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Un mondo da studiare e preservare Chiara Bettega, Francesco Ceresa

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Bilancio

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Un mondo da studiare e preservare

Le Terre alte sono tra gli ecosistemi terrestri più minacciati dai cambiamenti climatici e gli uccelli costituiscono un indicatore importante per comprenderne le mutazioni

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di Chiara Bettega* e Francesco Ceresa**

Quando pensiamo alle alte quote – un mondo fatto sostanzialmente di rocce, neve ed erba – difficilmente la prima parola che ci viene in mente è biodiversità, ovvero varietà di forme biologiche. La nostra idea di montagna è infatti associata a poche specie facili da incontrare, avvistare o udire, come il camoscio, la marmotta e perfino la più elusiva aquila reale. Tali ambienti apparentemente inospitali sono, invece, serbatoi di una biodiversità unica, proprio perché adattata a condizioni estremamente variabili e dure. Una moltitudine di altri esseri di dimensioni ben più contenute: piccoli uccelli, anfibi, rettili, insetti, fino a un’incredibile varietà di fiori. Neppure ci verrebbe in mente, pensando alle montagne, di accomunarle a isole. Eppure, a ben guardare una carta topografica o un’immagine satellitare, non è così difficile intravedere una somiglianza, in cui le quote più alte sembrano isole che emergono da un mare di pianure e boschi. Penseremmo infine che quei pascoli e quelle crode simbolo di natura incontaminata e protetta dal mondo di sotto, siano invece tra gli ecosistemi terrestri più minacciati dai cambiamenti climatici e di uso del suolo?

GLI UCCELLI, OTTIMI MODELLI BIOLOGICI

Questi fattori fanno dell’ecosistema alpino un ambiente estremamente interessante e importante da studiare e conservare. Si tratta di una vera sfida, perché lavorare nelle condizioni che la montagna impone non è semplice e, per questo, è importante indirizzare gli sforzi nello studio di specie che possano essere dei buoni indicatori dello stato di salute degli ambienti d’alta quota, anche a seguito dei cambiamenti climatici in atto. Gli uccelli rappresentano in tal senso degli ottimi modelli biologici e per questo due realtà museali del Trentino-Alto Adige stanno portando avanti dei progetti di ricerca e

Le alte quote, apparentemente inospitali sono, invece, serbatoi di una biodiversità unica

Sopra, fringuello alpino, Montifringilla nivalis (foto Chiara Bettega) In alto a destra, cassetta nido per la nidificazione del fringuello alpino, installata presso uno dei rifugi all’interno del Parco Naturale Paneveggio - Pale di S. Martino (foto Chiara Bettega). Sopra a destra, spioncello, Anthus spinoletta (foto Horand Maier)

Per avere maggiori informazioni:

l verteblog.muse.it

l natura.museum/it monitoraggio proprio dell’avifauna d’alta quota. L’installazione di cassette nido per il fringuello alpino presso i rifugi del Passo dello Stelvio, delle Pale di San Martino e del Gruppo del Carega, realizzata dal Muse di Trento in collaborazione con il Comitato Scientifico del Cai, il Parco Nazionale dello Stelvio e il Parco Naturale Paneveggio - Pale di San Martino, permette sia di monitorare e studiare più facilmente la popolazione che di fornire potenziali siti di nidificazione in aree idonee all’alimentazione. Nei prossimi anni si cercherà di coinvolgere più rifugi dell’area dolomitica, che potrebbero così diventare dei veri e propri osser-

Nei prossimi anni si cercherà di coinvolgere più rifugi dell’area dolomitica

vatori di biodiversità alpina nei quali anche i frequentatori della montagna possano essere parte attiva. Riprendendo poi l’immagine di zone aperte d’alta quota come una sorta di arcipelago, un aspetto fondamentale per le specie che possono riprodursi solo in questo habitat è la capacità di mantenere un certo scambio di individui tra le varie “isole”. Piccole popolazioni completamente isolate vanno infatti incontro nel lungo termine a gravi problemi genetici, che ne aumentano la probabilità di estinzione. Se un esemplare nato in un certo luogo si sposta a nidificare in un altro si parla di “dispersione”, un comportamento molto importante anche per la ricolonizzazione di zone temporaneamente abbandonate o la colonizzazione di nuove aree, nonché poco conosciuto per le specie di montagna.

GLI STUDI SULLA DISPERSIONE

Il Museo di Scienze Naturali dell’Alto Adige, in collaborazione con Muse, Eurac Research e l’Università di Oulu (Finlandia) e finanziato dalla Provincia Autonoma di Bolzano/Alto Adige-Ripartizione Innovazione, Ricerca, Università e Musei, sta studiando l’effetto della distanza e delle caratteristiche del paesaggio sulla dispersione di due specie altamente rappresentative dell’avifauna d’alta quota, lo spioncello e il fringuello alpino. L’approccio scelto per studiarne i movimenti tra le “isole” di habitat favorevole è particolarmente innovativo e combina genetica di popolazione e analisi di idoneità ambientale. I risultati permetteranno di comprendere meglio le conseguenze di cambiamenti climatici e ambientali sulle popolazioni di questi uccelli, e aiuteranno a definire le priorità e le azioni necessarie a livello di conservazione. ▲

* Sezione di Zoologia dei Vertebrati, Muse Trento ** Museo di Scienze Naturali dell’Alto Adige

Hanno contribuito: Petra Kranebitter (Museo di Scienze Naturali dell’Alto Adige), Paolo Pedrini (Responsabile Sezione di Zoologia dei Vertebrati, Muse Trento) e Chiara Fedrigotti (Sezione di Zoologia dei Vertebrati, Muse Trento)

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