Vitantonio Russo
‘Na vóta e mmò Una volta e ora Edizioni V.R. 2014 1
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Il calzolaio
Il calzolaio Pasquale, “Lilino”, sopran nominato “Magnòzza” (Dall’archivio fo tografico di “Buccino nella storia”.)
I guardamènï : I guardamani (Quando il calzolaio doveva cucire insieme suola, plantare e tomaia, indossava delle spe‐ cie di guanti di pelle, i “guardamènï”, che fasciavano la palma e il dorso delle due mani in modo da evitare profonde ferite sulla pelle causate inevitabilmen‐ te dallo spago tirato molto forte. Questa protezione evitava anche le punture che potevano derivare dall’uso della lesina.)
I guardiungiéllï : Le sotto tomaie – I guardoli (Erano pezzi di pelle morbida che si applicavano sotto le tomaie per proteggerle. Il termine dialettale deriva da “guardare” nel senso di “salvaguar‐ dare”, “proteggere”.) I salvatàcchï e i salvapùndë : I salva‐ tacchi e i salvapunte (Sulle scarpe da la‐ voro dei contadini il calzolaio inchioda‐ va i “salvapunte” e i “salvatacchi” che
Il calzolaio Antonio Zinno (zïnnariéddö) (Foto di Mario Chiariello.) 91
venivano applicati rispettivamente sulle punte e sul retro dei tacchi delle scarpe. Erano dei pezzi di metallo, i primi di forma triangolare, i secondi a forma di mezza luna. Servivano ad evitare l’usura di queste due parti importanti della scarpa.)
compatto legno di bosso, arbusto molto diffuso nella macchia mediterranea. Ve‐ niva usato per levigare e lucidare le su‐ perfici della suola e dei tacchi al fine di rendere le scarpe esteticamente più bel‐ le ed eleganti.) L’assùglia : La lesina (Il termine dialet‐ tale potrebbe derivare dal latino “subu‐ la” che vuol dire “subbia” che è un arne‐ se d'acciaio in forma di scalpello a punta piramidale quadrangolare, usato per sgrossare le pietre ma che a livello re‐ gionale viene usato anche per indicare la lesina. Questo strumento del calzolaio è composto da un grosso ago metallico ricurvo e molto appuntito e da un corto manico di legno tornito. Viene usato per creare i buchi in cui si inserisce lo spago per cucire le suole alle tomaie delle scarpe. Alcune lesine avevano, vicino al‐ la punta, un foro che consentiva di usar‐ le come aghi.)
I scarpèrï : I calzolai [I calzolai del pas‐ sato che io ricordo erano Michele Sa‐ limbene, Gerardo Verderese, sopran‐ nominato “Iaiónë”, Arturo Salimbene che mi è stato di grande aiuto nel dare il nome dialettale ad alcuni degli attrezzi del calzolaio, Michele “r’ lùscia”, “por‐ tanghèpö”>”porta in capo (sopranno‐ me; non ricordo il nome di questo calzo‐ laio) che aveva il suo piccolo laboratorio tappezzato di manifesti cinematografici. Ricordo che mia madre portava le scar‐ pe da riparare ad Arturo Salimbene, “màst’Artùrö”>maestro Arturo.]
La ‘mbìgna : La tomaia [Il termine dia‐ lettale deriva dal francese “empeigne”. Però i calzolai di Buccino col termine “’mbìgna” non indicavano la tomaia (chiamata “tumèia”) ma, genericamente, il materiale con cui essa veniva fatta e cioè la pelle di vacchetta, di capretto e altro. ] La còlla : La colla (Prima della cucitura il calzolaio stendeva sul plantare un ve‐ lo di una particolare colla flessibile ed impermeabile per far aderire la tomaia che egli incollava aiutandosi con una particolare pinza metallica detta “tira‐
L’allìscia sóla : Il liscia suola ( Il busset‐ to o bisegolo, era un arnese costruito in metallo oppure ricavato dal durissimo e 92
raspino, a denti fitti e piccoli rifiniva le superfici.)
pelle” che non rovinava la tomaia e che era costituita da due parti simmetriche, articolate mediante un perno centrale.)
La sulétta – La chiandèlla : La soletta – Il plantare (Il plantare o soletta è la suo‐ la interna della scarpa.)
La fòrma : La forma (Era il modello fat‐ to di legno massiccio di faggio, di acero o di carpino, su cui veniva costruita la scarpa. Sulla forma veniva fissato il plantare in cuoio utilizzando "r’ ssë‐ mënzèllë" in ferro n. 8‐10‐12‐14‐16 che avevano una testa larga e piatta, un gambo quadrato e una punta affilata. Sul plantare veniva, poi, applicata la col‐ la per far aderire la tomaia. Dopo l’asciugatura della colla, la forma veniva tirata fuori col “tiraforme”, un particola‐ re ferro uncinato che veniva agganciato in un apposito foro creato nella parte posteriore della forma del piede.)
La tënàglia : La tenaglia (La tenaglia a due ganasce, simmetriche ed articolate mediante un perno centrale, serviva a togliere i chiodi rotti dalle scarpe che dovevano poi essere riparate.) La tumèia : La tomaia [La tomaia o to‐ maio è la parte superiore di una calza‐ tura. I materiali più comunemente usati per realizzarla sono il cuoio e la pelle. (Oggi si utilizzano anche vari tipi di pla‐ stica e di tessuti.) È formata da un pezzo sagomato, attaccato alla suola tramite cucitura o incollaggio. Il suo nome deri‐ va dalla parola greca “tomàrion” che si‐ gnifica pezzetto di cuoio, di pelle. La tomaia viene realizzata in vari pezzi cu‐ citi insieme. Alla punta c’è “lu cappëllét‐ tö”>il cappelletto (in italiano “punta” o “puntale”) che è il sostegno rigido o se‐ mirigido posto tra la tomaia e la fodera, in corrispondenza della punta della scarpa; nella parte posteriore c’è “lu fòr‐ të”>il forte (in italiano “il contrafforte) che è il sostegno di cuoio che viene in‐ tercalato tra fodera e tomaia nella parte posteriore di questa, in corrispondenza del tallone, in modo da irrigidirla; nella parte centrale c’è la “màscëchëra”> ma‐ schera (la mascherina). Nel caso di scarpe allacciate la mascherina è divisa in due parti uguali ognuna delle quali ha
La pécia : La pece (Come già detto a proposito dello spago, la pece serviva a rendere resistente ed impermeabile lo spago.) La ràspa : La raspa (Con la raspa, a den‐ ti radi e grossi, il calzolaio sgrossava il bordo esterno della suola e gli strati di cuoio che formavano i tacchi mentre col 93
tilizzato anche per scarnificare e raffi‐ nare il cuoio. Esso veniva affilato fre‐ quentemente con la tela smeriglia, a grana sottilissima di colore grigio scuro, o con la pietra levigatrice.)
i gambetti dove si trovano gli occhielli per fissare i lacci. Nella parte centrale della mascherina si trova la linguetta che serve a proteggere il piede dalla pressione dei lacci e a fare in modo che esso sia coperto completamente.]
Lu màrcapùndï : Il marcapunti ( At‐ trezzo usato dal calzolaio per segnare sul cuoio delle scarpe dove dovevano essere dati i punti.) Lu martiéddö : Il martello (Attrezzo u‐ tilizzato per mettere chiodi dove occor‐ revano ma anche per martellare la suo‐ la.)
La vandéra : Grembiule di cuoio (Il termine probabilmente deriva dal fran‐ cese “devantière”>grembiule. Era il grembiule usato dal calzolaio per pro‐ teggersi da eventuali macchie e tagli.)
Lu përcéttö : Tenaglia per occhielli (Con questo attrezzo il calzolaio faceva dei fori passanti sui tramezzi laterali della tomaia nei quali poi inseriva e fis‐ sava degli occhielli metallici utilizzando la particolare macchina occhiellatrice. Attraverso questi fori faceva passare "’i làcci">le stringhe, di cuoio o di cotone pesante, che facevano aderire le scarpe al piede. Per l’etimologia, vedi “përcia’” nel vocabolario.)
Lu bbangariéddö : Il banchetto – Il de‐ schetto (Era il banchetto di legno da la‐ voro del calzolaio che sul piano aveva delle assi incrociate in modo tale da formare piccoli contenitori per chiodi vari e per alcuni attrezzi.)
Lu pérë r’ fiérrö : Il piede di ferro o in‐ cudine di ferro (L' incudine metallica a forma di piede rovesciato veniva fissata su un apposito sostegno di legno; oppu‐ re aveva una base di ferro, opportuna‐ mente sagomata, che veniva appoggiata sulle ginocchia. L’incudine, detta anche semplicemente piede, permetteva di in‐ chiodare le "semenzelle” sulla suola del‐ le scarpe e di piegarne il gambo quadra‐ to sporgente oltre lo spessore della so‐ letta in cuoio del plantare.)
Lu curtiéddö : Il coltello – Il trincetto (La sagoma della tomaia e dei tramezzi venivano tagliati col trincetto che era una lama di acciaio, affilatissima, aguz‐ za, larga 2 dita, ricurva alle due estremi‐ tà e senza manico. Il trincetto veniva u‐ 94
Lu spègö : Lo spago [Serviva per cucire la tomaia sulla suola. Il calzolaio cuciva a mano con dello spago di canapa pre‐ ventivamente impeciato con pece natu‐ rale chiara (composta di resina d’abete mescolata con olio e con altre sostanze chimiche) o con pece nera bituminosa (ottenuta dalla distillazione di catrami ricavati da sostanze organiche). Le peci, anche molto viscose, si scioglievano fa‐ cilmente al calore ed erano usate per impermeabilizzare, per aumentare la resistenza e per prolungare la vita dello spago.]
Lu pérë r’ puórcö : “Il piede di porco” – il bordatore – La liscia (Questo attrezzo di metallo, opportunamente riscaldato, veniva usato per stendere la cera d’api, colorata in nero e in marroncino, per impermeabilizzare ed abbellire i bordi della suola e dei tacchi. ) Lu pundarùlö : Il punteruolo (Il punte‐ ruolo è composto da un manico in legno a cui è saldamente attaccato un tondino in ferro appuntito alla sua estremità e l'affilatura può essere a cono o a pira‐ mide. L'affilatura a piramide consentiva di operare in modo più agevole. Il pun‐ teruolo serviva a fare i buchi nei quali doveva passare lo spago.)
Lu tìra fòrmë : Il tira forme (Era un particolare ferro uncinato con manico che veniva agganciato in un apposito fo‐ ro creato nella parte posteriore della forma del piede per tirarla dalla scarpa una volta che la colla era asciugata.)
Lu scarpèrö : Il calzolaio – Il ciabattino (Artigiano che costruiva e riparava vari tipi di scarpe. Ormai i calzolai son quasi completamente scomparsi. Qualcuno rimasto fa solo riparazioni.)
R’ ccëndréddë : “Le centrelle” – Le bor‐ chie (Anche “r’ cëntréddë” come “r’ tàc‐ 95
voloni quando si camminava sui selciati. L’etimologia del termine dialettale po‐ trebbe derivare dal portoghese “ta‐ cha”>bulletta che si pronunzia “tacia”. C’è anche il francese “tache” e l’inglese “tack” con lo stesso significato. Si po‐ trebbe pensare anche all’italiano “tac‐ cia” che, però ha il significato di “cattiva fama”; volendo proprio “tirarla per i ca‐ pelli” potremmo dire che la “bulletta” ha la “taccia”, cioè la cattiva fama di far sci‐ volare le persone che portavano le scarpe con questi chiodi o, ancora, che avevano la cattiva fama di essere chiodi messi sulle scarpe di gente rozza.)
cë” venivano applicate sulla parte peri‐ metrale della suola delle scarpe da lavo‐ ro. Queste, però, a differenza delle “tàc‐ cë”, avevano la capocchia arrotondata e rendevano la scarpa un po’ più leggera. La rendevano anche più scivolosa quando si camminava sui selciati. La pa‐ rola dialettale potrebbe derivare dal greco “kentron”>chiodo.) R’ ssëmënzèllë : “Le piccole semenze” (Sono tipi di chiodi corti a testa piatta, con gambo quadrato e affilato, di lun‐ ghezza da 6 a 22 millimetri utilizzati dal calzolaio per fissare il plantare alla for‐ ma di legno e per fissare i tacchi. Il ter‐ mine dialettale, probabilmente, deriva da “semenza”, “semente” in quanto que‐ sti chiodi sono piccoli come un seme.)
R’ ttàccë : Le bullette (Erano dei chiodi con la capocchia a forma di tronco di pi‐ ramide che venivano applicati su tutto il perimetro della suola delle scarpe da lavoro in modo che, insieme ai salva‐ punte e ai salvatacchi, rendevano le scarpe quasi indistruttibili. L’unico pro‐ blema, non da poco, era il rischio di sci‐
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