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Segnali dal clima

Il fuoco sotto la cenere

La combustione delle torbiere tropicali libera enormi quantità di gas-serra e comporta gravi problemi ambientali e sanitari

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a cura di Mario Vianelli

La provincia indonesiana di Riau, nell’isola di Sumatra, manterrà lo stato d’emergenza fino al 31 ottobre nel tentativo di contenere gli incendi che quest’anno sono emersi ancor prima dell’inizio della stagione secca: letteralmente emersi, perché il fuoco compare all’improvviso dal terreno, dando nuovo vigore a incendi apparentemente sopiti da mesi. Questo scenario da incubo è la conseguenza della combustione delle torbiere, fenomeno quasi ignorato dai media ma che ha pesanti ricadute ambientali, sanitarie e sul bilancio globale del carbonio. La torba è un composto organico derivato da resti vegetali che si forma in ambiente acido e privo di ossigeno – tipicamente in terreni acquitrinosi – in contesti ambientali differenti; nei climi freschi deriva dall’accumulo di muschi e sfagni sui suoli impregnati d’acqua, mentre nella fascia equatoriale sono prevalentemente gli alberi a fornire la biomassa su cui essi stessi crescono, dando vita alle “foreste torbiera”. Ecosistemi simili sono particolarmente diffusi nella penisola malese e nelle grandi isole indonesiane, dove occupano estensioni vastissime con spessori di torba fino a 15 metri. Durante la stagione delle piogge le foreste torbiera assorbono enormi quantità d’acqua, che viene lentamente rilasciata nei periodi secchi. Questa caratteristica, utile nel mitigare le inondazioni e per garantire le portate fluviali, si scontra però con le esigenze dell’agricoltura industriale che, dopo avere ricoperto i terreni più favorevoli con piantagioni di palme da olio e per l’industria cartaria, sta rapidamente avanzando a scapito delle foreste torbiera. Canali di drenaggio prosciugano gli strati torbosi che in tal diventano enormi depositi di combustibile pronto a incendiarsi, cosa che puntualmente avviene per la pratica di bruciare sul posto rami e tronchi per liberare il terreno e renderlo più adatto per la coltivazione. Una volta avviata la combustione, la torba si consuma lentamente, senza fiamma e con moltissimo fumo; e continua a bruciare nel sottosuolo, dove è quasi impossibile estinguerla. Il fenomeno è grave per le sue dimensioni e le sue ricadute. Secondo Greenpeace Indonesia negli ultimi 5 anni gli incendi hanno percorso una superficie maggiore di quella della Svizzera. Il 2015, complice la siccità indotta da El Niño, è stato l’anno peggiore: i dati dell’Iucn indicano che nei periodi di massima attività i fuochi delle torbiere hanno riversato nell’atmosfera 16 milioni di tonnellate di carbonio al giorno, più delle intere emissioni degli Stati Uniti nello stesso periodo; in un anno medio si calcola che dalle torbiere derivi il 15% delle emissioni globali di gas serra. Gli incendi hanno ovviamente un disastroso impatto ecologico, colpendo anche aree protette dove si trovano popolazioni di orangutan, di tapiri della Malesia e le ultime tigri di Sumatra. E pregiudicano gravemente la qualità dell’aria con i loro fumi densi e persistenti, ricchi di particolato fine, di anidride solforosa, monossido di carbonio e biossido di azoto. I fumi giallastri provenienti dalla provincia di Riau e dello Stato malese di Johor interessano direttamente Singapore e gli stretti di Malacca (nella foto); la chiusura di scuole e uffici e il rallentamento dell’intenso traffico marittimo sono danni che si sommano a quelli, pesantissimi, sulla salute pubblica. Il caso del Sud-Est asiatico è al momento di gran lunga il più rilevante, ma anche altrove si trovano vastissime torbiere che potenzialmente possono rilasciare il loro enorme carico di carbonio nell’atmosfera. È notizia recente che gli incendi siberiani della scorsa estate non si sono mai completamente sopiti: dove hanno trovato un subtrato favorevole hanno continuato a bruciare lentamente sottoterra e sotto la neve, pronti a riemergere e a riprendere il loro cammino.

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