What Now? - Numero 4 - Estratto

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What Now? LE SOLUZIONI OLTRE AL PROBLEMA

NUMERO 4 / dicembre 2023

Tempo di bilanci: come si costruisce il futuro? COSTRUIRE L'UGUAGLIANZA

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I migliori Paesi europei per uguaglianza di redditi

IL CIBO E NOI

Fame nel mondo: partiamo dalla riduzione degli sprechi

SPECIALE MONTAGNA

Mete, itinerari e mostre da non perdere quest’inverno

L’INTERVISTA

Nicolò Govoni: costruire il futuro partendo dai Paesi poveri del mondo E altri articoli all’interno



I nostri

DIECI PRINCIPI

What Now? LE SOLUZIONI OLTRE AL PROBLEMA

1.

Non ci occupiamo solo del problema, ma anche di cosa si può fare per risolverlo. E di cosa si sta già facendo, magari in altre parti del mondo, perché il bello delle soluzioni è che spesso sono declinabili. Per questo abbiamo chiamato la nostra testata “What now?”. Ovvero: cosa si può fare?

2.

Abbiamo un obiettivo: cambiare il mondo. E crediamo che il primo passo per farlo sia cambiare alle radici il modo attuale di fare giornalismo per dare a te – lettore – gli strumenti concreti e la possibilità di trasformare in meglio la realtà in cui vivi

3.

Combattiamo stereotipi, pregiudizi e allarmismo. Il primo stereotipo contro cui abbiamo deciso di schierarci è quello secondo cui le notizie gridate, il catastrofismo e il sensazionalismo “vendono” di più. Ma abbiamo bisogno di te, caro lettore, per dimostrare che abbiamo ragione

4.

Non ci limitiamo a “dare notizie”: le ripensiamo dal punto di vista del loro impatto sui nostri lettori. Secondo il giornalismo costruttivo, le notizie devono smuovere all’azione, mostrare che il cambiamento è possibile e offrire strumenti concreti per orientare le azioni di chi legge

5.

Non ti propiniamo le nostre opinioni: ti offriamo gli strumenti per costruirti una visione personale e autonoma dei fatti che muovono il mondo. Dal nostro punto di vista, il giornalismo deve essere al servizio dei lettori e deve contribuire a sgretolare le polarizzazioni sterili che avvelenano il dibattito pubblico

6.

Non siamo dalla parte di nessuno. Solo della verità dei fatti: per questo facciamo un rigoroso fact checking di ciò che pubblichiamo, eliminando fake news e informazioni non accurate. Le breaking news non fanno parte del nostro orizzonte: ci interessa dare spazio a un giornalismo slow

7.

Proteggiamo la tua privacy, riducendo al minimo i dati personali che raccogliamo. Abbiamo inoltre deciso di non puntare sulla pubblicità per tutelare la nostra indipendenza e per offrire ai nostri lettori uno spazio autenticamente libero. Siamo sicuri che chi ci segue ci sosterrà in questa scommessa

8.

Vogliamo essere il più inclusivi possibile. E lo facciamo mettendo in luce diversi punti di vista. Crediamo che la grande assente del giornalismo attuale sia proprio la Neutralità (quella con la N maiuscola) e abbiamo deciso di perseguirla. Nei nostri articoli, mettiamo sempre in luce i pro e i contro

9.

Amiamo la responsabilità. Mettiamo sempre il giornalismo prima del guadagno. Chi ha deciso di fare un mestiere come il nostro lo ha fatto - nella maggior dei casi seguendo una missione. E poi perdendo, strada facendo, le proprie motivazioni. Col nostro lavoro, noi cerchiamo di mantenere viva la fiamma

10.

Non siamo perfetti. Crediamo nel continuo miglioramento di ciò che facciamo e cerchiamo sempre, passo dopo passo, di spostare la frontiera un pochino più in là. Per questo abbiamo bisogno non solo del sostegno dei nostri lettori ma anche dei loro feedback e delle loro critiche. Perché si cresce sempre insieme


Sommario EDITORIALE

Sommario 4

COP28 e dintorni. La partita più importante si gioca nel “qui e ora” di Martina Fragale

SCONFIGGERE LA POVERTÀ 10 La Dichiarazione universale dei

diritti umani compie 75 anni di Giovanni D'Auria

14 I passi avanti che abbiamo

INTERVISTA 28 Nicolò Govoni, il giovane

italiano che sta costruendo la scuola del futuro nei Paesi poveri del mondo di Giovanni D'Auria

AGIRE SUL CLIMA 36 Conference of Parties.

Come è nata la COP e a che punto siamo oggi di Giovanni D'Auria

fatto sul fronte dell’uguaglianza nel mondo 40 Molte contraddizioni sul piatto dalla Dichiarazione universale della bilancia e parecchie sfide. dei diritti umani in poi Così è iniziata COP28 di Giovanni Beber di Giovanni D'Auria

18 Uguaglianza di redditi:

i migliori Paesi europei e i motivi che li hanno portati sul podio di Pasquale De Salve

22 La situazione in Italia:

come sono cambiate le diseguaglianze dal Dopoguerra a oggi? di Giovanni Beber

43 Cos’è la finanza climatica

e quali passi avanti stiamo facendo? di Pasquale De Salve

47 Cos’è ACE, il progetto che

affronta il tema del climate change sul piano della formazione di Giovanni D'Auria

50 Innovazione tecnologica

e ambiente, un legame a filo doppio di Marco Russo

55 Come si è conlcusa COP28?

di Marzio Fait


Sommario

SCONFIGGERE LA FAME NEL MONDO

MAGAZINE

60 Ridurre lo spreco di cibo

96 Perché viaggiare fa bene:

64 Come deve cambiare il nostro

98 Otto mostre invernali da

per risolvere il problema della fame nel mondo di Paolo Maria Pomponio modo di produrre cibo? di Pasquale De Salve

68 Le migliori soluzioni per

buttare via di meno e tutelare il nostro portafoglio di Paolo Maria Pomponio

72 Le app e le associazioni che

ci aiutano a ridurre lo spreco di cibo di Marco Russo

SPECIALE MONTAGNA 76 La giornata internazionale

della montagna ci parla di nuovi scenari. E di cambiamenti necessari di Marco Russo

80 Non solo sci: le nuove tendenze

del turismo di montagna di Marco Russo

84 “Vado a vivere in montagna”.

Perché le montagne, oggi, hanno un gran bisogno dei city quitters? di Giovanni D'Auria

88 Parola d’ordine: ribaltare gli

stereotipi. I libri che raccontano come stanno cambiando le montagne di Marco Russo

91 La montagna in inverno, tra

valli fuori rotta e piccoli borghi di Francesca Sibilla

la vacanza come toccasana del benessere di Monia Carriero non perdere assolutamente di Francesca Sibilla


EDITORIALE

COP28 e dintorni. La partita più importante si gioca nel “qui e ora” di Martina Fragale

Che lo si voglia o no, Natale e la fine dell’anno giocano sempre il ruolo di chiavi di lettura retroattive. Fare il bilancio, sia sul piano individuale sia dal punto di vista collettivo, è quasi una necessità fisiologica. Tant’è che, con questo numero, anche noi tenteremo di presentare ai nostri lettori una selezione di tematiche che profilano, a loro modo, una sorta di bilancio di fine anno. La domanda fondamentale a cui tentiamo di rispondere è: dove stiamo andando? Che futuro stiamo preparando per il pianeta che abitiamo?

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Senza dubbio, COP28 – che si è conclusa giusto qualche giorno fa a Dubai – rappresenta il principale appuntamento con cui si chiude il 2023. Un appuntamento sofferto e talmente denso di contraddizioni che è difficile fare un bilancio delle decisioni prese e della loro effettiva applicabilità. A titolo puramente personale, mi sento di dire che il bandolo della matassa non starà solo nell’abbandono delle fonti fossili e nell’incremento delle fonti di energia pulita. Né, tantomeno, nelle decisioni che i governi prenderanno in questo senso e nella loro capacità di tradurle in politiche coerenti ed efficaci. A monte rispetto a tutto questo – e alla stessa transizione energetica – credo che il problema, quello vero, sia qualcosa di molto più insidioso e connaturato a ciò che siamo abituati a considerare come normale e invitabile.


Devolvere alla transizione energetica l’onere di “salvare il pianeta”, consentendoci di mantenere lo stesso rapporto con i consumi che abbiamo oggi e le stesse modalità produttive che lo sottendono, è pura utopia. In questo numero, per esempio, ne abbiamo parlato dal punto di vista del cibo che rappresenta un esempio lampante: produciamo quantità di cibo in grado di sfamare 12 milioni di persone eppure – complici i divari sociali ed economici esistenti, ma complici anche gli sprechi, visto che buttiamo via un terzo del cibo che produciamo – la fame rimane una delle principali problematiche tragicamente sul piatto della bilancia.

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Devolvere alla transizione energetica l’onere di “salvare il pianeta”, consentendoci di mantenere lo stesso rapporto con i consumi che abbiamo oggi e le stesse modalità produttive che lo sottendono, è pura utopia

Serve una migliore qualità dell’informazione che colmi il divario tra realtà e percezione. Perché, se è vero che agire è doveroso è anche vero che agire non basta: bisogna farlo nella direzione giusta

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Il tema del cibo è solo un esempio, che potremmo declinare in una serie infinita di altri esempi. La transizione energetica ci può aiutare, l’economia circolare pure, le politiche messe a punto dai governi sono doverose ma per costruire il futuro servirà anche altro. Dovremo cambiare le modalità di produzione attuali e disinnescare tanto la trappola dell’obsolescenza programmata quanto chimere dannose e malsane come l’idea stessa di “crescita continua” (e qui, ovviamente, strizzo l’occhio a Serge Latouche). Dovremo essere pronti a consumare di meno e a pretendere che si produca meno. Servirà tutto questo e serviranno giornalisti che passino ai lettori le informazioni giuste, necessarie per agire in modo corretto. L’indagine Ipsos “Perils of perception” del 2021 – una ricerca annuale che fotografa la differenza tra realtà e percezione – mette in evidenza un preoccupante divario tra le pratiche che la gente ritiene più efficaci per ridurre le emissioni di CO2 e le azioni realmente utili. Serve una migliore qualità dell’informazione che


colmi questo divario perché, se è vero che agire è doveroso è anche vero che agire non basta: bisogna farlo nella direzione giusta. Serve tutto questo e servono la società civile, la cittadinanza attiva. La capacità di scavalcare la cornice autarchica del “basto a me stesso” per creare connessioni con gli altri. Le idee e le energie sorte dal basso possono davvero cambiare il mondo e costruire il futuro. Anche nelle situazioni peggiori. Se volete farvi un regalo, questo Natale, cercate un documentario francese intitolato “Domani” e godetevi la carrellata di soluzioni sorte dal basso che Ciryl Dion e Mélanie Laurent sono andati a cercare in giro per il mondo. Da Detroit all’India. Dalla Normandia a minuscoli paesini inglesi, passando per capitali green come Copenaghen. Il futuro è davvero qui e ora e c’è chi sta lavorando per costruirlo. 7

In questo numero, per esempio, vi abbiamo parlato di come stanno


Servono la società civile e la cittadinanza attiva. La capacità di scavalcare la cornice autarchica del “basto a me stesso” per creare connessioni con gli altri

Le idee e le energie sorte dal basso possono davvero cambiare il mondo e costruire il futuro

cambiando le nostre montagne e i borghi che le popolano: dei city quitters che sono andati ad abitare nelle desolate “montagne di mezzo”, come le chiama Mauro Varotto, e dei nuovi equilibri e delle nuove visioni che bisognerà tradurre in realtà. Abbiamo parlato di chiavi di lettura (e di azione) diverse per vivere il Natale in modo nuovo e switchare dall’ansia da spesa compulsiva verso un’ottica di acquisto responsabile. E abbiamo pensato anche di regalarvi un’intervista speciale: una bellissima chiacchierata che abbiamo avuto l’onore di fare con Nicolò Govoni, un ragazzo italiano che con la sua organizzazione “Still I Rise” – che è stata addirittura candidata al Premio Nobel per la Pace – sta tentando con pazienza e con passione di costruire il futuro partendo proprio dai Paesi più poveri del pianeta. Là dove si gioca la partita più difficile e più importante per un futuro che sia davvero sostenibile e condiviso. Buona lettura!

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Martina Fragale Direttrice responsabile di “What now? Le soluzioni oltre al problema”


SCONFIGGERE LA POVERTÀ

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SCONFIGGERE LA POVERTÀ

La Dichiarazione universale dei diritti umani compie 75 anni di Giovanni D'Auria

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L’espressione “uomo universale” è usata in italiano per riferirsi a persone che nei loro studi e campi d’azione spaziano in materie molto diverse tra loro. L’espressione italiana discende direttamente dall’omologa espressione latina homo universalis, ma in inglese abbiamo un’ulteriore espressione che è renaissance man, ovvero Uomo del Rinascimento. I nomi dietro la prima formulazione giuridica di diritto universale È curioso che due dei principali estensori della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani scritta nel 1948, fossero entrambi riconosciuti come renaissance men, quindi uomini universali, e che abbiano scritto la prima Dichiarazione, atto di nascita del diritto umano internazionale, che si riferiva all’universalità del genere umano, senza distinzioni di etnie, lingua, cultura o religione. John Humphrey era uno studioso di diritto e avvocato per i diritti umani, Peng Chung Zang era un filosofo, un accademico, uno scrittore di teatro della Repubblica Popolare Cinese. Oltre a loro fu coinvolto René Cassin, accademico francese che nel 1968 vincerà il Nobel per la Pace per aver lavorato ai principi scritti da Humphrey e per averli estesi. Come è nata la Dichiarazione e quali sono i suoi elementi portanti L’iniziativa per la scrittura di una Carta Internazionale dei Diritti nacque in seno alle neonate Nazioni Unite; l’Economic and Social Council era l’organo preposto alla promozione dei diritti umani e nel 1946 chiamò 18 rappresentanti da tutto il mondo per formare la Commissione per i diritti umani. Nel 1947 essa formò il Comitato per la redazione della Dichiarazione Universale per i diritti umani,

presieduto da Eleanor Roosevelt, moglie del presidente americano in quel periodo a capo delle Nazioni Unite.

La Dichiarazione Universale dei Diritti dell’uomo è considerata uno degli atti di nascita del diritto umano internazionale, che si riferiva all’universalità del genere umano, senza distinzioni di etnie, lingua, cultura o religione

Nel periodo dei lavori, il comitato si espanse a comprendere rappresentanti provenienti da Cina, Francia, Libano e Unione Sovietica. Sebbene Humphrey e Cassin siano i principali accreditati per il testo finale, ogni membro diede contributi importanti influenzati da ideologie ed esperienze molto diverse. Il testo venne approvato il 10 dicembre 1948, con la risoluzione 217 delle Nazioni Unite, come parte della Carta Internazionale dei Diritti. La Dichiarazione si riferiva indistintamente a tutta la popolazione umana e sanciva il diritto alla dignità, all’uguaglianza, all’istruzione, al nutrimento; diritto all’integrità del corpo, alla libertà di pensiero, di associazione pacifica. Veniva dichiarata la libertà di movimento e di scegliere il proprio credo religioso.

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Nel 1947 la commissione formò il Comitato per la redazione della Dichiarazione Universale per i diritti umani, presieduto da Eleanor Roosevelt, moglie del presidente americano

Un documento complesso e rivoluzionario, che però venne criticato a causa della mancanza di un’applicazione legale. In diritto internazionale era una dichiarazione, non un trattato, e di conseguenza non era giuridicamente vincolante per gli Stati firmatari. Ciononostante, molti di essi implementarono meccanismi per applicare quei principi sul proprio territorio, in alcuni casi inserendo i diritti della Dichiarazione Universale nelle proprie Costituzioni. Nel 1976 furono approvati due trattati, che resero vincolanti quei principi per i Paesi che avevano firmato la Dichiarazione. A 75 anni dalla sua scrittura, la Dichiarazione Universale per i Diritti Umani resta uno dei documenti fondanti del diritto internazionale e fondamentale riferimento per le decisioni prese dall’ONU e dai suoi Stati membri.

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A 75 anni dalla sua scrittura, la Dichiarazione Universale per i Diritti Umani resta uno dei documenti fondanti del diritto internazionale e fondamentale riferimento per le decisioni prese dall’ONU e dai suoi Stati membri

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SCONFIGGERE LA POVERTÀ

I passi avanti che abbiamo fatto sul fronte dell’uguaglianza nel mondo dalla Dichiarazione universale dei diritti umani in poi di Giovanni Beber

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Nel corso della storia, la lotta per l'uguaglianza è stata un filo conduttore, tessuto attraverso i secoli, le culture e i continenti. Quest'anno si celebra il 75esimo anniversario della stesura della Dichiarazione Universale

dei Diritti dell'Uomo. Nonostante i progressi significativi compiuti, il cammino verso l'uguaglianza totale è ancora un'impresa in corso, affrontando sfide profonde e complesse.


I primi passi: dalla Dichiarazione ai movimenti sociali Dopo la Seconda Guerra Mondiale, la Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo ha segnato un punto di svolta nella percezione globale dei diritti fondamentali. Un catalizzatore per il cambiamento ha ispirato movimenti di liberazione e ha contribuito ad abbattere le barriere della discriminazione.

Il sistema economico formatosi negli ultimi trent'anni ha spianato la strada al libero mercato, generando grandi benefici, ma anche disparità economiche crescenti

Tra i vari contesti legati al tema dell'uguaglianza, quella di genere rimane una frontiera aperta. Tuttavia, il cammino è costellato da disparità salariali, discriminazioni e violenze di genere. Ad aver conosciuto un percorso a fasi alterne è l'ambito dell'orientamento sessuale e dell'identità di genere. Il tema è sempre più oggetto del dibattito comune. Le disuguaglianze economiche e il ruolo dell'istruzione Il sistema economico formatosi negli ultimi trent'anni ha spianato la strada al libero mercato, generando grandi benefici, ma anche disparità economiche crescenti. L'accesso all'istruzione, alla sanità e alle opportunità lavorative è ancora limitato per molte persone in ampie zone del mondo. L'emergere di modelli economici più equi e sostenibili è cruciale per ridurre tali divari e garantire una distribuzione più equa delle risorse. Per questo, l'educazione rimane uno strumento fondamentale nella costruzione di società più egualitarie. Per farlo, è necessario investire nell'istruzione, promuovere la diversità culturale e favorire la consapevolezza sociale, passaggi essenziali per abbattere barriere e costruire un futuro più giusto.

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Le sfide contemporanee e il futuro

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Le sfide principali che la società si trova a fronteggiare oggi sono sicuramente i cambiamenti climatici e le migrazioni forzate, che richiedono una prospettiva globale sull'uguaglianza. I più vulnerabili sono spesso i primi a soffrire, evidenziando la necessità di azioni collettive per affrontare questioni che vanno oltre i confini nazionali. Proprio per questo si parla sempre di più di "giustizia climatica".

L'educazione rimane uno strumento fondamentale nella costruzione di società più egualitarie

Il secondo Dopoguerra e la volontà di non ripercorrere gli stessi errori del passato hanno finora permesso all'umanità di riconoscere la necessità di dialogare in ambito internazionale, stringendo accordi e immaginando politiche globali per contrastare le disuguaglianze nel mondo.

In particolare, la consapevolezza crescente delle disuguaglianze e la spinta per un cambiamento strutturale indicano una direzione positiva. La sfida ora è mantenere questo slancio, affrontare le sfide in evoluzione e costruire un futuro basato sulla solidarietà, dove ogni


individuo, indipendentemente dalle sue differenze, possa godere appieno dei diritti umani universali sanciti nella Dichiarazione del 1948.

Le sfide principali oggi sono sicuramente i cambiamenti climatici e le migrazioni forzate, che richiedono una prospettiva globale sull'uguaglianza. Proprio per questo si parla sempre di più di "giustizia climatica"

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SCONFIGGERE LA POVERTÀ

Uguaglianza di redditi: i migliori Paesi europei e i motivi che li hanno portati sul podio di Pasquale De Salve

Costruire la convivenza dei propri concittadini sul valore del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza, dello Stato di Diritto e del rispetto dei diritti umani sono gli obiettivi che animano l’Unione Europea. La sua efficacia, come giustizia sociale, però, non è solo affermazione di diritti civili comuni, ma passa attraverso le politiche dei singoli Stati europei anche in tema di uguaglianza sui redditi.

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Il periodo Covid ha fatto registrare in Europa una difficoltà nella redistribuzione dei fondi destinati alla resilienza sociale e questo ha aumentato tanto il divario di genere, quanto le disuguaglianze. Si assiste spesso al ping pong


sulle responsabilità per l’adozione di politiche economiche solidali, in cui gli Stati membri spesso scaricano la competenza delle politiche contro le disuguaglianze sull’Unione Europea, mentre di fatto tale competenza spetta agli Stati stessi. Non tutti però hanno risparmi come quello del fondo sovrano norvegese, che ha permesso di contrastare la crisi economica per il Covid senza troppi danni. La discussione, intanto, a livello di Parlamento Europeo verte fondamentalmente sulle due linee parallele del reddito di base e del salario minimo. Con un’accelerazione rispetto al 2020, i dati sullo spostamento della ricchezza mostrano che l’1% più facoltoso ha assorbito quasi il 40% dei beni e del denaro accumulati dalla metà degli anni Novanta. Dell’aumento delle disuguaglianze o della loro riduzione ci accorgiamo, invece, tramite le variazioni del coefficiente di Gini, che è la misura di disuguaglianza più comunemente usata: più basso è l’indice più la ricchezza è distribuita tra le diverse fasce della popolazione, più è alto più questa è accentrata nelle mani di pochi. Questo Indice, che in Italia fa emergere il divario tra Nord e Sud, mostra

La discussione sui redditi, a livello di Parlamento Europeo, verte sulle due linee parallele del “reddito di base” e del “salario minimo”

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anche l’andamento delle politiche per incrementare l’uguaglianza a livello europeo: i Paesi con indicatore più alto sono quelli che hanno una popolazione relativamente in equilibrio con il territorio e che non sono molto estesi. Tra i primi in EU troviamo infatti Slovacchia, Slovenia, Belgio, Repubblica Ceca, Danimarca e Austria. Insieme a questi, nonostante una maggiore estensione del proprio territorio, gli unici Paesi ad avere un basso indice di Gini sono Polonia e Finlandia. La Repubblica di Slovacchia è la campionessa dell’indice di Gini con un rateo di disuguaglianze economiche molto basso. Secondo l’Unione Europea questo dipende dalle politiche di ridotta dispersione dei redditi lordi, legati alle tasse derivanti dalle detrazioni sugli stipendi. Poiché questo risultato non coincide con un’equa redistribuzione dei redditi, il Paese è affetto, però, da sacche di disoccupazione tra i più giovani e meno istruiti, che rimangono spesso senza lavoro per molto tempo.

L’indice di Gini, che in Italia evidenzia il divario tra Nord e Sud, mostra anche l’andamento delle politiche per incrementare l’eguaglianza a livello europeo

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In Polonia, uno dei Paesi più estesi d’Europa, ciò che permette un minore dato dell’indice è il ridotto tasso di disoccupazione e un livellamento

maggiore degli stipendi dei dipendenti anche se verso il basso. Un dato legato allo sforzo compiuto per entrare in Unione Europea e superare le tribolazioni degli anni successivi alla caduta del muro di Berlino. In Finlandia, primo Paese ad aver sperimentato il reddito di base, i risultati positivi non arrivano dopo il crollo di un sistema o l’ingresso in Europa come nei Paesi dell’est sovietico, ma dipendono da una tradizione politica ed economica indirizzata alle politiche salariali solidali condivisa tra le forze politiche, le organizzazioni economiche e i sindacati. A questo si aggiunge poi una bassa densità di popolazione.


La bassa dispersione degli introiti dello Stato, il loro utilizzo efficiente e un basso livello di corruzione sono indici di un diffuso rispetto verso l’interesse generale, che si trasforma anche in maggiore tutela del bene comune

In una società come quella europea, che è fondata sui servizi, sembra evidente che, in maniera propedeutica alle politiche economiche, alcuni fattori permettano una maggiore resilienza finanziaria e redditi più equi. La bassa dispersione degli introiti dello Stato, il loro utilizzo efficiente e un basso livello di corruzione sono indici di un diffuso rispetto verso l’interesse generale, che si trasforma anche in maggiore tutela del bene comune. Un atteggiamento, questo, che si può riversare positivamente anche nelle politiche di equità sui redditi.

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