IL PADIGLIONE PHILIPS A BRUXELLES (1956-1958) text > Amedeo Petrilli
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Foto 1-4 tratte da Marc Treib, Space Calculated In Seconds Princeton University Press 1996 1. Padiglione Philips Le Corbusier, Bruxelles 1958 (p.XIII) 2. Diagramma di glissandi da Metastasis 1954, Iannis Xenakis (p.16) 3. Iannis Xenakis 1958 (p.15) 4. Schizzi per la geometria e la costruzione del Padiglione Philips, Iannis Xenakis (p.26)
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Nel 1956, quando Louis C. Kalff – architetto, ingegnere e direttore artistico della Philips – chiese di progettare il padiglione per l’Esposizione Internazionale di Bruxelles, precisò subito che non avrebbero esposto i loro prodotti commerciali, bensì presentato uno spettacolo inedito degli effetti del suono e della luce, una dimostrazione tesa a illustrare dove avrebbe potuto arrivare il progresso tecnico nel futuro. Aggiunse anche che l’architetto sarebbe stato libero di disegnare la facciata come voleva. Le Corbusier rispose che non avrebbe realizzato una “facciata” Philips, ma un poème électronique (un poema elettronico): “Tutto succederà all’interno: suono, luce, colore, ritmo; un ponteggio metallico potrebbe essere il solo aspetto esteriore del padiglione”.(1) Pose anche come condizione di poter contare sulla collaborazione di Edgar Varèse, il noto compositore di origine francese che aveva conosciuto negli anni venti a Parigi e a cui si era già rivolto, nel 1954, quando immaginava di utilizzare la musica elettronica come sorgente sonora per un campanile, che poi non fu realizzato, a Ronchamp. Vorrei sottolineare che l’idea di servirsi di quel particolare tipo di sonorità, da questo momento in poi, diventerà un tema ricorrente nella sua opera: negli anni successivi, oltre che nel Padiglione Philips, lo riproporrà nel Palazzo dei Congressi a Strasburgo, nella Chiesa di Firminy-Vert e nel Visual Arts Center a Cambridge (Massachusetts). Spiego subito che il “poema elettronico” immaginato da Le Corbusier utilizza tutte le possibilità fornite dall’elettronica, dall’illuminazione artificiale, dall’acustica e dall’automazione ed è ospitato all’interno di un volume costituito da gusci incurvati formati da lastre precompresse in cemento armato, dimensionato per accogliere seicento spettatori ogni otto minuti – precisamente 480 secondi – il tempo fissato per ogni rappresentazione: uno spazio continuo in cui non esiste alcuna distinzione tra pareti e soffitto, bensì una stretta relazione tra la forma a “stomaco” della pianta e lo sviluppo dell’involucro. La performance è divisa in sette sequenze interrelate tra loro, durante le quali lo spettatore è al centro di una serie di eventi visuali selezionati secondo un itinerario tematico, mentre l’elettro-acustica diffonde la composizione sonora e mobile concepita da Edgar Varese in sintonia con lo spazio e le immagini: in altri termini, costituisce una sorta di sintesi tra arte e tecnica, pensiero ed espressione. Si potrebbe anche aggiungere che, più in generale, questo organismo non gioca soltanto il ruolo (convenzionale) di cassa di risonanza delle riverberazioni acustiche che si producono al suo interno, ma diventa esso stesso l’origine del suono, quasi che l’architettura e la musica coincidano. In atelier, Iannis Xenakis venne incaricato da Le Corbusier di occuparsi dello sviluppo architettonico del padiglione e di comporre – dal momento che era anche un musicista di grande talento – la composizione sonora di due minuti di intervallo tra una rappresentazione e l’altra, che poi chiamò Concrète P-H ovvero musica concreta (le ultime due lettere significano paraboloidi-iperbolici). E con queste parole spiegò il suo approccio al problema: Nell’ottobre del 1956, comincia lo studio del progetto preliminare. L’obiettivo di Le Corbusier non era quello di realizzare un “locale” in più nella sua carriera, ma di creare un vero “gioco” elettronico e sincronico in cui il volume, il movimento, il suono e l’idea complessiva potessero formare un tutto sbalorditivo. Mi resi conto che per organizzare i fattori suscettibili di determinare la sua forma, era necessario considerare i seguenti elementi: 1. L’area per il pubblico: gli spettatori restano all’interno da otto a dieci minuti e si distribuiscono in modo omogeneo su tutta la superficie. Si può allora ipotizzare, in astratto, una forma ad andamento circolare con due appendici, una per l’ingresso e l’altra per l’uscita. 2. L’auditorio elettroacustico: è lo spazio fisico dove viene diffusa la