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COPIA GRATUITA

ANNO II - Numero 16 - 10 aprile 2012

Con Rossella

Carte

d’identità

Mappe per un viaggio nella cultura che cambia: la tradizione sarda affronta la sfida del futuro. Nell’Europa delle banche c’è spazio per riscoprire lingua, saperi e mestieri antichi?



SOMMARIO

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ANNO II - Numero 16 - 10 aprile 2012

Opinioni .................................................................... 6-7

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Primo piano ............................................................... 8-9 Il modello catalano .................................................... 10 Una lingua da riscoprire .......................................... 11 Radio Sardegna ...................................................... 12 Sardi d’esportazione .................................................. 13 Come cambia la letteratura .......................................14-15

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Biancaneve è nata qui ....................................................16 Tottoi, il manga ogliastrino............................................. 17 La nostalgia di Gavino Ledda ....................................... 18 Reportage da Goni ............................................... 20-21 Speciale Miss Italia ..................................................22-23 Pillole di sardità .......................................................24-25

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Il personaggio: Pietro Paolo Virdis ..............................26 Una bici sarda in Formula 1 ...........................................27 Musica, parla Diablo dei Sikitikis ...................................... 29 I vostri racconti .......................................................... 30-31 Laif stail ................................................................. 32-33 Colpi di penna .............................................................. 34

ANNO II - Numero 16 - 10 aprile 2012

Editore GCS - Green Comm Services S.r.l. - Direttore responsabile Guido Garau - Hanno collaborato: Alessandra Ghiani, Lexa, Cristiano Pintus, Carlo Poddighe, Laura Puddu, Maria Grazia Pusceddu, Claudia Sarritzu, Michela Seu - Fotografie Alessandra Ghiani - Vignette Coconacci - Ritratti Giulia Fulghesu - Grafica Chiui NP - Stampa Grafiche Ghiani - Monastir - Cagliari Pad Sede legale in via Giotto, 5 - 09121 - Cagliari - Redazione in Largo Carlo Felice, 18 - 09124 Cagliari - www.cagliaripad.it redazione@cagliaripad.it - Tel. 070.3321559 • 366.4376649 - Autorizzazione Tribunale di Cagliari 15/11 del 6 settembre 2011

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OFFERTA DI LAVORO


IL DIRETTORE

Il futuro

è adesso S

e c’è una parola che la crisi ha cancellato dal nostro vocabolario è “futuro”. Ricordi gli anni Sessanta? E i Settanta, e gli Ottanta? Il futuro, come in quella canzone di Francesco De Gregori, era “una palla di cannone accesa, e noi lo stiamo quasi raggiungendo”. Erano gli anni degli orologi al quarzo, della ricerca del design delle automobili (la Maserati Merak, che sogno!), erano i tempi degli abiti colorati e sgargianti (e delle minigonne), i giorni in cui Armstrong agganciava la luna. Ogni uomo, conformemente al suo credo, declinava la sua enorme speranza in una determinata e differente idea di progresso, ma per tutti era un progresso certo, come per i primi cristiani che confidavano nella parusía, ossia nel prossimo, imminente ritorno del Signore sulla terra. C’era il progresso dei comunisti e quello dei capitalisti, e perfino i credenti pensavano che il mondo evolvesse e migliorasse, come una spirale dello Spirito hegeliano. Sembrava illimitabile, il progresso, ma aveva un difetto: rimandava tutto al domani, al futuro. Perfino il futuro dei materialisti era astratto, sempre “in potenza” e mai “in atto” (il sol dell’avvenire). Proiettate in questa dimensione inesistente, le nostre vite ci sfuggivano di mano, in una vita che domani, sempre domani, sarebbe stata migliore.

Oggi siamo come invecchiati di colpo. La porzione di futuro che ci è rimasta è diventata insignificante. Il progresso a getto continuo è un sogno che appartiene al passato. La crisi economica ha spento le grandi speranze: dimenticando il domani siamo ripiombati nell’oggi. A pensarci bene, tuttavia, si tratta di una grande conquista. In questo stato stiamo imparando di nuovo ad amare la condizione umana qual è, ad accettare i suoi limiti e i suoi rischi, ad avere più cura per le persone e le cose. A vivere il presente. Il futuro, questo tempo inesistente, non esiste più: e come gli anziani, ché sono più allegri e sollevati perché hanno meno speranze, e dunque un numero limitatissimo di possibilità, così anche noi siamo precipitati nel “qui e ora”: dove si sono esauriti i sogni e ruggisce il realismo. Ci siamo ritrovati. Atterrati sulla Sardegna di oggi – come tornati da un lungo viaggio - ci siamo chiesti: dove eravamo rimasti? Qual è lo stato di salute delle istituzioni e della politica? Tutto sembra da ricostruire. Solo una cosa è certa: il presente passa attraverso la riscoperta della nostra identità. In questo numero vediamo cosa resta. di Guido Garau g.garau@cagliaripad.it

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OPINIONI

L’affrorisma

Morti di scioscio che non potranno più dire: “Le metto una busta in testa” perché quelle biodegradabili sono mezzo trasparenti

di Enrico Secci

L’angolino del filosofo di Arthur Schopenhauer*

Il sesso? Un sacrificio per l’umanità

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gni innamoramento, per quanto voglia mostrarsi etereo, ha la sua radice solo nell’istinto sessuale, anzi è in tutto e per tutto soltanto un impulso sessuale determinato. L’estasi incantevole, che coglie l’uomo alla vista di una donna bellissima e che gli fa immaginare l’unione con lei come il sommo bene, è proprio

il senso della specie. L’uomo è guidato da un istinto che tende al miglioramento della specie anche se si illude di cercare soltanto il proprio piacere. Infatti ogni innamorato, dopo aver raggiunto il godimento, prova una strana delusione e si meraviglia che ciò che ha cosí ardentemente desiderato non dia nulla di piú di ogni altro

appagamento sessuale. Quel desiderio dunque stava ai suoi desideri nello stesso rapporto con cui la specie sta all’individuo, ossia come una cosa infinita e una finita. L’appagamento avviene dunque solo per il bene della specie e non dell’individuo, il quale serviva perciò solo a un fine, che non era il suo. Era un sacrificio.

L’intervento di Paolo Littarru*

L’alba della civiltà ha il sole in fronte

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l 21 giugno del 1991 il sole si levò dietro il nuraghe Longu. Era l’alba del solstizio estivo. Un’alba identica da migliaia d’anni, ma non per noi che la osservavamo dal nuraghe Nueddas. Quel giorno scoprimmo l’archeoastronomia. Capimmo che dietro la costruzione di migliaia di nuraghi c’era un’altra finalità, oltre quella militare, da ricercare nell’orientamento astronomico dei monumenti. Da allora sono passati molti anni e siamo arrivati alla decisione di approfondire e divulgare questo filone di studi.

Abbiamo così creato l’associazione “Agorà Nuragica”. La nostra sarà una piazza al centro della quale collocare uno spazio di discussione sull’archeologia sarda in chiave astronomica, aperta a chiunque abbia voglia e capacità di dare un contributo. Chiunque sarà accettato, a patto di rispettare una condizione: il rispetto del rigore scientifico. * Presidente dell’Associazione Agorà Nuragica Facebook: AgoraNuragica


OPINIONI

Zacca

e poni

Un successo l’iniziativa del sindaco Zedda di aprire i cancelli di Tuvixeddu. Tantissimi i cagliaritani in fila per visitare i nuovi appartamenti di Cualbu.

Il guastafeste

Vivere bio

di Simone Spiga

di Giampietro Tronci

Turista? Fai da te! Infopoint sempre chiusi

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icordate lo slogan dell’ex sindaco Emilio Floris? Era: “Cagliari capitale del Mediterraneo”. Solo vuote parole. Per esempio: se arriva un turista in cerca di informazioni cosa trova a Cagliari? Nisba. I cosiddetti info point – le strutture comunali di orientamento destinate ai visitatori – sono pressoché inesistenti. Sedi abbandonate o sempre chiuse, altre aperte in orari improbabili, materiale insufficiente. L’area di Marina Piccola è abbandonata ormai da molti mesi, in Piazza Costituzione gli orari sembrano decisi alla giornata, come in Piazza Indipendenza. Una certa regolarità lo garantiscono l’infopoint di Piazza Ingrao e quello situato al Molo

Sanità mentre l’ufficio della Provincia, a Palazzo Regio, sembra essere l’unico con aperture regolari. Al limite del ridicolo il caso dell’ufficio di Piazza Matteotti. Per anni abbandonato, oggi è aperto – male. Perché considerata la posizione favorevole viene sottoutilizzato e non valorizzato. Qui, tra l’altro, era previsto un progetto per creare, in sinergia tra Comune e Provincia, un centro multimediale. In definitiva non si può di certo dire che i turisti possano ottenere facilmente informazioni utili. Risultato? Ancora vuote parole. Mentre in città si vedono girare sempre più turisti spaesati. La città sembra essere impreparata a riceverli: infopoint compresi.

La casa “eco” costa solo 10mila euro

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GEMELLI DIVERSI

na casa di paglia? Il sogno dei tre porcellini non è più un’utopia. Esiste, infatti, la possibilità di costruire un’abitazione ad appena 100 euro al mq. Come? Lo spiega Barega. Avviato a settembre 2011, terminerà entro il 2012, Barega è un progetto OpenSource per la condivisione dei saperi in bioedilizia. Nasce dall’interesse per gli ambiti dell’educazione ambientale e dalla volontà di reagire a uno scenario di crisi economica e occupazionale. Il progetto Barega ha l’obiettivo di creare attorno al progetto “icona” di una casa ecologica ed economica un gruppo di azione che attivi nuove sinergie tra gli attori del territorio. Progetto Barega è un gruppo in crescita, chiunque può farne parte se lo desidera e ne condivide i principi: partecipazione, inclusione, condivisione, scambio di saperi.

Avete un attacco d’arte? Disegnate un’anatra zoppa. fatto?

Info 2xeco.project@gmail.com progettobarega@gmail.com.

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PRIMO PIANO

L’Isola non è zona franca per i sardi beffa a metà di Carlo Poddighe c.poddighe@cagliaripad.it

Niente agevolazioni alle nostre aziende: i soldi vanno alle imprese del Sud Italia. L’ultima speranza è il porto di Cagliari

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a creazione di Zone franche urbane (Zfu), le aree cittadine dove le aziende operano beneficiando di agevolazioni fiscali e contributive, è stata l’ennesimo miraggio per un’economia autonoma in Sardegna. Le piccole e medie imprese isolane ci avevano visto un’opportunità di business e di riscossa dalla crisi e tanti cittadini si immaginavano distributori di benzina a basso costo e negozi duty free. A quattro anni dal decreto di istituzione delle Zfu tutto è ancora fermo. Il Governo nazionale nel 2008 aveva individuato tre aree nell’Isola: Sant’Elia a Cagliari, Quartu e Iglesias. Meno di due anni dopo, nel 2010, la

doccia fredda. Gli incentivi destinati ai Comuni sardi sono stati dirottati sulle Zone a burocrazia zero, individuate per lo più nel Sud Italia. Un discorso a parte riguarda la Zona franca portuale (Free Zone) che da anni si sta cercando di creare nel porto di Cagliari. Anche qui la situazione è in stallo. Il motivo non sono, però, le idee poco chiare del Legislatore nazionale, ma il fatto che la società che dovrebbe far decollare il progetto Zona Franca di Cagliari-Società Consortile spa - è partecipata al cinquanta per cento dall’Autorità portuale e dal Cacip, il Consorzio industriale provinciale. Dal marzo scorso, presidente della Free Zone spa è Piergiorgio


Piergiorgio Massidda, è presidente dell’Autorità portuale dal 2011

Massidda (Autority portuale), mentre l’amministratore delegato è l’avvocato Natale Ditel (commissario straordinario del Cacip). L’ingresso in società di soggetti istituzionali come la Regione, il comune di Cagliari e la Camera di commercio, con funzione di arbitri e garanti delle scelte future, potrebbe risolvere l’impasse. In quattro anni di vita della società poco è stato deciso e quel poco sembra verrà stravolto. Il pragmatismo e lo spirito di iniziativa del Presidente Massidda contrasta con una visione più politica e di concertazione del Commissario Ditel. «Il vero problema sono le concessioni, la cui vigilanza spetta all’Autority portuale, e che devono essere assegnate con gare europee», spiega Natale Ditel, «La Zona franca suscita un forte interesse non solo nel cagliaritano, ma in tutta la Sardegna e molte aziende pensano che sia facile come prima avere una concessione». Per il Commissario del Cacip è, invece, fondamentale partire con il piede giusto,

«perché già da quando si inizierà a recintare l’area portuale inizieranno i problemi». Non vede tutto questo interesse per la Free Zone da parte delle aziende isolane Piergiorgio Massidda che non vuole essere lasciato solo nella battaglia per valorizzare commercialmente il porto. «Bisogna muoversi, andare a cercare in tutto il mondo le aziende da portare a Cagliari e soprattutto cambiare l’idea di Zona franca che si è avuta sino adesso», spiega con decisione. Sa che il tempo perso dal suo porto va tutto a vantaggio degli scali concorrenti italiani e del Nord Africa. Il nemico numero uno è il porto marocchino di Tangeri. «Non si può più pensare a una Free zone recintata e delimitata, ma a una Zona franca virtuale». Non aziende che operano in un area circoscritta, ma diverse società che all’interno di diverse zone del porto operano in regime di Free Zone. «Anche i porti di Barcellona o Trieste stanno riducendo sempre più le

aree destinate alle Zone franche». Ma quali possono essere i benefici per le aziende sarde ad istallarsi nel porto di Cagliari, allora? «Nessun beneficio», taglia corto Massidda. «La convenienza è solo per le aziende che operano fuori Schengen, fuori dall’Unione europea». Un’azienda sarda che lavorasse dentro la Free Zone pagherebbe i dazi non appena andrebbe a rivenderli in Italia o in Europa. «La convenienza è solo per le aziende di paesi fuori dall’Unione che commerciano con altri paesi anch’essi fuori dalla Ue». Il porto di Cagliari sarebbe una testa di ponte tra questi mercati. Spazio quindi alle imprese cinesi, arabe e sud americane. «Per la Sardegna ed i sardi i benefici saranno soprattutto sotto il profilo dell’occupazione. Le aziende straniere useranno maestranze sarde, impiegati e tecnici sardi e tutto l’indotto se ne avvantaggerebbe, soprattutto se si punta sulla cantieristica navale». Solo sui tempi la bicefala Free Zone spa sembra avere le idee chiare. In circa sei mesi Cagliari potrebbe avere la sua Zona franca portuale, concordano Massidda e Ditel: «Dipende da noi». Intanto l’ultimo Cda della società, fissato a fine marzo, è saltato. Il prossimo, previsto a fine aprile, può essere l’occasione buona per parlarsi.

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L’INCHIESTA

Il modello catalano Le tasse nel territorio Dal sistema statale spagnolo un valido esempio di federalismo fiscale per la Sardegna. Partendo da lingua e cultura si arriva a una società in grande fermento

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ell’Isola che sprofonda sommersa dall’acutizzarsi dei numerosi problemi economico-finanziari (dalla vertenza entrate alla crisi industriale) torna nell’agenda politica la questione dell’autonomia. Tra i modelli ai quali ispirare un nuovo rapporto con lo Stato c’è quello Catalano, al quale ci legano vicende sanguinose e la storia comune sotto il Regno di Spagna. Nel sistema statale spagnolo alle Comunità autonome come Catalogna e Paesi Baschi è lasciato un ampio margine di libertà, che consente a ognuna di esse di adottare i provvedimenti legislativi ritenuti necessari in settori come la sanità, le assicurazioni sociali, i con-

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tratti e le concessioni amministrative, l’ordinamento del credito, della banca e le assicurazioni. Allo Stato corrisponde soltanto la legislazione di base. In questi casi le Comunità autonome possono assumere, oltre alle funzioni esecutive, quelle legislative che sviluppino la legislazione statale di base. La Catalogna, una delle regioni più sviluppate della Spagna, è diventata nell’arco di trent’anni il vero motore dell’economia spagnola. I numeri, in questo caso, parlano chiaro: più del 20 per cento del Pil iberico è prodotto in Catalogna, nonostante essa occupi solo per circa il 5 per cento del territorio spagnolo e che la sua popolazione non

superi il 15 per cento della popolazione totale. Mentre la Catalogna viene definita “nazione” dallo stesso Stato spagnolo, la Sardegna nell’affermazione della propria identità è solamente una regione della Repubblica Italiana. Pochi margini di autonomia dovuti allo status di Regione a Statuto Speciale e sul regime della fiscalità e dei diritti esercita una forte influenza la legislazione italiana. In particolare è nella politica che va ricercata una sostanziale differenza rispetto alla Catalogna: mentre in Sardegna la politica e le istituzioni si sono sempre identificate con lo Stato Italiano, sin dal trasferimento della Corte a Cagliari nel periodo napoleonico, in Catalogna l’affermazione dell’identità parte proprio dalla lingua, dallo statuto e da una indipendenza politicoculturale per arrivare a una società in fermento, con un’altissima capacità di accettare e integrare l’immigrazione, con una solida tradizione di lotte democratiche, con le sfide allo Stato sulla fiscalità e il nuovo Statuto. Ma anche in settori come lo sport le comunità autonome spagnole vogliono affermare la loro identità. È il caso dell’Atletico Bilbao, società di calcio dei Paesi Baschi nota per la sua politica di tesseramento di soli giocatori che siano Baschi o di origini basche, oppure che abbiano imparato a giocare a calcio nei circuiti giovanili baschi. Nonostante questa possa sembrare una scelta razzista, in realtà è una forma di esaltazione degli atleti locali come se si stesse parlando non di un club ma di una vera e propria nazionale. Tutto ciò a dimostrare che l’autonomia e indipendenza non passano per l’apposizione di confini ma nel potenziamento di ciò che si ha nella propria terra. Intanto proprio in queste settimane il Consiglio Regionale ha deliberato di avviare una sessione speciale di lavori, aperta ai rappresentanti della società sarda, per “ la verifica dei rapporti di lealtà istituzionale, sociale e civile con lo Stato che dovrebbero essere a fondamento della presenza e della permanenza della regione Sardegna nella Repubblica italiana”. Moreno Pisano


di Laura Puddu l.puddu@cagliaripad.it

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al 1997 il sardo è la lingua ufficiale della Sardegna assieme all’italiano. Nel 1999, in Italia vennero riconosciuti gli idiomi di minoranza etnica e, anche se ciò non apriva le porte all’insegnamento di essi, vi sono state però diverse esperienze in tal senso da venti anni a oggi. Con la ratifica della carta delle lingue europee da parte del governo Monti, le cose sono cambiate. La domanda che ci si pone è se abbia senso recuperare, utilizzare, parlare e, soprattutto, insegnare il sardo. È necessario avere una lingua a sé stante e autonoma per affermare l’identità culturale della nostra isola? “Il concetto di identità culturale - dichiara Andrea Deplano, docente di Laboratorio didattico del sardo nel progetto Fils (formazione insegnanti di lingua sarda) nella facoltà di lettere e filosofia di Cagliari, a Cagliari e Oristano – non esiste. Perché è legato a un’idea di Sardegna chiusa, mentre la nostra società attuale è multiculturale e non più basata sul monolinguismo. Parlare diverse lingue non elimina le nostre radici, anzi offre maggiori elementi per capire le proprie tradizioni e quelle degli altri, contribuendo a vivere meglio all’interno della nuova società”. Ecco perché è importante e utile studiare anche il sardo. Certamente non è spendibile come l’inglese, ma la conoscenza di un idioma in più significa avere maggiore cultura e apertura mentale. La lingua sarda è costituita da una pluralità di varianti dialettali. Allora la Regione, sotto la giunta Soru, aveva varato la limba sarda comuna, che era il risultato di una mediazione tra campidanese e logudorese. Essa deve esse-

Nel mondo globale parleremo in sardo Parla Andrea Deplano, docente all’Università di Cagliari: «Nella società multiculturale la ricchezza sta proprio nella diversità di espressione» re la lingua ufficiale per gli atti amministrativi e per le risposte in uscita da parte della Regione stessa e degli enti locali. Ma non è estensibile alla scuola, agli artisti e al parlare comune perché, in questi casi, è difficile comprendere le diverse sfaccettature. E fino a ora, per questo problema, non erano presenti dei libri di testo. Per tale motivo, Andrea Deplano ha presentato il 29 marzo Bisuras, il corso di lingua e civiltà della Sardegna: esso si propone come utile strumento di approccio alla conoscenza e allo studio di quel sardo che abbia ancora un riscontro attuale e un radicamento nei quartieri. Poiché è noto che basta spostarsi di pochi chi-

lometri per avere delle differenze tra i vari dialetti, Bisuras non è un manuale di grammatica o di ortografia, ma un libro di testo che offre gli strumenti per imparare a leggere o scrivere, mantenendo però la mediazione tra le varietà dialettali. Aspetto fondamentale è convincere e motivare chi si appresta a studiare questa lingua, e ciò non può avvenire solo all’interno della scuola. Essa può essere utile come sostegno, poi occorre che entri nella vita sociale dei cittadini, ad esempio con un maggiore utilizzo da parte delle istituzioni pubbliche locali.

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ON AIR Nella foto Quintino Ralli, a Bortigali nel 2008, indossa le cuffie con le quali captò la notizia della fine della guerra

venti minuti prima di Radio Londra, era il 7 maggio 1945 e stiamo parlando di Radio Sardegna. Le premesse che la videro nascere furono tutte da attribuire a un piano militare. Gli alleati scelsero la Sicilia per invadere l’Europa da sud, contemporaneamente all’attacco al nord in Normandia, ma per confondere il nemico fu fatto credere che il piano prevedeva l’invasione della Sardegna. Le truppe italo- tedesche spostarono la loro attenzione nell’isola, trasferendo anche la radio R6 onde corte, la più potente radio mobile d’Europa a soli 10km da Bortigali. Dopo l’8 settembre la radio fu trasferita in un oliveto nella periferia del paese. Le prime trasmissioni ufficiali iniziarono il 3 ottobre del 1943, e spiegarono subito l’obiettivo e la funzione della radio « Radio Sardegna si propone , mediante i proprio notiziari, di integrare l’opera della stampa quotidiana dell’Isola.

Qui Radio Brada «La guerra è finita» di Claudia Sarritzu c.sarritzu@cagliaripad.it

L’emittente di Bortigali fu la prima al mondo ad annunciare la fine della Seconda guerra mondiale. Questa è la sua storia

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uando parliamo di radio libere pensiamo subito agli anni 70 e 80, quando tantissimi giovani riuscivano ad aggiudicarsi delle frequenze per confezionare programmi fatti in casa. Ma la prima radio libera di cui parliamo noi, è datata 1943, nasce a Bortigali, provincia di Nuoro, ed è “libera” in quanto antifascista, il suo primo annuncio fu infatti « Qui Radio Sardegna, libera voce d’Italia fedele al suo Re… ». Ebbe un altro grande primato quello di annunciare, per prima al mondo, la fine della seconda guerra mondiale, ben

Libera da qualsiasi influenza straniera, Radio Sardegna, autentica voce d’Italia, si ispira fedelmente alle direttive e ai principi che guidano l’opera del governo della Maestà del Re. Radio Sardegna, proponendosi anche uno scopo di assistenza morale, farà giungere in continente la propria voce trasmettendo regolarmente notizie di militari e civili in stanza in Sardegna alle rispettive famiglie. Infine Radio Sardegna intende contribuire, nei limiti del suo campo d’azione, alla valorizzazione delle possibilità dell’Isola in ogni campo (industriale, commerciale, economico) tenendo di mira, fin da ora, la meta di tutti gli italiani: la ricostruzione delle fortune e dei destini della Patria. » Trasmise fino al 1952 quando divenne Radio Cagliari e poi perse la sua autonomia. Le vecchie registrazioni sono tutte conservate dall’archivio Rai. Veniva chiama anche Radio Brada perché si trattava di una radio amatoriale.


SARDI NEL MONDO Massimiliano Perlato attraverso il suo blog dedica ogni settimana la copertina a un personaggio sardo nel mondo

Storie di successo dei nostri emigrati Massimiliano Perlato, in Brianza dal 1997, racconta l’esperienza di chi, partendo dall’Isola, è riuscito a realizzarsi

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a Sardegna è sempre stata terra di emigrazione, un paradiso troppo bello e troppo difficile da meritarsi. Ma se prima erano gli ex minatori di carbone e i disoccupati con la valigia di cartone, senza un gregge da allevare né un fazzoletto di terra da coltivare, a partire, ora sono i cervelli con lauree e talento al seguito, a lasciare l’isola senza dimenticarsene. Sono giovani che non hanno rinunciato a realizzarsi professionalmente ma neppure a scordarsi la loro terra che continuano a vivere anche attraverso la vita dei circoli e leggendo i giornali che raccontano come si continua a vivere qui, fra contraddizioni economiche, lobby, spiagge sfruttate e una popolazione sempre più anziana. Grazie a Massimiliano Perlato abbiamo conosciuto storie bellissime di emigrazione ai giorni nostri. Una fra tutte quella di Giovanna Corda eletta

nel 2007 a Strasburgo, prima eurodeputata di origine sarda a conquistarsi un seggio. Tutti noi sappiamo che per chi vive nell’isola il Parlamento europeo è un miraggio a causa dell’accorpamento con la Sicilia che per numero di abitanti riesce sempre a conquistarsi anche i nostri seggi. Giovanna Corda anche se eletta nelle file del Partito Socialista Belga ha lavorato anche per la sua isola. Fra gli argomenti che durante la legislatura ha sollevato in sede europea ci sono tantissimi nostri problemi: quelli del comprato agricolo e dei trasporti senza scordarsi il sostegno alla produzione del latte ovicaprino per garantire prospettive reali non solo di sopravvivenza ma di sviluppo economico. Un’altra storia è quella di Alberto Mario DeLogu, classe 1961 che dopo la laurea in Agraria decide di lasciare la Sardegna al seguito del prof. Paolo De Castro andando a lavorare al

centro studi Nomisma di Bologna, diretto a quel tempo da Romano Prodi. Nel 1993 ha lasciato anche Bologna per studiare economia all’Università della California, lavorando a una tesi sul mercato mondiale del Pecorino Romano. È tornato in Sardegna per prender servizio, come direttore del Consorzio del Pecorino Romano. Purtroppo il ritorno non ha portato i risultati sperati infatti la nuova partenza per il Canada questa volta ha lasciato meno nostalgia in Alberto. Oggi è attivissimo nei circoli dove riesce a vivere la Sardegna “a distanza” che non ha saputo accogliere la sua professionalità. Roberta Pili invece è una musicista, una grandissima pianista che ha studiato al conservatorio di Cagliari e oggi porta il suo talento in giro per il mondo rendendoci orgogliosi di lei. È partita per studiare all’accademia di Vienna giovanissima, certa che in Sardegna non potesse trovare altre possibilità per approfondire la sua formazione. La nostra conterranea è la prima pianista donna che ha eseguito le ultime cinque grandi sonate di Beethoven in una sola serata. Roberta però non dimentica la Sardegna. In un’intervista rilasciata a Tottus in Pari afferma che nella sua nuova “residenza” ha avuto modo di ambientarsi in breve tempo. Ma ha sempre tenuto un contatto stretto con l’Isola. Perché difficilmente ci si scorda di una terra che sa donare talento anche se non riesce a tenersi stretta i suoi figli. C.S.

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REPORTAGE

Dalla Deledda ai contemporanei Com’è cambiata l’identità sarda?

Da scrittori di provincia ad autori di best seller, ecco come si è evoluto il modo di comunicare dei nostri romanzieri

di Maria Grazia Pusceddu m.pusceddu@cagliaripad.it

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a Sardegna mai come negli ultimi anni può vantare una produzione letteraria senza precedenti. Se in passato infatti per uno scrittore era molto più difficile farsi conoscere e apprezzare fuori dai confini isolani, oggi qualcosa è cambiato. Innanzitutto lo sviluppo tecnologico ha sicuramente fatto da ponte tra la Sardegna e il resto del mondo ed è innegabile come negli ultimi anni sia aumentato l’interesse da parte della critica e dei lettori italiani ed europei nei confronti degli scrittori sardi. Se prima un autore come Sergio Atzeni non vendeva più di decine di migliaia di copie, oggi, invece, gli scrittori contemporanei sono protagonisti indiscussi del mercato culturale. Marcello Fois, Michela Murgia, Flavio Soriga e Milena Agus sono solo alcuni degli scrittori sardi che hanno esportato in Italia e nel mondo una Sardegna che si è trasformata rispetto al passato, pur mantenendo il suo legame con la tradizione. Marcello Fois e il concetto di identità sarda. Questa apertura dell’Isola al mondo ha contribuito sicuramente a

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modificare il concetto d’identità sarda. Per lo scrittore Marcello Fois, attualmente il più prolifico e venduto tra gli autori contemporanei sardi viventi, il concetto d’identità è cambiato non sempre positivamente negli anni. “Siamo passati – dice Fois – da una forma folklorizzata ad una forma politicizzata d’identità, questo crea la certezza di essere migliori e non va bene. Io non amo parlare troppo d’identità ma sono per praticarla il più possibile, esponendo modelli positivi, non necessariamente folklorismi. Per Fois che oggi vive a Bologna ma che è sempre molto legato alla Sardegna, l’identità è coscienza della propria storia, è esercizio della propria lingua e rispetto del proprio territorio. “L’identità – aggiunge Fois - si deve giocare sull’oggi, l’antico va ricordato, memorizzato, museificato e insegnato”. Per lo scrittore di Nuoro, la letteratura contemporanea sarda sta infatti contribuendo a diffondere un nuovo concetto d’identità. “Se uno scrittore – conclude Fois - riesce a far parlare della Sardegna non in senso quantitativo ma qualitativo vuol dire che sta facendo un buon lavoro. Siamo una generazione di scrittori che si è affrancata dalla retori-


A sinistra Grazia Deledda nella sua casa romana. Sopra Marcello Fois

ca, che sta descrivendo un territorio più complesso e anche più moderno sotto certi aspetti. Direi che questo è quello che noi dobbiamo fare”. Da Grazia Deledda agli autori contemporanei. Sicuramente è con Grazia Deledda, Nobel nel 1926, che si sono aperte le porte alla narrativa sarda. Ed è proprio con la scrittrice nuorese che si assiste al primo incontro tra cultura orale barbaricina e cultura scritta nazionale. Questo rapporto di scambio costante tra identità sarda e mondo esterno viene analizzato nel libro “Isolitudine” scritto dalle docenti universitarie Laura Fortini e Paola Pittalis. “L’identità non è un elemento statico – sostiene Paola Pittalis – ma è contaminazione, incontro tra culture e realtà diverse. La stessa Deledda non può essere considerata come un archetipo immutabile del tempo”. Nel libro si parla dei più grandi scrittori sardi contemporanei e tra questi si da ampio risalto anche a Salvatore Mannuzzu che racconta la Sardegna attraverso una rappresentazione simbolica che finisce col riguardare non soltanto l’Isola ma tutta l’Italia. Per le autrici sassaresi esiste infatti un filo rosso che partendo da Grazia Deledda arriva fino a Michela Murgia, Marcello Fois, Sergio Atzeni e lo stesso Mannuzzu.

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LA FAVOLA

Biancaneve

argento di Sardegna Il cinema riscopre la fiaba dei fratelli Grimm. Ma una tradizione la collega alla lavorazione del metallo, alle miniere dell’Isola e al massiccio dei Sette Fratelli

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n volto eterno, come di candida fanciulla, che emerga lucente dal grembo della terra, lega forse i fratelli Grimm ai boschi del Sarrabus. Ella dorme quando minatori minuscoli la scovano; trova rifugio in una casetta nella foresta, sopravvive a un tentativo di “divoramento” del cuore; risorge infine nella sua bellezza virginale, che è un bianco fulgore. Abbaglia chi la miri: la sua bellezza resta un segreto che solo lo specchio può conoscere. Di Biancaneve e i Sette Nani il cinema

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propone quest’anno due rivisitazioni. È prova che le immagini di fiaba sono senza tempo, né hanno un luogo dove posare il capo, “ma si depositano, come il mito, in alcune regioni propizie”: tale è la Sardegna per Giuseppe Sermonti, studioso che ha abbandonato la genetica per tentare di comprendere il linguaggio dei miti. Cercava chiavi per interpretare le fiabe, più d’una l’ha trovata nei metalli: Biancaneve, egli scrive, è l’argento, la fiaba è storia simbolica della sua estrazione e raffinazione. Le miniere vicine al massiccio dei Sette Fratelli una delle tante

dimore assunte dall’antica leggenda, prima d’esser fissata per iscritto nella tradizione popolare tedesca. Storcerà il naso qualche lettore moderno: gli è difficile capire la forza immaginativa dell’uomo arcaico, tale da spingere il minatore, ebbro di fatica, a sentire una vita pulsare nella vena dell’argento appena dissepolto; e durante la purificazione, nel calore del forno, scorgere in quella bianchezza la qualità di una casta fanciulla fino a indovinarne l’umana forma imprigionata nel metallo. Pure non mancano studi rivelanti che il mito non fosse libero esercizio di fantasticheria, ma “formula” cui gli uomini affidavano in forma simbolica le proprie conoscenze scientifiche della natura e della tecnica, prima dell’avvento della scrittura, per tramandarle. In questo filone s’inserisce Sermonti con le sue Fiabe del sottosuolo (Rusconi, 1989), oggi ristampate da Lindau col titolo Alchimia della fiaba. Un primo indizio si trova nella Ballata dei Sette Fratelli (Tipografia editrice artigiana,1983) trascritta da Augusto Anedda: mostra che era già radicata l’identificazione delle cime con un gruppo di “cavalieri” insieme a una donzella. Nella tradizione sarda poi non è raro il motivo di una giovane che viva nei boschi, protetta da latitanti. Sermonti ricorda come l’argento venisse estratto nelle miniere del Sarrabus, dove si possono scorgere le sette cime, mentre ai piedi del massiccio si trovano i ruderi del Convento dei Sette Fratelli, un piccolo eremo che si dice costruito nel secolo XIV da sette cavalieri. Sorpresa nel sonno da nani-minatori, Biancaneve è nascosta in una piccola casa: è la coppa dove avviene la raffinazione. Una regina ne ordina la morte, poiché è destino dell’argento grezzo esser fatto a pezzi e dissolto. Riceve allora un cacciatore l’incarico di strappare il cuore della ragazza perché la regina lo mangi. Al suo posto recide quello di un cinghialetto. Così nella cottura ella è apparentemente “divorata” dal piombo fuso, che la occulta, ma infine emerge dalla tenebra e appare in nivea purezza. Cristiano Pintus


CARTOON

Tottoi, manga made in Sardinia Cala Gonone vista dall’Oriente Realizzato nel 1992 dalla stessa casa di produzione di Heidi, il cartone animato non era mai stato tradotto in italiano. Ci hanno pensato i bambini di Dorgali

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hi pensa che i cartoni animati siano solo roba da bambini, e dunque poca cosa, è uno sciocco. Lo sanno bene i giapponesi, che nei loro cartoon hanno speso denaro, energie e creatività fin dagli anni Settanta. Il motivo? I cartoni animati creano l’immaginario collettivo degli adulti fin dall’infanzia, quello che si porteranno dentro per sempre. Non solo morale (i protagonisti dei cartoon diventano i modelli di riferimento) ma anche nel gusto, nella scelta estetica e, perché no, dei luoghi dell’anima. Quanti di noi hanno sognato di andare a Tokio, la città di Mazinga Zeta? E quanti bambini di oggi desiderano visitare Radiator Spings, la cittadina in cui è ambientato Cars? Letto in questa ottica, il progetto di un cartoon made in Sardegna ha un’importanza enorme. Peccato che la Regione non ci abbia mai pensato. Se via Roma pecca il Sol Levante ha le idee chiare: ed ecco checi vengono incontro i giapponesi. Era il 1992, e in quell’anno la prestigiosa casa di produzione Nippon Animation (quella che inventò Heidi, per capirci) decise di dedicare un lungometraggio a cartoni animati a una storia tratta dal romanzo Tottoi del grande scrittore per ragazzi Gian-

ni Padoan. Ovvero un bambino sardo emigrato, una foca monaca e il suo cucciolo, un cattivo che vuole catturare il raro mammifero, tutto sullo sfondo di Cala Gonone e delle grotte del Bue Marino. Ora Tottoi, dopo essere stato distribuito e doppiato negli Stati Uniti, in Spagna e in molti paesi dell’America latina, viene riproposto finalmente tradotto. Dove? proprio nel luogo dove è stato immaginato da Padoan: a Dorgali. Tottoi, The Secret of the Seal - questo il titolo internazionale del lungometraggio - descrive tradizioni, ambiente e paesaggi di Dorgali e Cala Gonone. Al Teatro Comunale, all’interno del-

la rassegna «Cinema Musica Società Ambiente» diretta da Gian Basilio Nieddu e giunta alla terza edizione, il film è stato presentato nella sua versione in italiano, un po’ sardizzata con l’aggiunta di alcune espressioni locali, doppiata dagli studenti della 1 A della scuola media di Dorgali con la supervisione degli insegnanti. Per un interessante progetto didattico che si è incontrato con l’idea di Gian Basilio Nieddu di far riscoprire questo film d’animazione che in qualche modo si inserisce in quel filone che valorizza, promuove le location. Un vero spot made in Japan della nostra isola. Chissà e avrà un seguito made in Sardegna.

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L’INTERVISTA

Gavino Ledda «Non riconosco più la mia terra Sono deluso dalla politica» di Claudia Sarritzu c.sarritzu@cagliaripad.it

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tutta la vita che mi batto perché la lingua sarda entri nelle scuole elementari dell’Isola, ma ormai non credo più alle promesse dei politici». Gavino Ledda, lo scrittore di Padre Padrone che divenne testimonial della lingua sarda nell’Isola, oggi, dopo tre anni dalla caduta della giunta Soru, vede infranto il sogno di una vita. «La giunta Cappellacci non solo non ha mai dimostrato interesse a continuare quel lavoro ma addirittura mi ha ignorato, comportandosi malissimo nei confronti dell’autore di Padre padrone». Il libro che lo ha reso celebre tradotto in 40 lingue e nella versione italiana, oggi, ci dice Ledda “prima di riscriverlo in sardo lo sto ripensando e rielaborando in sardo, una lingua infatti è un modo di pensare”. Il pessimismo dello scrittore su questo tema si percepisce in ogni sua affermazione “anche con il progetto S’abba noa di Renato Soru tutto sommato

non c’era questa reale voglia di estendere la limba, forse c’era più il desiderio di ornarsi di uno scrittore importante come me a fare da testimone al progetto”. Perché è così importante far studiare il sardo nelle scuole? Secondo lei Giovanni Agnelli a casa sua non parlava il torinese? Eppure riusciva a esprimersi benissimo in italiano, in inglese, tedesco e così via, anche io sa parlo quattro lingue ed è proprio la conoscenza del sardo che mi ha molto aiutato ad apprenderle. Perché la lingua sarda in città non si parla più? Il sardo è nato proprio a Cagliari con l’arrivo dei romani più di duemila anni fa e si è arricchito attraverso l’unione di tutte le lingue che erano già presenti nell’isola, il latino poi ha fatto definitivamente sorgere la nostra parlata che non è un dialetto non dobbiamo mai scordarlo.

Classe 1938. Dall’età di sei anni lascia la scuola per aiutare il padre pastore nel suo lavoro. Prende la licenza elementare durante il servizio militare, continua a studiare e si laurea all’università La Sapienza di Roma in glottologia. Il libro che lo renderà celebre è Padre padrone.

Ci si è vergognati della propria identità, oggi però siamo più maturi per riappropriarcene. Quale sardo dovremmo insegnare nelle scuole? Ogni insegnante dovrebbe far imparare ai bambini il sardo della zona, solo con il tempo i poeti potranno fare la sintesi di un unico sardo, spetta ai poeti il lavoro di far nascere una lingua come Dante ha fatto con l’Italiano. Lei si può definire un’indipendentista? No io non credo che la Sardegna starebbe meglio senza l’Italia e poi io mi sento anche italiano. Credo nell’autonomia quella effettiva però. Come è cambiata la Sardegna in questi anni, è migliorata o peggiorata? Di sicuro in peggio, ora abbiamo perso anche l’economia agro pastorale che ci permetteva di sopravvivere.

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REPORTAGE

Goni

la Stonehenge mediterranea di Alessandra Ghiani a.ghiani@cagliaripad.it

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isitata e apprezzata soprattutto da turisti stranieri, l’area di Pranu Mutteddu è pressoché ignorata dalla maggior parte dei sardi padroni di casa. A circa sessanta chilometri da Cagliari e ai piedi del lago Mulargia, immerso in una fitta boscaglia caratterizzata da querce e profumi di una vegetazione tipicamente mediterranea, il parco archeologico di Pranu Muttedu sorge su un’area - circa 200mila mq – in cui è presente la più alta concentrazione (in Sardegna) di


COME SI ARRIVA Si percorre la s.s. 131 sino al km.21,900 e si svolta nella s.s.128 per Senorbì. Al centro del paese, all’altezza della piazza comunale, si prende la strada per San Basilio, si oltrepassa il paese, si percorrono km.6,8 e si svolta per Goni. Dopo 4 chilometri dal bivio per Silius si trova l’area archeologica.

menhir e di sepolture megalitiche del tipo a circolo. I menhir si possono trovare disposti in allineamenti - il più lungo è quello costituito da 20 blocchi - a gruppi di tre, a coppie, o più raramente isolati. Le tombe più caratteristiche sono quelle a tumulo formate da un atrio, un corridoio d’ingresso e una camera di forma quadrangolare, mentre il muro perimetrale è a pianta circolare spesso circondata da circoli più ampi. Numerose anche le domus de janas, scavate con precisione nella roccia. La tomba monumentale e più

importante, la tomba II, considerata come il fulcro dell’intera area sacra, presenta elementi sia di domus de janas che di tomba a circoli. Una tomba molto particolare e suggestiva è la triade, perché è posta davanti a tre menhir. Gli scavi archeologici degli anni ‘80 hanno restituito reperti di età Neolitica ed Eneolitica, in gran parte riferibili Cultura di Ozieri (3200-2800 a.C.), portando gli studiosi a interpretare il sito come vasta area sacra destinata al culto degli antenati.

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SPECIALE MISS ITALIA

La miniera della bellezza è nel Sulcis Le gemme in passerella di Carlo Poddighe

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correndo l’albo delle vincitrici delle ultime edizioni delle finali regionali del Concorso nazionale di Miss Italia si scopre come le ragazze che negli anni hanno indossato la fascia di Miss Sardegna provengano dalle diverse località dell’Isola. Nel 2009 la vincitrice è stata la gallurese Fiorella Isoni, 21enne di Olbia. L’anno seguente la fascia se la aggiudicò la quartese Nausicaa Putzu, quando aveva solo 19 anni. Più o meno a metà strada tra il granito del Nord est e la spiaggia del Poetto c’è Sini, paese della Marmilla, da cui viene la Miss Sardegna in carica: Daniela Cau, 21enne e neo dottoressa in Scienze politiche al momento dell’elezione. Tutti i paesi della Sardegna indistintamente hanno fornito al concorso le loro bellezze locali. «Il Sulcis-Iglesiente è stato particolarmente prolifico», spiega Michela Giangrasso, da diciassette anni l’esclusivista del Concorso nazionale di Miss Italia per l’Isola, «ma solo negli ultimi anni abbiamo avuto Miss sassaresi come Silvia Busia, sulcitane, appunto, come Gloria Zoboli e del centro Sardegna come Enrica Pintore, cresciuta ad Ottana».

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Nella pagina accanto miss Sardegna 2005 Gloria Zoboli, di Carbonia. A lato Daniela Cau, è la miss in carica. Viene da Sini

ISCRIZIONI missitalia. it/form-iscrizione. Info: info@michelagiangrasso. it- 070307740

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CURIOSITÀ

Pillole di sardità a cura di Michela Seu

Emilio Lussu sul popolo sardo

“Noi siamo sempre stati di si, suniti e nemici fra noi stes i arasotto gli spagnoli, sotto gl tto gonesi, sotto i giudicati, so i, i romani, sotto i cartagines a sempre. Il loro Stato non er ia il nostro Stato, e impotent mo sbarazzarcene, ci ripiegava prosu noi stessi, ognuno per nel prio conto, nella famiglia e o villaggio, l’uno contro l’altr nello stesso villaggio”.

Chi fu la tigre d’Oglia stra? Fu sopr

annominato così Samue le Stochino (Arzana 18 uno dei più pericolosi ba 95 – Ulassai 1928) nditi sardi. Dopo essere stato sorpreso a rubare maiali, cominciò la sua latitanza nelle montagn e ogliastrine: commise dodici omicid i fra uomini donne e un a bambina di due anni, m a gliene furono attribui ti molti di più. Persino M ussolini si mobilitò met tendo una taglia sulla su a testa: dopo una decina d’anni di latitanza, orm ai malato, venne trovat oe ucciso dai carabinieri ne lle campagne di Ulassai .


“Viva l’Italia, viva le mie idee”

Alle squadre fasciste che obbligarono l’avvocato socialista e sindaco di Terranova Antonio Sotgiu a bere l’olio di ricino e a gridare “Viva l’Italia” lui, nonostante l’infermità fisica che lo costringeva a letto, rispose: “Sì, viva l’Italia, ma viva anche le mie idee, perché quelle non si cacano”.

Cosa simboleggia la bandiera dei Quattro mori? Legata alla Corona d’Aragona, rappresenta la riconquista spagnola contro i mori che occupavano gran parte della penisola iberica. La croce rossa di San Giorgio è il simbolo dei crociati che combatterono i mori in Terra Santa, mentre le quattro teste mozzate rappresentano altrettante vittorie conseguite dagli aragonesi in Spagna: le Baleari, Murcia, Saragozza e Valencia. Dal 1999 è bandiera ufficiale della Regione Autonoma della Sardegna.


STORIE

Virdis, calcio coi baffi il Van Basten di Sindia Quando l’olandese nell’88 si infortunò, il bomber cresciuto nel Cagliari non lo fece rimpiangere e consegnò lo scudetto al Milan di Sacchi. Oggi fa il ristoratore

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ttima tecnica, forte di testa, ambidestro, determinato e caparbio come tutti i sardi e con una personalità che non passava inosservata: nonostante sia stato un fuoriclasse Pietro Paolo Virdis, uno tra i più noti e prodigiosi giocatori italiani di tutti i tempi, non viene ricordato tra le stelle del firmamento calcistico isolano. Eppure questo sassarese dai larghi baffi neri è stato un fenomeno. Uno che è riuscito a rimpiazzare Marco van Basten senza farlo rimpiangere. Ma chi è Pietro Paolo Virdis? Nato, calcisticamente parlando, nel Cagliari, ha esordito in serie A nel 1974, a soli diciassette anni. “Il legame con la squa-

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dra rossoblu – dice al telefono, felice di raccontare la sua storia - è ancora oggi fantastico, la seguo ogni domenica e faccio il tifo per lei. E non potrebbe essere diversamente, perché è il primo importante tassello della mia carriera e le devo molto. Il rapporto con Gigi Piras poi, era speciale. Ci adattavamo molto bene e lui mi ha aiutato a crescere”. Dopo il Cagliari calcio il volo. Ben presto la sua maturazione salta agli occhi delle grandi squadre e, così, Virdis entra nelle mire della Juventus (dove gioca all’inizio degli anni ottanta), con cui però non nasce un rapporto idilliaco. “La Juve – racconta l’ex calciatore – ebbe la meglio tra le compagini che mi volevano. Io non avevo nulla contro di

loro, semplicemente non volevo ancora andarmene da Cagliari e quindi non legai con la società e i tifosi. Poi ci furono anche le malattie, gli infortuni, la giovane età e, tutto insieme, resero quel periodo non bellissimo”. Con i bianconeri comunque vince due scudetti e, soprattutto, a Torino conosce la moglie Claudia. Poi c’è l’Udinese, ma è a Milano che fa vedere a tutti di che pasta è fatto sul campo da gioco. Nel Milan di Liedholm prima e di Sacchi poi, vive i suoi anni migliori: capocannoniere del campionato italiano nel 1987, Coppa dei Campioni nel 1989 e uno scudetto che ha la sua firma, quello del 1988, quando sostituì Van Basten infortunato. Nel corso della sua carriera, ha l’onore e il piacere di giocare con Zico, Gullit e Van Basten, ma è Franco Baresi il calciatore più lo affascina, ancora, più di tutti. Per il suo carisma e per il suo attaccamento alla maglia che lo rende un campione a tutto tondo. Virdis conta otto presenze e un gol in Under 21 e quindici presenze e nove gol nella nazionale olimpica, con cui ha disputato le Olimpiadi di Seul. Purtroppo non ha mai raggiunto la nazionale maggiore, ma questo non è un suo grosso rimpianto. La carriera da allenatore non era sicuramente nelle sue corde. Ci ha provato in serie C1 ma, evidentemente, come dice lui stesso, non era portato perché è stata un’esperienza breve e senza un seguito. Ha fatto anche il commentatore sportivo, soprattutto per il Cagliari: “Mi divertivo molto – scherza Virdis – e mi piaceva perché avevo la possibilità di seguire la mia squadra del cuore. Molto meglio rispetto allo spettegolare all’interno di uno studio televisivo”. Attualmente, gestisce a Milano con la moglie un negozio di prodotti tipici quasi esclusivamente sardi, ma dove si dedica anche alla ristorazione. Un consiglio per i giovani di oggi che si apprestano a entrare nel difficile ma tanto sognato mondo del pallone? “Metteteci tanto amore – conclude il bomber sassarese – unito al talento, arriverete lontano”. Laura Puddu


STORIE

Bici sarda in Formula 1 così si allenano i piloti Un’azienda sarda mette i pedali ai piedi dei campioni: Webber della Redbull è stato il primo. Oggi sono in tanti a salire in sella per prepararsi ai Gran Premi

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a ereditato la passione per le biciclette dal padre e dal nonno materno e in pochi anni è riuscito a trasformarla in un business rivoluzionario. Con un passato da ciclista, oggi Gianni Pistidda, artigiano imprenditore di Quartucciu è l’unico a costruire le bici su misura per i più grandi piloti di Formula 1. “La nostra bicicletta – ha dichiarato Gianni - si adatta alla persona, è come se andassi da un sarto e mi facessi cucire un abito apposta per me”. Fin da molto giovane Pistidda ha scelto di proseguire l’attività del padre, riparatore di biciclette, riorganizzandola però dal punto di vista commerciale e artigianale. Il suo sogno di creare una due ruote che portasse il suo nome è diventato realtà nel 1998 quando di bici “Pistidda” ne sono state costruite più di 400

soltanto nel primo anno. E da allora il genio sardo delle due ruote non si è più fermato. Le biciclette vengono realizzate interamente nel suo capannone di Quartucciu, compresa la verniciatura, il cui impianto è stato inaugurato poco tempo fa. “Ho sempre investito tantissimo – ha aggiunto Pistidda – sui nuovi materiali e le tecniche di costruzione. Siamo stati i primi a credere nell’alluminio leggero e nella fibra di carbonio e tuttora siamo sempre avanti rispetto alla concorrenza di almeno di un anno”. È un successo che da Quartucciu si sta diffondendo a macchia d’olio sui circuiti di Formula1 di tutto il mondo. Tutto è cominciato quando Riccardo Ceccarelli, il medico che si occupa della preparazione atletica dei piloti, amico dell’artigiano sardo, gli ha pro-

posto di costruire una bicicletta per Mark Webber, pilota Red Bull. “Con la bicicletta costruita su misura per lui – ha raccontato Pistidda – Webber ha percorso ore e ore su e giù per i Pirenei senza neanche un dolore. Non ha mai smesso di ringraziarmi”. Da allora sono tantissime le collaborazioni con i piloti di Formula1, da Robert Cubica a Maro Engel, della casa Mercedes. E nei prossimi giorni si saprà se un altro pilota della top ten di cui ancora non si può rivelare il nome potrà usufruire per la sua preparazione atletica della due ruote “Pistidda”. “La bici – ha concluso Gianni – è l’unico mezzo che i piloti hanno per una giusta preparazione atletica e per il mantenimento del proprio peso visto che molti hanno problemi alla schiena e non possono praticare altri sport”. Maria Grazia Pusceddu

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IL CONTADINO ARCHEOLOGO

Quando i nuraghi guardavano le stelle La sfida di Mauro Peppino Zedda agli accademici: ma che fortezza, i giganti erano osservatori astronomici

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er saper cosa sono i nuraghi, le grandi costruzioni megalitiche diffuse in tutta la Sardegna, forse non è necessario andare nelle buie stanze dell’Università. Dove tra professori, ricercatori e studenti si ripete come un mantra il pensiero unico del padre dell’archeologia sarda, Giovanni Lilliu, recentemente scomparso: «I nuraghi sono delle fortezze», sono il lascito di una civiltà guerriera, di comunità che si fronteggiavano l’un l’altra. Se arroccati nelle loro certezze di basalto fossero, invece, gli studiosi accademici? Perché non andare allora in una polverosa vigna, arsa dal caldo sole primaverile, dove già si lavora per la vendemmia di settembre. Chino a piantare i nuovi ceppi delle viti ad Atzinara, nelle campagne di Isili, troveremmo Mauro Peppino Zedda, perito

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agrario, che oltre a lavorarla la sua terra la conosce bene. La sua visione sui nuraghi, sul perché sono stati costruiti in un determinato modo e in un determinato luogo, vuole scardinare alcune certezze vecchie di settant’anni. Zedda si occupa da oltre vent’anni, da autodidatta, di archeoastronomia, studiando l’orientamento dei monumenti preistorici e storici della Sardegna. Il suo non è un hobby da agricoltore stanco dei lunghi pomeriggi nei campi. Quello che sorprende negli studi di Zedda e il rigore scientifico, la precisione delle misurazioni e la ricerca empirica di conferma di ogni ipotesi. Il suo libro: Archeologia del paesaggio nuragico, per il linguaggio tecnico con cui è scritto, non è infatti di facile lettura nonostante il fascino del tema trattato. Cosa sono, allora, i nuraghi secondo

Zedda? «È complicato dare un’unica spiegazione, quello che è certo è che chi li costruì li orientò secondo dettami astronomici», spiega il contadino archeologo. «L’impianto planimetrico dei nuraghi complessi è astronomicamente orientato verso il sorgere del sole o della luna ai solstizi e lunistizi e la loro funzione penso la si debba inquadrare nella sfera del sacro». Nuragici, e prenuragici prima, avrebbero costruito astrologicamente le torri, i pozzi sacri, gli ziggurat e i menhir, volendo “calendarizzare” il territorio secondo le fasi solari e lunari. «Nel pozzo di Santa Cristina, ad esempio, il rapporto base altezza delle cupola forma un angolo (rispetto alla verticale) che coincide con l’angolazione della luna quando passa in meridiano nel lunistizio maggiore settentrionale», spiega Zedda. «Anche secondo Lebeuf, Santa Cristina era un vero e proprio osservatorio lunare, attraverso il quale si potevano fare delle accuratissime osservazioni, finalizzate alla previsione delle eclissi». «Il problema non è mai stato il professor Lilliu», chiarisce Zedda. «Il problema sono i suoi discepoli. In questi vent’anni ho potuto constatare che gli archeologi sardi sono impreparati in geometria e si sono dimostrati incapaci di comprendere i risultati delle mie ricerche, pubblicate in prestigiose riviste scientifiche europee di Archeologia e Storia dell’astronomia». Questo scontro su fronti contrapposti ha come prima vittima la ricerca. Nonostante tutti i presupposti ed il forte interesse generale per l’argomento, nessun ateneo sardo intende istituire una cattedra di Archeoastronomia. Carlo Poddighe


MUSICA

MUSICA

L’energia del mare sulla sella del Diablo Il leader dei Sikitikis racconta come l’Isola influenza le sue canzoni: «Raccolgo l’ispirazione dalla terra»

di Michela Seu m.seu@cagliaripad.it

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on vestono in fustagno e berritta, non suonano le launeddas e non cantano i muttettusu a tenore. Ma allora cosa c’è di sardo nei Sikitikis? «Di sardo, nei Sikitikis, ci sono Sergio Lasi, Enrico Trudu, Gianmarco Diana e me, Alessandro Spedicati: i Sikitikis». Con la passione per il mare e il centro storico cagliaritano, l’amore per il pubblico che li segue entusiasta fin dagli esordi, e una marea di vocali aperte a esprimere intercalari che solo in città possono essere intesi appieno. Come quelle pronunciate da Alessandro, in arte Diablo (voce ed

effetti sonori della band cagliaritana più famosa in Italia), per dire la sua sul concetto di “sardità”, nella musica e nella cultura in genere. «Credo che l’identità del popolo sardo – come del resto di qualsiasi altro popolo - non debba passare unicamente attraverso il folklore. Chi va a Berlino, Barcellona o Stoccolma, città fra le più visitate al mondo, non vuole necessariamente sentire la musica tradizionale: il più delle volte vuole vedere com’è la gente del posto, com’è la vita in quella città. E qui, a Cagliari, noi viviamo così». Poggia il caffè sul tavolino all’aperto, si gode il sole di primavera e accarezza

con lo sguardo i lineamenti dei palazzi che si affacciano sul bastione di Santa Croce. Poi prosegue: «Parliamo la lingua italiana, vestiamo con jeans e t-shirt e ascoltiamo prevalentemente musica contemporanea nazionale e internazionale. Sarebbe stato innaturale e incoerente, per noi, usare il sardo nei testi». Senza contare che il tratto ineludibile isolano traspare un po’ ovunque nella loro discografia. Identitaria, primordiale, quasi mistica, è l’invocazione alla Sardegna (niente affatto didascalica ma fortemente allusiva) in “Piove deserto”, per esempio, a quell’atavica madre fiera che continua a resistere e a lottare. O nelle musicalità di “Dischi fuori moda”, non a caso realizzato a Cagliari, meno cupe e controverse rispetto ai precedenti “Fuga dal deserto del Tiki” e “B”, prodotti a Torino. «Quando stavamo là non pensavamo che la società, l’architettura e l’atmosfera avrebbero potuto influenzare la fase creativa della nostra musica – ammette Diablo – ma una volta tornati “a casa” ci è stato subito chiaro». Impossibile, dunque, negli anni a seguire, poter azzardare un giro di launeddas all’intro di “Tiffany” o di fisarmonica al ritornello di “Amore sul mac”? «Niente affatto. Può darsi che anche noi un giorno avremo voglia di aggiungere strumenti nostrani o voci a tenore, così come a un certo punto fecero i Beatles con la cornamusa e il sitar. Ma dovremo sentirne la necessità, l’esigenza delle nuove introduzioni dovrà venirci naturale. Fino a quel momento continueremo a fare la musica così». E a salutare il folto pubblico “continentale”, nelle tournée in giro per l’Italia, al grido di “Sardinia is my nation”.

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I VOSTRI RACCONTI

Il duplice incendio

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i buon mattino, Antonio e Gesuino, i due cugini nipoti di Saturno possidente di Tipoi, sellarono la cavala con la nuova e bella sella di Mandas e andarono a bruciare, per ordine del nonno, le stoppie del lontano podere perché tirava il vento del Sud che faceva camminare il fuoco, ma lentamente, per non danneggiare certe piante di Pero che davano frutti giallo-rossi piccoli, ma profumati e gustosi. Il campo era scosceso e pietroso su un canyon nel cui fondo scorreva lento, vetroso, a tratti quasi immobile il Fiume tra sabbia e ghiaia biancastra e cespugli di oleandro rosa. Saturno si ostinava ad ararlo e coltivarlo ad orzo e

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fave con piccoli buoi ossuti dalle lunghe corna. Appena arrivati, i due cugini, tolsero la sella e la riposero a fianco ad una siepe di lentisco che delimitava la parte alta del campo, portarono la cavalla in un podere confinante, le infilarono in una cintura di pelle ruvida nelle zampe anteriori per non allontanarsi, quindi accesero la stoppia; il fuoco, misto a fumo bluastro, iniziò a salire crepitante. I ragazzi si sdraiarono sotto un albero; fantasticavano distratti su ragazze i cui nomi avevano udito gridare nelle notti chiare di Giugno e Luglio da squadre festose, rimbalzati dall’eco dei costoni boscosi che circondavano il Paese; era il “Giogara-Giogara”, il gioco degli accoppiamenti

che si gridava tutti gli anni per le strade nascoste. Il vento si era rafforzato; il fuoco salì velocemente sino alla siepe del confine, avvolse i cardi spinosi attorno alla siepe, avvolse e bruciò la sella lasciando solo le staffe e l’intelaiatura di metallo. Quando i due cugini se ne accorsero restarono come pietrificati; il nonno esigeva la massima cura delle cose della casa; come spiegare e giustificarsi? Con l’animo pieno di cupi pensieri stavano immobili, uno di fronte all’altro quasi per interrogarsi a vicenda sul da farsi mentre la sera Settembirna calava languidamente sullo sfondo dorato e azzurrino dei monti del Gerrei. Quasi meccanicamente, senza


un vero e proprio piano, salirono a cavallo; Gesuino, che montava in groppa, prese ciò che restava della sella e due si avviarono alla volta di Tipoi. Mogi e a testa bassa entrarono nel cortile acciottolato dell’arco di pietra lavorata del portone aperto. Saturno era seduto su una grossa seggiola di fusto d’oleandro come su un trono. “Diavolo, avete fatto tardi”, esordì con voce cupa. “La cavalla si è sciolta ed abbiamo dovuto riprenderla da lontano” rispose Antonio mentre Gesuino, quasi di soppiatto, riponeva la ferraglia della sella a fianco a delle stele di pietra che sostenevano una tettoia piena di ciocchi per ardere; il tutto fece un rumore metallico che Saturno avvertì. “Cosa è questo rumore?”

esclamò sorpreso. “Sono le staffe della sella, il fuoco l’ha bruciata”, rispose Gesuino. Saturno balzò dalla seggiola, si avvicinò al mucchietto di ferri e lo guardò fissamente proteggendosi gli occhi come si ci fosse il sole alto. Un po’ cantilenando, un po’ piagnucolando, riprese: “Come, come?” E intanto si toglieva dalle tasche un fazzoletto a disegnini rossi e bianchi. “Come avete potuto presentarvi senza la sella?” Due cose dovevate fare: o andare a Mandas e comprare una sella nuova, o” e qui fece la mossa col fazzoletto, “mettervi il fazzoletto negli occhi e buttarvi nella piscina più profonda del Fiume!” di Gianni Anedda

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LAIF STAIL

Ajò in palestra

La cura po’ su scraxiu

Lilli e Marietto in veste ginnica per smaltire le abbuffate post pasquali. Tra pantaloni stile Amici di Maria e perizoma che fanno capolino sui fianchi scoperti

di Alessandra Ghiani a.ghiani@cagliaripad.it

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opo una settimana di grandi abbuffate, tra il giorno di Pasqua e il successivo di Pasquetta, Marietto, in boxer e a petto nudo, si guarda sconsolato allo specchio. Nonostante i suoi ripetuti sforzi per cercare di trattenere e appiattire quella rotondità che inizia a diventare un po’ troppo evidente, i risultati non sono soddisfacenti. “Arrori! Pitticcu su scraxiu! Lilli ayò che ci scriviamo in palestra tutti e due, facciamo body bill così per quest’estate torniamo in forma!” “Iiiih Marié, io non sono cosa

di muscoli, se vuoi ti accompagno ma semmai mi metto a fare aerotica che è una cosa più da femmine!” Inizialmente poco convinta Lilli inizia a farsi prendere dall’entusiasmo e, insieme al marito, la sera é in giro per negozi sportivi per acquistare un po’ di abbigliamento adatto. Marietto dice di avere già le scarpe, un paio di Superga del 1989 che, siccome ha usato pochissimo, andranno a meraviglia. Ha però bisogno di una canotta e di un paio di pantaloncini perché, forse, quelli che usava per giocare a calcetto ormai gli vanno stretti.


“Stiamo cercando un paio di pantaloncini da uomo per fare i pesi e un paio da donna per finness!” spiega Lilli alla commessa che, vedendoli spaesati tra gli scaffali degli abiti sportivi, chiede se abbiano per caso bisogno di aiuto. In vena di compere moglie e marito escono dal negozio carichi di buste e prima di rientrare a casa fanno un salto in palestra per farsi dire prezzi e orari delle attività. Concordati i giorni in modo da far coincidere il body building di lui con il fitness di lei, ai due non resta che procurarsi il nulla osta del medico e cominciare. Superga blu, pantaloncini da basket gialli e viola con scritta Lakers su entrambi i lati, maglia Intimissimi nera super attillata, polsini da tennista e asciugamano al collo, Mariettosimil-Rocky si sente pronto ad affrontare la sua prima serata di allenamento. Pantaloni da hip hop rosa confetto -stile Amici di Mariacon perizoma che fa capolino sui fianchi scoperti , micro top nero a tutti i costi di taglia XS su una M abbondante, scarponcini ad hoc per fitness con lacci dorati per un tocco chic e personale, trucco-stucco e unghie abbinate ai pantaloni, anche Lilli-Jane-Fonda regina del fitness è pronta e carica. “ Ora facciamo la scheda così decidiamo dove lavorare. Su cosa vorresti concentrarti? Pettorali? Bicipiti? Adduttori? Un po’ di tonificazione generale?” chiede l’istruttore a Marietto che non essendo mai stato prima in palestra ha bisogno di una scheda e di un programma. “Mmmh, fadeusu che prima di tutto me ne fai scendere su scraxiu! Dopudeghé vediamo

cosa sono questi bicicli e via dicendolo” risponde Marietto, in realtà convinto che l’unica cosa che non vada bene nel suo fisico siano quei pochi rotolini di pancia in più dovuti alle grandi mangiate dei giorni appena trascorsi. Invece Lilli, arrivata a lezione già iniziata, non sapendo cosa fare e non volendo interrompere l’istruttrice per presentarsi, prova ad accodarsi agli esercizi di tutte le altre. Trovandosi però in mezzo a un gruppo già affiatato e allenato non riesce a starci dietro e fatica molto a seguire tutte le coreografie davvero troppo complicate per lei. Come se non bastasse, il solito gruppetto di miss cremine snob tutte griffate non cessa un secondo di ridacchiare e lanciarle sguardi beffardi. Da buona testarda qual è, Lilli, continua imperterrita a saltellare da una parte all’altra, allo sbaraglio, senza un minimo di ritmo ma con un impegno e una dignità ammirevoli. All’ennesima risatina, però, inizia a demoralizzarsi e non fa in tempo a fermarsi per mettersi un attimo da parte che Marietto, salito da qualche minuto ad osservare la sua donna, si avvicina al gruppo, la prende per mano e le accarezza il viso: “Amore mio sei bravissima, dalla prossima lezione inizio anch’io a fare erobical con te” la sua voce è dolcissima e il suo sguardo non è da meno. Di colpo cambia espressione e tono e si gira verso le tre-quattro oche perfide: “Sarete anche graffite (griffate, ndr.) e più impraticate di mia moglie con quel rialzo (lo step), ma seisi leggiasa che canisi e pudesciasa che scrofasa, teneisi gana desi ponni su Sciané (Chanel)!”


COLPI DI PENNA

Q

ualche tempo fa, pensavo, ho avuto un po’ di influenza. Certo, sarei voluta restare a riposo nel mio lettino, almeno per il primo giorno, ma avendo parecchie cose da fare in ufficio mi son presa un antinfiammatorio e via. Una bronchite, che vuoi che sia, sono una donna, non sono un eroe. Chissà perché ma mi viene da pensare che noi donne siamo davvero fatte di un’altra pasta. Infatti, se una donna starnutisce, ha solo preso un raffreddore o, al limite, è un po’ influenzata. Se gli stessi sintomi colpiscono malauguratamente un pover’uomo, invece, si salvi chi può. L’uomo che si ammala infatti subisce una momentanea variazione genetica da uomo di casa a neonato col pannolone, che naturalmente diventa un codice rosso: priorità su tutto e tutti. Il principio. Quando la donna vede l’uomo con gli occhi un pochino lucidi lo sollecita scioccamente a misurarsi la temperatura. Questo è l’errore più grave che si possa fare perché è a questo punto che tutto cambia: lui si accorge di aver superato la preoccupante soglia dei 37° ed è già sui 37 e 2. Non conta nulla che siano le due di un afoso pomeriggio d’estate, non importa che sia appena uscito da una sauna finlandese, non vale a niente che si tratti di un piccolo colpo di freddo. Il punto di non ritorno è già giunto. Caratteristiche. Nemmeno il tempo di girarvi, devastato da un siffatta notizia quale la certezza di un attacco influenzale, egli -il maschione- sarà già letto coperto fino al mento e con i

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Nome: Lexa Professione: Scrittista (tra giornalista e scrittrice) Segni particolari: Sentimental-spaccona di un metro e una penna lexa@cagliaripad.it

Codice rosso

uomo malato

medicinali a portata di mano. Camminerà poco e niente, e se proprio lo farà sembrerà un mulo trainato con la forza. Lascerà nella sua tana evidenti tracce della sua presenza: fazzoletti sporchi, tappi dello sciroppo e altri residui simili. Parlerà raramente, perché la gola avrà iniziato a bruciargli, e quando la gola brucia, se si parla si muore. Frasario. Quelle poche volte in cui l’uomo malato pronuncerà delle parole, sarà per ricordarvi i bisogni primari che sarete voi a dover soddisfare. “Acquaaa!” Lo troverete con la mano tremolante tesa verso il comodino dove già un bicchiere sarà pronto all’uso ma, essendo là da un po’ troppo, dovrete sostituirlo perché un malato terminale non può mai e poi mai bere acqua tiepida. “Coff coff!” La tosse é il richiamo alla donna che da ormai troppo tempo si intrattiene in un’altra stanza a farsi i fatti suoi, evitando così di prestargli le dovute cure. A quel punto lei dovrà raggiungerlo, meglio se attanagliata da pesanti sensi di colpa, poggiargli la mano sulla fronte e chiedergli come si sente. Alimentazione e adeguamento familiare. L’uomo malato ingerisce solo liquidi. Yogurt, brodino, purè,

preferibilmente imboccati e pretende che tutti i familiari mangino le stesse cose. Ma se la donna, per caso, dovesse rifiutare l’adeguamento, é matematico che, quando nella sua stanza arriverà l’odore della braciola di maiale ai ferri cotta per i bambini, egli si sentirà subito abbastanza meglio da farsi portare a letto qualche boccone di carne, così, per riprendere un po’ di forze. Avendo poi egli bisogno di costante assistenza, se la donna lavora, è bene che si prenda qualche giorno di permesso. Guarigione. L’uomo malato guarisce soltanto in due casi. O si accorge di essere ormai ridicolo con quella faccia da moribondo dopo tre o quattro giorni di 36° e qualcosa senza preoccupanti ricadute nel 37 e 2, o, nel bel pieno dell’agonia si ricorda che il giorno seguente sarà serata calcettobirra con gli amici.

“L’uomo perfetto è l’uomo più donna” Carlo Gnocchi




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