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Il lago nel deserto

La crisi ambientale del Lago Chad, nel cuore del Sahel, una fascia di territorio dell’Africa subsahariana, è aggravata dai conflitti e dall’insicurezza alimentare

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Nel cuore del Sahel è in atto una crisi in cui fattori ambientali, economici e socio-religiosi si sommano e si intersecano in un quadro dove il cambiamento climatico agisce come “moltiplicatore di minacce” aggravando le vulnerabilità e i conflitti. Al centro di quella che si sta profilando come una vera tragedia umanitaria è ciò che resta del Lago Chad, che nel suo bacino endoreico, cioè senza sbocco al mare, ospita circa 30 milioni di persone, in gran parte dipendenti dalle acque del lago e dei suoi immissari. Alimentato principalmente dal fiume Chari, proveniente dalle più piovose regioni centrafricane, e soggetto a fortissima evaporazione, il lago è ciò che rimane di un grande bacino che 9000 anni fa, quando il Sahara era verdeggiante, occupava circa 400mila chilometri quadrati. Da allora vi sono state vistose fluttuazioni, ma la più recente fase espansiva è terminata nel 1963, quando le acque ricoprivano 26.000 chilometri quadrati, suddivise fra Nigeria, Niger, Chad e Camerun. Da allora le lunghe siccità – e l’aumento delle temperature, della popolazione, del bestiame al pascolo e dei prelievi idrici – hanno contribuito al rapido prosciugamento dei lago, amplificato dalla sua scarsa profondità; nel 1986 le acque libere, circondate da canneti e acquitrini, erano appena 279 chilometri quadrati, cresciuti negli anni successivi fino ad assestarsi, per ora, attorno ai 1500 chilometri quadrati, con una profondità massima di 11 metri. Il restringimento del lago è andato di pari passo con l’aumento dell’insicurezza alimentare e sociale di una popolazione dipendente in larga maggioranza dalla pesca, l’allevamento e l’agricoltura, attività sofferenti per la siccità degli ultimi anni. La minore disponibilità di pascoli porta a crescenti scontri fra allevatori e agricoltori, costretti a contendersi i sempre più esigui spazi disponibili; le tensioni sono esacerbate dalla violenta presenza di organizzazioni come Boko

Sopra, il Lago Chad nel 2018 (foto Esa-Copernicus Sentinel)

Haram e l’Iswap (Islamic State in West Africa Province), contrarie a ogni forma di modernizzazione e di sviluppo e responsabili di rapimenti di massa e di attacchi a strutture cristiane. L’aumento della disoccupazione e della criminalità acuiscono le tensioni sociali e interreligiose; molti dei più giovani e intraprendenti abbandonano questa terra che appare senza speranza e attraversano fortunosamente il Sahara per raggiungere le rive meridionali del Mediterraneo, sperando di riuscire a costruirsi una vita decente dall’altra parte del mare. Le restrizioni imposte dalla pandemia di Covid-19 e, soprattutto, l’aumento dei prezzi dei generi alimentari rischiano di affossare ulteriormente l’economia di paesi a basso reddito e largamente dipendenti dalle importazioni. La Fao stima che nel Sahel almeno 27 milioni di persone si trovano ad affrontare la peggiore crisi alimentare dell’ultimo ventennio. Si spera che l’aumento degli aiuti internazionali e delle importazioni dirette di generi di prima necessità siano sufficienti a fronteggiare la situazione contingente, ma chiaramente saranno necessari interventi strutturali per garantire l’assistenza sanitaria, l’istruzione e soprattutto la sicurezza alimentare, il che significa aumentare l’acqua disponibile. A tale proposito la Lake Chad Basin Commission ha riproposto il progetto di costruire un canale che dal bacino del Congo convogli le acque fino al Lago Chad, in modo da stabilizzarne il livello e scongiurare ulteriori prosciugamenti. L’idea ha una storia quasi secolare: fu proposta nel 1929 da Herman Sörgel nell’ambito di Atlantropa, utopistico progetto di ingegneria ambientale che non ha avuto séguito e che difficilmente l’avrà in futuro per i costi proibitivi, l’insicurezza di operare sul terreno e le imprevedibili ricadute ambientali. ▲

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