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Cosa può fare l’innovazione per la pulizia dei mari?
Le nuove tecniche che permettono di ridurne l’impatto
di Giacomo Capodivento
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L’innovazione tecnologica può essere un grande alleato per la salvaguardia degli ambienti marini. Droni, robot, navi mangia plastica, analisi dei dati e intelligenza artificiale trovano già spazio nelle strategie di azione a favore della difesa dei mari. È possibile individuare tre ambiti di applicazione delle nuove tecnologie: il monitoraggio, la prevenzione e l’intervento operativo vero e proprio.
I dispositivi tecnologici hanno rivoluzionato il modo di tenere sotto controllo gli ecosistemi marini. I dati sulla presenza dei rifiuti in mare sono raccolti attraverso l’impiego di strumenti di ultima generazione. Il monitoraggio dei mari avviene attraverso il ricorso agli AUVs (Autonomous underwater vehicles), che permettono di tracciare i rifiuti marini. Si tratta di robot capaci di compiere azioni in maniera del tutto automatizzata, grazie alla robotica autonoma e all’intelligenza artificiale. Quest’ultima permette di utilizzare sensori che quantificano i dati ambientali, che poi sono condivisi a livello mondiale. In tal modo è possibile impostare strategie di intervento mirate, evitando lo spreco di risorse.
Per valutare l’impatto portuale su aree marine protette, nel 2017 è stato lanciato il progetto IMPACT. Essendo parte del programma di cooperazione Interregionale ItaliaFrancia Marittimo 2014-2020, questa iniziativa transfrontaliera mirava a tutelare l’ecosistema marittimo delle aree comprese tra Toscana e Liguria e delle regioni costiere francesi della Provenza, delle Alpi e della Costa Azzurra. L’obiettivo era di monitorare l’andamento dell’inquinamento del mare a causa della presenza di sostanze nocive attraverso l’impiego di radar ad alta frequenza e i cosiddetti ecodrifter, sensori per il rilevamento delle microplastiche.
Il connubio tra tecnologie digitali avanzate e sostenibilità ha caratterizzato anche il progetto EU H2020 Marine Ecosystem Restoration in Changing European Seas (MERCES), attivo in Europa dal 2016 al 2020 grazie alla collaborazione di 16 Paesi. L’uso delle tecnologie ha permesso di implementare le conoscenze scientifiche relative alla distribuzione ed estensione degli habitat marini danneggiati grazie alla creazione di un unico database europeo.
La disponibilità di dati raccolti permette di poter mettere a punto nuove strategie di sostenibilità, determinanti per supportare il processo di resilienza dell’ambiente marino. La prevenzione è fondamentale in questo ambito. Nel tempo sono stati creati dispositivi capaci di bloccare i materiali inquinanti prima che si disperdano in mare. L’uso di filtri nelle lavatrici domestiche, o l’utilizzo di composti per accelerare la decomposizione delle microplastiche ne sono un esempio.
Le nuove tecnologie sono largamente impiegate anche in interventi di recupero di spazzatura marina. Il progetto Blue Resolution, nato nel 2018 dalla collaborazione tra l’azienda Arbi e gli Istituti di BioRobotica e di Management della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, ha costruito un robot per operare sott’acqua. Il suo nome è SILVER 2 (Seabed-Interaction Legged Vehicle for Exploration and Research) ed è in grado di esplorare i fondali marini, campionare materiali, raccogliere e smaltire la plastica. Da quando è stato reso operativo, riceve continui aggiornamenti per essere sempre più efficiente.
Tanto semplice quanto efficace è l’idea che sta dietro la costruzione di Inner Harbor Water Wheel, una nave mangia plastica nata nel 2008 e rilanciata nel 2014 nel Maryland. I rifiuti galleggianti sono incanalati tramite degli sbarramenti verso la sua “bocca” e lì vengono raccolti tramite un nastro trasportatore. Una macchina che, a detta del suo stesso inventore John Kellet, non punta tanto a risolvere il problema, ma può aiutare a far crescere la consapevolezza delle persone. Simile al precedente esempio è il dispositivo WasteShark, creato nel 2018 dall’azienda danese RanMarine Tchnology. In questo caso, si parla di un drone acquatico che aspira rifiuti galleggianti. Nei mari italiani, grazie al progetto LifeGate PlasticLess, dal 2018, sono stati installati quasi 100 dispostivi “mangiaplastica” monitoraggio avviene attraverso il ricorso agli AUVs che permettono di tracciare i rifiuti marini. Si tratta di robot capaci di compiere azioni in maniera del tutto automatizzata, grazie alla robotica autonoma e all’intelligenza artificiale in 90 porti, grazie ai quali sono stati raccolti più di 84mila chilogrammi di rifiuti. Bisogna, però, prendere coscienza che la tecnologia da sola non basta.
Il primo cambiamento è quello delle abitudini, dei modelli di produzione e consumo frutto della consapevolezza dell’importanza del ruolo di ciascuno, che deve crescere e diffondersi in maniera capillare.