5 minute read

Protagonisti | I colori della natura

Next Article
Lettere

Lettere

I colori della natura

Monti, nebbie, acque e fiori – ma anche le mutazioni di un territorio prezioso – nei dipinti di Arnaldo Colombatto: un ricordo del “pittore della montagna”, che pochi mesi fa avrebbe compiuto cent’anni

Advertisement

di Ernesto Billò

Nel 2020 avrebbe compiuto 100 anni; ne visse solo 78, ma li spese bene nel lavoro e nell’arte, con umiltà e piacere di esprimersi a tu per tu con lo spettacolo sempre nuovo dei monti e della natura. Arnaldo Colombatto fu una figura indimenticabile del Cai Mondovì, e un degno membro del club nazionale di pittori e scrittori di montagna. Dei monti conosceva ogni aspetto; e anche quando li studiava scientificamente – con la geomorfologia e l’antropologia – faceva vibrare un’emozione poetica, una profonda partecipazione. Con le linee e con i colori comunicava meraviglie e trasalimenti, rendeva atmosfere solenni o raccolte, e intanto fissava documenti di una secolare civiltà montanara con trepidazioni e rimpianti per ciò che si andava perdendo per sempre. Lo attiravano e immalinconivano le baite e le borgate un tempo piene di vita e ora abbandonate, le greggi al pascolo, i fienili arditi come cupole, i tetti “racchiusi” elaborati da una diramata civiltà occitana e sempre più minacciati dalla rovina. Gli aspetti naturali più dimessi – il candore delle stelle alpine e dei narcisi, l’argento dei cardi, il fuoco dei rododendri, il blu delle genzianelle, i boschi d’autunno, i silenzi invernali – lo incantavano non meno degli aspetti più grandiosi. Attingeva in presa diretta sensazioni e stupori salendo e scalando monti e pareti del Monregalese, del Cuneese, del Delfinato, fino alle valli aostane e dolomitiche. Su carta e su tela si cimentava con i ghiacciai e le punte più ardite, con l’approssimarsi delle tormente, con lo spumeggiare delle cascate. Fiocchi di nebbie, possanza di pareti, riflessi di laghetti, effetti d’ombra o di controluce rendevano vivi i suoi acquerelli, a volte sereni e pensosi, a volte inquietanti.

INSTANCABILE RICERCATORE DI EMOZIONI

Era nato nel 1920 a Paesana, in Valle Po da un ingegnere impegnato nella costruzione di centrali elettriche, e l’aveva seguito a Torino, nell’Imperiese, a Cuorgnè, nel 1933 a Mondovì dove studiò al liceo e si radicò. Si laureò a Torino in Lettere con una tesi in geografia fisica, che orientò molti dei suoi interessi in campo scientifico e artistico. Insieme agli studi stava, infatti, coltivando la precoce vocazione per il disegno e la pittura, a cui la passione per l’alpinismo e la speleologia forniva temi e suggestioni. I soggiorni giovanili nelle Dolomiti e poi le sistematiche esplorazioni delle Valli Monregalesi e cuneesi accompagnate da scalate su roccia e da pionieristiche uscite in scialpinismo (insieme all’Accademico Sandro Comino e ad altri tenaci esponenti dell’alpinismo locale) incisero tracce indelebili nel suo spirito d’osservazione, nella sua formidabile memoria visiva.

"Cogne - Oltre Valnontey- Gran Paradiso", acquerello (anni Ottanta)

Chiamato alle armi nel 1942, imprigionato dopo l’8 settembre ’43, anche in quelle difficili condizioni riuscì a esercitarsi con lapis e carta di fortuna in paesaggi richiamati con nostalgia alla memoria. I primi disegni a grafite, a carboncino e in nero di china furono la preparazione dei primi lavori a olio e ad acquarello, ma furono anche spesso autonome elaborazioni di vigoroso effetto. Ma soprattutto la delicata tecnica della pittura ad acqua gli permise di rendere trasparenze, morbidezze, luci e contrasti, di attingere vette di poesia per tutti comprensibili e godibili. Minuscolo di fattezze però energico e instancabile, era sempre in ricerca, con un entusiasmo bilanciato da un severo spirito d’autocritica. Di solito taciturno, si limitava a fischiettare quand’era contento o sopra pensiero; poi d’un tratto prendeva a parlare con voce profonda di accostamenti di colori, di sventagliate di luci, di riflessi e spume d’acque, di cieli mossi, di rocce sorprese dall’alba o arrossate dal tramonto. Erano esperienze ed emozioni che amava attingere in presa diretta scarpinando su e giù per i monti di casa, del Delfinato, fino alla solennità delle valli aostane e alle aspre dolcezze dolomitiche. Non esitava a cimentarsi su carta, tela, ceramica con i ghiacciai e le punte più ardite, con l’approssimarsi della tormenta, col precipitare delle cascate. Gli effetti d’ombra o di controluce, i fiocchi di nebbie, la possanza delle pareti rendevano vivi i suoi dipinti: a volte inquietanti, a volte sereni come uno specchio di lago, come un riverbero di neve o un pendio fiorito; a volte pensosi di fronte a un silenzio di baite e borgate sperdute, alla quiete di greggi e pastori, alla dura fedeltà dei montanari più tenaci. Gli aspetti dimessi della natura – il fuoco dei rododendri, i cardi argentei, il blu intenso delle genzianelle, i boschi d’autunno, i silenzi invernali – lo ispiravano quanto quelli più grandiosi. Lo attiravano le laboriose fienagioni, le greggi al pascolo, le borgate già piene di vita e ora invase dai rovi. E nei “tetti racchiusi” scorgeva documenti di una vasta diramata civiltà occitana minacciati dalla rovina. Molto è cambiato lassù sui monti; e l’accostamento di soggetti simili su cui Colombatto è tornato più volte negli anni può evidenziare mutamenti non tutti ineluttabili accanto ad altri drastici e preoccupanti. Ma se questo è uno dei modi di usufruire dei doni della sua arte rigorosa, l’altro è la pura e semplice contemplazione dell’opera, con quello stesso atteggiamento d’umiltà e di stupore che a lui suggerì centinaia di dipinti, disegni, illustrazioni.

EDITORIA E DIVULGAZIONE

Nel Dopoguerra Colombatto lavorò come tecnico alla Ceramica Besio, dove realizzò ceramiche a gran fuoco, piatti e piastrelle con vividi paesaggi, fiori, nature morte anche con un’innovativa tecnica a graffito. Si spostò poi a Milano per cimentarsi con nuove tecniche ceramiche; ma la pittura restò al centro del suo impegno, accentuando la sua opera di indagine e documentazione direttamente sul terreno. Tracciò precise tavole per la Guida del Marguareis di Sandro Comino nelle due edizioni del 1963 e del 1972, arricchì di illustrazioni ogni numero de L’Alpinista del Cai Monregalese, e fornì dettagliati disegni per Pietre di ieri, edito dall’Arciere di Cuneo nel 1981. Intanto con sensibilità didattica e pedagogica si spese per la Cooperativa Ceramica “Vecchia Mondovì” e per gli alunni della Scuola Media di Breo, a cui dedicò lezioni, esempi e opere preziose, portandoli nei boschi e in montagna a esplorare, scoprire, esprimersi. Fu attivo fino all’estate 1998, quando il male lo sorprese e, dopo tre interventi e quaranta giorni di trepidazioni, lo vinse, il 29 agosto. Aveva giocato bene i suoi 78 anni, nel lavoro e nell’arte, col piacere dell’amicizia e con l’assillo di esprimersi in un continuo perfezionamento al cospetto delle manifestazioni sempre nuove della natura.

This article is from: