Pier Luigi Olivi to America with LOVE
S. MARCO 1996/D, 30124 VENEZIA tel. 041 5231305 info@bugnoartgallery.com www.bugnoartgallery.com testo di / text by Stefano Cecchetto traduzione del testo a cura di / text translated by John F. Phillimore impaginazione / page setting Andrés David Carrara
Pier Luigi Olivi to America with LOVE testo di Stefano Cecchetto
L’ America di Pier Luigi Olivi The beat goes on Stefano Cecchetto Ho visto le menti migliori della mia generazione distrutte dalla pazzia, affamate, nude isteriche trascinarsi per strade di negri all’alba in cerca di droga rabbiosa hipster dal capo d’angelo ardenti per l’antico contatto celeste… (Howl, Allen Ginsberg)
Quelli della mia generazione, quelli cresciuti con la musica di Bob Dylan, con il poemetto: Urlo di Allen Ginsberg e con la Pop Art americana, tanto per intenderci, faticano a recepire la curva populista dell’America contemporanea. Decisamente più difficile credo lo sia anche per la generazione precedente, quella di Pier Luigi Olivi, nata sull’onda letteraria di Faulkner, di Hemingway, di Steinbeck e dei grandi scrittori americani che hanno segnato una svolta epocale nel Novecento. Lo scrittore infatti, per il fatto stesso di praticare l’arte della parola, è forse il più sensibile all’unità della cultura in cui tutte le arti confluiscono. La sua vocazione lo rende un antidispersivo, e questo resta uno dei motivi d’affanno, spesso anche di errore di ogni scrittore moderno che cerca di imitare lo stile dei grandi maestri. Detto questo, un fatto però resta fermo: le arti contemporanee scorrono in senso aderente alla rappresentazione del proprio tempo. Mentre le vicende 5
culturali del Novecento rivelano una coerente rottura radicale tra le arti e la società civile, sfociata poi nella contestazione del ‘68 in Europa e nelle grandi rivolte contro la guerra in Vietnam negli Stati Uniti, l’arte di oggi è invece solidale al vissuto del proprio tempo, lo lusinga e si affianca al sistema, producendo oggetti autonomi, sempre più nevrastenici e destinati ad un collezionismo piuttosto debole dal punto di vista culturale. In questo contesto, il lavoro di Pier Luigi Olivi diventa quasi una breccia, un pertugio dal quale osservare la decadenza del sistema dell’arte, in quanto egli mette insieme alcuni emblemi di questa nevrastenia per poi trasferirli nella condizione di un kitsch ‘accademico’ che diventa denuncia del sistema di potere americano. Nel breve ciclo di qualche decennio, essendo ormai venute meno le certezze di un’etica considerata inattaccabile per le sue radici consolidate nell’arco dei secoli, l’arte decide di aggrapparsi ad un altro assoluto – il mercato – la cui valutazione è per la maggior parte contrapposta al valore intrinseco dell’opera. L’arte americana, in particolare, riflette la condotta del Paese in quanto perpetra il crollo dell’ideologia dentro ai presupposti di una cosiddetta avanguardia utilizzata come arma di pressione morale e finalizzata a dividere – piuttosto che ad unire – l’espressione morale del concetto di ‘bandiera’. Una bandiera che Olivi rimette insieme occupando le stellette degli Stati membri con l’effige di volti iconici dello star system, dell’arte, della scienza, del potere governativo. Si tratta di un’operazione in cui l’iperbole creativa della Pop Art degli anni sessanta, finalizzata ad esaltare gli emblemi della quotidianità: le zuppe Campbell, la Coca Cola, etc. sembra subire, nel lavoro di Pier Luigi Olivi, un processo di redenzione che si
offre come simulacro di vita, capace di contestare e ridicolizzare il malessere di una società civile avviata ormai verso un declino inarrestabile. E l’arte, piuttosto che rivelare la sua funzione di cura conciliante, si fa linguaggio della menzogna libertaria, sulla cui parete illusoria si schianteranno tutti i miti del potere e del denaro. Olivi gioca quindi con gli emblemi del potere: il dollaro, la bandiera, la statua della libertà e il volto grottesco di Donald Trump, per confermare l’arte – ancora una volta – quale strumento di denuncia, per la sua facoltà di autodeterminarsi e di riprodursi come linguaggio autonomo. L’insufficiente ribellione collettiva posta in atto contro i modelli proposti dalla pubblicità, dal mercato e dal dilagante consumismo, comporta dunque una spettacolarizzazione dell’arte e dell’atteggiamento critico verso una compiacente visualizzazione del banale. In questo contesto, il lavoro di Pier Luigi Olivi tende a spostare il focus fuori dal dominio della morale e dell’etica, a cui si ricollegano tutte le forme ideologiche delle avanguardie, qui invece il tema emancipatore è una dirompente ironia che intende mistificare il senso di un’arte quale prodotto sui generis. Se pensiamo all’inconsistente valore culturale di opere quali: Balloon o Rabbit di Jeff Koons in contrapposizione al loro esagerato valore economico, allora è più facile comprendere perché Olivi mette sotto plexiglass la banconota americana del suo Happiness toy, quasi a preservarla dall’inutile sperpero di quell’acquisto, ma nello stesso tempo chiude il dollaro dentro a un tabernacolo votivo (get your Dollar). L’obiettivo resta dunque quello di convertire l’energia di un sentimento distruttivo per poi indiriz6
resto affermava: “I think the object itself somewhat dubious concept”, in quanto è l’oggetto stesso a formulare il dubbio. Così, La liberté éclairant le monde, l’opera dell’artista che mette in luce il simbolo della statua della libertà quale strumento dell’indipendenza democratica – un valore che oggi non è poi così assodato – visto che la fiamma è accesa grazie al potere del dollaro. L’indagine, più che argomentazione di esistenza si trasforma in dimostrazione di potenza, le pretese sono più limitate, l’interpretazione dei simboli non è sublimazione bensì denigrazione degli stessi. Il dollaro, la bandiera, la statua della libertà non vuol dire che siano compresi da tutti nella stessa maniera, come avveniva invece per gli emblemi della pop art, ora, grazie a sistemi di conoscenza culturale diversa questi stessi simboli diventano profanabili. Contro qualsiasi velleità di critica e di contestazione, questi simboli però non tentano di sfuggire alla soggezione ideologica del sistema, piuttosto vengono esibiti dall’artista come emblemi di una rinnovata visibilità ed esposti ancora una volta per evitare di respingerli definitivamente nell’ombra.
zarlo verso una rinnovata fiducia nelle capacità di ognuno a riflettere sui nuovi territori dell’arte. Al fine di saper scindere dentro al mito, il vero dal falso, rifiutando così quella dottrina dello stereotipo che si è posta l’obiettivo di omologare le nostre coscienze. Ecco perché Trilogy of Power, nell’evidente rappresentazione grottesca di una contemporanea Bocca della verità, resta una delle opere più crude di Pier Luigi Olivi, in quanto destinata a stabilire quel declino ‘symptomatic of moral values of our ages’ che nega a priori l’origine di un ‘great obvious truth of human life’. L’artista diventa dunque un terapeuta visuale, il cui grado di comunicabilità ed il cui indice di intellegibilità etica serve a denunciare tutte le manifestazioni dentro alle quali il sistema americano vacilla per la sua mancata strategia politica e sociale. Comunque la si veda, però l’arte sta perdendo valore poiché l’esperienza duchampiana dimostra che il linguaggio è ormai desueto, non meraviglia quindi che il suo esprimersi, avendo ormai solo lo scopo di soddisfare l’occhio, sia decisamente lontano da quello che un tempo era definito: il messaggio. Pier Luigi Olivi cerca dunque di restituire questa concezione di messaggio, nella rappresentazione esasperata di elementi che si riflettono in un ready-made concettuale, un gioco di rimandi in cui il bisogno biologico di ‘esprimersi’ fa da specchio – attraverso il paradosso del gioco – a quello di ‘comprendersi’. Il fine è l’annullamento dell’arte come sistema di mercato attraverso la proposta di una rappresentazione del mercato stesso, per una prospettiva che intende riaffermare proprio l’arbitrarietà dell’arte. La stabilità dell’oggetto, la sua peculiarità, messa in pericolo da Duchamp, si trasforma ora nell’opera di Olivi, nell’inquietudine del dubbio, Jasper Johns del 8
Pier Luigi Olivi’s America The beat goes on Stefano Cecchetto I saw the best minds of my generation destroyed by madness, starving hysterical naked, dragging themselves through the negro streets at dawn looking for an angry fix, angelheaded hipsters burning for the ancient heavenly connection… (Howl, Allen Ginsberg)
Those of my generation – the generation that grew up with the music of Bob Dylan, with Allen Ginsberg’s Howl and with American Pop Art, just to be clear – struggle to get their heads round the populist trajectory of today’s America. And I think it must be harder still for the previous generation, that of Pier Luigi Olivi, born into the literary world shaped by Faulkner, Hemingway, Steinbeck and the other great American writers who represented that epoch-making turning-point in the 20th century. A writer is perhaps, precisely because he or she practices the art of the word, peculiarly sensitive to the unity of a culture into which all artforms flow. His vocation itself makes him ‘antidispersive’, and this remains one of the sources of preoccupation – and of error – for every contemporary writer who attempts to imitate the style of the great masters. None the less, one thing is for sure: contemporary arts tend to reflect their times. While cultural events of the 20th century show a consistent radical split 9
between the arts and civil society, emerging particularly in the European 1968 protests and the great revolt against the Vietnam war in the United States, today’s art seems shoulder to shoulder with the lifestyles of its day, it flatters them, cosying up to the system, producing ever more listless autonomous artefacts, aimed the least discriminating of collectors, culturally speaking. In this context, Pier Luigi Olivi’s work becomes a breach, you might say, a fissure through which we see the decadence of the art system, as he puts together certain representative emblems of that listlessness and then mutates them into a sort of ‘academic’ kitsch which becomes a denunciation of the whole system of American power. In the short space of a few decades, since the certainties of an aesthetic once considered unassailable have disappeared, for all that its roots had been firmly established over the centuries, art has decided to cling to another criterion – the market – whose evaluations have for the most part little or nothing to do with the intrinsic worth of the work. American art, in particular, reflects the situation of the country in so far as it perpetuates the collapse of ideology within the ambit of a so-called avant-garde used as a weapon of moral pressure aimed at dividing, rather than uniting, moral expression around the concept of, say, ‘the flag’ – a flag that Olivi reassembles by filling the stars of the member states with the iconic faces of ‘stars’ of the arts, science, government power. It is an operation in which the creative hyperbole of 60s Pop Art, with its lurid enhancement of emblems of everyday life – Campbell soups, Coca Cola, etc. – undergoes, in the work of Pier Luigi Olivi, a process of redemption offering itself rather as a sim-
ulacrum of that life, contesting and ridiculing the malaise of a civil society embarked, it would seem, on an unstoppable decline. Thus art, rather than exercising its function of conciliation, becomes the language of the libertarian lie, against whose illusory walls all the myths of power and money will shatter. Olivi plays with the emblems of power: the dollar, the flag, the Statue of Liberty and the grotesque face of Donald Trump, to reaffirm art’s role as an instrument of denunciation, for its faculty of self-determination and self-reinvention as an autonomous language. The lack of any substantial collective rebellion mounted against the models proposed by advertising, the market and rampant consumerism, demanded a spectacularization of art and of a properly critical attitude towards the complacent visual rendering of the banal. Here again, Pier Luigi Olivi’s work shifts the focus outside the domain of morality and ethics, to which all avant-garde ideological forms tend to be linked. His emancipatory theme is a disruptive irony that opens out meaning(s) in an art that is wholly sui generis. If we think of the evanescent cultural value of works such as Jeff Koons’ Balloon or Rabbit in relation to their exaggerated monetary value, it becomes all the easier to understand why Olivi has put the iconic American banknote under plexiglass in his Happiness toy, as if to keep it from being squandered on such stuff, while also placing real examples of ‘the green stuff’ in a votive tabernacle (get your Dollar). His objective is to redirect merely destructive energies into a renewed faith in the capacity of each one of us to draw on the new terrains of art, in order to distinguish the true from the false within the myth
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and reject the doctrine of stereotypes that has appointed itself to the task of ratifying our consciences. This is why Trilogy of Power, clearly a grotesque contemporary rendering of a Bocca della Verità, remains one of Pier Luigi Olivi’s rawest works, in that it fixes the symptomatic ‘decline of the moral values of our age’ that would deny a priori the existence of a ‘great obvious truth of human life’. The artist thus becomes a visual therapist, whose heightened power of communication and enhanced ethical intelligence denounce all the expressions of the American system’s failings due to its lack of social and political vision. However you look at it, art has been losing its purchase since Duchamp’s demonstration that its language may now be obsolete, and it is therefore not surprising that its expression, having now the sole purpose of satisfying the eye, is a decidedly far cry from its former prime concern: the message. It is Pier Luigi Olivi’s aim, conversely, to return to that notion of ‘message’, through the exacerbated representation of elements that bounce off one another in conceptual ready-mades, a game of cross-references in which the instinctual need for self-expression acts as a mirror – within the intrinsic paradox of the game – to that of self-understanding. The objective is the nullification of art as a market system through a representation of the market itself, in a perspective that reaffirms the arbitrariness of art. The stability of the object, its uniqueness, already undermined by Duchamp, is transformed in Olivi’s work into a pervasive, doubting unease (as Jasper Johns put it “I think the object itself a somewhat dubious concept”), in so far as it is the object itself that formulates the doubt. Thus, in La liberté éclairant le monde, the artist foregrounds the Statue
of Liberty as a symbol of democratic independence whose validity can no longer be taken for granted, given that it is the power of the dollar that now fuels the flame. The investigation, rather than an existential argument, is transformed into a demonstration of power, the claims are more limited, the interpretation of the symbols is not sublimation but their denigration. The dollar, the flag, the Statue of Liberty do not ask to be understood by everyone in the same way, as was the case for the emblems of pop art: now, thanks to our different systems of cultural communication, these same symbols become equally open to profanation. In the face any show of criticism or contestation, they do not try to elude the ideological subjection imposed by the system; rather they are given here a new emblematic visibility by the artist and re-exhibited precisely to prevent their being definitively consigned to the shadows.
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Happiness toy, 2020 mixed media, cm 50x20x20
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Fifty State Globe, 2020 mixed media, cm. 79x65x60
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in GOLD we TRUST, 2020 mixed media, cm 75x100
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to AMERICA with LOVE, 2020 mixed media, cm 50x100
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to AMERICA with LOVE, 2020 mixed media, cm 100x50
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Untitled (polyptych), 2020 mixed media, cm 100x120
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Self portrait, 2020 mixed media, cm 75x50
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Trilogy of power (triptych), 2020 mixed media, cm 60 x 120
Flagquake, 2020 mixed media, cm70x130
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La Liberté éclairant le monde, 2021 mixed media, cm 100x70
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Biografia Biography As a young man, Pier Luigi Olivi already moved in the art world and was friendly with many Venetian artists. In 1970 published Il Compagno 0143648. From 1965 to 1985 pursued his passion for photography, focusing on social struggles and the artworld. Co-founder and leading member of the cultural collective “La Comune” which introduced Venice to the theatre of Nobel Prize winning Dario Fo. 1975: Furia – portfolio with short story and engravings by 6 artists, preface by Cesare Zavattini, accompanying exhibition at the Traghetto art gallery, Venice; 1986: Murrine, poems with silk-screens by 3 artists, preface by Nantas Salvalaggio, published by Cafoscarina, show at the Traghetto; produced Venezia Cannaregio, a guide published in 4 languages, photographs by Graziano Arici; 1987: Dieci poesie e il libro della canzon d’amore, illustrations by Luigi Gardenal, preface by Enzo Di Martino, show at the Traghetto; Venise Venise: poetry and art exhibition at the Galerie d’Art Contemporain St-Ravy-Demangel, Montpellier; 1988: Poème à porter, launch and exhibition at Londra Palace Hotel, Venice. In 2012, ‘discovered’ Edith Wharton’s The Vice of Reading, and – as ‘OLIBELBEG VENEZIA’ – published it for the first time in Italy. Designed the livre d’artiste VENEZIA VENEZIA, original poem by Pier Luigi Olivi, images by Luigi Gardenal, preface by Salvatore Settis, prose note by Mario Stefani, Edizioni My Monkey, 2019. In the same year created La BiBiennale di Venezia and Suite Veneziana; in 2020 Carnival, Planet 2020 and La Terza Colonna. La BiBiennale di Venezia is a project still in progress in partnership with Salvatore Settis, Tomaso Montanari and Francesca Brandes, comprising a series of works combining digitally printed texts and images. An ongoing thread continuing with to America with Love.
Adolescente, frequenta il mondo dell’arte, amicizia con artisti veneziani. Nel ’70 pubblica Il Compagno 0143648. Dal ’65 all’ ’85 la passione per la fotografia, obiettivo su lotte sociali e il mondo dell’arte. Tra i fondatori e animatori del Circolo Culturale La Comune che porta a Venezia il teatro del premio Nobel Dario Fo. Nel ’75 il racconto Furia, cartella con incisioni di 6 artisti, prefazione Cesare Zavattini, esposizione alla Galleria d’Arte il Traghetto, Venezia. 1986: Murrine, poesie con serigrafie di 3 artisti, prefazione Nantas Salvalaggio, Editrice Cafoscarina, mostra alla Galleria Il Traghetto. Idea e produce la guida Venezia Cannaregio, edita in quattro lingue, fotografie di Graziano Arici. Nell’87 Dieci poesie e il libro della canzon d’amore, illustrazioni Luigi Gardenal, prefazione Enzo Di Martino, Editrice Cafoscarina, esposizione alla Galleria d’Arte Il Traghetto; Venise Venise, mostra di poesia e arte alla Galerie d’Art Contemporain St-Ravy-Demangel, Montpellier. 1988: Poème à porter, presentazione e mostra al Londra Palace Hotel, Venezia. 2012: ‘scopre’ The Vice of Reading di Edith Wharton, inedito in Italia, lo pubblica con la sigla OLIBELBEG VENEZIA. Progetta il libro d’arte VENEZIA VENEZIA, poesia di Pier Luigi Olivi, immagini di Luigi Gardenal, prefazione Salvatore Settis, nota di Mario Stefani, Edizioni My Monkey, 2019. Nello stesso anno realizza La BiBiennale di Venezia e Suite Veneziana. Nel 2020 Carnival, Planet 2020 e La Terza Colonna. La BiBiennale di Venezia è un project in progress con opere composte da testi e immagini in stampa digitale, con la partecipazione di Salvatore Settis, Tomaso Montanari, Francesca Brandes. Un filo rosso di continuità, to America with Love.
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