concetto del tutto nuovo e sconvolgente che egli introdusse fu quello di “uguaglianza”. Egli predicava che tutti, specialmente i peccatori, e anche, cosa sbalorditiva, le donne, potevano salvarsi. Cominciò inoltre a chiedere denaro per la sua causa, venendo quindi a contatto con tutti, specialmente i più ricchi. La comunità qumranica era particolarmente osservante delle regole di purificazione, perciò il fatto che Gesù avvicinasse tutti era scandaloso, in particolare quando avvicinava persone che anche solo per ragioni professionali o sociali entravano in relazione con i “gentili” (i

265

Vangelo, Marco 4,11: “A voi è stato confidato il mistero del regno di Dio; a quelli di fuori invece tutto viene esposto in parabole...” 266 Il cui vero nome era Y’acagôbh. 186


non Ebrei), e per questo erano tacciati di meretricio, la qual cosa quindi non indicava necessariamente una promiscuità sessuale. Così cominciarono le prediche di Gesù che ancora una volta sono da leggere in senso allegorico. Ad esempio i “poveri di spirito” (in Luca semplicemente “poveri”) sono gli Esseni iniziati al terzo grado; gli “afflitti” sono coloro che piangono e si disperano perché il tempio di Dio è nelle mani degli stranieri; i “puri di cuore” sono coloro che si erano purificati nel deserto tramite il rituale esseno; gli “operatori di pace” sono non i pacifisti, ma coloro che sono impegnati a costruire lo shalôm, la condizione di pace e prosperità degli Esseni. Quando invece Gesù parla di coloro che saranno insultati (non perseguitati, visto che la persecuzione era una condizione normale di tutti i giudei !) e traditi per causa sua, evidentemente si riferisce ai secessionisti, cioè coloro che all’interno della comunità seguivano Gesù, nonostante le sue idee dirompenti, e che quindi erano guardati con sospetto dagli ortodossi, che seguivano Giacomo, il fratello di Gesù. Tra l’altro Maria non fu ammessa alla comunità267 in quanto donna, mentre Gesù decise di ammettere anche le donne tra i “vivi”, decisione che suscitò un notevole scompiglio tra gli Esseni. Ma soprattutto Gesù affermava che “il regno dei cieli è dentro ognuno di voi”, cioè stabiliva che la salvezza (sia terrena che spirituale) era raggiungibile da ognuno grazie a un proprio sforzo personale,

267

Nel senso che non fu iniziata, ma apparteneva comunque agli Esseni. 187


senza necessità di offrirsi ad altri, senza necessità di gerarchie alle quali affidarsi268. Tale concezione di salvezza ed elevazione spirituale ottenuta tramite uno sforzo esclusivamente personale, concezione ovviamente fortemente avversata dalla Chiesa moderna, che frappone tra Dio e gli uomini una rigida gerarchia ecclesiastica, unico tramite per la salvezza, era propria degli Egiziani. Infatti, i libri di Ermete Trismegisto, pur facendo ricorso al simbolismo magico ed alchemico, affermano in sostanza che le parole e i simboli possono spiegare fino ad un certo punto, mentre l’iniziato può raggiungere la meta finale, la fonte divina, solo attraverso la sua esperienza personale, e non per atto di fede, ma per conoscenza diretta. I Farisei e i Sadducei non vedevano di buon occhio l’attività di Gesù, i primi perché erano contrari alla divulgazione dei segreti religiosi, i secondi perché erano alleati al governo romano, e Gesù minacciava di provocare un’insurrezione popolare. I Romani, appositamente sobillati, intesero il pericolo e corsero ai ripari, arrestando Giacomo e mettendo in circolazione dei manifesti di cattura di Gesù, manifesti che andarono opportunamente perduti molto tempo fa, poiché la nascente chiesa cristiana non poteva dar conto di un’immagine imperfetta del proprio dio. Tuttavia una descrizione di Gesù sarebbe sfuggita alla censura cristiana e appare in alcuni testi slavi; tale descrizione, da vagliare comunque con molta cautela, è la 268

Questo concetto è ovviamente del tutto estraneo alla Chiesa moderna che insiste nel fatto che solo le gerarchie ecclesiastiche sono in grado di interpretare correttamente le sacre scritture, per cui la salvezza non potrà mai essere raggiunta attraverso uno sforzo del singolo. 188


seguente: “...un uomo in età matura, dall’aspetto semplice e dalla complessione scura, di bassa statura269, non più alto di tre cubiti270, gobbo, con il viso lungo, il naso prominente e le sopracciglia unite al centro, tali da renderne il volto torvo; i capelli sono radi, con la scriminatura al centro secondo l’usanza dei nazirei, e la barba poco folta.” Come si vede una descrizione molto diversa di quella alla quale siamo abituati; la moderna figura di Gesù in realtà parrebbe corrispondere alla fisionomia di tutt’altra persona271. Se questa è la vera fisionomia di Gesù bisogna precisare che la Chiesa cristiana si vide costretta a nasconderla, poiché tale uomo non avrebbe mai potuto essere creduto un dio in un mondo dominato dalla cultura di stampo ellenistico che esaltava al di sopra di tutto la bellezza estetica. In ogni caso, Gesù si rese conto che doveva porsi in rotta con i Romani, ma anche con i conservatori ebraici, i nazionalisti, i farisei e i sadducei (seguaci del sacerdoti titolare, che veniva indicato come Sadoc, e che all’epoca era Giovanni Battista). Quindi iniziò a predicare anche ai gentili, violando apertamente le aspettative dei conservatori che volevano la supremazia degli ebrei sui gentili. Il suo intento era chiaramente quello di compattare gli ebrei contro il nemico romano. 269

Negli Atti di Giovanni, non inseriti nel Nuovo Testamento, Gesù è descritto infatti come un uomo di bassa statura. 270 Circa un metro e mezzo. 271 E cioè ad Apollonio di Tiana (4 a.C. ?-97 d.C.?), filosofo neopitagorico e taumaturgo, contemporaneo di Gesù, citato da Sant’Agostino e Sant’Ambrogio. La sua reale esistenza non è stata tuttavia mai accertata. Flavio Filostrato (III secolo d.C.) ne scrisse una “biografia” secondo la quale Apollonio era in grado di compiere veri e propri miracoli. 189


Gesù iniziò quindi il suo compito, affiancandosi numerose persone, tra le quali scelse dodici più rappresentative, così come il rotolo del Manuale di disciplina di Qumrân indica l’importanza di un consiglio di dodici per preservare la fede nel paese. Per lo più i cosiddetti apostoli erano sacerdoti, terapeuti ed insegnanti, anche se poi vennero indicati diversamente. Ad esempio, Giuda “iscariota” era un capo popolo e condottiero militare di Qumrân; i Romani lo chiamavano Giuda sicarius, cioè l’assassino, da sica che era un micidiale pugnale ricurvo. In greco l’appellativo divenne sikariotes, che poi fu alterato in iscariota. Il sogno di Gesù, ebrei e gentili unificati per combattere l’invasore romano, non era però ben visto dai farisei, dai sadducei e gruppi settari analoghi. Quindi fu tradito da Giuda sicariota, che si unì alla fazione opposta e lo denunciò al sommo sacerdote. Questi passò Gesù al governatore Romano Pilato. Di lì a poco Gesù fu arrestato nel giardino del Getsemani, ma prima fece in tempo a designare come suo successore Giacomo il Giusto, suo fratello272. Il procuratore Romano, secondo la tradizione Pilato, decise, per evitare un’insurrezione popolare, di liberare uno dei due messia arrestati (Gesù e Giacomo, nuovo messia-sacerdote). La scelta secondo quanto è scritto nella Bibbia sarebbe avvenuta, ad opera dei giudei, tra Gesù e Barabba. Però Bar-abba non è un nome ma un titolo, dove bar sta per “figlio di” e abba per “padre”, inteso 272

Stranamente la Chiesa cristiana, con criteri del tutto arbitrari, non riconosce validità a questa investitura, ma riconosce Pietro come successore di Gesù. 190


come Dio, per cui Barabba era il “figlio del padre”, cioè il “figlio di Dio”; che però era l’appellativo di Gesù. Matteo, in uno dei suoi manoscritti, ci svela l’arcano, precisando il vero nome di quest’uomo, e cioè “Gesù Barabba”, Gesù il figlio di Dio. Poiché anche Gesù è solo un appellativo che veniva assunto dai due messia, è evidente che gli Ebrei dovettero scegliere tra il Gesù vero (indicato in quell’occasione come il “re dei Giudei”, poiché era il messia-re), e un altro Gesù (indicato come “il figlio di Dio” poiché sacerdote-messia, e quindi in diretta discendenza con Dio) che altri non era che Giacomo. Poiché i qumranici seguivano il più ortodosso Giacomo, mentre guardavano con sospetto il troppo liberale Gesù, scelsero il primo. Ma così facendo condannarono il secondo a morire sulla croce273. Quindi Gesù fu portato sul Golgota, che significa “luogo del teschio”, dove furono erette le croci per le crocifissioni. In realtà il Golgota non era un colle, bensì un giardino, probabilmente un cimitero. Lì fu crocifisso. Giacomo in seguito pronunciò un accorato discorso, non riportato nella Bibbia, con il quale i giudei si autoaccusavano del sangue versato. Le sue parole travisate nella Bibbia hanno dato origine a duemila anni di antisemitismo274. Sotto il cristianesimo agli ebrei fu impedito per secoli di possedere terre o accedere alle corporazioni professionali, ed essi si videro quindi costretti a 273

La croce, assurto a simbolo della religione cristiana, era in realtà originata dal simbolo che i keniti si imprimevano sulla fronte, a sua volta derivato da un geroglifico Egizio il cui significato era “il salvatore”. La traduzione ebraica del carattere Egizio è “Giosuè”, da cui deriva Gesù. Per cui il crocifisso non è il simbolo di Gesù, ma è il suo stesso nome. 274 Nel medioevo gli Ebrei erano chiamati spregiativamente Marrani, cioè porci. 191


ricorrere al loro ingegno per sopravvivere. Fu così che diventarono gioiellieri, medici, usurai e banchieri, e diedero inizio ad attività nuove e tecnicamente avanzate quali la manifattura di lenti e la preparazione di medicinali. La storia dice che Gesù morì a trentatré anni. È interessante notare come questo numero avesse un significato particolare nella cultura celtica; gli dei Celti erano infatti 33; essi avevano 33 comandanti; le città dei Celti erano elencate in numero di 33, e così via. In sintesi quindi, possiamo sostenere che, all’epoca di Gesù, i Romani controllavano in maniera scrupolosa la provincia palestinese. Il potere temporale era esercitato da un giudeo appositamente

nominato

dai

Romani,

quindi

un

collaborazionista, uno che era in accordo con gli invasori. Il potere spirituale veniva esercitato da una casta sacerdotale, e forse da un Sommo Sacerdote, in combutta con i Romani stessi. I Giudei attendevano non uno, ma due messia, che li avrebbero liberati. Il primo avrebbe detenuto il potere temporale, il secondo quello spirituale, proprio come accadeva ai tempi del Sacro Romano Impero, con l’imperatore e il pontefice. Gesù aspirava alla prima carica, probabilmente. Alla morte di Gesù, Giacomo, che aspirava alla seconda carica (del resto è descritto come un uomo pio e religioso, forse un alto sacerdote a cui era consentito l’accesso al Sancta Sanctorum del Tempio),

si

trovò

a

combattere

contro

i

Sadducei,

collaborazionisti, che appoggiavano il re, Erode, nominato dai Romani, e contro i Romani stessi. A ciò si aggiunse il pericolo 192


delle idee religiose di Paolo di Tarso, che predicava contro la Legge di Mosè, e accusava apertamente Giacomo.

193


Le chiese primitive

G

iacomo si ritiro quindi nel deserto, insieme ai suoi confratelli. Lì dopo qualche tempo lo raggiunse Saulo di Tarso, un ebreo romanizzato che prima

perseguitava gli Ebrei, e dopo si convertì alla loro religione275. Divenne un seguace del sommo sacerdote Giacomo. Ovviamente non poteva in tempi brevi acquisire tutte le conoscenze dei qumranici, per i quali il periodo di apprendistato era di tre anni, per cui spesso interpretava alla lettera le allegorie presenti nei racconti degli Esseni, e cominciò in questo modo a predicare con il nome di Paolo. Quindi diede vita ad un nuovo culto che si ispirava fortemente a quello esseno, senza però coglierne gli aspetti più reconditi, e che fu chiamato “cristiano276”, dalla traduzione greca del termine messia. Egli voleva fondare una 275

Saulo si stava recando a catturare gli ultimi seguaci di Gesù, con una guarnigione romana, ma sulla via di Damasco venne colpito da cecità e, così disse, ebbe un’esperienza mistica. Per cui si convertì alla religione dei nazareni. Da qui l’espressione “fulminato sulla via di Damasco”! Secondo alcuni autori l’espressione “Damasco” starebbe ad indicare proprio la comunità di Qumrân, cioè gli Esseni, ai quali apparteneva Gesù, che Saulo voleva sterminare. Questo perché il comandante romano Saulo non avrebbe potuto condurre una spedizione contro Damasco, in Siria, essendo quest’ultima appartenente ad una diversa provincia romana, soggetta all’autorità di un altro legato. 276 Paolo non parla mai di cristianesimo. Fu invece Ignazio d’Antiochia, all’inizio del secondo secolo, a introdurre il termine. 194


comunità in cui non vi fosse distinzione tra giudeo e greco. Per questo attinse a piene mani ai cerimoniali Esseni e alla loro terminologia, che non comprendeva pienamente, e cominciò a predicare277, anche e soprattutto contro i seguaci di Giacomo che lo chiamavano “fonte di menzogna”. Gli Esseni, Giacomo in testa, contestarono aspramente le predicazioni di Paolo, e lo accusarono di non seguire la “Legge”. Per questo Paolo, irritato dalle azioni di Giacomo detto il Giusto (Zadok), aizzò i suoi seguaci contro il suo avversario, con intenti omicidi, dinanzi al tempio. E fu proprio l’assassinio di Giacomo che scatenò l’odio degli Ebrei. E da quelle tensioni vennero fuori, poi, le persecuzioni dei Romani, fino alla definitiva distruzione del tempio e al massacro di numerosi Ebrei, con conseguente diaspora, voluta, nel 70 d.C., dall’imperatore romano Tito. È rilevante notare che gli Ebrei si sollevarono non alla morte di Gesù, ma di suo fratello Giacomo; ciò è facilmente spiegabile se si tiene conto che il primo fu un capopopolo solo per poco tempo (circa un anno), il secondo lo fu per quasi vent’anni. Mentre Paolo predicava quello che in seguito divenne il cristianesimo, Giacomo inviava messi a sbugiardare le predicazioni di Paolo278, in quanto molto lontane da quelle nazarene. Non si può certo dire che la Chiesa avesse ragione 277

Ad esempio Paolo, incapace di cogliere il significato autentico del simbolo delle due colonne sormontate da un arco, inventò il peculiare concetto, del tutto estraneo al giudaismo, della Santa Trinità nel tentativo di razionalizzare il pensiero ebraico. 278 Probabilmente era proprio Paolo il “sacerdote empio” menzionato nei manoscritti del mar morto, l’uomo descritto come “il mendace, il derisore”, e “colui che fa scorrere falsità”. 195


quando affermava che Paolo aveva seminato il messaggio di Gesù, altrimenti non si spiegherebbero gli attriti e gli scontri tra Giacomo e Paolo, culminati con l’arresto di Paolo, poi liberato dai Romani. Giacomo, e prima di lui Gesù, predicava la religione giudaica, inviando predicatori a convertire alla legge di Dio; invece Paolo predicava la parola di Gesù, inventando un suo personale modo di vedere Gesù, molto “pagano” a dire il vero, e chiedeva che Gesù fosse adorato come dio, mettendo in secondo piano la legge giudaica. Così come Paolo predicava in Occidente una dottrina legata al nome di Gesù, allo stesso modo Tommaso, uno dei seguaci di Gesù, predicava in Oriente, convertendo molti popoli alla religione ebrea; con la differenza che la predicazione di Tommaso era perfettamente in linea con gli insegnamenti di Gesù e le leggi di Giacomo. “Tommaso” in realtà non è un nome, ma un soprannome, e significa “gemello”, quindi è molto probabile che egli in realtà non fosse altri che Simone, fratello gemello di Gesù. Per cui la chiesa copta, in Egitto, aveva molti punti di contatto con il pensiero nazareno puro (ad esempio il rifiuto della verginità di Maria, e il fatto di considerarla una donna e non una dea). Così proprio in Egitto, e nel resto dell’Asia, trovarono terreno fertile le eresie nestoriana279, che considerava Maria una 279

L’eresia nestoriana vede nella Vergine Maria solo una donna. Nestorio, vescovo di Costantinopoli, sosteneva che la divinità non poteva essere generata, e che in Gesù si era manifestata solo la volontà di dio, non il suo intero essere. Di conseguenza Maria non era la madre di dio, né poteva essere la “Regina del Cielo”. L’imperatore Teodosio II indisse un concilio ecumenico nel quale sanzionarono la maternità divina di Maria, alla quale venne conferito il titolo di “madre di dio” e “regina del cielo”. Nestorio fu 196


semplice donna, ed ariana, che considerava Gesù solo un uomo, e non un dio280. Fu in questo quadro che si sviluppò il fenomeno monastico Egiziano,

essenzialmente

non

gerarchico

proprio

per

contrapporsi alle rigide gerarchie romane, che consentì in Egitto, e in parte dell’Asia, un maggiore sviluppo culturale, senz’altro più libero, che diede un notevole vantaggio al pensiero arabo. La religione cristiana si diffuse a partire dai primi secoli d.C. tra gli strati più bassi della popolazione, come una sorta di risposta e riscatto avverso i soprusi le angherie imposte dalle classi alte nell’impero romano. L’impero romano si era ormai trasformato nel regno del terrore e del vizio, dove un imperatore poteva impunemente violentare e uccidere la propria madre senza che accadesse nulla, e fare del suo cavallo un senatore. Le donne, i bambini e gli schiavi erano trattati tutti allo stesso modo, come esseri non umani, indegni di tutto, come delle cose di proprietà del padrone, il quale poteva fare di essi ciò che voleva. Quando il credo cristiano si cominciò a diffondere e a fare presa nel popolo, come accade sovente, i forti saltarono sul carro del vincitore, e divennero i più strenui sostenitori del cristianesimo. Molti furono gli imperatori che, almeno in apparenza,

si

convertirono,

e

scelsero

di

difendere

il

cristianesimo contro le altre religioni. Di fatto il loro era un

scomunicato ed esiliato. Dopo il concilio di Efeso fu composta l’Ave Maria. Maria divenne membro supremo e totalmente unico della Chiesa, la coredentrice dell’universo. Il passo successivo, stabilire l’ascesa di Maria al cielo, fu breve. 280 Dalle scrittura canoniche risulta evidente che fu Paolo il primo a predicare la divinità di Gesù. Tra l’altro Paolo non incontrò mai il nazareno. 197


cristianesimo solo di facciata. Per questo iniziarono le persecuzioni contro coloro che non rispettavano le gerarchie ecclesiastiche. Iniziarono i processi e le condanne degli eretici, le proibizioni di tradurre la bibbia, di diffondere la parola di Cristo. Solo la gerarchia ecclesiastica aveva il diritto di interpretare la “parola”,

e

chi

ne

contestava

la

legittimazione

era

automaticamente eretico. Addirittura, quella che comunemente si ritiene una roccaforte del pensiero paolino deve invece essere riconsiderata, e valutata come un importante successo del pensiero nazareno. Il Santuario di Santiago de Compostela, infatti, non è altro che la tomba di Giacomo il giusto e di altri nazareni. Infatti, numerose tombe scavate in quei luoghi hanno rivelato sepolture rivolte a est, cioè verso Gerusalemme, secondo l’usanza dei nazareni. Ma la maggiore espressione del pensiero nazareno si ebbe in Irlanda, dove la chiesa celtica ebbe modo di svilupparsi con estrema libertà e lontana dalle imposizioni di Roma, sempre più impegnata nelle lotte interne ed esterne. L’Irlanda divenne il bastione della cultura, il faro per gli studiosi che accorrevano da tutto il mondo civilizzato per abbeverarsi alla cultura dei monasteri irlandesi, con le loro ricchissime biblioteche, per sfuggire alle devastazioni e ai saccheggi di tutta Europa. Il cristianesimo celtico deve ben poco a Roma, traendo inspirazione dall’Egitto e dalla Siria. In particolare il vescovo Patrizio fu influenzato dal pensiero ariano. Nel 664 il sinodo di Whitby sciolse la chiesa celtica che passò sotto il dominio di quella romana. Tutti i documenti scritti furono portati a Roma e, 198


ovviamente, tutto ciò che era in disaccordo col pensiero paolino fu distrutto. Fu detto che ben pochi erano i motivi di disaccordo tra la chiesa celtica e quella romana, ma in realtà le differenze erano molto marcate e rilevanti, visto che in sostanza la chiesa celtica era ad immagine di quella nazarena. A Roma, però, si resero conto che bollare come eretica la chiesa celtica era una dichiarazione di guerra, guerra che Roma non poteva combattere in Irlanda, quindi giocoforza si ritenne di agire gradatamente, inglobando la chiesa celtica e modificando lentamente le sue dottrine. In sostanza Paolo di Tarso creò, a partire dall’ideologia grecoromana di cui era imbevuto281, basandosi sulle dottrine della comunità essena, una nuova religione basata sul culto di Gesù, così come prima vi era il culto di Adone, Tammuz o Attis282. Estromise del tutto il concetto di dio, e tutto il suo pensiero si incentrò sulla figura divina del Cristo283. I miracoli di Cristo, la sua origine divina, la sua morte e resurrezione284, quindi,

281

L’apparizione e l’ascensione di Gesù è molto simile al mito romano sull’apparizione e ascensione di Romolo dopo la morte. 282 Tutte divinità che morirono per il loro popolo e ritornarono, o sarebbero dovuti ritornare, tra gli uomini, proprio come accade annualmente alla natura che si rinnova di volta in volta. 283 Secondo Paolo, Gesù prima della resurrezione era del tutto umano, mentre acquista la sua natura divina dopo la resurrezione. 284 La resurrezione di Gesù è la base dell’odierno pensiero cristiano. Tuttavia se i cristiani vedono la resurrezione come una semplice ricostruzione del cadavere e rinascita dello stesso, gli iniziati considerano la resurrezione su altre basi, spiegandola tramite la dottrina della costituzione ternaria dell’uomo. Essa significava la purificazione e la rigenerazione del corpo sidereo, etereo e fluido, che è l’organismo stesso dell’anima e in qualche modo la capsula che contiene lo spirito. Questa purificazione può avere luogo già in questa vita, attraverso il lavoro interiore dell’anima e in un certo modo di esistenza; ma non si compie, per la maggior parte degli uomini, che dopo la 199


nascono dalla necessità di portare Gesù alla pari degli altri dèi venerati in quei tempi, dei, come appunto Tammuz, che erano onnipotenti, che risorgevano, e che compivano miracoli. Paolo ha lo scopo di diffondere le sue dottrine, di conquistare adepti, anche a costo di scendere a compromessi con Roma; dall’altro lato stanno gli “intransigenti della Legge”, i “zelanti della Legge”, gli Zeloti che badano alla purezza delle dottrine, e non si interessano al numero dei seguaci. La dottrina di Paolo si fondava sull’asserzione che “il giusto vive per la sua fede”, cioè la sofferenza e la fede nel maestro costituiscono la via della liberazione e della salvezza. In realtà, nella teologia degli Esseni si affermava che la fede nel maestro porta alla liberazione solo di “coloro che osservano la Legge della casa di Giuda”. E fu proprio questo riferimento che innescò la disputa tra Paolo e Giacomo, con le conseguenze che abbiamo già detto. La dottrina divulgata da Paolo fu comunque quella che ebbe maggiore diffusione, anche perché i Giudei furono, negli anni a partire dal 70 d.C. e poi dal 131, letteralmente sterminati dai Romani. Era accaduto che in quelle due occasioni i Giudei si erano ribellati a Roma, e nel 131 addirittura, con la seconda rivolta guidata da Simone bar Kokhba, detto il messia, che si riteneva il legittimo re dei Giudei, i ribelli riuscirono, anche se per poco tempo, a riconquistare tutta la Palestina. In questa occasione anche il Sinedrio appoggiò la rivolta contro i Romani.

morte e solo per coloro che, in un modo o nell’altro, hanno aspirato al giusto e al vero. 200


Nel 135 un esercito romano distrusse le ultime resistenze dei ribelli, e dal quel momento cominciarono le rappresaglie, che culminarono in massacri ripetuti poi dai successivi imperatori, a carico dei Giudei. In questo periodo i primi cristiani, nella città di Efeso, dove Paolo aveva cominciato le sue predicazioni, si diedero da fare per separare la dottrina giudaica da quella che poi diverrà la dottrina cristiana285. Furono espunti gli argomenti di contatto, e si crearono di fatto due religioni. La dottrina cristiana, essendo stata Efeso un centro ellenico, prese molti aspetti del modo di adorare ellenistico, e fu proprio lì che nacque l’immagine della Vergine Maria, chiaramente ispirata alla dea Artemide, che per secoli era stata venerata ad Efeso. La difficoltà per gli abitanti di Efeso di abbracciare la nuova religione cristiana fu superata proprio grazie alla similarità tra la vecchia Artemide e la nuova Maria, che venne quindi ritratta come una dea. In genere la Vergine è ritratta con il bambino in braccio; ad Efeso, invece, veniva dipinta come una bellissima donna in tunica azzurra e con una corona sul capo, con la braccia distese e seduta su una luna crescente, proprio come la divinità della luna Artemide. Quando Efeso fu saccheggiata dai Goti i

285

Quando iniziò la diffusione della religione cristiana, la religione ufficiale di Roma era ridotta a una serie di rituali politici, la religione greca si era fusa nelle religioni misteriche, e il mitraismo e il culto di Dioniso avevano la maggiore diffusione. All’inizio i cristiani erano tutt’altro che organizzati, né detenevano una dottrina coerente. Il cristianesimo all’origine fu prima di tutto la diffusione di un messaggio, accolto in maniera diversa a seconda delle classi sociali e dei luoghi. La autorità consideravano i cristiani come giudei dissidenti. 201


cristiani si trasferirono a Roma, portando in quel luogo la loro particolare devozione per la Vergine-Artemide.

202


I rotoli del “mar morto”

G

li Esseni, prima di essere sterminati, fecero in tempo a custodire sotto le fondamenta del tempio e in grotte nel deserto i loro manoscritti segreti, e una

parte dei loro tesori286. I rotoli sotterrati nel deserto sono quelli ritrovati nel nostro secolo, mentre quelli nascosti sotto il tempio, forse, furono ritrovati dai templari287 nel 1119. Tutt’oggi è infatti visibile all’interno della Cupola della Roccia, sorta al posto del Tempio di Salomone, dove si insediarono i primi templari, una pietra, la shetiyyah, considerata la pietra posta a fondamento del mondo, sulla quale Salomone pose l’arca dell’alleanza. Alla destra vi è una scala che conduceva ad una grotta, che i musulmani chiamavano bir el-arweh, cioè “la fontana delle anime”, dove si narra che talvolta si sentivano le voci dei morti. Nella grotta vi sarebbe un passaggio segreto che condurrebbe nelle viscere della terra, più probabilmente alle caverne e ai tunnel scavati dai templari. 286

Nel “rotolo di rame” si riferisce di circa 65 tonnellate d’argento e 26 d’oro. 287 Di recente archeologi israeliani hanno compiuto degli scavi a sud del Monte del Tempio a Gerusalemme, dove hanno trovato lo sbocco di un tunnel, identificato come lo scavo dei Templari nel XII secolo. Non è stato possibile proseguire gli scavi perché le autorità musulmane non hanno concesso l’autorizzazione. 203


Così, con la sconfitta degli Ebrei, gli insegnamenti e la storia della comunità di Qumrân, una tribù che potremmo considerare dei protocristiani, caddero nell’oblio. La loro storia fu raccontata solo, in parte, attraverso la voce dei seguaci di Paolo, e degli Ebrei-cristiani

trapiantati

all’estero,

i

“ricercatori

della

comodità”, i quali modificarono non poco quella storia. Gli Esseni, però, riuscirono a raccontare la loro vera storia attraverso i loro manoscritti interrati, appunto, nella zona di Qumrân, tra il 66 e il 70 d.C.288, e poi ritrovati a partire dal 1947. Un individuo che, roso dall’ambizione o anche per motivi più nobili, ha intenzione di creare un movimento, sia esso politico o religioso, ha bisogno necessariamente di un seguito, cioè un gruppo, il più vasto possibile, di persone che siano disposte ad appoggiarlo. Per ottenere cioè sono necessarie due cose. Innanzi tutto un’idea, utilizzata come bandiera e simbolo del proprio movimento, che può essere la più varia possibile: libertà, uguaglianza, progresso. Tutto va bene, anche se dio, nazione e giustizia funzionano più degli altri; così nascono i movimenti religiosi, nazionalisti o socialisti. Ma ciò non è sufficiente a formare un grande partito di massa, è necessario un altro elemento, e cioè il nemico. Più il popolo è ignorante e più ha bisogno di un nemico su cui indirizzare l’odio. Un’operazione simile sembra tentò di compiere Gesù. Il suo obiettivo era quello di assicurarsi l’adesione del popolo, al fine di 288

“Così ha detto il Signore degli eserciti… prendi queste scritte… e mettile dentro un vaso di terra, acciocché durino lungo tempo”; così nel Libro di Geremia. 204


liberare la Giudea dall’oppressione dei Romani e di instaurare un regime diverso. Il suo fu un messaggio dirompente per l’epoca, poiché si rivolgeva agli oppressi, ai diseredati, ai poveri, agli afflitti, a tutti coloro che non avevano mezzi di sostentamento, o ne avevano in misura minima. Queste persone, sopraffatte dai ricchi e potenti, erano la maggioranza della popolazione, e fu questo riconoscere l’importanza dei più, che Gesù capì e sfruttò. Il messaggio di Gesù, dopo la sua morte, fu portato avanti dai suoi seguaci. Poiché quelli, e in particolare San Paolo, si rivolgevano a Romani o Romanizzati, la parte decisiva dei Romani nella morte di Cristo fu insabbiata, scaricando tutta la colpa sugli ebrei. Inoltre Gesù fu spoliticizzato poiché egli come capo politico era stato pericoloso per Roma, e anche il suo messaggio divenne solo religioso, perdendo, per lo stesso motivo, il suo carattere politico. Poiché, inoltre, i Romani erano abituati a idealizzare e divinizzare i loro idoli e i loro sovrani, come Cesare, fu giocoforza impostare la figura di Gesù come fosse un dio, e questo fu ciò che fece Paolo. Ma se Gesù e il suo credo dovevano far presa su masse enormi e disomogenee, come erano quei popoli che vivevano uniti, spesso solo formalmente, sotto la bandiera romana, era necessario che questo nuovo dio avesse poteri e riconoscimenti adeguati, e superiori a quelli degli altri dei locali. Ecco perché fu necessario far risorgere Gesù, come Tammuz289, Adone, Atti, Osiride e tanti altri. L’ultimo elemento fu quello di far coincidere determinate situazioni concernenti la vita di Gesù con festività 289

Dio dell’antica Sumeria, nacque da una vergine, morì e rinacque dopo tre giorni, lasciando una pietra vicino alla sua tomba. 205


già in voga all’epoca, come la sovrapposizione della nascita di Gesù con i riti della fertilità e la nascita di Mitra. È ovvio che la famiglia di Gesù, nel senso di moglie e figli, divenne superflua, anzi anche imbarazzante, per questo tutti i particolari furono espunti dalle cronache religiose. Come anche avvenne per i riferimenti alla setta degli Esseni alla quale apparteneva Gesù, per mostrare come il suo insegnamento fosse universale e non limitato. Come legittimo pretendente al trono, Gesù non poteva non essere sposato. Anzi, le leggi ebraiche prevedevano che egli mettesse al mondo almeno due figli. Nelle scritture si legge più volte di Maria di Betania che compie un particolare rito, che è proprio del matrimonio ebraico, per cui è legittimo presupporre che fosse la sposa di Gesù. Si deve ricordare, però, che, come gli uomini designati ad occupare cariche pubbliche prendevano i nomi dei loro antenati, Isacco, Giacobbe e così via, anche per le donne era lo stesso. Le mogli dei discendenti maschili di Davide, che si chiamavano Giuseppe, prendevano il nome di Miriam, cioè Maria. Per questo la madre di Gesù prese il nome di Maria, come la sposa di Gesù. Maria di Betania probabilmente era Miriam 290

Magdala,

cioè

Maria

Maddalena290,

come

Diversi ricercatori hanno ipotizzato che l’archetipo della Maddalena fosse la dea egizia Iside, moglie del dio della resurrezione, Osiride. La “passione”, morte sacrificale e resurrezione di Osiride sono viste come un modello su cui venne poi basato il mito del Cristo. La Chiesa ha, inoltre, scelto il 22 luglio per la festa della Maddalena, data in cui, vigente il calendario Giuliano, nel II secolo d.C. ad Alessandria si aveva la levata di Sirio, stella associata proprio ad Iside e al suo divino figlio. Gli gnostici d’Egitto erano ferventi seguaci della Maddalena e ci hanno lasciato, a Nag Hammadi, un vangelo che si diceva essere della Maddalena. Il credo gnostico ebbe una rinascita nel XIIXII secolo in Linguadoca, finché, il 22 luglio (ancora il 22 luglio) del 1209 206


confermarono Gregorio I, vescovo di Roma, e san Bernardo di Chiaravalle. Del resto nel vangelo di Filippo si dice chiaramente che “la compagna del Salvatore è Maria Maddalena”. Nel Nuovo Testamento non si fa menzione del matrimonio di Gesù, che avvenne a Cana, perché venne rimosso per decreto ecclesiastico. Esiste, infatti, una lettera del vescovo Clemente di Alessandria (ca. 150-215 d.C.) nella quale si ordina la soppressione di una parte del vangelo di Marco. Se i rotoli intaccano la familiare visione di Gesù, se ci obbligano a riconoscere che Gesù e i primi cristiani sono emersi invece da una setta ebraica con organizzazione e sacramenti quasi identici a quelli del cristianesimo primitivo, allora secoli di fede sono in errore, secoli di ignoranza e di intolleranza devono essere condannati senza appello. Sarà allora necessario tirare le somme di questi fatti storici ed ammettere che il cristianesimo non è nato da un intervento soprannaturale, ma costituisce il risultato di una naturale evoluzione sociale e religiosa. Tra gli Esseni, gli gnostici e i christianoi, vi fu un duro conflitto ideologico nei tre secoli che seguirono la nascita di Cristo. I rotoli ci insegnano che il cristianesimo, lungi dall’essere una fede diffusa da apostoli e santi in Giudea, è una branca del giudaismo. E questa branca era l’Essenismo, che si è innestato su altre religioni del mondo dei gentili fino a diventare un sistema di credenze autonome, cioè fino a diventare il cristianesimo. ebbe luogo il genocidio dei catari a Bezier. Secondo alcuni studiosi, la festa della Maddalena era un mezzo usato dagli gnostici di Alessandria per dissimulare il fatto che lei, come Iside, potesse essere stata l’amante-sposa di un dio-uomo “morto e risorto”. 207


L’altra tendenza del giudaismo, cioè il fariseismo, che dà importanza alla Torah ed esalta la tradizione rabbinica e il Talmud come testo ancora più rivelato della Bibbia, è stata intaccata in minor misura dal mondo pagano, ed è diventata il giudaismo come lo conosciamo oggi. Vi sono numerose somiglianze tra la setta degli Esseni e le prime comunità cristiane. Ad esempio entrambe le comunità mettevano i loro beni in comune, custodendoli in una cassa comune, e un tesoriere distribuiva il necessario per le spese collettive. Quando Gesù diceva ad un uomo ricco di donare “ai poveri291”, si riferiva alla setta degli Esseni, i quali, tra loro, così si definivano. Quando Gesù quindi diceva ad un ricco “vieni, unisciti a noi”, gli diceva di spogliarsi dei suoi beni per metterli in comune con loro. Gli Esseni e i primi cristiani vivevano sostanzialmente allo stesso modo. Entrambi evitavano le città e preferivano i villaggi. Rifiutavano il sacrificio di animali. Il loro insegnamento riposava su principi di pietà, giustizia, santità, amore di Dio, della virtù e dell’uomo. Per questo gli Esseni erano ammirati da molti Ebrei, a gran discapito dei sacerdoti del Tempio che collaboravano con l’empia forza di occupazione romana. Entrambe le comunità annunciavano un cataclisma alla fine dei tempi. Credevano nel regno di Dio inaugurato dal Messia, si consideravano come il popolo eletto da Dio, in lotta con i figli della menzogna, credevano di essere i figli della luce impegnati

291

Ebionim, nella loro lingua. 208


nella lotta contro i figli delle tenebre, ponendosi al centro di un conflitto cosmico. Probabilmente, anzi, i “primi cristiani” e gli Esseni erano quasi la stessa cosa. Infatti sembrerebbe che i cosiddetti Sadducei si fossero scissi in due fazioni, una parte si alleò con i Romani, per loro interesse, l’altra parte, che prese in nome di Zadochiti, si opposero fortemente a questa posizione, iniziando una vera e proprio campagna terroristica, con le rituali uccisioni religiose. Gli Zadochiti tra loro si chiamavano anche Nazareni, ed erano sostanzialmente gli Esseni, come fa notare uno studioso moderno292. Quest’ultimo identifica inoltre tale fazione con quella dei Zeloti, o “zelanti della legge”, ovviamente intendendo per legge la Torah. Tale gruppo, una delle quattro fazioni della comunità essena, era a tutti gli effetti un opposizione armata al gruppo dei Sadducei che si era alleato con i Romani. Essi contrastavano nettamente Roma e la sua politica fiscale, con elevate tasse imposte ai giudei. Gli Zeloti erano anche detti Sicari, da “sica”, che era il pugnale utilizzato per gli omicidi politici. Se tutto ciò è vero, allora Gesù e i suoi seguaci erano armati e professavano l’insurrezione contro l’invasore romano, attuandola anche con la forza, se necessario. Nel Vangelo di Giovanni, Gesù è una specie di rabbino. La sua vita pubblica è più lunga, tre anni invece che qualche mese, tutta la sua esistenza si svolge in Giudea. Forse il Vangelo di Giovanni è stato scritto da un esseno, essendo notevoli le 292

Robert Eisemann. 209


differenze con gli altri Vangeli. Nel Vangelo di Giovanni, Gesù è dipinto come il Maestro di Giustizia, sacerdote esaltato, profeta che ha sofferto il martirio293. Anche Giovanni il Battista era esseno. Predicava il battesimo, rito essenziale per gli Esseni; veniva dal deserto e annunciava l’avvento del regno dei cieli, come gli Esseni. Gesù trascorse quaranta giorni nel deserto, ovviamente in una comunità essena, altrimenti non avrebbe potuto sopravvivere. Gesù era chiamato “il Nazareno”. Ma allora non esisteva una città di Nazareth, altrimenti Flavio Giuseppe, che combatteva in Giudea, e la descrive in ogni dettaglio, ne avrebbe parlato. Nazareth è solo l’appellativo di Gesù, per indicare la sua appartenenza alla setta degli Esseni, detti appunti “nazareni294”, cioè “credenti nel Messia”, proprio come christianos. L’unica differenza tra le due comunità sta nel fatto che gli Esseni attendevano due Messia, e non uno solo. Tale fatto in seguito fu modificato, probabilmente ad opera di semplificazioni e travisamenti operati principalmente da Paolo, il quale si distaccò dalle regole essene, facilitando così la comprensione dei passaggi più astrusi, per facilitare le conversioni e i progressi della Chiesa dei gentili.

293

In realtà tra gli scritti dei quattro evangelisti esistono numerose differenze di notevole importanza, tanto che è difficile accettare i Vangeli come autorità indiscussa. Inoltre è provato che frammenti degli stessi Vangeli furono soppressi dal vescovo Clemente d’Alessandria, per evitare il sorgere, sulla base di quei frammenti, di eresie pericolose. 294 Nozrim, nella loro lingua. 210


All’interno della comunità vi era un’ala estremista che premeva per provocare la scintilla che avrebbe causato la fine dei tempi, e che si unirà ai Zeloti nella lotta contro Roma. Gli Esseni di Qumrân oppongono l’Israele corrotto alla loro piccola comunità, fedele alla profezia di Isaia, che afferma di essere la preziosa chiave di volta che non vacillerà mai. I sacerdoti che condannarono Gesù non avevano il sostegno delle masse ebraiche poiché essi si erano messi al servizio dell’occupante romano al fine di preservare la propria posizione di fronte al potere romano. La comunità di Qumrân fu fondata dopo le guerre maccabee, in segno di protesta contro lo sviamento della religione ebraica da parte dell’autorità del Tempio dominata dai Sadducei. I sacerdoti Esseni erano convinti che Dio non avrebbe salvato il popolo ebraico se questo non avesse obbedito alla sua legge. Perciò gli Esseni seguivano alla lettera i precetti della Torah, appellandosi alla giustizia di Dio perché si adempissero le profezie. Gli Esseni di Qumrân credevano fermamente che i Romani e i loro agenti Ebrei incarnassero le forze delle tenebre, credevano che l’eliminazione della malvagità e del maligno fosse possibile solo attraverso una sanguinosa guerra di religione. Solo dopo sarebbe giunto un periodo di pace e di armonia. Guidati dal loro Messia gli Esseni avrebbero ricreato il mondo.

211


L’ascesa della religione cristiana e i “secoli bui”

L

a diffusione delle false dottrine di Gesù ad opera dei primi Ebrei-cristiani riuscì a sopraffare i veri insegnamenti del messia, soprattutto perché essi

andarono perduti con la distruzione del tempio e il massacro dei qumranici. Pochi furono coloro che, sopravvissuti alla guerra romano-giudaica, portarono avanti il discorso del Cristo. In particolare gli Ebioniti295, i quali seguivano gli insegnamenti di Giacomo il Giusto, e consideravano Gesù, come del resto tutte le altre branche della Chiesa di Gerusalemme, di natura unicamente umana, e non divina. Essi furono quindi tacciati di eresia da parte della Chiesa cristiana che nacque dagli insegnamenti di Paolo. La vera religione di Gesù, quella della Chiesa di Gerusalemme, probabilmente non attecchì, a differenza della dottrina predicata da Paolo, perché i seguaci di Giacomo il Giusto avevano poco o nessun interesse verso i non ebrei, e alla conversione dei non appartenenti alla loro comunità. Lo stesso Gesù esortava i discepoli di non andare fra gente straniera, ma di predicare solo tra la gente smarrita del popolo d’Israele. 295

Da ‘ebhyonîm (“poveri”, “umili”), come si designavano tra loro i qumranici. I loro discendenti furono anche autori di un “Vangelo secondo gli Ebioniti”, palesemente in contrasto con la fede cristiana. 212


La religione cristiana, quella di Paolo, acquistò importanza con l’imperatore Costantino296 che, anche se rimase pagano per tutta la vita, stabilì che il cristianesimo dovesse essere l’unica religione di stato. Il perché è facile da comprendere. La chiesa di Roma proclamava la fede cieca (dogma) come l’unica virtù; riempiva la testa dei fedeli di proibizioni, ma soprattutto prometteva la resurrezione a tutti coloro i quali si sarebbero comportati secondo la parola di dio, che a quell’epoca era sostanzialmente questa: produrre ricchezze in tempo di pace, soprattutto per l’imperatore e le gerarchie ecclesiastiche, ovviamente, e ingrossare le fila dell’esercito in tempo di guerra. Costantino voleva, quindi, utilizzare la religione cristiana come una sorta di cemento sociale per riunire le popolazioni divise dell’Impero. Agostino di Ippona propose una teologia che legittimò la coscrizione dei cristiani per le guerre in nome di Dio, cacciò nell’ombra le donne e ne fece capri espiatori. Disse che l’uomo era fatto ad immagine e somiglianza di Dio, non la donna, dando iniziò a sedici secoli di ignominia. Sant’Agostino, che definì, tra l’altro, le donne come “contenitori di escrementi”, sebbene non fosse chiaro se si riferisse anche a Maria, teologo 296

Costantino in realtà era seguace del culto del Sole invitto, cioè del culto solare di origine Egizia. Tale culto, molto simile al culto di Mitra, ha numerosi punti di contatto con il cristianesimo odierno, segno che vi fu una osmosi di idee. Del resto è ovvio pensare che i cristiani, perseguitati per secoli, nel momento in cui si vedono aprire uno spiraglio dall’imperatore, accettino dei compromessi sul piano teorico-dogmatico pur di poter uscire allo scoperto e professare liberamente la loro religione. Tra l’altro si può notare che, mentre in precedenza i cristiani consideravano sacro il sabato, da Costantino in poi accettano di considerare sacra la domenica, giorno dedicato al Sole invitto. Fino al IV secolo i cristiani festeggiavano la nascita di Gesù il 6 gennaio, dopo la festeggeranno il 25 dicembre, giorno della nascita del Sole invitto ed anche del dio Mitra. L’aureola del Sole invitto, infine divenne l’aureola cristiana. 213


cristiano per eccellenza, fu anche colui che pose la definizione di eresia e di guerra giusta in nome di Dio, diventando così l’iniziatore della violenza persecutoria che crebbe costantemente nei secoli successivi. L’eresia, secondo il teologo, era “la distorsione di una verità rivelata da parte di un credente o di un miscredente”. Ovviamente la verità rivelata era sempre è soltanto quella della Chiesa, “ciò che la Chiesa stessa ha dichiarato essere verità rivelata”, così palesando, in sostanza, che l’eresia esisteva laddove l’uomo esercitava il libero arbitrio violando le presunte prerogative della gerarchia ecclesiastica. Ancora oggi l’odierna Inquisizione, detta Congregazione per la dottrina della fede, afferma che “la libertà dell’atto di fede non può giustificare il diritto al dissenso”. L’imperatore Costantino, nel 325 d.C. indisse il concilio di Nicea, dove costrinse297 i presenti ad accettare un compromesso e addivenire ad un accordo sul dogma religioso. Da quel concilio uscì il dogma che rimane ancora oggi il pilastro centrale dell’istituzione ecclesiastica. Decretò inoltre che la Bibbia fosse l’unica vera parola di dio, e fece bruciare tutti i Vangeli non canonici298. Dopo di ché costruì una chiesa dove pensava si trovasse il sepolcro di San Pietro, che fu l’inizio del sorgere del Vaticano.

297

Costantino disse che coloro che non avessero firmato l’accordo non si sarebbero più visti in giro, mentre gli altri sarebbero diventati la gerarchia della Chiesa universale cattolica. 298 Solo nel 1945 sono stati ritrovati vangeli non canonici, seppelliti in una grotta a Nag-Hammadi, in Egitto. 214


Quando il cristianesimo divenne religione di stato, comunque sopravvissero nelle campagne e nelle zone più arretrate moltissime delle ritualità pagane e matriarcali. Le donne mantenevano, inoltre, un ruolo sociale nei villaggi. Erano le levatrici e si occupavano di molte malattie, distribuivano erbe medicamentose, facevano riti magici, toglievano il malocchio, propiziavano gli amori, combattevano contro i demoni che minacciavano il raccolto, si occupavano di garantire la fertilità del terreno. La Chiesa, preoccupata di queste forme primitive di religiosità popolare, decise di estirpare quei comportamenti. Prima di tutto sradicò la tradizione di andare la domenica ai bagni pubblici, perché gli uomini e le donne, vedendosi nudi, erano indotti al peccato. Così iniziarono le grandi pestilenze, provocate dall’incuria e dal non lavarsi. Poi vietarono alcuni feste pagane, vestendo le altre di significati cristiani. Ad esempio, quando il popolo portava in giro enormi falli di legno dipinti con colori sgargianti, questi furono gradualmente trasformati in ceri. Furono eliminati tutti i comportamenti allegri e sconci dai rituali, e la religione cristiana divenne, da religione solare e positiva, un culto della sofferenza. Si inculcò nella gente l’idea malsana che soffrire era bene. Si aggiunse la concezione che la verginità e l’astinenza erano l’unico modo di non commettere peccato. La Chiesa instaurò un regime profondamente repressivo instillando la paura del presente, nel timore della persecuzione per eresia, la paura nella vita futura, nel terrore delle fiamme dell’inferno per i peccatori, e della dannazione eterna. 215


La chiesa romana etichettava come “gnostica” tutta la letteratura che aspirava ad un sapere accessibile al singolo individuo, e quando si parlava di gnosticismo si intendeva certamente qualcosa di peccaminoso. I fedeli dovevano quindi rimanere nell’ignoranza più assoluta299, e produrre e combattere senza chiedere altro; anche perché in realtà gli stessi ecclesiastici spesso non sarebbero nemmeno stati in grado di spiegare il perché degli insegnamenti cristiani. Lo status quo andava bene sia alla Chiesa romana sia all’imperatore. L’instaurazione dell’era cristiana Romanizzata segnò l’inizio del periodo della barbarie, appunto con il concilio di Nicea indetto da Costantino. In questo periodo l’ignoranza prosperò, perché solo con essa la Chiesa poteva mantenere il suo potere. In un solo giorno fu ridotta in cenere la più grande biblioteca del mondo, quella di Alessandria. Il patriarca di Costantinopoli commentò la “straordinaria impresa” sostenendo che “ogni traccia della filosofia e della letteratura del mondo antico è scomparsa dalla faccia della terra”. La Chiesa bandì l’istruzione, perché la diffusione della conoscenza serve solo ad incoraggiare l’eresia; combatté la libertà di pensiero, perché solo l’ignorante e lo stolto può essere facilmente controllato. L’analfabetismo si ingigantì, la scienza divenne superstizione e i progressi tecnici furono dimenticati. Al contrario nella Spagna moresca la cultura era stimata e rispettata, fiorivano arte e scienza, e soprattutto la tolleranza religiosa 299

Non a caso i secoli compresi tra l’ascesa della Chiesa cristiana e la crocifissione di Jacques de Molay, l’ultimo gran maestro dei Templari, vengono definiti come “secoli bui” ! 216


consentiva la convivenza di cristiani, musulmani ed ebrei. Fu proprio dalla Spagna che si diffuse nel mondo cristiano la conoscenza della cultura greca classica, nonché i più recenti progressi nel campo della medicina, dell’arte e dell’architettura. La Chiesa Romana rifiutò tutto ciò che era bollato come eretico, nascondendosi dietro dogmi ed affermazioni di fede indiscutibili e non criticabili, pena l’accusa di eresia; spazzò via tutta la conoscenza acquisita nei secoli, estirpando tutto ciò che si ricollegava ai culti rivali. Essendo l’unica letterata del tempo, la Chiesa divenne anche il legislatore di quegli anni, e il custode dei miti e delle leggende, e tutto, compreso la storia, fu reinterpretato alla luce dei dogmi cristiani. Durante tutto il medioevo, quindi, la Chiesa avversò e combatté strenuamente ogni tentativo di portare la cultura alle masse, ogni idea innovatrice, e ogni pensatore libero. Uno fra tutti fu Pico della Mirandola, insigne erudito dalla prodigiosa memoria, il quale affermava che l’uomo non deve essere una vittima inerme delle circostanze o del fato, ma può acquistare la capacità di modellare la realtà che lo circonda e determinare, in piena libertà e responsabilità, il proprio destino. L’uomo, secondo Pico, era stato creato per essere al centro del mondo, fra il cielo e la terra, e da questa posizione, grazie al libero arbitrio, egli può fare di se stesso ciò che vuole. Questa nuova concezione di dignità dell’uomo, questa visione di uomo come magus e artefice di se stesso, diede il via al Rinascimento. Essa, in ogni caso, era mutuata direttamente dalle dottrine ermetiche di millecinquecento anni prima. 217


Gesù era portatore di idee innovative ed audaci, per l’epoca. Egli predicava l’uguaglianza, ma soprattutto credeva nella necessità della conoscenza da parte del popolo. Nelle sue invettive egli colpiva il sinedrio, che rappresentava l’autorità costituita del tempio, l’unico ed incontrastato mediatore tra gli uomini e Dio, e i Sadducei, che riconoscevano supremazia all’imperatore romano. In particolare egli voleva colpire l’idea che vi fosse una casta di persone, nella fattispecie la casta sacerdotale dei Sadducei, che si arrogasse l’interpretazione esclusiva della parola di dio, che volesse controllare le vie di accesso alla divinità, sottraendole al popolo. Fu proprio questo invece che fece poi la Chiesa cattolico-romana, la cui idea portante era che il Papa soltanto, e poi in seguito la gerarchia sacerdotale, avesse il diritto di fare da collegamento tra l’uomo e dio. La realtà delle cose si ricava anche da studi effettuati in luoghi molto lontani. Ad esempio l’Irlanda conobbe la religione cristiana all’incirca verso il 200 d.C., ad opera di genti provenienti da Alessandria d’Egitto. In realtà una religione molto simile era già preesistente, probabilmente portata lì da popoli di origine nordafricana, cioè dove erano nati gli elementi base della futura religione giudaica. Fondendosi con elementi druidici300 la nuova religione si espanse in Irlanda, Scozia, Inghilterra e 300

In realtà sembra potersi sostenere che il fenomeno del monachesimo irlandese, tanto solido quanto unico, al punto che si sosteneva che chiunque sapesse il greco in Europa nel X secolo era o irlandese o istruito da un irlandese, sorga dal druidismo. Infatti, i monasteri irlandesi erano, per lo più, emanazioni di antiche scuole druidiche. 218


Galles. Però, molteplici erano le differenze tra questa religione e quella cristiana. Il cristianesimo celtico si avvicinava molto di più alla dottrina ariana, condannata al concilio di Nicea come eretica, in particolare si negava la natura divina di Gesù, e la concezione virginale di Maria. La Chiesa Celtica rifiutava con fermezza tutti i simboli e i vantaggi del potere temporale, sfidando apertamente lo sfarzo del potente ed agiato clero del resto d’Europa. Venne

quindi

inviato

sant’Agostino

ad

evangelizzare

l’Inghilterra, provocando lo scontrò tra due chiese, quella celtica, che protestava la precedenza e il vero insegnamento ricevuto direttamente dai discepoli di Cristo, e quella romana, che sosteneva che la loro visione era superiore sotto tutti i punti di vista. Dopo un lungo dibattito la Chiesa cattolica romana ebbe la meglio su quella celtica, assorbendola di fatto nel 664, in occasione del sinodo di Whitby. Tuttavia il pensiero celticogiudaico rimase vivo ancora per lungo tempo. Al concilio di Herenford, infatti, che ebbe luogo solo nove anni dopo, i cristiani celtici furono condannati come “non cattolici”, ma la Chiesa Celtica proseguì a fatica la sua attività, assumendo il nome originario di Chiesa Culdea, da “culdei”, o “stranieri provenienti da lontano”, riferendosi agli ebrei che avevano portato il cristianesimo in quelle terre. Questa forma di fede sopravvisse in Irlanda per parecchi secoli dopo san Patrizio, egli stesso seguace del cristianesimo celtico, fino al 1172, quando venne soppressa dalla Chiesa di Roma, aiutata

219


dall’invasione dell’inglese Enrico II. In Scozia il cristianesimo celtico sopravvisse fino all’XI secolo. Il timore della Chiesa romana, la causa di una guerra senza frontiere contro la Chiesa celtica, non era tanto l’eresia attribuita ai culdei, bensì la dichiarazione di precedenza da parte della Chiesa britannica che sosteneva di aver ricevuto il Vangelo dai seguaci di Giacomo il Giusto, e non da Roma. Vi era, inoltre, la questione della minore importanza attribuita al Papa, ritenendo il patriarca di Gerusalemme il vero erede di Cristo, e ciò in concordia con la Chiesa Gallicana di Francia. Con il concilio di Nicea di fatto si sancì la scissione tra un occidente

niceno

e

un

oriente

ariano.

In

occidente

sostanzialmente si credeva che il Figlio, Gesù, era della stessa sostanza del Padre, mentre per gli ariani era di natura simile. Il credo niceno è quello che ancora oggi si recita nelle chiese. Le innovative e rivoluzionarie idee di Gesù ritornarono alla ribalta della storia in Inghilterra, dove la rivoluzione protestante limitò l’eccessivo potere del Papa. Probabilmente quelle idee giunsero in quei luoghi attraverso gli ultimi templari, scampati al massacro del 1307 da parte del re di Francia Filippo il Bello, ed attecchirono attraverso l’opera dei primi massoni. Proprio in Inghilterra vi fu, infatti, il primo tentativo di rivoluzione repubblicana, non riuscito. Ma da quel momento in poi nessun sovrano più tentò di valersi del primitivo concetto di diritto divino al trono, ma si propose di governare ricercando l’appoggio del popolo. Da lì nacque il concetto di democrazia. Ed inoltre fu proprio in Inghilterra che nacque la cosiddetta 220


rivoluzione industriale, un movimento le cui ovvie basi furono la diffusione della conoscenza e del sapere, e la ricerca scientifica, tutto ciò contro cui si era scagliata con furia selvaggia la Chiesa per tutto il periodo dei “secoli buiâ€?.

221


Il dio degli Ebrei e la nuova religione

I

l dio degli Ebrei, Jahvè301, era il classico esempio di dio trascendente, motore primo di tutte le cose. Ma fu proprio tale trascendenza a creare il problema del male: se tutte le

cose nascevano da un dio unico, giusto e onnipotente, non si spiegava il male in un creato che deve essere per ipotesi essenzialmente buono. Il giudaismo risolse il problema immaginando che nel cuore dell’uomo fosse stata instillata una “cattiva immaginazione” al fine di temprare il suo carattere di essere morale con l’aiuto della Legge (la Torah). L’origine

del

male

fu

vista

in

Satana302

il

quale

originariamente era uno dei “figli di dio”, un angelo303 con 301

Sembra che nel Sancta Sanctorum del Tempio di Gerusalemme fosse presente un’iscrizione, cioè la Sacra Parola, che altri non era che il nome vero del dio degli Ebrei. Tale nome era Yah-Bal-Ôn. Yah era il vocabolo usato dagli Ebrei per riferirsi al loro dio; Bal era il vocabolo usato dai cananei per riferirsi al loro dio (Baal); mentre Ôn era il nome originario della città di Eliopoli, la città del dio Egiziano Râ. Quindi in sostanza la Sacra Parola avrebbe indicato il dio ebraico come una fusione dei tre dei che nell’antichità venivano venerati come l’“Altissimo”, quello Egizio, quello cananeo, e quello ebreo. Nell’antica religione ebraica il nome di dio era talmente potente che poteva essere pronunciato solo dal sommo sacerdote, solo una volta l’anno e soltanto nel Sancta Sanctorum del Tempio. 302 Shaitan, in greco “l’avversario”. Dopo l’esilio in Babilonia, gli Ebrei tesero ad attribuire il male all’azione di questo demone che, nella traduzione greca diventerà il Diavolo (diabolos, cioè “il calunniatore”, “colui che divide”). 222


l’incarico di saggiare l’integrità e la sincerità degli uomini, ma in seguito divenne l’“avversario”, il Principe delle Tenebre304, intento a sedurre l’umanità e a riempire il mondo di corruzione. In quest’ottica era anche lui comunque creato da dio. Tale situazione creava però ulteriori problemi (un dio onnisciente non può creare un angelo che poi gli si ribellerà, in quanto avrebbe fallito in tale creazione) che si risolvevano comunque tornando alla concezione della “cattiva immaginazione”, instillata al fine di sottoporre a una prova gli uomini. L’esempio maggiore di Dio-Cielo trascendente è quindi dato dalle tribù ebraiche. In Israele Jahvè, a differenza degli altri dei, occupava una posizione peculiare nella cosmogonia. Egli dapprima era un dio come gli altri, tra gli altri, poi col tempo acquistò una posizione dominante; oggetto unico di venerazione tra il suo popolo eletto, era tenuto lontano da rapporti di parentela e l’accostamento ad altri dei era solo per spodestarli ed acquisirne il potere. Stranamente con lui le acque assunsero una connotazione negativa, infatti egli era il “signore del cielo e della terra”, e svolgeva il suo potere proprio per allontanare le acque dalle terre, rendendo queste ultime abitabili. Non è inverosimile che questa connotazione nascesse dall’esigenza di rimuovere ogni ricordo di una precedente dio, o meglio dea, dominatrice delle acque vivificatrici.

303

Da anghelos, “messaggero” in greco. Infatti si narra che dio lo avesse scaraventato giù dal Paradiso in seguito alla ribellione degli angeli da lui scatenata. 223

304


Altra caratteristica del dio ebraico era il processo di creazione che veniva avviato con la “parola” del dio, e quindi con un semplice atto di volontà. Dopo la creazione del primo uomo (adamah) e della prima donna, Jahvè impose il tabù sull’albero sacro (probabilmente quello delle mele); tabù che avendo ad oggetto l’albero della conoscenza del bene e del male, aveva lo scopo di evitare che i primi progenitori della razza umana divenissero elohim (Elohim era l’altro nome ebraico di Jahvè), cioè “esseri divini”. Al “peccato originale” (Eva, la madre di tutti i viventi donò una mela305 a Adamo306, così come Paride offrì una mela ad Afrodite) conseguì la caduta dell’umanità intera, usurpatrice di prerogative divine (e quindi colpevole di hybris, superbia), come lo era stato Prometeo307 quando aveva rubato il fuoco agli dei. Jahvè assorbì certamente parecchie delle caratteristiche di Baal, ma

la

politica

isolazionistica

indotta

per

impedire

la

contaminazione da parte di influenze straniere dei paesi circostanti fece sì che il dio degli Ebrei ebbe uno sviluppo certamente peculiare. Anche nel momento in cui gli Ebrei furono sparsi in vari paesi, il culto particolare di Jahvè rimase il legame 305

E’ certo però che il frutto proibito mangiato da Eva non era una mela. Infatti l’errore deriva da una traduzione approssimativa del vocabolo ebraico che designa genericamente sia “frutto” che “mela”. Molto probabilmente esso era un fico. Comunque è rilevante ricordare che per l’inconscio (vedi fiaba di Biancaneve) la mela significa conoscenza iniziatica, immortalità sovrumana e desiderio sacrilego, cioè esattamente gli ingredienti del primo peccato dell’uomo. 306 Adam in ebraico significa uomo. Infatti Gesù nella Bibbia viene spesso indicato come ben-Adam, cioè il “figlio dell’uomo”. 307 Prometeo, come narra la mitologia classica, fu avvinto alla rupe dell’Elbruz (la Vetta del Caucaso - 5641 metri di altezza !) per essersi ribellato agli dèi, rupe sacra per questo agli adoratori dell’angelo ribelle per eccellenza, Lucifero. 224


fondamentale, una fede che costituì il centro unificatore del popolo d’Israele sparso nelle quattro terre. Ciò non significa che questo dio non subì influenze esterne; egli nacque probabilmente come un dio delle messi, subendo influenze cananee, e notevoli furono gli influssi esterni subiti quando Israele passò sotto il controllo romano. Le religioni misteriosofiche che permeavano l’ambiente in cui i giudei erano dispersi interferirono notevolmente, generando una forma di sincretismo anche in questo caso. Pur tuttavia la concezione di “nazione eletta”, il forte patto col dio, resero il carattere trascendente del dio ebraico del tutto peculiare. In un periodo in cui ci si avvedeva che il politeismo non era più sufficiente, e non riusciva a soddisfare i più profondi bisogni spirituali dell’anima umana, e in cui la ragione cedeva il posto all’emozione, il misticismo alla magia308 e la religione all’allegoria e alle fusioni sincretistiche di attributi divini, si sentì la necessità di un’affermazione di fede più autoritaria e una norma di comportamento accettabile sia dalla ragione sia dalla morale e capace di suscitare una reazione emotiva. I vari elementi, religiosi, filosofici ed etici, tendevano ad accostarsi a una forma superiore di monoteismo che avrebbe comportato una più efficace relazione tra dio e l’uomo: da questa sarebbe scaturita una linea di condotta (morale) nella vita presente a cui avrebbero fatto riscontro le ricompense e le punizioni dopo la morte. Anche il dio Mitra, il dio vedico della 308

La magia è l’arte di influenzare il corso degli eventi forzando l’intervento di esseri soprannaturali o controllando le leggi della natura per mezzo della stregoneria. 225


luce, fallì in ciò, essendo niente altro che un membro della gerarchia degli antichi dei. Così si affermò il dio dei cristiani, una setta nata in seno al giudaismo quando la Palestina era una provincia dell’Impero romano. La Chiesa cristiana basava la sua teologia sul monoteismo etico dei profeti Ebrei e sulla escatologia messianica del giudaismo ellenico,

associate

ad

una

reinterpretazione

altamente

spiritualizzata del dramma sacro della morte e resurrezione tanto fondamentali nella religione del vicino Oriente da tempo immemorabile, imperniata attorno alla personalità unica di Cristo Re. Il cristianesimo seppe quindi soddisfare le esigenze spirituali dell’epoca, anche perché non era semplicemente un prodotto sintetico delle religioni precedenti, ma qualcosa di nuovo. Infatti, esso innestava sugli elementi monoteistici propri degli Ebrei, nella loro peculiarità mantenuta grazie a secoli di isolazionismo, un elemento del tutto nuovo, cioè l’insistenza nel costringere l’amore di Dio a cercare i peccatori e a dar loro un posto nel suo regno, non per i loro meriti o per loro diritto, ma solo per un atto di grazia divina. Questo andava al di là della pietosa clemenza del Signore quale la concepivano gli Ebrei, e inaugurava una nuova idea di redenzione intesa come dono divino di se stesso a beneficio dell’umanità peccatrice, che comportava sofferenze e la perdita della vita stessa, interpretata come olocausto di se stesso offerto da Dio, e che dava una garanzia di salvezza. Questo concetto di Paternità di Dio e di sacrificio redentore che innalzava l’umanità a una nuova condizione filiale permettendo 226


cosÏ alla razza umana di accedere come non aveva mai fatto all’intima natura del divino, era in armonia con gli ultimi sviluppi del pensiero e della pratica religiosa ebraica e non era per niente inaccessibile ai Gentili (i non Ebrei) che avevano imparato a conoscere gli aspetti piÚ alti e piÚ spirituali del culti misteriosofici.

227


Dio e la Vergine Maria

L

’identificazione di Jah con Bran è giustificabile. Uno dei

primi

dei

venerati

a

Gerusalemme,

e

successivamente incluso nel culto sincretico di Jahvè,

era il dio del raccolto Tammuz, originariamente uno dei nomi del giovane dio che si univa alla Dea Bianca. Il corvo era l’animale sacro a Jahvè, come lo era a Bran. Jahvè chiese di avere sacro il settimo giorno. Nel sistema astrologico dell’epoca, la settimana era divisa tra il sole, la luna e sette pianeti, e i Sabei di Harran in Mesopotamia, che erano di origine egea, misero i giorni sotto la protezione di sette divinità che erano nell’ordine ancora corrente in Europa: Sole (domenica), Luna (lunedì), Nergal o Marte (martedì), Nabu o Mercurio (mercoledì), Bel o Giove (giovedì), Beltis o Venere (venerdì), Crono o Saturno (sabato). Ma noi sappiamo che Crono è anche Bran, per cui Jahvè, il dio cui è sacro il Sabato (in inglese Satur-day, giorno di Saturno) va identificato con Crono o Saturno, ossia con Bran. Moreh, o Moria, è il luogo dove Jahvè, nella Genesi, stringe un patto con Abramo, concedendo a lui e al suo seme perpetuo dominio. Un altro nome di Moria è Monte Sion, il trono del 228


Signore degli eserciti che “disperde, distribuisce e calpesta sotto i piedi”. Ma Mor-Jah significa “il dio del mare”, essendo Mor l’equivalente gallese dell’ebraico “Marah” (la distesa d’acqua salata, cioè il mare). Secondo la tradizione la Madonna morì il 13 agosto e il terzo giorno risorse e salì al cielo309. Dal momento che la Chiesa primitiva associava la Vergine alla Saggezza (la Santa “Sofia”, o Santa Saggezza, del duomo di Costantinopoli), la scelta di questa festa per celebrare il passaggio dalla saggezza all’immortalità è quanto mai felice. Il 13 agosto era infatti la festa precristiana della dea-madre Diana, cioè Vesta, il cui altro nome era Nemesi (dal greco nemos, bosco), che nel greco classico è la vendetta divina per le trasgressioni dei tabù. Essa era raffigurata, appunto, con un ramo di melo in mano, laddove il melo è l’albero della saggezza e dell’immortalità. Nel medioevo questa festa diventò quella dell’Assunzione della Vergine, e venne spostata al 15. La figura della Vergine, associata a quella del figlio morente, era

onnipresente

dell’espansione

nel

cristiana

mondo

mediterraneo

ma,

originariamente,

al era

tempo una

rappresentazione della terra, vergine e madre a ogni primavera. Il figlio era il frutto della terra, nato soltanto per morire e per raggiungere la terra, perché cominci un nuovo ciclo. Inoltre

309

Nel 1950 papa Pio XII dichiarò dogma l’ascesa fisica della Vergine Maria al cielo. Ciò creò un problema, perché ad est di Gerusalemme, nella valle di Giosafat, c’era un sacrario sotterraneo che un tempo pare contenesse i resti di corpi umani tra i quali, si disse, anche quello di Maria. 229


Maria deriva da Marah, oppure Marian, come la Maid Marian310 di Robin Hood311, altra figura di re sacro agli ordini della dea. Ma Marian era la controfigura in Asia Minore di Atena312, od anche Neith, la dea libica dell’amore e della battaglia. Marian313 era quindi la grande dea della luna, detta anche Mirina314, AyMari315, Marianne316 o Marienna317, che diede il suo nome a Mariandine (“Duna di Marian”). Marienna era una forma sumerica, significa “Madre ricca di frutti”, ed era la dea della fertilità. Marian era la dea del mare, e i suoi riti salvavano i marinai dai naufragi. Un precedente iconografico prodigioso della Madonna col bambino è la raffigurazione di Iside che allatta Horus, esposta nel museo Egizio del Cairo. Ma rappresentazioni del genere ancora precedenti sono esposte al Louvre di Parigi: una terracotta di donna che allatta un bambino risalente al III secolo a.C. e proveniente da Creta.

310

Che in realtà si chiamava Matilda. Robin della foresta è la personificazione più popolare del cavaliere verde dei romanzi arturiani, cioè il dio che presiede al regno vegetale. Come l’uccello dallo stesso nome (robin = pettirosso), è associato all’arrivo della primavera e al ritorno della terra alla fertilità. Robin è probabilmente un nome preteutonico, e significa “ariete” o “diavolo”. Robin Hood è, inoltre, il nome rurale del licnide rosso. 312 Athenna, cioè At-Anna, dove An significa “cielo” in sumero. 313 Ma sarebbe un’abbreviazione del sumero ama, “madre”, e Ma-ri significa la “madre fruttifera”, da rim, “generare un figlio”. 314 La benedizione che oggi somministrano i preti cattolici in nome della Santissima Trinità, alzando pollice, indice e medio, mentre l’anulare e il mignolo si ripiegano, è in realtà la benedizione frigia data un tempo in nome di Mirina. 315 Nome col quale gli Egiziani chiamarono Cipro. 316 Mariamne è la versione greca del nome Maria. 317 Cioè Ma-ri-enna, la fruttifera (ri) madre (ma) del cielo (an), in sumero. 230 311


La madre con il figlio costituisce, infatti, un’immagine di base della mitologia, poiché per ogni uomo la prima esperienza è quella del corpo della madre. La parola fondamentale è però Anna, che conferisce divinità all’atto stesso del partorire, e che è presente anche nella forma Arianrhod (dove Ar-ri-an vuol dire “alta madre fruttifera”) cioè colei che gira la ruota del cielo. Se si cerca un nome unico, semplice e onnicomprensivo per la Grande Dea, Anna è il migliore. Per i mistici cristiani è la “nonna di dio”.

231


La guerra contro le eresie

L

’eresia318 che i primi concili vedevano come la più diabolica e imperdonabile era l’identificazione dell’Eracle-Dioniso-Mithra taurino, le cui carni

ancora palpitanti erano fatte a brani e divorate dagli asceti orfici durante le cerimonie di iniziazione, con Gesù Cristo, la cui viva carne era simbolicamente divisa durante la Santa Eucaristia. A quest’eresia, sorta in Egitto nel II secolo, se ne accompagnava un’altra, che identificava la Vergine Maria con la Triplice Dea. I Copti addirittura identificavano le Tre Marie testimoni della crocifissione in una singola persona, in cui Maria di Cleofa rappresentava “Blodeuwedd”, la Vergine “Arianrhod” e Maria Maddalena la terza persona di questa antica trinità che compare nella leggenda celtica come Morgan le Faye, sorella di re Artù. Nella leggenda irlandese Morgana è “la Morrigan319”, ossia “la Grande Regina”, una dea della morte che assume la forma di corvo, e “le Faye” significa “il fato”.

318

Eresia deriva dal greco àiresis, cioè “scelta”, e originariamente il termine indicava gli appartenenti a una scuola filosofica per scelta. 319 La Morrigan, insieme a Badb e Macha, era una fattucchiera dei Tuatha dè Danaan. 232


Le sopravvivenze di queste eresie nell’Europa medievale erano così severamente punite dalla Chiesa che mascherarle sotto vesti enigmistiche, come fa Gwion, doveva avere il fascino dei giochi proibiti. Del resto la condizione di questi poeti britannici e irlandesi era ben più dura di quella dei loro predecessori, che avevano accettato Gesù Cristo senza subire alcuna costrizione, riservandosi il diritto di interpretare il cristianesimo alla luce della loro tradizione letteraria, libera da ingerenze esterne. In Gesù essi vedevano l’ultima teofania del medesimo re sacro sofferente che da tempo immemorabile veneravano sotto vari nomi. Quando da Roma o da Canterbury si levò il bastone dell’ortodossia essi reagirono con comprensibile risentimento. I primi missionari cristiani accettavano i culti che avevano trovato sul posto, limitandosi a modificarli e cristianizzarli a poco a poco. Così gli dei celtici diventavano santi cristiani, e le feste pagane vennero cristianizzate con cambiamenti minimi nel rituale. Santa Brigitta, il cui monastero venne eretto presso un’antica quercia druidica sacra320, conservò la sua originaria festa del fuoco; era lodata come “Madre di Gesù”, mentre un tempo era la madre di Dagda. Ugualmente in Italia e in Grecia, dove Venere divenne santa Venere, Artemide sant’Artemio, Mercurio e Dioniso i santi Mercurio e Dioniso, e il dio del sole Elio sant’Elia. Ma il periodo di tolleranza non durò a lungo. Del resto definire apostati i poeti eretici sarebbe sommamente ingiusto. A loro era permesso tipizzare Gesù come pesce, pane, vino, 320

Kildare, chiesa della quercia. 233


agnello, ma non era consentito celebrarlo come uno degli dei che la Chiesa aveva soppiantato con i suoi santi, dai quali aveva comunque tratto tutti i simbolismi.

234


La nascita di un dio

I

l mito della nascita di Gesù Cristo è certamente imperniato su leggende precedenti. Notevoli sono, ad esempio, le affinità con la leggenda di Mitra, dio iranico

e persiano della luce celeste, garante dei giuramenti, custode della verità, avversario della menzogna, il cui culto si diffuse fino a Roma, tanto che i Padri della Chiesa l’intesero come una deliberata parodia ad opera del demonio. Mitra era una divinità solare la cui funzione era di farsi carico dei peccati dell’uomo321 e di porre rimedio all’iniquità del mondo. Il culto di Mitra simboleggia la rigenerazione fisica e psichica attraverso l’energia del sangue, sangue versato al momento del sacrificio rituale del toro, e attraverso l’energia solare che è la suprema luce visibile, e, infine, attraverso l’energia divina. Questa rigenerazione presuppone un degenerazione, per cui è una lotta costante dei figli della luce contro le forze dell’ombra che riequilibra il mondo perturbato. Il credente è invitato a lottare con tutte le sue forze contro le potenze dell’ombra, anche con il proprio 321

Nel vangelo di Giovanni, Giovanni Battista dice a Gesù: “Ecco l’Agnello di Dio, colui che toglie i peccati del mondo”. In Mesopotamia era uso raccontare i peccati del popolo ad un agnello, o un montone, che poi sarà abbandonato nel deserto per espiare per tutto il popolo; una sorta di “capro espiatorio”. 235


sacrificio. Nelle cerimonie veniva rappresentato da una teca simile a quella utilizzata nelle cerimonie cristiane. Numerosi punti di contatto si rinvengono con altre divinità. Ad esempio la nascita da una vergine322 è propria del Buddha323, di Dioniso324, Quirino325, Attis326, Indra327, Adone328, Zoroastro329, Zeus Marnas330 adorato a Gaza, in Asia Minore, e infine il già citato Mitra331. Anche la divinità indù Krisna, che significa “il consacrato”, venne alla luce dalla vergine Devaki intorno al 1200 a.C., inoltre compiva miracoli, schiacciò la testa del serpentedemone, trasfigurò rinascendo da uomo a dio come Gesù, infine raccolse vari discepoli e iniziò a predicare insieme a loro, convertendo il popolo.

322

Mentre i nazareni, seguaci del primitivo pensiero di Gesù e Giacomo, non parlavano affatto di verginità da parte di Maria, né di aspetti miracolistici legati alla nascita di Gesù. Nel testo originale della profezia di Isaia, dove si legge che “una vergine concepirà, e partorirà un bambino, che sarà chiamato Emmanuele (in ebraico Immanu-El)”, cioè “dio è con noi”, si legge che il termine poi tradotto con vergine non è betulah, bensì almah, che significa, più propriamente, “giovane donna”. Per cui la verginità attribuita alla madre di Cristo è frutto di un errore di traduzione, oppure di una modifica successiva tesa a parificare Gesù agli dei del tempo, come Mitra che era appunto nato da una vergine. Del resto è pacifico che Maria, oltre a Gesù, ebbe altri figli. 323 Nato da una vergine Maya intorno al 600 a.C. 324 Nato in una stalla da una vergine; inoltre trasformò l’acqua in vino. 325 Antico salvatore romano che nacque da una vergine. 326 Nato in Frigia dalla vergine Nana intorno al 200 a.C. circa. 327 Figlio di una vergine, nato in Tibet nel 700 a.C. circa. 328 Nato dalla vergine Ištar. 329 Nato da una vergine nel 1500-1200 a.C. La sua nascita fu annunciata alla madre come l’arcangelo Gabriele fece per la vergine Maria. 330 Che in cretese significherebbe “nato da una vergine”. 331 Il dio Mitra nacque il 25 dicembre del 600 a.C., da madre vergine in una stalla (la stalla, o la grotta, sono simbolo del ventre materno), dove pastori e saggi vennero a rendergli omaggio. Con gli anni divenne guaritore e maestro. Ebbe dodici discepoli e alla vigilia della propria morte offrì loro un’ultima cena di pane e di vino. Fu sepolto in una tomba di roccia e risorse. La sua resurrezione era celebrata a Pasqua. 236


Nell’Asia orientale quasi tutti i fondatori di dinastie furono presentati come nati da vergini, un modo esplicito per farsi riconoscere come figli di dio. Tra questi ricordiamo Ulano, il primo re del popolo tartaro, Gengis Khan, il fondatore dell’impero mongolo, l’imperatore Wang-Ting. Spesso queste nascite, a sottolineare la peculiarità, avvenivano attraverso vie pittoresche, come la spalla, il petto, la testa, come accadde ad Atena che nacque dalla testa di Zeus332. Molte delle idee di base delle religioni occidentali nascono in India, come l’idea della Vergine-Madre (Devaki, madre di Krisna), quella dell’Uomo-dio (Krisna), e quella della Trinità. La madre di Krisna era identificata con la sostanza universale e il principio femminile della natura. Ella fu la seconda persona della Trinità divina, cioè della triade iniziale e non manifesta. Il padre è il principio creatore, la madre è il principio plastico, il figlio è il verbo, cioè il principio produttore. Insieme costituiscono la natura naturans, mentre la natura naturata, cioè il mondo organizzato è anch’esso espresso in una triade, padre, madre e figlio. Con Krisna per la prima volta vengono alla luce la dottrina dell’immortalità dell’anima333 e della Trinità. Egli fu il primo dio solare, ma dopo di lui ne vennero molti altri. 332

Secondo Sant’Agostino la vergine Maria avrebbe concepito attraverso una delle sue orecchie. 333 La legge chiamata Karma dalla religione brahamanica e da quella buddhista, detta anche da Pitagora della ripercussione delle vite, afferma che ogni vita di un essere ha delle ripercussioni sulle vite successive alla sua metempsicosi (reincarnazione), quindi la vita attuale è sempre un premio, o una punizione, dovuta al modo di vita precedente. La successiva incarnazione sarà quindi dettata dall’uso più o meno buono fatto della libertà che ha l’uomo, e quindi dal suo comportamento più o meno sbagliato in questa vita. Un uomo retto e buono si incarnerà in un uomo che sarà destinato ad una 237


La grotta, a lungo associata alla nascita di Gesù, lo era in precedenza con quella di Horus, figlio di Iside e di Osiride, che diede la vita per salvare il suo popolo. Iside, d’altronde, era la Mater Dolorosa, appellativo poi proprio della Vergine Maria. La stella cometa che indica il luogo in cui si trova Gesù, si inserisce nell’ambientazione propria delle nascite dei re orientali, le quali erano tutte accompagnate da eventi straordinaria, come stelle cadenti e luci innaturali. Stranamente nel vangelo di Luca non si parla affatto della stella, come non si accenna minimamente ai magi. Il vangelo di Matteo è quello che dà alla nascita di Gesù un’impronta orientaleggiante, e ciò proprio perché quello scritto fu composto in Egitto. Luca, invece, scriveva a Roma. In un contesto puramente agricolo-pagano nacque la leggenda della nascita di Gesù tra gli animali, il bue e l’asinello, così come Romolo e Remo che furono allattati da una lupa. Anche il nimbo, o aureola, che incornicia la testa di Gesù, riflesso della gloria celeste e simbolo di regalità, è proprio di dèi più antichi. Lo portavano, infatti, Apollo, Buddha, Krisna e il dio Egiziano Râ. missione, o comunque avrà una vita felice, un delinquente si incarnerà in modo tale da avere sofferenze e privazioni. Queste dottrine spiegano la diseguaglianza delle condizioni umane in relazione all’uso, più o meno positivo, fatto da ogni uomo della sua libertà nelle vite precedenti. I brahmani avevano, quindi, trovato la chiave della vita precedente e di quella futura, formulando la legge organica della reincarnazione e dell’alternanza delle vite. Ma, a forza di immergersi nella contemplazione hanno dimenticato la realizzazione terrestre, la vita individuale e sociale. La Grecia si strinse alla vita naturale e terrestre, che le permise di rivelare le leggi immortali del bello e di formulare i principi delle scienze empiriche. A causa di questo punto di vista la sua concezione dell’Aldilà divenne più limitata ed angusta. Gesù, per l’ampiezza della sua universalità abbraccia entrambi gli aspetti della vita. 238


Il culto mitriaco è alquanto imbarazzante per i cristiani, specialmente se si considera che da esso proviene il culto di Zoroastro, introdotto nell’impero romano nel 67 a.C. circa, tra le cui dottrine si annoverano il battesimo, un banchetto consacrato, la fede nell’immortalità, un dio salvatore morto e risorto con funzioni di mediatore tra gli uomini e il divino, la resurrezione, il giudizio universale, il regno dei cieli e delle tenebre. I devoti di tale culto, i quali tra l’altro utilizzavano candele, incenso e campane nelle funzioni religiose, riconoscevano onori divini all’imperatore ed erano tolleranti nei confronti delle altre religioni,

finché

non

furono

assorbiti

nell’orbita

del

cristianesimo, non altrettanto liberale. Per inciso è utile ricordare che l’originale religione di Gesù non prevedeva tutti quegli ornamenti di origine chiaramente pagana, i quali furono introdotti progressivamente dai Romani al fine di creare una religione ibrida che avrebbe potuto soddisfare le esigenze spirituali di un maggior numero di cittadini. Le analogie tra il culto di Mitra e quello cristiano erano talmente tante che san Giustino ebbe a dire che il diavolo aveva voluto copiare il culto di Gesù, producendo quello di Mitra a sua immagine. Dimenticava però che il culto di Mitra era di parecchi secoli precedente a quello cristiano. Lo stesso Antico Testamento fu riscritto e modificato, e gli adepti della chiesa primitiva si arrogarono il diritto di accettare o rifiutare parte delle Scritture a seconda della convenienza. I libri ebraici furono letti in maniera del tutto fantasiosa, con correzioni apportate dovunque, alla ricerca di evidenti riferimenti al proprio 239


salvatore. Gli stessi Ebrei furono accusati di aver cancellato parti notevoli delle Scritture, che poi furono debitamente riscritte ad uso e consumo dei cristiani. Alcuni storici e pensatori, a seguito dello studio dei testi, giunsero a nutrire seri dubbi sull’originalità delle parti aggiunte, per questo i padri della Chiesa pensarono bene di scrivere un Nuovo Testamento, dandone l’incarico a quegli stessi che avevano falsificato il Vecchio. In sostanza l’eredità storica e culturale ebraica fu sfruttata per dare credibilità a un culto misteriosofico romano, che aveva notevoli debiti verso la civiltà persiana antica. Il Nuovo Testamento tramanda che Giuseppe di Nazareth e Maria si erano recati nella piccola città di Betlemme, in Giudea, per adempiere all’editto con cui l’Imperatore Augusto aveva disposto un censimento della popolazione. Maria avrebbe dato alla luce Gesù durante il soggiorno in questa città al crescere della luna. L’anno dell’editto di Augusto è stato indicato all’incirca come il 6 a.C.. La morte di Erode si fa risalire alla primavera del 4 a.C., per cui appare probabile che la nascita di Gesù sia avvenuta tra il 7 e il 5 a.C. Tale discrepanza è forse dovuta ad un errore o un’approssimazione del monaco di origine sciita Dionigi il piccolo, che nel VI secolo introdusse l’era cristiana; secondo i suoi calcoli, errati di qualche anno, Gesù nacque 753 anni dopo la fondazione di Roma. Comunque, nel 12 a.C. effettivamente era visibile nel cielo la cometa di Halley, precisamente tra agosto ed ottobre, mentre nel 5 a.C. vi era una cometa nella costellazione del capricorno, tra marzo e maggio.

240


In ogni caso, racconta il Nuovo Testamento, furono astrologi dei lontani paesi orientali a rilevare la comparsa della stella (la cometa) ed a interpretarla come segnale dell’imminente nascita del re dei giudei. Gli studi storici convengono che i re magi334 fossero in realtà astrologi venuti dalla Persia, adepti dello zoroastrismo335, l’antica religione iranica che identificava il bene con la luce e dava grande importanza alle stelle. Il fatto che fossero tre non è provato, visto che anche i testi antichi parlano genericamente al plurale. Probabilmente il tre era solo un omaggio alla Trinità, come lo era il fatto che essi fossero rappresentativi dell’intera umanità: un anziano bianco, un giovane nero e un orientale di mezz’età ! Anche la data del 25 dicembre è del tutto arbitraria. Infatti tale data, come nascita di Gesù, fu fissata solo nel 354 d.C., da Papa Liberio, e fu un modo per cristianizzare i culti pagani che si tenevano in quel giorno, come la natività del dio Mitra e il culto del Sol invictus336, che non era stato possibile vietare. Nel calendario Giuliano il 25 dicembre, riconosciuto come il solstizio d’inverno, era considerato come la nascita del sole, perché a partire da quella data i giorni cominciano ad allungarsi e la potenza del sole ad aumentare. Il rito della Natività, come si celebrava in Siria e in Egitto, era veramente notevole, ed aveva 334

In Persia i “magi”, o uomini sapienti, erano i sommi sacerdoti, gli interpreti della sapienza di Zoroastro; avevano il dono della profezia. Nei templi in cima alle montagne essi studiavano gli astri per predire il futuro. La parola magia deriva appunto dal loro nome. 335 Che era il mazdeismo riformato da Zoroastro. 336 Il Sole invitto, anche se si poteva identificare in molti dei solari, era principalmente identificato con Mitra - Deo Soli Invicto Mithrae, si legge in molte epigrafi romane – e spodestò l’antico pantheon presieduto da Giove. 241


molte similitudini con i misteri eleusini. I celebranti si ritiravano in certi santuari interni da cui, a mezzanotte, uscivano gridando: “La Vergine ha partorito !”. Gli Egiziani rappresentavano il sole appena nato con l’immagine di un infante. La Vergine, che aveva dato alla luce il bambino divino, il 25 dicembre, era la grande dea orientale, che i Semiti chiamavano Vergine Celeste o, semplicemente, Dea Celeste. Anche la nascita337 di Mitra, identificato col sole, il Sole Invincibile, aveva luogo il 25 dicembre, come anche quella di Dioniso e di Apollo. Moltissime mitologie eroiche hanno una struttura solare. L’eroe è paragonato al sole, con il sole lotta contro le tenebre e discende nel regno dei morti, uscendone vittorioso. Il sole è l’intelligenza del mondo e Macrobio identifica il sole in tutti gli dei del mondo greco-orientale, da Apollo a Giove, fino ad Osiris, Orus e Adone. I cristiani scelsero il 25 di dicembre come nascita del Salvatore nell’intento

di

sovrapporre

una

festività

cristiana

alla

celebrazione pagana del sole commemorata quasi dappertutto. Stabilirono, così, la data del Redentore il giorno dopo il solstizio d’inverno (24 dicembre), giorno durante il quale si festeggiava solennemente, presso i romani e non solo, la rinascita del Sole, il Dies Natalis Solis Invicti (il giorno natale del Sole Invincibile), che riprendeva il suo cammino. Il sole del solstizio, infatti, ha 337

Secondo una credenza diffusa nel mondo classico, e che ha resistito fino al medio evo, le anime degli uomini entrano ed escono dalla vita attraverso delle porte associate ai solstizi e ai segni zodiacali legati ad essi. Sotto il segno del capricorno le anime degli uomini possono, varcando la “porta degli dei”, ascendere al cielo tra le divinità, e gli dei possono scendere sulla terra. In questo periodo dell’anno, infatti, secondo le varie tradizioni sono nate diverse divinità, come Mitra, Apollo e lo stesso Gesù. 242


raggiunto il punto più meridionale della sua orbita, cosicché, alle latitudini del settentrione si registra il giorno più corto dell’anno. Da questo momento inizia, lentamente, a riprendere il suo tragitto in direzione delle latitudini settentrionali e le giornate, a poco a poco, si allungano. Scrive Cattabiani che il Sol Invictus era una “divinità solare di Emesa introdotta dall’imperatore Aureliano, che aveva costruito anche un tempio in suo onore nel campus Agrippae, l’attuale piazza San Silvestro”. Nel culto del Sol Invictus confluirono la Mastruca celtica e il germanico Yule (ruota), con esplicito riferimento al sole. Nigel Pennick spiega: “Lo stesso termine Yule (Anglo-Sassone Geola) significa Giogo dell’Anno, vale a dire il punto d’equilibrio esistente oltre il declino della luce del sole. Il periodo dello Yule inizia quindici giorni prima del solstizio d’inverno con la festa di San Niccolò, che è associato alla figura sciamanica dello stesso Odino”. La nascita di Cristo venne sostituita al giorno dedicato al culto solare perché, come scrive Gibbon, “I Romani (Cristiani) ignorando la data reale della sua (di Cristo) nascita, fissarono la festa solenne al 25 Dicembre, il solstizio d’inverno o Brumale, quando i pagani celebravano, ogni anno, la nascita del Sole”. Ritornando al 25 di dicembre, ben pochi sanno che quasi tutti i popoli della terra hanno sempre celebrato, intorno a questa data, la nascita di un dio. In Egitto si festeggiava la nascita del dio Oro, all’epoca corrispondente al nostro Natale. Il padre di Oro, Osiride, si credeva fosse nato anche lui nello stesso periodo. In

243


Babilonia si celebrava, il 25 di dicembre, il dio Tammuz338, “Unico figlio” della dea Istar, rappresentata col figlio divino tra le braccia e con, intorno al capo, un’aureola di dodici stelle. Sempre al solstizio d’inverno, in Persia, nasceva il dio Mithra, noto anche con l’appellativo di Salvatore. Le più antiche testimonianze di questo dio sono databili, all’incirca, a 1600 anni fa e sono contenute nei Rgveda o Veda della Lode, testi sacri indiani scritti in sanscrito fra il 1600 e il 600 a. C. A Roma il culto di Mithra fu portato dalle legioni romane e assunse delle caratteristiche proprie, a tal punto che si può parlare di una religione dei Misteri mitriaci romani. Nell’antico Messico, alla stessa data, era nato il dio Quetzalcoatl. Nello Yucatan veniva celebrata la nascita del dio Bacab, che si credeva messo al mondo da una vergine di nome Chiribirias. Pure al solstizio d’inverno nasce il dio atzeco Huitzilopochtli. Gli scandinavi festeggiavano il dio Freyr, figlio di Odino e di Freya. Sempre un 25 dicembre nascono Bacco in Grecia e Adone in Siria. Williamson, nella “Legge suprema”, scrive: “...alcuni dei primi Padri della Chiesa Cristiana asseriscono che la grotta di Betlemme, in cui si celebravano i misteri di Adone, fosse quella in cui era nato Gesù”. E’ impossibile, a questo punto, non rimanere, quantomeno, sorpresi di come quasi tutti i popoli hanno fatto nascere la loro divinità più importante in questa data.

338

Anche Tammuz, come Gesù, fu unto dalla sua consorte, definita la Grande Prostituta, rendendolo divino. Le Grandi Prostitute erano sacerdotesse orgiastiche che mettevano in contatto il consorte-partner con il divino, attraverso l’iniziazione sessuale. Tammuz fu unto per prepararlo alla discesa negli inferi, come Gesù fu unto dalla Maddalena per prepararlo alla sepoltura. 244


Il 25 di dicembre fu, fin da lontanissimi tempi, celebrato come sacro; basti pensare che la nascita del dio semitico Shamash veniva fatta cadere un 25 dicembre di tremila anni prima di Cristo. C’è ancora da dire che oltre alla nascita è simile la morte e la resurrezione del dio o uomo divino. Scrive Williamson: “…noi troviamo che Krishna, Osiride, Tammuz, Adone, Mitra, Ati, Bacco-Dioniso, Baldur, Quetzalcoatl e Gesù discendono tutti nella tomba (ed alcuni nelle regioni infernali) e che il periodo tra la morte e la risurrezione è generalmente di tre giorni, mentre la risurrezione avviene di regola all’equinozio di primavera, o a pochi giorni di distanza da esso”. Qualche esempio: Mitra, nato come Cristo, il 25 di Dicembre, fu pianto nella tomba dai suoi discepoli nel periodo che corrisponde alle festività pasquali. Essi gioiendo affermavano: “Rallegratevi, iniziati; il vostro dio è risorto dalla morte. Le sue pene e le sue sofferenze saranno la vostra salvezza”. Il dio Ati, che era celebrato nell’antica Frigia con gli l’appellativi di “Figlio unigenito” e di “Salvatore”, era simbolizzato con un agnello. Frazer scrive: “Ati era per la Frigia, quello che Adone era per la Siria. Come per Adone… la sua morte e risurrezione erano, ogni anno in primavera, commemorate con una festa. Le cerimonie celebrate alla festa di Atis non sono perfettamente conosciute… sembra che la celebrazione della sua risurrezione seguisse immediatamente quella della sua morte”. In Irlanda, la religione dei Celti celebrava il dio Samhein di cui si racconta che risorse dalla morte dopo tre giorni. Il dio Bacco, ucciso dai Titani, veniva fatto risorgere da Giove, dopo tre 245


giorni. Analogamente sotto le altre sue sembianze di Dioniso è detto: “subito dopo la sua sepoltura, egli risuscitò dalla morte e salì al cielo”. Infine scrive ancora W. Williamson: “Nel Nord abbiamo Baldur il bello, il dio bianco, giusto e benefico, che i missionari cristiani trovano rassomigliare a Gesù. Egli muore ucciso da una freccia scoccata dal cieco Hoerder, dio delle tenebre. Questa freccia era fatta con legno di vischio. Baldur giace morto per 40 giorni, alla fine di questo periodo si risveglia e regna. La rozza e superficiale allegoria qui è abbastanza chiara: a 68 gradi di latitudine il sole è morto per 40 giorni, ucciso dalle tenebre dell’inverno. La freccia di legno di vischio era il primo indizio di una nuova vita proveniente dalla morte stessa (e attraverso la soglia di essa). Baldur risorse, come era stato profetizzato dalla terza Sibilla del Volospa”. I Vangeli non ci dicono nulla sul giorno della nascita di Cristo e anche la Chiesa primitiva non la celebrava. Inizialmente, finché non fu stabilito che tale data fosse il 25 dicembre, la Chiesa celebrava la nascita del Salvatore il 6 gennaio. I Padri della Chiesa, costatando l’uso di accendere fuochi e festeggiare il 25 dicembre, per celebrare la nascita del sole, usanza cui partecipavano anche i cristiani, tennero consiglio e decisero che la vera Natività dovesse essere solennizzata in quel giorno e la festa dell’Epifania il 6 gennaio339. Sant’Agostino fa un’allusione all’origine pagana del Natale, allorché esorta i fratelli cristiani a

339

Allo stesso modo del 25 dicembre, il 6 gennaio, la festa dell’arrivo dei re magi, è in realtà un’antica festa pagana di origine Egiziana, con la quale si festeggiava la nascita di Osiride da parte della dea Iside. 246


non celebrare in quel solenne giorno il sole, come facevano i pagani, ma a celebrare Colui che creò il sole. Natale è nascita per eccellenza, nascita splendente e miracolosa quasi in contrapposizione alla natura che, in questo periodo è addormentata, avvolta dal freddo e pervasa dalle tenebre che, finalmente, vengono squarciate dalla nascita di un umile Bambino, un piccolo sole che sconfigge il buio e fa trionfare la vita sulla morte.

247


Maria Maddalena e la leggenda del Santo Graal

N

otevole imbarazzo, a quanto pare, viene al culto cristiano dal particolare comportamento che Gesù tenne con Maria Maddalena. Maria Maddalena, o

più esattamente Maria di Migdal340, o Magdala in Galilea, secondo la tradizione popolare dovrebbe essere una prostituta. In realtà in nessuno dei vangeli si afferma qualcosa del genere. Essa viene presentata come una donna “dalla quale erano usciti sette demoni”, cosa che farebbe pensare ad una possessione diabolica. Più probabilmente alludeva ad una conversione o un’iniziazione rituale. Infatti il culto di Ishtar o Astarte, la Dea Madre o “Regina del, Cielo”, comportava un’iniziazione in sette fasi. Migdal, inoltre era conosciuto come il “villaggio delle colombe”, e la colomba era proprio sacra ad Astarte. Quindi parrebbe

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Secondo alcuni autori Maddalena significa “di Magdala”, in riferimento al villaggio dei pescatori di el Mejdel in Galilea. Secondo lo storico Giuseppe Flavio, però, tale villaggio ai tempi di Gesù era noto come Tarichea. Ma c’era una città di nome Magdolum nel nord-est dell’Egitto, vicino al confine con la Giudea. Secondo altri autori Magdala può significare anche luogo della colomba, luogo della torre. È quindi più probabile che il nome sia riferito ad un luogo, visto che “torre del gregge” veniva tradotto con Magdal-eder. Quindi in ebraico il sostantivo Magdala, Migdal, dobbiamo intenderlo come torre, oppure luogo elevato o luogo grande e magnifico. 248


verosimile che Maria Maddalena fosse una donna dedita al culto di Astarte, che poi si convertì abbracciando il credo di Gesù. Proprio per questo, probabilmente, essa venne descritta come una peccatrice. L’eccessivo accento dato al ruolo di peccatrice e prostituta della Maddalena, secondo alcuni scrittori potrebbe essere indice di qualcosa di ulteriore. Essa potrebbe addirittura essere stata la sposa di Gesù, laddove parrebbe plausibile che Gesù stesso non poteva non essere sposato poiché i Giudei dovevano esserlo per forza; un non sposato era visto, infatti, come un peccatore. Inoltre Gesù era un Messia, e quindi un Maestro, ma per essere tale, secondo le leggi del tempo, egli doveva essere sposato. Tale condizione non è menzionata in nessuno scritto, ma il fatto che fosse la normalità per la gente del tempo, induce a ritenere che lo fosse anche Gesù. Il fatto che fosse proprio la Maddalena la sposa di Gesù è meno provato, ma senz’altro possibile. Si deve a questo proposito tenere presente che la Maddalena viene convertita, nel senso sopra precisato, proprio da Gesù, e dopo di ciò essa acquista una notevole importanza per Gesù stesso, tanto che se essa fosse stata sposata ad altri il suo attaccamento a Gesù farebbe pensare. Essa infatti fu la prima a trovare la tomba vuota di Gesù dopo la Crocifissione, e fu essa che Gesù scelse per rivelare la propria Resurrezione. Il fatto che la Maddalena, e il suo ruolo al fianco di Gesù, fosse stato sminuito in maniera sistematica in seguito, è visto talvolta come invidia e vendetta nei confronti della donna il cui legame con Gesù era più stretto rispetto ad altri, anche rispetto a quello che 249


viene considerato dalla Chiesa il successore designato, cioè Pietro. Secondo altri tale situazione potrebbe semplicemente essere vista come un modo per eliminare l’ingombrante presenza di una moglie al fianco del dio dei cristiani, cosa che, forse, avrebbe potuto essere valutato nel modo sbagliato. Comunque è certo che Maria Maddalena è stata sistematicamente sminuita ed offesa, tanto che nel medioevo gli ospizi per le prostitute redente erano intitolati ad essa. Secondo alcuni scrittori, addirittura, Maria Maddalena non solo sarebbe stata la moglie di Gesù341, ma essa avrebbe portato con sé, quando si recò a Marsiglia, il figlio di Gesù, colui che sarebbe quindi il San Graal342, cioè il sangue reale, il sangue di Gesù, dando così vita alla dinastia Merovingia343. Nel sud della Francia, infatti, nella zona a ridosso delle foci del Rodano, si stabilirono molti emigranti ebrei. Come risulta storicamente, vi fu una guerra tra la tribù di Giuda, alla quale apparteneva Gesù, e quella di Beniamino, alla quale apparteneva Maria Maddalena, 341

Bernardo da Chiaravalle, affascinato dalla storia della Maddalena, istituì il culto della Vergine Nera, secondo il quale Maria Maddalena sarebbe stata la sposa di Cristo, ed aveva la carnagione scura. Questo culto contribuì alla diffusione di un nuovo modo di considerare le donne, che divennero persone degne di rispetto. 342 O Sang Real. 343 I Merovingi, i “re capelloni”, erano protagonisti di strane storie, che in particolare toccavano la nascita di Meroveo. Secondo la leggenda, sua madre, moglie del re Clodion, mentre era incinta, andò a nuotare nell’oceano dove fu sedotta da un mostro marino, che l’avrebbe fecondata una seconda volta. Questo indicherebbe una possibile ascendenza straniera di Meroveo. Alcuni ne avrebbero letto la possibile ascendenza ebraica d’oltremare. Vero è che i Meronvingi non furono mai consacrati, ma considerati re a partire dai dodici anni; rifiutavano di tagliarsi i capelli, praticavano la magia e venivano considerati in possesso di poteri soprannaturali. La loro famiglia ha beneficiato di una reputazione assolutamente singolare, nonostante fossero tiranni sanguinari e senza scrupoli. 250


che terminò con la vittoria della prima. Molti appartenenti alla tribù di Beniamino si trasferirono nella vicina fenicia, da dove poi si spostarono in Francia, nei pressi di Marsiglia. Nel medioevo infatti si creò una sorta di regno ebraico proprio in quella zona. Per cui è facile ritenere che molti ebrei nel I secolo d.C., e in particolar modo dopo il sacco di Gerusalemme ad opera dei Romani, si trasferirono in quella zona. Il mito del Graal, anche se in origine ha indubbie fondamenta pagane344 per lo più correlate ai racconti sul dio Bran, il cui calderone era magico, in seguito, nella seconda metà del secolo XII, fu associato solo al cristianesimo, collegando così inestricabilmente il Graal a Gesù. Il Graal divenne, quindi, la coppa sacra che fu usata da Gesù durante l’ultima cena, e che Giuseppe d’Arimatea345 conservò dopo averla riempita con il sangue del Cristo crocefisso. Secondo la leggenda Giuseppe portò con sé la coppa in Inghilterra, lasciandola ai suoi discendenti. Ma, proprio la circostanza del passaggio della coppa a Giuseppe, e non a Pietro, starebbe ad indicare un’investitura alternativa, e quindi diverrebbe il simbolo tangibile di una successione apostolica diversa rispetto a quella sostenuta dalla 344

La ricerca del Graal fu ideata per nascondere agli occhi indagatori del clero una fede eretica. La descrizione allegorica della ricerca della santa reliquia mascherava un’individuale avventura interiore nel corso di un’esperienza spirituale. Il Graal rappresenta la realizzazione delle più alte potenzialità spirituali della coscienza umana. 345 Giuseppe d’Arimatea, cioè il Joses del vangelo di Marco, detto anche Giacomo (il giusto) era il fratello maggiore di Gesù, colui che si occupò della madre di Gesù dopo la morte di quest’ultimo, secondo l’usanza ebraica che affidava al fratello maggiore la cura della vedova. Egli sarebbe il discepolo che Gesù amava di più, secondo la Bibbia. Giuseppe d’Arimatea era anche un membro del Sinedrio. Arimatea, cioè Rama-Theo (di “divina altezza”) era un appellativo descrittivo, indicante un rango particolarmente elevato. 251


Chiesa, e che quindi la religione di Gesù non sarebbe quella predicata da Pietro. Inoltre, nel vangelo di Tommaso, presumibilmente scritto dal fratello di Gesù e soppresso dalle autorità ecclesiastiche ma poi riscoperto a Nag Hammadi, si legge espressamente che Gesù investì Giacomo il Giusto quale suo successore346. I romanzi del Graal rappresentano la Chiesa di Giuseppe d’Arimatea in Britannia come una successione apostolica alternativa. Giuseppe, giunto in Britannia, fondò una Chiesa di stampo cristiano, e i primi a convertirsi furono i druidi, probabilmente perché vedevano nella nuova dottrina molti punti di contatto con la propria. I primi romanzi del Graal descrivono allegoricamente la discendenza spirituale del Re Pescatore347 da Cristo. Ad esempio, nella cappella del Graal il custode Bran invita Parsifal ad una cena con pane e vino. Poi il Re Pescatore, come Gesù, ascende al cielo e Parsifal, come Pietro, lo sostituisce come custode del Graal. È evidente che il Graal, che nei primi romanzi non è un solo oggetto, ma ben quattro, cioè una spada, un calderone, una lancia e un piatto (oggetti che rimandano agli odierni semi delle carte da gioco, cioè spade,

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“I discepoli dissero a Gesù: sappiamo che ci abbandonerai. Chi sarà il nostro capo ? Gesù disse loro: ovunque voi siate, dovrete andare da Giacomo il Giusto, per amore del quale sono stati creati cielo e terra”. 347 Nella tradizione cristiana Gesù era noto anche come il “Re Pescatore”, perché il pesce era il simbolo segreto di Gesù, di cui si servivano i cristiani perseguitato di Roma. Deriva dalla parola greca ichthys, “pesce”, usata per esprimere le prima lettere dell’attributo greco di Gesù: Iesus Christos Theou Yios Soter, cioè “Gesù Cristo Figlio di Dio, Salvatore”. Secondo altri autori i sacerdoti che somministravano il battesimo al tempo dei Vangeli venivano definiti “pescatori”, come avvenne per Gesù e la sua linea dinastica. 252


coppe, bastoni e denari348), non è altro che un simbolo che rimanda ai segreti religiosi portati da Giuseppe d’Arimatea in Britannia. Il Re Pescatore è in sostanza il Papa, cioè un pontefice alternativo. Infatti, Bran viene spesso raffigurato come un ponte, proprio come il “pontefice”, parola latina che indica il ponte, riferendosi al ruolo del papa come colui che unisce la terra e il cielo. Secondo alcuni autori insieme a Giuseppe giunse in Britannia349 anche Maria, la madre di Cristo, e proprio in Britannia sarebbe il vero sepolcro della Vergine. Significativo a questo proposito è che uno dei guardiani del priorato di Anglesey fosse definito Gwasmair, cioè “servitore di Maria”, poiché Maria in gallese è Mair o Fair. Questo guardiano era Seiriol, figlio di Owain Ddantgwyn, l’Artù storico. A Llanerchymedd, che significa “la radura dove c’era una chiesa nella quale si faceva 348

Secondo un’antica leggenda le quattro regine delle carte da gioco sono un ricordo dei Lady days, i “giorni della signora”, quattro festività religiose che cadevano a metà tra i solstizi e gli equinozi, quando venivano venerate determinate sante: 1 febbraio, 1 maggio, 1 agosto e 1 novembre. Le cinquantadue carte rappresentano le settimane dell’anno, i quattro semi le quattro stagioni e le quattro regine i giorni di festa delle sante: santa Maria, santa Brigida, santa Giovanna e sant’Anna. Maria era le regina di cuori. Nel calendario celtico precristiano gli stessi giorni corrispondono alle feste più importanti dell’anno: Imbolc, Beltane, Lughasadh e Samhain. Ognuna di queste feste era consacrata ad una dea: Eostre, Epona, Danna e Briganta. La dea Briganta (Brigit) fu cristianizzata come santa Brigida e Danna divenne sant’Anna. Caterina infine sostituì Epona e la più importante, la dea della luna Eostra, fu rimpiazzata dalla Vergine Maria. 349 L’arrivo di Giuseppe di Arimatea a Marsiglia, nel 35 d.C., fu annotato dal bibliotecario vaticano cardinale Baronio negli Annales Ecclesiasticae del 1601. Di lì andò in Britannia, dove fu accolto dal re Arvirago di Siluria, fratello di Caractacus, il Pendragon. Giuseppe costruì una chiesa a Glastonbury, nel 64 d.C., che crebbe arricchendosi fino a diventare una grande abbazia benedettina. La Britannia era a quei tempi l’unico posto in cui persone ricercate dai Romani potessero vivere senza timore. Era infatti la patria dei dissidenti. 253


l’idromele”, vi è appunto una chiesa costruita sui resti di una chiesa molto più antica, risalente al I secolo d.C. e dedicata alla Vergine Maria. Sant’Agostino inviò il suo assistente Paolino affinché restaurasse quella chiesa, come risulta da un’iscrizione del VI secolo. I resti della Vergine Maria furono, probabilmente, rimossi quando i Vichinghi invasero la parte orientale dell’isola, e spostati nella vicina Llanbabo. Lì si trova, all’interno della locale chiesa, anch’essa molto antica, la lastra tombale del re Pabo, raffigurato con una corona e una tunica pesante, come un papa, e con uno scettro nella mano destra e una rosa nella sinistra. Dai tempi più antichi del cristianesimo la Vergine era simboleggiata da una rosa350, che precedentemente era il simbolo di Eostra, la dea della luna dei Celti. Dopo qualche tempo i resti della Vergine Maria furono probabilmente riportati nei pressi della chiesa eretta da Giuseppe d’Arimatea, e sepolti vicino al pozzo sacro351 dove si recava quotidianamente il custode del Graal, Seiriol, figlio di Artù. Lì, in quel luogo che originariamente era consacrato ad Eostra, è stata effettivamente

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Il rosario, che significa “giardino di rose”, prende nome da lei. Il popolo celtico venerava i fiumi, i laghi e gli stagni, e in particolare le sorgenti. Queste erano considerate i portali del mondo sotterraneo, i regni di dei e spiriti, ma soprattutto erano consacrate a Eostra, la dea della luna, della fertilità e delle guarigioni. Si credeva che facendo offerte votive, gettando i propri beni nell’acqua (da cui l’odierna usanza di gettare monete nelle fontane), la dea avrebbe concesso i suoi favori, guarito le malattie e realizzato i desideri. Quando conquistarono i regni celtici i Romani fecero proprie queste usanze, costruendo pozzi-santuari presso le fonti sacre. Le prime chiese cristiane erano invariabilmente costruite sopra o vicino pozzi sacri. 254

351


ritrovata una tomba antica, con una pietra con su un glifo greco: il simbolo astrologico della Vergine352. Il mito del Graal sta ad indicare l’esigenza di un contatto diretto con il divino, e quindi la possibilità che tale contatto avvenga tramite uno sforzo cosciente ed una ricerca interiore. Il Graal inizialmente non aveva niente a che vedere con Gesù, rappresentava il calderone magico nel quale i feriti potevano essere risanati e i morti riportati in vita. Il protagonista delle storie del Graal pagano non era Parsifal, né Lancillotto, ma Galvano353, la cui ricerca ha lo scopo, tutto pagano, di rendere di nuovo fertile la terra. Ovviamente i romanzi del Graal, che sorgevano dovunque nella stessa epoca in cui si muovevano i Templari, erano disapprovati dalla Chiesa. Essi cessarono quasi del tutto con la scomparsa dei Templari. Solo nel 1470 il tema fu riproposto da Sir Thomas Malory nel famoso La morte d’Arthur, e da allora ha sempre avuto un posto più o meno rilevante nella cultura occidentale. Nel racconto di Malory, il Graal, a differenza dei racconti epici precedenti, si identifica con una coppa, e di lì in poi l’identificazione non mutò più. La Chiesa aveva fatto proprio quell’antico racconto infarcito di eresie: un gruppo di monaci cistercensi aveva riscritto la leggenda del Graal, facendone un racconto cristiano. Le leggende più antiche in realtà dicono che Maria Maddalena, quando giunse in Francia, a Marsiglia più precisamente, dove le 352

Nel Medioevo il glifo della vergine era comunemente usato per simboleggiare la Vergine Maria. 353 Sir Gawain nell’originale. 255


sue spoglie sono tuttora venerate354, portò con sé il Graal, ma non si fa accenno ad una coppa. Solo con Malory il Graal diventa la coppa dell’ultima cena di Gesù, dove Giuseppe d’Arimatea raccolse il sangue di Cristo. In realtà Maria Maddalena, dopo la conversione, divenne a tutti gli effetti un apostolo, e come tale agiva. Secondo alcuni fu la Maddalena a ricevere l’investitura da Gesù, e non Pietro. Tutto ciò si ricava dai vangeli più antichi che, ovviamente, sono poi stati bollati come gnostici dalla Chiesa. La dottrina egualitaria di Gesù non era ben vista da un’istituzione che si fonda sulla presunta superiorità dell’uomo sulla donna, così come si può ben riscontrare ancora oggi. Diversamente, la Chiesa celtica, che aveva le sue radici nel cristianesimo alessandrino ed era diffusa in Irlanda, Scozia, Galles ed Inghilterra settentrionale, credeva che la donna avesse lo stesso diritto dell’uomo al sacerdozio, e conservò quest’idea finché non venne assorbita dalla Chiesa cattolica nel 625 d.C., in occasione del sinodo di Whitby. Mentre la Chiesa cristiana dell’Inghilterra teutonica, infatti, doveva la propria esistenza soprattutto all’iniziativa missionaria di Roma, le Chiese celtiche, assai più antiche, particolarmente quella d’Irlanda, erano più legate alla Gallia e all’Oriente. Era alla Gallia che l’Irlanda doveva in gran parte la propria conversione, e il rapporto tra i due paesi rimase stretto e ininterrotto. A sua volta la Chiesa della Gallia meridionale era stata sin dal suo sorgere in strettissimo contatto con le Chiese 354

Le spoglie di Maria Maddalena sono sepolte nell’abbazia di San Massimino, a circa 50 chilometri da Marsiglia. 256


orientali. Il grande monastero di Lerins, in cui si dice abbia studiato san Patrizio, era stato fondato da monaci Egiziani e per molti secoli la Chiesa Egiziana continuò a manifestare vivo interesse per le vicende della Gallia. Non solo Lerins, ma Marsiglia, Lione e altre parti della Gallia meridionale avevano continui rapporti con l’Egitto e la Siria, col risultato che molte istituzioni della Chiesa gallica, nonostante la crescente sottomissione a Roma a partire dall’anno 244, recavano forti tracce dell’influsso orientale. Grazie quindi agli stretti rapporti con la Gallia, i chierici e gli studiosi irlandesi erano in contatto con i loro confratelli Egiziani e siriani e con le idee e le pratiche allora prevalenti in quelle Chiese. Ma non c’erano solo influssi Egiziani e siriaci. La civiltà del Mezzogiorno francese era essenzialmente greca e tale rimase per molti secoli dopo l’era cristiana, il che spiega sicuramente il ben noto fenomeno della sopravvivenza in Irlanda della cultura greca anche dopo la sua pressoché completa scomparsa nel resto dell’Europa occidentale. Quando il cristianesimo divenne la religione ufficiale romana, non ci fu nessun tentativo di convertire la popolazione britanna. Le chiese, anche nei centri urbani, erano piccole e spoglie, mentre i grandi templi pagani continuavano ad essere frequentati. Il culto druidico primitivo, che comportava il cannibalismo rituale dopo l’esame dei segni augurali desunti dagli spasmi d’agonia della vittima, fu soppresso dal generale romano Paolino nel 61 d.C., in seguito alla conquista di Anglesey e

257


all’abbattimento dei boschi sacri355. Il druidismo continentale già adottato dal resto della Britannia a sud del Clyde era del rispettabile tipo celto-trace che onorava Belin, cioè Apollo. Questo culto non era una minaccia politica per i Romani, poiché la sua autorità centrale, il Sinodo druidico di Dreux, era stata distrutta dalla sconfitta cesariana di Vercitingetorige. Non ci fu conversione dei sacerdoti britannici alla religione romana, perché il pantheon romano era già alleato al loro e il culto mitriaco diffuso tra i legionari Romani non era che una versione orientale del loro culto di Eracle. L’unico obbligo religioso loro imposto, cioè il culto dell’imperatore come incarnazione temporanea del loro dio-Sole, non fu certo sentito come gravoso. In Britannia, quindi, non ci fu una questione religiosa come in Giudea, almeno sino al ritiro delle legioni romane. Le successive invasioni dei barbarici Juti, Angli e Sassoni misero in fuga i Britanni di civiltà romana, che ripararono in Galles356 o in Bretagna. La presenza in Inghilterra di quei barbari protesse le Chiese irlandese e gallese dalle intromissioni del cattolicesimo continentale, fino al XII secolo quando i Normanni vollero imporre l’autorità dell’arcivescovo di Canterbury, dando così il via alle guerre anglo-gallesi.

355

L’abbattimento degli alberi magici in Irlanda, nel 665 d.C. simboleggiò il trionfo del cristianesimo sul paganesimo. Tali alberi, cinque, erano alberi di frassino, tra cui l’albero di Tortu, di Dathi e l’albero frondoso di Usnech. 356 Il nome Gallese, cioè Welsh, deriva dalla parola sassone weala, che significa stranieri, come appunto i sassoni indicavano i Britanni. Questi ultimi, invece, tra loro si definivano “compatrioti”, cioè cymru. 258


La religione moderna

U

na religione moderna, qualunque essa sia, è quindi semplicemente un’evoluzione di idee e concetti, laddove questo cammino è iniziato oltre 20.000 anni

fa. Da una matrice unica e comune ai vari stanziamenti di uomini, che definire tali era semplicemente prematuro, sono nati i complessi concetti religiosi moderni che oggi si possono vedere, per chi ha occhi e volontà per farlo, oltre ad un certo spirito disincantato, come il risultato della stratificazione di più idee, unite, fuse e mescolate da parte di genti e popoli diversi. Il vinto assume per necessità le usanze del vincitore, ma anche il vincitore assume qualcosa dal vinto, specialmente quando il vinto è comunque un popolo ricco culturalmente, come lo erano i Greci. Quindi, anche il vincitore subisce, a contatto con il vinto, dei mutamenti in ogni senso, anche religioso. E se questo cammino lo uniamo allo sviluppo culturale e al progresso scientifico e sociale, e a tutto ciò che è accaduto in diecimila anni di storia, ecco che diventa più facile comprendere come ed, entro certi limiti, anche perché la religione moderna non è altro che una religione antica evolutasi nel tempo.

259


In qualunque modo si voglia vedere la religione, come una necessità o una consapevolezza, sia il credente sia il laico non possono far altro che convenire in una cosa, e cioè che nel Dio odierno non sono spenti gli echi degli dèi del medioevo, dei Romani, dei Greci, e così via fino all’uomo primitivo. Disconoscere questo significa disconoscere anche il progresso e l’evoluzione dell’uomo in tutto il periodo in cui ha abitato sul nostro pianeta. Quindi, si può ragionevolmente affermare che gli dèi moderni non sono altro che l’evoluzione di quelli antichi. Caratteristico è il culto di Serapide, divinità costruita su misura ad Alessandria, a seguito dello studio di filosofi e sacerdoti, in modo da attrarre sia Greci, che a quei tempi governavano l’Egitto, sia Egiziani. Derivava in parte da Apis, l’antico toro sacro Egiziano originario della vecchia capitale Menfi, che era spesso indicato come consorte di Iside, assorbendo quindi il culto di Osiride, e talvolta, a beneficio dei Greci, veniva identificato con Zeus. In realtà non è facile identificare un dio moderno con uno dei Greci, ad esempio, e tra l’altro questa operazione sarebbe anche fuorviante. Come già precisato, il dio di oggi non è altro che la stratificazione di elementi ripresi, con il passare dei millenni, da civiltà e popoli diversi completamente tra loro. Si potrebbe quasi definire un’evoluzione di tipo darwiniano. Il dio acquista nuove caratteristiche man mano che egli si impone a nuovi popoli. Questi popoli si modificano a contatto col dio, e così via fino ad oggi, laddove è estremamente difficile

260


riconoscere aspetti che risalgono a quello o quell’altro periodo storico. L’identificazione degli dèi moderni con le divinità antiche è molto semplice se si conosce la mitologia che ha accompagnato la crescita dell’uomo. Il passaggio dalla dea donna al dio uomo fu abbastanza semplice. Esso si svolse in quattro fasi: 1) prima vi era la dea come origine di tutte le cose e di tutti i viventi; 2) poi la dea si unì al fanciullo divino per fertilizzare i campi e donare la vita; 3) la dea affiancò a se il re sacro che regnava in sua vece, mentre la regina si occupava solo dei riti della fertilizzazione, e l’amante della Dea venne venerato come personificazione maschile della luna e un fanciullo veniva ucciso ogni anno in sua vece; 4) infine la dea venne spodestata dal re sacro il quale la sottomise e regnò da solo; il re rinnegò la sua personificazione di dio Luna e si proclamò dio Sole alla maniera Egizia, liberandosi quindi dalla dipendenza dalla luna sebbene continuasse ogni anno a celebrare il matrimonio sacro; il matrimonio patriarcale si sostituì però a quello matriarcale e le tribù venerarono antenati maschi. Il dio Sole soppiantò il dio Tuono. Quindi, dapprima la dea fu affiancata da altre divinità minori, come il giovane dio che si sdoppiò in breve tempo, come Anno Vecchio e Anno Nuovo. Queste divinità minori divennero dèi veri e propri, e poi, riunificatisi, soppiantarono la grande dea. Questa operazione di mascolinizzazione fu seguita dalla 261


creazione di una schiera di divinità gerarchicamente subordinate al grande dio, come dio Universale, che aveva acquisito i poteri della dea universale soppiantata. Le divinità minori si moltiplicarono col tempo. La fusione dei popoli determinò la fusione anche delle religioni e dei miti, cosicché in breve i tanti dèi universali furono riuniti e soppiantati da un solo dio, il dio unico e universale, che oggi è quello del cristianesimo, sostanzialmente lo Jahvè ebraico. L’universalizzazione del dio comportò l’esigenza di porre come tramite dello stesso nei confronti degli uomini altri dèi minori. In origine questi erano Ade, Marte e così via, poi divennero gli angeli. La Trinità moderna nacque da queste gerarchie religiose. La triade, grande dea, dio vecchio e dio nuovo, divenne poi tante altre triadi, come ad esempio Zeus, Ade e Apollo. Nel momento in cui questa triade divenne la sacra trinità, formata da Jahvè (Zeus-Saturno), Gesù (Apollo357) e un terzo dio (AdeDioniso), quest’ultimo fu detronizzato e precipitato dal suo posto, la sinistra del dio padre, e divenne il diavolo. Questo è proprio cioè che accadde a Lucifero358, il cui nome, a ricordare le sua origine angelica, significa “apportatore di luce”. Lucifero era anche il nome del Figlio della Dea Madre, perché come stella della sera precedeva la luce della luna, rinasceva ogni anno, raggiungeva la maturità ad anno inoltrato, uccideva il 357

Apollo era comunemente indicato come Il Salvatore, e non era dedito ad avventure amorose. 358 Lucifero deriva da Helel, figlio di El, il dio dei cananei, poi cooptato dagli Ebrei. Helel vuol dire “portatore di luce”, epiteto con cui di solito si intende Venere nel ruolo di stella del mattino. Tale epiteto fu usato anche per altri dei del passato, come per lo stesso Gesù, ed anche i faraoni ed i re d’Egitto venivano considerati figli di Horus perché resuscitati alla luce di Venere. 262


serpente e conquistava l’amore della dea. Questo amore lo distruggeva, ma dalle sue ceneri nasceva un altro serpente (il serpente della saggezza), che a Pasqua deponeva il glain, l’uovo rosso che la dea mangiava, e dal quale rinasceva di nuovo il figlio-Stella della vita. Dioniso nacque come serpente, che notoriamente simboleggia il diavolo. Ma Apollo e Dioniso sono in sostanza la stessa persona, tant’è che l’uno sostituiva temporaneamente l’altro nella loro funzione oracolare. Per cui si può sostenere che l’ApolloDioniso, asceso al cielo e posto alla destra359 del padre, fu sdoppiato, e la sua parte buona, Apollo-Gesù, rimase, mentre l’altra parte, quella cattiva, cioè Dioniso-diavolo, fu precipitata. Tale sdoppiamento era un’ovvia necessità per conformarsi alla concezione trina ormai imposta da secoli. La precipitazione del dio minore era, probabilmente, una possibile risposta alla necessità di trovare un’origine al male palesemente presente nel 359

La destra è sempre associata alla crescita e alla forza, poiché con la luna crescente le piante crescono più in fretta che con la luna calante, mentre la sinistra è ricollegata alla debolezza e al declino. La marcia dei soldati nell’Europa moderna, che portano avanti per primo il piede sinistro, nasce da un’usanza degli antichi Etoli che erano famosi perché portavano un sandalo solo al piede sinistro, dal lato dove tenevano lo scudo, probabilmente per calciare nel ventre degli avversari. Il piede sinistro divenne, quindi, il piede dell’inimicizia, e non lo si posava mai per primo sulla soglia di una casa amica. Tutto ciò che riguarda il sinistro è ammantato di decadenza e degenerazione. Ciò deriva probabilmente dal fatto che la luna, via via che invecchia, sorge ogni notte un po’ più a sinistra. Del resto “sinistro” in antico germanico significa “debole, vecchio, tremante”. Infatti, le danze degli adoratori della luna avevano andamento destrorso, cioè in senso orario, per indurre prosperità; quelle invece che erano eseguite per provocare danno o morte avevano andamento sinistrorso, cioè in senso antiorario. Analogamente la ruota di fuoco, o svastica, è volta a destra ed è il simbolo del sole, è di buon augurio. Quella sinistrorsa, adottata dai nazisti, è perniciosa. La parola inglese curse, “maledizione”, deriva dal latino cursus, “percorso”, abbreviazione di cursus contra solem. 263


mondo, e che non poteva essere, per ovvi motivi, creato da un dio, ma doveva venire al mondo da un demone. Demoni e spauracchi infatti sono invariabilmente dèi decaduti o sacerdoti di una religione spodestata, come le Lamie greche, che erano state le sacerdotesse orgiastiche della dea-serpente libica Lamia360, e poi divennero donne affascinanti che seducevano i viaggiatori per succhiarne il sangue. Oppure le Empuse361, demonesse con una gamba di bronzo e una d’asino, che erano vestigia del culto di Seth. O i Lilim, o figli di Lilith362, devoti alla dea-civetta ebraica, che era la prima moglie di Adamo. Il poeta greco Omero non distingue infatti fra dèi e daìmones, che appaiono come le stesse persone. Come è sempre avvenuto, gli dei di una data religione si trasformano nei demoni della religione che la soppianta. Astarte, la dea madre degli antichi fenici-cananei, la “Regina del Cielo” e “Stella del mare”, divenne il demone Astarotte. Pan era il dio della natura dell’epoca romana classica, che incarnava le forze del mondo naturale, compresa l’energia sessuale, la fertilità, poiché nel cristianesimo la sessualità era guardata con timore e sospetto, ed era peccaminosa, tranne che nel matrimonio, poi divenne un essere malvagio, l’incarnazione del male, divenne,

360

Lamia era la libica Neith, dea dell’amore e della battaglia, chiamata anche Anatha e Atena; il suo culto fu soppresso dagli Achei e finì per diventare uno spauracchio per i bambini. 361 Le Empuse (“che si introducono a forza”) erano demoni femminili smaniosi di sedurre gli uomini: una concezione probabilmente giunta in Grecia dalla Palestina, dove tali demoni portavano il nome di Lilim (“figlie di Lilith”). 362 Lilith (“civetta”) era l’Ecate cananea e gli Ebrei, fino al Medioevo, portarono amuleti per proteggersi dai suoi attacchi. 264


anche iconicamente, il Demonio. Anche il dio celtico Cernunno, avendo anch’egli le corna, si fuse nel demonio cristiano. Ma il diavolo (dal greco diabolos, “il calunniatore”) non è altro che un’emanazione del dio. Infatti, se è vero che uno dei nomi di dio è, o contiene, Baal, dio cananeo delle tempeste e della guerra, è anche vero che Baal in seguito divenne uno dei diavoli delle schiere infernali. Un suo “derivato”, Belzebù, divenne uno dei più importanti diavoli. Il suo nome deriva da Baal zevuv, che significa “il signore delle mosche”. A questo punto è interessante notare che nella Bibbia più volte Jahvè manda agli Ebrei insetti per castigarli di qualche loro mancanza, e spesso sono, appunto, mosche. Secondo altri studiosi Belzebù deriva da Baal Zebul, che significa “signore della dimora (del Nord)”, che era un dio della fertilità adorato dalla tribù di Zabulon sul monte Tabor. La Triade originaria divenne, in seguito alla caduta del demone, una Trinità incompleta, e il posto vuoto fu preso dallo Spirito Santo, che era in realtà un modo per colmare un vuoto preoccupante per la Chiesa. Il terzo posto, cioè la terza colonna dell’arco ebraico (la volta dell’arco che rappresentava il dio unico che vegliava sul popolo attraverso le due colonne, cioè i due messia), era stato mal compreso dai proto-cristiani. Un concetto del genere, elemento portante del nuovo movimento religioso che stava acquistando sempre maggior potere, doveva essere necessariamente completato, e lo fu nel modo che conosciamo, creando così involontariamente una sorta di

265


politeismo rifiutato dalle altre religioni monoteistiche odierne, quella ebraica e quella islamica363. Il concetto di divinità trina, del tutto estraneo alla cultura ebraica, invece, era proprio della cultura celtica, dove i druidi solevano

insegnare

probabilmente,

tramite

inglobato

nel

triadi.

Tale

cristianesimo

concetto a

fu,

partire

dall’interpretazione greca. Anche l’India aveva la sua Trinità, composta dal padre, Brahma, la madre, Maya, e il figlio, Visnu. In epoche successive si fece sentire l’influsso pagano non ancora del tutto sopito, e quindi la Triade della Dea Bianca e dei Greci e dei Romani, si rifece avanti. La Chiesa preoccupata di ciò fece tutto quello che era in suo potere per estirpare le eresie, cioè le altre religioni che potevano minare la verità cristiana. Per non perdere potere estirparono del tutto, con tutta la violenza possibile, quello che rimaneva dei culti pagani. Talvolta ciò avveniva in modo non violento, tramite operazioni sincretiche: ad esempio, nel nuovo mondo i preti solevano dire agli indigeni indiani che quando adoravano una figura di donna in realtà adoravano la Madonna, cioè erano cristiani senza saperlo. È presumibile che alcuni di loro ci credevano, ma non è dato sapere con certezza che fine facessero quelli che giudicavano ridicola un’idea del genere. Probabilmente non vivevano a lungo. Incidentalmente, è opportuno notare che l’islamismo nel primo millennio era un movimento più pacifico di quanto lo fu il 363

In realtà, anche il ricco e variopinto politeismo indù si riduce, sul piano filosofico, a un monoteismo. Infatti, anche gli dei sono soggetti alla legge del karma, e quindi destinati a perdere la loro condizione privilegiata. Essi quindi si pongono a metà strada fra gli uomini e quella fatidica realtà suprema e impersonale chiamata Brahman. 266


cristianesimo. Infatti, i musulmani si limitavano a chiedere ai cristiani catturati di convertirsi. Se questi non lo facevano erano solo costretti a pagare una multa, ma non venivano mai uccisi. I cristiani invece erano soliti uccidere coloro che non si convertivano alla loro religione, sentendosi gli unici depositari della verità. Con ciò denotando un’intolleranza mai eguagliata nella storia, se non, forse, ai giorni nostri364. Il più spesso possibile, però, i cristiani avevano la cattiva abitudine di usare forme di violenza avanzatissime nei confronti dei non cristiani. Per secoli gli eretici furono perseguitati, rei semplicemente di pensarla diversamente su un solo punto della dottrina, oppure di discutere su alcuni punti della dottrina che dovevano essere invece considerati dogmi, e cioè non discussi, pena l’accusa, appunto, di eresia. Tutti quelli che la pensavano diversamente vivevano con una spada di Damocle sulla testa. Ma non solo. In epoca medievale chiunque poteva essere accusato di eresia e mandato a morte, senza alcuna prova, e spesso senza alcuna colpa, se non quella di essere in odio all’accusatore. Indimenticabili sono i roghi delle streghe365, laddove spesso queste non erano che donne sole, o brutte, o con qualche caratteristica sgraziata. Insomma la religione cristiana è stata per secoli il mezzo e il fine per veri e propri massacri di interi 364

Un aspetto che contraddistingue il buddhismo rispetto al cristianesimo e all’islamismo è che il primo non ingiunge di far sparire gli dei preesistenti, producendo una sintesi delle religioni, mentre gli altri due annullano gli dei del paese in cui si affermano. 365 Una donna accusata di stregoneria era messa a morte sulla base di indizi labilissimi, se non addirittura inesistenti. Ad esempio se essa, dopo notevoli torture non moriva, era considerata strega, se moriva… il problema non si poneva più. Spesso tali accuse erano solo un modo per liberarsi di persone scomode oppure handicappate. 267


villaggi e popoli366. E questo man mano che essa diventava più potente. Ovviamente insieme alle operazioni strettamente militari si avevano operazioni più culturali per sottrarre spazio ai riti pagani. Operazioni sincretiche come quelle accennate si ebbero spesso anche in Europa. Operazione di questo tipo fu lo spostamento della data di nascita di Gesù al 25 dicembre, per sottrarre potere ai seguaci di Mitra. Ancora, vi fu la soppressione della festa di Piedigrotta a Napoli, festa che fin quasi ai giorni nostri era caratterizzata da espressioni popolari tipiche delle orge in onore di Priapo e dei riti della fertilità. Altre operazioni furono più dottrinali. Una di queste fu ad esempio quella, di cui si è accennato più sopra, con la quale si trasformò il terzo elemento della Triade nel dio decaduto, e cioè Lucifero, il diavolo. In molti casi la Chiesa fu costretta ad ammettere tacitamente la propria sconfitta nel tentativo di estirpare l’antica religione pagana, e cercò quindi di assorbirla. In gran parte dell’Europa cristiana, il cristianesimo era in effetti solo una facciata, una sovrastruttura artificiale imposta dall’esterno, che lasciava più o meno intatti gli strati preesistenti. Gli abitanti dei villaggi partecipavano alle funzioni domenicali, pagavano la decima, mostravano deferenza verso la gerarchia ecclesiastica, ma continuavano a praticare l’antica religione. In questo modo sopravvissero rituali come la Walpurgisnacht, il sabba delle streghe, con la sua frenesia orgiastico-sessuale e l’assunzione di 366

Qualche studioso ha cercato di calcolare il numero di morti conseguenti a guerre dichiarate contro gli eretici azzardando cifre tra i dieci e i cinquecento milioni di vite stroncate in nome della “giusta” religione. 268


droghe iniziatiche come la segale cornuta, un potente allucinogeno che dava la sensazione di volare367. L’opera medievale Gawain and the Green Knight, “Sir Galvano e il cavaliere verde”, pur comparendo nell’Europa già cristiana in apparenza, è un’esplicita raffigurazione della magia pagana precristiana. Il cavaliere verde368 è la rappresentazione, in termini cavallereschi, dell’antica divinità celtica della vegetazione, equivalente al dio Pan, che presiede al ciclo delle stagioni, alla semina, alla mietitura, alla nascita, alla morte e alla rinascita dell’anno. Il poema riflette l’inutilità donchisciottesca dei tentativi dell’uomo di interferire con i processi naturali, la vanità dei suoi sforzi di intromettersi nel corso della natura. Nel 601 papa Gregorio I scriveva che i templi e gli idoli del popolo d’Inghilterra non dovessero essere distrutti, ma purificati dal culto dei demoni e dedicati al servizio del vero dio.

367

In tempi più remoti le streghe tessaliche utilizzavano l’aconito, veleno paralizzante, per confezionare un unguento che, secondo loro, permetteva di volare: intorpidiva, infatti, i piedi e le mani e dava la sensazione di essere sospesi nel vuoto. 368 L’uomo verde (green man) della mitologia celtica era l’incarnazione della terra. Egli compare nelle leggende medievali nelle vesti del cavaliere verde, protagonista dell’omonimo poema epico. Questi era un misterioso personaggio che si era introdotto nella corte di re Artù per mettere alla prova Sir Galvano (Gawain). Varie figure leggendarie furono ispirate alla natura, come Peter Pan e Robin Hood. 269


Le menzogne della Chiesa

L

a Chiesa cristiana ha sempre cercato, spesso riuscendoci,

di

eliminare

qualsiasi

dottrina,

concezione, mito o leggenda che potesse minare il

suo apparato dottrinario elaborato faticosamente nel corso dei secoli. È importante notare, infatti, che quello che oggi ci appare chiaro in materia religiosa, non lo era nel medioevo. Nei concili della Chiesa le dispute religiose, anche su aspetti di grande rilevanza, difficilmente trovavano l’accordo di tutte le parti in causa che vi partecipavano, che erano tutti religiosi appartenenti alla sola Chiesa cristiana. La dottrina dell’infallibilità del Papa, ad esempio, fu formulata ufficialmente per la prima volta solo il 18 luglio 1870, e tale dottrina faceva parte della reazione della Chiesa di Roma alle tendenze moderniste, oltre che al pensiero darwiniano e alla crescente potenza continentale della Prussia luterana. È molto difficile credere che quello che oggi sostiene la Chiesa, e che noi dovremmo accettare acriticamente, sia in realtà quanto credevano e sostenevano i padri della Chiesa primitiva cristiana, ai tempi di Gesù. Questo, ovviamente, senza impelagarci nel problema

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dell’identificazione degli appartenenti alla chiesa primitiva cristiana. Il concetto di trinità “nacque” solo nel 325, con il concilio di Nicea. Non solo. Durante il medesimo concilio fu fatta la selezione dei Vangeli canonici369, separandoli da quelli apocrifi370. Secondo le versione accreditate dalla Chiesa fu lo stesso spirito santo ad indicare ai vescovi presenti quali fossero i vangeli ispirati da Dio. Pur tuttavia i vescovi, ancora diffidenti, accolsero il suggerimento dello spirito santo solo per votazione maggioritaria, e non all’unanimità! Anche la decisione che “Cristo” era il “Dio Salvatore” fu presa, con un solo voto di scarto, nel 325 d.C., al concilio di Nicea. La Chiesa, nei secoli, ha utilizzato sostanzialmente tre tipi di tecniche per mettere a tacere le voci fuori del coro. Innanzi tutto si iniziava con la derisione delle credenze contrarie, poi si passava all’incorporazione. Esempi classici di incorporazione, come abbiamo visto, sono le operazioni di sincretismo. Quando i primi europei giunsero nel nuovo mondo, e vi trovarono gli indigeni che celebravano l’immagine di una donna con la pelle scura, dissero loro che celebravano l’immagine della Madonna

369

I Vangeli oggi riconosciuti dalla Chiesa sono solo quattro, ma si tratta di testi scritti molti anni dopo la morte di Gesù, da parte di persone che non hanno quasi mai conosciuto direttamente i fatti che descrivono. Secondo Sant’Ireneo il vangelo è la colonna della Chiesa, e poiché la Chiesa è diffusa in tutto il mondo, il quale è diviso in quattro regioni, conviene che ci siano quattro vangeli, quattro come i punti cardinali. 370 In origine un testo apocrifo era un testo occulto per uso privato ed esclusivo di una setta. Poi, con l’accendersi delle lotte per l’ortodossia, apocrifo divenne dapprima uno scritto di dubbia autenticità e poi un testo poco raccomandabile ed eretico. 271


senza saperlo. Se anche tale tecnica non sortiva l’effetto desiderato, si passava all’ultimo stadio: l’eliminazione. La Chiesa dei primi secoli, e poi quella medievale e rinascimentale, combatté profondamente sia le sopravvivenze del paganesimo, sia l’animismo rurale, i quali non si separarono mai nettamente, ma avevano numerosi punti di interscambio. In entrambi i casi la Chiesa combatteva il diavolo, con la sua capacità di ingannare e tentare, e quindi ispiratore sia dell’eresia sia delle superstizioni. Se l’eretico colpiva, con le sue scelte, il tessuto della fede e la Chiesa, la strega371 metteva in pericolo la società civile, gli individui. Se la Chiesa riusciva a dimostrare che gli eretici e le streghe372, e gli stregoni, erano sostanzialmente un’unica entità, allora il papa e l’imperatore avevano un nemico comune, da perseguire insieme unendo le forze. Nel 1475 papa Sisto IV sancì, infatti, la completa equivalenza tra eresia e stregoneria. Ciò comportava che il tribunale ecclesiastico giudicasse anche i crimini contro gli uomini, perché il più grave è sempre il crimine contro la divinità. D’altro canto, quand’anche l’accusato fosse riconosciuto non colpevole, ma solo per mancanza di prove373, egli veniva inviato alla giustizia secolare, cioè al tribunale civile, perché ricevesse la giusta pena per i crimini, comunque

371

La parola witch (strega) deriva da un’antica variante di willow (salice), da cui viene anche wicker (vimine) e probabilmente wicked (malvagio). Il salice era l’albero della “triplice dea della luna”. 372 Le streghe, prima di essere mandate al rogo, nel medioevo sostenevano di aver avuto visioni di una “buona signora” che, anche se aveva spesso nomi diversi, si rifaceva alla figura pagana della dea Diana. 373 Non esisteva l’assoluzione con formula piena. 272


compiuti, contro la società civile, cioè, sempre e comunque, la morte. La Chiesa, inoltre, perseguì anche l’obiettivo di colpire le streghe attraverso il popolo. Nel descrivere le streghe, e quindi gli eretici, come persone pericolose per l’uomo, i campi e il bestiame, nel descriverli come autori di sacrifici animali e di bambini, di cui si cibavano durante i sabba, si invitava il popolo a mettersi contro di loro, a denunciarle. È proprio di questo periodo storico il pensiero della donnafemmina-strega, cioè creatura debole e stupida, facilmente ingannabile, per questo agevole preda del demonio. L’idea della donna “malfatta” attraverserà i secoli ribaltando completamente l’idea primitiva di superiorità femminile e portando a compimento, anzi alle estreme conseguenze il processo di affermazione della superiorità dell’uomo. La caccia alle streghe può quindi essere letta anche come una guerra del potere maschile contro le ultime forme di matriarcato. L’obiettivo centrale era togliere alle donne il “potere” dì curare i malanni e assistere al parto, potere che doveva essere affidato al monopolio della casta maschile dei medici. Nel ‘600 Cornelius Loos fu il primo ad identificare nelle streghe una cultura alternativa a quella dominante e molto radicata fra gli umili, per questo fu condannato al rogo. Iniziò, quindi, l’opera destinata a dipingere le streghe come avversarie temibili e pericolose, come eretiche, peccatrici, assassine, blasfeme. Giorno dopo giorno i particolari si aggiungevano al quadro creato ad arte dalle opere dei vari 273


ecclesiastici, come il Malleus meleficarum374 di Heinrich Krämer375 e Jakob Sprenger, due teologi domenicani. Nel Malleus, tra l’altro, si afferma chiaramente che “nessuno reca maggiore danno alla Chiesa delle levatrici”. I roghi delle streghe si susseguirono ferocemente in tutta Europa, ad opera della spietata Inquisizione376, che fu istituita nel 1229 al concilio di Tolosa subito dopo lo sterminio degli eretici Catari e la riconquista del sud della Francia alla “vera fede”. Solo a Como furono bruciate circa cento streghe ogni anno377. In Lorena il giudice si vantò di aver bruciato circa 3000 streghe tra il 1576 e il 1606. in Polonia, tra il 1650 e il 1700, furono circa diecimila le vittime della caccia alle streghe. L’ultima strega fu bruciata nel 1793, aggiungendosi al numero impressionante di vittime che sfiorerebbe, secondo recenti calcoli, il milione di morti. Le streghe si riunivano quattro volte l’anno per il “sabba”. Ma non è un caso che le date previste erano giorni di feste pagane. La festa di Candelora (2 febbraio) si riteneva segnasse il rinascere dell’anno ed era il primo dei quattro “giorni di mezzo trimestre” (cross-quarter days), in cui le streghe britanniche celebravano i loro sabba. Gli altri tre erano May Eve, 374

La tesi del Malleus è che la stregoneria è una forma di eresia, così come è atteggiamento eretico negarne l’esistenza. Il Malleus, riprodotto con la nuova tecnica della stampa inventata da Gutenberg, divenne un best-seller dell’epoca, e verrà ristampato fino al 1669. 375 Detto Institoris. 376 L’Inquisizione esiste ancora oggi, e si chiama Sant’Ufficio dal 1908. Conserva l’autorità di censurare gli scritti sulla Chiesa e di scomunicare qualsiasi cattolico giudicato colpevole di offesa nei confronti della fede. 377 300 streghe furono bruciate nel 1416; sessanta nel 1484 e altre 300 nel 1514. il Comune ammonì l’Inquisitore per il suo eccessivo zelo. 274


Calendimaggio, cioè il primo di maggio, famoso per la sue baldorie orgiastiche; Lammas, la festa del raccolto, cioè il 1° agosto, che originariamente era la commemorazione della morte del dio Lugh378, che si teneva la prima domenica d’agosto, detta appunto Lugh nasadh, poi Lugh-mass, e infine Lammas; e infine All Hallows, la vigilia di Ognissanti, oggi Hallowe’en, il cui nome originario era però Samain, la notte, tra il 31 ottobre e il primo novembre, in cui le anime dei defunti vagano per la terra, la notte durante la quale i druidi officiavano i sacrifici umani per consentire al sole di sorgere nuovamente, e che segnava la morte dell’anno. Questi giorni corrispondono alle quattro grandi feste del fuoco irlandesi. In Irlanda e negli Highlands scozzesi il 2 febbraio è, giustamente, la festa di Santa Brigitta, che un tempo era la Dea Bianca, la Triplice Musa del risveglio alla vita. Sono quindi, a tutti gli effetti, giorni di festività pagane. Così la Chiesa perseguendo le streghe, perseguiva contemporaneamente anche le superstizioni pagane rimaste ancora in vita. Protagonista principale del sabba, anche se non sempre presente in corpore, era ovviamente il diavolo. Egli, nella forma di capro o di cane, assisteva alla cerimonia, vi partecipava e “iniziava” le streghe. Leggendo una descrizione del sabba, vista di nascosto, è facile tornare con la mente ai rituali orgiastici dedicati alla Dea luna, dove ella si accoppiava con lo sposo vestito con la pelle di capro 378

Nella lingua degli Allobrogi corvo si diceva lug, e il loro dio era Lugos (poi anche Lug semplicemente). Lugdunum (città della Bretagna) era la fortezza di Lugos, ed era così chiamata perché un volo di corvi indicò che in quel punto doveva sorgere la città. 275


e, di seguito, un capro vero, come capro espiatorio, veniva sacrificato. Il sabba, quindi, non è altro che una reminiscenza, in parte modificata, degli antichi riti primitivi. Ecco quindi che la Chiesa, combattendo la stregoneria, combatteva la tradizione pagana delle comunità rurali, dove la memoria degli antichi riti era ancora viva e più difficile da estirpare. La Chiesa comprendeva perfettamente che la cultura era un veicolo potenzialmente terribile, più ancora dell’esempio vivo e concreto, nella diffusione delle idee. Per questo a fianco del rogo di Giordano Bruno e della condanna all’esilio di Galileo Galilei, troviamo i roghi dei libri. L’Inquisizione bruciò più libri che uomini, perché è meno crudele e perché il bruciare libri significa eliminare il pensiero del male, più pericoloso del male stesso. Le operazioni tendenti ad evitare ogni possibile discussione sulle dottrine odierne professate dalla Chiesa, sono continuate per secoli. Ultimo esempio di tale attività è stato il ritrovamento dei

rotoli

del

Mar

Morto.

Rinvenuti

nel

1947,

tali

importantissimi manoscritti sono stati pubblicati, in parte, solo a distanza di moltissimi anni. Ancora oggi, dopo cinquant’anni, si attende la pubblicazione di alcuni di essi. Molti autori hanno sostenuto che la lentezza dell’operazione era dovuta alla necessità di far scemare l’interesse intorno ai manoscritti, e, probabilmente, all’esigenza di “occultare” tutto ciò che andasse in contraddizione con la visione oggi preminente della dottrina cristiana. Quei pochi autori che, andando contro le direttive del ristretto gruppo che si occupò della traduzione dei rotoli, chiesero la pubblicazione immediata dei lavori, e in parte 276


pubblicarono traduzioni di frammenti in loro possesso, hanno dovuto subire infamanti attacchi alla loro integrità di studiosi, se non addirittura l’ostracismo accademico. Nei rotoli in questione, il gruppo che si è occupati della traduzione, ha sostenuto non esservi niente di nuovo. Secondo loro si parlava di una comunità, gli Esseni, che non avevano niente a che fare con Gesù, una “setta” che viveva secondo regola monastica, quasi ascetica, senza quasi avere contatti con il mondo esterno. Poi, quando nel “rotolo di rame” si parla di ingenti tesori in possesso della “setta”, cosa che sarebbe in contraddizione con la vita ascetica di questi monaci primitivi, e che farebbe pensare che in realtà quei tesori fossero quelli del Tempio di Gerusalemme, e che il possesso da parte degli Esseni indicava che essi erano sicuramente una parte politica nella vita del tempo, il gruppo di cui sopra sostenne che il lungo elenco di tesori non era altro che una “raccolta di tradizioni sui tesori nascosti”. Questo solo per fare un esempio, ma nei rotoli pubblicati esiste molto materiale che fa discutere. Ai giorni nostri, anche se può sembrare strano, continuano i tentativi della Chiesa di screditare tutto ciò che si contrappone alle “verità rivelate”. Nel 1807, Pio IX promulgò la dottrina dell’infallibilità del Papa. Di seguito fu creato il Movimento modernista cattolico, formato da studiosi ecclesiastici che avrebbero dovuto difendere le verità della Chiesa. Il tentativo si rivelò un fallimento, perché i più disertarono la causa a seguito delle incoerenze e delle implicazioni avverse al dogma di Roma nelle quali si imbattevano durante i loro studi. 277


Nel 1903 papa Leone XIII istituì la Pontificia commissione biblica379, che aveva il compito di vigilare e controllare il lavoro degli studiosi biblici cattolici. Le opere di Alfred Loisy380, uno dei modernisti, furono inserite nell’Indice dei libri proibiti. La battaglia contro il movimento creato dalla stessa Chiesa si intensificò. Nel 1907 il modernismo fu dichiarato eretico, e un notevole numero di libri fu messo all’Indice. Alcuni scrittori modernisti furono scomunicati e ai seminaristi fu proibito, addirittura, di leggere i giornali. Anche lo studio delle Sacre Scritture è stato sempre osteggiato dalla Chiesa. Per lo più si invitava ad attenersi al catechismo, mentre la stessa traduzione della Bibbia era punita con la scomunica o con la prigione a vita. La traduzione delle sacre scritture, infatti, era ritenuta di appartenenza esclusiva alla Chiesa. Questo concetto, ovviamente, si inseriva nel quadro che vedeva la Chiesa come unica interprete delle scritture381. 379

La Commissione ha il compito di “salvaguardare l’autorità delle Sacre Scritture e garantirne la corretta interpretazione”. Per fare ciò può emanare decreti ufficiali sul modo corretto di insegnare le sacre scritture. Per esempio nel 1907 la Commissione stabilì, per decreto, che Mosè era l’unico autore del Pentateuco. Il capo della Commissione Pontificia è a capo anche della Congregazione per la dottrina della fede, istituzione datata al 1965, ma che in realtà è antichissima, infatti, nel 1542 prese il nome di Sant’Uffizio e, prima, Santa Inquisizione. La Congregazione è a tutti gli effetti un tribunale che giudica, in segreto, gli ecclesiastici che hanno violato la dottrina. Dal 1971 la Commissione e la Congregazione sono fuse in un’unica istituzione, e risiedono nel Palazzo della Congregazione in piazza del Sant’Uffizio a Roma. 380 Loisy si domandò pubblicamente come, alla luce delle recenti scoperte storiche ed archeologiche, potessero trovare giustificazione molte dottrine della Chiesa. “Gesù ha proclamato la venuta del Regno di Dio”, dichiarò, “e al suo posto è venuta la Chiesa”. 381 Il concilio di Trento, convocato per combattere le nascenti eresie, stabilì che il diritto di interpretare le sacre scritture apparteneva solo ed esclusivamente alla Chiesa, e che i sacramenti erano irrinunciabili per la salvezza dell’anima. 278


Nel medioevo esisteva solo la Bibbia in greco e in latino, lingue conosciute solo dai colti, che per lo più erano ecclesiastici, così ci si assicurava che il popolo non potesse leggere la Bibbia. Questo finché Lutero, a rischio della propria vita, tradusse la Bibbia in tedesco. Martin Lutero era un monaco agostiniano che, dopo una crisi spirituale, dette inizio da solo a una rivolta che, in appena quattro anni, portò alla Riforma protestante. Egli affermava che solo la fede era necessaria per arrivare alla salvezza, e che le buone opere erano superflue. Se la fede era l’unico prerequisito per la salvezza, allora anche la mediazione della Chiesa e dei sacerdoti diveniva superflua. L’assoluzione dal peccato deriva da un rapporto diretto con Dio, e il fedele può ottenerla solo attraverso la fede, non con le proprie opere, né tantomeno con l’acquisto delle indulgenze382 o per l’intervento di un confessore. Egli, inoltre, fece pubblicare la Bibbia, grazie alla recente invenzione 382

All’epoca di Lutero era usanza diffusa la vendita delle indulgenze. Anche il delitto più orrendo poteva essere perdonato pagando. Addirittura era possibile pagare, ed ottenere l’indulgenza, prima di commettere il delitto. I secoli tra il ‘900 e il 1000 videro l’estrema decadenza del papato, l’asservimento delle gerarchie ecclesiastiche all’autorità imperiale e una generale corruzione della Chiesa. All’ordine del giorno era la simonia, cioè la compravendita delle assoluzioni, dei benefici ecclesiastici e delle cariche religiose. In reazione a questo stato di cose nacquero due movimenti, uno monastico, quello cluniacense, che si batteva per una rinascita morale della Chiesa ed un ritorno al suo ruolo di guida spirituale, ed uno popolare, che si batteva contro lo strapotere dei feudatari ecclesiastici e per una Chiesa che fosse più vicina agli umili. Il movimento popolare si espresse per lo più con i patarini e fu sfruttato a fondo per scardinare lo status quo, fino al momento in cui un esponente dei cluniacensi, Gregorio VII, venne eletto al soglio pontificio. Dopo di ché il movimento popolare non serviva più, e si rese necessario scioglierlo, anche con le cattive. Il fatto che il papa era in sostanza un potente sovrano, e che i vescovi erano i suoi generali, spinse il popolo affamato verso i movimenti ereticali, che predicavano il ritorno ad una Chiesa povera, e per i poveri. 279


della stampa, cosicché chiunque potesse leggere da solo la parola di Dio; la funzione del prete come interprete della parola di Dio era così divenuta superflua. Nella realtà le tesi di Lutero furono ampiamente sfruttate dai principi europei, i quali combatterono così l’eccessiva ingerenza della Chiesa nella sfera politica. Nella riforma protestante, infatti, il re era anche a capo della Chiesa.

280


Le tre religioni

A

i nostri giorni, in occidente, tre sono le grandi religioni

monoteistiche

esistenti:

il

cristianesimo383, la religione ebraica e quella

musulmana. Tutte sono estrinsecazione di medesime idee e necessità; tutte nascono dalle medesime condizioni384; tutte hanno la medesima fonte d’ispirazione; tutte sono d’accordo sul punto fondamentale, e cioè che esiste un solo Dio che, dopo aver creato il mondo, lo guida, sia pure attraverso gli errori degli uomini, verso la salvezza finale. Solo il Cristianesimo si discosta, in quanto afferma che l’unico e supremo dio si manifesta in tre distinte persone: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Concordemente gli Ebrei e i musulmani ribattono che questa è pura eresia politeistica: esiste un solo Dio, nessun altro. Nella precedente narrazione abbiamo visto che la triplice natura di Dio è in realtà un semplice errore, una interpretazione 383

In realtà il cristianesimo odierno è tutto fuorché omogeneo. Vi sono numerose altre forme di “cristianesimo”, come il cattolicesimo romano, la Chiesa d’Inghilterra, il luteranesimo. Ci sono molte congregazioni marginali, gli avventisti del settimo giorno, i testimoni di Geova, i Bambini di Dio, la Chiesa del Reverendo Moon. 384 Gli storici delle religioni fanno notare che le più grandi religioni sono nate sempre in condizioni di privazione e di disagio (Giudaismo, Cristianesimo, Islamismo si sono sviluppati prevalentemente nel deserto). 281


sbagliata dell’“arco che sormonta due colonne” ebraico. Quelle tre persone nel pensiero ebreo non erano tutte e tre esseri divini, ma lo era uno solo, mentre le due colonne385 erano incarnate in esseri umani. La difettosa comprensione dei concetti filosoficoreligiosi ebraici, da parte dei primi cristiani, ha portato all’aberrazione odierna, cioè al fatto che, nonostante tanti affanni della Chiesa a spiegare questo paradosso, o meglio a non spiegarlo visto che alla fine si chiude il discorso con un dogma che non spiega niente (perché ovviamente il fatto in sé è inspiegabile), i cristiani adorano più di un dio, rivelandosi, a tutti gli effetti, politeisti. Il concetto e il termine di trinità è, infatti, del tutto assente nelle sacre scritture, come precisò Michele Serveto nella metà del 1500. Egli, tra l’altro, fu processato e condannato prima dall’Inquisizione cattolica, in contumacia, e poi dalla religione protestante calvinista, che lo portò al rogo. Il concetto di trinità nasce, invece, con il concilio di Nicea del 325, dove è sviluppato in opposizione all’arianesimo. Le tre religioni, inoltre, hanno in comune un luogo santo, la città di Gerusalemme. Ma vi sono numerosi altri punti di contatto. Ad esempio coesistono nelle tre dottrine i profeti Abramo (Ibrahim per gli Arabi), Mosè (Musa), Gesù (Isa386); gli angeli come Gabriele 385

Anche la Vergine Maria, nella simbologia medievale e rinascimentale, è spesso equiparata a una colonna, o a una torre d’avorio. 386 Isa o Issa può essere tradotto con “iniziato di Iside”. Infatti, i misteri egiziani permeavano l’intero sistema religioso esoterico di Israele sin dai tempi di Mosè. 282


(Jabra), Michele (Mikal), Raffaele (Israfil); e anche demoni come Satana (Iblis o Saytan). L’arcangelo Gabriele, infatti, fu latore della pergamena di Allah al suo profeta, come lo fu per Maria. Inoltre, sia la Bibbia sia il Corano prevedono una fine del mondo preceduta da spaventose catastrofi naturali, simili tra i due libri sacri. Anche il Corano annuncia sanguinosi combattimenti per la comparsa dell’anticristo al-Daijàl, che però sarà sconfitto ed ucciso dall’Isa-Gesù, il quale ricomparirà a Damasco, in veste islamica, fonderà un regno di pace, vivrà tra gli uomini e infine morirà, per essere sepolto a Medina. Anche le profezie coraniche sulla fine del mondo lasciano un margine di salvezza, poiché gli uomini saranno giudicati per le loro azioni, registrate da Dio in un grande libro. Ma tutto ciò non ha impedito che nel Medioevo il più grande dramma si sarebbe giocato proprio sulla lotta tra queste tre religioni, fra i loro tre libri, la Bibbia, il Vangelo e il Corano. Per il primo, dio doveva ancora apparire sulla terra; per il secondo era apparso con Gesù; per il Corano, invece, con Maometto387. Ma si chiamasse Dio, o Jeovah, o Allah, era per tutti e tre l’Onnipotente Signore ebreo del Vecchio Testamento. Eppure, sul diverso modo di chiamare e d’intendere il loro dio, gli uomini si sono scannati per secoli, e ancora oggi seguitano guerre

feroci

condotte

esclusivamente

in

suo

nome.

Probabilmente ciò è dovuto al fatto che le religioni moderne, e 387

Mercante, probabilmente discendente da una famiglia di cristiani eterodossi, che, dopo un’esperienza mistica in una grotta, cominciò a predicare contro l’idolatria e a magnificare la supremazia di un dio unico, Allah, del quale Gesù era uno dei profeti. 283


specialmente quelle che provengono dall’oriente, hanno sempre avuto la tendenza a porre l’accento sull’uomo e sul suo presunto ruolo di “centro dell’universo”. L’esaltazione dell’estasi, dell’ascesi mistica, e le forme simili e derivate di contatto col dio che mettono da parte il mondo e fanno sì che l’uomo si separi sempre più da esso, sono le caratteristiche peculiari delle religioni orientali. La religione moderna ha come suo scopo quello di portare avanti tesi antropocentriche, talvolta anche in maniera eccessiva e brutale388, di esaltare la “diversità” del religioso da tutti gli altri, dell’eletto dai peccatori. Le religioni hanno sempre avuto la tendenza all’intolleranza, e a fare dei propri seguaci una sorta di esercito frapposto come baluardo all’eresia, un esercito che non si esita ad usare ed abusare nei confronti di chi è semplicemente diverso, salvo poi stabilire la diversità nei modi e nelle forme più arbitrarie possibili389. Tutte le grandi religioni moderne si sono costituite come tali, nel corso della storia, attraverso conflitti interni ed esterni, e violente costrizioni, e hanno sempre finito col giovare più alla guerra che alla pace tra gli uomini. Basti pensare alle sanguinose guerre di religione del medioevo e alle crociate390. 388

Basti pensare al rogo che uccise l’eretico Giordano Bruno, che rifiutava queste tesi. 389 Durante l’assedio di Montsegur, la rocca dove si erano rifugiati i Catari, il comandante dell’esercito cristiano, in risposta a chi gli chiedeva come avrebbero fatto a distinguere gli eretici dai cristiani, disse: “Ammazzateli tutti. Dio riconoscerà i suoi !”. 390 Il pretesto per le crociate era la liberazione del Santo Sepolcro. In realtà esse servivano a far riacquistare potere alla Chiesa in un periodo in cui era il potere temporale a comandare. Tant’è che, mentre prima delle crociate i cristiani potevano tranquillamente visitare i luoghi del Santo Sepolcro, nonostante fossero occupati dai musulmani, dopo i rapporti si guastarono irrimediabilmente e divenne impossibile tale tipo di pellegrinaggio. 284


Durante l’impero romano oltre sei milioni di cristiani furono uccisi.

Il

successivo

fanatismo

dell’Inquisizione

costò,

ironicamente, la vita ad oltre un milione di persone accusate di non essere cristiane. Attraverso i secoli milioni di ebrei sono stati perseguitati ed uccisi come risultato di un antisemitismo iniziato dalla Chiesa cristiana primitiva, con l’accusa di deicidio. Ancora oggi le faide religiose continuano e la pulizia etnica, inizialmente praticata dall’Inquisizione, viene praticata ancora oggi. Diversamente dalla ricerca gnostica della conoscenza sacra, essere cristiano significava accettare un corpo di dogmi e seguire uno stile di vita prestabilito per ottenere il perdono dei peccati ed il premio della vita eterna. La Chiesa governava per mezzo della paura e dei sensi di colpa, facendo sì che il povero peccatore lottasse per tutta la vita per ottenere l’assoluzione dai peccati. Ma era la stessa Chiesa a stabilire ciò che era peccato, la Chiesa era legislatore, giudice e carnefice allo stesso tempo. Non si può fare a meno, allora, di denunciare l’atteggiamento ipocrita di quei religiosi che per secoli hanno obbligato i poveri ad inginocchiarsi davanti ai potenti del mondo, col miraggio di esserne ricompensati nell’aldilà. Il seguace della gnosi, invece, poteva giungere a conoscere la realtà spirituale della verità attraverso l’iniziazione, una forma di rivelazione che culminava nella conoscenza profonda dei misteri divini. In conseguenza del suo nuovo modo di essere, della nuova coscienza acquisita, egli si ritrovava a percorrere un sentiero di costante servigio per il mondo temporale e spirituale. Suo scopo primario era quello di utilizzare il proprio sapere 285


spirituale a vantaggio di tutta la comunità. Egli non era interessato all’illusione egoistica di una mera salvezza personale. I primi cristiani “gentili”, cioè non ebrei, presero dai profeti ebrei i due concetti religiosi sino allora ignoti all’occidente, che poi diventarono la causa prima della nostra inquietudine: quello di un dio patriarcale che rifiuta ogni rapporto con le dee e pretende di essere autosufficiente e onnisciente, e quello di una società teocratica, sprezzante della pompa e delle glorie del mondo, in cui chiunque compia i propri doveri civici secondo giustizia è “figlio di dio” e, quali che siano il suo rango o la sua fortuna, ha diritto alla salvezza in virtù della comunione diretta con il Padre. Entrambi questi concetti furono rifiutati dalla Chiesa che non vedeva di buon occhio un dio meditativo e non interventore nei fatti degli uomini, per questo lo costrinse a riprendere in mano la folgore; né il principio comunistico fu accolto, in quanto fu abbandonato in breve, con concessione di indulgenze ai ricchi e ai nobili sia nel mondo terreno sia, sotto forma ovviamente di promesse, in quello ultraterreno. Infine, si affermò il principio che il verbo può essere conosciuto solo attraverso la gerarchia ecclesiastica, così escludendo il laico cattolico dalla comunicazione diretta con Dio. Il Cristianesimo è la religione che oggi appare con una più rigida divisione tra il clero, unico depositario della verità, e il gregge dei fedeli, che ha il compito di obbedire ciecamente ai precetti religiosi. Il protestantesimo rappresentò una vigorosa riasserzione dei due concetti rifiutati, che gli ebrei stessi non avevano 286


abbandonato e ai quali i musulmani sono stati quasi altrettanto fedeli. Le guerre civili inglesi furono vinte dalle qualità combattive degli indipendenti puritani, vagheggiatori di una società teocratica ideale in cui ognuno ha il libero accesso al pensiero di Dio. Il puritanesimo mise radici in America, e la dottrine

dell’uguaglianza

religiosa

diventò

la

dottrina

dell’uguaglianza sociale, o democrazia, che da allora ha dominato la civiltà occidentale. Pur tuttavia, anche negli Stati Uniti, dove la Costituzione promuove l’ideale di libertà e fraternità, vediamo allargarsi sempre di più il divario tra i gruppi privilegiati e quelli subordinati. Le comunità ricche si barricano all’interno di ambienti recintati, mentre i sistemi di assistenza sociale dell’Occidente si sfaldano e rischiano la bancarotta.

287


Gli dei moderni

O

ggi, paradossalmente, di fronte al dilagare della violenza, al nascere di sempre nuove forme di prevaricazione sul prossimo, la lotta religiosa tende

a scemare, ed è sempre più difficile che dietro un atto violento vi sia una motivazione esclusivamente religiosa. Gli antichi cercavano nella natura un ordine visibile che però, secondo le loro concezioni, rispecchiava un ordine invisibile. Essi andavano dall’universale al particolare, indagando le leggi che governano il tutto. Anche noi, oggi, facciamo qualcosa di simile. Sarebbe superficiale affermare, come è stato fatto, che noi, oggi, ci limitiamo ad osservare l’aspetto esteriore delle cose. Anche noi indaghiamo l’ordine e le leggi che governano le cose. La differenza sta nel fatto che la nostra tecnologia ha consentito alla nostra scienza di fare passi da gigante, cosicché le leggi che regolano, ad esempio, il moto degli astri, per noi sono solo delle astratte formule matematiche, mentre per gli antichi il mistero del moto degli astri doveva essere spiegato tramite l’esistenza di divinità. Per loro non esisteva altra possibilità.

288


Gli antichi spesso non erano in grado di giungere dove arriviamo noi, per cui il loro ordine, le loro leggi, erano spesso ricercate in posti diversi, spesso nell’esistenza di deità più o meno universali. La moderna scienza (e su questo è più facile trovarci d’accordo !) ha però generato un sempre minore antropocentrismo e una spersonalizzazione delle indagini scientifiche, cosa che, probabilmente, ha prodotto una perdita di valori sociali nella società contemporanea. In altre parole, finché si poteva sostenere che gli astri, tanto per tornare all’esempio di prima, si muovevano in quel particolare modo perché vi era un dio, di fattezze e personalità più o meno umane, che li faceva muovere, l’uomo poteva sentirsi più importante all’interno del vasto cosmo. Quando l’uomo ha capito che nell’universo tutto va avanti in base a leggi matematiche, astratte formulette incomprensibili ai più391, e che il mondo andrebbe avanti anche senza la presenza dell’umanità intera, e che per di più egli non è al centro di questo universo (Copernico docet !), ecco che i tradizionali valori, prima fra tutto il credere in un dio, sono man mano venuti scemando392.

391

Ed anche sconosciute ai più. L’umanità vive, infatti, senza conoscere le leggi che governano il nostro mondo, fiduciose che tali leggi esistono solo perché gli scienziati assicurano che loro le conoscono. 392 Secondo autorevoli studiosi, tra i quali Packard e l’economista Galbraith, una delle cause dell’insoddisfazione generalizzata dell’uomo moderno è la pubblicità. Infatti, le aziende, per poter vendere i propri prodotti, in particolare dal momento in cui le famiglie hanno già tutte quel tipo di prodotto, utilizzano tecniche manipolative all’interno delle pubblicità inducendo uno stato di insoddisfazione perché “non si ha l’ultimo modello di auto”, non si possiede “l’ultimo tipo di cellulare”, non si è comprato “il frigorifero nuovo con quella particolare tecnologia che consente di risparmiare”. Insomma l’umanità si trova in una perenne condizione di insoddisfazione indotta dall’esterno. 289


Si può quindi sostenere che il ruolo della religione è oggi in parte diminuito, e che essa deve dividere i suoi spazi con tanti altri soggetti che auspicano a diventare la religione moderna. Inizialmente questo ruolo è stato rivendicato dalle arti (architettura,

pittura…),

poi,

in

seguito

allo

sviluppo

velocissimo, le scienze hanno conquistato il posto d’onore (psicologia, medicina…). Oggi ciò che sembra abbia le maggiori chances di diventare la religione nuova è la tecnologia, poiché ha raggiunto delle vette un tempo inimmaginabili, e ha permesso di ottenere dei risultati che potremmo definire miracolosi (si pensi alle manipolazioni genetiche, o alla costruzione delle bombe atomiche, attività che sempre più consentono di paragonare lo scienziato al demiurgo, e quindi di toccare la divinità). Non solo. La tecnologia è ormai un vero è proprio dogma, poiché solo pochi scienziati, e ognuno di loro in singoli e specifici settori del tutto non comunicanti con altri, sono in grado di comprendere il funzionamento delle moderne macchine. Chiunque di noi utilizza un cellulare si collega all’altro capo del mondo tramite internet, e viaggia in pochi minuti verso terre lontane, ma nessuno di noi comprende realmente appieno il funzionamento di tutto ciò. Lo accettiamo e basta, proprio come una volta si accettavano le verità rivelate. La scienza e la tecnologia sono gli dei del nostro tempo, dei con i loro riti e con i loro profeti. Se col tempo abbiamo raggiunto una certa comprensione del mondo

naturale,

dobbiamo

ancora

raggiungere

una

comprensione sufficiente del mondo artificiale, ciò di quello che 290


noi stessi abbiamo creato e posto quale interfaccia con quello naturale, al fine di poter ampiamente sfruttare quest’ultimo e piegarlo ai nostri desideri. Questo però non significa che le religioni hanno del tutto abbandonato la loro origine settaria. Perfino le religioni organizzate attualmente più tolleranti, per non parlare delle “sette”

fanatiche,

continuano

ad

utilizzare

forme

di

manipolazione psicologica. Ovviamente la Chiesa cattolica non può più predicare lo sterminio di massa, come fece nel XIII secolo durante la crociata contro gli albigesi, ma non mancano nuove forme di pressione più sofisticate e subdole, consentite proprio dalle tecnologie odierne. La differenza, è ovvio, è che oggi la religione non è più da sola nel rivendicare il diritto di manipolare le masse. Oggi, insieme ad essa si affacciano le “nuove religioni”, la scienza, la tecnologia, la politica, il denaro. Oggi quasi tutti hanno abbandonato l’idealismo religioso e sono giunti alla conclusione che il denaro è l’unico modo pratico per esprimere il valore o per determinare le precedenze sociali, che la scienza è l’unico modo accurato per descrivere i fenomeni, e che il senso dell’onestà non ha niente a che fare con la guerra, gli affari o la politica. E tuttavia si sentono colpevoli per questa ricaduta, fanno donazioni alle chiese e mandano i figli al catechismo. Ciò che affligge oggi il cristianesimo è il suo non essere una religione saldamente fondata su un unico mito, e l’essere invece un complesso di decisioni giuridiche prese sotto pressioni politiche nel corso di una antica lite sui diritti religiosi che ha 291


come parti avverse i fedeli della dea madre, che era un tempo la divinità suprema in occidente, e i fedeli del dio padre usurpatore. Ciò che in realtà servirebbe non è un ritorno in massa alla religione dell’infanzia del mondo, che porterebbe solamente a nuove guerre di religione, bensì un miglioramento etico. Come Gesù asseriva che l’uomo non vive di solo pane, così i moderni studiosi della psiche umana affermano l’esistenza di bisogni interiori dell’uomo, dei quali uno è il bisogno di significato. Tale bisogno deve essere inteso come la necessità di trovare uno scopo alla nostra esistenza, necessità che in genere è stata colmata dalle religioni e da idee simili. Spesso anche l’idea di Stato, specialmente nei nazionalismi, ha assunto caratteristiche religiose393, e così molte altre idee fondanti. Per l’uomo è molto più facile sopportare sacrifici se ciò avviene in nome di un’idea, preferiamo soffrire che essere insignificanti, senza scopo nella vita. Oggi, che la religione è stata soppiantata dalla scienza, l’uomo non si sente più sicuro. Egli ha bisogno di simboli, di opere che custodiscono e trasmettono il “senso”, il significato. Il significato è una funzione psichica. Ha origine nell’identificazione e implica un senso di appartenenza. Attraverso di esso l’uomo sente di fare parte di qualcosa, di una società, di un gruppo, ed anche del mondo naturale. E ciò consentirebbe di evitare l’errore di esaltare l’uomo in sé, contro il diverso, quale che fosse questo diverso, l’eretico, l’ebreo, l’infedele, l’uomo di un’altra nazione, e così 393

Si pensi alla Germania comandata da Hitler, dove le apparizioni del capo in pubblico assomigliavano a vere e proprie funzioni religiose (od anche alle moderne esibizioni dei cantanti più seguiti). 292


via, errore che per secoli ha portato l’uomo contro l’uomo, e l’uomo invece di cercare di crescere ha semplicemente impedito al vicino, diverso, di crescere più di lui.

293


APPENDICE Il calendario

C

onoscere il giorno, il mese, le condizioni delle maree, è stato sempre molto importante. Nel documento irlandese Saltair Na Rann, risalente all’VIII secolo,

in cui sono raccolte le antiche tradizioni dei celti irlandesi, si parla dei requisiti di conoscenza che nell’antichità i capi del popolo dovevano possedere, e cioè: “chiunque voglia essere un capo ogni giorno dovrà dimostrarsi versato in cinque elementi del sapere, senza nessuna vanteria. Il giorno del mese solare, l’età della luna, le condizioni della marea, senza errore, il giorno della settimana, il calendario delle feste delle divinità”. Il calendario siderale è importante per l’agricoltura, quello lunare lo è per prevedere le maree, il calendario solare serve per conoscere la lunghezza del giorno e per riconoscere i giorni festivi. Il sole, con il suo sorgere e tramontare costante, è stato il primo strumento di misurazione del tempo. La luna, invece, con le sue fasi ricorrenti, è stata il primo sistema per organizzare il computo dei giorni. 294


Ma il sole e la luna hanno cicli del tutto indipendenti, e il calendario basato sui mesi lunari si dimostrò inadatto a chi aveva bisogno di indicazioni utili per l’agricoltura e la navigazione. Un anno lunare, di dodici mesi, dura esattamente 354,3672 giorni, quasi undici in meno dell’anno solare che ne conta circa 365,242199.

Da

qui

nasce

l’incoerenza

dei

calendari

dell’antichità. Infatti, un calendario lunare vedrebbe iniziare le stagioni, che sono determinate dal sole, ogni anno in date diverse. In origine, presso le popolazioni primitive, l’anno394 era formato da 13 mesi di ventotto giorni (quattro settimane ogni mese), con un giorno supplementare. Ciò è suggerito dalla durata del regno di Osiride, ventotto anni, e dal numero di pezzi, tredici più il fallo che rappresenta il giorno supplementare, in cui Seth lo smembrò. Gli antichi calendaristi inserivano il giorno privo di mese del calendario di tredici mesi, tra il primo e l’ultimo dei mesi artificiali di ventotto giorni, cosicché l’anno agricolo durava, dal punto di vista del calendarista, letteralmente un anno e un giorno. Quando ci fu il cambio degli dei, la sostituzione del calendario divenne necessaria, visto che il calendario lunare doveva scomparire con i corrispondenti dei. Per questo il numero tredici395, in origine numero sacro, divenne in seguito maledetto,

394

La parola anno, cioè annus, indica la circolarità, poiché gli antichi Romani solevano usare an per circum, intorno. Da an deriva annus, ma anche anellus, anello. Simbolo dell’anno che si rinnova è l’uroboros, il serpente che si morde la coda. 395 In origine lo Zodiaco era composto di tredici segni, dove il tredicesimo, il Serpentario, era situato tra lo Scorpione e il Sagittario. 295


ed oggi si assicura che esso porti sfortuna. Il ricordo dell’anno di tredici mesi si mantenne comunque vivo nella campagna inglese almeno sino al XIV secolo. Tale calendario era, ovviamente, basato sul ciclo lunare (ma anche su quello mestruale della donna, indirettamente), ed era in onore della Dea Bianca. È vero infatti che ogni civiltà ha avuto il suo calendario, ma il ciclo naturale è uno solo, quello di 13 cicli di 28 giorni, 4 settimane ogni mese. Tale è ovviamente il mese lunare, ma anche, come ben sa chi studia le piante e gli organismi viventi, il ciclo della vita. Lo sapevano le antiche civiltà matriarcali, fondate sul ciclo naturale della donna e lo sanno ancora oggi quelle popolazioni che non considerano il lavoro la loro principale attività e la produzione il loro fine ultimo. In passato occorse quindi mediare tra i due cicli, quello lunare e quello solare. Attorno al 430 a.C. i Babilonesi adottarono un sistema che prevedeva sette anni di tredici mesi lunari (cioè di ventotto giorni) seguiti da dodici anni di dodici mesi. Questo ciclo equivaleva quasi esattamente a diciannove anni solari. Prima di loro i Sumeri avevano arrotondato il mese lunare a 30 giorni, in modo che l’anno ne contasse 360. I Greci invece mantennero un rigoroso anno lunare di 354 giorni, cui aggiungevano 90 giorni supplementari ogni otto anni, per far quadrare i conti. I giorni non venivano inseriti secondo un programma preciso, ma aggiunti a caso.

296


I Romani all’inizio avevano un calendario di dieci mesi396, anch’esso regolato sul ciclo lunare, che andava da marzo, il primo mese, fino a dicembre. Secondo la tradizione esso fu stabilito da Romolo, e con soli 304 giorni, si rivelò un disastro. In seguito furono aggiunti ad opera di Numa Pompilio, si narra, in coda all’anno, i due mesi di gennaio e febbraio, sicché il calendario risultò di 12 mesi: martius (31 giorni), aprilis (29), maius (31), iunius (29), quintilis (31) sextilis (29), september (29), october (31), november (29), december (29), ianuarius (29) e febrarius (28). Il totale dei giorni era 354, cioè circa 11 in meno dell’anno solare, per cui si inseriva ogni due anni un mese intercalare di 22 o 23 giorni. Così però il totale dei giorni risultava superiore al dovuto, quindi si resero necessarie ulteriori correzioni. Innanzitutto il capodanno fu spostato da marzo a gennaio, privilegiando il mese immediatamente dopo il solstizio d’inverno, dopo il quale il sole ricomincia a salire sull’orizzonte (e il giorno a crescere) iniziando un nuovo ciclo. Dicembre tornò ad essere l’ultimo mese dell’anno, mantenendo la sua denominazione sfasata (dicembre, cioè decimo mese). Lo spostamento del capodanno avvenne circa nel 153 a.C., quando la data di ingresso dei consoli, originariamente fissata alle idi di marzo, venne spostata alle calende di gennaio. In realtà, però,

396

Secondo alcuni autori il calendario di dieci mesi non era altro che la reminiscenza di un popolo indoeuropeo che in origine viveva nelle regioni polari prima dell’ultima glaciazione, quando cioè in quelle zone il clima era temperato. Lì vi erano dieci mesi di luce, di cui otto in cui il giorno e la notte si alternavano, e due in cui il sole non tramontava. Vi erano inoltre due mesi di sola notte in cui, si narrava, il dio della luce combatteva il dio delle tenebre. 297


solo con la riforma giuliana e con l’impero, il 1° gennaio divenne l’unico Capodanno. Fu, quindi, adottato il sistema usato dai Greci, ma risultava troppo complesso. Inoltre i mesi aggiuntivi venivano inseriti in maniera arbitraria dai sacerdoti che, conoscendo in anticipo il calendario, sfruttavano la situazione a loro vantaggio. Nel 304 a.C. un certo Gneo Flavio rubò una copia del calendario e lo affisse nel foro romano. Così il computo del tempo cessò di essere un monopolio dell’aristocrazia. Tuttavia i sacerdoti mantennero il privilegio di decidere quanti giorni supplementari aggiungere e quando farlo. Tale prerogativa fu spesso usata per scopi politici, prolungando la durata dell’anno per mantenere in carica consoli e senatori, e lucrando sulle tasse e i canoni di affitto. Giulio Cesare pose fine a questa situazione con la riforma che portò il suo nome. Il calendario giuliano era in parte derivante da quello Egizio. Di tutti i calendari antichi il più preciso fu quello Egizio. Sin da tempi remoti era formato da 365 giorni, cioè dodici mesi di trenta giorni, più cinque giorni supplementari. Gli Egizi basavano i loro calcoli sulle piene del Nilo che erano puntualissime; infine il primo strumento di misura del tempo in Egitto era il nilometro, un sistema per segnare il livello delle piene del fiume. Il computo del tempo venne raffinato studiando il sorgere della stella Sirio, ed utilizzando le ombre delle piramidi furono calcolati gli equinozi. Si giunse così a stabilire che l’anno eccedeva i 365 stabiliti. Per correggere tale errore, nel 238 a.C., Tolomeo III introdusse ogni quattro anni un anno bisestile più lungo di un 298


giorno, portando così lo scarto rispetto all’anno solare di soli 11 minuti e 24 secondi. Giulio Cesare nel 45 a.C. affidò la riforma del calendario all’astronomo e matematico alessandrino Sosigene, il quale, sulla base dei calcoli degli Egiziani, mise da parte l’anno lunare e si attenne esclusivamente a quello solare di 365 giorni e 6 ore. Nel nuovo calendario, detto giuliano in onore di Cesare, l’anno era sempre di dodici mesi (senza divisione in settimane), ma mentre febbraio manteneva 28 giorni, aprile, giugno, settembre e novembre ne ebbero 30, e gli altri sette ne ebbero 31. Per recuperare il quarto di giorno si introdusse un giorno suppletivo ogni quattro anni, aggiunto al mese di febbraio. Tale giorno andava dopo le feste Terminalia con le quali si concludeva l’anno liturgico, cioè tra il 23 e il 24 febbraio, quindi tra il settimo e il sesto giorno precedente le calende di marzo; esso era un’anticipazione del sesto, per cui fu detto, e con lui l’anno intero, “bis sextum”, bisestile. Per riallineare i giorni nel 46 a.C. vennero aggiunti due mesi di 33 e 34 giorni. Quell’anno passò alla storia come “annus confusionis”, ma alla fine Roma possedeva finalmente un calendario efficace. Con Augusto il mese sextilis venne chiamato augustus, così come a suo tempo quintilis era diventato julius in onore di Giulio Cesare. Agosto però aveva solo 30 giorni, contro i 31 di luglio, e ciò parve irriverente nei confronti dell’imperatore in carica. Così agosto ebbe 31 giorni, e febbraio ne perse uno.

299


Tale calendario rimase in vigore fino al 1582. Infatti, ci si rese conto allora che l’anno solare non era di 365 giorni e 6 ore, ma si dovevano togliere alcuni minuti397 che, nei sedici secoli trascorsi dalla riforma del calendario, avevano provocato un avanzo di circa dieci giorni. Molti studiosi avevano raccolto l’appello della Chiesa per riformare il calendario, e i fratelli Lilio, due astronomi e medici, verificarono che il calendario giuliano era più lungo rispetto a quello solare di 10 minuti e 44 secondi, cosa che aveva provocato uno slittamento di dieci giorni in avanti. Sulla base dei calcoli dei fratelli Lilio, il 24 febbraio 1582 papa Gregorio XIII firmava la bolla pontificia che sanciva la riforma del calendario e stabiliva l’aggiornamento del calendario portandolo avanti di dieci giorni a partire dal 4 ottobre 1582. Se i paesi cattolici si allinearono subito, nei paesi di diversa confessione ciò non avvenne, e si accesero profonde dispute teologiche. Il calendario gregoriano fu adottato in alcuni paesi con molto ritardo, come ad esempio in Cina, che si allineò solo nel 1911. Il calendario gregoriano è quello attualmente in vigore. Però non tutti i paesi lo osservano. Il calendario ebraico, ad esempio, é diverso, é utilizzato per scopi religiosi ed è quello ufficiale dello stato d’Israele. Anche il calendario musulmano, più corto di quello cristiano, è alla base delle festività di tutto il mondo musulmano.

397

La durata dell’anno è di 365 giorni, 5 ore, 48 minuti e 46 secondi. Già nel II secolo l’astronomo Tolomeo aveva effettuato il calcolo avvicinandosi al conteggio attuale. 300


La ripartizione del giorno in 24 ore è un’invenzione dei babilonesi. Forse ogni ora del giorno e della notte era dedicata a un segno dello zodiaco. Durante la rivoluzione francese i giorni vennero divisi in dieci ore, divise a loro volta in cento minuti. Il calendario giuliano vedeva l’anno basato sul corso del sole, mentre i mesi erano ancora regolati secondo le fasi lunari, in corrispondenza delle quali ogni mese aveva tre giorni principali o di riferimento: le calende, le none e le idi. Le calendae (da cui calendario) corrispondevano al novilunio; cadevano il primo giorno del mese ed erano così dette perché un tempo in quel giorno i pontefici annunciavano o proclamavano (verbo kalare) pubblicamente le date delle none e delle idi di quel mese. Le nonae corrispondevano al primo quarto di luna, ed erano così dette perché venivano nove giorni prima delle idi (calcolando anche il giorno di partenza, secondo il modo di contare dei Romani): il 7 nei mesi di marzo, maggio, luglio e ottobre, il 5 negli altri mesi. Le idi, infine (idus), corrispondevano al plenilunio, prendevano il nome da iduare (dividere) in quanto dividevano il mese in due e cadevano il 13 quando le none erano “quintane”, il 15 quando le none erano “septimane”. Il giorno che precedeva le calende, le none e le idi era detto pridie (il giorno prima); tutti gli altri erano designati col numero a scalare che li separava dal giorno di riferimento (incluso) immediatamente successivo (ad esempio il 2 di gennaio era il “quarto giorno prima delle none”). Di mese in mese i giorni erano raggruppati in serie di otto (nundinae, da novem dies), essendo originariamente l’ottavo il 301


giorno del mercato, e venivano contrassegnati sul calendario con le lettere dell’alfabeto da A ad H. Solo nel II secolo d.C. furono introdotti i nomi dei giorni riferiti ai pianeti che in ciascun giorno presiedevano alla prima ora del mattino: lunedì (da Lunae dies); martedì (Martis dies); mercoledì (giorno di Mercurio, Wodan in inglese da cui Wednesday); giovedì (giorno di Giove); venerdì (giorno di Venere, Freya in tedesco, da cui Freitag). Il sabato era in onore di Saturno, e la Domenica in onore del Sole. Con l’avvento del cristianesimo fu cambiato nome al giorno di Saturno che divenne Sabbatum, cioè sabato, dall’ebraico shabbath (riposo; giorno del riposo, perché Dio il settimo giorno si riposò, ma in inglese si dice ancora Satur-day), e a quello del Sole che divenne il giorno del Signore (dies dominica, o domenica, ma in inglese si dice ancora Sun-day, e in tedesco Sonn-tag, cioè giorno del sole). Con lo sviluppo del commercio marittimo un calcolo accurato del tempo divenne man mano sempre più vitale. A questo scopo Carlo II, sovrano del Regno Unito, fondò nel 1675 l’osservatorio reale nel Royal Park di Greenwich, presso Londra. L’ora standard di Greenwich (Greenwich main time, o GMT) fu dapprima utilizzata solo in mare, e poi anche nei trasporti su terra. Il GMT divenne ufficialmente il sistema orario nazionale del Regno Unito nel 1880 e tre anni dopo venne adottato negli Stati Uniti, dove fino ad allora erano esistite numerose ore locali. Il primo novembre 1884, dopo la “international meridian conference” di Washington, l’ora di Greenwich fu adottata internazionalmente e vennero create le ventiquattro zone dei fusi 302


orari. Il GMT si basa sulla rotazione della terra attorno al sole, che è incostante a causa delle interferenze gravitazionali dei corpi celesti. Quindi un anno è lungo 365,242199 giorni, ma si tratta di una media, e non della durata esatta. Più tardi gli orologi atomici hanno permesso calcoli più precisi. Nel 1967 una nuova definizione standard di “minuto secondo” fu creata misurando il periodo di oscillazione atomica del cesio 133. Dal 1972 il GMT è stato sostituito dallo UCT (Universal coordinated time) basato sulla rete di orologi al cesio dell’USNO, l’osservatorio navale degli Stati Uniti. L’uomo è quindi giunto al paradosso di possedere un orologio troppo preciso. Infatti, per far combaciare l’anno solare con quello dell’UCT sono stati introdotti i cosiddetti “leap seconds”, ovvero “secondi bisestili” che vengono periodicamente aggiunti. L’ultimo “leap second” è stato aggiunto alla mezzanotte del 31 dicembre 1999.

303


BIBLIOGRAFIA

Q

uesto scritto nasce in maniera alquanto singolare. In origine era solo un coacervo di appunti utili per la redazione di un libro di narrativa con ambientazione

storica. Il libro in questione era ambientato tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C., tra Roma e la Grecia. Si rese necessario lo studio degli usi e dei costumi di quelle due società, con conseguente rivelazione che la loro vita era strettamente intrecciata con la religione, i miti, i culti dell’epoca. Quegli uomini in sostanza non muovevano un passo senza appellarsi agli dei. Quindi, questa piccola ricerca si ampliò fino a comprendere i miti e la religione di quei due popoli. Procedendo nella ricerca vidi che numerosi erano i legami con altri popoli, quali gli Egiziani, e gli ebrei. Nel I secolo, infatti, iniziava la diffusione della dottrina cristiana nell’ambito dell’impero romano. La ricerca, perciò, si estese ulteriormente. Solo molto tempo dopo venne fuori l’idea di ricavare un testo organico da quegli appunti disordinati e complessi (anche se già allora era difficile definirli semplicemente appunti, visto che assommavano a oltre cento pagine), per cui ripresi lo scritto e lo organizzai, inserendo nuovi paragrafi. Ormai la ricerca, 304


puramente letteraria, mi aveva preso la mano e proseguì da sola, argomento ad argomento. Come un giallo che si rispetti, ogni nuovo argomento apriva la strada a diversi altri sentieri da battere. Anche adesso questo scritto è lungi da potersi definire completo, ma del resto completarlo vorrebbe dire lavorarci per tutta la vita fino a fargli raggiungere dimensioni enciclopediche. Per questo mi sono voluto fermare appena ho ritenuto che l’idea di partenza (della seconda partenza, ovviamente) fosse stata raggiunta, cioè sostenere, o far nascere il dubbio, con argomenti sufficientemente validi che la nostra religione è solo il frutto dello sviluppo, dell’evoluzione dei miti e delle credenze degli uomini primitivi. Ogni campo culturale è un work in progress, così come l’automobile è l’evoluzione della primitiva ruota. Perché la religione non dovrebbe sottostare alle stesse regole ? Per quanto detto sopra riesce difficile inserire in questa bibliografia tutte le opere, i fascicoli, le riviste, i ritagli di giornali, le trasmissioni televisive viste, lette, analizzate negli ultimi anni. Anche perché, come ho già detto, in origine questo scritto non è nato per diventare un libro (e dopo ho sempre avuto molti dubbi su una eventuale pubblicazione). È stato quindi impossibile recuperare molte opere consultate. Mi limito, perciò, a indicare le principali opere in relazione ai vari argomenti trattati,

rimandando

alle

stesse

bibliografici.

305

per

ulteriori

ragguagli


-

Michael Baigent-Richard Leigh, L’elisir e la

pietra. La tradizione della magia e dell’alchimia, Marco Tropea Editore 1997 -

Michael Baigent-Richard Leigh, Il mistero del

Mar Morto, Marco Tropea Editore 1997 -

Michael

Baigent-Richard

Leigh-Henry

Lincoln, Il santo Graal, Mondadori 1982 -

Michael

Baigent-Richard

Leigh-Henry

Lincoln, L’eredità messianica, Marco Tropea Editore 1996 -

Natale Benazzi-Matteo D’Amico, Il libro nero

dell’Inquisizione. La ricostruzione dei grandi processi, PIEMME 1998 -

Peter Berresford Ellis, Il segreto dei druidi,

PIEMME 1997 -

Joseph

Campbell,

Il

racconto

del

mito,

Mondadori 1995 -

Alfredo Cattabiani, Calendario, Le feste, i miti,

le leggende e i riti dell’anno, Mondadori 2003 -

Franco Cuomo, Le grandi profezie, Newton &

Compton 1997 -

Jan Filip, I Celti alle origini dell’Europa, Newton

& Compton 1995 -

Jacopo Fo-Sergio Tomat-Laura Malucelli, Il

libro nero del cristianesimo, Edizioni Nuovi Mondi 2000

306


-

Laurence Gardner, La linea di sangue del Santo

Graal, Newton & Compton 1997 -

Robert Graves, La dea bianca, Adelphi 1992

-

Graham Hancock, Il mistero del Sacro Graal,

PIEMME 1995 -

Christopher Knight-Robert Lomas, La chiave

di Hiram, Mondadori 1996 -

Christopher Knight-Robert Lomas, Il secondo

Messia, Mondadori 1997 -

Jean Markale, Il mistero dei druidi, Sperling &

Kupfer 2002 -

Robert Masello, Evocare l’inferno. Storia della

magia nera, Oscar Mondadori 1996 -

Erich Neumann, Storia delle origini della

coscienza, Astrolabio 1978 -

Edwin Oliver James, Gli eroi del mito, Il

Saggiatore 1961 -

Graham Phillips, Il mistero del sepolcro della

Vergine Maria, Newton & Compton 2000 -

Lynn Picknet-Clive Prince, La rivelazione dei

Templari, Sperling & Kupfer 1998 -

Pepe Rodriguez, Verità e menzogne della Chiesa

cattolica, Editori Riuniti 1998 -

Édouard Schuré, I grandi iniziati, Rizzoli 1991

-

J. Alberto Soggin, I manoscritti del mar morto,

Newton & Compton 1997

307


-

Tim

Wallace-Murphy–Marilyn

Hopkins,

Rosslyn. Il misterioso tempio dei segreti del Santo Graal, Newton & Compton 2000 -

R. Gordon Wasson-Albert Hofmann-Carl A.P.

Ruck, Alla scoperta dei Misteri eleusini, Apogeo 1996 A questi volumi si devono aggiungere numerose riviste, quali Archeo e Medioevo, nonchĂŠ centinaia di ritagli tratti da pubblicazioni di vario genere, compreso quotidiani, e spezzoni di trasmissioni televisive.

308


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