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EEFFIS Annual Statistics for Italy

Date range for these statistics: 2006 - 2022

A causa del cambiamento climatico, sono in grande aumento i cosiddetti Grandi Incendi Forestali, così veloci nella loro propagazione da non poter essere gestiti praticata anche in aree estreme, come durante l’autarchia, o nel boom economico degli anni Sessanta, quando molte persone abbandonarono le campagne per andare a vivere nelle città. Ciò ha permesso ai boschi in Italia di riprendere a crescere, senza tuttavia un adeguato monitoraggio e tutela delle aree verdi.

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La dashboard in tempo reale del sito dell’inventario nazionale mostra infatti come solo il 33,2% dei boschi italiani si trovi in aree pubbliche. Il 66,4% si trova in proprietà private e uno 0,4% risulta non classificato. La percentuale di aree private ha una corrispondenza apprezzabile con quella di aree boschive non sottoposte a tutela (68,9%) contro il 31,1% di aree protette.

Ci sono alcune regioni che fanno eccezione: Abruzzo, Sicilia e Trentino possiedono una percentuale di bosco di proprietà pubblica superiore a quelli di proprietà privata.

Sebbene l’Italia sia tra i primi Stati in Europa per aree naturali sottoposte a tutela, solo il 15% del suolo forestale è sottoposto a pianificazione di dettaglio (con percentuali maggiori nelle regioni del nord) di gestione e assestamento. Avere un patrimonio forestale così ricco, ma soggetto a una crescita incontrollata, fa sorgere alcuni problemi. All’aumentare della popolazione boschiva corrisponde l’aumento della biomassa e della necromassa, vale a dire, tutto il sottobosco formato da foglie morte, rami e alberi spezzati, cespugli e arbusti secchi, che forniscono moltissimo materiale combustibile. Anche l’aumento di densità dei boschi comporta una difficoltà maggiore nella gestione dei potenziali incendi. Gli incendi, purtroppo, sono una piaga costante nel nostro Paese. Secondo il rapporto Ecomafie 2022, dal 1980 a oggi sono andati in fumo oltre 100000 ettari di bosco in media ogni anno.

Perché i nostri boschi vanno a fuoco? Cause di propagazione e cause di innesco

Il report di Greenpeace e Sisef (Società italiana di Selvicoltura ed Ecologia Forestale) del 2020, Un paese che brucia, ci fornisce interessanti spunti per analizzare il problema degli incendi in Italia. Innanzitutto possiamo fare una distinzione tra “cause di innesco”, che scatenano gli incendi, e “cause di propagazione”, che invece appunto ne favoriscono l’espansione.

Secondo Giorgio Vacchiano, ricercatore in gestione e pianificazione forestale presso l’Università Statale di Milano, ci sono tre fattori che favoriscono la propagazione di incendi: meteorologia, orografia e caratteristiche della vegetazione. Venti estivi e invernali nel Mediterraneo favoriscono il diffondersi delle fiamme, insieme alle lunghe e secche estati mediterranee. Il cambiamento climatico sta aumentando l’intensità dei fattori meteorologici predisponenti. A livello orografico, sono le pendenze che permettono la diffusione vettoriale delle fiamme.

La vegetazione è considerata secondo fattori di infiammabilità (relativa al rapporto superficie/volume), la composizione chimica (presenza di olii o resine), quantità di biomassa combustibile, tasso di umidità e distribuzione nello spazio verticale e orizzontale.

“La vegetazione, infine, deve essere considerata sotto quattro aspetti: l’infiammabilità, relativa alla sua struttura fisica (rapporto superficie/ volume) e composizione chimica (presenza di oli o resine); la quantità di biomassa disponibile per la combustione (o carico di combustibile); il tasso di umidità (un basso contenuto d’acqua accelera il preriscaldamento e la combustione); e la distribuzione dello spazio, in particolare per quanto riguarda la continuità orizzontale e verticale della vegetazione, che facilita la convezione del calore e la propagazione della fiamma. Per questi motivi, certi tipi di vegetazione sono più colpiti di altri dagli incendi”

La flora mediterranea, in particolare, è suscettibile alla propagazione degli incendi. Il bacino del Mediterraneo, inoltre, si sta scaldando a una velocità doppia rispetto al resto del pianeta, inasprendo fattori già esistenti.

I cambiamenti climatici c’entrano, ma il grosso delle responsabilità sono umane

Il progetto European Forest Fire Information System (EFFIS) fornisce dal 2006 dati riguardo gli incendi boschivi in Europa mediante rilevazioni satellitari. Da essi non risulta ricavabile uno schema preciso dell’andamento degli incendi nel nostro Paese, ma si possono fare alcune considerazioni.

In 18 anni di monitoraggio, abbiamo superato i 100000 ettari di bosco andati a fuoco in tre occasioni: nel 2007 (con un picco assoluto), nel 2017 e nel 2021, tutti anni ricordati per le estreme condizioni siccitose attraversate dalla penisola. Prendendo in considerazione il rapporto ISPRA 2020 (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) è facile associare i picchi di incendi agli anni in cui le temperature medie italiane si sono discostate di più di 1° dalla temperatura media preindustriale. Tale limite è stato poi regolarmente superato dal 2010 in poi. A partire dal 2020 non siamo mai scesi sotto i 40000 ettari di bosco bruciati; negli anni precedenti, solo il 2009 e il 2012 risultano sopra questa cifra.

A causa del cambiamento climatico, sono in grande aumento quelli che sono definiti Grandi Incendi Forestali: si tratta di incendi che hanno un’estensione e una velocità di propagazione tali da non poter far altro che aspettare che si estinguano da soli. L’avvicinamento temporale dei picchi di incendi e l’innalzamento della media annuale fa supporre che la quantità di incendi in Italia sia tendenzialmente in crescita. Ma cosa causa questi incendi?

Scrive ancora Giorgio Vacchiano:

"In Europa, il 2% degli incendi è responsabile dell’80% dell’area bruciata annualmente. Al di là di chi o cosa accenda le fiamme, dunque, occorre che la prevenzione si concentri sui fattori associati alla loro propagazione potenziale, e affronti il rapido cambiamento del potenziale di propagazione del fuoco che è in atto in Italia e in Europa a causa della crisi climatica e dei cambiamenti di uso del suolo”.

Tuttavia è importante soffermarsi anche sulle cause di innesco, e in particolare su quel “chi” accenda quelle fiamme, perché ne risulta uno scenario interessante.

Il cambiamento climatico può inasprire l’incidenza di quello che è un fenomeno naturale, a volte persino utile per il rinnovo della vegetazione e il contenimento della sua estensione. Gli incendi risultano quindi più estesi, più violenti, più difficili da domare, e più soggetti a propagazione incontrollata. L’ISPRA riporta che dal 1998 al 2011 la percentuale di incendi naturali era meno del 5%. Dal 2012 in poi, le cause naturali aumentano, avvicinandosi al 20% nel 2018 e superandolo nel 2012. Questo aumento con tutta probabilità si può correlare al cambiamento climatico. Si stima per il 2050 un allungamento dell’11% della stagione degli incendi e il 46% in più di giornate di pericolosità estrema per la loro propagazione.

Ma il dato sorprendente è un altro.

Dagli stessi grafici infatti risulta che la prima causa scatenante degli incendi è il dolo (sempre ben oltre il 50% degli incendi totali), seguito dalla colpa. Fa seguito una percentuale di incendi di origine incerta e solo dopo abbiamo come causa scatenante la natura. Questi numeri sembrano in crescita.

Abbiamo:

“I dati relativi al 2007, l’annata peggiore degli ultimi 40 anni in Italia per quanto riguarda l’area

Secondo l’ISPRA, dal 1998 al 2011 la percentuale di incendi naturali era meno del 5%.

Dal 2012 in poi, le cause naturali aumentano, avvicinandosi al 20%.

Ma la causa principale rimane il dolo bruciata. Lungi dall’essere esclusiva responsabilità di “piromani”, gli incendi del 2007 hanno avuto nel 13% dei casi un’origine colposa (di cui il 43% in seguito attività agricoleforestali, il 25% da mozziconi di sigaretta, il 12% da attività ricreative e turistiche e il 10% per altre cause non definite), e nel 65% dei casi una motivazione dolosa, con motivazioni prevalenti relative alla ricerca di un profitto (31% degli incendi dolosi), cioè legate prevalentemente alla creazione o rinnovazione del pascolo a mezzo del fuoco. Solo il 7% degli incendi dolosi è stato attribuito a turbe comportamentali, e il 5% a dissenso sociale, proteste o risentimenti (fonte: dossier incendi Corpo Forestale dello Stato per l’anno 2007)”

Degli incendi di origine dolosa, solo una parte veramente minimale è riconducibile alla piromania. Il rapporto Ecomafie 2022 redatto da Legambiente illustra questo aspetto. Secondo il rapporto, esiste una maggior concentrazione di incendi nelle regioni a forte presenza mafiosa, come la Sicilia, che risulta non a caso, insieme a Calabria e Sardegna, una delle regioni più colpite dalla piaga degli incendi boschivi. Il rapporto spiega anche come tutti i dati –dal numero di ecoreati alla quantità di superficie andata a fuocosiano in crescita, mentre il numero degli arresti risulta in calo.

Emblematico il caso della Sicilia. Nel 2021, in Italia, 49 incendi hanno interessato una superficie superiore ai 500 ettari. Di questi, 32 sono avvenuti in Sicilia. Di 5385 reati incendiari accertati dalle forze dell’ordine (+27 per cento rispetto al 2020), il 52% era concentrato in Puglia, Campania, Calabria e a trainare la classifica la Sicilia, con 993 reati; solo 7 le persone arrestate. Il dato migliora se si guarda agli illeciti amministrativi accertati (130) e alle sanzioni comminate (121). A questi reati corrispondono 81500 ettari di terreno boscato e non boscato bruciati.

Come scrive Riccardo Bruno sul Corriere della Sera, gli incendi vengono innescati “per ritorsione, per un presunto torto subito, per rinnovare aree destinate al pascolo, oppure per interessi illegali”; stoccaggio illegale di rifiuti, creazione di nuovi terreni edibili, intimidazione e ricatto alle istituzioni, sono tutti motivi per la mafia di dare fuoco ai boschi.

Non solo le mafie, comunque. È pratica agricola o d’allevamento comune nel sud Italia accendere fuochi per bruciare nelle campagne rifiuti, scarti di potatura, per liberare o rinnovare il terreno, o ancora per ritorsione o vendetta contro allevatori o coltivatori confinanti.

Nella maggior parte dei casi gli incendi sono quindi scatenati dall’uomo, su base volontaria o involontaria.

Gli strumenti per difenderci da mafie incendiarie e anni siccitosi, limitandone i danni, esistono a livello gestionale e legislativo, così come sono perduranti nel nostro Paese delle criticità relative a entrambi i campi.

Tanto il discorso pubblico quanto l’azione delle Forze dell’Ordine si concentrano in maniera maggiore sul contenimento e l’estinzione degli incendi, invece che sulla loro prevenzione. Secondo Giuseppe Delogu per GreenPeace, si può parlare di “paradosso dell’estinzione”. Le autorità dal Dopoguerra in poi si sono orientate sul proibire preventivamente ogni incendio, anche quello utile alla modellazione del paesaggio, trattandolo in ogni situazione in maniera emergenziale.

Durante anni caratterizzati da assenza di eventi meteorologici estremi (ondate di calore, siccità, tempeste, allagamenti) le autorità non hanno difficoltà a estinguere qualunque tipo di fuoco; gli incendi è meno probabile che diventino Grandi Incendi Forestali. La superficie raggiunta dal fuoco è in diminuzione in anni simili (sempre più rari), ma proprio l’estinzione di incendi che si potrebbero spegnere naturalmente in questi periodi fa sì che si accumuli biomassa pronta a bruciare in maniera incontrollabile in anni in cui il cambiamento climatico fa sentire i suoi effetti. In questo modo, la media si innalza notevolmente grazie ad anni come il 2007, il 2017 o il 2021, in cui eventi meteorologici estremi hanno prodotto stagioni degli incendi devastanti.

Il cosiddetto “fuoco prescritto”, invece, prevede incendi controllati per alleggerire il carico di vegetazione in un’area boschiva, riducendo le probabilità di propagazione. Inoltre, rendere illegali anche i fuochi agricoli, necessari a rifertilizzare i suoli da coltivare o da mettere a pascolo ha avuto come logica conseguenza l’aumento dei fuochi eseguiti illegalmente e incontrollati. L’abbandono delle terre coltivate, l’urbanizzazione in prossimità di aree boschive, non sono elementi causali che vengono tenuti in considerazione quando si parla di gestione degli incendi, trascurandone, quindi, la prevenzione.

Il contrasto a ogni minimo focolaio ha un impatto anche economico crescente, con una stima di almeno un miliardo di euro spesi in Italia per gli interventi di estinzione degli incendi. Si parla per questo, a livello internazionale, di evitare la strategia di soppressione passando al “fire management”, ovvero la convivenza controllata del fuoco, inteso come fattore ecologico, con la società umana, e al “fire smart territory”, ovvero una pianificazione che renda il territorio meno propenso alla propagazione degli incendi.

In ambito legislativo abbiamo l’articolo 423-bis del codice penale, che prevede una reclusione da 4 a 10 anni per il reato di incendio colposo, tuttavia applicato alle sole aree boschive. Secondo il rapporto Ecomafie, il reato andrebbe esteso anche alle aree che in generale possiedono una vegetazione, in particolare quelle presenti nelle aree Natura 2000, che a livello europeo e italiano risultano tra le più colpite dal fenomeno degli incendi.. È anche raccomandato un aumento delle sanzioni amministrative.

Una parte importante delle proposte di Legambiente riguarda l’utilizzo del suolo sottoposto alle fiamme. Attualmente le norme che proibiscono edilizia, allevamento e attività venatorie riguardano solo i suoli boscati che hanno subito un incendio. Si propone di estendere il divieto di pascolo e caccia di 10 anni anche alle aree con vegetazione, come anche di abolire le norme vigenti sull’edificazione di detti suoli. Attualmente si può riedificare un suolo incendiato se c’erano piani urbanistici preesistenti: si chiede, invece, il divieto assoluto di edificazione estesa anche alle aree con vegetazione.

Tanto il rapporto GreenPeace che il rapporto Ecomafie concordano nello spostare il focus del problema dall’estinzione alla prevenzione degli incendi. Non va trascurata però la componente soppressiva. Con la riforma di razionalizzazione dei corpi di polizia del 2016 la Guardia Forestale dello Stato è stata assorbita nel Corpo Forestale dell’Arma dei Carabinieri, trasferendo sui Vigili del Fuoco gran parte delle funzioni di presidio degli incendi. Per questo si propone di creare una specializzazione interna di controllo e coordinamento antincendio, e una maggiore dotazione di elicotteri e altri mezzi che si sono dimostrati idonei al contenimento degli incendi. L’azione dei Vigili del Fuoco riesce infatti a estinguere l’incendio nel 94% dei casi; l’unica difficoltà insormontabile è la gestione dei Grandi Incendi Forestali. Si avanza anche la proposta di creare a livello comunale squadre di Aib (Antiincendio Boschivo) con una focalizzazione assoluta del presidio a livello locale nella regione Sicilia.

Un esempio concreto di applicazione di queste linee guida è quello della Toscana, dove sul fronte della prevenzione degli incendi si sta facendo moltissimo. La regione ha infatti varato a partire dal 2018 i Piani Specifici di prevenzione antincendio, che prevedono interventi mirati alle caratteristiche di specifiche zone

Fire management, ovvero: convivenza controllata con il fuoco, inteso come fattore ecologico.

Fire smart territory, ossia: pianificazione che renda il territorio meno propenso alla propagazione degli incendi considerate ad alto rischio incendi. Gli interventi comprendono il diradamento della vegetazione e campagne informative presso i residenti.

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