CagliariPad 13

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MARZO 2012 NUMERO 13

ROSSELLA URRU LIBERA

TORNEREMO ALLA TERRA Qual è la giusta ricetta per rinascere e ripartire? Alcune ricette, tra chi crede al futuro e chi guarda al passato

sardex, il nuovo baratto

case di paglia

l’intervista: massimo fini

L’ultima frontiera del commercio è una moneta virtuale made in Serramanna per acquisti reali

Parla Giampietro Tronci, l’ingegnere ambientale che costruisce villette da 10mila euro

‘Ora più che mai il dogma produci-consuma-crepa mostra il suo volto annichilente’



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EDITORIALE

INDICE

Indietro tutta di Guido Garau Scusi, qual è il suo cognome? Piras, Meloni o Demelas? Nelle radici dell’araldica potrebbe essere racchiuso il nostro destino, passato e futuro. Nomen omen dicevano i latini. Con l’economia al palo, la mancanza di lavoro, il crollo del potere d’acquisto del denaro, la via d’uscita potrebbe essere una vecchia strada: il caro, vecchio baratto. Comprare un terreno, curare l’orticello. Scambiare i propri prodotti senza denaro: do ut des. In questo scenario si salverà solo chi avrà la capacità di adattarsi e sopravvivere al peggio: e se nel proprio albero genealogico fosse già scritto ciò che siamo – e che saremo - qualcuno potrebbe partire avvantaggiato. In Sardegna Sardex ha un’idea bella e innovativa per uscire dalla crisi. Non è l’unica. Bisogna trovare nuove strade. Sembra uno scherzo, ma il mondo cambia davvero. La profezia dei Maya, in qualche modo, si sta avverando. Sembra impossibile da capire, ma stiamo vivendo una fine del mondo: quella in cui le attività del fare e del fabbricare, peculiari dell’homo faber, stanno diventando inessenziali. Cosa significa? Significa che sta cambiando il modello di produzione o di sviluppo su cui fino a oggi si è regolato il nostro universo-mondo. Ovvero, se fino a oggi abbiamo ridotto ogni cosa al principio del profitto, del guadagno, e ogni forma di pensiero è sfociata nella produzione di oggetti e strumenti da vendere, adesso si torna a una natura come madre (madre natura, appunto), a una solidarietà fatta di attenzioni, di favori fatti e ricevuti, di cortesie. Torneremo alla terra? Chissà. Quel che è certo è che dopo il crollo delle ideologie nessuno più è stato capace di disegnare, di pensare un’utopia, di immaginare un’alternativa al modello capitalistico che regola la nostra economia. Così è nato questo numero di CagliariPad: per andare alla ricerca di pareri autorevoli che indicassero una ricetta per rinascere, per ripartire. Intanto che fare? Io sono ottimista di natura, ma tra il lusco e il brusco ho comprato un terreno. Mi mancano solo le capre. A proposito, chi ne scambia una con un articolo di giornale? g.garau@cagliaripad.it

Pag. 15: Gli usai nel regno dei vip di Alessandra Ghiani

Intervista con Eugenio Benettazzo Tre idee per salvare la Sardegna di Michela Seu pag. 6 “I giovani puntino sulla cultura e sull’industria sostenibile” di Claudia Sarritzu pag. 7 Parco Geominerario Ultimatum dell’Unesco di Maria Grazia Pusceddu pag. 8 L’inchiesta: tra gli ambulanti di Cagliari offrendo un posto di lavoro di Alessandra Ghiani pag. 11 Don Cannavera e le reliquie del Papa “Trovo il gesto ricco di superstizione” di Michela Seu pag. 13


PRIMO PIANO L’ultima frontiera del commercio è il baratto nasce sardex, moneta virtuale per acquisti reali Da poco più di due anni è presente in Sardegna un circuito di credito commerciale rivoluzionario, creato per combattere la crisi e rilanciare la nostra economia. Ecco come funziona.

di Laura Puddu l.puddu@cagliaripad.it

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a poco più di due anni è presente in Sardegna un circuito di credito commerciale rivoluzionario, creato per combattere la crisi e rilanciare la nostra economia. Si tratta di Sardex.net, che permette di effettuare acquisti senza spendere del denaro ma utilizzando, come mezzo di pagamento, la moneta complementare locale, il sardex. Uno di essi equivale a un euro e sulla base di questo valore si eseguono le transazioni. Il sistema funziona in questo modo: per accedervi, è necessaria un’iscrizione. Da quel momento in poi, sarà possibile vendere i propri servizi o prodotti a chi faccia parte del circuito, CAGLIARIpad.it ANNO II • Numero 13 • 28 febbraio 2012 Editore GCS Green Comm Services S.r.l. Direttore responsabile Guido Garau

e da questi ultimi comprare ciò di cui si ha bisogno. Se si effettua un acquisto, nasce un debito di quel valore e, per ripagarlo, ci saranno a disposizione dodici mesi per vendere i propri prodotti, sempre all’interno del circuito stesso. Altrimenti, alla scadenza, il passivo sarà saldato

in euro, a interessi zero. La valutazione della somma da pagare sarà fatta sulla base del fatto che un credito sardex equivale a un euro. Se il debito è di trecento sardex, occorrerà versare la stessa somma in euro. Questi soldi verranno utilizzati per acquistare servizi o prodotti utili alle aziende che in quel momento hanno il conto in attiHanno collaborato: Alessandra Ghiani Lexa Carlo Poddighe Laura Puddu Maria Grazia Pusceddu Claudia Sarritzu Michela Seu

vo. Infatti, se si effettua una vendita, nasce un credito. Attenzione, però. Non esistono banconote sardex, si tratta di una moneta riconosciuta solo dagli associati. I crediti dunque non sono mai convertibili in denaro corrente. Se si accumula un attivo di duemila sardex, non si può pretendere di cambiarli in euro. Ma si po-

tranno fare degli acquisti di ugual valore all’interno del circuito. Non bisogna confondere questo metodo con il baratto: ad esempio, un macellaio non potrebbe ottenere un computer solo scambiando la sua merce. Con Sardex.net potrà comunque comprarlo ed estinguerà il suo debito ceFotografie Guido Garau Alessandra Ghiani Progetto grafico e impaginazione Cesare Giombetti Vignette Bob Marongiu Stampa Grafiche Ghiani • Monastir

dendo entro 12 mesi della carne, non unicamente al venditore del pc, ma a tutti gli iscritti. Possono far parte del circuito solo le aziende che operino in Sardegna, di ogni genere e dimensione. Il costo per l’iscrizione varia da centocinquanta a mille euro, in base alla grandezza dell’impresa. Il vantaggio per tutti è la possibilità di acquistare immediatamente qualcosa (soprattutto nel caso in cui non si disponga di liquidità) e di estinguere il proprio debito in un momento successivo. La convenienza è maggiore per le piccole aziende rispetto alle grandi, infatti sono previste delle regole specifiche per aiutare chi commercia prodotti a un prezzo elevato. Naturalmente solo una parte del mercato può essere investita in sardex, perché il denaro è necessario. Semplicemente, per i propri affari si utilizza una doppia valuta: la prima è l’euro, che oggi è difficile da incassare ma facilissima da spendere. E scappa velocemente dalla nostra isola. La seconda è il sardex, che è molto facile da incassare e altrettanto da spendere. Sede legale Via Giotto, 5 • 09121 • Cagliari Redazione Largo Carlo Felice, 18 09124 Cagliari www.cagliaripad.it redazione@cagliaripad.it Tel. 070.3321559 • 366.4376649 Autorizzazione Tribunale di Cagliari 15/11 del 6 settembre 2011


pag. 5 Ed essendo valida solo in Sardegna, incrementa il mercato locale. Sardex.net è nato dalla genialità di tre giovanissimi ragazzi (hanno attualmente dai ventisette ai trentuno anni): Carlo Mancosu, Giuseppe Littera e Gabriele Littera, nel 2006, decidono di creare un metodo che aiuti le piccole-medie imprese. L’ispirazione arriva dal circuito svizzero Wir, nato nel 1934, immediatamente dopo la grande depressione. Prevedeva che, tra gli iscritti, chi acquistava aveva un debito mentre chi vendeva aveva un credito. Inizialmente i partecipanti erano 16, gli ideatori stessi. Oggi quel sistema raccoglie ben settantacinquemila imprese. Carlo, Giuseppe e Gabriele fondano così, alla fine del 2009, il circuito di Sardex, un progetto di banca di scambio basato sulla finanza etica. Circa un anno fa, al gruppo si è unito

anche Piero Sanna. Tutti e quattro sono di Serramanna, dove si trova la sede. “Cercare imprese all’inizio – racconta Carlo Mancosu – non è stato facile. Ci sono voluti almeno cento appuntamenti per ottenere la prima iscrizione”. Solo dopo un anno però il numero è salito a duecento e oggi sono circa cinquecento le aziende che hanno aderito all’iniziativa, offrendo una vastissima scelta tra prodotti di ogni tipo. Si va dal panettiere al venditore di auto, passando dal dentista e dal consulente del lavoro. Il circuito Sardex cresce di mese in mese e le aspettative di questi quattro ragazzi sono grandi: puntano ad avere quattromila imprese iscritte entro il 2014. Sentiremo ancora parlare di loro. Il futuro è un consapevole passo indietro.

I ragazzi di Sardex nella loro sede di Serramanna


PUNTI DI VISTA

Così parlò il guru eugenio benettazzo morte e rinascita dell’isola in tre mosse Consiglio numero uno: investire di più sui prodotti di nicchia. Consiglio numero due: rilanciare il turismo d’élite. Consiglio numero tre: puntare forte su tutte le energie alternative, soprattutto in Sardegna

di Michela Seu m.seu@cagliaripad.it

La crisi c’è. È nei nostri portafogli vuoti, nei negozi pieni nonostante i saldi, sulle nostre labbra mentre siamo in fila alla posta o in banca. Impossibile riuscire a non pensarci. Ma se anziché lamentarci e basta provassimo a immaginare un rimedio per guarire dal malessere? Un’ipotesi per risollevare le sorti di Cagliari e dell’Isola? Ne abbiamo parlato con uno che di economia e previsioni a lungo termine se ne intende parecchio: Eugenio Benetazzo, “il più autorevole economista fuori dal coro in Italia”, come recita l’home del suo sito web. Classe 1973, veneto, Benetazzo è consulente di investimento, brillante operatore di borsa indipendente, scrittore di best seller di settore ma, soprattutto, il Nostradamus delle sciagure economiche: aveva predetto date e modalità della crisi odierna in tempi assai poco sospetti. Per questo lo abbiamo interrogato: perché guardasse nella palla di vetro e ci rivelasse le strategie da adottare in Sardegna. Ecco le

tre principali. Consiglio numero uno: investire di più sui prodotti di nicchia, specie in campo enogastronomico. I salumi e i formaggi, i vini e i dolci andrebbero tutelati e valorizzati maggiormente all’estero attraverso un mirato progetto di marketing. “La tipicità dei vostri prodotti è una carta vincente, giocatevela”, suggerisce Benetazzo. La “old economy”,

Consiglio numero due: rilanciare il turismo d’élite, l’unico in grado di arricchire l’Isola perché immune alla contrazione economica. In questo preciso periodo di crisi occorre puntare sui ricchi, secondo Benetazzo, gli unici a poter generare il cosiddetto “indotto a cascata”. Privilegiare il turismo a cinque stelle piuttosto che quello di massa significherebbe, secondo il Benetazzo-pensiero, non solo rendere tutto il litorale

Eugenio Benettazzo

caratterizzata dai profitti derivanti dalle miniere prima e dalle industrie poi, sta inesorabilmente cessando: “Se la Sardegna insistesse su questo tipo di economia – prevede l’economista – non andrebbe da nessuna parte”.

come la Costa Smeralda, ma anche attrezzare le strutture ricettive dell’entroterra con optional di lusso. “È il momento di targetizzare l’offerta rivolta ai ricchi, perché quella rivolta ai poveri è satura di concorrenti, come il nord Africa e la Grecia”. Meno bed&breakfast

Il più autorevole economista fuori dal coro nel 2003 predisse l’attuale crisi finanziaria Eugenio Benetazzo è conosciuto alla stampa di settore come il Nouriel Roubini italiano o lo Steve Jobs dei mercati per il suo modo irriverente e dissacratore con cui analizza e racconta lo scenario macroeconomico contemporaneo. È considerato un vero e proprio guru finanziario.

e più alberghi deve diventare la condicio sine qua non di chiunque intenda investire sul turismo. “Che non significa necessariamente costruire da zero – osserva il guru dell’economia - ma anche effettuare recuperi edilizi, conferendo tuttavia sempre un aspetto lussuoso alla struttura”. Consiglio numero tre: puntare sulle energie alternative, ovunque vi sia un po’ di sole e un po’ di vento. Figurarsi in Sardegna. “Io stesso sono amministratore di due parchi solari molto estesi in provincia di Puglia e di Potenza”. Strizzando l’occhio alla letteratura si definisce infatti “Il Signore dei Pannelli”: “Il fotovoltaico in Italia è forse uno dei pochi settori in cui ha ancora senso investire, non è un caso che il nostro Paese garantisca la migliore redditività del mondo”, si legge in un suo articolo. Se venisse posta come priorità - prerogativa attualmente in mano solo agli imprenditori stranieri - il mercato potrebbe ampiamente rivoluzionarsi: secondo una sua stima la realizzazione e la gestione di infrastrutture fotovoltaiche e parchi eolici creerebbe dai seicento agli ottocentomila posti di lavoro. In fila alla posta o in banca potremmo continuare a lamentarci ancora per i portafogli vuoti e i negozi pieni, ma non potremmo più far finta di non sapere. Qualcuno, fuori dal coro, ce l’aveva detto..


PUNTI DI VISTA

per l’isola è arrivato il momento delle scelte “i giovani puntano su ricerca e cultura” A tu per tu con Marco Meloni, classe 1989, presidente del Consiglio degli studenti dell’Università di Cagliari,: “Diamo alle nuove generazioni la possibilità di gestire i centri culturali, siti archeologici, i consorzi, i musei” di Claudia Sarritzu c.sarritzu@cagliaripad.it

“La Sardegna prima di investire deve avere una visione complessiva dei settori sui quali puntare, occorre un progetto strutturato basato su priorità e scelte. Coerentemente con il nostro territorio questo progetto non potrà prescindere da cinque pilastri: ricerca, cultura, sostegno alle giovani imprese, industria sostenibile e internazionalizzazione.” A dirlo è Marco Meloni, classe 1989, presidente del Consiglio degli studenti dell’Università di Cagliari. Rappresenta la prima generazione di giovani senza un futuro certo in Italia e ancor più nell’isola. Gli abbiamo chiesto in concreto cosa potrebbe e dovrebbe fare la Sardegna per far ripartire la propria economia, pur coscienti che la nostra isola è dipendente da scelte nazionali e internazionali. Secondo Meloni occorre investire su progetti di ricerca per mettere nelle condizioni le università dell’isola e gli enti di ricerca di produrre nuove conoscenze e scoperte. Imprescindibile però in quest’ottica mettere a disposizione delle realtà produttive sarde le innovazioni raggiunte e creare un collegamento stabile e duraturo tra chi ricerca e chi produce. In secondo luogo ricorda la tutela della cultura. “Ma non attraverso una celebrazione morta in un mausoleo di quello che fu, bensì facendo rivivere i luoghi del passato, creandone di nuovi, al fine di

far esplodere una cultura attiva e dilagante. Diamo ai giovani la possibilità di gestire i centri culturali, i consorzi di valorizzazione del territorio, i siti archeologici, i musei, le sale conferenze e i piccoli cinema.” In questa ricetta per ripartire non può mancare il sostegno alle giovani imprese, secondo Mar-

do Meloni si devono premiare le buone idee. Indispensabile è anche l’accompagnamento della nuova impresa, dalla sua ideazione, alla sua realizzazione, al suo sviluppo. Ancora industria sostenibile “C’è uno sviluppo possibile e concreto che passa per la conversione delle aziende più inquinanti, bisogna ripartire

dall’internazionalizzazione. Le nostre aziende, dal turismo all’enogastronomia, dall’industria meccanica a quella tessile, dal settore lattiero-caseario alle società di servizi, devono presentare i nostri prodotti e la nostra qualità ai consumatori di tutto il mondo perché possano acquistarli e apprezzarli. In-

Marco Meloni

co Meloni bisogna smetterla con i salti nel buio, dietro il finanziamento e il supporto devono esserci idee concrete, studiate e percorribili. Non si può continuare a finanziare unicamente chi può offrire le garanzie necessarie che oggi le banche pretendono, secon-

CHI È Marco Meloni, classe 1989, presidente del Consiglio degli studenti dell’Università di Cagliari. Rappresenta la prima generazione di giovani senza un futuro certo in Italia e ancor più nell’isola

con le bonifiche e la riqualificazione delle aree maggiormente compromesse, e per la creazione di nuove realtà industriali che puntino sul riciclaggio, le energie rinnovabili e l’efficienza energetica.” Non si può prescindere secondo Marco Meloni

fine non può mancare il coraggio, “dobbiamo smetterla di abbandonare un lavoratore per anni in cassa integrazione, non è sostenibile in primis per la sua dignità. Partendo dalla qualifica di ciascuno investiamo perché possano trovare spazio e realizzazione in nuove realtà rigenerate, vincenti e sostenibili.”


VISIONI

Casa di paglia, un affare da cento euro mq “sono molti gli scettici, ma è super sicura” Parla Giampietro Tronci, il giovane ingegnere ambientale di Iglesias con il pallino per la bioedilizia: “La nostra sfida è quella di costruire una casa economica servendoci di materie prime già presenti in natura” di Michela Seu m.seu@cagliaripad.it Se il porcellino dell’antica fiaba si fosse consultato con Giampietro Tronci, prima di costruire la casetta in paglia, il lupo cattivo non lo avrebbe certo mangiato “in un sol boccone”. Perché lui la casa gliel’avrebbe costruita solida e sicura, a prova di lupi e di altre avversità. Giampietro Tronci, iglesiente di quasi 32 anni, è un ingegnere ambientale col pallino, da sempre, della bioedilizia. Due anni fa ha importato nel sud dell’Isola l’idea del futuro o, se vogliamo, del passato remoto: la casa in paglia. Ha iniziato a progettarla in un terreno di famiglia a Barega, località campestre fra Iglesias e Carbonia; ad aprile 2011 ha edificato la struttura in legno, da maggio a settembre ha frequentato dei corsi in Repubblica Ceca e in Polonia e ora è pronto a ultimarla. Occorrono solo paglia, terra, un po’ di legname ed eventualmente lana di pecora, per un costo complessivo di cento euro a metro quadro o poco più. “La nostra sfida è quella di costruire una casa economica ed ecologica – spiega Tronci – servendoci di materie prime già presenti in natura e a chilometro zero. Come la paglia e l’argilla che, impastate insieme per costruire le mura a sud e

a est, ottimizzano i vantaggi che la casa in paglia possiede”. Qualche esempio? “Le balle di paglia sono un ottimo isolante termico (tre volte superiore ai parametri standard) mentre la terra cruda autoregola l’umidità col risultato che la casa è fresca d’estate e calda d’inverno, e ben protetta dall’umidità”: l’impianto elettrico sarà alimentato, ovviamente, da pannelli fotovoltaici. Non è tutto: “Anche l’ambiente trae beneficio da queste costruzioni, in quanto non bruciando quella paglia, ma anzi utilizzandola, evitiamo l’immissione nell’atmosfera di CO2“. Inoltre gode della proprietà di isolamento acustico ed è resistente alle vibrazioni sismiche. Ed essendo utilizzati prodotti naturali, tutti possono lavorare alla costruzione anche a mani nude, senza alcun rischio per la salute. Tetto e pavimento? “Il pavimento sarà costruito con dell’argilla, materiale che evita la polverosità – illustra Tronci – e del parquet artigianale; per il rivestimento del tetto si può utilizzare la lana di pecora, dalle eccellenti doti di regolazione termica e con un bassissimo costo energetico in quanto derivante unicamente dalla tosatura”. Le forme della casa in paglia possono essere perfettamente squadrate oppure arrotondate: anche dal punto di vista estetico la rivoluziona-

ria abitazione ha il vantaggio di poter assumere la forma che si preferisce, poiché il materiale è completamente modellabile. Unico neo, al momento, è la scarsa diffusione della conoscenza di tecniche di costruzione. Ma l’ingegnere “bio” sta già provvedendo a porre rimedio: il sito 2xeco. wikispaces.com non è infatti il classico portale web ma un open source: “Al concetto di “copy right” ho voluto contrapporre quello di “copy left” – racconta l’ideatore – con una bacheca in cui si discute su tecniche, materiali di rivestimento e argomenti dei prossimi workshop. Attualmente ne sono previsti quattro principali, ma il progetto è un work in progress: cercheremo di soddisfare anche le esigenze di chi, per esempio, chiede supporto per edificare gli interni”. Innovativo e aperto a tutti, Barega (diventato l’acronimo di “Bioarchitettura rete economica gruppo d’azione”) non a caso ha ottenuto un alto gradimento al PechaKucha di Cagliari poche settimane fa ed è giunto terzo al concorso Bam 2012 di Barcellona, per la sua attenzione verso l’ambiente e le tasche dei proprietari. E la capacità di ribaltare anche le fiabe più famose.

Zappa e baratto

New economy, green economy, spread e bond. Questo sembra il futuro, nel bene e nel male. La certezza è tanta confusione. Nel dubbio, l’associazione Terraterra di Settimo San Pietro, da qualche anno, propone via alternative, dall’orto urbano al mercatino dello scambio. L’associazione nasce con l’obiettivo, anzitutto, di offrire alternative a un paese diventato, come tanti, dormitorio. E le attività sono tutte tentativi di risposta a un modo che corre senza conoscere la meta. La più nota è l’orto urbano, ovvero un appezzamento ceduto dal Comune e gestito dagli interessati al progetto in maniera comunitaria e senza scopo di lucro. Risultato: verdura fresca per buona parte dell’anno e socializzazione. L’idea più recente è quella del mercatino dello scambio. Troppo radical chic? Qualcuno può pensarlo. Ma oggi forse queste sono le uniche risposte possibili.


VISIONI

PARCO GEOMINERARIO ULTIMATUM DELL’UNESCO

di Maria Grazia Pusceddu m.pusceddu@cagliaripad.it

Una risorsa importante per il rilancio del Sulcis rischia di scomparire se non diventerà operativa entro il 2013 E Tore Cherchi lancia le sue accuse

Il parco geominerario della Sardegna rischia la chiusura se entro il 2013 non diventerà operativo. È quanto ha deciso l’Unesco lo scorso settembre che, dopo averlo inserito nel 1997 nella rete europea e mondiale dei geoparchi, ora minaccia di escluderlo. Una situazione veramente pesante che ha spinto la consulta delle associazioni del parco a un presidio che dura da quasi cinque mesi davanti a Villa Devoto, sede della giunta regionale sarda. L’obiettivo è quello di rilanciare il parco con l’aiuto di Regione e Governo. “Finora il parco non ha funzionato per tantissime ragioni - ha dichiarato Giampiero Pinna, coordinatore della consulta delle associazioni - ma soprattutto perché era ingestibile dal punto di vista dell’organizzazione del consorzio. Inoltre quando nel 2001 è

stato istituito, tutti quanti si sono buttati su questo parco non per farlo funzionare ma per prendersi le posizioni di potere”. La protesta andrà avanti fino a quando il presidente Cappellacci non farà approvare la riforma in giunta e sottoscriverà l’intesa con il ministro dell’Ambiente. Una volta approvata la riforma, che prevede una riorganizzazione del consorzio, potranno essere realizzati tutti i progetti rimasti finora sulla carta. “La riunione conclusiva – ha dichiarato il Presidente della Provincia di Carbonia Iglesias Salvatore Cherchi è prevista per il prossimo 6 marzo e dovrebbe portare finalmente all’approvazione definitiva della riforma”.

minerarie. Nei primi cinque anni di attività sono stati ideati tutta una serie di progetti finalizzati al recupero e alla valorizzazione di un patrimonio storico-culturale legato all’attività mineraria. Inoltre fin dalla sua istituzione, un altro obiettivo del parco è stato quello di garantire una continuità con le generazioni future, impiegando i giovani nei settori della ricerca, delle attività culturali e turistiche. Purtroppo però tutti questi progetti non sono mai stati realizzati e le risorse messe a disposizione del parco risultano ancora inutilizzate. Questo stallo ha portato a due commissariamenti, nel 2007 e nel 2009, che però non hanno sbloccato la situazione.

Il commissariamento e i progetti mai realizzati. Il parco geominerario occupa l’area più estesa nella zona del Sulcis Inglesiente per varietà e diffusione delle attività

Da qui l’ultimatum dell’Unesco e la conseguente protesta da parte della consulta delle associazioni. “Ho definito il parco – ha aggiunto Salvatore Cherchi - un “si-

mulacro burocratico” perché è un luogo con grosse potenzialità che a causa della gestione complessa non si è evoluto ma anzi è regredito”. Il futuro incerto del parco. Per le associazioni che fanno parte della consulta solo con l’approvazione della riforma si potrà inaugurare una nuova fase nella storia del parco. “Innanzitutto perché il parco funzioni – ha aggiunto infatti Giampiero Pinna – occorre che la società regionale Igea si occupi di fare le bonifiche e non dell’accoglienza come spesso accade. Inoltre ci deve essere una gestione mista tra comuni e parco in cui le associazioni si occupino di gestire tutta la promozione e l’organizzazione museale, come è accaduto, ad esempio, per la miniera di Serbariu a Carbonia e la miniera Rosas a Narcao”. Se a questi problemi si aggiunge la cronica mancanza di un piano di comunicazione internazionale si comprende il perché non solo i turisti ma anche tanti sardi non conoscono il parco geominerario.


L’intervista Massimo Fini

Giornalista e scrittore

“Sistema al collasso il futuro? dei giovani e di voi sardi” “In un futuro prossimo le città saranno abbandonate e recintato un pezzo di terra lo si difenderà con le armi” di Carlo Poddighe c.poddighe@cagliaripad.it

Sono in molti a fare previsioni sugli sviluppi della grave situazione economica e sociale in cui ci troviamo, ma essere una Cassandra non è da tutti. E’ più complicato, molto più complicato. In primo luogo perché a nessuno piace sentire infauste prospettive sul proprio futuro, in secondo perché una Cassandra le previsioni le azzecca. Massimo Fini, giornalista e scrittore, rivendica con orgoglio il fatto di aver previsto dal 1985, anno di uscita del suo libro “La ragione aveva torto?”, i limiti e gli sciagurati esiti a cui ci avrebbe condotto una visione ostinatamente positivista, materialista e progressista del mondo, dell’economia e della vita del singolo uomo. “This is the end” cantavano i Doors. Questa è veramente la fine dei piani elaborati, di un sistema?

Viviamo in un periodo di crisi che dal piano economico si sposta sempre più su quello esistenziale. Di sicuro, saranno chiesti ulteriori sacrifici a tutti i popoli occidentali. Ora più che mai il dogma produciconsuma-crepa mostra il suo volto annichilente. In passato, forse stavamo peggio, ma eravamo più sereni. Bastava avere il minimo necessario: qualcosa da mangiare, una fidanzata, una moglie, dei figli. Essere poveri quando tutti sono poveri non è un problema. Il disagio, la frustrazione si prova quando tutt’intorno c’è opulenza e disparità sociale. Nel più misero villaggio africano sono più felici che nella ricca Scandinavia dove il suicidio è la prima causa di morte fra i giovani.

gliono una crescita che non ci può più essere. La crescita infinita esiste solo in matematica. Il loro modello di sviluppo è paragonabile ad una potente macchina che, arrivata davanti ad un muro, continua a dare di gas finché il motore non fonde. Quali sono queste leadership mondiali e perché tanta ostinazione per un modello di progresso che sembra suicida?

Sono i governi occidentali e quelli dei paesi emergenti. Anche i banchieri sono una parte di questo sistema. Non so se agiscano per cecità o malafede. Molto probabilmente ritengono che le conseguenze ultime e più drammatiche del loro modello di sviluppo non li riguarderanno Questa è la base del suo direttamente, quindi non se Manifesto dell’antimoder- ne curano. Per questo tocca nità, per una decrescita a noi passare all’azione. Bifelice: “riportare al cen- sogna cambiare il modello: tro l’uomo, meglio governarelegando re una decrescieconomia e ta che subire di tecnologia al colpo il collasso. Siete gente ruolo margidi coltello, non nale che loro Quale modello avrete problemi compete”. e quale vita, ala far valere lora? ciò che è vostro Le leadership mondiali voUn ritorno alla

campagna, alla coltivazione della terra, limitandosi all’autoproduzione e all’autoconsumo. Probabilmente, in un futuro prossimo, le città saranno abbandonate e recintato un pezzo di terra lo si difenderà con le armi. Se tutto crolla inizierà una lotta sanguinosa per la sopravvivenza. Favoriti a quel punto saranno i giovani, i più sacrificati dall’attuale sistema. Con la loro energia e forza, e purché recuperino una manualità dimenticata, saranno i più adatti ad affrontare questo futuro. E poi ci siete voi Sardi. Noi sardi? Sì. Se si dovrà tornare alla campagna, un popolo come il vostro che conosce una vita diversa, legata da sempre alla terra, sarà favorito. Essere pastore non sarà più un limite, ma un punto di forza. Vedo con favore anche i movimenti indipendentisti, quello sardo, ma soprattutto quello corso che ragiona già in un’ottica di minor sviluppo, ma che mantiene integre le tradizioni. In più voi sardi siete gente di coltello, non avrete problemi a difendere ciò che è vostro. Gli abitanti di Milano, per dire, sono spacciati in partenza.


La battaglia delle parole

OPINIONI

scrivici: redazione@cagliaripad.it o manda un sms al 342.5995701

L’angolino del filosofo

Il libro da leggere “Il villaggio elettronico”

Irrazionalità nella ragione

Herbert Marcuse* che la granIdellaldefattopopolazione maggioranza accetta ed è spinta ad accettare la società presente non rende questa meno irrazionale e meno riprovevole. La distinzione

tra coscienza autentica e falsa coscienza, tra interesse reale e interesse immediato, conserva ancora un significato. La distinzione deve tuttavia essere verificata. Gli uomini debbono rendersene conto e trovare la via che porta dalla falsa coscienza alla coscienza autentica, dall’interesse immediato al loro interesse reale. Essi possono far questo solamente se avvertono il biso-

Il giornalista e filosofo Michelangelo Pira anticipa di quasi trent’anni il “villaggio informatico” di Internet. Nel suo racconto profetico, scritto nel 1970, immagina una rete di computer che consente all’umanità, attraverso l’elettronica, la fruibilità e lo scambio della cultura universale ma soprattutto il recupero della spontaneità di comunicazione e delle proprie radici culturali.

gno di mutare il loro modo di vita, di negare il positivo, di rifiutarlo. È precisamente questo bisogno che la società costituita si adopera a reprimere, nella misura in cui essa è capace di “distribuire dei beni” su scala sempre piú ampia e di usare la conquista scientifica della natura per la conquista scientifica dell’uomo. * tratto da “L’uomo a una dimensione”

Il guastafeste

L’intervento

Turismo e green economy Anfiteatro, cosa fare?

Sandro Pilleri* Come può essere rimessa in moto l’economia della Sardegna? Il Presidente della Repubblica Napolitano, in visita a Cagliari, l’ha spiegato molto bene: l’Isola, e il Mezzogiorno più in generale, possono ripartire individuando alcuni punti strategici. Il primo, salvare tutti i settori produttivi di ciò che resta del nostro modello industriale. Il secondo, riconvertire tutti quei settori che invece non sono produttivi e dunque non generano sviluppo e ricchezza. Terzo, puntare sulla green economy: la chi-

mica verde è una delle nuove, affascinanti strade che bisogna avere la forza e il coraggio di percorrere. La premessa necessaria a questo discorso è che gran parte del modello industriale su cui si è basato il nostro sistema economico, fino a oggi, si è rivelato fallimentare. La Sardegna deve tornare ad avere il primato dell’allevamento ovino-caprino e rilanciare la sua offerta turistica. Capitolo a parte merita il Sulcis, dove un ruolo importante giocheranno i lavori di bonifica di alcune aree. In questo scenario, la Giunta regionale ha fatto qualche passo, ma è ancora troppo poco. Il 13 marzo sarà sciopero generale e anche noi come Ugl faremo sentire la nostra voce: sarà l’ultima chiamata per chiudere positivamente questa legislatura. * Segretario regionale Ugl

Simone Spiga Cagliari, Sardegna, tanti problemi, tante questioni irrisolte e le soluzioni sono lontane. Noi le affronteremo in una nuova rubrica, una provocazione, un pungo nei denti al potere: il Guastafeste. Cagliari, per noi che ci viviamo, è sinonimo di amore, identità e radici e, guardando dall’alto la splendida Capitale del Mediterraneo, ci colpisce la maestosità dell’Anfiteatro romano di Cagliari. Nel 2000, l’allora sindaco Mariano Delogu decise di rendere fruibile l’Anfiteatro sistemandovi una struttura per ospitare i concerti estivi. Subito scoppiarono le polemiche. Da quel giorno si sono susse-

guiti anni di utilizzo inappropriato, senza regole e con la mancanza totale di controllo sulla struttura. Anni in cui dello spazio ha visto una gestione allegra: niente gare d’appalto, tant’è che la Magistratura ha aperto un’inchiesta di cui vi parleremo in futuro. Lo scorso gennaio, la Giunta Zedda ha deciso di smantellare la cosiddetta” legnaia”. Ma anche questa decisione ha suscitato polemiche. Lo spazio va sicuramente salvaguardato e il principale monumento di epoca romana in Sardegna non può essere lasciato allo sbando. Dobbiamo tutti pensare un nuovo modo di vivere il nostro rapporto con l’arte per tutelare e salvaguardare la nostra identità, senza dimenticare, però, che Cagliari ha diritto ad uno spazio adatto per i grandi eventi musicali e teatrali internazionali.


L’INCHIESTA Extracomunitari: se un pezzo di carta nega il diritto al lavoro e all’esistenza Quanti tra gli ambulanti presenti a Cagliari sono disposti a lasciare accendini e calze per dedicarsi a un faticoso impiego da manovale per 800 euro al mese? Ecco la risposta. di Alessandra Ghiani a.ghiani@cagliaripad.it

ne alla lealtà nelle risposte. Il risultato. Tra gli intervistati 6 si sono detti, senza dare una spiegazione esauriente e senza mostrare un documento, non disposti a cambiare lavoro. Solo uno di loro, che non ci ha permesso

so di soggiorno -lo hanno dichiarato apertamente- non possono essere regolarmente assunti. Testare la voglia di lavorare (volgarmente detto) era l’obiettivo di partenza, il problema del non-lavoro e una

Voler capire qualcosa dalla direttiva comunitaria, in tema di clandestinità e rimpatri, è un’impresa. L’espulsione di un cittadino irregolare infatti dipende di volta in volta dalla valutazione effettuata da ciascun ufficio competente. La conseguenza è che cittadini nella stessa situazione si trovano ad esser allontanati con regole differenti. Qualcuno più fortunato magari riesce ad ottenere il permesso di soggiorno provvisorio (lo prevede la direttiva), altri invece vengono invitati a lasciare il Paese e ad appartenere quindi – poiché non lasceranno mai il Paese di loro iniziativa - a tutta quella schiera di irregolari che si fa finta di non vedere.

Massamba, Cheikh, Khadim, Gueie, Bassirou, Diop, Diaw, Babu. Non è uno scioglilingua, sono nomi, sono persone, sono, anche se ufficialmente non esistono. Dalla nostra redazione nel largo Carlo Felice all’Ospedale Civile ci sono solo una manciata di passi, poche centinaia di metri che però separano due mondi: il centro riconosciuto della nostra città e la realtà nascosta, ma non troppo, degli extracomunitari ambulanti -molti dei quali clandestini- dei parcheggi di via San Giorgio. Una salita, in mente una domanda: quanti tra gli immigrati ambulanti presenti a Cagliari che hanno un lavoro non lavoro - come loro stessi lo definiscono - sarebbero disposti a lasciare buste e borsoni di calze, fazzolettini e accendini, per dedicarsi a un faticoso impiego da manovale per 800 euro al mese? Lo abbiamo chiesto a un gruppo di 20 senegalesi tra i 20 e i 40 anni con lo scopo di sottolineare la disponibilità –o meno- all’impegno vincolante di un lavoro fisso non troppo ben retribuito. Oltre a questo abbiamo chiesto nome, cognome e l’esibizione di un documento di identità per constatare la predisposizio-

francese con persone in città da ormai quattro anni ma che non parlano ancora una parola della nostra lingua e capire dai loro discorsi che dormono anche in dieci all’interno della stessa stanza. Qualcosa, evidentemente, non quadra.

di annotare il suo nome, ha confessato che la nostra proposta non gli sarebbe convenuta perché non gli avrebbe permesso di autogestirsi e soprattutto di muoversi per l’Italia così come aveva in programma di fare. I 14 rimanenti sarebbero pronti a cambiare attività anche subito ma 8 di loro non possedendo un regolare permes-

presa di coscienza della disperazione di molti dei nostri vicini di casa il nostro punto d’approdo. Vedere una scintilla accendersi nei loro occhi davanti alla remota possibilità di un lavoro vero anche se mal retribuito. Sentire l’infinita tristezza di un padre che è lontano dai suoi figli, di un marito separato dalla sua donna. Dover comunicare in

Le domande nascono spontanee: esiste un punto di riferimento per queste persone? Chi se ne occupa? Perché, tra i 20 da noi intervistati, nessuno di loro, nemmeno quelli in possesso del permesso di soggiorno, è a conoscenza del fatto, per esempio, che dovrebbero aver diritto a dei corsi di lingua italiana banditi dal Comune apposta per agevolare la loro integrazione? E soprattutto, perché chi non è in regola e dovrebbe essere rimpatriato continua a restare in città come un dimenticato da Dio?


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STORIE

“Adorare le reliquie di papa wojtyla?

lo trovo diseducativo e a tratti pure macabro” Il clero cagliaritano in trepidazione, quarantatremila fedeli in marcia verso il cuore della città in soli sei giorni: il potere è concentrato in alcune gocce di sangue di Papa Giovanni Paolo II estratte da un prelievo in ospedale, riposte in un’ampolla di vetro di Murano ed esposte, dal 13 al 16 febbraio scorso, nella navata centrale della Cattedrale in Castello. C’è chi a tutto questo ha contrapposto un secco “no”. È don Ettore Cannavera, uomo di grande fede ma soprattutto psicologo e fondatore della comunità La Collina a Serdiana. Che durante i giorni di adorazione della reliquia non ha esitato a dichiarare apertamente la sua avversione in merito alla volontà, del vescovo di Cagliari Monsignor Giuseppe Mani, del parroco della Cattedrale Alberto Pala e di tutto il clero locale, di ospitare in città un’ampolla contenente gocce di sangue dell’amato Carol Wojtyla. “Ho

CHI È

Parla don Ettore Cannavera, fondatore della comunità La Collina di Serdiana

profondo rispetto per la persona che è stata il Papa Beato – precisa don Cannavera – e d’altra parte non è mia intenzione giudicare le persone che hanno partecipato alla venerazione della reliquia (ha preso parte anche mia mamma di ottantaquattro anni, non mi sono certo opposto). La mia posizione è critica unicamente nei confronti di chi ha organizzato l’evento. Ho trovato il gesto diseducativo, superstizioso e a tratti maca-

bro”. In che senso? “Macabro perché si tratta pur sempre del sangue di un uomo che non c’è più; superstizioso perché mi sembra che allontani le persone dai veri problemi, lasciando quasi intendere o comunque sperare che l’ampolla possa risolverli o sollevare dalle proprie responsabilità. E l’ho trovato diseducativo, poi, perché lo reputo piuttosto un tentativo di strumentalizzare la fede, specie fra le persone anziane. Credo sia più opportuno educare non ad avere fede negli oggetti ma, al contrario, negli uomini”. Esattamente come ha scelto di fare lui dal 1995, anno in cui decise di fondare la comunità di Serdiana: un luogo in cui finire di scontare la pena prima di essere completamente reinseriti in società; un luogo in cui se non lavori non puoi restare; un luogo, infine, in cui impari a relazionarti con gli altri ospiti, a condividere il tuo tempo, spesso la tua oc-

cupazione e parte del tuo stipendio. I primi su cui ripose la sua “fede” furono due ragazzi condannati per omicidio: fu allora che venne aperta l’azienda agricola, dove i due cominciarono a lavorare. Da allora di ragazzi in Collina ne sono passati 65 (attualmente ce ne sono nove): “Solo quattro di questi sono tornati in carcere, facendo registrare il 6, 7 percento di recidività nella commissione di reati – spiega don Ettore – contro il 65 percento che si registra nei casi in cui non venga somministrata una pena diversa dal carcere”. “Ecco perché sono fermamente convinto che le esperienze alternative siano le più utili. Ed ecco perché ho trovato poco edificante il gesto di ospitare la reliquia da venerare: credo sia necessario mostrare più attenzione agli uomini che alle cose e avvicinarsi di più ai veri problemi della società”. di Michela Seu

Questo spazio è dedicato alle persone che quotidianamente conducono una battaglia silenziosa. Racconta anche Tu la tua storia. Le migliori verranno pubblicate. Scrivi a: redazione@cagliaripad.it o manda un sms al 342.5995701


CURIOSITÀ

DOMANDE E RISPOSTE che cos’è l’articolo L’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori s’intitola “reintegrazione sul posto di lavoro” e disciplina le conseguenze in caso di licenziamento illegittimo (perché effettuato senza comunicazione dei motivi, perché ingiustificato o perché discriminatorio) nelle aziende con più di 15 dipendenti. Il giudice, qualora accerti l’illegittimità del licenziamento per uno dei motivi indicati nella legge

18? n. 604/1966 (difetto di forma, ingiustificato, discriminatorio), ordina la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro. Al prestatore di lavoro è data la facoltà di chiedere al datore di lavoro in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro un’indennità.

Che cos’è il loden, il cappotto che indossa Monti? Il loden è un tessuto di lana tipico del Tirolo e dell’Alto Adige. La parola loden può essere fatta derivare da lodo, che in un arcaico tedesco si traduceva in “balla di lana”, oppure ancora può essere tradotto in “tessuto grezzo”. Tessuto di aspetto caldo e morbido è molto resistente e duraturo, viene follato (infeltrito) per renderlo impermeabile e molto garzato per ottenere un lato peloso, per queste sue caratteristiche è un panno. Utilizzato per confezionare cappotti, mantelli, gonne

e pantaloni. Grazie alla sua impermeabilità e alla sua traspirabilità il loden è talora chiamato “il gore-tex medievale”.

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Laif Stail AYÒ IN COSTA SMERALDA I FRATELLI USAI NEL REGNO DEI VIP Marietto, ottimo fabbro ferraio, viene ingaggiato da Valeria Marini per la realizzazione di letti in ferro battuto: “Mischina con quelle labbra, ha sbruncato da qualche parte?” di Alessandra Ghiani Ottima giornata di sole in quel di Monserrato. Finalmente dopo giorni di freddo polare Marietto, che è uno dei migliori fabbri ferrai di tutta la Sardegna, può iniziare nel cortile della sua attività quei lavori che da tempo si era riproposto di finire entro la primavera. Arrivato in via Zuddas, dove ha aperto la sua nuova fucina, ha appena iniziato a dare disposizioni ai suoi dipendenti quando gli squilla il telefono. Dopo una decina di minuti di telefonata corre nel suo ufficio, si infila il giubbotto e mentre informa i suoi collaboratori che si assenterà per le prossime 24 ore salta in auto e sparisce.

“Sciabolaaa!!” commenta Peppi jr che non riesce a trattenersi. “Cittirì balosso, cicca de ti trattenni, qui siamo in mezzo a gente di alta località!” lo rimprovera Marietto. Valeria alza un braccio per far cenno ai due di avvicinarsi.

“Ha sbruncato da qualche parte?”. Marietto entra nel panico e con permesso si apparta in un angolino con il fratello: “Ma itta sesi scimpru??? Du bisi che ha le labbra rifatte! Non è gonfia! ”. Intanto Valeria li raggiunge

e Peppi, ovviamente, fà per esternare i suoi pensieri ma Marietto lo fulmina con lo sguardo. “Signor Marietto allora come rimaniamo? Vuole un anticipo?” taglia corto la Marini. “O Vale, ma figurarì! Tranquilla, faccio il lavoro e tu mi paghi procapite, quando ti

“Oh Lilli! Movirindi, stiramì sa camisa che devo partire in Costa Smeralda per un lavoretto nella casa nuova di Valeria Marini!” Così Marietto, ingaggiato per la realizzazione di complementi d’arredo in ferro battuto per la nuova casa di Valeria Marini ad Arzachena, in giacca, cravatta, jeans e camperos si mette al volante della sua Ford del ‘94 e con il fratello Peppi jr, chiamato per fargli compagnia, parte per la Costa Smeralda. Ad accoglierli sul luogo dell’appuntamento la soubrette in persona che fa capolino in fondo a un lungo viale alberato che dà su una piscina. Vestitino aderentissimo, corto, e sandali con tacco 12 a spillo.

“Se volete fare delle foto facciamole subito, poi sotto a lavoro!” propone Valeria abituata ai suoi fan. “No grazie” risponde pronto Marietto “non siamo fotoigienici. Se l’aggrada iniziamo subito così me ne tolgo questo paté d’animo”. La Marini allibita.

e li invita ad entrare in casa. Il suo desiderio è quello di avere dei bellissimi letti a baldacchino tutti in ferro battuto. Marietto fa prendere tutte le misure a Peppi Jr che nel frattempo rassicura Valeria: “Stia tranquilla, mio fratello è un vero luminario del mestiere!”.

Nel frattempo Peppi jr sembra un po’ spiazzato e alla prima occasione si informa:

Lei ad un certo punto si inchina per prendere il gatto che si aggira sornione per la stanza

capita mih” risponde Marietto che vuole fare quello easy che non ha bisogno di soldi. “Ayò Marietto, accabbau eusu? Movirì ch’è serrendi s’Elledì (LD) po’ fai sa spesa. Altrimenti qui al ristorante ci spennano!”


Il corsivo

Il pianeta dei colori

S

ono una donna, eppure certe sfumature non le capisco. Il mondo dei colori per esempio. Ho sempre avuto un rapporto semplice con i colori. La vista del mondo me ne ha sempre reso, da quando sono nata, una tavolozza ristretta. Ecco quindi che per me non esiste celeste, turchese, zaffiro o ceruleo ma solo l’azzurro. Tutto quello che è scuro poi, molto scuro, lo inglobo nel nero, nel blu o nel marrone. Non c’è senape né paglierino o pergamena, ma solo giallo.

M

i rendo conto che, essendo questo il punto di partenza, ho motivo di rimanere disarmata di fronte a quello sconfinato e incomprensibile pianeta delle tonalità di colore. Per una come me, per cui blu e nero sono parenti stretti, l’antracite è un concetto indimostrato. Sentir parlare di verde acqua o blu cobalto poi mi lascia perplessa, da una parte perché l’acqua a casa mia scorre fortunatamente incolore, dall’altra perché non ho una minima idea di come sia il cobalto.

C

i sono poi dei colori che mi hanno segnato. Da piccola, quando come tutti avevo i pa-

stelli a cera e scarabocchiavo sui fogli Fabriano ruvidi, non riuscivo a capire perché esistesse un color terra di Siena bruciata. Immaginavo Siena come un posto avvolto dalla cenere e abitato da povera gente ustionata, la cosa mi inquietava parecchio. Poi ho scoperto che la città godeva di buona salute e che in realtà era circondata da un’ infinita e meravigliosa distesa di terra color marrone.

P

er parecchio ho pensato che queste sfumature fossero peculiari del mondo femminile finché non mi sono trovata a dover acquistare un’auto. Qui ho dovuto leggermente allargare le mie vedute ed ammettere anche l’esistenza di un paio di blu, del beige e dei metallizzati. Ma mai avrei immaginato di trovarmi catapultata in un altro pianeta, quello dei colori delle automobili.

D

i fronte ad un catalogo online di autovetture ogni mia certezza ha vacillato. Esisteva un giallo ottimista e un rosso sfrontato, che immagino fosse ben diverso dal rosso arzillo. E il blu bastian contrario? Il bian-

co poi, unica sicurezza nella mia vita, che per definizione è bianco e basta era diventato bianco gardenia, bianco ghiaccio, bianco banchisa e anche bianco bianco che suppongo dovesse essere il bianco DOC. Ho scoperto l’esistenza del nero provocatore,del mirtillo monello, e il beige spumeggiante. Il grigio poi, che per me era al massimo bianco sporco o nero chiaro, è diventato grigio perbene, grigio sfrenato, grigio indio e grigio Stromboli.

A

d un certo punto ho creduto che quella pagina dei colori fosse uno scherzo e ho preso la via più semplice, mio padre, che mi ha detto di comprare un bianco gardenia che è una specie di bianco un po’ ingiallito che se non altro è utile a nascondere lo sporco quando uno non va a lavare l’auto tutte le settimane.

C

osì per pigrizia, o se vogliamo per la mia natura semplice, ho deciso che la mia spoglia tavolozza iniziale avrebbe continuato a guidarmi nel mondo con i suoi cinque o sei colori, e che avrei fuggito come la peste tutte le complicazioni superflue.

“Una mattina, siccome uno di noi era senza nero, si servì del blu: era nato l’impressionismo.” Pierre-Auguste Renoir


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