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Editoriale
Prendersi cura, per rendere speciali i nostri giorni
di Vincenzo Torti*
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Carissime Socie e Carissimi Soci, nel mese che ci porterà alla prima Assemblea dei Delegati da remoto della nostra storia, desidero dedicare un momento di attenzione ad una delle attività del Sodalizio che, a mio avviso, assume una valenza particolare e che risulta destinata ad una sempre maggiore affermazione: mi riferisco a Montagnaterapia. La montagna che cura: efficace metafora con cui si individua quella peculiare forma di attenzione all’altro che trova nella montagna il suo riferimento operativo e nella criticità individuale o nel limite funzionale oggettivo da superare la sua ragion d’essere. Ma il cui presupposto indefettibile è il volontariato, quel porsi al servizio e prendersi cura che costituisce il punto di forza di una Società che, qualora dovesse basarsi unicamente su attività remunerate, non basterebbe a se stessa. Da tempo, quasi come un portato naturale, all’interno del Club alpino italiano hanno preso vita, e si sono diffuse oltre l’immaginabile le attività di Montagnaterapia, abbinando conoscenza dei luoghi montani e capacità di accompagnamento a competenze medico-sociologiche, per avvicinare all’ambiente montano, e alla sua ormai accertata valenza d’aiuto o di occasione per sperimentare quanto non si pensava accessibile, persone che si confrontano con problematiche apparentemente inconciliabili con l’andare in montagna. Ecco, allora, che l’appartenenza al nostro Sodalizio acquista un significato ulteriore, che va a rafforzare le finalità storiche di tutela dell’ambiente e conoscenza delle Terre alte, di formazione ed educazione alla loro corretta frequentazione, di soccorso agli infortunati, proprio grazie a questa capacità di declinare la montagna o – meglio – la propria passione per la montagna, in qualcosa che va oltre. “Amo la vita. Tutto il mio tormento consiste nella paura di non poterne godere abbastanza a lungo e appieno. Le giornate mi sembrano troppo brevi. Il sole tramonta troppo presto. Le estati finiscono così in fretta”. Con questa profetica urgenza esistenziale Irene Nemirovsky, vittima del nazismo ad Auschwitz nel 1942, dice di un amore per la vita che appartiene – o dovrebbe appartenere - ad ognuno, a prescindere dalle proprie abilità o dalle difficoltà del momento e i molti tra noi che si occupano di Montagnaterapia si pongono come strumenti volontari di aiuto in questo progetto di benessere diffuso, senza nulla chiedere in cambio: ci sono sguardi riconoscenti che ripagano la generosità sincera ben oltre l’impegno che ha richiesto. In fondo, se è vero – come scriveva Cesare Pavese – che “L’offesa più atroce che si può fare a un uomo è negargli che soffra”, ecco che Montagnaterapia sa cogliere queste sofferenze, contribuisce ad affrontarle, per poterle, poi, trasformare in nuove occasioni di vita e, quindi, di scoperta, di socialità, di obiettivi e di traguardi. E lo fa in modo essenziale, accompagnando in montagna, perché “Camminare è un linguaggio che acquieta l’anima, che dà ordine ai bagliori della mente”, come ricorda James Hillman, filosofo e psicoanalista, per cui “camminando siamo nel mondo, ci troviamo in un dato spazio particolare che il nostro camminarvi dentro trasforma in un luogo”. Un luogo che rende tutti gli operatori di Montagnaterapia protagonisti, umili quanto efficaci, di una quotidiana palingenesi sociale, consapevoli che “la felicità è un percorso, non una destinazione”, come soleva ricordare Madre Teresa di Calcutta. Un ringraziamento va, allora, al Gruppo che se ne occupa compiutamente, coordinato da Ornella Giordana, con la collaborazione di Marco Battain, Dino Favretto, Monica Festuccia, Gian Luca Giovanardi, Beppe Guzzelloni, Antonio Moscato, Gianmarco Tamburini, Ivo Simonini e di ogni singolo operatore e accompagnatore: ognuno di loro ci insegna, con la sua attività, a non avere paura, a provare a guardare l’altro che ha il nostro stesso desiderio di vita, a prendercene cura, rendendo, così, speciali anche i nostri giorni.
* Presidente generale Cai