ERMINIA CAUDANA, UNA PIONIERA DEL RESTAURO DELLE PERGAMENE, DEI PAPIRI E DEI TESSILI

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ERMINIA CAUDANA, UNA PIONIERA DEL RESTAURO DELLE PERGAMENE, DEI PAPIRI E DEI TESSILI

Paolo Bensi*, Claudia Santamaria**

*già docente Dipartimento Architettura e Design Università di Genova, cell. 3201954924 paolobensi49@gmail.com

** restauratrice di manufatti tessili, via Posalunga 44R, 16132 Genova, santamaria.claudia @libero.it

Abstract

Erminia Caudana (1896-1974) divenne giovanissima di Carlo Marrè, nel laboratorio nato per salvare i codici pergamenacei e cartacei danneggiati dall'incendio della Biblioteca Nazionale di Torino del 1904. Dagli anni Trenta si dedicò anche alla conservazione dei papiri e dei tessuti del Museo Egizio. Dopo il conflitto, pur dedicandosi prevalente mente ai papiri, non trascurò i materiali cartacei e membranacei, intervenendo anche sull' Autoritratto di Leonardo da Vinci della Biblioteca Reale torinese. Dal 1950 fu affiancata dal nipote Amerigo Bruna (1926-2014). La sua attività nel campo dei tessili è meno nota, anche se si applicò su manufatti importanti: oltre alle stoffe egiziane e copte torinesi si prese cura del raro Pallio di San Lorenzo, opera del XIII secolo di proprietà del Comune di Genova. Le sue metodiche di restauro saranno presentate, anche alla luce di recenti interventi su opere di cui la Caudana ebbe modo di occuparsi.

Paolo Bensi

Il 25 gennaio 1904, per cause sconosciute, prende fuoco a Torino la Biblioteca Nazionale: i danni sono gravissimi, dovuti sia alle fiamme, sia all'acqua irrorata dai pompieri, sia al fatto che molti testi furono gettati in strada nel tentativo di salvarli. Vengono distrutti circa 23.000 volumi su 30.000 posseduti dalla Biblioteca, 1500 su 4000 manoscritti, mentre altri 1500 sono gravemente danneggiati: si lamenta la perdita, tra gli altri, del quattrocentesco Libro d'ore di Torino del duca di Berry [1]

Vengono costituite delle commissioni per valutare i danni e mettere in atto almeno i rimedi d'urgenza: due gruppi di ricerca si mettono al lavoro, guidati da Icilio Guareschi, dell'Istituto di Chimica Farmaceutica, e Pietro Giacosa, dell'Istituto di Materia Medica dell'Università di Torino. Le problematiche prioritarie da affrontare erano l'asciugatura e la disinfezione dei codici, e la separazione dei fogli [2] Padre Franz Ehrle, prefetto della Biblioteca Vaticana, visitò i laboratori torinesi, suggerendo di puntare sulle metodologie adottate da Giacosa, che trattava i manoscritti in una camera umida. Il sacerdote era un'autorità in materia, avendo promosso il primo convegno internazionale dedicato al restauro dei libri, la conferenza di San Gallo del 1898; su suo suggerimento si trasferì a Torino il restauratore romano Carlo Marré, che opererà dal 1904 al 1918 [3].

Erminia Caudana, figlia del custode dell'Istituto di Patologia dell'Università, nel 1908, all'età di 12 anni, inizia un decennale apprendistato di restauro con Marré. In breve tempo dimostrerà di possedere un talento e una tenacia fuori dal comune, tanto da diventare la titolare del laboratorio di restauro dopo la morte del maestro; dovette però dimostrare le sue capacità in un soggiorno a Roma, presso la Biblioteca Nazionale e gli archivi statali [4]

Un'altra presenza femminile compare durante le prime fasi di trattamento dei manoscritti, Clelia Bonomi Serafino, preparatrice del Museo di Zoologia, elogiata da Icilio Guareschi [5]

La Caudana nel 1918, a 22 anni, prende le redini del laboratorio di restauro costituito presso l'Università e poi nella nuova sede della Biblioteca, sottoposta al controllo di una commissione, composta dal direttore della Nazionale e da tre docenti universitari. Va notato come la nostra restauratrice non sia mai stata assunta stabilmente dal Ministero, operando per oltre cinquant'anni come precaria [6].

Tra il 1930 e il 1933 il laboratorio attraversa una seria crisi, dopo l'ispezione compiuta da Alfonso Gallo, allora ispettore superiore della Direzione generale delle biblioteche del Ministero della Pubblica Istruzione, che stava diventando un personaggio molto influente nel campo della conservazione dei materiali librari. Secondo il racconto della Caudana al nipote, egli aveva insistentemente chiesto di conoscere le metodologie di intervento da lei praticate, e la restauratrice, gelosa dei propri 'segreti', spazientita lo aveva messo alla porta. Il trattamento provoca un forte risentimento nello studioso, che pubblica giudizi fortemente negativi sul laboratorio torinese nella rivista del Ministero; nel 1938 fonderà l'Istituto di Patologia del Libro, con cui la Caudana avrà rapporti non sereni [7] Nel 1934 l'attività riprese comunque a pieno ritmo. Nel 1935 la carriera della Caudana ha una svolta

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importante, dato che il laboratorio venne annesso al Museo Egizio: si aprono così nuovi orizzonti di ricerca che prevedono, oltre ai materiali cartacei e pergamenacei, i papiri (già dal 1929) e i tessuti.

I lavori sono diretti dall'egittologo Giulio Farina, e consistono nello svolgimento, consolidamento e ricostruzione dei papiri. Interventi sono eseguiti su opere conservate non solo a Torino, ma anche a Firenze, Bologna, Padova, Cortona, Copenaghen. Numerosi studiosi apprezzeranno l'impegno dell'operatrice nei successivi vent'anni, tanto che il settore dei papiri può essere considerato ancora oggi quello più noto del suo operato [8]

Nel dopoguerra la sua attività riceve un nuovo impulso per l'ingresso nel laboratorio del nipote Amerigo Bruna nel 1950, che la affiancò nel lavoro sino al gennaio del 1974, quando la Caudana morì improvvisamente, per proseguire da solo sino al 1991 [9]

Ritornando ai manoscritti, le operazioni sui testi danneggiati dall'incendio del 1904 proseguirono, ma ad esse si affiancarono interventi su materiali cartacei di diverso tipo, ricordati dalla stessa Caudana in nell'intervento al Convegno internazionale sul restauro del libro antico di Trieste del 1956, praticamente sua unica pubblicazione, assieme a un breve testo del 1932; tra le varie opere vanno notate “l'autoritratto e altre carte di Leonardo da Vinci” della Biblioteca Reale di Torino, su cui torneremo [10]

Due aspetti delle sue vicende operative, tra loro collegati, meritano un approfondimento: quali erano le metodologie adottate e come si presentano oggi i manufatti da lei restaurati. Della reticenza nei confronti della divulgazione dei suoi procedimenti si è già detto, e in questo la Caudana si dimostra ancora completamente in linea con la tradizione dei 'segreti di bottega'. Noi sappiamo solo, che “avvolgeva per 24 ore il papiro in ovatta imbevuta in un liquido particolare, destinato ad ammorbidire e conservare il tessuto fibroso; dopo di che il rotolo poteva essere svolto e serrato tra due veli di seta; alla fine bastava chiuderlo tra due vetri”. Le sue conoscenze furono trasmesse solo al nipote, che a sua volta, purtroppo, non si dichiarò disponibile a rivelarle [11] Giaccaria pensa ai materiali allora comunemente in uso, come i “collanti di origine animale”, utilizzati come consolidanti, ossia la gelatina di origine animale: Padre Ehrle consigliava la colla di pesce, trattata con formalina, che la rende più resistente all'acqua [12] Sicuramente fu adottata da Marré, che aveva lavorato a stretto contatto con lui; anche il velo di seta, o crepeline, era stato introdotto da Ehrle, probabilmente su suggerimento di Marré. Il fissaggio delle carte e delle pergamene sul velo avveniva in Vaticano mediante colla di farina, quindi colla d'amido, disinfettata con allume. Va detto che il crepeline era già stato utilizzato, per colmare le lacune dei codici, dalla Bonomi Serafino [14]. All'inizio del Novecento erano stati sperimentati, come protettivi e consolidanti due polimeri semisintetici, il nitrato di cellulosa e l'acetato di cellulosa. Il primo, noto con i nomi di Zapon, pirosselina, celluloide, era stato provato anche in Vaticano; ha avuto un certo successo sino alla seconda Guerra Mondiale: il materiale presentava però gravi problemi di sicurezza - facile infiammabilità – e venne sostituto dall'acetato di cellulosa (Cellite) e dai polimeri completamente sintetici. Questi prodotti possono essere considerati degli antenati degli adesivi e consolidanti a base di derivati della cellulosa attualmente in uso nel restauro, come i vari tipi di Klucel® e di Tylose® [15] Secondo Furia Ehrle consigliò agli scienziati torinesi di provare lo Zapon sui codici particolarmente danneggiati dall'acqua, ma non sappiamo se Marré e la Caudana se ne siano serviti. La Cellite fu invece utilizzata al Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi negli anni Trenta[16] Sarebbe importante capire quali siano le condizioni attuali dei manoscritti restaurati dal maestro e dall'allieva, nonché dal nipote, tanto lodati nel passato; anche se Giacosa affermava che “nessun deterioramento di origine biologici è stato finora riscontrato nei codici restaurati dal Marré e dalla Caudana”, la Porticelli ha notato una evidente traslucidità nelle carte restaurate in quegli anni a Torino, dovuta all'applicazione delle colle [17]. I codici sopravvissuti al disastro torinese sono stati oggetto di sperimentazioni e di restauri anche recenti, ma non sembra che siano stati presi in considerazione, per confronto, i manufatti restaurati nel passato, se non in modo marginale [18]

La Boffula Alimeni ha invece esaminato alcuni papiri restaurati nel Museo Archeologico Nazionale di Firenze, che erano stati incollati con colla di farina su voile di seta grezza di ottima qualità, da cui ora sono stati staccati; i frammenti erano collegati da nastri adesivi, scelta che fa datare l'intervento dopo il 1937 [19] La memoria degli interventi compiuti dalla nostra operatrice nel settore dei papiri si è quindi conservata; dei restauri eseguiti sui materiali tessili parlerà Claudia Santamaria.

Per quanto riguarda la carta e la pergamena la situazione presenta aspetti paradossali. Si è detto dei rapporti non buoni con l'Istituto di Patologia del Libro: nel 1954 la Caudana scrive “l'Istituto di Patologia del Libro non permetterà che la sottoscritta abbia vita sicura”. La relazione al convegno di Trieste del 1956 fu comunque pubblicata nel “Bollettino” dell'Istituto, al pari degli altri interventi [20]

Nel libro di Paola Furia del 1992 sulla storia del restauro dei libri, inserito in una collana dell'ICPL, nel capitolo dedicato all'incendio di Torino e all'attività del Laboratorio della Biblioteca Nazionale sino ad

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anni recenti, la Caudana, non è affatto citata, se non in nota per il saggio del 1956 appena ricordatostesso silenzio su Amerigo Bruna [21]

Nel 2012 si è svolto un convegno a Roma sui disegni di Leonardo, dove larga parte degli scritti è dedicata all'Autoritratto della Biblioteca Reale di Torino. Nel contributo sulla storia conservativa del celebre disegno non si parla dell'intervento della restauratrice, citato nel suo intervento del 1956 e nella commemorazione di Curto del 1975; si può solo dedurre dalla lettera, riportata nel saggio, della direttrice della Biblioteca Reale, Marina Bersano Begey, che al ritorno dell'opera da Roma nel 1950, dove era stata ricoverato durante il conflitto, sottolineava l'urgenza di affidarne il restauro al “Laboratorio della Nazionale”, e quindi alla Caudana [22] Sono state effettuati diversi tipi di analisi, che hanno identificato materiali azotati sulla superficie; non hanno identificato con certezza la natura dei residui di colla sul retro, della cui datazione non si fa cenno; la collatura della carta sembra essere stata realizzata con proteine e con amido: quest'ultimo, come residuo di adesivo, sembra essere concentrato nelle zone perimetrali del disegno [23]

Questi materiali sembrano essere collegati ad interventi della nostra restauratrice, ma nei diversi saggi non viene tentato un collegamento tra tali presenze e le sue pratiche conservative [24]

Claudia Santamaria

In un articolo apparso nel quotidiano genovese “Il Secolo XIX” del 13 ottobre 1950, viene descritta la rinnovata pinacoteca di Palazzo Bianco di Genova: tra le opere esposte, è citato "il Palio Bizantino del Tredicesimo secolo, dono dell'imperatore Michele Paleologo alla Repubblica di Genova, opera pressoché unica al mondo, alla cui meditata pulitura ha saggiamente operato la specialista signorina Caudano [Caudana]” [25].

In base ai documenti gentilmente forniti da Loredana Pessa, conservatore delle collezioni tessili del Comune di Genova, che ringrazio, veniamo a sapere che già nel dicembre del 1934 la commissione per i restauri delle opere dei Musei e Gallerie civiche aveva pensato ad una diversa collocazione del Pallio di San Lorenzo, prezioso tessuto duecentesco ricamato: “L’attuale sistemazione è pericolosa perché il pallio non poggia su di una parte omogenea”. Nel 1949 viene esaminato da Silvio Grassi, arazziere del Vaticano, e da Erminia Caudana, che effettua prove di pulitura e di “disossidamento dei fili metallici”. Le viene affidato il restauro, confermato da una delibera comunale del 1950 [26]

Nel 2002-2003, durante le fasi preliminari allo smontaggio del Pallio (ora nel Museo civico di Sant'Agostino), ebbi l'opportunità di esaminarlo, dopo che era stato esposto per di più di cinquant'anni su di un piano lievemente inclinato trasparente, all'interno di una teca in cristallo progettata da Franco Albini [27].

Per il restauro era stato utilizzato il crepeline di seta e un adesivo; il tessuto si presentava molto fragile e frammentario, la restauratrice aveva minuziosamente posizionato ogni parte prima di fermarla sul crepeline ma, non avendo potuto determinare la giusta collocazione di un piccolo frammento, lo aveva comunque posizionato, con gli orditi e le trame in senso opposto al resto del manufatto, dimostrando, un rigore scientifico, che, a mio parere, non era comune nel campo del restauro dei manufatti tessili a quel tempo. Incuriosita, iniziai a raccogliere alcune sue notizie al Museo Egizio di Torino, dove mi descrissero l'utilizzo da parte sua di un adesivo di origine vegetale, e mi furono segnalate alcune pubblicazioni che citavano il suoi lavori [28]

È interessante notare come in alcuni articoli di quotidiani degli anni Venti e Trenta del secolo scorso, la restauratrice venisse definita una "artista" e, pur citando le "conquiste scientifiche" come la camera umida, i "mezzi chimici impiegati" e "un grande numero di fotografie a prova dei risultati", si sottolineava come fosse assolutamente riservata sulle fasi del restauro. Inoltre si evince che la Caudana ebbe inviti da "grandi Istituti" fuori Torino, a cui rinunciò per rimanere nella sua città [29]

Fu Giulio Farina, direttore del Museo Egizio di Torino dal 1928 al 1943, a coinvolgere la restauratrice nella conservazione dei papiri e dei tessuti: nel 1939, occupandosi dell’interpretazione dei papiri, spiega che, "all'egittologo spetta di scegliere i pezzi appartenenti allo stesso papiro", il restauratore " procede quindi per mezzo di una intensa luce all'esame della tessitura interna, che presenta l'aspetto di una rete", e opera alla sua ricostruzione [30].

In un articolo del Corriere della Sera del 1932, si specifica inoltre: "poichè il restauro dei tessuti è analogo, per sistema e per difficoltà, a quello dei papiri, da due anni si lavora a restaurare il sudario dell'Egizio dissepolto a Gebelein", riferendosi alla tela dipinta di epoca predinastica, rinvenuta dallo stesso Farina nella necropoli di Gebelein, che la Caudana distese, ripulì, fissò su velo di seta e racchiuse tra cristalli saldati sui bordi e montati su cornice [31].

Lei stessa, nel suo intervento al Convegno di Trieste del 1956, elenca, oltre agli interventi di restauro su carte, pergamene, papiri, anche "piviali, arredi sacri per conto della Soprintendenza alle Gallerie del Piemonte; per il Museo Civico di Genova un paliotto bizantino e arredi sacri; per il Museo Etrusco di Firenze stoffe copte" [32].

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La tecnica utilizzata dalla Caudana per il restauro dei tessili prevedeva l'uso del velo di seta ed adesivo a base di amido: l'uso, per il restauro dei manoscritti, del "velo di seta e pasta di farina disinfettata con allume", fu descritto da padre Franz Ehrle nel 1898; dopo aver organizzato la conferenza di San Gallo ricevette molte richieste di informazioni, tra le quali quella del direttore della Biblioteca del Congresso di Washington, a cui inviò un campione di crepeline [33]

Nel campo del restauro dei tessili, l'uso del crepeline posto su entrambi i lati e fermato a cucito, è citato alla metà degli anni Novanta dell’Ottocento in Svezia, tra i diversi metodi impiegati per la conservazione delle bandiere, manufatti molto fragili a causa della seta leggera appesantita da ricami [34] Nel 1957, Agnes Geijer, laureata in archeologia, pioniera del restauro dei tessili in Europa, in una delle prime pubblicazioni sul tema, ne descrive l'utilizzo nel restauro delle bandiere, fermato a cucito. La Geijer diresse dal 1930 il laboratorio "Pietas", istituito nel 1908 da due importanti direttori di Museo di Stoccolma, per il restauro dei tessuti sotto sorveglianza accademica, con il fine di salvare i paramenti conservati nelle chiese svedesi [35].

L'adesivo a base d'amido è uno degli adesivi più antichi utilizzati dall'uomo; prove del suo utilizzo sono state rilevate in epoca molto antica in Egitto, Cina, Giappone ecc.; nell'arte pittorica cinese e giapponese è stato e continua ad essere utilizzato per foderare con carta i rotoli dipinti con cornici di seta; la sua preparazione e reversibilità è stata sperimentata per centinaia di anni; negli anni Ottanta del Novecento è stato sperimentato anche l’uso dell’amido modificato, con il fine di aumentarne la flessibilità e per prevenire gli attacchi biologici, utilizzato per il restauro dei tessili in seta che non possono essere consolidati a cucito [36]

Prima della Seconda Guerra Mondiale adesivi a base di amido furono utilizzati sia per l'incollaggio di tessili su cartoni leggeri che per il montaggio di tessuti copti su tessuto beige, di natura non precisata, nel Museo del Tessuto di Lione: l’adesivo era messo a punti e più raramente sull’intera superficie [37]

Nel dopoguerra Sigrid Muller-Christensen, un'altra pioniera del restauro tessile, nel Museo Nazionale della Baviera in Monaco restaurò due mantelli copti provenienti dal Museo di Lione utilizzando anche il crepeline di seta, fermato però a cucito. [38]

Nel corso di questi anni è cresciuto l'interesse per la figura di Erminia Caudana: è ricordata da una teca nel Museo Egizio di Torino, le sono state dedicate delle pagine in internet – nel sito dell'Associazione Italiana Biblioteche e su Wikipedia - è stata oggetto di nuove pubblicazioni che hanno approfondito la sua storia [39].

Alcuni manufatti tessili da lei restaurati sono stati recentemente oggetto di nuovi interventi, che hanno permesso di gettare luce sui suoi procedimenti. Nel 2003 Maria Cristina Guidotti, direttrice del Museo Egizio di Firenze, che ringrazio, mi ha gentilmente consentito di esaminare alcuni tessuti copti da lei restaurati e pubblicati nel 1953, che risultavano incollati su crepeline di colore naturale, con un passepartout di cartoncino [40].

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Figure 1 e 2 A siinistra) Erminia Caudana nel Laboratorio del Museo Egizio di Torino, con Giulio Farina alla sua sinistra; a destra) Posizionamento di un frammento sul Pallio bizantino del XIII secolo (Genova, Museo di Sant'Agostino) (foto di Claudia Samntamaria)
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Alcune stoffe copte e bizantine del Museo Egizio di Torino pochi anni fa sono state smontate e restaurate dagli operatori del Centro Conservazione e Restauro La Venaria Reale. Le analisi scientifiche hanno individuato l'amido come collante dell'applicazione dei tessuti sul velo di seta, in alcuni casi in quantità tale da creare forti irrigidimenti delle fibre: in quest'ultimo caso i residui sono stati rimossi mediante applicazioni dell'enzima α-amilasi, lo stesso ipotizzato nel trattamento per asportare la colla d'amido dal retro dell'Autoritratto di Leonardo da Vinci, anch'esso trattato dalla Caudana, come si è detto. Sono state riscontrate tracce di saponi, indizio di un intervento di pulitura mediante immersione acquosa: tale intervento potrebbe essere stato eseguito sia dalla Caudana, che da altri, come spesso avveniva nei siti di scavo, come descritto da Marie Schoefer-Masson.

Per i frammenti di una tunica-sudario è stata fatta l'ipotesi di un'operazione di stiratura a caldo dopo l'incollaggio, oppure potrebbero essere stati posizionati sotto peso fino all'asciugatura della colla, come descritto da Emile Guimet nel 1902 ; “porzioni di tessuto lacerate sono state addirittura incollate ripiegate e sovrapposte, senza rispettare l'ortogonalità dell'intreccio e il corretto riposizionamento dei lembi”, scrivono Ferrari e gli altri autori nel 2014. È da notare come la Caudana eseguisse anche qualche intervento a cucito, con punti e filati piuttosto evidenti, che sono stati rilevati nelle stoffe torinesi [41]

Nel caso del Pallio bizantino genovese, restaurato, sotto la direzione della compianta Susanna Conti, presso il laboratorio dei manufatti tessili dell'Opificio delle Pietre Dure in Firenze, i numerosi frammenti, ricomposti dalla Caudana su crepeline con adesivo, presumibilmente a base di amido, non sono stati smontati ma è stata rimossa solo la fodera totale, sempre in crepeline; maggiori notizie si ricaveranno dalla pubblicazione di prossima uscita. Anche in questo caso sono presenti lungo il perimetro del tessuto evidenti cuciture [42].

Erminia Caudana sarebbe quindi stata una delle prime operatrici ad utilizzare nei tessuti l'incollaggio con colla di farina su crepeline. Nella storia del restauro dei tessili, per quanto è di mia conoscenza, non vi sono esempi di restauri simili ai suoi, fatta eccezione per una pubblicazione russa del 1955 citata in un bollettino del C.I.E.T.A. (Centre International d’ Étude des Textiles Anciens) del 1961, in cui però viene utilizzato il tulle con la colla d’amido [43]. Nei primi anni Cinquanta del XX secolo l’Università Tecnica di Delft (Olanda) iniziò una ricerca sulle applicazioni dei primi adesivi sintetici al restauro dei tessili; furono eseguite sperimentazioni con risultati spesso negativi, perché non era conosciuta a sufficienza la reazione dei prodotti all’invecchiamento, e perché la quantità di adesivo era maggiore rispetto al necessario. Con il tempo le tecniche ed i materiali si sono molto evoluti ma, in generale, uno dei possibili supporti utilizzabili rimane sempre il crepeline di seta [44].

Gli interventi condotti sui tessili dalla Caudana e, dopo il 1950 anche dal nipote Amerigo Bruna , presso il laboratorio del Museo Egizio di Torino, pur in mancanza di una documentazione scritta, possono essere ora studiati attraverso l’esame dei manufatti stessi, generando riflessioni e ricerche sui metodi da utilizzare per intervenire nuovamente su di essi. Senza una corretta valutazione dell’esperienza, nel bene e nel male, dei nostri predecessori non sarebbe stato possibile conservare questi manufatti tessili e sviluppare i metodi più corretti di conservazione ed esposizione.

Conclusioni

Erminia Caudana è stata la portatrice per decenni di metodologie elaborate nel primo Novecento, compreso l'atteggiamento, criticabile ma assai diffuso, della segretezza dei procedimenti; d'altra parte si è posta come pioniera nel campo dei tessili, trasferendovi la prassi di applicare manufatti molto fragili su velo di seta con collanti vegetali, impiegata per i papiri, metodo comunemente utilizzato sino agli anni Ottanta del Novecento, mentre la colla l'amido modificata può essere ancora utilizzata per i tessili, anche perché mostra i caratteri di una possibile ritrattabilità, con esiti piuttosto positivi [45]

In chiusura, molte testimonianze descrivono il suo atteggiamento come quello di una donna che ha posto il lavoro come scopo principale, se non unico, della sua vita: vengono notati in lei “l'abnegazione, il disinteresse e il sacrificio personale” [46]. Caratteristiche che purtroppo hanno facilitato il suo sfruttamento da parte dello Stato: in una conversazione telefonica di alcuni anni fa con Claudia Santamaria Amerigo Bruna ha voluto sottolineare come la zia fosse morta povera. C'è ancora una volta da riflettere su quanto le maestranze femminili abbiano dato alla conservazione del patrimonio culturale di tutti noi, e su come siano state trattate dalle istituzioni pubbliche. [P.B. - C.S.]

NOTE

[1] Giaccaria 2016, pp.131-133; Porticelli 2020, pp.107-110

[2] Bensi 1992; Giaccaria 2016, pp.131-133; Porticelli 2020, pp.107-110; Russo 2020.

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[3] Ehrle 1898; Furia 1992, pp. 47-50; Buonocore 2010, pp.73-75; Porticelli 2020, p.110.

[4] Giaccaria 2016, pp.135-136; Boffula Alimeni 2020, pp.32-36; Porticelli 2020, p.111.

[5] Furia 1992, p. 54; Russo 2020, pp. 62 e 64-65.

[6] Giaccaria 2016, pp.136 e 141, nota 39

[7] Gallo 1929-1930; Giaccaria 2016, pp.137 e 141, note 40 e 41; Porticelli 2020, p.111.

[8] Curto 1975; Giaccaria 2016, p.138; Boffula Alimeni 2020, pp.32-36

[9] Giaccaria 2016, pp.138-139; Boffula Alimeni 2020, pp.3

[10] Caudana 1957, p.37.

[11] Curto 1975, p. 272; Giaccaria 2016, p.136 e 141.

[12] Ehrle 1898, p.19; Gettens, Stout 1942 (1966), pp.23-25; Giacosa 2016, p.136.22]

[13] Ehrle 1898, pp.24-25; Furia 1992, pp. 51-52 e 54; Boffula Alimeni 2020, p. 145.

[14] Gettens, Stout 1942 (1966), p.19.

[15] Selwitz 1988; Furia 1992, pp.49-50.

[16] Furia 1992, p 52; Ferroni 2008, p.151.

[17] Giaccaria 2016, p.136; Porticelli 2020, p.111.

[18 Mannucci et al. 2000; Cachia 2020.

[19] Boffula Alimeni 2020, pp.150,155-158

[20] Giaccaria 2016, p. 137.

[21] Furia 1992, pp.

[22] Caudana 1957, p.37; Curto 1975, p.272; Salvi 2014, p.37.

[23] Bicchieri 2014, p. 76; Pinzari, p.65.

[24] Iannuccelli, Sotgiu 2014, p.82.

[25] Ghiglione 1950.

[26] L'ubicazione dei documenti è la seguente: Archivio Ufficio Belle Arti, Scatola 19, cass.72, fasc 2. Si veda anche Parma Armani,1983-1985 (1986), in particolare p. 41, nota 2.

[27] Relazione del 26/03/2003 non pubblicata; lo smontaggio del Pallio Bizantino, motivato dal completo disallestimento del museo, in vista delle manifestazioni per Genova 2004 è stato diretto dal Marzia Cataldi Gallo, Soprintendenza ai Beni Artistici di Genova, e da Clario Di Fabio, direttore del Museo di Sant'Agostino, Genova; la ditta Sciutto di Genova ha eseguito lo smontaggio ed il trasporto. Ottolini 2017, p. 55, fig. 147, per l'allestimento del Pallio.

[28] Al Museo Egizio fui gentilmente ricevuta da Elvira D'Amicone e dalla direttrice Anna Maria Roveri Donadoni, quest'ultima, mi raccontò anche un aneddoto personale: la Caudana aveva perfettamente restaurato alcune pagine di una pubblicazione di suo padre, danneggiata da suo figlio piccolo. Le pubblicazioni segnalate sono: Curto,1975; Curto 1989.

[29] Anonimo 1926; Anonimo 1937.

[30] Farina 1939.

[31] Meano 1932; Curto 1989.

[32] Caudana 1957, p.37.

[33] Buonocore, 2010, pp. 73-74 e 88.

[34] Brunskog , Nilsson 2013, pp. 175-176.

[35] Geijer 1957, p.25; Geijer 1961; Ishii 2021, p. 4.

[36] Van Steene, Masschelein-Kleiner 1980; Masschelein-Kleiner, Bergiers 1984, pp.71-73.

[37] Privat-Savigny, 2015, p.113

[38] Schoefer-Masson, 2009, pp.147-149.

[39] https://www.aib.it/aib/editoria/dbbi20/caudana.htm [consultato il 1 agosto 2022]

[40] Botti 1953.

[41] Schoefer-Masson, 2009, p.148 (Guimet); Ferrari et al. 2014, pp.234-237; Borla et al. 2015, p.82.

[42] Notizie tratte dalla presentazione di Riccardo Gennaioli e Licia Triolo “Il restauro di un capolavoro dell'arte bizantina: il Pallio di San Lorenzo”, alla Giornata di studio dell'Opificio delle Pietre Dure e Laboratori di restauro "Progetti ed esperienze di conservazione. I 90 anni del laboratorio restauri 1932-2022", 10 Giugno 2022, a cura di Marco Ciatti e Sandra Rossi., nonché dalle informazioni gentilmente fornite da Licia Triolo. Parma Armani,1983-1985 (1986), p. 41, nota 2.

[43] Leene 1961.

[44] Pertegato 1984.1985 (1986), pp.62 e 67; De Groot 2006.

[45] Conti 2016, p.46.

[46] Pertegato 1984-1985 (1986), pp.62 e 67; Cruickshank, Zenzie 1995

[47] Boffula Alimeni 2020, p.35.

a”XX Congresso Nazionale IGIIC – Lo Stato dell’Arte 20 – 13-14-15 ottobre 2022, Palazzo GIL sede dell’Assessorato al Turismo e alla Cultura della Regione Molise, Campobasso
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