Montagna: un luogo per i giovani

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CLUB ALPINO ITALIANO REGIONE LOMBARDIA

Montagna: un luogo per i giovani Diario ed esperienze in montagna dell’Alpinismo Giovanile


Prodotto Editoriale del Club Alpino Italiano Regione Lombardia, Commissione Regionale Lombarda Alpinismo Giovanile TESTI E FOTO: Commissione Regionale Lombarda Alpinismo Giovanile Sezioni del Club Alpino Italiano: Bergamo - sottosezione di Albino Gazzaniga, Besozzo, Calolziocorte, Erba, Gallarate - sottosezione di Casorate Sempione, Giussano, Lecco, Montevecchia, Missaglia, SEM Milano, Valmadrera Luca Barcella, Simona Colombo, Giuseppe Dei Cas, Carlo Plaino, Giuditta Galli, Simone Guidetti, Matteo Panseri, Francesco Viviani ILLUSTRAZIONI: Monica Brenga COORDINAMENTO EDITORIALE: AAG Piera Eumei, AAG Moreno Sironi, ANAG Matteo Spreafico PROGETTO GRAFICO: Naturtecnica STAMPA: BiEmme di Bardelli Massimo SI RINGRAZIANO Tutti i professionisti: Carlo Plaino, Francesco Viviani, Giuditta Galli, Matteo Panseri , Giuseppe Dei Cas, Simona Colombo e Simone Guidetti, Luca Barcella Presidente Commissione Medica Lombarda per il prezioso contributo e la condivisione di esperienze importanti sia a livello umano che come Accompagnatori. Si ringraziano tutti gli Accompagnatori di Alpinismo Giovanile che hanno creduto nella profonda valenza del progetto e hanno contribuito in modo determinante alla sua perfetta riuscita: ANAG Angelo Elli, AAG Daniela Ferrari, ANAG Dolores De Felice, AAG Emilio Quadrelli, AAG Fabrizio Vecchi, AAG Flavia Noris, ANAG Francesco Cominardi, ANAG Giuseppe Cortinovis, AAG Massimo Franchini, ANAG Mauro Gossi, ANAG Pierangelo Tognini, AAG Stefano Rota e tutti i loro Gruppi di Alpinismo Giovanile. Responsabile di Progetto : Renata Viviani, Presidente CAI Lombardia - Coordinatori di Progetto Renato Aggio, Monica Brenga – Segreteria, Giovanni Pozzi - Presidente Commissione Regionale Lombarda Alpinismo Giovanile: Piera Eumei - Consiglio Direttivo Regionale: Enrico Radice, Germana Mottadelli, Rinaldo Marcandalli, Claudio Proserpio, Laura Colombo, Carlo Cetti, Giuseppina Ietto, Franco Capitanio, Anna Gerevini, Roberto Guerci. NOTA BENE: Gli itinerari descritti nel presente volume, pur essendo frutto di diligente e reiterata verifica da parte di frequentatori consapevoli e di provata competenza, si svolgono in ambiente montano e, conseguentemente, sono soggetti a tutte le incognite e trasformazioni proprie della mutevolezza dei luoghi e della incidenza di fattori meteorologici. Per questo motivo la percorrenza di tali itinerari resta affidata all’esclusiva responsabilità di quanti intenderanno affrontarli, ai quali soli competono la diligente verifica dell’attualità delle informazioni qui riportate e la prudente valutazione delle proprie capacità e condizioni psico-fisiche. Le informazioni contenute in questa opera costituiscono quindi delle indicazioni finalizzate a consentire a ciascuno di disporre di una visione d’insieme dell’itinerario affinché ne risulti agevolata la valutazione e la decisione auto-responsabile di percorrere l’itinerario. Le foto provengono dalla raccolta immagini delle esperienze all’interno del progetto, si precisa che non necessariamente le stesse sono relative alle escursioni a fianco pubblicate. © 2015 Club Alpino Italiano Regione Lombardia Tutti i diritti riservati. Riproduzione vietata in qualsiasi forma, intera o parziale in italiano e in qualsiasi altra lingua senza il permesso scritto dell’editore.


Montagna: un luogo per i giovani Diario ed esperienze in montagna dell’Alpinismo Giovanile


Il mio zaino non è solo carico di materiali e di viveri: dentro vi sono la mia educazione, i miei affetti, i miei ricordi, il mio carattere, la mia solitudine. In montagna non porto il meglio di me stesso: porto tutto me stesso, nel bene e nel male. Renato Casarotto

A Nicola Martelli


La Montagna: un luogo per i giovani Le attività e i progetti che si sviluppano nel Club Alpino Italiano hanno, nell’articolo 1 dello Statuto riguardante le finalità dell’associazione, il principale punto di riferimento: “…l’alpinismo in ogni sua manifestazione, la conoscenza e lo studio delle montagne e la difesa del loro ambiente naturale”. Nel corso degli oramai 150 di vita del CAI, si è compiuta una profonda evoluzione culturale nella percezione del mondo della montagna contemplando, all’interno degli scopi, anche l’attenzione alla relazione tra l’Uomo e la Montagna. Questa introduzione mi serve per spiegare la scelta fatta dal CAI Lombardia, di individuare i due segmenti anagraficamente estremi bambini/ragazzi e soci seniores - dei frequentatori della montagna quali beneficiari/soggetti del progetto strategico Interreg V.E.T.T.A. "Valorizzazione delle esperienze e dei prodotti Turistici Transfrontalieri delle medie e Alte quote” che coinvolge partner di tutto l’arco alpino. Il progetto del CAI Lombardia si inserisce in questo ampio contesto e muove dalla convinzione che frequentare la montagna è ben più di un esercizio ginnico - sportivo, di una prestazione fisica e può rappresentare un’importante opportunità ludica, formativa e relazionale, opportunità che possono essere felicemente colte

dalle fasce anagrafiche individuate. Come riuscire ad avvicinarle alla montagna? Come fare per essere propositivi ed attrattivi, direi anche competitivi con le numerosissime e più comodamente fruibili proposte che la società del consumo avanza? Come riuscire a disseminare i valori positivi che la montagna suscita in noi appassionati, soprattutto rivolgendosi alle nuove generazioni? L’aiuto necessario ad affrontare questa sfida ci viene dall’articolato mondo del CAI che, quando si tratta di promuovere la montagna, non si sottrae all’impegno.

Renata Viviani Presidente CAI Lombardia

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Il progetto rivolto ai bambini e agli adolescenti La commissione lombarda di Alpinismo Giovanile ha sviluppato negli anni una qualificata ed approfondita esperienza, che poggia le basi sull’importante progetto educativo che è patrimonio di tutto l’Alpinismo Giovanile (vedi: www.ag-lom.it). Questo patrimonio di esperienza integra la base teorica ad una forte connotazione operativa e, con la regia della commissione regionale di alpinismo giovanile, unitamente alla collaborazione dei gruppi di alpinismo giovanile di alcune sezioni coinvolte ha consentito la realizzazione del progetto. La prima fase è stata dedicata all’ approfondimento necessario per consentire agli adulti coinvolti di comprendere meglio il mondo dei più giovani, i suoi bisogni e la strada per accedervi. La complessità dei temi in campo ha richiesto un approccio serio e non improvvisato. E’ stata pertanto realizzata un’attività formativa con un primo modulo, gestito da uno psicologo, rivolto agli accompagnatori di alpinismo giovanile che nel corso di numerosi incontri con essi ha trattato e ad approfondito, con modalità interattive, le tematiche legate alle dinamiche di gruppo, sia riguardanti gli adulti che i ragazzi, allo sviluppo psicologico degli adolescenti ed al beneficio psicologico generato dal rapporto con l’ambiente

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naturale e dalle attività svolte in montagna. Le attività sul campo infatti, si realizzano e sono mediate attraverso le relazioni umane, imprescindibili e strumento primo attraverso il quale si trasmettono conoscenza e significati. La seconda fase del progetto giovani si è realizzata direttamente in montagna, grazie alla collaborazione di un’ équipe di esperti (psicologo, esperto ambientale, geologo ed architetto) che hanno affrontato la preparazione e la realizzazione delle uscite con un metodo interdisciplinare, integrandolo con gli obiettivi propri dell’alpinismo giovanile del CAI. Gli esperti sono stati impegnati con gli accompagnatori di Alpinismo Giovanile nel proporre un “valore aggiunto” alle uscite ed alle attività istituzionali svolte in montagna, indicando un allargamento di prospettiva che ha consentito ai gruppi di bambini e di ragazzi coinvolti nel progetto di cogliere appieno, oltre all’innegabile e ricercato contenuto ludico, gli elementi a valenza ambientale, antropologica, storica e naturalistica connessi all’ambiente montano. E’ stata dedicata una particolare attenzione alla proposta di uno “sguardo speciale” indirizzato a sé stessi, alla relazione con gli altri e a quella del singolo e del gruppo rivolta all’ambiente. Valorizzare l’esperienza personale


e di gruppo in montagna, con la sua eco emotiva e cognitiva, fatta di esperienze sensoriali ancestrali, quali il grandioso, il verticale, il vuoto, il vasto, l’impervio, il buio e il temporalmente rallentato, può diventare un fattore di attrazione difficilmente riscontrabile nelle proposte della vita quotidiana, dominata dal virtuale, dall’addomesticato e dal vorticoso. Si tratta di sollecitazioni raccolte in questa pubblicazione e nel film “ Un

mondo … TROVATO!” rivolte ai gruppi di Alpinismo Giovanile, alle scuole e alle situazioni aggregative non appartenenti al CAI e che si prefiggono di suscitare interesse per la montagna anche in chi non l’ha mai considerata come opportunità.

Renata Viviani Presidente CAI Lombardia



Passione. Montagna. Giovani. L’Accompagnatore di Alpinismo Giovanile possiede capacità tecnicoalpinistiche tali da garantire la massima sicurezza in montagna anche in situazioni di emergenza, conoscenze generali di base per poter frequentare responsabilmente la montagna nel rispetto dell’ambiente, attitudini organizzative, didattiche e educative tali da consentire un corretto e proficuo rapporto con i giovani. L’esperienza è la base della formazione dell’Accompagnatore che prima è individuale e poi si rafforza all’interno dei Gruppi di AG. Questa esperienza, attraverso la conoscenza e l'approfondimento tecnico-culturale, garantisce sicurezza, varietà delle proposte e offre opportunità volte ad aiutare il giovane nella ricerca della propria autonomia sia come uomo sia come alpinista L'Attività è svolta da volontari, che animati e motivati da grande passione, scelgono di mettersi al servizio dei Giovani e del Club Alpino Italiano, partendo dall'esperienza personale, attraverso percorsi formativi ed aggiornamenti continui. Gli Accompagnatori nell'etica del CAI vivono loro stessi esperienze in Gruppo tra loro e con i giovani nello stile proprio dell'AG, costruito attraverso la frequentazione dell'ambiente, nel rispetto e condivisione come prospettiva d'insieme, nella considerazione e accettazione reciproca con solidarietà, sensibili alla

visione dell'altro con predisposizione ed apertura mentale, nello scambio e confronto come occasione di crescita, attuando ricerca e sperimentazione al fine di stimolare con entusiasmo fantasia e nuove avventure all'insegna della meraviglia per la natura e la scoperta di nuovi mondi interiori e montani. In questo panorama e con questi presupposti, l'occasione offerta dalla cooperazione con i professionisti all'interno del Progetto V.E.T.T.A. è stata accolta con entusiasmo ed ha offerto a Giovani ed Accompagnatori un prezioso valore aggiunto all'operare quotidiano, è stata, inoltre, occasione di nuove amicizie e frequentazioni. L'attiva e proficua collaborazione, con pari dignità e nel rispetto dei reciproci ruoli, ha portato alla raccolta di esperienze tradotte in questo volumetto destinato a tutti coloro che volessero sperimentare l'entusiasmo di una nuova avventura con i giovani in montagna. Buona Montagna!!! Piera Eumei Presidente C.R.L.A.G. 2011/2014 Moreno Sironi Vice Presidente C.R.L.A.G. 2011/2014

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Alimentazione, salute e montagna Un'adeguata alimentazione è fondamentale per la buona riuscita di un'escursione e, più in generale, per una vita salutare, e va quindi curata con attenzione. Innanzitutto prendiamo familiarità con i principi alimentari, che vengono distinti in: carboidrati (rappresentano le riserve energetiche di pronto utilizzo); proteine (hanno una funzione prevalentemente strutturale o enzimatica); grassi (costituiscono le riserve energetiche di lunga durata); vitamine e sali minerali (presenti in piccole quantità nell’organismo ma assolutamente necessari per il corretto funzionamento dello stesso); acqua (è il principale nutriente nonché il principale elemento del corpo umano, costituendone oltre il 60% del suo peso). I carboidrati, le proteine ed i grassi sono anche definiti “alimenti calorici” in quanto sono quelli utilizzati dall’organismo come combustibile per produrre energia. Nella vita quotidiana il fabbisogno calorico giornaliero dovrebbe essere ripartito tra questi tre diversi nutrienti all’incirca nelle seguenti percentuali: carboidrati 55-60%, proteine 10-15%, grassi 20-30% e dovrebbe essere suddiviso in 4-5 pasti, prediligendo la colazione e il pranzo. Per quanto riguarda il tipo di alimenti è importante consumare quotidianamente frutta e verdura (complessivamente almeno 5 porzioni

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al giorno) e limitare l’assunzione di carni rosse, formaggi grassi e uova, preferendo come fonte di proteine il pesce, le carni bianche ed i legumi che dovrebbero essere alternati tra loro nell’arco della settimana. Per quanto riguarda i condimenti sono preferibili l’olio extravergine di oliva, gli aromi e le spezie e va limitato l’uso del sale. L’apporto di vitamine e sali minerali è in genere garantito da un’alimentazione varia e da un adeguato consumo di frutta e verdura. Come anticipato, l’acqua è il nutriente più importante; se ne dovrebbe assumere circa 1 mL per ciascuna chilocaloria (Kcal) di alimenti introdotta, il che corrisponde a circa 2 litri di acqua al giorno in un uomo adulto con un fabbisogno giornaliero di 2000 Kcal. Facciamo molta attenzione al fatto che una significativa carenza di acqua (disidratazione) è già presente prima della comparsa della sete, e che in genere non è ben corretta dall’assunzione di liquidi indotta da questo stimolo; pertanto è importante prevenire la disidratazione e la sete bevendo regolarmente acqua durante tutto l’arco della giornata. Venendo alle nostre camminate in montagna, nei 3-4 giorni precedenti l’escursione è utile incrementare la quota dei carboidrati (fino al 70% delle calorie complessive) in modo da favorire l’accumulo degli stessi, sotto


sotto forma di glicogeno, nel fegato e nei muscoli. I carboidrati rappresentano infatti un’importante fonte energetica durante l’attività fisica ma vengono consumati rapidamente; è quindi bene cercare di espandere il più possibile la riserva di questi nutrienti. A tal fine è fondamentale anche un regolare allenamento. Sempre nei giorni precedenti l’escursione è inoltre importante aumentare anche l’assunzione di acqua in modo da favorire una buona idratazione dell’organismo. La mattina, prima dell’escursione, bisogna idratarsi bene e fare una buona colazione, principalmente con carboidrati a basso indice glicemico (per es. pane e cereali integrali, marmellata senza zucchero, frutta fresca) che vengono assorbiti gradualmente fornendo una buona fonte iniziale di energia. Sono invece da evitare prodotti preconfezionati o di pasticceria che contengano zuccheri aggiunti e/o grassi (brioche, dolciumi, cornetto del bar, marmellate, succhi di frutta o bibite zuccherate). I primi infatti sono ad alto indice glicemico, vengono assorbiti rapidamente, e provocano un brusco aumento della glicemia che è sfavorevole per la prestazione fisica e, più in generale, per il metabolismo. I grassi invece rallentano lo svuotamento dello stomaco e quindi la digestione e l’assimilazione dei nutrienti. È invece consigliabile l’assunzione di una piccola quantità di proteine (per es. 2-3 mandorle o una noce) in quanto contribuisce a migliorare la risposta

metabolica ai carboidrati (questo consiglio è valido per ogni pasto). Durante l’escursione dobbiamo assumere ad intervalli regolari piccole quantità di carboidrati e acqua, in quanto sono questi i due nutrienti che vengono principalmente e più velocemente consumati dal nostro organismo durante l’attività fisica. Inoltre se le riserve di carboidrati e acqua si esauriscono compaiono stanchezza e crampi muscolari. Considerando che il cibo ed i liquidi necessari vanno portati con lo zaino dobbiamo anche considerare l’ingombro ed il peso degli stessi. Meglio quindi favorire frutta secca, barrette energetiche e qualche biscotto secco, poco ingombranti, leggeri e facilmente digeribili, ai classici panini imbottiti che sono più ingombranti ed in genere meno digeribili, soprattutto se conditi con salsine varie. È comunque utile portare un pezzo di pane che, riempendo maggiormente lo stomaco rispetto alle sole barrette, aiuta a risolvere il tipico senso della fame di mezzogiorno, così come della frutta fresca o della verdura che costituiscono anche una fonte di vitamine, sali minerali e acqua. Per quanto riguarda i liquidi, va preferita la normalissima acqua, subito seguita dalle bevande iso- o ipotoniche (cioè con una concentrazione di sali e carboidrati uguale o inferiore a quella del sangue). Il the è meno preferibile in quando può avere un’azione diuretica (favorisce cioè l’eliminazione dell’acqua con le urine)

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anche se in giornate particolarmente fredde una buona tazza di the caldo è senza dubbio sempre apprezzata! Per la loro ipertonicità e per il contenuto di carboidrati ad alto indice glicemico sono invece assolutamente sconsigliate le bibite zuccherate! Mentre camminiamo bisogna bere frequentemente (circa 150-250 mL ogni 10-20 minuti) con l’obiettivo di assumere, complessivamente, 6001000 mL di liquidi in un’ora. Il principale limite nel rispettare questo suggerimento consiste nel peso e nell’ingombro delle bevande e nella necessità di continuare a fermarsi per bere. Ecco perché è importante idratarsi bene nei giorni precedenti, immediatamente prima ed al termine dell’escursione, e conoscere bene le caratteristiche del percorso, la possibilità di rifornirsi di acqua, le condizioni climatiche (umidità e temperatura) ed avere un abbigliamento adeguato. Una possibile soluzione per evitare continue soste consiste invece

nell’utilizzare le cosiddette “camelbag”, che sono sacche da posizionare nello zaino che possono contenere da 1 a 5 litri di acqua, e che sono fornite di un tubo che può essere comodamente fissato allo spallaccio dello zaino. Infine, conclusa la camminata, dovremo curare il reintegro della rimanente quota di liquidi persa, dei sali minerali, delle proteine consumate e ripristinare le riserve di glicogeno. Per questo ultimo fine è utile sapere che la capacità di sintesi di glicogeno da parte del muscolo è massima nelle prime 2-3 ore dopo la fine dell’attività. Buone sane passeggiate in montagna a tutti!

Dott. Luca Barcella Presidente Commissione Medica CAI Lombardia Specialista in Patologia Clinica, AO Papa Giovanni XXIII di Bergamo

Bibliografia Marina Riosa, Alimentazione in Montagna, in Medicina e Montagna vol. 2, I Manuali del Club Alpino Italiano N. 18

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L’abbigliamento e la preparazione dello zaino L'abbigliamento, la preparazione dello zaino, l'alimentazione insieme alla raccolta di informazioni preventive e consultazione delle previsioni meteo costituiscono argomenti fondamentali per una frequentazione in sicurezza dell'ambiente montano. Preparandoci per "andare in ambiente" dobbiamo tenere sempre ben presente la meta della nostra escursione, i tempi di cammino, la quota da raggiungere, il dislivello con relativa difficoltà, il tipo di terreno e ambiente, il periodo dell'anno in cui siamo; occorre quindi raccogliere tutte le informazioni preventive su libri, guide, internet, attraverso strutture presenti sul territorio chiedendo informazioni e/o collaborazioni, nonché munirsi di carta topografica sulla quale individuare, a casa, il percorso; occorre inoltre seguire con attenzione le previsioni meteo per almeno una settimana prima l'escursione, curando anche l'evoluzione prevista per i giorni successivi, questo darà modo di comprendere se in arrivo una perturbazione e di quale intensità. L'analisi di tutti questi elementi combinati tra loro risponderanno a una consapevole scelta del percorso in funzione ai partecipanti, numero, età, preparazione... Accompagnando minori è altrettanto buona norma recarsi a visionare il percorso prima di affrontare la gita. Abbigliamento consigliato: in com-

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mercio esistono "capi tecnici", atti a favorire la traspirazione ed idrorepellenti, in mancanza è opportuno utilizzare fibre naturali. Il vestiario deve essere comodo e a "cipolla" in modo da potersi alleggerire o coprire in base alle necessità, quindi partiamo da maglietta a mezze maniche, camicia, pile leggero (o pesante in funzione della stagione) o maglione, pantaloni lunghi per camminare (proteggono da eventuali graffiature e punture d'insetti). Attenzione alle calze: devono essere di idoneo spessore e ben aderenti al piede per scongiurare la formazione di vesciche. Fondamentali gli scarponcini alti da trekking che proteggono piede e caviglia, la suola "tipo vibram" garantisce tenuta su terreno sconnesso e irregolare. Nello zaino non deve mai mancare, a prescindere dalla stagione (sappiamo che il tempo in montagna cambia rapidamente), berretto per il sole o bandana, occhiali da sole, crema solare, maglietta e calze di ricambio, giacca a vento, mantella, cappellino e guanti di lana (anche a ferragosto!), pila frontale o torcia con batterie cariche, fazzoletti di carta, un sacchetto per portare a valle i rifiuti, stringhe di ricambio, acqua (consigliabile in borraccia onde evitare rotture nella bottiglia di plastica) e cibo, consigliato riporlo in contenitore ermetico per isolarlo dal resto, cerotti,


copri zaino per la pioggia. Cambio completo di abbigliamento e scarpe da lasciare in auto per il viaggio di ritorno. Escursione di due giorni con pernottamento in rifugio: abbigliamento e zaino come per un giorno con aggiunta di un 1 pantalone e 1 pile di ricambio, 1 cambio intimo, pigiama o tuta per dormire, necessario per lavarsi (ottimi i campioncini, poco ingombranti e leggeri), sacco lenzuolo (i rifugi forniscono normalmente solo le coperte), piccolo asciugamano (ottimi quelli in microfibra). Settimana stanziale: abbigliamento e zaino come per un giorno più borsa con ricambi che vengono trasportati con jeep o teleferica al rifugio (moderare le quantità). Trekking: Durante i trekking "da rifugio a rifugio" lo zaino sarà la nostra casa, occorre però non farsi prendere la mano e scegliere solo ciò che è necessario e indispensabile. All'abbigliamento e zaino consigliato per 2 giorni aggiungere: 2 magliette, 2 cambi intimi, 2 paia di calze, pantalone corto per stare in rifugio. Non superare gli 8 kg completi di tutto, cibo e acqua.

Nelle camerate dei rifugi sono obbligatorie le ciabatte, solitamente sono messe a disposizione dai rifugi stessi. Bastoncini da trekking, macchina fotografica e binocolo a discrezione dei partecipanti. E' buona e fondamentale abitudine che lo zaino venga preparato dai ragazzi con la sola supervisione dei genitori, il partecipante all'escursione deve sapere cosa ha nello zaino e in quale posizione. Consiglio: per proteggere il contenuto da possibile umidità (nelle soste lo si appoggia serenamente su terreno), introdurre nello zaino un sacchetto, tipo raccolta plastica, a formare una fodera interna, dopodiché riporre in modo ordinato e separando gli indumenti (es biancheria da cambio pantaloni) in sacchetti in modo da mantenere tutto pulito, ordinato e di facile accesso.

Piera Eumei Presidente C.R.L.A.G. 2011/2014 Moreno Sironi Vice Presidente C.R.L.A.G. 2011/2014

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Come leggere le schede Le relazioni che trovate in questa pubblicazione sono il risultato di esperienze raccolte, condivise ed elaborate da Accompagnatori di Alpinismo Giovanile e Professionisti del Progetto V.E.T.T.A. i quali hanno trasferito percorsi ed attività sperimentate direttamente sul campo, sottoforma di schede. Tenendo presente che gli Accompagnatori svolgono la loro opera all’interno del Club Alpino Italiano come volontari e basano le proprie scelte sul Progetto Educativo, sono state messe a disposizione tutte le conoscenze e le esperienze consolidate da anni di volontariato; la buona attenzione con la quale sono state redatte le relazioni non è mai sufficiente per avventurarsi con minori su un terreno sconosciuto, si ricorda che è sempre buona norma verificare in loco le condizioni del sentiero e valutare bene i tempi e le difficoltà da affrontare in relazione ai giovani che si intende accompagnare. Nella prima parte della scheda vi sono i riferimenti della meta, arrivo e partenza, data in cui è stata svolta e professionista interessato, caratteristiche tecniche, quali dislivelli, tempi di percorrenza, durata dell'escursione, difficoltà, mezzi e periodo consigliato, a seguire descrizione del percorso e approfondimenti/attività svolte. Si conclude con percorso e profilo

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altimetrico. Come stabilire il grado di difficoltà Stabilire il grado di difficoltà di un percorso secondo criteri oggettivi è impossibile. Ogni persona percepisce le difficoltà sulla base delle proprie esperienze, dei propri limiti, delle sensazioni e delle reazioni psicologiche. Il Club Alpino Italiano ha adottato, a livello nazionale, una scala per distinguere le difficoltà escursionistiche degli itinerari, che esprime una valutazione sul grado di difficoltà. Questa scala tiene conto di tre parametri oggettivi fondamentali: il dislivello, la distanza planimetrica, la segnaletica del percorso. T = Turistico Itinerari che si sviluppano su stradine, mulattiere o comodi sentieri. Sono percorsi abbastanza brevi, ben evidenti e segnalati che non presentano particolari problemi di orientamento. I dislivelli sono usualmente inferiori ai 500m. Sono escursioni che non richiedono particolare esperienza o preparazione fisica. E = Escursionistico Itinerari che si volgono quasi sempre su sentieri, oppure su tracce di passaggio in terreno vario (pascoli, detriti, pietraie), di solito con segnalazioni. Richiedono un certo senso di orientamento, come pure una certa esperienza e conoscenza del


territorio montagnoso, allenamento alla camminata, oltre a calzature ed equipaggiamento adeguati Normalmente il dislivello è compreso tra i 500 e i 1000m EE = Escursionisti Esperti Itinerari non sempre segnalati e che richiedono una buona capacità di muoversi sui vari terreni di montagna. Possono essere sentieri o anche labili tracce che si snodano su terreno impervio o scosceso, con pendii ripidi

e scivolosi, ghiaioni e brevi nevai superabili senza l'uso di attrezzatura alpinistica. Necessitano di una buona esperienza di montagna, fermezza di piede e una buona preparazione fisica. Occorre inoltre avere un equipaggiamento ed attrezzatura adeguati, oltre ad un buon senso d’orientamento. Normalmente il dislivello è superiore ai 1000m.


Indice uscite sezionali

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IN MONTAGNA CON I GEOLOGI

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01 - MONTE RESEGONE - RIFUGIO MONZESI

Francesco Viviani, Giuditta Galli, Marco Panseri

Francesco Viviani - CAI Erba

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02 - RISERVA NATURALE E SENTIERO GEOLOGICO SASSO MALASCARPA

19

03 - SURLEJ - VAL ROSEG - PONTRESINA - CANTONE GRIGIONI

Francesco Viviani - CAI Calolziocorte

Francesco Viviani - CAI Erba

29

04 - GIRO DEI SETTELAGHI - VAL RIDANNA

35

05 - SANTA CATERINA VALFURVA - GHIACCIAIO DEI FORNI

41

Giuditta Galli, Marco Panseri - CAI Bergamo-Sottozione Albino Cazzanica

Giuditta Galli, Marco Panseri - CAI Erba

06 - VAL ZEBRU’ Giuditta Galli, Marco Panseri - CAI Erba

45

07 - VALGANNA

50

IN MONTAGNA CON I NATURALISTI

51

08 - ALPE VEGLIA

Giuditta Galli, Marco Panseri - CAI Besozzo

Simona Colombo, Simone Guidetti

Simona Colombo, Simone Guidetti - CAI Giussano


55 59

09 - LIVIGNO - P. CASSANA - ENGADINA

Simona Colombo, Simone Guidetti - CAI Bergamo-Sottozione Albino Cazzanica

10 - MONTE BARRO

Simona Colombo, Simone Guidetti - CAI Valmadrera

63

11 - MONTE MOTTARONE

67

12 - OLGIATE MOLGORA

Simona Colombo, Simone Guidetti - CAI Erba

Simona Colombo, Simone Guidetti - CAI SEM Milano

71

13 - RIFUGIO MENAGGIO

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IN MONTAGNA CON L’ARCHITETTO

77

Simona Colombo, Simone Guidetti - CAI Erba

Giuseppe Dei Cas

14 - VALVARRONE - PREMANA

Giuseppe Dei Cas - CAI Montevecchia

81

15 - GERA LARIO - TEMPIETTO DI SAN FEDELINO

85

16 - PARCO MONTEVECCHIA CURONE

89

Giuseppe Dei Cas - CAI Lecco

Giuseppe Dei Cas - CAI Montevecchia

17 - VAL PERLANA - ABBAZIA DI SAN BENEDETTO Giuseppe Dei Cas - CAI Calolziocorte



Indice attività regionali

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IL RADUNO REGIONALE LOMBARDO DI ALPINISMO GIOVANILE

97

18 - MONTE BARRO

107

19 - CAMPO FRANSCIA

119

SETTIMANA ESTIVA LOMBARDA DI ALPINISMO GIOVANILE

121

20 - ALPE VEGLIA

137

21 - VAL BIANDINO

149

TREKKING REGIONALE LOMBARDO DI ALPINISMO GIOVANILE

151

22 - GIRO DEL BERNINA


Non ci ferma NESSUNO!


IN MONTAGNA CON I GEOLOGI


MONTE RESEGONE


MONTE RESEGONE - CAPANNA ALPINISTI MONZESI AUTORE: Francesco Viviani DATA: 25 settembre 2011 ESCURSIONE: Monte Resegone - Capanna Alpinisti Monzesi - Lecco SEZIONE ORGANIZZATRICE: CAI Erba PARTENZA: Parcheggio funivia dei Piani d’Erna - Località Versasio (m 527) ARRIVO: Capanna Alpinisti Monzesi (m 1.173)

Caratteristiche tecniche DISLIVELLO IN SALITA: 757m DISLIVELLO IN DISCESA: 757m TEMPO TOTALE: 5h

DIFFICOLTA’: E TRASPORTI PUBBLICI: treno e autobus PERIODO CONSIGLIATO: primavera, autunno

Descrizione percorso Nel parcheggio ci avviamo verso destra in direzione di un evidente cartellone giallo che segnala i percorsi: Campo di Boi - Monte Magnodeno - Ferrata Pizzo d'Erna - Rifugio Stoppani - Piani d'Erna Monte Resegone. Dopo aver disceso alcuni gradini entriamo nel bosco e ci incamminiamo in lieve discesa tenendoci sempre sul percorso peraltro ben segnalato con dei cartelli gialli. Raggiungiamo poi una stradina asfaltata. Un cartello indica a sinistra il sentiero n. 18 per il Passo del Cammello raggiungibile in ore 2.30. Andiamo invece a destra e, superato il sentiero che porta alla Falesia d'Erna, l'asfalto termina davanti al cancello di una azienda agricola a fianco della quale riparte la mulattiera. Contornando la recinzione della tenuta, riprendiamo a salire nel bosco con poca pendenza. Ignoriamo successivamente alcuni sentieri: il primo che segue la recinzione, un altro sul lato opposto, un terzo che

conduce alla via ferrata del Pizzo d’Erna e un quarto che si inerpica sulla montagna. Ad un bivio, contrassegnato da una targa SEL, andiamo a destra. Dopo pochi metri in piano riprendiamo a salire più ripidamente. Poi usciamo dal bosco e quasi in piano passiamo tra un'icona raffigurante una madonna con bambino e un vecchio albero. Raggiungiamo un bivio; i segnavia indicano a sinistra Costa-Stoppani-Azzoni e diritto campo de Boi. Attraversate le vecchie baite della frazione Costa (m. 800), raggiungiamo la cappellina votiva dedicata ai caduti del Resegone. Torniamo poi a salire, al fresco del castagneto, e arriviamo ad un bivio dove una freccia bianca indica di procedere verso destra. Al bivio successivo è invece una freccia gialla ad indicare il sentiero a sinistra. Poco dopo raggiungiamo il Rifugio Stoppani.

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La mulattiera prosegue dietro al rifugio. Un cartello su un albero indica il Rifugio Marchett a 50 minuti. Ignoriamo un sentierino che sulla sinistra ridiscende allo Stoppani e proseguiamo tra i faggi fiancheggiando una staccionata con due funi protettive. accanto alla fresca fonte del Kopp (m. 950), poi, in piano, superiamo una vecchia casa oltre la quale troviamo un bivio. Un segnavia indica a sinistra i Piani d'Erna-La Sponda; diritto i Piani d'Erna e il Resegone. Prendiamo quest’ultima via. Dopo aver superato un'altra baita, con pochi passi in salita raggiungiamo il torrente Bione; lo superiamo e troviamo un bivio dove abbandoniamo il sentiero n. 1 che sale a sinistra verso il Resegone e proseguiamo con il n. 6. Poco dopo raggiungiamo un trivio: a sinistra un sentiero segnalato come n. 1/7 sale a Erna, a destra scende il sentiero n. 4°, mentre noi proseguiamo diritto con il nr 6 (cartello Passo del Fo’ – Monza). Camminando in leggera salita superiamo un ruscelletto che scende dalla montagna e attraversa il cammino, poi percorriamo un tratto in piano nel quale trascuriamo un sentiero che scende sulla destra. Dopo aver superato un altro ruscelletto iniziamo a salire prima a zigzag poi puntando verso una selletta. Troviamo un altro bivio; un cartello indica a sinistra il sentiero n. 7 che conduce a Erna in ore 0.45 o al Pian del Fieno in ore 0,15. Continuiamo invece a destra verso il Passo del Fo’ raggiungibile in ore 0,25.

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Finalmente arriviamo alla bocchetta (m. 1202), ora il percorso è meno ripido e cominciamo a vedere il tetto della cappellina situata vicino alla Capanna sociale Ghislandi. Riprendiamo a salire abbastanza rapidamente e dopo aver ignorato un sentiero che scende a sinistra, arriviamo al Passo del Fò e al Rifugio Ghislandi (m. 1284) del Cai di Calolziocorte, punto più elevato della nostra escursione. Il Rifugio Monzesi è un centinaio di metri sotto di noi, una ripida discesa con il sentiero nr 24 e lo raggiungiamo. L’escursione è adatta per ragazzi di qualsiasi età; il sentiero non è per nulla difficile e sale con pendenza costante fino alla Capanna Alpinisti Monzesi, meta dell’escursione. Al ritrovo presso il piazzale della funivia si presentano brevemente il programma e le attività della giornata, dopodiché ci si incammina lungo un sentiero che permette di salire di quota lasciando sulla sinistra la funivia dei Piani d’Erna. Al primo bivio che si incontra in mezzo al bosco è possibile fermarsi e confrontarsi circa la zona geografica in cui ci si trova, dedicando particolare attenzione all’orientamento, molto importante nelle passeggiate in montagna. Questa conversazione permette, attraverso altre domande specifiche di collocare idealmente i punti cardinali, le valli (Valsassina, Valtellina e valle Imagna) che circondano il lago e le montagne che è possibile vedere in lontananza (Grignone, Grignetta, Coltignone, Monte Barro e Moregallo).


Approfondimenti La curiosità dei ragazzi in materia di formazione delle montagne, fornisce l’occasione per raccontare schematicamente la storia e l’evoluzione nel tempo del pianeta Terra attraverso una serie di tappe successive, temporalmente ben identificate. 1) 4,5 miliardi di anni fa Formazione della Terra con aspetto simile ad una palla con particelle di ferro e silicato che s’ingrandisce e unisce a polveri, ghiaccio e gas ad una temperatura elevata; raggiunte le dimensioni attuali inizia il processo inverso di contrazione del nostro pianeta con la nascita del nucleo, della crosta e del mantello. In quest’epoca non esiste una vera e propria atmosfera ma un miscuglio di gas (metano, idrogeno, anidride carbonica e vapor acqueo). 2) 4,125 - 3,750 miliardi di anni fa Evoluzione dell’atmosfera con gas provenienti dai vulcani che condensandosi formano la pioggia; da qui la nascita di fiumi e laghi che portano negli oceani acqua insieme a molti sedimenti. In questa fase si ha la nascita delle prime forme primitive di vita grazie all’unione di scariche elettriche, metano, raggi ultravioletti, ammoniaca, idrogeno e acqua .3) 3,750 - 3,375 miliardi di anni fa Nascita dei primi organismi viventi sottoforma di minuscole molecole, cellule, batteri e alghe che attraverso la fotosintesi clorofilliana danno vita a un’atmosfera con ossigeno. Separazione definitiva del nucleo dal mantello, sopra

il quale si ha il movimento della crosta terrestre caratterizzata dalla divisione dei continenti e dalla loro deriva. 4) 3,375 - 3 miliardi di anni fa Le alghe continuano nella produzione di ossigeno e l’atmosfera inizia ad essere respirabile; nel frattempo aumenta il carico di sedimenti e si abbassa il fondo degli oceani con conseguente nascita di un luogo depresso ideale per la formazione delle rocce sedimentarie. 5) 3 - 2,625 miliardi di anni fa Formazione delle prime catene montuose con nascita di nuovi vulcani in seguito ai movimenti della crosta terrestre; la temperatura scende in picchiata con la conseguente trasformazione dell’acqua in ghiaccio (prima glaciazione). 6) 2,625 - 1,875 miliardi di anni fa Nascita dei primi organismi pluricellulari ed evoluzione delle specie viventi in un’atmosfera con più ossigeno ed oceani sempre più pieni d’acqua. 7) 1,875 - 0,350 miliardi di anni fa Lento cammino evolutivo del pianeta Terra con impennata di vita che vede la comparsa di organismi con conchiglie, poi dotati di scheletro (pesci), ma sempre in acqua. Le piante terrestri colonizzano la terraferma, gli anfibi iniziano la conquista della terraferma respirando ossigeno e le ammoniti dominano nei mari. 8) 0,350 - OGGI Comparsa dei rettili (progenitori dei dinosauri), degli uccelli e dei mammiferi seguita da un’estinzione di massa dovuta

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probabilmente alla caduta di un grosso meteorite sulla Terra. Il cammino evolutivo inizia nuovamente dai roditori, fino ad arrivare agli ominidi ed all’uomo che da 5 milioni di anni domina il mondo. Questi momenti di riflessione terminano con una panoramica dei diversi tipi di rocce esistenti e che sarà possibile vedere lungo il percorso. Si cerca di capire dove e come si sono formate ponendo l’attenzione sulle rocce sedimentarie e calcaree in particolare, notando le diversità con i massi erratici di origine non sedimentaria e trasportati nella loro posizione attuale dal movimento delle imponenti masse glaciali che hanno ricoperto ciclicamente queste aree. Un ultimo accenno ai fossili, al carsismo, alle piogge acide e ai fenomeni di frana causati dal crollo e ribaltamento di alcune porzioni delle pareti rocciose, tutti fenomeni caratteristici dell’area. Di nuovo zaino in spalla per proseguire la camminata verso la Capanna Alpinisti Monzesi. A metà della salita, durante una pausa ristoratrice, si riflette sulle modalità e tempistiche di formazione dell’area in cui ci si trova: da circa 200 milioni a 80 milioni di anni fa, il territorio era ricoperto da un mare caldo (mare della Tetide) sul cui fondo si depositarono in grande quantità detriti, sabbie e fanghi originati dall’erosione delle terre emerse e sedimenti calcarei derivati da scheletri, gusci e dalle parti più dure di innumerevoli organismi marini (alghe microscopiche, molluschi, coralli e crostacei). Il ritmo di crescita era molto lento ma costante: meno di 1 mm all’anno per milioni e milioni di anni. L’accumulo dei

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sedimenti determinò una forte compressione delle particelle più profonde e di conseguenza una loro compattazione. Successivamente le acque si infiltrarono fra i sedimenti depositando varie sostanze minerali che agirono come un cemento, determinando la litificazione (cementazione) delle particelle formando così le rocce sedimentarie. Le rocce sedimentarie sono le rocce più rappresentate nel territorio della Valle san Martino. Tra le rocce sedimentarie, le più frequenti sono i calcari composti prevalentemente da carbonato di calcio. Quando i depositi originali si arricchirono in magnesio, si originarono le dolomie che non sono altro che rocce sedimentarie con meno calcio e più magnesio rispetto ai calcari. I calcari e le dolomie hanno un loro colore grigio caratteristico con diverse tonalità. Nelle rocce sedimentarie è possibile ritrovare dei fossili (residui, tracce di organismi animali o vegetali vissuti tanto tempo fa e che sono stati ricoperti dai sedimenti sui fondali della Tetide). Circa 90 milioni di anni fa iniziò l’orogenesi delle Alpi. Si scontrarono la zolla (porzione di crosta terrestre) euroasiatica con la zolla africana in direzione nord-sud, provocando il sollevamento della crosta e di rocce magmatiche e metamorfiche. Questo sollevamento si è completato circa 35 milioni di anni fa. La spinta della zolla africana addossò a queste montagne, in varie riprese, migliaia di metri di quelle rocce sedimentarie che si erano formate sui fondali della Tetide dando così luogo alle Prealpi. La collisione tra il continente africano


e quello europeo è ancora in corso e rappresenta la causa principale dei terremoti in Italia. Guardando alcune pareti delle montagne è facilmente osservabile il piegamento degli strati interni. Queste curvature sono state causate proprio dallo “strizzamento” e dal piegamento della crosta terrestre durante questi scontri. Il Resegone è formato da rocce calcareo-dolomitiche (chiamate anche con il nome di Dolomia Principale) di origine marina, ed è emerso dalle acque un centinaio di milioni di anni fa, parecchi chilometri più a nord di Lecco, scivolando impercettibilmente, ma continuamente, per una decina di milioni di anni, fino ad assestarsi nella sua attuale posizione, appoggiato sulle spalle del Pizzo d’Erna e del monte Magnodeno. Da 1 milioni di anni fa a 20.000 anni fa si sono susseguiti dei periodi di glaciazione che hanno modificato l’aspetto del territorio: grandi lingue di ghiaccio si

mossero lentamente da nord (dalla Valtellina) verso la Pianura Padana. Questo lento movimento dei ghiacciai ha provocato l’erosione e la conseguente formazione di valli, letti di fiumi e laghi. Il trasporto di sedimenti e detriti portò alla formazione delle colline moreniche (colline brianzole) e l’abbandono di grandi massi oggi chiamati “erratici” o “trovanti”. Nell’area oggetto dell’escursione si possono trovare massi erratici di serpentino provenienti dalla Val Malenco, massi erratici di serizzo e granito provenienti dalla Val Masino e massi di gneiss provenienti dalla Val Gerola. I detriti morenici e le rocce presenti nel substrato roccioso vennero facilmente incisi dai torrenti che trasportarono più a valle il detrito formante le caratteristiche conoidi oggi protese verso il lago e fortemente insediate (Mandello, Lecco, Calolziocorte).

Attività svolte Si concentrano le attività in cui i ragazzi “fanno per imparare” in un unico momento, raggruppando tre piccoli esperimenti che richiamano quanto visto e di cui si è parlato durante la salita e le soste precedenti. Prima di iniziare le attività sperimentali, si possono nuovamente chiarire i concetti di roccia magmatica (effusiva e intrusiva), roccia sedimentaria e roccia metamorfica caratteristica di alte temperature e pressioni.

Si ricorda inoltre la fondamentale differenza fra minerali e rocce, e la loro distinzione a volte molto difficile. Gli esperimenti sono proposti in modo schematico per proporre alcune idee e/o spunti di riflessione. 1° esperimento: la formazione delle rocce sedimentarie Strumenti: sabbia fine, sabbia grossolana, ghiaia, bottiglia d’acqua. Erosione, trasporto (acqua, vento o ghiaccio), sedimentazione - Doppi ruoli

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svolti dall’acqua e dal vento e parametro fondamentale della temperatura (cicli gelo-disgelo). EROSIONE: da dove viene la sabbia (diversi tipi di sabbia). Si può mostrare una sabbia di colore bianco e una più scura e “prova della calamita” per rilevare la presenza o meno di minerali ferrosi. Perché crollano e cadono i massi dalle pareti rocciose (frane di crollo e ribaltamento) TRASPORTO IN UN FIUME: sostanze sciolte e materiali solidi rappresentano il carico che può essere “carico di soluzione”, “carico di sospensione” (limo, argilla, sabbia) e “carico di fondo” (ghiaia e frammenti grossolani). Quando un fiume non trasporta più materiale a valle? Distanze percorse a seconda delle condizioni della corrente, del profilo del fondo, degli ostacoli lungo il percorso e della pendenza media del letto (zone di pianura o montagna) SEDIMENTAZIONE: tempo di sedimentazione in funzione di peso e forma delle particelle Versando i diversi sedimenti nella bottiglia d’acqua si possono valutare le differenti velocità di sedimentazione, le caratteristiche fisiche che influenzano questo processo e notare la gradazione dei sedimenti. L’orizzontalità degli strati non sempre è rispettata anche in funzione della forma dei fondali marini. 2° esperimento: stratificazione delle rocce calcaree Strumenti: sabbia fine, sabbia grossolana, ghiaia, bottiglia d’acqua. Cicli di sedimentazione (diverse versate di materiale nella bottiglia), strati sovrapposti (linee di separazione), ordine

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verticale degli strati, rapporto con il tempo, tempo di litificazione, età e orizzontalità degli strati con inversione temporale. Condizioni per la formazione dei fossili (litificazione, tempo). 3° esperimento: presenza di carbonati Strumenti: limone, acido cloridrico diluito, diverse tipologie di rocce, lente d’ingrandimento per meglio apprezzare la reazione delle rocce ai liquidi con le quali vengono a contatto. Riconoscimento macroscopico delle rocce calcaree con l’ausilio della lente d’ingrandimento. Concetto di acidità dell’acqua; limone e acido cloridrico su rocce calcaree e non calcaree con diverso grado di effervescenza. E’ possibile anche provare il grado di reazione dell’acido con gusci d’uovo e conchiglie aventi uno strato di protezione superficiale che inibisce l’attacco acido. L’effervescenza più o meno marcata indica maggiori o minori quantità di carbonati. Come faccio a sapere in modo quantitativo quanti carbonati ci sono nel terreno/roccia (pesate successive). Piante che amano terreni calcarei: mughetto, biancospino, ciclamino, noce, pioppo bianco Piante che non vivono bene in terreni calcarei: rododendro, castagno, genziana. Le acque piovane rese aggressive dall’anidride carbonica in essa disciolta, esercitano una lenta azione di dissoluzione delle rocce di natura calcarea, creando caratteristiche forme del rilievo. Al termine degli esperimenti zaino in spalla e si percorre il sentiero di ritorno in discesa fino a raggiungere il piazzale della funivia.


La Bocchetta d’Erna Piazzale Funivia Pizzo d’Erna Punta Manzoni

Frazione Costa

Pizzo Brumano

La Cornesella

Campo de Boi

Passo del Fo’

Fra z. C ost a

Pas so d el F o’

Rifugio Monzesi

1400 1200 1000 800 600 0

0,5

1

1,5

2

2,5

3

3,5

4

Rif .M onz esi

Lecco

4,4km

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RISERVA NATURALE SASSO MALASCARPA


RISERVA NATURALE SASSO MALASCARPA AUTORE: Francesco Viviani DATA: 8 maggio 2011 ESCURSIONE: Riserva Naturale Sasso Malascarpa - Lecco SEZIONE ORGANIZZATRICE: CAI Calolziocorte PARTENZA: Canzo Loc. Gajum (m 485) ARRIVO: Sasso Malascarpa (m 1.187)

Caratteristiche tecniche DISLIVELLO IN SALITA: 810m DISLIVELLO IN DISCESA: 810m TEMPO TOTALE: 4,30h

DIFFICOLTA’: E TRASPORTI PUBBLICI: auto, treno e autobus PERIODO CONSIGLIATO: primavera, autunno

Descrizione percorso Il percorso, seppure abbastanza lungo e faticoso, è accessibile a tutti e gli argomenti trattati suscitano l’interesse dei più piccoli e la voglia di capire dei più grandicelli. L'itinerario si snoda in una zona di grande interesse per la ricchezza e la varietà dell'ambiente naturale e per le numerose testimonianze storicoetnografiche ancora presenti. La parte alta della Val Ravella è occupata dalla Foresta Regionale dei Corni di Canzo, la cui porzione sul versante idrografico sinistro è compresa nella Riserva Naturale Sasso Malascarpa, un'area protetta regionale di primario interesse geologico, geomorfolgico e botanico. Nell'area del Sasso Malascarpa, oltre alle spettacolari manifestazioni carsiche dei campi solcati dovute all'azione erosiva dell'acqua piovana sulla rocia calcarea, si segnala la presenza di una particolare flora ricca di preziose piante endemiche e di numerose

specie di pipistrelli. Sia la Foresta regionale che la Riserva sono gestite dall'ERSAF (Ente Regionale per i Servizi all'Agricoltura e alle Foreste). Arrivati a Canzo ci si incammina seguendo le indicazioni per la fonte Gajum, dove prima di intraprendere il cammino lungo il Sentiero Geologico Giorgio Achermann in Val Ravella, è consigliabile fare una chiacchierata che coinvolga i ragazzi con domande, sensazioni, loro opinioni e conoscenze elementari che posseggono su ciò che riguarda la storia e l’evoluzione dell’area in cui si trovano. Si introduce così il concetto di formazione ed evoluzione della Terra, composizione del nostro pianeta ed evoluzione dell’atmosfera, concentrando maggiormente l’attenzione sul Triangolo Lariano, dialogando in merito all’abbassamento dei fondali oceanici, alla deriva dei continenti, alla formazione dei vulcani e delle prime catene montuose, alla ciclicità

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delle glaciazioni, al perché l’acqua dei mari è salata anche se in questi ultimi sfociano fiumi d’acqua dolce e al perché in montagna si possano trovare rocce contenenti fossili marini. Si prosegue questo primo momento di confronto accennando alla nascita della vita e all’evoluzione degli organismi viventi (da quelli marini protetti da una conchiglia fino ai mammiferi e all’uomo); dal momento che le rocce che si vedranno lungo il percorso saranno di origine marina e si passeggerà su un’antica barriera corallina che ora si trova a centinaia di metri di altitudine, l’attenzione andrà focalizzata sui fondali marini, essendo questa escursione una sorta di viaggio nel passato attraverso antichi fondali popolati da altrettanto antichi esseri viventi di cui sono rimasti solo i resti fossili (coralli e spugne). Ultimo concetto fondamentale da anticipare è la formazione delle rocce, abbondanti e variegate (per natura, origine e colore) lungo il sentiero nonostante la prevalenza di rocce sedimentarie ed in particolare calcaree. In questo modo, dai più piccoli ai più grandi, tutti sono curiosi di andare a vedere e scoprire nuovi aspetti riguardanti ciò di cui si è parlato. Riassumendo: l’ambiente, il terreno e le rocce circostanti hanno subito nel corso del tempo cambiamenti anche notevoli (il mare “arrivava” in montagna) come ad esempio durante la formazione delle Alpi e continueranno a mutare aspetto sotto l’azione dei fiumi, dei terremoti, magari dell’uomo e anche dei ghiacciai, di cui sarà possibile vedere alcuni segni lasciati lungo il sentiero.

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Ci si incammina lungo il Sentiero Geologico Giorgio Achermann in Val Ravella che segue il corso del fiume e lo attraversa qua e là con alcuni ponticelli in legno fino in prossimità dell'agriturismo Terz’Alpe, che con i suoi fabbricati rurali testimoniano attività di agricoltura e allevamento attive fino alla prima metà del novecento. Lungo questo tratto è possibile fermarsi dinnanzi ad alcuni pannelli esplicativi dell’area e delle modalità di formazione delle diverse rocce marine e non: Calcare a Coralli formati in mari caldi, limpidi e poco profondi, Conglomerati cioè ciottoli eterogenei ed arenarie provenienti dalla terraferma e cementate da carbonato di calcio, Maiolica simile ad un calcare compatto bianco ma con grana finissima data dall’accumulo di nanofossili, Rocce Metamorfiche in senso lato, rappresentate da massi erratici e caratterizzate dall’allineamento dei minerali lungo i quali la roccia si sfalda, Selci ovvero rocce sedimentarie dure di aspetto vetroso e colore vario date dall’accumulo dei resti dell’involucro costituente la conchiglia di molti organismi marini, Rosso Ammonitico unico per la sua colorazione rossastra data dall’ossidazione dei minerali ferrosi e ricca di fossili, Ghiandone (masso erratico) appartenente alla famiglia delle rocce vulcaniche proveniente dalla Val Masino e trasportato dai ghiacciai, Serpentino che è una roccia metamorfica di colore verde scuro (blocchi di massi erratici regolarmente tagliati) tipico della Valmalenco. Si vedono poi le tracce di tre strani fenomeni: Slumping ossia una frana


sottomarina avvenuta lungo fondali discretamente inclinati e ad elevate profondità, Sorgenti pietrificanti caratteristiche di ambienti umidi e uniche per la deposizione di carbonati di calcio e magnesio disciolti nelle acque, sottoforma di concrezioni di vario aspetto che possono inglobare muschi, foglie e/o ramoscelli e Marmitta dei Giganti riconoscibile per la presenza lungo il letto del torrente di cavità cilindriche legate all’erosione meccanica esercitata dal moto vorticoso di sabbie e ghiaie ad elevata durezza, trasportate dalle acque di fusione glaciale sulle rocce del fondo meno resistenti e mostranti ancora le tracce (orizzontali) del moto dei ciottoli. Questi fenomeni aiutano a capire la forza della natura e la bellezza di alcuni eventi rimasti intatti nel corso degli anni. Giunti a Terz'Alpe, si prosegue in piano verso il fondo del torrente dove si imbocca il sentiero n° 6 che, attraverso una salita molto ripida, porta all’Alpe Alto e da qui verso il Sasso Malascarpa passando alla base della torre Telecom. Dopo la lunga salita, l’ampio spazio permette di rilassarsi e divertirsi sperimentando e riproducendo in miniatura alcuni fenomeni naturali che continuano da secoli. Il paesaggio è stato modellato dalla lenta e inesorabile azione di dissoluzione esercitata dall’acqua piovana sulla roccia, determinando il caratteristico aspetto del Sasso, simile ad una ciclopica muraglia rocciosa circondata dalle spettacolari manifestazioni dei campi solcati, fessure strette e profonde, simili alle impronte lasciate sul terreno dalle ruote di un carro legate al fenomeno del

carsismo superficiale, raramente così marcato. Le acque piovane, rese aggressive dall’anidride carbonica in esse disciolta, esercitano una lenta azione di dissoluzione delle rocce di natura calcarea, creando caratteristiche forme del rilievo. Il Sasso Malascarpa non è altro che uno spesso strato calcareo a cubi sovrapposti dovuto alla presenza di sistemi di fratture orizzontali e verticali perpendicolari tra loro, e portato in posizione verticale dai poderosi movimenti tettonici dell’orogenesi alpina. L’affioramento è cosparso di fossili di Conchodon (simbolo di questa riserva), cioè molluschi bivalvi con caratteristiche di organismi gregari che permettevano loro di concentrarsi in aree limitate, lasciando poi ampie aree non colonizzate. Spesso ciò che si vede sulla roccia è la sezione della conchiglia, con una tipica forma a cuore. Il panorama che si apre davanti agli occhi è notevole: si spazia dal Monte Rosa, al Cervino fino al Finsteraarhorn (Alpi occidentali) oltre che al Monte S.Primo, il Badile, Cengalo (Alpi Retiche), le Grigne e i Corni di Canzo. Notevole, e favorita dalle perfette condizioni climatiche è anche la vista sulla pianura e sugli Appennini, oltre che sulla Brianza e su Milano. Si comincia la discesa seguendo le indicazioni per Gajum e il santuario di San Miro al Monte, caratterizzata da un itinerario ripido che dapprima oltrepassa un bosco di abeti, poi scende in un rado bosco fino a raggiungere il fiume e finalmente si arriva a S. Miro, costruzione fondata nel corso del XVII secolo (e

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e ampiamente ricostruita) laddove viveva l’eremita San Miro Paredi, nutrendosi di bacche e dormendo sulla nuda terra, secondo la tradizione avrebbe fatto scaturire una sorgente d'acqua che sgorga tuttora dalla roccia sul piazzale

antistante la piccola Chiesa. Regna un'atmosfera piacevole in questo angolo silenzioso: il posto giusto per una breve sosta, un sorso d’acqua fresca prima di arrivare a Gajum.

Attività svolte Materiale necessario per effettuare le attività sperimentali I tre piccoli esperimenti suggeriti necessitano di una buona quantità di materiale facilmente trovabile anche sul luogo e di alcune attrezzature portate per l’occorrenza. 1° esperimento - Alcuni pugnetti di ciottoli, ghiaia, sabbia e terra - Una bottiglia di plastica a cui si taglia il collo, riempita d’acqua 2° esperimento - Piccola collezione di rocce di diversa natura (sedimentarie, metamorfiche e magmatiche) e colore, raccolte lungo la salita - Lente di ingrandimento - Limone o succo di limone 3° esperimento - Lavagnette per fare impronte di oggetti - Pongo o das - Conchiglie raccolte in spiaggia o altri oggetti legati all’ambiente marino I momenti in cui i ragazzi “fanno per imparare” vengono concentrati in un’unica area nelle vicinanze del Sasso Malascarpa, con l’eventuale possibilità di creare più gruppi (ciascuno dei quali a

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rotazione si cimenta nell’attività proposta). I tre piccoli esperimenti semplificano e chiariscono quanto visto lungo il sentiero. Il 1° esperimento riguarda la “formazione delle rocce sedimentarie” e permette di affrontare i concetti di sedimentazione dei diversi materiali (ciottoli, ghiaia, sabbia e terra) in acqua, gradazione delle particelle, formazione, età, orizzontalità e sovrapposizione degli strati, ottenuti versando nella bottiglia sedimenti mischiati fra loro, il ciclo naturale erosione-trasportosedimentazione caratteristico di tutti i detriti, tempo di litificazione (formazione di una roccia) e fossilizzazione. L’attività richiama anche la frana sottomarina fossile (slumping) vista all’inizio del Sentiero Geologico intitolato a Giorgio Achermann. Il 2° esperimento riguarda il riconoscimento delle rocce di origine calcarea fra la ventina di “sassi” che sono stati raccolti. Dapprima il riconoscimento è macroscopico, andando a far mente locale sulle caratteristiche peculiari delle rocce sedimentarie: colore variabile dal bianco al grigio con colori come il rosso e il


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giallo molto tenui, se si è fortunati un accenno di stratificazione dei costituenti della roccia e se si è molto fortunati anche la presenza di fossili. Un’analisi semi-microscopica che con certezza permette di capire l’origine calcarea di una roccia è la “prova del limone” che fa sorridere i più, ma sa stupire anche i più scettici. Basta infatti l’uso di alcune gocce di limone (contenenti come noto acido citrico) e di una lente di ingrandimento per scoprire come le rocce calcaree producono effervescenza al contatto con una goccia di qualsiasi acido. L’acido del limone è il meno “effervescente” al contatto, ma più sicuro da usare rispetto all’acido cloridrico diluito. Il grado di effervescenza maggiore o minore dipende rispettivamente dalla quantità di carbonato di calcio o dalla sostituzione del calcio con il magnesio in percentuali sempre maggiori. Il 3° esperimento riguarda la creazione di impronte fossili di conchiglie di organismi marini attraverso l’uso delle apposite tavolette e di pongo o pasta per fare calchi. E’ interessante ragionare sulla diversità di fossile, impronta fossile e calco fossile, derivanti tutte da un medesimo organismo, ma rappresentanti aspetti diversi dello stesso e formati in modi, tempi e condizioni ambientali completamente diverse. La grande manualità necessaria per l’attività stimola fortemente la curiosità e la voglia di fare di tutti i ragazzi. I bambini possono essere guidati durante l’esecuzione degli esperimenti, ma è bene, prima di fare qualsiasi procedimento o mettere in atto i diversi suggerimenti proposti, chiedere loro

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cosa si aspettano che accada e perché. L’esperimento risulta così un semplice e divertente modo per avvalorare le loro convinzioni o farli riflettere sulle loro idee non del tutto corrette. L’attività proposta coinvolge e aiuta a riflettere su come e perché la semplicità dei fenomeni naturali porta a fantastiche forme e colori delle rocce che ci circondano. Terminologia e grado di approfondimento delle attività condotte variano in funzione dell’età, delle conoscenze e della partecipazione dei ragazzi. Adatto a tutte le età.


Colma di Ravella

Terz’Alpe

Sasso Malascarpa

Canzo

M.te Prasanto Alpe Alto M.te Rai

Alp eA lto

Ter z’A lpe

1400

Sas so M ala sca rpa

Rif. Maria Consiglieri

1000 600 0

1

2

3

4

5

6,2km

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SURLEJ - VAL ROSEG - PONTRESINA CANTONE DEI GRIGIONI


SURLEJ-VALROSEG-PONTRESINA-CANTONEDEIGRIGIONI AUTORE: Francesco Viviani DATA: 11 settembre 2011 ESCURSIONE: Surlej - Val Roseg - Pontresina - Cantone dei Grigioni SEZIONE ORGANIZZATRICE: CAI Erba PARTENZA: Piazzale funivia di Surlej (m 1.870) ARRIVO: Pontresina (m 1.805)

Caratteristiche tecniche DISLIVELLO IN SALITA: 53m DISLIVELLO IN DISCESA: 950m TEMPO TOTALE: 5h

DIFFICOLTA’: E TRASPORTI PUBBLICI: Trenino, autobus, funivia PERIODO CONSIGLIATO: da luglio a settembre

Descrizione percorso Il percorso è accessibile a tutti, in circa mezz'ora, su ampio sentiero, si giunge alla Fuorcla Surlej (2.755 m) di fronte a uno dei più spettacolari panorami alpini in una suggestiva cornice di ghiaccio e rocce, con sullo sfondo Piz Tschierva, Piz Morteratsch, Piz Bernina e la celebre Biancograt, Piz Roseg e il gruppo del Sella. La discesa lunga ma costante non presenta particolari difficoltà. Dall'Hotel Roseg Gletscher (1.999 m) in circa 2 ore percorrendo il fondovalle della Val Roseg si raggiunger comodamente il paese di Pontresina. La salita anziché in funivia può essere affrontata anche a piedi. Punto di partenza è il piazzale della partenza della funivia di Surlej, piccolo centro abitato nelle vicinanze di St. Moritz. La località può essere raggiunta attraverso il Passo Bernina per chi proviene dalla Media Valtellina, con la

possibilità di usare il famoso trenino del Bernina (tratta Tirano-St. Moritz) e i bus per raggiungere la funivia. Se si proviene dall’Alta Valtellina si percorrono in successione il Passo Forcola e Bernina, mentre per chi giunge dalle province di Lecco, Como, Milano si percorre interamente la Valchiavenna e successivamente il Passo Maloja. Si sale in funivia fino a Mutél stazione intermedia della funivia del Corvatsch, e in un luogo pianeggiante nelle vicinanze della stazione d’arrivo è possibile inquadrare geograficamente l’area in cui ci si trova: si localizzano i punti cardinali, i confini territoriali (Italia-Svizzera) e si possono ubicare indicativamente (immaginando di scavalcare le imponenti montagne che fanno da cornice) la Valtellina, il passo Maloja e il lago di Como.

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Approfondimenti Fatto il punto geografico (anche in carta), si prosegue per un tratto semipianeggiante (30 minuti di cammino circa) fino al raggiungimento del rifugio “Fourcla di Surlej”, dove si tolgono gli zaini dalle spalle e si introduce il concetto di “permafrost” che riveste un ruolo fondamentale nell’area viste le numerose funivie presenti; l’argomento è introdotto dalla lettura di qualche breve articolo scientifico (riportato di seguito) e schematizzato da un piccolo modellino in legno che riproduce la funivia e il terreno su cui essa poggia. “Una zona sotto controllo” … Quello della regione del MurtelCorvatsch è uno dei permafrost alpini più studiati: in quest’area le temperature del terreno sono misurate sin dal 1987. Tra il 1987 e il 1994 i primi 25 metri sotto la superficie si sono riscaldati di almeno un grado; poi, tra il 1994 e il 1996, la tendenza si è rovesciata, il terreno si è raffreddato e si sono trovati valori simili a quelli del 1987. Dal 1996 le temperature del permafrost stanno invece aumentando di nuovo. Gli esperti sostengono che soltanto un monitoraggio a lungo termine possa fornire delle risposte sul comportamento del permafrost e sulla potenziale minaccia del surriscaldamento climatico per le costruzioni di alta quota come le strutture delle teleferiche. Ma l’alta montagna rappresenta una sfida costante: le condizioni sono spesso ostili e le valanghe frequenti. Lo scorso

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inverno, sul Murtel, una valanga ha distrutto le antenne ed i sensori dei ricercatori, trascinandoli giù per il pendio. Il lavoro deve tuttavia continuare. In Svizzera, 288 teleferiche sulle 1894 esistenti sono ancorate nel permafrost Swissinfo, Vincent Landon. 6 agosto 2003 - 13. 58 Disgelo del permafrost: teleferiche in pericolo? Il surriscaldamento climatico potrebbe rivelarsi fatale a circa il 15% delle teleferiche svizzere. Le strutture in questione sono infatti ancorate nel permafrost, quel suolo perennemente gelato che fa da collante alle Alpi svizzere. E che si sta sciogliendo. Una soluzione potrebbe essere l’inserimento di supporti metallici accanto alle costruzioni per meglio fissarle alla roccia. Un’altra lo spostamento degli impianti considerati a rischio. Tuttavia, un recente studio realizzato nei pressi di St. Moritz ha rivelato come alcune zone siano potenzialmente così a rischio che nemmeno lo smantellamento e la ricostruzione delle stazioni potrebbe risolvere il problema. Alcuni anni fa, l’operatore dell’impianto del Corvatsch, chiese se sarebbe stato possibile spostare di poche centinaia di metri la stazione in quota, a 3300 metri s.l.m. Da Surley (1870 m.) alla stazione intermedia di Muertel (2700 m.) è ora in funzione una nuova teleferica ma l’impianto in vetta è ormai datato di ben 35 anni e necessita di essere ricostruito.


Felix Keller, studioso del permafrost all’Accademia Engadina era stato quindi interpellato sull’eventualità di spostare quella stazione d’arrivo. Keller sapeva bene che la stabilità della roccia sottostante sarebbe stata fondamentale: soltanto i cavi della nuova struttura pesano 250 tonnellate. Uno dei suoi primi compiti è stato esaminare fotografie aeree dell’area datate 1955. Da allora il ghiacciaio adiacente si è ritirato di ben 40 metri. “Sapevamo che il fondamento roccioso era libero da ghiaccio da soli 20-30 anni, era dunque possibile che l’idrologia della roccia ne risultasse modificata”. Tramite alcuni fori di perlustrazione, l’esperto ha accertato che la temperatura nei primi 10-20 metri del permafrost era di -3,6 °C, mentre esperimenti di laboratorio e modelli informatici indicavano che la roccia si sarebbe potuta considerare stabile solo a -5 °C. Inoltre, benché inizialmente la roccia sembrasse in buone condizioni, a circa 14 metri di profondità si sono notate delle fuoriuscite d’acqua che si aggiungono alle numerose fessure e crepe riscontrate nell’area. Il team di Felix Keller ha dunque espresso seri dubbi: “Non eravamo per niente sicuri della stabilità della stazione. Tanto più che 5 anni prima, tra il ristorante e l’impianto della teleferica si aprì un’ampia crepa”. Keller ha rapidamente concluso che la costruzione di un nuovo stabile sarebbe stata impossibile. E che l’operatore avrebbe dovuto prestare una particolare attenzione alle variazioni climatiche anche per la sicurezza della stazione esistente. I ricercatori vogliono eludere le

insidie del permafrost La località di Pontresina, nei Grigioni, è protetta da una diga alta 13 metri e lunga 460. Sono stati spesi 7 milioni di franchi per evitare imponenti colate d’acqua e di fango che potrebbero inghiottire il villaggio di montagna. In altitudine, infatti, il suolo ghiacciato in permanenza rischia di sciogliersi lentamente a causa del riscaldamento climatico. In caso di forti precipitazioni potrebbero liberarsi e scendere verso valle tonnellate di detriti. A partire dagli anni Novanta nell’Arco alpino si sono verificati diversi episodi del genere nella zona del basso permafrost, attualmente situata a 2500 metri di altitudine ma destinata a salire. La diga di Pontresina è dunque il risultato del lavoro degli scienziati che hanno spinto le autorità locali a prendere dei provvedimenti. Non basta però studiare i ghiacciai, come stanno facendo i ricercatori svizzeri, il permafrost rappresenta infatti un’altra sfida collegata al riscaldamento climatico. Al termine della lettura si ha così modo di parlare dell’azione del gelo e del permafrost (zona periglaciale) ponendo l’attenzione sul bilancio energetico del suolo (funzione della temperatura dell’aria, della radiazione incidente, della velocità del vento, del manto nevoso e dei suoi diversi spessori, della copertura vegetale e infine del calore geotermico), sullo strato attivo e la tavola del permafrost, sulla profondità massima che può raggiungere (1200 m) e quella media sulle Alpi (50 - 120 m). Si completa questo primo momento di confronto parlando del comportamento dell’acqua superficiale in presenza del permafrost

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(debris flow e frane da disgelo) aiutandosi con il modellino a disposizione e provando a fare qualche piccolo esperimento inclinando la tavola di legno cosparsa di terreno e zolle erbose. Terminata l’attività si rimettono gli zaini in spalla e si inizia una lunga discesa lungo il sentiero che conduce fino al ristorante Roseg (nell’omonima vallata); in prossimità del rifugio e durante la discesa, godendo di spettacolari viste panoramiche sui ghiacciai Roseg e Tschierva e sulle imponenti cime che li sovrastano, si ha modo di addentrarsi maggiormente nella spiegazione e visione degli aspetti e morfologie caratteristici di un ghiacciaio, così riassumibili e schematizzabili. Si riportano alcuni termini caratteristici, spunto di conversazione A) Zona epiglaciale Definizione di ghiacciaio: massa di ghiaccio naturale formato per trasformazione della neve Ritiro: prima il ghiacciaio si abbassa di spessore e poi si ritira pulsando avanti e indietro PEG (piccola età glaciale): 1860 - 1880 e fine della massima estensione Classificazione: 1) ghiacciaio di montagna (vallivo, di circo, di diffluenza, di confluenza) 2) ghiacciaio continentale 3) calotta glaciale (piattaforma di ghiaccio) Regime termico funzione della tempetura alla base del ghiacciaio (ghiacciai temperati o caldi come quelli delle Alpi), freddi o polari - Il regime dipende dal campo di pressione variabile (maggiore pressione con conseguente abbassa-

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mento della temperatura di fusione) che origina zone fredde e calde. Trasformazione della neve in ghiaccio: fusione, compattazione, “firn” e ghiaccio di ghiacciaio Bilancio di massa: bacino di accumulo, zona di ablazione con perdita di massa glaciale per fusione (radiazione, copertura nuvolosa, pioggia e vento) e sublimazione. Dinamiche di avanzamento del ghiacciaio: 1) Deformazione interna: creep fra cristalli sottoposti a sforzo orientato 2) Scivolamento basale sul substrato favorito dall’acqua di fusione originata da piccoli ostacoli 3) Flusso distensivo: velocità del ghiacciaio maggiore per maggiore pendenza del substrato 4) Flusso compressivo a valle delle seraccate, minor pendenza substrato, aumento spessore ghiaccio 5) “Surge”: fenomeno per cui molto ghiaccio passa dalla zona di accumulo al bacino ablatore B) Morfologia del ghiacciaio Parte superficiale (primi 200 metri di spessore) con comportamento fragile Parte sottostante (fino al substrato) con comportamento duttile e assenza di acqua Crepacci e seracchi: fratture della parte superficiale originate da gradini e salti nel substrato Morene mediane: creste di detriti rilevate e allungate nella direzione di flusso del ghiacciaio Morene di confluenza: all’incontro di due lingue glaciali (stesso principio dei fiumi)


Funghi da ghiacciaio: massi con piedistallo di ghiaccio (protezione da fusione) Bedieres: canali meandreggianti formati da fiumi sopraglaciali in estate Mulini: pozzi verticali alla fine delle bedieres interessanti solo la parte superficiale del ghiacciaio I ghiacciai sono rigonfi al centro e vuoti contro il versante dove ci sono depositi di contatto glaciale C) Paesaggio glaciale Valle glaciale: profilo a U (solo in alta montagna) con falde di detrito Spalle glaciali: ripiani continui paralleli alla valle (parte alta dei versanti) Sono considerati gli antichi fondovalle precedenti l’approfondimento glaciale Valli sospese: hanno profilo di fondo che non si raccorda con la valle principale (minore erosione) Horn (corno piramidale): isolati per erosione regressiva di circhi Circhi glaciali: avvallamenti con fondo piatto circondato da pareti verticali al di sotto delle creste Trimline: linea immaginaria separante la cresta inferiore con forme più dolci e levigate, dalla parte superiore di forma seghettata in quanto mai coperta dal ghiaccio D) Forme da erosione glaciale Rocce montonate: dossi asimmetrici lisciati e arrotondati sul lato a monte, allungati nel senso di flusso del ghiacciaio, mentre sono squadrati e ripidi sul versante a valle. La morfologia di queste forme riflette le diverse pressioni esercitate dal ghiacciaio all’incontro di un ostacolo che non riesce ad incorporare alla sua base, ma che deve oltrepassare Forme a piccola scala: prodotte dai

detriti (minerali come il quarzo o ancora più resistenti) incorporati alla base del ghiacciaio ed aventi una durezza maggiore rispetto al substrato su cui scorre. Le rocce su cui si possono notare queste forme (spesso rocce montonate) presentano strie, scanalature, solchi e impronte semilunate. E) Ambiente glacigenico Area interessata direttamente o che subisce l’influenza di un ghiacciaio I processi che provocano la deposizione dei detriti glaciali sono: 1) Trasporto attraverso il ghiaccio stesso, l’acqua, il vento o i processi gravitativi 2) Deposizione da ghiaccio attivo o morto, da acque correnti o stagnanti e da versanti Ghiaccio attivo, in ritiro e ghiaccio morto L’ambiente glacigenico si può dividere a sua volta in ambiente: 1) Sopraglaciale (comportamento fragile) con presenza di detriti (da versanti, endoglaciali, sottoglaciali), di morene mediane (frane o confluenza lingue) e ghiacciai neri (interamente coperti di detrito) 2) Endoglaciale (comportamento fragile-plastico) con detriti dispersi e alte concentrazioni legate alla presenza di confluenze, crepacci, mulini e depositi fluviali 3) Sottoglaciale con concentrazione di detriti elevata ma con spessori esigui, massima deformazione del ghiacciaio e abrasione dei clasti, tunnel e canali sottoglaciali alternati ad aderenze

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4) Terminoglaciale direttamente attaccato al ghiacciaio e dominato da acque di fusione ed elevate quantità di detrito. Comprende la zona marginale del ghiacciaio con la fronte, la porta e i laghi a diretto contatto con il ghiaccio. Sedimentazione fluviale giornaliera, ciclicità stagionale ed eventi improvvisi ad elevata energia (piene catastrofiche) 5) Proglaciale risente dell’influenza del ghiacciaio ed è caratterizzato da processi fluviali e deltizi. Se l’area presenta

un’inclinazione verso la fronte si ha la formazione dei laghi, mentre se la pendenza (bassa) è verso valle i torrenti sono canalizzati con isolotti. L’escursione giornaliera si completa con un gioco (più sotto riportato) che riassume gli argomenti trattati, e con una camminata di circa 2 ore sul fondovalle della Val Roseg che dall’omonimo ristorante permette di raggiungere il paese di Pontresina.

Attività svolte I temi proposti possono essere trattati in modo abbastanza approfondito in funzione dell’età dei ragazzi che partecipano all’uscita; le attività sperimentali di seguito descritte semplificano e avvicinano anche i più piccoli al mondo dei ghiacciai. 1° esperimento: problematiche del permafrost Strumenti: assicella di legno (20 x 40cm circa) con 4 piccoli fori allineati in direzione del lato più lungo, riproduzione della funivia con 4 stuzzicadenti in legno (tralicci della teleferica), spago come fune metallica e cubetto di legno a rappresentare la funivia, zolle erbose e disponibilità d’acqua Si legano con lo spago fra di loro i 4 tralicci che a loro volta si infilano nei buchi dell’assicella; al di sopra si dispongono le zolle erbose e si inclina leggermente il piano così creato. La tavola di legno vuole rappresentare la “tavola del permafrost”, cioè il limite al di sotto del quale il terreno è perenne-

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mente gelato durante tutto l’anno, e al di sopra il terreno (zolle erbose) che subisce cicli giornalieri e/o stagionali di gelo-disgelo. Se i tralicci della funivia sono infissi nel permafrost, che ha un comportamento meccanico simile ad una roccia, si possono far piovere sopra litri e litri di acqua, o provocare piccole frane (con sassi di piccole dimensioni) che la struttura non subirà nessun cedimento o spostamento. Se al contrario i pali della teleferica sono infissi nelle zolle erbose, con la pioggia, queste tendono a scivolare verso il basso trascinando con sé l’infrastruttura e provocandone la distruzione. L’acqua piovana (stagione estiva) attraversa il suolo non gelato e giunta in prossimità della tavola del permafrost scorre su di essa, proprio come se incontrasse una superficie impermeabile. Di qui la lettura degli articoli scientifici e l’importanza della lotta al riscal-



damento globale che influisce pesantemente sull’innalzamento e abbassamento della superficie del permafrost con pesanti conseguenze anche per le opere dell’uomo. 2° esperimento: conosciamo il ghiacciaio giocando Strumenti: bigliettini riportanti alcuni nomi di processi, morfologie e fenomeni tipicamente legati all’ambiente glaciale o che ne ricordano un particolare aspetto Non si tratta di una vera e propria attività sperimentale ma di un semplice gioco che permette di divertirsi tutti insieme conoscendo l’ambiente in cui si è tenuta l’escursione. I termini scritti sui bigliettini possono essere divisi in tre categorie a seconda di ciò che i ragazzi devono fare per fare indovinare la parola nascosta ai loro amici o compagni di squadra DIS: un ragazzo deve disegnare o mimare la parola DOM: due ragazzi devono far capire agli altri il termine componendo una domanda ma dicendo una parola a testa (come un famoso gioco a quiz televisivo) SPI: uno o due ragazzi devono spiegare con parole loro il termine che

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leggono, senza però menzionare la parola stessa o nomi che la contengono Per rendere più emozionanti le prove è meglio non riferirsi solo al contesto e ambiente glaciale, ma a qualsiasi cosa ricordi la parola riportata sul biglietto, in modo da aumentare il divertimento ed il carattere ludico. Ad esempio il termine “FRONTE” non deve essere obbligatoriamente rappresentato come la parte frontale della lingua glaciale, ma anche come la parte superiore del volto di una persona. Quando viene indovinata la parola esatta, si chiede ai ragazzi di cercare di spiegare in che modo quello che hanno disegnato, domandato o spiegato riguarda la dinamica di un ghiacciaio, se è possibile vederlo o se è una cosa vista nel corso della giornata. Alcuni termini più difficili e apparentemente insignificanti (ad esempio RUSPA) non diranno niente ai ragazzi, ma è possibile farli riflettere sul modo con cui il ghiacciaio avanza sui detriti che si trova davanti, proprio come una pala meccanica che ben conoscono.


Pontresina

Piz Mezdi

Piz San Gian Piz Surlej

Roseg

Ro seg

Pon tre sin a

Funivia Surlej

2750 2500 2250 2000 0

2

4

6

8

10 10,7km


GIRO DEI SETTE LAGHI VAL RIDANNA


GIRO DEI SETTE LAGHI - VAL RIDANNA AUTORE: Giuditta Galli e Matteo Panseri DATA: 22 luglio 2012 ESCURSIONE: Giro dei Sette Laghi - Val Ridanna SEZIONE ORGANIZZATRICE: CAI Bergamo - Sottosezione Albino Gazzaniga PARTENZA: Poschhaus (BZ) (m. 2114) ARRIVO: Masseria (BZ) (m. 1400)

Caratteristiche tecniche DISLIVELLO IN SALITA: 600m DISLIVELLO IN DISCESA: 1300m TEMPO TOTALE: 8,30h

DIFFICOLTA’: EE TRASPORTI PUBBLICI: treno, autobus PERIODO CONSIGLIATO: da giugno a settembre

Descrizione del percorso L’itinerario prevede un giro ad anello che partendo da Masseria (Val Ridanna, 1400 m s.l.m.) sale lungo la Val Lazzago fino a Poschhaus (2114 m s.l.m.). Da qui si prende il sentiero n.33 che costeggia il Lago dell’Erpice e porta all’omonimo passo (2690 m s.l.m.). Da qui si imbocca il sentiero n. 33A che attraversa una zona ricca di laghi e si ricollega al n.33 più ad est. Si prosegue fino al Rifugio VedrettaPiana (2254 m s.l.m.), dove inizia la discesa lungo la Val Ridanna fino a Masseria. L’itinerario, sebbene sia molto lungo (circa 20 km), attraversa un’area di elevato interessa paesaggistico. Lungo l’itinerario si incontrano rocce di natura differente. La salita dal Poschhaus al Passo dell’Erpice si snoda sui ghiaioni bianchi formati dalle Dolomie del Wetterstein, blandamente metamorfosate, che si trovano al disopra del basamento cristallino formato da paragneiss, micasci-

sti e filladi. All’interno dei micascisti sono presenti granati di dimensione da millimetrica a centimetrica. Molto interessante è il sovrascorrimento che si osserva dal Passo dell’Erpice e che mette a contatto le dolomie, di colore bianco, con la serie metamorfica prevalentemente di colore grigio. Lungo la Val Lazzago è possibile osservare i resti delle strutture della miniera di Monteneve. Inoltre a Masseria è presente il Museo della Miniera. Data la lunghezza dell’itinerario, il tratto da Masseria a Poschhaus è stato percorso con automezzi autorizzati.

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Descrizione dell’attività Lungo l’itinerario erano stati individuati diversi punti di interesse geologico da illustrare ai partecipanti, A causa delle avverse condizioni meteorologiche (pioggia, neve, vento), in accordo con gli accompagnatori, il gruppo non ha effettuato tutte le soste previste per la descrizione geologica del paesaggio. E’ stato comunque possibile fare un inquadramento geologico dell’area e descrivere il complesso minerario di Monteneve prima della partenza del gruppo, in località Poschhaus. Lungo il percorso, gli esperti hanno provveduto a

raccogliere diversi campioni di rocce rappresentativi delle formazioni geologiche che caratterizzano l’area. Inoltre hanno risposto alle domande poste dai partecipanti durante il cammino. L’attività di divulgazione è stata svolta alla sede del CAI la sera, dopo la cena, con l’ausilio dei campioni di roccia prelevati e delle immagini fotografiche riprese lungo il tragitto. I ragazzi hanno potuto così applicare quanto ascoltato il giorno precedente ai campioni di rocce raccolti e porre le loro domande.

Fascia di età a cui è indirizzata l’attività Dai 7 ai 18 anni. In base all’età dei partecipanti viene utilizzato un lessico appropria-

to e adatto alla comprensione dei ragazzi per la spiegazione degli argomenti

Serata astronomica osservativa 22/07/2012 Basandosi sulla convinzione che il cielo stellato montano sia tra i più spettacolari da osservare, l’esperto ha voluto avvicinare i giovani anche a questo aspetto da valorizzare. La sede del CAI di Vipiteno è situata in posizione marginale rispetto al paese e si presta bene per l’osservazione del cielo stellato in quanto posta in un’area buia. Ai partecipanti è stato fatto notare come il cielo stellato montano sia molto più buio di quello della pianura e di come il numero di stelle sia maggiore proprio perché manca

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l’inquinamento luminoso. Poi sono state illustrate le costellazioni estive e la Via Lattea, con l’ausilio di un puntatore laser per astronomia. E’ stata mostrata loro la forma delle costellazioni e raccontati i miti greci collegati. Inoltre si è illustrato come trovare il Nord usando il Grande Carro per trovare la Stella Polare. Successivamente, dopo aver posizionato un telescopio Celestron 8” di diametro 20 cm sono state osservate con lo strumento le stelle doppie Albireo e Mizar.


Krapfenkarspitz

Masseria

Moarerspitz Egetspitz

Poschhaus

3000 2500 2000 1500 0

4

8

12

16

21km

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Attività ludico didattica del 21/07/2012 Il pomeriggio del 21 luglio, in accordo con gli accompagnatori, è stata svolta un’attività ludico/didattica all’interno della sede CAI di Vipiteno e sul prato antistante, utilizzato anche per il pernotto con le tende. Durante la prima parte del pomeriggio, essendo il tempo piovoso, è stata tenuta una breve lezione teorico-pratica sulla geologia, le rocce e i minerali. Per meglio esporre l’argomento, i ragazzi sono stati divisi in due gruppi in base all’età. La spiegazione, suddivisa in due parti, ha toccato i seguenti argomenti: formazione delle rocce e dei minerali, classificazione pratica di alcuni campioni di rocce con l’uso di chiavi dicotomiche, predisposte dagli esperti, riconoscimento dei minerali, geologia della zona di Vipiteno e descrizione delle miniere della Val Ridanna. I ragazzi si sono dimostrati molto interessati e curiosi e

hanno potuto analizzare diversi campioni di rocce e di minerali, imparando a riconoscerli ed esponendo le loro numerose domande. Tra la prima e la seconda parte della spiegazione, grazie alle condizioni meteorologiche che sono migliorate, è stato allestito sul prato all’esterno il gioco “Ricostruisci il minerale”. I partecipanti sono stati suddivisi in quattro squadre equivalenti, a ciascuna squadra è stato consegnato il disegno di un minerale. Scopo del gioco era ricostruire, nel minor tempo possibile, il puzzle relativo al proprio disegno. Le tessere del puzzle sono state guadagnate da ogni squadra attraverso una corsa a staffetta. Al termine del gioco i due gruppi sono rientrati nella sede, per assistere alla seconda parte della spiegazione.

Fascia di età a cui è indirizzata l’attività Dai 7 ai 18 anni. In base all’età dei partecipanti viene utilizzato un lessico appropria-

to e adatto alla comprensione dei ragazzi per la spiegazione degli argomenti

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SANTA CATERINA VALFURVA GHIACCIAIO DEI FORNI


SANTA CATERINA VALFURVA - GHIACCIAIO DEI FORNI AUTORE: Giuditta Galli e Matteo Panseri DATA: 16 giugno 2012 ESCURSIONE: Santa Caterina Valfurva - Ghiacciaio dei Forni SEZIONE ORGANIZZATRICE: CAI Erba PARTENZA: Santa Caterina Valfurva (SO) m. 1738 ARRIVO: Rifugio Albergo dei Forni m. 2200

Caratteristiche tecniche DISLIVELLO IN SALITA: 400m DISLIVELLO IN DISCESA: 400m TEMPO TOTALE: 5,30h

DIFFICOLTA’: T TRASPORTI PUBBLICI: treno, autobus PERIODO CONSIGLIATO: da maggio a ottobre

Descrizione del percorso L’itinerario segue la strada che dall’abitato di Santa Caterina Valfurva porta sino al Rifugio Albergo dei Forni, in Valfurva (sentiero S566). Da lì prosegue lungo il sentiero S530 che porta sino al Rifugio Branca e al Ghiacciaio dei Forni. Il percorso si sviluppa su strada asfaltata, è agevole e adatto a qualsiasi età. La strada corre sul versante orografico destro della Valfurva. La valle è stretta e con versanti scoscesi, la copertura vegetale è costituita principalmente da conifere. Lungo il percorso è possibile osservare

diverse forme di erosione, sia recenti sia antiche, quali conoidi di detrito e di deiezione, aree soggette a distacco di massi e ghiaioni. Giunti al Rifugio Albergo dei Forni, la valle piega verso Est e si allarga, mostrando i tipici caratteri delle valli glaciali ovvero fondovalle ampio e pendii scoscesi. Lungo il fondovalle sono osservabili terrazzi fluviali e forme di deposizione fluvioglaciale mentre lungo i versanti si susseguono le morene formate dal Ghiacciaio dei Forni durante le varie fasi di avanzata glaciale.

Descrizione dell’attività L’attività svolta aveva come scopo la comprensione delle forme geomorfologiche presenti sul territorio e la loro relazione con la geologia dell’area. Lungo l’itinerario sono stati individuati alcuni punti di sosta significativi per la comprensione dell’evoluzione della valle e delle forme del territorio.

I partecipanti sono stati suddivisi in coppie e a ciascuna è stato consegnato uno stralcio in formato A4 della carta topografica dell’Istituto Geografico Militare in scala 1:25.000 e alcune matite colorate, da utilizzare durante l’escursione per la redazione di una carta geomorfologica della valle.

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In località Pradanzon, con l’aiuto di carte topografiche a diversa scala, è stato fatto un inquadramento geografico dell’area. Dopo un breve ripasso sull’utilizzo delle carte topografiche e sulla loro lettura è stato chiesto ai ragazzi di fare il “punto in carta” individuando la posizione in cui si trovavano, e di orientare la carta secondo i punti cardinali. Poi è stato chiesto loro di riconoscere sulla carta i corsi d’acqua, tra cui il torrente Frodolfo che scorre sul fondo della Valfurva, e utilizzando la matita azzurra di ripassarli in modo da evidenziarli. Infine è stato illustrato e riconosciuto sulla carta l’itinerario della giornata. In località Lusseda sono visibili, ai margini del torrente Frodolfo, le testimonianze (morene inerbite) dell’espansione glaciale del Ghiacciaio dei Forni verificatasi nell’Olocene. E’ inoltre ben osservabile la conoide di deiezione del torrente della Val Lusseda. Dopo aver introdotto l’argomento delle glaciazioni e del comportamento dei ghiacciai in base ai cambiamenti climatici, i ragazzi hanno indicato in carta, con apposito soprassegno, la posizione della morena. Lo stesso è stato fatto anche per la conoide

di deiezione, che è stata cartografata, dopo aver spiegato il fenomeno che ne determina la formazione. Lungo la strada, in corrispondenza di spaccati in cui le rocce affioravano ed erano ben osservabili, è stata introdotta la geologia della valle attraverso il riconoscimento di campioni rocciosi raccolti sul luogo. Infine, nella piana fluviale del Frodolfo, all’altezza della Malga dei Forni, durante una lunga sosta i ragazzi hanno imparato a leggere il territorio riconoscendo le forme di origine glaciale e le hanno riportate sulla loro carta. Per esempio è stato spiegato loro come riconoscere le morene di differente età in base alla forma e alla copertura vegetale. Utilizzando la carta hanno anche descritto la forma del Ghiacciaio dei Forni riconoscendo le zone di accumulo e di ablazione, i tre lobi e la direzione di flusso del ghiacciaio. Infine, attraverso l’analisi della carta geomorfologica realizzata con l’aiuto dell’esperto, i ragazzi hanno ricostruito le fasi di avanzata e arretramento del ghiacciaio e la sua storia evolutiva.

Fascia di età a cui è indirizzata l’attività Dai 7 ai 18 anni. In base all’età dei partecipanti viene utilizzato un lessico appropria-

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to e adatto alla comprensione dei ragazzi per la spiegazione degli argomenti.


Rif. dei Forni

San ta C ate rin a

Rif ugi od ei F orn i

Santa Caterina

2200 2000 1800

0

1

2

3

4

5

5,7km



Basandosi sulla convinzione che il cielo stellato montano sia tra i più spettacolari da osservare, l’esperto ha voluto avvicinare i giovani anche a questo aspetto da valorizzare. Dopo essersi recati in un luogo abbastanza buio e lontano dai lampioni stradali, ai ragazzi è stato fatto notare come il cielo stellato montano sia molto più buio di quello della pianura e di come il numero di stelle sia maggiore proprio perché manca l’inquinamento luminoso. In seguito sono state illustrate le costellazioni estive, con l’ausilio di un puntatore

laser per astronomia. E’ stata mostrata loro la forma delle costellazioni e raccontati i miti greci collegati. Inoltre si è illustrato come trovare il Nord usando il Grande Carro per trovare la Stella Polare e come riconoscere i pianeti (Saturno e Marte) dalle stelle. In seguito, dopo aver montato un telescopio Celestron 8, da 20 cm di diametro, i ragazzi hanno potuto osservare a diversi ingrandimenti il pianeta Saturno e la stella doppia del Cigno Albireo.

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VAL ZEBRÙ


VAL ZEBRÙ AUTORE: Giuditta Galli e Matteo Panseri DATA: 17 giugno 2012 ESCURSIONE: Val Zebrù SEZIONE ORGANIZZATRICE: CAI Erba PARTENZA: Niblogo m.1600 ARRIVO: Campo di Fuori m.1947 (Val Zebrù)

Caratteristiche tecniche DISLIVELLO IN SALITA: 350m DISLIVELLO IN DISCESA: 350m TEMPO TOTALE: 4,50h

DIFFICOLTA’: E TRASPORTI PUBBLICI: treno, autobus PERIODO CONSIGLIATO: da giugno a settembre

Descrizione del percorso Dal parcheggio alla fine della strada che porta all’abitato di Niblogo si prende la carrareccia che continua in Val Zebrù. La strada si snoda a tratti sul versante destro e sinistro della valle, attraversando più volte il torrente Zebrù. La valle si presenta stretta e con versanti scoscesi sino al ponte a valle di Zebrù di Fuori, in corrispondenza del quale inizia ad allargarsi. Una vera apertura si osserva solamente da Campo di Fuori in poi. La strada attraversa diversi torrenti che scendono al fondovalle dai versanti ed

aree prative con malghe. L’itinerario è molto interessante dal punto di vista geologico: lungo il percorso è possibile osservare la presenza di un sovrascorrimento che si sviluppa lungo il versante nord della valle e che mette a contatto le unità metamorfiche e quelle sedimentarie di età differente. Proprio in corrispondenza del sovrascorrimento si originano i torrenti che si trovano su questo versante, con sorgenti poste a quote simili.

Descrizione dell’attività Prima di iniziare la camminata, è stata fatta un’introduzione al riconoscimento delle rocce. Tramite l’uso di campioni di rocce sedimentarie, magmatiche e metamorfiche, sono state illustrate le caratteristiche delle tre tipologie ed è stata spiegata la loro genesi. Poi è stato spiegato ai ragazzi come

distinguere e classificare macroscopicamente con l’utilizzo di una lente d’ingrandimento e dell’acido cloridrico al 5% (usato solo dall’esperto) i diversi tipi di rocce. Sono stati anche mostrati diversi campioni di minerali, ponendo l’accento sul collegamento tra roccia e minerale in base alla genesi della stessa.

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I ragazzi sono poi stati divisi in coppie e a ciascuna coppia è stata consegnata una carta topografica in scala 1:25000 della Val Zebrù (estratto carta topografica Istituto Geografico Militare) e alcune matite colorate. Sulla carta topografica erano già stati tracciati i limiti tra le formazioni rocciose. Lungo la prima parte del percorso, i ragazzi hanno potuto osservare gli effetti dell’erosione sui depositi glaciali sciolti. In particolare, nella fascia più bassa dei versanti, costituita da tali materiali, sono ben evidenti le tracce di piccole frane e dissesti superficiali. Inoltre sono presenti almeno due torrenti, affluenti in sponda orografica destra del Torrente Zebrù, che portano a valle ingenti quantità di detriti. E’ stato così possibile illustrate ai ragazzi la dinamica dell’erosione fluviale e del trasporto dei sedimenti. Al ponte a valle di Zebrù di Fuori è stato chiesto ai ragazzi di fare il “punto in carta” e determinare la loro posizione sulla carta topografica consegnatagli all’inizio dell’itinerario. Inoltre hanno anche evidenziato con la matita azzurra o blu i corsi d’acqua che potevano riconoscere, osservando che tutti quelli sul versante nord della valle avevano origine alla stessa quota. Mostrando loro alcuni campioni di roccia prelevati sul luogo è stato chiesto di

riconoscerli e classificarli in base a quanto spiegato precedentemente. La stessa attività è stata ripetuta lungo il percorso in diversi punti, al fine di far riconoscere ai ragazzi i possibili tipi di rocce che si incontravano. In località Baite di Campo è stata effettuata la sosta più lunga. L’attività è stata divisa in due fasi. Durante la prima fase, i ragazzi, hanno imparato a riconoscere i cambiamenti litologici in base alle forme del territorio, agli allineamenti di sorgenti e al corso dei torrenti. Con le informazioni così assimilate hanno completato la carta geologica dell’area, distinguendo i diversi litotipi con diversi colori e identificando le faglie e i sovrascorrimenti. E’ stato infine chiesto loro come fosse possibile che formazioni rocciose di età molto differente fossero a contatto ed è stata spiegata la genesi della Catena alpina. Nella seconda fase, più ludica, i ragazzi, divisi in quattro squadre, hanno partecipato al gioco “Ricostruisci i minerali”, il cui scopo è ricostruire il puzzle raffigurante un dato minerale. Le tessere del puzzle sono state prima guadagnate da ogni squadra rispondendo esattamente a domande sugli argomenti trattati e poi attraverso una corsa a staffetta.

Fascia di età a cui è indirizzata l’attività Dai 7 ai 18 anni. In base all’età dei partecipanti viene utilizzato un lessico appropria-

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to e adatto alla comprensione dei ragazzi per la spiegazione degli argomenti.


Rif. Campo di Val Zebr첫 M.te Forcellino

Nib lon go

Cam po di F uor i

Niblongo

2000 1800 1600

0

1

2

3

4

5

5,9km


VALGANNA


VALGANNA AUTORE: Giuditta Galli e Matteo Panseri DATA: 25 novembre 2012 ESCURSIONE: Valganna SEZIONE ORGANIZZATRICE: CAI Besozzo PARTENZA: ex impianti miniera Valvassera (Valganna) (m. 450) ARRIVO: Monte Chiusarella (m. 913)

Caratteristiche tecniche DISLIVELLO IN SALITA: 500 m DISLIVELLO IN DISCESA: 500 m TEMPO TOTALE: 8h

DIFFICOLTA’: E TRASPORTI PUBBLICI: auto. treno, autobus PERIODO CONSIGLIATO: tutto l’anno

Descrizione del percorso L’itinerario prevede un giro ad anello che partendo dagli ex-impianti minerari posti sul fondovalle della Valganna (476,8 m s.l.m.) sale lungo il crinale del Monte Martica fino a raggiungere la strada militare, facente parte della Linea Cadorna, che collega il Monte Martica col Monte Chiusarella e con l’abitato di Bregazzana. Da qui con una piccola deviazione si risale verso la cima del Chiusarella. Il ritorno si sviluppa all’interno della selvaggia Valle Castellera, fino alla Miniera Valvassera (quota 640 m s.l.m.) dove inizia la strada sterrata che riporta agli impianti

di fondovalle. L’itinerario si sviluppa all’interno della Serie Vulcanica Permiana (granofiro), roccia di colore rossastro che costituisce il substrato roccioso del Monte Martica. In corrispondenza del Monte Chiusarella si assiste ad una variazione litologica con la comparsa della Dolomia di San Salvatore, di età anisico-ladinica. Lungo la Val Castellera è possibile osservare i resti delle strutture della miniera di galena argentifera della Valvassera, tra cui i resti di alcune fornaci, dell’impianto di flottazione e l’ingresso di alcuni cunicoli.

Descrizione dell’attività L’attività svolta aveva come scopo il riconoscimento dei differenti litotipi presenti e la loro relazione con la geomorfologia del territorio attraversato. Lungo l’itinerario sono stati individuati alcuni punti di sosta significativi per la compren-

sione dell’evoluzione della valle e delle forme del territorio. A ciascun partecipante è stato consegnato uno stralcio in formato A4 della Carta Tecnica Regionale in scala 1:10.000 e alcune matite colorate, da utilizzare durante

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l’escursione per la redazione di una carta geologica dell’area. Prima dell’inizio della camminata, è stato effettuato un richiamo sulla classificazione e sulle differenze tra le classi di rocce facendo vedere alcuni campioni. Inoltre, dopo un breve ripasso sull’utilizzo delle carte topografiche e sulla loro lettura è stato chiesto ai ragazzi di fare il “punto in carta” individuando la posizione in cui si trovavano, e di orientare la carta secondo i punti cardinali utilizzando anche le bussole. Durante le soste successive i ragazzi hanno analizzato il tipo di roccia presente, rappresentandolo in carta con un pallino colorato e realizzando una legenda geologica. Inoltre è stato affrontato l’argomento della permeabilità delle rocce e dell’evoluzione del reticolo idrografico superficiale in base ad essa, mettendo l’accento sul diverso sviluppo del reticolo sui due versanti della Valganna che indica la presenza di litotipi differenti. Sfruttando i punti panoramici presenti lungo il crinale e l’assenza del fogliame degli alberi, si è potuta analizzare la struttura della Valganna e osservare la presenza di litotipi differenti sia per genesi che per età. La spiegazione di tali variazioni litologiche è da collegarsi alla presenza di paleo-faglie legate all’evoluzione della Catena Alpina. Giunti alla base della deviazione per la

cima del monte Chiusarella si assiste ad una variazione litologica e alla comparsa della Dolomia di San Salvatore, il secondo litotipo presente nell’area attraversata. I ragazzi hanno rappresentato in carta con colore differente il nuovo litotipo, definendone le caratteristiche principali e hanno poi completato la carta colorando le aree con uguale litotipo. La presenza dei ruderi delle opere legate all’attività mineraria, che si rinvengono lungo la discesa nella Val Castellera, ci ha permesso di illustrare ai ragazzi l’attività estrattiva che ha avuto sede nella valle fino alla fine degli anni settanta. La miniera Valvassera estraeva principalmente piombo e argento da un filone impostatosi nei granofiri. Si possono ancora osservare i resti di una diga a gravità, lungo il torrente Castellera, diversi edifici e l’entrata di alcuni cunicoli sotterranei. In prossimità dell’apertura di uno di questi cunicoli sono ancora oggi visibili i cumuli di scorie derivanti dalla lavorazione del materiale in loco, alcune fornaci e i pilastri della teleferica utilizzata per portare a valle il materiale semilavorato. Con l’ausilio di alcune sezioni della miniera è stata illustrata ai ragazzi la struttura sotterranea dell’opera e le fasi di lavorazione del materiale.

Fascia di età a cui è indirizzata l’attività Dai 7 ai 18 anni. In base all’età dei partecipanti viene utilizzato un lessico appropria-

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to e adatto alla comprensione dei ragazzi per la spiegazione degli argomenti.


M.te Martica

VALGANNA

M.te Chiusarella

1000

Val gan na

Val gan na

Mo nte Chi usa rell a

Rasa

800 600 0

2

4

6

8

10

12 12,8km


ABBIAMO MOLTI SOGNI

MENO MALE!!!


IN MONTAGNA CON I NATURALISTI 50


ALPE VEGLIA


ALPE VEGLIA AUTORE: Simone Guidetti e Simona Colombo DATA: 16/17 giugno 2012 ESCURSIONE: Alpe Veglia SEZIONE ORGANIZZATRICE: CAI Giussano PARTENZA: San Domenico (m. 1.410 ) ARRIVO: Lago Bianco (m. 2.157) con pernottamento al Rifugio Città di Arona (m. 1.753)

Caratteristiche tecniche DISLIVELLO IN SALITA: 340m + 400m DISLIVELLO IN DISCESA: 740m TEMPO TOTALE: 5h

DIFFICOLTA’: T/E TRASPORTI PUBBLICI: auto, treno, autobus PERIODO CONSIGLIATO: da giugno a ottobre

Descrizione del percorso 1° giorno: salita all’Alpe Veglia (rifugio Città di Arona). Si parte dal paese di San Domenico e si segue la strada sterrata che in circa 2 ore, lungo il versante orografico destro della Val Cairasca, conduce all’Alpe Veglia ed al rifugio Città di Arona (dislivello 340 m). 2° giorno: dal rifugio al Lago Bianco (dislivello 400 m) e ritorno a San Domenico (dislivello -740 m). L’itinerario attraversa inizialmente un bellissimo lariceto con rodoro-vaccinieto, tipico del piano subalpino superiore per arrivare ai pascoli ad alta quota (nardeti) e

più in alto fino alle praterie alpine. Dal Lago Bianco si gode una magnifica vista sul massiccio del Monte Leone. Il ritorno al rifugio si effettua lungo il percorso dell’andata (occorrono circa 5 ore per percorrere l’intero itinerario comprese le pause per osservare e descrivere l’ambiente naturale). Deviazione verso il torrente a Nord del rifugio Città di Arona presso cui sgorga la sorgente di acqua ferruginosa. Ritorno a San Domenico seguendo il percorso del primo giorno.

Descrizione dell’attività L’attività è incentrata sul tema dell’acqua. - Attività all’aperto: gita con osservazioni naturalistiche e con riferimenti specifici all’acqua. Durante l’escursione, in prossimità di corpi idrici (torrente, lago, pozza, canale, cascata, ecc.), vengono affrontati argomenti come le principali caratteristi-

che di questa sostanza e le “fasi” in cui si presenta, la sua importanza per la vita, i suoi numerosi utilizzi (da quello “energetico” a quello potabile), la distribuzione dell’acqua sul pianeta, il ciclo idrogeologico, i cambiamenti climatici ed i problemi di inquinamento.

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Vengono prelevati 2 campioni di acqua proveniente rispettivamente da un torrente e da un canale proveniente da un vicino alpeggio; - Attività in rifugio: i ragazzi vengono suddivisi in 3 gruppi, a ciascuno dei quali viene distribuito un kit per l’analisi chimica speditiva della qualità dell’acqua (nitrati, cloruri, durezza, pH, ecc.), tramite cartine tornasole. Il primo gruppo analizza l’acqua prelevata dal torrente di fusione, il secondo l’acqua prelevata dal canale, il terzo l’acqua

proveniente dall’acquedotto comunale di Giussano. Scopo dell’attività è far comprendere che non sempre la qualità dell’acqua di montagna (dal punto di vista della potabilità) è migliore di quella dell’acquedotto cittadino e spiegarne i motivi. Materiale occorrente: 1 kit per l’analisi speditiva dell’acqua. Nel caso specifico è stato utilizzato l’ ImmediaTest Acqua Education, realizzato dalla Università degli Studi di Milano Bicocca.

Fascia di età a cui è indirizzata l’attività Vista l’attività proposta, si ritiene che la fascia d’età ideale vada dai 11-12 anni in su.

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Lago Bianco

Rif. Città di Arona

Alpe Veglia

2400

Lag oB ian co

San Do me nic o

Rif . Ci ttà di A ron a

San Domenico

2000 1600 0

1

2

3

4

5

6

7

8km


LIVIGNO PASSO CASSANA


LIVIGNO - PASSO CASSANA AUTORE: Simone Guidetti DATA: 9/10 luglio2011 ESCURSIONE: Livigno - Passo Cassana SEZIONE ORGANIZZATRICE: CAI di Bergamo - Sottosezione Albino Gazzaniga PARTENZA: Livigno (m. 1820) ARRIVO: 1° giorno Passo di Alpisella (m. 2285); 2° giorno Val Federia (Ponte Calcheira m. 1850) - Passo Cassana (m. 2694) - S-Chanf (Engadina m. 1700)

Caratteristiche tecniche DISLIVELLO IN SALITA: 500m + 850m DISLIVELLO IN DISCESA: - 1000m TEMPO TOTALE: 4h + 5,30h

DIFFICOLTA’: E TRASPORTI PUBBLICI: autobus PERIODO CONSIGLIATO: da luglio a settembre

Descrizione del percorso 1° giorno: facile itinerario che segue la pista ciclabile lungo il lago di Livigno, risale lungo la valle di Alpisella fino all’omonimo passo. Ritorno per la via dell’andata (circa 4 ore esclusa la sosta per il pranzo, dislivello 500 m). 2° giorno: traversata abbastanza lunga

di circa 8 ore comprese le pause (dislivello 850 m) che da Livigno risale la Val Federia, sale al rifugio Cassana e attraversa il valico tra Italia e Svizzera per poi discendere in val Chaschauna, nel Parco nazionale Svizzero.

Descrizione dell’attività Descrizione dell’ambiente alpino e osservazioni naturalistiche nell’area bormiese-livignasco, con particolarità legate al clima (continentale) alla geologia (varia da rocce acide a basiche), alle attività dell’uomo, cenni di geomorfologia legata alle forme glaciali, ai depositi di tipo morenico, fluviale o gravitativo. Descrizione dei piani altitudinali (vegetazione) e degli indici di presenza

degli animali. Approfondimento su ungulati. Ulteriore approfondimento su due animali tipici: il gipeto (specie reintrodotta) ed il gallo forcello (specie minacciata). Materiale occorrente: materiale didattico ed esempi degli indici di presenza degli animali (palco di cervo, camoscio, stambecco, penne-piume, resti di alimentazione, ecc.).

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Fascia di età a cui è indirizzata l’attività Dai 7-8 ai 18 anni (con impostazioni diverse a seconda dell’età per quanto

riguarda l’approccio dei giochi e delle spiegazioni didattiche).

Lago di Livigno

Pizzo del Ferro

La Pare Passo Alpisella

Monte Crapene

Liv ign o

Pas so A lpis ella

Livigno

2300 2100 1900

0

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1

2

3

4

5

6

7,2km


Alpe Chashauna

Punta Chashauna

Corna dei Cavalli Punta Torpione

Corno Brusadella

Il Motto

Pizzo Cassana

Lago di Livigno

Passo Cassana

2800 2600 2400 2200

Val Cha sha un a

Liv ign o

Pas so C ass ana

Alp eC has hau na

Livigno

2000 1800 0

2

4

6

8

10

12 12,8km

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MONTE BARRO


MONTE BARRO AUTORE: Simone Guidetti DATA: 6 maggio 2012 ESCURSIONE: Monte Barro SEZIONE ORGANIZZATRICE: CAI Valmadrera PARTENZA: Galbiate (LC) (m. 371) ARRIVO: Camporeso (stradina) (m. 420) e successivamente Baita Pescate

Caratteristiche tecniche DISLIVELLO IN SALITA: 50m DISLIVELLO IN DISCESA: 50m TEMPO TOTALE: 3h

DIFFICOLTA’: T TRASPORTI PUBBLICI: treno, autobus PERIODO CONSIGLIATO: tutto l’anno

Descrizione del percorso Da Galbiate si sale alla frazione di Camporeso dove si trova il Museo etnografico (visita). Una volta tornati a Galbiate per la stessa strada dell’andata, si prende un sentiero a mezzacosta in direzione dei resti della chiesa di San Michele. Da qui si raggiunge in breve la Baita Pescate. Lungo il sentiero, ben segnalato, si possono osservare numerose specie vegetali tipiche del territorio collinare prealpino (bosco misto di latifoglie). Le specie più frequenti sono nocciolo,

quercia roverella, acero campestre, robinia. Presso la Baita Pescate è presente un percorso didattico sulla flora presente nel Parco Regionale del Monte Barro (sia arborea che erbacea), in particolare alcuni endemismi. La Baita permette di effettuare attività sia all’aperto che all’interno, in caso di brutto tempo. Il ritorno avviene lungo il sentiero dell’andata. Il percorso totale, escluse le pause, è di circa 3 ore (dislivello circa 50 m).

Descrizione dell’attività Osservazione e descrizione del paesaggio. I ragazzi vengono divisi in gruppi da 5-6 individui ciascuno. Ad ogni gruppo viene consegnata una scheda di rilevamento del paesaggio che deve essere compilata quando vengono raggiunte determinate

“stazioni” (almeno 5), ovvero punti ritenuti idonei in quanto panoramici, da cui sia possibile scorgere emergenze naturalistiche oppure i segni dell’uomo, siano essi di valore storico-artistico (positivi) che elementi che deturpano l’ambiente (negativi).

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Mediante la descrizione e la discussione con gli accompagnatori, impiegando anche strumenti come la macchina fotografica, oltre la scheda di rilevamento, i ragazzi imparano a “guardarsi attorno” e ad interpretare quello che vedono sia in chiave naturalistica (elementi di geomorfologia e di botanica vegetazionale) che storico-culturale. In particolare dalla località Camporeso è possibile vedere la grande cava del monte Cornizzolo oltre che una panoramica generale della Brianza (nelle giornate di sereno con il cielo limpido la visuale spazia fino alla città di Milano) mentre dalla Baita Pescate situata sul versante opposto del Monte Barro si ha una visione completa della città di Lecco e sull’arco di montagne che la circonda. A seguito della discussione, ad ogni stazione viene attribuito un punteggio, stabilito in base alla percezione di ciascun gruppo. A seguire, dopo la pausa pranzo, si

svolge il gioco dei piani altitudinali (vedi materiale didattico del 7-7-2011), in cui i ragazzi, sempre divisi in gruppi, devono indovinare in quali piani vivono alcune specie animali e vegetali. Infine, vengono descritti i diversi indici di presenza degli animali (vedi materiale didattico del 29-5-2011). Oltre a quanto indicato il parco del Monte Barro può offrire altre esperienze didattiche come la visita alla stazione ornitologica di Costa Perla , il museo archeologico o il museo del Cetro Parco (http://www.parcobarro.lombardia.it/). Materiale occorrente: - 1 scheda di rilevamento del paesaggio, 1 matita e 1 macchina fotografica per gruppo. - Gioco su piani altitudinali (fogli A3) con sagome animali e vegetali. - Materiale didattico ed esempi di indici di presenza animale (palchi, corna, pigne, noci, penne, versi animali, ecc.).

Fascia di età a cui è indirizzata l’attività Dai 7-8 ai 18 anni (con impostazioni diverse a seconda dell’età per quanto

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riguarda l’approccio dei giochi e delle spiegazioni didattiche).


Pian Sciresa

Baita Pescate

San Michele Eremo M.te Barro M.te Barro

Camporeso

Lago di Garlate

San Mic hel e

Ba ita Pes cat e

Ga lbia te

Ga lbia te

Cam por eso

Galbiate

6

6,5km

425 400 375 350 0

1

2

3

4

5

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MONTE MOTTARONE


MONTE MOTTARONE AUTORE: Simone Guidetti DATA: 29 maggio 2011 ESCURSIONE: Monte Mottarone SEZIONE ORGANIZZATRICE: CAI Erba PARTENZA: Stresa (VB) m. 200 ARRIVO: Cima Mottarone m. 1492

Caratteristiche tecniche DISLIVELLO IN SALITA: 515 m DISLIVELLO IN DISCESA: 515 m TEMPO TOTALE: 2,5h

DIFFICOLTA’: E TRASPORTI PUBBLICI: treno, autobus PERIODO CONSIGLIATO: da maggio a novembre

Descrizione del percorso Da Stresa si prende la funivia sino al Giardino Alpino a 976 m di quota, da dove si inizia la salita alla cima del Mottarone. Il sentiero è di facile percorrenza e attraversa un’area boscata con specie tipiche delle aree lacustri, come faggi, aceri e betulle. Facendo una deviazione durante la salita è possibile osservare un cedro monumentale, una specie alloctona ornamentale. Si giunge attraverso sentieri tra boschi e alpeggi, alla stazione della "Borromea", cioè a ciò che resta dell'ultimo luogo di sosta della ferrovia a cremagliera che fino agli anni sessanta del secolo scorso collegava Stresa al Mottarone. Si tratta di

un pianoro ombroso a 980 slm. Seguendo quindi l'antico tracciato del trenino ci si innalza fino alle ultime alture. Il sentiero termina all’arrivo della funivia al Mottarone e si prosegue per la cima a quota 1.491 m, dove si gode un’ottima vista sulle montagne della Val Grande, sul massiccio del Monte Rosa e l’altra sponda del Lago Maggiore. Per il ritorno è possibile prendere direttamente la funivia ed effettuare una tappa al Giardino Alpino, dove si trovano esempi di specie autoctone e alloctone attraverso un percorso didattico. Si raggiunge nuovamente Stresa con la funivia.

Descrizione dell’attività Lungo il percorso di salita l’operatore fornisce spiegazioni sulla fauna e flora che si incontrano, in particolare si sottolinea la

differenza tra specie autoctone e alloctone. Ai partecipanti viene chiesto di raccogliere gli eventuali indici di presenza che

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trovano durante la camminata, quali penne, piume, borre, palchi, corna, semi.... Una volta raggiunta la meta, durante la pausa pranzo, l’operatore illustra, attraverso disegni, stampe, immagini e indici di presenza precedentemente raccolti, le principali caratteristiche della fauna di montagna, con particolare attenzione per

gli ungulati. Materiale occorrente Fotocopie con le descrizioni degli diversi indici di presenza, eventuali indici di presenza portati per l’occasione o raccolti lungo il percorso (palchi, penne, borre, semi...)

Fascia di età a cui è indirizzata l’attività Dai 7-8 ai 18 anni (con impostazioni diverse a seconda dell’età per quanto

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riguarda l’approccio dei giochi e delle spiegazioni didattiche).


Lago Maggiore

Alpe Giardino

Stresa

Giardino Alpino

M.t eM ott aro ne

Fun ivia -

Alp eG iar din o

Gia rdi no Alp ino

M.te Mottarone

1500 1300 1100

0

1

2

3

4

4,8km

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OLGIATE MOLGORA CAMPSIRAGO


OLGIATE MOLGORA - CAMPSIRAGO AUTORE: Simone Guidetti DATA: 14 ottobre 2012 ESCURSIONE: da Olgiate Molgora a Campsirago SEZIONE ORGANIZZATRICE: SEM Milano PARTENZA: Olgiate Molgora (LC) (m. 287) ARRIVO: Campsirago (m. 670)

Caratteristiche tecniche DISLIVELLO IN SALITA: 383m DISLIVELLO IN DISCESA: 383 m TEMPO TOTALE: 4h

DIFFICOLTA’: E TRASPORTI PUBBLICI: treno PERIODO CONSIGLIATO: tutto l’anno

Descrizione del percorso Dalla stazione di Olgiate (287 m) si attraversa il paese e, passando vicino ad alcune belle ville d’epoca a pochi minuti di cammino dalla stazione (Villa Sommi Picenardi – Villa Gola), si raggiunge la frazione di Mondonico (25 minuti), da cui partono alcuni sentieri. Appena sopra l’abitato di Mondonico è possibile vedere il piccolo ed interessante nucleo della “Madonna del Casino”. Da Mondonico, salendo per il sentiero

n. 2, in circa 20 min. si arriva al borgo di Monastirolo. Si prosegue in salita sempre in mezzo al bosco di castagni, querce e carpini, fino a raggiungere il crinale in prossimità della Crosaccia. Da qui si segue il crinale, sempre in salita, fino a raggiungere la località di Campsirago (1 h. da Monastirolo). Di qui si scende ad Olgiate Molgora per il sentiero n. 1.

Descrizione dell’attività Osservazione e descrizione del paesaggio (vedi Escursione n.1 con attività simile). Lungo il percorso i ragazzi sono stati guidati all’osservazione degli elementi rilevanti nei dintorni (ville ed emergenze paesaggistiche). In seguito, si sono divisi i ragazzi in gruppi da 5-6 individui ciascuno, ad ognuno dei quali è stata consegnata una

scheda di rilevamento del paesaggio, che doveva essere compilata quando si raggiungevano le più interessanti “stazioni”, ovvero punti ritenuti idonei in quanto panoramici o nei cui pressi si potevano individuare particolari “emergenze” naturalistiche oppure alcuni “segni dell’uomo”, sia di valore storico-artistico (positivi) che deturpanti nei confronti dell’ambiente

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Nello specifico sono state individuate 3 stazioni: - veduta di Mondonico dalla strada, - veduta di un orto a Monastirolo; - veduta d’insieme della pianura e delle colline da una radura sopra Monastirolo). Mediante la descrizione e la discussione con gli accompagnatori, impiegando anche strumenti come la macchina fotografica oltre la scheda di rilevamento , i ragazzi hanno avuto la possibilità di imparare a “guardarsi attorno” e ad interpretare quello che vedono sia in chiave naturalistica (elementi di geomorfologia e di botanica vegetazionale) che storico-culturale. A seguito della discussione, ad ogni stazione viene attribuito un punteggio, stabilito in base alla percezione di ciascun gruppo. A seguire, in loc. Campsirago, si è svolta l’attività di riconoscimento degli indici di presenza (vedi materiale didattico del 29-5-2011) e la descrizione degli stessi, con

un approfondimento sugli ungulati (circa 1 ora) e osservazione di vari reperti faunistici ritrovati in ambiente e mostrati ai ragazzi dagli accompagnatori. Inoltre, la rappresentazione di una fiaba della tradizione locale (importante elemento di trasmissione culturale) all’interno di una struttura gestita dal Comitato Parco, mediante l’utilizzo di strumenti utilizzati nel recente passato dalla popolazione del territorio (teatrino delle ombre), ha permesso ai ragazzi di rivivere gli svaghi e le emozioni dei giovani della loro età, approfondendo ulteriormente alcuni aspetti socio-culturali del luogo visitato. Materiale occorrente - 1 scheda di rilevamento del paesaggio, 1 matita e 1 macchina fotografica per gruppo. - Materiale didattico ed esempi di indici di presenza animale (palchi, corna, pigne, noci, penne, versi animali, ecc.).

Fascia di età a cui è indirizzata l’attività Dai 7-8 ai 18 anni (con impostazioni diverse a seconda dell’età per quanto

riguarda l’approccio dei giochi e delle spiegazioni didattiche).

Si ringrazia il Comitato Parco Locale Colle di Brianza per aver messo a disposizione accompagnatori esperti e strutture / attrezzature in occasione di questa attività.

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M.te San Genesio

Campiraso

M.te Crosaccia

Mondonico Monastirolo

Cam pir aso

Mo nas tiro lo

Mo nd oni co

700

Olg iat eM olg ora

Olgiate Molgora

500 300 0

1

2

3

4

5

5,5km


RIFUGIO MENAGGIO


RIFUGIO MENAGGIO AUTORE: Simona Colombo DATA: 8 maggio 2011 ESCURSIONE: Rifugio Menaggio SEZIONE ORGANIZZATRICE: CAI Erba PARTENZA: Breglia (CO) 752 metri ARRIVO: Rifugio Menaggio 1.383 metri

Caratteristiche tecniche DISLIVELLO IN SALITA: 631m DISLIVELLO IN DISCESA: 631m TEMPO TOTALE: 5h

DIFFICOLTA’: E TRASPORTI PUBBLICI: autobus PERIODO CONSIGLIATO: da maggio a ottobre

Descrizione del percorso Percorso adatto a tutti. Il sentiero "alto" malgrado uno sviluppo maggiore risulta comodo e panoramico, il sentiero "basso" si sviluppa quasi totalmente nel bosco è più diretto e ripido, ben segnalati entrambi permettono di realizzare un anello. Durante la salita, su sentiero ben segnalato, si possono osservare numerose specie vegetali tipiche del territorio, dato che siamo di fronte a un bosco misto maturo, ricco di biodiversità. Le specie più frequenti sono salicone, quercia rovere, acero di monte, noce, frassino, abete rosso, betulla, sorbo degli uccellatori,

sorbo montano, castagno e robinia. Raggiunto il rifugio Menaggio a quota 1.383 m, dopo aver percorso circa 630 m di dislivello, è possibile, nel prato antistante alla struttura, confrontare i lavori svolti durante la salita dai gruppi partecipanti. Durante la pausa pranzo, il panorama che si osserva dal rifugio consente di proporre un’attività di topografia e orientamento. La discesa viene effettuata lungo un sentiero alternativo alla salita, realizzando così il giro ad anello. La vegetazione che si incontra è la medesima su entrambi i percorsi.

Descrizione dell’attività L’attività didattica proposta riguarda la conoscenza e il riconoscimento delle specie vegetali presenti lungo il percorso. E’ stato predisposto un gioco a gruppi, da svolgere lungo tutta la salita. All’inizio della

giornata vengono distribuiti a ciascun gruppo due fogli: un primo foglio con le foto delle foglie delle specie presenti e un secondo foglio con i rispettivi tronchi. Durante il percorso i gruppi devono

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abbinare foglie e tronchi della stessa specie, indicandone eventualmente il nome. L’operatore, lungo il percorso, supporta i gruppi, fornendo informazioni sull’ambiente circostante, sulle specie vegetali presenti e sul gioco in corso. Giunti alla meta, l’operatore fornisce i risultati degli abbinamenti foglie/tronchi, descrive le specie vegetali incontrate e l’ambiente circostante. Inoltre è possibile aggiungere un’altra attività di “abbinamento”, predisponendo un foglio con le foto dei frutti delle specie presenti. Quindi di una singola specie è possibile riconoscere il tronco, le foglie e i frutti attraverso un’attività ludica. I partecipanti sono stimolati all’osservazione diretta della natura che li circonda.

Al rifugio viene svolta l’attività di orientamento, che consiste nel mostrare l’utilizzo essenziale degli strumenti per l’orientamento (carta, bussola e altimetro) e nel far calcolare un azimut ai ragazzi (sempre divisi in gruppi) e nel i “leggere” le curve di livello. Materiale occorrente: per l’attività sulle specie vegetali, l’operatore deve fornire ai gruppi due fogli: uno con le foto delle foglie e uno con le foto dei tronchi delle specie indivuati, matite o penne. Un terzo foglio con le foto dei frutti come attività aggiuntiva. Per l’attività di orientamento, devono essere fornite fotocopie della cartina della zona del percorso, una bussola, un righello e matite, scheda didattica “Strumenti per l’orientamento in montagna”.

Fascia di età a cui è indirizzata l’attività Dai 7-8 ai 18 anni (con impostazioni diverse a seconda dell’età per quanto

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riguarda l’approccio dei giochi e delle spiegazioni didattiche).


M.te Grona

Rif. Menagio

Pizzo Cupa

Bre glia

Rif .M ena ggi o

Breglia

1400 1200 1000

800 0

1

2

3

3,8km


ABBIAMO IDEE

CHIARE


IN MONTAGNA CON L’ARCHITETTO 76


VALVARRONE PREMANA

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VALVARRONE - PREMANA AUTORE: Giuseppe Dei Cas DATA: 29 maggio 2011 ESCURSIONE: Valvarrone - Premana SEZIONE ORGANIZZATRICE: CAI Montevecchia PARTENZA: Premana (m. 770) ARRIVO: Alpe Barconcelli (m. 1415)

Caratteristiche tecniche DISLIVELLO IN SALITA: 645m DISLIVELLO IN DISCESA: 645m TEMPO TOTALE: 4h

DIFFICOLTA’: E TRASPORTI PUBBLICI: treno, autobus PERIODO CONSIGLIATO: estate

Descrizione del percorso Lasciata l’auto al parcheggio della zona industriale di Premana (m 770), si oltrepassa il ponte in pietra e salendo lungo la carrareccia si costeggia il torrente sul lato orografico sinistro dell’omonima valle inoltrandosi subito in un ambiente ricco di vegetazione e corsi d’acqua. In pochi minuti si raggiunge il nucleo di Gabbio costeggiando pareti rocciose e cascate d’acqua ed attraversando più volte suggestivi ponti in pietra. Così anche le piccole architetture del nucleo di Gabbio evocano lo stile costruttivo della tradizione locale attraverso piccoli rustici dalle forme semplici realizzati con sassi di torrente. Lasciato il nucleo di Gabbio si continua a salire di quota uscendo finalmente da una folta vegetazione per aprirsi ad una radura prativa da dove si incominciano ad intravedere i due nuclei di Alpe Forno e Alpe Barconcelli. Raggiunto Alpe Forno si può osservare sul versante solivo della valle le peculiari-

tà del luogo, dove, aggrappati al ripido pendio, piccoli edifici addossati gli uni agli altri si sono sviluppati attorno alla casera, luogo centrale della vita agricola tradizionale. Collegati tra loro da una stretta via centrale a gradoni intervallata da piccoli fazzoletti di terreno adibiti a terrazze e cortili, gli antichi rustici, un tempo adibiti a stalle e fienili, oggi sono stati ristrutturati e riconvertiti in alloggi di vacanza temporanea dalla popolazione locale. Infine, lasciata la carrareccia che porta al rifugio Varrone si compie l’ultimo tratto del percorso su sentiero raggiungendo in breve tempo i maggenghi dell’Alpe Barconcelli, qui è ancora possibile ammirare testimonianze della vita contadina d’un tempo con gli antichi edifici raggruppati attorno il centro della vita paesana, dove sono tutt’ora presenti il lavatoio, le stalle e la casera

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Descrizione dell’attività 1. Lungo il percorso: caccia al tesoro fotografica (anni 8-14) I ragazzi, dotati alla partenza di una cartina, dovranno associare i posti segnalati sulla mappa ad alcune fotografie sotto riportate (precedentemente scattate durante il sopralluogo) che mostrano i luoghi più suggestivi del percorso e gli elementi più importanti della vita contadina realizzati in pietra e facilmente ritrovabili lungo la strada (abbeveratoio, cappella votiva, macina, ecc…). 2. Ad Alpe Barconcelli: caccia al tesoro (anni 11-14)

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Riscoperta dei luoghi caratteristici della vita contadina in alpeggio attraverso la risoluzione di rebus, anagrammi e altri giochi enigmistici. I luoghi interessati sono: la casera, il lavatoio, la legnaia, la santella, il fontanile, la stalla. 3. Ad Alpe Forno: Visita alla casera (anni 8-14) Spiegazione generale e dimostrazione sulla lavorazione del latte da parte degli esperti locali attraverso la vera e propria produzione del formaggio locale da parte del malgaro con l’aiuto dei partecipanti.


Premana

Loc. Giabbio Pizzo Cavallo Alpe Forno

Pizzo D’Albèn

Alp eB arc onc elli

Alp e Fo rno

1400 1200

Pre ma na

Alpe Barconcelli

1000 800 0

1

2

3

4

5

5,3km


TEMPIETTO DI SAN FEDELINO GERA LARIO


TEMPIETTO DI SAN FEDELINO - GERA LARIO AUTORE: Arch. Giuseppe Dei Cas DATA: 22 aprile 2012 ESCURSIONE: Tempietto di San Fedelino - Gera Lario SEZIONE ORGANIZZATRICE: CAI Lecco PARTENZA: Samolaco (SO) (m. 236) ARRIVO: Gera Lario - Tempietto di San Fedelino (m. 329)

Caratteristiche tecniche DISLIVELLO IN SALITA: 166m DISLIVELLO IN DISCESA: - m TEMPO TOTALE: 3h

DIFFICOLTA’: TE TRASPORTI PUBBLICI: treno, autobus PERIODO CONSIGLIATO: tutto l’anno

Descrizione del percorso Lasciata l’auto presso il parcheggio del campo sportivo all’ingresso del paese di Samolaco, si comincia la passeggiata verso la frazione di Casenda. Una volta abbandonata la strada asfaltata si seguono ora le indicazioni per San Giovanni all’Archetto proseguendo lungo l’antica strada Regia fino a raggiungere i resti dell’antica chiesa. Pressoché rimasta allo stato di rudere, la chiesa di San Giovanni all’Archetto rimane oggi una delle bellezze storico artistiche del periodo romanico; assieme ai resti delle due fornaci poco distanti, rappresentano inoltre le uniche testimonianze sull’esistenza del piccolo borgo di Summu Lacu, costruito durante l’impero romano per scopi difensivi e daziali. Attraversato il ponticello, si prosegue la passeggiata lungo la cosiddetta Via Regina, costruita intorno il 200 d.c. dai romani per collegare Milano a Coira; nonostante i vari detriti alluvionali depo-

sitatisi nel tempo, in alcuni tratti della strada sono ancora ben visibili parti di acciottolato realizzate dai soldati dell’imperatore Settimio Severo. Raggiunta più avanti una biforcazione, è possibile abbandonare il percorso che prosegue lungo la sponda del fiume Mera e svoltare a destra salendo per il sentiero che si addentra in un suggestivo bosco di castagni verso l’Alpe di Teolo. In cima alla breve salita si raggiungono alcuni resti di baite e delle tradizionali grèe, costruzioni caratteristiche in pietra impiegate per l’essicazione delle castagne. Attraversato il castagneto si scende dolcemente fino a raggiungere uno spettacolare poggio roccioso posto in cima ad una falesia da cui è possibile ammirare una splendida panoramica sul lago di Novate Mezzola ed il monte Legnone. Lasciato il punto panoramico, conosciuto anche come “Salto delle capre” per via della sua leggenda, si scende attraver-

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so un ripido sentiero, interrotto solo nell’ultima parte da un tratto pietroso, fino a ricollegarsi alla stradina che percorre la riva del fiume Mera. Infine, si svolta a sinistra e pochi metri più avanti si raggiunge una piccola radura, dove, addossata alla parete rocciosa, sorge il tempietto di San Fedelino.La chiesetta da poco restaurata, trovandosi completamente isolata in un piccolo angolo sugge-

stivo del lago, rappresenta non solo una delle poche testimonianze dell’epoca romanica rimaste completamente intatte, ma anche una perfetta armonia tra opera architettonica ed ambiente naturale. Il ritorno può essere effettuato seguendo il sentiero pianeggiante che costeggia il fiume Mera dove è possibile osservare uccelli e specie acquatiche tipici delle zone lacustri.

Descrizione dell’attività 1. All’interno del castagneto: Alla chiesa di San Giovanni all’Archetto: osservazione dei resti romanici e racconto sulle origini del luogo (anni 8-12) All’interno del Castagneto: brevi nozioni sulla castanicoltura in Valchiavenna ed osservazione delle antiche “grèe” (anni 8-12) Attraverso l’ausilio di un breve racconto locale ai ragazzi verranno fornite semplici

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nozioni sulla filiera del castagno, soprattutto sugli usi e le consuetudini storiche locali. 2. Al tempietto di “San Fedelino”: La leggenda di “Fedelino” (anni 8-10) Dopo aver ascoltato la leggenda di San Fedelino, i bambini, attraverso l’ausilio di una scheda indicativa, saranno incoraggiati a riscrivere la leggenda di Fedelino facendo uso di nuovi scenari e personaggi di loro fantasia.


Samolaco Loc. Casenda

Novate Mezzola

San Fedelino Monte Peschiera

Loc . Ca sen da

San Fed elin o

Lago di Mezzola

350 300 250

0

1

2

3

3,6km

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PARCO DI MONTEVECCHIA E DELLA VALLE DEL CURONE


PARCO DI MONTEVECCHIA E DELLA VALLE DEL CURONE AUTORE: Giuseppe Dei Cas DATA: 17 aprile 2011 ESCURSIONE: Parco di Montevecchia e della Valle del Curone SEZIONE ORGANIZZATRICE: CAI Montevecchia PARTENZA: Frazione Monte di Rovagnate (LC) (m. 363) ARRIVO: Cascina Butto a Montevecchia (LC) (m. 380)

Caratteristiche tecniche DISLIVELLO IN SALITA: 100m DISLIVELLO IN DISCESA: 150m TEMPO TOTALE: 2h

DIFFICOLTA’: E TRASPORTI PUBBLICI: treno, autobus PERIODO CONSIGLIATO: tutto l’anno

Descrizione del percorso Dal piazzale della chiesa si risale la collina verso il punto panoramico dei Cipressi; raggiunto il crinale si svolta a destra e si prende il sentiero che porta alle cascine, dapprima alla cascina Costa e poi a Galbusera Nera. Lungo il percorso è possibile leggere la particolare morfologia del territorio, il contrasto tra l’area urbanizzata ed il verde del Parco, fino a raggiungere le cascine di Galbusera Nera dove forti sono i segni lasciati nel paesaggio dall’uomo con i versanti esposti a sud dedicati all’agricoltura. Attorno il nucleo rurale infatti i terrazzamenti realizzati con la tradizionale tecnica costruttiva dei muretti a secco permettono la coltivazione della vite da parte di piccole aziende vinicole, oltre alla coltura di erbe officinali. Scendiamo a valle e arriviamo al piccolo borgo rurale di Cascina Bagaggera,

importante testimonianza storica della vita agricola di pianura con la tipica casa a corte formata da un edificio padronale, la stalla, il granaio, l’osteria, il forno, circondati tutti da un’estensione di campi una volta coltivati a cereali ed ora lasciati a prato. Oltre a visitare i luoghi della vita quotidiana è al contempo stesso interessante osservare la particolare tecnica costruttiva degli edifici realizzati con i materiali poveri della tradizione locale. Lasciata la carrareccia si risale la collina passando per Cascina Valfredda dove è ancora presente una sorgente nelle vicinanze dell’abitato ed una piccola fontana realizzata semplicemente con lastre di pietra appoggiate lungo la riva del corso d’acqua, fino a raggiungere Cascina Butto a Montevecchia oggi nuova sede del Parco.

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Descrizione dell’attività 1. Lungo il percorso: osservazione del paesaggio e dei “segni dell’uomo” sul territorio. 2. Galbusera Nera: visita alle cantine ed ai terrazzamenti dell’azienda vinicola “La Costa” attraverso un interessante confronto fra le vecchie e le nuove tecniche di vinificazione. 3. Cascina Bagaggera: gioco sugli attrezzi della tradizione (anni 8-14) I ragazzi aiutati dagli accompagnatori, dovranno “mettersi in gioco” cercando di associare i nomi scritti in dialetto su dei cartellini agli attrezzi della tradizione contadina (portati appositamente per la giornata), e, se in qualche caso risultasse a loro difficile l’abbinamento, saranno facilitati attraverso delle immagini stampate che ne mostrano il loro utilizzo durante l’attività contadina e dunque farne capire la loro utilità (le foto sono accoppiate a ciascun nome dialettale, ma che all’inizio dovranno rimanere coperte e girate via via durante il gioco nel momento in cui ciascun attrezzo è stato individuato). Cascina Bagaggera: gioco dei sapori (anni 8-12) I bambini, una volta bendati, dovranno con i soli sensi del gusto e dell’olfatto riconoscere quale tipo di pane stanno assaporando (grazie alle diverse tipologie

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messe a disposizione dal fornaio della cascina); successivamente dovranno assaggiare due tipi di formaggio (quello di capra e quello vaccino) ed individuarne o quantomeno capirne la differenza di provenienza tra quello fatto con il latte di capra e quello di vacca. Il senso è anche quello di fare esprimere i bambini sulle loro sensazioni e sulle differenze di gusto che hanno provato durante i vari assaggi. 4. Cascina Valfredda: gioco dell’acqua (anni 8-14) I ragazzi proveranno a ripetere una delle tradizionali attività contadine che prevede il trasporto dell’acqua dalla fontana alla cascina attraverso l’utilizzo di due secchi e del tipico “bager”; come in una staffetta dovranno riempire un contenitore millimetrato aiutandosi con un mestolo fatto passare di mano in mano. 5. Cascina Butto:costruzione di un muretto a secco (anni 8-14) Guidati da un esperto, i ragazzi suddivisi per gruppo impareranno a costruire un muretto in pietra secondo la tradizionale tecnica “a secco”, cercando di cogliere le qualità di un manufatto costruito senza l’aiuto delle tecnologie moderne e la necessità di fare squadra per realizzare un opera che deve necessariamente durare nel tempo.


Pianello Monte C.na Costa

C.na Gabusera Nera C.na Gabusera Bianca C.na Malnido Fornace Inferiore Bagaggera

C.na Butto

C.n aB utt o

For nac e In fer ior e Ba gag ger a

C.n aC ost C.n a aG C.n albus a G era alb Ne use ra ra B ian ca

450

Pia nel lo

Mo nte

Montevecchia

400 350 300 0

1

2

3

4

5

6

7,2km

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VAL PERLANA ABBAZIA DI SAN BENEDETTO


VAL PERLANA - ABBAZIA DI SAN BENEDETTO AUTORE: Giuseppe Dei Cas DATA: 15 aprile 2012 ESCURSIONE: Val Perlana - Abbazia di San Bendetto SEZIONE ORGANIZZATRICE: CAI Calolziocorte PARTENZA: Ossuccio (CO) (m. 235) ARRIVO: Abbazia di San Benedetto (m. 815)

Caratteristiche tecniche DISLIVELLO IN SALITA: 620m DISLIVELLO IN DISCESA: 620 m TEMPO TOTALE: 4h

DIFFICOLTA’: E TRASPORTI PUBBLICI: auto e autobus PERIODO CONSIGLIATO: primavera e autunno

Descrizione del percorso Salendo verso la parte alta di Ossuccio si lascia l’auto in uno dei piccoli parcheggi disponibili sul bordo strada della via per il Santuario e si incomincia la salita a piedi percorrendo la ripida carrareccia che porta alla Madonna del Soccorso. Lungo la strada acciottolata della Via Crucis si incontrano le cappelle seicentesche ognuna dedicata ai misteri del rosario, dove all’interno si trovano statue in terracotta che rappresentano l’episodio a cui la cappella è dedicata. Da pochi anni l’intero complesso del Sacro Monte di Ossuccio è entrato a far parte del Patrimonio Mondiale dell’Umanità riconosciuto dall’Unesco per le sue qualità storico artistiche. Proseguendo il cammino lungo la ripida strada acciottolata si raggiunge il nucleo rurale di Preda dopodiché, al bivio, si gira a destra verso l’Abbazia di San Benedetto.

Da qui il percorso prosegue in un ripetersi di brevi saliscendi all’interno di un suggestivo bosco di faggi e castagni aprendosi di tanto in tanto a piccole radure prative che permettono suggestivi scorci del paesaggio lariano. Dopo circa un paio d’ore di cammino si raggiunge l’Abbazia di San Benedetto; incastonata tra pendii e piccoli terrazzamenti un tempo coltivati si pone in un angolo di pace e tranquillità. La chiesa benedettina ripropone le forme architettoniche consuete del periodo romanico comasco, caratterizzata da pochi motivi decorativi sulle pareti laterali mentre nella zona absidale piccoli archetti separati da semicolonne e lesene abbelliscono l’aspetto della facciata in maniera molto sobria; così, anche il campanile a base quadrata e l’attiguo convento, privi di decorazioni, conservano l’aspetto delle tradizionali costruzioni medioevali.

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Al ritorno Si percorre il sentiero che prosegue in piano oltre il complesso monastico andando verso il torrente di fondovalle; attraversare il ponte continuare su sentiero fino a raggiungere un’ampia mulattiera che vi accompagnerà fino a raggiungere l’antica abbazia dell’Acquafredda. Poco sotto L’abbazia un ponte un po’

nascosto ci riporta a Ossuccio e ai parcheggi ai piedi del Santuario della Madonna del Soccorso. IN CASO L’USCITA VENISSE EFFETUATA CON PULLMAN , QUESTO VA LASCIATO NEI DINTORNI DELLA ROTONDA APPENA LASCIATA LA STATALE AL BIVIO PER OSSUCCIO

Descrizione dell’attività All’Abbazia di San Benedetto: caccia al tesoro (anni 12-14) I ragazzi, divisi per gruppi, saranno dotati di un foglio con la rappresentazione schematica della chiesa di San Benedetto;

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attraverso un’attenta osservazione delle facciate dovranno individuare i vari elementi architettonici e, compilando la scheda scoprire qual è l’oggetto mancante tipico della tradizione costruttiva romanica.


San Benedetto

Lenno

Len no

Oss ucc io

900 700

S. B ene det to

Ossuccio

500 300 0

1

2

3

4

5

6

7

8 8,3km


NON ABBIAMO

GRILLI PER LA TESTA


ATTIVITÀ REGIONALI


Il Raduno Regionale Lombardo di Alpinismo Giovanile Il Raduno Regionale Lombardo di Alpinismo Giovanile è una attività tipica e tradizionale della C.R.L.A.G. (Commissione Regionale Lombarda di Alpinismo Giovanile). Si svolge per consuetudine la prima domenica di giugno e può essere organizzato dalla C.R.L.A.G oppure dalla stessa in collaborazione con una o più sezioni C.A.I. per competenza di territorio di svolgimento. Il raduno è rivolto a tutti i gruppi di AG regionali con invito anche ad altre regioni ed è un momento di incontro e di scambio tra ragazzi ma anche tra Accompagnatori. E’ un grande momento di “festa dell'AG" a livello regionale.

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Durante la giornata si associa un breve e facile percorso a giochi ed attività caratteristiche degli obiettivi dell'AG. L'organizzazione dello stesso nell'ambito del Progetto V.E.T.T.A. ha permesso, grazie alla collaborazione tra professionisti ed Accompagnatori, un’offerta più ampia e costruttiva verso i giovani e un momento di crescita per gli Accompagnatori.

Piera Eumei Presidente C.R.L.A.G. 2011/2014 Moreno Sironi Vice Presidente C.R.L.A.G. 2011/2014



RADUNO REGIONALE DI ALPINISMO GIOVANILE MONTE BARRO - 5 GIUGNO 2011


RADUNO REGIONALE DI ALPINISMO GIOVANILE

DATA: 5 giugno 2011 ESCURSIONE: Raduno Regionale di Alpinismo Giovanile SEZIONE ORGANIZZATRICE: C.R.L.A.G. con CAI LECCO PARTENZA: loc. Bione – Lecco (m. 215) ARRIVO: Pian Sciresa (m. 440)

Caratteristiche tecniche DISLIVELLO IN SALITA: 235m DISLIVELLO IN DISCESA: 235m TEMPO TOTALE: 3h

DIFFICOLTA’: E TRASPORTI PUBBLICI: treno e autobus PERIODO CONSIGLIATO: tutto l’anno

Descrizione percorso Partendo dalla stazione ferroviaria o lasciata l’auto nella zona dell’area sportiva di Lecco-Bione si raggiunge l’abitato di Pescate costeggiando il lago lungo la pista ciclo pedonale del suggestivo borgo di Pescarenico. Attraversiamo il ponte Azzone Visconti (o Ponte Vecchio) e prendiamo la viuzza posta sul lato opposto della strada statale ben indicata dalla cartellonistica del parco naturale. Saliamo per una carrareccia a gradoni fino a raggiungere la Baita Pescate, oggi piccolo centro visitatori del Parco. Prendiamo ora il sentiero e saliamo fino la Chiesa di San Michele, settecentesca chiesa incompiuta dedicata all’Arcangelo, oggi centro di eventi cultu-

rali. Svoltiamo a destra e continuiamo in salita per il sentiero fino a raggiungere l’area di Pian Sciresa. La presente gita è stata oggetto del Raduno Regionale Lombardo di Alpinismo Giovanile e lungo il percorso erano presenti 3 stazioni: una di carattere naturalistico, la seconda di tipo architettonico e la terza di argomento geologico; mentre all’arrivo a Pian Sciresa erano predisposte diverse postazioni affinché tutti i ragazzi partecipanti potessero cimentarsi in vari giochi e stare insieme divertendosi. E’ un percorso adatto a tutti, famiglie gruppi e scolaresche.

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Adda

Malgrate Ex CavaMossini

Lecco

Pian Sciresa

Baita Pescate

San Michele

Lago di Garlate

500

Pia nS cire sa

Loc . Bi one

Ba ita P San esca MIc te hel e

Loc. Bione

400 300 200 0

1

2

3

4

4,8km


Attività Geologica - Francesco Viviani Fascia di eta’ a cui e’ indirizzata l’attivita’ L’attività proposta è pensata per coinvolgere, far riflettere e stupire bambini, ragazzi di ogni età e perché no anche i più grandi, spinti a riflettere sul come siano possibili certi fenomeni e sulla grandezza e bellezza della natura che ci circonda. Terminologia, grado di approfondimento e spiegazioni inerenti il come, il dove e il perché di alcuni strani fenomeni che caratterizzano l’esperimento, variano logicamente in funzione dell’età, delle conoscenze e della partecipazione dei ragazzi. Materiale necessario per effettuare l’attività geologica. L’attività geologica riguarda la potabilizzazione, o meglio purificazione dell’acqua. Per coinvolgere tutti i componenti dei gruppi (20-25 unità) e suscitare il loro interesse, i ragazzi sono invitati a riempire lungo il percorso (dalla partenza fino alla terza stazione) metà di una bottiglia di plastica trasparente, incolore e senza etichetta, con acqua che scelgono loro dove prendere, ad esempio da una fontana, dal ruscello che attraversano, dal lago che costeggiano o dalla sorgente che incontrano poco prima della seconda stazione (abitato di S. Michele). L’acqua raccolta viene da loro “sporcata” con pugnetti di terra, sassi, sassolini, sabbia, foglie, fili d’erba, pezzettini di rametti/legnetti o quant’altro viene loro in mente, purché il

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materiale introdotto non superi i 2 cm di lunghezza, entri ed esca agevolmente dal collo della bottiglia, e senza esagerare con terra e sabbia che trasformerebbero l’acqua in fango. Giunti così alla stazione, la bottiglia dovrebbe presentare ancora uno spazio di 5-6 cm che permette di agitare e miscelare il contenuto. In aggiunta alla bottiglia che portano i ragazzi, il materiale di facile reperibilità necessario per il piccolo esperimento può essere così riassunto: - una bottiglia del tutto simile a quella portata dai ragazzi; - una bottiglia con il fondo tagliato ed un buco nel tappo riempita dal basso verso l’alto con strati successivi (di circa 5 cm) di sassi, sassolini, ghiaietto, sabbia grossa pulita, sabbia fine pulita ed in cima un letto di foglie ed erba; - una bottiglia contenente acqua salata; - cannuccia o qualsiasi oggetto presente in natura che possa svolgere una simile funzione. Attività Geologica: ”Beviamo l’acqua ... sporca?!?” Il tempo minimo necessario per svolgere l’attività, coinvolgendo e facendo riflettere i ragazzi, si aggira sulla decina di minuti circa, ma volendo far cercare tutto il materiale ai ragazzi nella natura che li circonda, si può dedicare anche un’oretta. L’esperimento sembra tratto dal “Manuale delle Giovani Marmotte” o da un Corso di sopravviven-


za attirando l’attenzione di tutti. Salendo insieme lungo il sentiero i ragazzi si sono divertiti a mettere nella bottiglia tutto ciò che gli veniva in mente, ma potrebbe succedere che durante un’escursione in montagna si arrivi in un punto, come quello in cui ci si trova, in cui di acqua non se ne vede o è presente solo qualche pozzanghera lasciata dall’ultimo temporale. Sentendo il desiderio o la necessità impellente di bagnarsi la bocca, verrà in mente che l’acqua nello zaino è finita e mai e poi mai verrà voglia di bere l’acqua dalla bottiglia che per divertimento si è sporcata e che molto assomiglia a quella delle pozzanghere. Cosa si potrà fare per renderla “bevibile”? Si ascoltano le proposte (alcune molto divertenti) dei ragazzi, dopodiché se il silenzio e lo sconforto prevalgono, si può dare loro qualche piccolo suggerimento che li stimoli alla riflessione: ad esempio cosa succederebbe se si lasciasse riposare l’acqua nella bottiglia, evitando di agitarla. I sedimenti andranno verso il basso, e in particolare quelli più pesanti giungeranno per primi sul fondo (sassi e ghiaia), la sabbia ci impiegherà qualche secondo in più, la terra che dapprima sporcava l’acqua si depositerà pian piano pure lei, mentre fili d’erba, foglie, petali, fiori e rametti (materiale organico) continueranno a galleggiare sull’acqua. Fra lo strato di materiale sedimentato e quello galleggiante, rimarrà così una porzione d’acqua che diventerà via via più limpida con il passare del tempo. L’acqua pulita che si vorrà tanto poter

bere si vede all’interno della bottiglia ma come si potrebbe fare per riuscire a berla? Alzando la bottiglia come si fa solitamente è impossibile perché tutto lo “sporco” che sembrava depositato e ben separato si mescolerà nuovamente con l’acqua pulita vanificando gli sforzi. Qualcuno suggerirà l’uso di una cannuccia che mossa con attenzione e calma attraverso il primo strato, e senza avvicinarsi troppo al materiale sul fondo, permetterà di succhiare un po’ della sospirata “acqua pulita”. Questo metodo per ottenere acqua pulita richiede un po’ di tempo necessario alla decantazione delle particelle più fini; si può preparare, per meglio chiarire il fenomeno, un’altra bottiglia d’acqua simile a quella sporcata dai ragazzi ma lasciandola ferma per ore in modo da evidenziare quanto i ragazzi hanno potuto solo intuire in pochi minuti. Il modo di purificare l’acqua appena descritto, seppur convincente ed utile richiede dunque troppo tempo per ricavarne una buona quantità. Ma esiste un altro modo che si può adottare per ricavare un po’ di “acqua potabile” Viene usata la bottiglia predisposta con tappo forato e con un tubicino opzionale nello stesso, fondo tagliato e riempita dal basso verso l’alto da strati di sedimenti di granulometria via via inferiore, dai sassi alla sabbia fine pulita. Basterà svuotarci dentro l’acqua sporca e si osserverà che dal tubicino esce acqua molto ma molto più pulita: trasparente, limpida e all’apparenza potabile. Si potrà provare ad assaggiarla ed infatti non ha un sapore sgradevole. Si chiede ai ragazzi di provare a spiegare e spiegarsi come

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sia potuto accadere un fenomeno così strano, per molti mai visto prima. Non c’è logicamente stato nessun trucco o miracolo, ma è stato semplicemente ricreato in miniatura o meglio all’interno di una bottiglia la natura che ci circonda, con le rocce più grandi (sassi) in profondità, lo strato di roccia alterata (ghiaia e sabbia) qualche decimetro sotto i nostri piedi ed il materiale più fine (sabbia) entro cui affondano le radici le piante e gli organismi vegetali (fili d’erba, foglie, rametti) in prossimità della superficie terrestre. L’esperimento riproduce dunque ciò che avviene tutti i giorni in prossimità di una sorgente, come quella incontrata dai ragazzi in prossimità della seconda attività di giornata: l’acqua piovana o proveniente dallo scioglimento di neve e ghiaccio in quota, percorre nel sottosuolo moltissimi metri fra tipi di terreno e rocce diverse, venendo a giorno pulita e invogliandoci a berla. Lo “sporco grossolano” della bottiglia preparata dai ragazzi non passa attraverso i microscopici tubicini e canali presenti fra i granelli di sabbia, fermandosi così in alto, mentre le particelle più fini che superano questi primi strati tendono ad aderire alle pareti dei sassi sottostanti. Pensando a come l’acqua viene depu-

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rata nei 20-30 centimetri di ghiaia e sabbia presenti nella bottiglia è facile intuire e immaginare quanto può depurarsi durante le migliaia di metri percorse all’interno delle montagne e nel sottosuolo. Come ultima parte dell’esperimento si versa un pochino di acqua salata nella bottiglia appena usata per depurare l’acqua e si chiede ai ragazzi se l’acqua che uscirà dal tubicino sarà ancora salata oppure no, visto che il precedente esperimento ha “trasformato” l’acqua putrida in acqua potabile. Dopo un piccolo assaggio e smentendo quanto la maggior parte delle persone possa pensare, l’acqua esce ancora salata. Il “miracolo” questa volta non è avvenuto perché le sostanze disciolte all’interno dell’acqua e trasportate in soluzione non vengono trattenute dai filtri naturali creati dagli strati di sabbie e ghiaia, ma passano indisturbate e restano sempre legate all’acqua che le trasporta. Riflettendo per un attimo ancora si può concludere che l’acqua sporcata dalla natura (sedimenti + sostanza organica) si può filtrare e potabilizzare, mentre quella inquinata dall’uomo (con sale, inchiostro, sostanze nocive e tossiche) rimane tale.



Attività paesaggistica archittettonica - Giuseppe Dei Cas Descrizione Attività Alla Chiesa di San Michele: per avere l’attenzione dei bambini nei quindici minuti messi a disposizione di ciascun gruppo l’intento è quello di interagire con loro nel raccontare brevemente la storia della Sagra interponendo una serie di domande che prevedano risposte dettate dalla loro fantasia oppure ispirandoli a semplici osservazioni di ciò che li circonda (come ad esempio chiedere secondo loro quali sono i motivi per il quale è stata realizzata la chiesa oppure quali sono stati i materiali utilizzati, ecc…).

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Dopodiché, facendo uso di cartelloni, si vorrebbe guidare i bambini nella creazione di una leggenda che racconti la storia di questo luogo in maniera del tutto diversa anche attraverso la ricostruzione di nuovi scenari (immaginando ad esempio un castello) e l’inserimento di diversi personaggi. Questa seconda attività permetterà ai bambini di divertirsi facendo memoria delle fiabe di cui sono a conoscenza (ascoltate a casa, a scuola, all’oratorio, ecc…) stravolgendo così il reale avvenimento dei fatti sulla chiesa di San Michele.


Attività Naturalistica: Simona Colombo Fascia d’età Dai 7-8 ai 18 anni (con impostazioni diverse a seconda dell’età per quanto riguarda l’approccio dei giochi e delle spiegazioni didattiche). Materiale necessario Per gli operatori (almeno 2 per postazione in caso di un numero elevato di partecipanti) sono necessari 1 tavolino, 1 lettore multimediale portatile, 1 paio di casse portatili alimentate a batterie, schede descrittive degli animali (circa 20, per proporre diversi animali per i vari gruppi presenti) e fogli riportanti i nomi di 3 animali a scelta multipla. Inoltre per ogni gruppo serve una matita ed un foglio contenente le figure a colori di vari indici di presenza da abbinare ad un elenco di animali. I versi degli animali sono reperibili nel CD del volume pubblicato dalla Regione Lombardia “Scopri la fauna della

Lombardia”. Descrizione dell’attività Stazione naturalistica dedicata al riconoscimento del verso di alcuni animali tipici del Parco del Monte Barro e dell’ambiente di tipo collinare prealpino. I ragazzi sono suddivisi in diversi gruppi. Ciascun gruppo deve indovinare il verso di 3 diversi animali attraverso schede a scelta multipla. A ciascun gruppo si da un punteggio in base al numero di animali identificati che in seguito vengono descritti (mostrando anche le figure), raccontando alcune specificità e aneddoti. I gruppi che aspettano fanno un ulteriore gioco che consiste nell’associare su un foglio i diversi animali con i propri indici di presenza. Durata: 15 minuti per gruppo per la fase di riconoscimento animali + 10 minuti per il gioco di riconoscimento indici di presenza.

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RADUNO REGIONALE DI ALPINISMO GIOVANILE CAMPO FRANSCIA - 3 GIUGNO 2012


RADUNO REGIONALE DI ALPINISMO GIOVANILE

DATA: 3 giugno 2012 ESCURSIONE: Raduno Regionale di Alpinismo Giovanile SEZIONE ORGANIZZATRICE: C.R.L.A.G. con CAI Valmalenco PARTENZA: loc. Campo Franscia (m. 1.598) ARRIVO: Alpe Campascio (m. 1.844)

Caratteristiche tecniche DISLIVELLO IN SALITA: 246m DISLIVELLO IN DISCESA: 246m TEMPO TOTALE: 3h

DIFFICOLTA’: E TRASPORTI PUBBLICI: treno e autobus PERIODO CONSIGLIATO: estate

Descrizione percorso La Conca di Franscia, incontro delle valli dello Scerscen e di Campo Moro, presenta un ambiente ben conservato, con numerosi prati a sfalcio e nuclei abitativi rappresentativi dell'architettura rurale del luogo, pietra e legno. Partendo dal posteggio di Campo Francia, si oltrepassa l'abitato dirigendosi verso l'Alpe Musella. Lasciato l'abitato dirigersi su strada sterrata verso la chiesetta di Santa Barbara, dove si possono ammirare "le marmitte dei giganti", spettacolari erosioni perfettamente cilindriche formate dal mulinare vorticoso dei detriti con l'acqua di fusione dei ghiacciai, proseguendo su strada sterrata che diventa presto sentiero, si supera una fontana e le Baite dell'Alpe Piode, si prosegue contornando grandi rocce e tra radi larici e il sentiero più ripido si giunge al "Dosso dei Vetti", dove rileviamo la presenza dei "casei" dei latte, antichi edifici in pietra affacciati su un corso d'acqua che servivano per il raffreddamento del latte. Inoltrandosi in uno splendido bosco, e quasi in piano attraversando vari torrentelli

e passando tra splendidi massi in breve si raggiunge lo splendido pianoro dell'Alpe Campascio. La presente gita è stata oggetto del Raduno Regionale Lombardo di Alpinismo Giovanile, meta originaria era l'Alpe Musella, dove i musicisti ci aspettavano per condividere e far sperimentare la "musica con strumenti della natura", il meteo purtroppo non del tutto favorevole ci costrinse a un cambio "in corsa" di programma, mentre gli infaticabili musicisti spostarono tutti i loro "strumenti" a Franscia, ci dilettammo nella conoscenza della zona, lungo il percorso Accompagnatori di Alpinismo Giovanile gestirono stazioni su "Marmitte dei Giganti, Flora, Casei. Mentre al ritorno a Franscia, tutti parteciparono attivamente suonando con pietre, legnetti, foglie e quant'altro al fantastico concerto della Natura, insieme e divertendosi E’ un percorso adatto a tutti, famiglie gruppi e scolaresche.

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Alpe Musella

Alpe Campascio

Fra nsc ia

1900 1800 1700 1600 1500

Alp eC am pas cio

Franscia

0

0,5

1

1,5

2

2,5

3

3,7km


Suono sapiens, un’alpe da suonare - G. Mocchi e M. Zitta Quando l’intelligenza umana si intreccia con materiali dalle sonorità accattivanti ricomincia l’eterno gioco musicale che ha accompagnato l’Homo sapiens fin dalle sue origini. L’ambiente alpino è particolarmente ricco di stimoli sonori che possono dar vita a un grande concerto naturale. Chi va in montagna con una buona scorta di curiosità, come spesso capita quando si hanno a fianco dei ragazzi, sa che una qualsiasi gita può trasformarsi in un’avventura. Un angolo di prato nasconde incredibili varietà botaniche, un cascame di pietre si fa testimone dell’avvicendamento di ere terrestri. Le acque, il cielo, i boschi, le zone selvagge o antropizzate possono divenire un’affascinante enciclopedia che scorre sotto i nostri passi. Al Raduno Regionale di Alpinismo Giovanile svoltosi in Valmalenco il 3 giugno 2012 protagonisti dell’esplorazione ambientale sono stati musica ed effetti sonori, ovvero quanto risuona o si può suonare in alpeggio. La cultura agro-pastorale da un lato e semplici tecniche manipolative dall’altro forniscono un repertorio estremamente ricco di potenzialità sonore ricavabili dagli oggetti in Natura. Come per ogni altro aspetto culturale, occorre però saper leggere il territorio e utilizzarne adeguatamente le risorse. Proprio la Valmalenco è famosa per le sue lastre che, oltre a coprire i tetti, hanno proprietà sonore eccezionali. Ma diventano strumenti da concerto anche erbe e fiori, cortecce, noci e nocciole, tronchi, e pure tegole in cotto, secchi, campanacci, corni

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e quant’altro offre una baita in attività. Il tutto utilizzato come nella tradizione degli aborigeni australiani, che, per far musica, raccolgono sul posto i materiali, da lasciare di nuovo a terra per chi mai passasse ancora da quelle parti. Non ultimo, un buon concerto di Natura ha bisogno di un ambiente accattivante: un anfiteatro naturale, una nicchia che faccia risaltare le sonorità e, possibilmente, grandi pareti dove il suono rimbalzi ad eco, così da dialogare con le voci della montagna. Hanno potuto esperire tutte queste opportunità le 600 persone, tra accompagnatori e ragazzi, convenuti a Franscia in Valmalenco: una radura con grandi massi, affacciata su un balzo di pareti verticali, numerosi materiali sonori dislocati in postazioni da suonare liberamente, due ‘maghi’ dei suoni di Natura, pronti a dare suggerimenti e a interrompere ogni tanto la rumorosa officina per proporre concerti dalle sonorità esili e delicate - con flauti in osso, trombe in eucalipto, carillon di pietre, archi a bocca - o di grande energia emotiva, come tronchi intonati, corni, rombi volanti che creavano giochi d’eco tutto attorno. Le Pietre vibranti Una volta che si sale in montagna ci si può mettere alla prova nella manipolazione sonora di materiali grezzi. Le proposte che seguono riprendono quelle esperite dai ragazzi con l’aiuto di Mariolina Zitta e Giovanni Mocchi, i due musicisti di Suono Sapiens, esperti di sonorità naturali, che hanno accompagnato il raduno in Valmalenco.


Non è soltanto gioco. Le soluzioni ricalcano difatti una cultura musicale mondiale che ha la sua origine nella preistoria, diffusa fino a ieri tra pastori e contadini e che è interessante far riaffiorare durante l’attività esplorativa. Cominciamo dunque dalla pietra. Due ciottoli da percuotere tra loro sono il primo strumento che arricchisce l’originario e universale batter di mani. Il suo rumore secco può contrastare con quello di superfici da percuotere nell’ambiente circostante: lastre in pietra, tronchi, assi. L’alternanza dei due timbri sortisce già un effetto coinvolgente. Oltre a questi primordiali strumenti a percussione, le pietre divengono strumenti a raschio: un colpo/uno sfregamento sulla medesima superficie offrono nuove soluzioni ritmiche. Per i più creativi, le polveri che derivano dal raschio si trasformano in colori per mascherarsi il volto. Alle origini la musica, il mascheramento, la danza erano difatti un tutt’uno espressivo. Più raro, ma più sorprendente è il suono delle lastre, a volte veri gong di pietra se si sanno scegliere tra le tante disponibili. La lastra va appoggiata sull’erba e percossa sugli spigoli. Il punto di appoggio o di sospensione è difatti fondamentale per la qualità sonora. Gli stessi cavatori della Valmalenco, nonostante i millenni di esperienza nella manipolazione della pietra, non ne sono a conoscenza e si stupiscono di fronte alla incredibile qualità sonora delle loro pietre, quando vengono opportunamente predisposte. Nella lontana Abissinia durante l’occupazione fascista, gli indigeni usavano come campane proprio grandi lastre appese allo stesso

modo! I tronchi tamburo Lasciamo le pietre, a cui torneremo con i fossili-fischietto, per dedicarci ai legni. Le radici di alberi rovesciati, i tronchi cavi sono naturali tamburi in legno. Si percuotono con una robusta coppia di bacchette per ciascuno, ricavata da qualche ramo. Occorre sondare tutta la superficie per identificare i punti più vivi di sonorità. Così si scoprono facilmente diverse note con cui giocare a costruire ritmi e improbabili melodie. I boscaioli della Val di Scalve, che restavano settimane lontano da casa, come passatempo serale suonavano proprio le radici degli alberi. Era una messa in scena che scatenava le risa collettive. Uno strumento più sofisticato è lo xilofono, fatto di legni in serie scalare. Lo si può approntare con tronchetti secchi appesi a un ramo con una corda, a formare una scala, oppure, alla maniera africana, appoggiati sulle gambe divaricate in funzione di cassa di risonanza. Quest’ultimo effetto è grandioso: il suono si fa vibrante e corposo e, poiché non c’è intonazione, ne scaturisce una cacomelodia dagli effetti contagiosi. Nel mondo pastorale delle percussioni si annovera anche il secchio, che veniva suonato rovesciato, sul fondo e sui bordi con leggere bacchette o con le mani. Vale qui il vecchio detto: un colpo al cerchio e uno alla botte, ovvero per generare un buon ritmo occorrono almeno due suoni contrastanti, come lo era il cupo rimbombo del legno della botte e il secco e metallico suono del cerchione in ferro. Un esempio straordinario di ritmi con questi oggetti è la festa di Sant’Antuono di Macerata Campania

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(v. google), un esempio da cui ricavare semplici ma efficaci stimoli musicali (indicazioni su strumenti sonori che divengono musica si trovano in Giovanni Mocchi-Manuel Schiavi, Campanacci, Fantocci e falò. Riti agro-pastorali di risveglio della Natura. Ardesio 2014. segretario@prolocoardesio.it). Prima di concludere questa incursione nel regno delle percussioni è utile dare un cenno alla musica d’insieme. Il contatto con i materiali sonori scatena nel gruppo quella che in psicologia si chiama reazione circolare, una sorta di contagio collettivo, un tutti insieme appassionatamente in un continuo e inarrestabile crescendo fino ad esaurimento delle energie. La musica ha invece bisogno di un criterio d’ordine. Nell’estemporaneità di una jam session in quota basta proporre l’alternativa dell’altro adagio un po’ per ciascuno. Su un ritmo inventato dal primo che capita, si sovrappongono gradualmente, e uno per volta, gli altri. Spontaneamente si genera o un adeguamento al ritmo dominante o una simpatica e rutilante poliritmia, a cui si può dare conclusione con un accelerando frenetico e un grande ed esplosivo colpo finale all’unisono. Altra soluzione è far tenere un ritmo base continuo dal gruppo (un tempo si diceva un riff ) e lasciare che alcuni solisti eseguano una loro improvvisazione sugli strumenti in legno o pietra. Un effetto da lero-lero sudamericano di base ritmica collettiva si ottiene ad esempio con due pigne secche, da sfregare l’una contro l’altra. Semi, erbe, lumache Molti degli strumenti sonori giocatto-

lo che gli anziani costruivano per i più piccoli erano di materiale povero. L’erba, tenuta tesa tra i due pollici appaiati, risponde al soffio con un suono che richiama il grido del fagiano. Il fiore di primula, staccato dallo stelo diviene una tenue trombetta se, vi si soffia lievemente trattenuta tra le labbra. La spiga di grano verde, spezzata a metà si fa trombetta ad ancia doppia. Le nocciole svuotate dai moscardini si tramutano in potentissimi fischietti quando vengono insuflate alla maniera del tappo di una biro. Anche le cavità a semisfera sono potenziali e terribili fischietti: mezze noci svuotate, cappelle di ghianda, gusci di lumaca o pietre forate o cave, spesso per azione dei fossili (es. nella dolomia). Davanti al foro vanno appoggiati i pollici appaiati e divaricati a V per incanalare il soffio contro lo spigolo del foro. Non è semplicissimo, ma non è fiato sprecato! Dopo un po’ di tentativi inizia un sibilo, poi un fischio, fino alla possibilità di imitare perfettamente il merlo, il falco e gli altri uccelli che si ascoltano nel bosco, alla maniera dei richiami da caccia. Musica in corteccia Affascinante è il mondo degli strumenti effimeri, quelli fatti in corteccia che funzionano per qualche ora, fino a che rimangono umidi. Erano soluzioni molto diffuse in primavera, quando la pianta va in vigore e la corteccia si stacca facilmente. Divenivano gioco infantile, ma anche mezzi di comunicazioni a grandi distanze. Entriamo qui nel mondo degli strumenti che richiedono almeno un coltellino e quindi l’aiuto dell’adulto. Il più semplice dei fischietti in corteccia è lo zufolo a stantuffo. Nella corteccia di un segmento di rametto senza nodi si incide

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un anello, poi si picchietta con il manico del coltello la parte superiore di corteccia che si vuole staccare, la si afferra nel palmo della mano, la si torce e la si estrae parzialmente. Soffiando sull’imboccatura nasce il fischio, che può poi essere modulato facendo scorrere in su e giù la corteccia. Nella tradizione agro-pastorale esistevano altre tipologie molto più complesse di flauti in corteccia con tanto di imboccatura e fori laterali. Era invece strumento di comunicazione tra i pastori, da una parte all’altra della valle, il corno in corteccia ricavato da un ramo ‘in vigore’ senza nodi (ottimo il castagno). La corteccia va prima incisa a elica e poi staccata con l’unghia del pollice. Attorcigliata a cono, si blocca all’estremità con una molletta fatta con un rametto aperto parzialmente in due. Funziona con una sonora pernacchia all’imboccatura. Alcuni anziani sanno intagliare addirittura l’ancia doppia. Nelle malghe queste conoscenze sono sempre meno presenti, complici i nuovi gusti dei bambini e una tradizione intergenerazionale millenaria che si sta spezzando irreparabilmente. I corni, prototipi del cellulare Il fischietto e il corno sono tra i suoni più potenti che gli uomini di montagna hanno sempre utilizzato, per richiamo degli animali, ma anche per comunicazioni a distanza con alfabeti strettamente codificati, quanto ristretti in ambiti specifici. Sono cellulari ancestrali a canone zero, ma con l’altra faccia della medaglia: la mancanza di privacy. Per far sperimentare ai ragazzi il brivido del suono del corno di capra, il più usato in baita, ma anche il meno reperibile, per il valore apotropaico ancora oggi ad esso

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attribuito dai pastori e perché viene tramandato per generazioni, basta un tubo in cui pernacchiare a labbra strette. Può venire in aiuto un segmento secco di sambuco, senza midollo, oppure un segmento di grossa canna vegetale (Harundo donax), di bambù o perfino un qualsiasi tubo in ferro o in plastica (racconta un antropologo che perfino i Pigmei si erano adattati ad utilizzare un tubo da idraulico, meno deperibile dei loro bambù. Cfr. I Pigmei e il canto del Molimo, in Campanacci, fantocci e falò op. cit.). Nella tradizione mondiale si usano invece radici di eucalipto scavati dalle termiti (Australia), pesanti conchiglie marine a torciglione (tritoni, Grecia) e corni animali di varia natura. A conchiglie e corni si asporta la punta fino a trovare la fessura (seghetto da ferro, acquaragia come disinfettante e lavaggio finale). È interessante far sperimentare l’effetto incredibile di amplificazione che si ottiene. La potenza del corno consente di sfruttare effetti d’eco. Con essi si può dialogare con le guglie e le pareti, attendendo ogni volta il ritorno del suono. A risuonare sarà tutta la valle! L’elica preistorica C’è uno strumento tra i più straordinari che ci giungono dalla preistoria. È il rombo volante, un tempo oggetto sacro ed oggi relegato a gioco infantile. È presente in ogni parte del mondo, legato spesso a simbologie di fulmini e d’acqua, dall’America, all’Australia, presso gli Inuit nell’Artico e tra i reperti delle caverne abitate dai nostri antenati. In Piemonte si chiama ad esempio frun frun che fa ‘l trun, mentre presso gli indiani americani porta simbologie di pesci e saette.


Andrebbe costruito con un albero colpito dal fulmine, ma ci possiamo accontentare di una tavoletta in legno pesante (cm 5x30x1 ca.), sbozzata a forma di pesce e sospesa con una forte corda passante per un foro al centro di una estremità. La prima volta andrebbe fatta ascoltare stando nascosti, in un bosco fitto, o al buio. Il ronzio rabbioso fa venire i brividi! Tra i Pigmei era suonato di notte attorno alle capanne dove dormivano le donne e i bambini. Soltanto alle orecchie dell’uomo contemporaneo il suono non incute terrore: è troppo simile al rombo di un motore o di un’elica! Come strumento affine al boomerang, va considerato un’arma da usare a debita distanza dalle altre persone. L’arco a bocca Sempre nella serie di strumenti sconosciuti ai ragazzi e che richiedono un minimo di tecnica costruttiva con l’aiuto parziale dell’adulto si può sperimentare l’arco a bocca, uno scacciapensieri molto particolare che risale alle civiltà dei cacciatori. L’arco si predispone con un sottile pollone di castagno, di rosa o nocciolo, senza diramazioni. Con il coltellino si divarica un centimetro di ogni estremità e si fissa una sottile corda, a tendere il ramo arcuato. Per suonare si appoggia una estremità alla guancia, mentre si pizzica o bacchetta la corda all’altra estremità. La bocca modula le varie vocali ed amplifica l’esile suono. È uno strumento tipicamente solistico, che accompagna le lunghe ore dei pastori in Africa, proprio perché la modulazione viene udita quasi esclusivamente da chi suona. Siamo ancora ai confini tra lo strumento fatto dal corpo umano e

quello fatto di materiali reperiti nell’ambiente. Un viaggio nella creatività Il percorso potrebbe continuare forse all’infinito o per lo meno fin dove ci condurrebbe la sapienza del passato e la creatività del futuro. Dall’iniziale esplorazione delle potenzialità sonore della materia, l’attenzione dei ragazzi si sposta con gradualità verso l’organizzazione dei suoni e l’espressione di emozioni, in altre parole trapassa dal suono alla musica. Occorre saper cogliere il momento in cui nasce questa nuova esigenza e offrire l’opportunità, a piccoli gruppi, di improvvisare e costruire un proprio ‘pezzo’. La loro inventiva può emergere liberamente perché con i mezzi disponibili in quota non esistono modelli di riferimento. Possono comporre liberamente, ma è meglio fornire loro un paio di vincoli: darsi un titolo, un tema che guidi la loro immaginazione, cercare un inizio, una o più idee centrali e una conclusione e infine prepararsi per una esecuzione davanti a tutti gli altri. Sarà il loro Concerto-Natura. http://www.musicanaturale.it/ gmocchi@libero.it).

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NON PERDIAMO

I COLORI



Settimana Estiva Lombarda di Alpinismo Giovanile La settimana estiva lombarda di Alpinismo Giovanile è un'attività organizzata dalla C.R.L.A.G. con la collaborazione e il supporto di Accompagnatori di varie sezioni che per tempo e motivazione si mettono a disposizione a livello regionale. E' diretta a ragazzi da 8 a 12 anni provenienti da tutta Lombardia che già frequentano le attività di AG all'interno di Gruppi sezionali, se vi è disponibilità di posti si accettano partecipanti con possibilmente un loro Accompagnatore anche da altre regioni. Data la giovane età dei partecipanti, la settimana è stanziale in un unico rifugio. Durante la settimana si alternano escursioni di breve/media durata ad attività in rifugio o in ambiente, sempre secondo lo stile dell'AG. Le finalità e gli obiettivi sono molteplici, favorire la formazione di una corretta coscienza ambientale attraverso l'esperienza vissuta a diretto contatto con la natura; stimolare la curiosità, lo spirito di osservazione e riflessione sulle varie peculiarità del territorio, attivando e potenziando la loro sensibilità favorendo la formazione di un consapevole e responsabile

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comportamento di tutela e salvaguardia degli equilibri naturali; educare ed abituare i ragazzi all'accettazione e al rispetto degli altri, favorendo lo sviluppo della solidarietà, la socializzazione e la condivisione di esperienze comuni e condivise; creare opportunità di incontro, fondamenti di nuove amicizie tra ragazzi provenienti da realtà diverse; acquisizione della consapevolezza delle capacità motorie proprie e di Gruppo; favorire la collaborazione tra Accompagnatori, accrescendo le proprie conoscenze attraverso la condivisione, la considerazione e l'accettazione reciproca. Operando per più giorni consecutivi con i professionisti del Progetto V.E.T.T.A. finalità ed obiettivi hanno potuto fruire di un valore aggiunto non solo professionale ma anche umano.

Piera Eumei Presidente C.R.L.A.G. 2011/2014 Moreno Sironi Vice Presidente C.R.L.A.G. 2011/2014



SETTIMANA ESTIVA LOMBARDA DI ALPINISMO GIOVANILE ALPE VEGLIA 2 - 9 LUGLIO 2011


SETTIMANAESTIVALOMBARDADIALPINISMOGIOVANILE

DATA: 2 -9 luglio 2011 ESCURSIONE: Settimana Estiva Lombarda di Alpinismo Giovanile SEZIONE ORGANIZZATRICE: C.R.L.A.G. PARTENZA: San Domenico (m. 770) ARRIVO: Rifugio Città di Arona (m. 1750)

Caratteristiche tecniche DISLIVELLO IN SALITA: 980m DISLIVELLO IN DISCESA: 980m TEMPO TOTALE: 2,5h

DIFFICOLTA’: E TRASPORTI PUBBLICI: treno e autobus PERIODO CONSIGLIATO: estate

Descrizione percorso Raggiunto il paese di Varzo si sale fino alla frazione di San Domenico (m 770) dove viene lasciata l’auto al parcheggio, si oltrepassa il ponte seguendo la carrareccia, addentrarsi in un bosco di latifoglie, salendo gradualmente di quota se ne esce in breve tempo per scorgere dall'alto della valle tutto il paesaggio circostante caratterizzato da ampi e verdi pascoli di vesante. Proseguendo il

cammino verso il rifugio Città di Arona la vallata si stringe ad imbuto modificandone le caratteristiche e la morfologia del proprio territorio attraverso rocce strapiombanti, cascate e piccoli canyon. Superando in quota una serie di alpeggi si giunge alla piana di Veglia (m 1750); quindi si lascia la carrareccia e ci si dirige verso il rifugio Città di Arona (mappa pag.73).

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Attività Geologica : 4 e 5 luglio - Francesco Viviani PARTENZA: Rifugio Città di Arona (1750m) DISLIVELLO IN DISCESA: 500m ARRIVO: Base del Ghiacciaio di Aurona ( 2.200m) TEMPO TOTALE: 5h DISLIVELLO IN SALITA: 500m DIFFICOLTA’: E Prima di incamminarsi lungo il sentiero che conduce verso il ghiacciaio dell’Aurona è molto utile fare un inquadramento geografico e geologico dell’area su cui ci si trova, prendendo come spunto la diversità delle rocce che formano le pareti rocciose circostanti. Si parla così del Traforo del Sempione, della localizzazione del confine italosvizzero e della struttura dell’arco alpino, caratterizzato dalla sovrapposizione di pieghe anticlinali coricate (gneiss del basamento come sul Monte Leone con evidente scistosità) e di sinclinali strizzate fra le prime, che comportano una fratturazione della roccia incrociata con conseguente distacco di blocchi rocciosi dalle pareti subverticali. Le montagne sono formate da rocce molto antiche che costituivano il basamento di un antico oceano esistente oltre 230 milioni di anni fa, ma l’avvicinarsi lento e costante (in tempi lunghissimi) della zolla africana a quella europea diede inizio, circa 50-60 milioni di anni fa, alla formazione della catena alpina. L’enorme forza ed energia sprigionate dalla spinta dei due continenti causarono il sollevamento del fondo dell’antico mare, accavallando gli strati delle rocce e dei sedimenti preesistenti con le rocce più recenti, in un gigantesco processo durato milioni di anni. In questo fenome-

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no le rocce si sono trasformate a causa delle pressioni e delle elevate temperature cui furono sottoposte; i tre ricoprimenti sono separati da strati di rocce sedimentarie più recenti di spessore variabile, costituite da calcari, che assumono una particolare forma chiamata sinclinale (simile ad una forma a U). I grandi fenomeni orogenetici determinarono un forte cambiamento anche nei materiali e minerali costituenti le rocce interessate, provocando una ricristallizzazione delle rocce primitive e orientando i minerali di nuova formazione come le spinte dominanti nello scontro tettonico. Le diverse rocce mostrano un opposto grado di durezza nei confronti dei fenomeni atmosferici ed evolutivi di alterazione e disgregazione: gneiss e serpentino (duri e resistenti) danno origine a forme di rilievo, visibili sulle creste delle montagne, articolate e contorte con guglie e pinnacoli che sfidano la legge di gravità. Calcari e dolomie, al contrario, sono coperti da una spessa coltre di detrito a causa dell’elevata alterabilità ed erodibilità che origina forme più dolci e blande caratteristiche di alcuni pianori in alta quota. Il profilo seghettato e articolato di alcune montagne è da attribuirsi anche alla presenza di faglie a carattere regionale e


fratture, scatenate dall’alternanza di gelo e disgelo durante le stagioni più fredde. Visto che la meta dell’escursione è il Ghiacciaio dell’Aurona, si riflette sull’elevato spessore che il ghiacciaio aveva presso Domodossola durante l’ultima glaciazione (circa 2000 metri); nonostante l’elevato spessore e le forti pressioni esercitate sui versanti, si ricorda come troppo spesso viene attribuito al ghiacciaio un ruolo di modellamento delle valli che non gli compete appieno. Se è vero infatti che il suo passaggio, caratterizzato da cicli di avanzata e ritiro, leviga tutto ciò su cui scorre accentuando una morfologia precedente, è anche vero che le caratteristiche forme a U delle valli su cui si muove sono da attribuire a movimenti profondi gravitativi di versante (frane) che provocano il distacco di materiale dalle ripide pareti rocciose con conseguente accumulo nel fondovalle (coni e falde detritiche). Molto diffuse sono le falde detritiche inattive, ormai completamente ricoperte dalla vegetazione, prodotte in un periodo climatico caratterizzato da una più intensa azione dei cicli di gelo e disgelo rispetto all'epoca attuale. In seguito al ritiro dei ghiacciai dalle valli, i versanti hanno subito una notevole decompressione che ha causato diffusi fenomeni di crollo anche di grandi proporzioni, facilitati dalla presenza di faglie e fratture subverticali che isolano singole porzioni di roccia. Il corpo di frana è costituito da massi anche di grandi dimensioni, generalmente spigolosi, accatastati gli uni sugli altri.

Percorso un breve tratto di sentiero verso il ghiacciaio, si nota la sorgente di acqua minerale di Veglia, caratterizzata da un colore rossastro delle rocce da cui sgorga e da un sapore ferroso a tal punto da risultare molto frizzante al palato. La storia racconta che nel 1875 due soldati di presidio all’Alpe Veglia, scoprirono lungo il Rio Mottiscia la sorgente di fronte a cui ci si trova; nel 1879 a Torino furono eseguite le prime analisi chimiche che confermarono “un’ottima acqua minerale acidulo ferruginosa” e nel 1884 all’Esposizione Generale Nazionale di Torino fu premiata con medaglia d’argento per le sue proprietà tonicoricostituenti. L’acqua minerale sgorga al contatto fra le rocce calcaree e i depositi morenici (sorgente geologica); lungo il tratto successivo di 40-50 metri si miscela con acqua dolce attraversando i depositi morenici e i depositi torrentizi. La mineralizzazione dell’acqua deriva dal lungo deflusso sotterraneo entro i marmi e le dolomie intensamente fratturate a causa della faglia del Veglia; l’alterazione dei minerali di ferro e la presenza di un solfuro di ferro come la pirite (“oro dei bambini”) con cui viene a contatto l’acqua, ne incrementano il carattere ferroso. Si imbocca successivamente il sentiero che nel giro di 2 ore circa porta alle pendici del ghiacciaio Aurona, il più imponente del Parco Naturale Veglia; risalendo il sentiero si incontrano le tracce glaciali del passato. Questo ghiacciaio presenta una dinamica complessa: in parte possiede una zona di alimentazione autonoma e in parte è alimentato da una colata di ghiaccio proveniente

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dalla grande calotta ghiacciata sul versante svizzero del Monte Leone. Ma cos’è il ghiacciaio? Una grande massa di ghiaccio in movimento in costante equilibrio con l’ambiente circostante, derivante dalla trasformazione della neve. Il movimento trasferisce ghiaccio e detriti da una zona di raccolta della neve (bacino di accumulo) ad una zona di scioglimento del ghiaccio (bacino di ablazione); la velocità di spostamento per i ghiacciai alpini è di alcuni centimetri al giorno. Una fronte glaciale stazionaria non indica una cessazione del movimento, bensì una situazione di equilibrio fra afflussi (nevicate e valanghe) e deflussi (fusione del ghiaccio). Se gli afflussi superano i deflussi la lingua glaciale avanza verso valle; nel caso contrario il ghiacciaio regredisce verso monte. Come è possibile passare dalla neve al ghiaccio? Da quando la neve fresca (costituita da cristalli regolari a forma di stella e contenente fino al 90% di aria) cade al suolo, inizia una graduale trasformazione per processi di fusione parziale, di ricongelamento e di compattazione: dapprima la neve diventa granulosa e si trasforma in nevato (firn), quindi, dopo almeno un anno, i cristalli di ghiaccio si compattano ulteriormente, si arrotondano, l’aria viene espulsa e il ghiaccio diventa dapprima bolloso e biancastro, infine verde-azzurro, compatto e durissimo (ghiaccio di ghiacciaio). Nella storia della Terra si è constatata l’alternanza di periodi caldi e di periodi freddi già a partire da un miliardo di anni fa, con un tempo di ritorno di circa 150 milioni di anni. Le glaciazioni degli ultimi

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1,8 milioni di anni fa ricoprirono le Alpi con una calotta di ghiaccio spessa fino a 2000 metri. Al termine dell'ultima glaciazione (10.000 anni fa) iniziò una fase di deglaciazione, con riduzione delle masse di ghiaccio che rapidamente si ritirarono dai fondovalle. Questo fenomeno fu interrotto da brevi periodi di inversione di tendenza che portarono alla formazione dei cordoni morenici tardoglaciali. A partire dal 1500 e fino la metà del 1800 si ebbe un periodo di raffreddamento che provocò un notevole incremento dei ghiacciai alpini (Piccola Età Glaciale), in cui furono edificati imponenti apparati morenici. Dopo il 1850 cominciò una fase di generale riscaldamento fino alla metà del secolo scorso (con una breve inversione di tendenza attorno al 1920). Dopo il 1950 si verificò un nuovo raffreddamento fino ai primi anni '80: stagioni invernali particolarmente ricche di precipitazioni nel periodo 1971-1981 favorirono un leggero incremento delle masse glaciali. Attualmente siamo come ben noto in una fase di regresso glaciale, con temperature elevate e scarsità di precipitazioni nevose. Alcune forme e depositi visibili della presenza del ghiacciaio a quote più basse e con spessori notevoli sono i ripiani o pianori a terrazza che rivelano spiccate caratteristiche morfologiche e idrografiche delle regioni un tempo ricoperte dai ghiacci: suolo roccioso irregolarmente ondulato, avvallamenti occupati da depositi alluvionali, acquitrini, pozze o laghetti. Rocce montonate lisciate e levigate


dall’azione di modellamento dei ghiacciai: le sporgenze rocciose del substrato venivano modellate dalla potente azione erosiva del ghiaccio in movimento assumendo forme tipicamente e dolcemente arrotondate sul lato a monte, più irregolare e scabra sul lato a valle. Queste forme localmente presentano delle striature che danno il senso di movimento del ghiacciaio; infatti, dove un blocco di roccia, resistente ed appuntito, veniva trattenuto dal ghiaccio e trascinato sulla superficie del substrato, dava origine ad una serie di scanalature disposte lungo la direzione di movimento. Morene rappresentanti i materiali trasportati e depositati dai ghiacciai; gli accumuli presenti sono ascrivibili alle fasi tardo-glaciali, in quanto durante la massima espansione dell’ultima grande glaciazione tutta la zona si trovava completamente ricoperta dai ghiacci, con prevalenza dell’attività erosiva. I materiali trasportati e depositati dal ghiacciaio derivano soprattutto da frammenti rocciosi caduti dalle pareti rocciose; sono tipicamente costituiti da elementi vari per granulometria (grossi blocchi, sabbie, limi sottili) mescolati ad una grande varietà di rocce, a rispecchiare la variegata costituzione geologica dei fianchi vallivi. Le morene tardoglaciali sono caratterizzate da una copertura prativa quasi completa e massi affioranti abbondantemente ricoperti da licheni; salendo verso il ghiacciaio si notano caratteristici dossi erbosi molto allungati, alti da 1 a 3 metri. Tali cordoni morenici testimoniano espansioni tardive dell’Aurona caratteriz-

zati dalla sommità arrotondata e da un evidente allungamento parallelo al senso di scorrimento del ghiacciaio. Le morene PEG sono quelle edificate in tempi recenti; verso il 1820-1850 i ghiacciai alpini raggiunsero dimensioni mai viste prima dalle genti di montagna; da allora l’Aurona va man mano ritirandosi e l’arretramento frontale, oggi difficilmente valutabile per l’estesa copertura detritica superficiale, è stimato in circa 1000 metri dal 1820 ad oggi. I cordoni morenici hanno l'aspetto di argini dalla cresta affilata, lunghi fino a 700 m, presenti su entrambi i lati della valle. Il fianco esterno è ricoperto da vegetazione erbacea ed è meno inclinato; il fianco interno è molto più ripido, a tratti verticale, totalmente privo di vegetazione, solcato da numerose incisioni da ruscellamento. La granulometria del materiale detritico varia dal blocco di alcuni metri cubi, alla sabbia fine. I massi erratici si hanno quando gli spessori della coltre morenica sono talmente ridotti che i singoli blocchi poggiano, completamente isolati, direttamente sul substrato roccioso. Il nome ricorda la lontana provenienza e la rilevante azione di trasporto e deposizione del ghiacciaio; la forma generalmente arrotondata, priva di spigoli vivi, è dovuta ai continui e ripetuti urti che essi hanno subito durante la lunga e logorante fase di trasporto. Crepacci e seracchi: le tensioni interne al ghiacciaio, causate dal lento movimento di flusso e dell'attrito che si sviluppa tra ghiaccio e roccia, determinano fratture più o meno profonde dello strato superficiale, più fragile, del ghiac-

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ciaio (crepacci). La porzione di ghiaccio che scende dal Monte Leone, superando il ripido gradino di roccia subisce una accelerazione che favorisce lo sviluppo di un reticolo di fratture longitudinali e trasversali che frammentano il ghiaccio in blocchi separati: si forma una vera e propria cascata di ghiaccio (seraccata). Dopo il pranzo al sacco in prossimità della morena laterale che scende dal Monte Leone, si inizia la discesa verso valle e verso la piana dell’Alpe Veglia, piana fluviale caratterizzata da una debole pendenza che ha facilitato la deposizione dei materiali alluvionali. Si tratta di una piana separata in più livelli da terrazzi, fatto che indica un’articolata fase di erosione successiva ad una di sovralluvionamento; su ogni superficie di terrazzo, ma soprattutto sulle più antiche si osserva una fitta rete di paleoalvei ormai abbandonati. Una simile configurazione della rete di paleoalvei si è formata in un periodo in cui la vegetazione era molto scarsa e la portata solida dei torrenti elevata. In altre parole la morfologia della piana di Veglia testimonia un periodo freddo di avanzata glaciale. Altra forma caratteristica della piana sono i conoidi di deiezione, cioè conoidi che si aprono a ventaglio allo sbocco dei corsi d’acqua laterali nel fondovalle (Cianciavero); frontalmente il conoide è tagliato da un terrazzo molto marcato, mentre verso sud è tagliato longitudinalmente da un terrazzo, in continuità con quello frontale. Il giorno successivo è possibile incamminarsi dal rifugio verso l’abitato di Cianciavero, dove un sentiero si snoda

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nel bosco che si trova alle spalle del nucleo abitativo, e di qui fino alle “Marmitte dei Giganti” visibili sul Rio Cianciavero; il sentiero prosegue poi verso la diga ed il lago d’Avino. Tra le forme di erosione fluviale e fluvioglaciale vi sono incisioni in roccia, cascate e marmitte formatesi in periodi glaciali in cui i torrenti erano abbondantemente alimentati dal ghiacciaio e di conseguenza dotati di notevole energia, capacità erosiva e di trasporto (torrenti subglaciali). Le “marmitte dei giganti” sono un curioso fenomeno geomorfologico legato a particolari circostanze, che si verificano sul letto di un corso d’acqua di origine glaciale, quali la velocità di caduta delle acque in valli strette, il movimento vorticoso dell’acqua e la conformazione delle sponde e dell’alveo fluviale. Il nome deriva dalla loro somiglianza con delle grosse pignatte, che la fantasia popolare ha visto come enormi marmitte in cui venivano cotti i cibi di essere giganteschi, appunto dei giganti. Le dimensioni sono variabili e vanno da pochi centimetri a 5-6 metri di diametro. In genere traggono la loro origine dai ghiacciai che un tempo ricoprivano, in epoche alterne, la catena alpina; durante il periodo estivo, l’acqua di superficie di questi ghiacciai dava vita, fondendo, a numerosi ruscelli che scorrendo verso valle incontravano crepacci all’interno dei quali precipitavano a cascata sulla roccia sottostante. Nella loro discesa portavano con sé sabbia, ciottoli e ghiaia. L’azione erosiva di questi detriti che roteavano imprigionati all’interno delle cavità rocciose e la forza dell’acqua


in caduta hanno dato origine nel tempo ai numerosi pozzi glaciali. Il continuo lavoro di scavo dell’acqua sulle rocce del letto del torrente esercita ancora una continua azione di disfacimento di tipo fisico, chimico ma soprattutto meccanico, dovuta al movimento, in alcuni momenti vorticoso, dell’acqua e in particolare ai continui urti e allo sfregamento dei detriti trasportati. Materiale necessario per effettuare le attività Nel corso delle due giornate possono essere proposti sette piccoli esperimenti particolarmente indicati per ragazzi aventi un’età compresa fra i 7 e i 13 anni, e necessitano di materiale facilmente reperibile anche in sito, oltre ad alcuni strumenti comuni: cacciavite, paletta, martellino, piccolo annaffiatoio, bottiglie vuote, lente d’ingrandimento, provetta, accendino, cotone, bicchieri plastica, panno di stoffa, imbuto, barattoli in latta, pennarello, cronometro. Di seguito vengono prese singolarmente in considerazione le attività; al termine di alcune vengono poste delle domande o spunti di riflessione in merito all’argomento trattato. 1° ESPERIMENTO: DI COSA E’ FATTO IL TERRENO? Strumenti: lente d’ingrandimento, bottiglia d’acqua e diversi tipi di terreno Con la lente d’ingrandimento è possibile vedere più da vicino e in dettaglio ciò che compone il terreno. Agitando in una bottiglia piena d’acqua diversi terreni, è possibile vedere la loro composizione e le quantità che li formano: il terreno è composto da una quantità di particelle di diversa

granulometria. Con questo esperimento si possono separare le principali componenti del suolo e valutarne le proporzioni, infatti in acqua le particelle sedimentano più o meno rapidamente in funzione della loro dimensione (fenomeno della gradazione dei sedimenti e sedimentazione selettiva) 2° ESPERIMENTO: IL TERRENO CONTIENE ACQUA? Strumenti: accendino, provetta, piccolo campione di terreno raccolto nel prato fino 1/3 dell’altezza Premessa: cosa succede all’acqua con il calore (evaporazione). Si può chiedere ai ragazzi se sbriciolando il terreno e rompendolo è possibile vedere delle tracce di acqua sottoforma di gocce; esiste un modo per capire e riuscire ad isolarla? Anche se sembra asciutto, il terreno contiene un poco d’acqua; chiudendo la provetta e scaldandola (o lasciandola al sole) compariranno delle gocce sulle pareti. E’ molto importante che nel terreno ci sia dell’acqua, ma perché? A che cosa serve? 3° ESPERIMENTO: IL TERRENO CONTIENE ARIA? QUANTA? Strumenti: vasetto, ghiaia, ghiaietto, terreno asciutto e acqua L’aria è intorno a noi e anche in una bottiglia vuota, ma cosa succede se si versa dell’acqua nella bottiglia? Come è facile intuire l’aria esce ed entra acqua. Se in un vasetto vuoto mettiamo della ghiaia, insieme a quest’ultima c’è anche dell’aria, ma come possiamo capire quanta ne è presente? Come si può misurare? Basta versare dell’acqua con un bicchiere graduato (o segnato in modo da versarne sempre la stessa

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quantità) che viene usato come campione e contare quanti ne verso nel vasetto prima che il liquido fuoriesca. Contiene più aria un vasetto di ghiaia, ghiaietto, sabbia o terreno asciutto? E’ importante che nel terreno ci sia dell’aria, ma a chi serve? Dall’uomo agli organismi che vivono nel sottosuolo, alle piante 4° ESPERIMENTO: CAPILLARITA’ E MOTO DELL’ACQUA VERSO L’ALTO Strumenti: provetta con piccolo foro sul fondo, batuffolo di cotone per otturare il buco e permettere un passaggio minimo di acqua, terreno asciutto per riempire la provetta fino a 3/4, vasetto contenente acqua fino ad un livello di poco superiore all’altezza del cotone. L’acqua esiste in natura sotto diverse forme e stati (liquido, solido e gassoso), staziona nei mari, negli oceani e nei laghi, scorre sulla superficie terrestre sottoforma di fiumi e torrenti; ma l’acqua circola anche nel sottosuolo infiltrandosi fra granulo e granulo essendo questi ultimi collegati fra loro a formare canali piccolissimi (tipo vasi capillari). L’acqua, che abitualmente vediamo andare sempre verso il basso, può risalire verso la superficie terrestre sovrastando la forza di gravità che la spingerebbe verso il basso. Perché usando diversi tipi di terreno varia la risalita dell’acqua che passa dal vasetto, attraverso il cotone in fondo alla provetta, nel terreno contenuto nella provetta? La larghezza dei tubicini fra i diversi materiali è fondamentale nel determinare l’altezza raggiunta. 5° ESPERIMENTO: ASSORBIMENTO DEL TERRENO Strumenti: 3 vasetti di vetro con diver-

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si materiali (sabbia, calce, terriccio), bicchiere di plastica La composizione del suolo ha importanti conseguenze sulla sua permeabilità all'acqua e sulla sua capacità di trattenerla. Si riempiono fino ad una quota prestabilita i 3 vasetti con le diverse tipologie di materiale; con le dita si comprime bene l'argilla (calce) nel barattolo, facendola aderire alle pareti. Versando un bicchiere d’acqua in ogni barattolo ed osservando cosa succede, si nota come nel barattolo con la sabbia l'acqua raggiunge il fondo rapidamente (tubicini fra granulo e granulo troppo larghi), in quello con l'argilla (tubicini con sezione infinitamente piccola) resta in alto o scende molto molto lentamente, mentre in quello con il terreno l'acqua viene assorbita rapidamente e distribuita in modo omogeneo in tutto il volume. Quali conseguenze può avere un temporale su suoli con composizione diversa? 6° ESPERIMENTO: QUANTA ACQUA ATTRAVERSA I TERRENI (PERMEABILITA’) Strumenti: barattolo metallico con fondo bucherellato, stoffa circolare della stessa grandezza del barattolo e imbevuta sul fondo, terreno ben agitato per 5 cm, imbuto entro cui appoggiare il barattolo, bicchiere entro cui cade l’acqua con un segno che identifica una quota fissata, cronometro. Si versa una quantità d’acqua prestabilita nel barattolo e si verifica in quanto tempo nel bicchiere sottostante viene raggiunta la quota indicata; l’esperimento può essere ripetuto con terreni di diversa composizione, oppure il medesimo suolo ma con spessori diver-


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si o aumentando le quantità d’acqua versate. Cosa cambia eseguendo queste modifiche? 7° ESPERIMENTO: EROSIONE DELL’ACQUA Strumenti: 2 cassette di legno con sponde di pochi centimetri, 2 bicchieri per raccogliere l’acqua in uscita dal buco posto su uno dei lati corti della cassetta, terreno, zolle erbose, annaffiatoio simulabile da una bottiglia con qualche foro sul fondo Ci si chiede cosa succede se piove su un terreno smosso, ben pressato oppure su zolle erbose; tutti questi materiali vengono posti nelle cassette inclinate di qualche grado. Si osservano a parità di tempo trascorso e di quantità di acqua

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piovuta, i secondi necessari per raccogliere la medesima quantità d’acqua nei bicchieri, il colore del liquido, la consistenza (quantità di particelle fini presenti) ed il tipo di erosione visibile sul terreno ancora presente nelle cassette. Si può cercare di studiare e capire l’influenza della forza disgregatrice della pioggia sul terreno e cosa cambia al variare della pendenza; come è possibile ridurre l’erosione del terriccio? Può essere valida l’idea di creare dei solchi ravvicinati nel materiale? Ma in che direzione sarebbe meglio farli per trattenere una maggior quantità d’acqua? E per ridurre l’erosione? Quali sono i parametri che influiscono sulla velocità di scorrimento del liquido?


Sorgente

Punta d’Aurona

Rif. Città di Arona

Alpe Veglia

Gh iac cia io

Rif . Ci ttà di A ron a

d’A uro na

Lago delle Streghe

2300 2100 1900

0

0,5

1

1,5

2

2,5

3

3,5 3,7km


Attività paesaggistica archittettonica - Giuseppe Dei Cas PARTENZA: Rifugio Città di Arona (1750m) ARRIVO: Cianciavero, Alpe Cornù DISLIVELLO IN SALITA: 100m Descrizione attività. All’ingresso alla piana di Veglia abbandonare la strada e proseguire per il sentiero che piega a sinistra verso il nucleo di Cianciavero. Prima di addentrarsi nell’abitato rurale è possibile fare una piccola deviazione di circa 15 minuti e raggiungere la particolare zona delle marmitte glaciali del Rio Cianciavero. Scendendo si torna all’omonimo nucleo abitato, caratteristico delle valli ossolane per la tipologia architettonica dei suoi edifici realizzati dalle fondamenta alla copertura interamente con la pietra del luogo. Unici nel loro genere questi piccoli fabbricati servivano alla popolazione locale solamente per soggiornare durante il periodo estivo, quando si portava in alpeggio il bestiame, ma erano particolarmente studiati, sia nella forma che nella tecnica di costruzione, per riuscire a resistere agli agenti atmosferici ed agli eventi naturali del periodo invernale. Si lascia Cianciavero e riprendere verso i nuclei di Aione e Ponte, mentre si cammina osservare il paesaggio naturale e quello costruito dall’uomo, con i suoi piccoli nuclei abitati raggruppati in pochi edifici che fungono da dimore, stalle, fienili, casera, ben definiti dai percorsi interni ed esterni con i tipici muretti in pietra “a secco” che ci conducono verso la zona più moderna comprendente la parte dei campeggi e del rifugio. Proseguire verso il nucleo

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DISLIVELLO IN DISCESA: 180m TEMPO TOTALE: 3h DIFFICOLTA’: E rurale di Cornù e raggiungere la spettacolare cascata della Frua ai piedi della quale è ancora possibile ammirare le fornaci dove un tempo veniva lavorata la calce, infine oltrepassato il ponte si continua verso La Balma per ritornare al punto di partenza dove nelle vicinanze è possibile anche visitare il sito archeologico in cui sono stati ritrovati numerosi reperti del periodo mesolitico. Attività: 1. A Cianciavero: osservazione fotografica e rappresentazione a mano libera delle costruzioni rurali (anni 11-14) Divisi per gruppi, assegniamo un particolare edificio all’interno del nucleo rurale. I ragazzi, dotati di macchina fotografica, carta e matite colorate, ne dovranno cogliere gli aspetti architettonici più particolari del fabbricato sia dal punto di vista materico che dal punto di vista tecnico costruttivo (es. la copertura in piode, l’apparecchiatura delle muratura, le aperture e gli ingressi ai vari locali). Terminato la fase di studio i ragazzi si riuniranno per discuterne degli aspetti che maggiormente anno interessato. 2. Ad Alpe Cornù: Visita alla stalla ed alla casera (anni 8-14) Spiegazione generale e dimostrazione sulle operazioni di mungitura delle vacche e sulla lavorazione del latte da parte degli esperti locali attraverso la vera e propria produzione del formaggio locale ossolano da parte del malgaro con


Alpe Cornù Rif. Città di Arona

Alpe Veglia

Lago delle Streghe

Cianciavero

Rif . Ci ttà di A ron a

Cia nci ave ro

1850

Ma rm itte dei gig ant i

Cia nci ave ro

Rif . Ci ttà di A ron Alp a eC orn ù

Marmitte dei Giganti

1800 1750 0

1

2

3

4

4,8km

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l’aiuto dei partecipanti. 3. Al rifugio Città di Arona: Riproduzione in miniatura di edifici rurali (anni 8-14) A seguito delle visite fatte nei vari nuclei agricoli, delle spiegazioni, dell’attenta osservazione e la rappresen-

tazione della tecnica costruttiva in pietra locale “a secco” degli edifici, i ragazzi verranno messi nella condizione di riprodurre dei piccoli fabbricati in miniatura attraverso l’ausilio di attrezzi e materiali di lavoro da cantiere.

Attività naturalistica - Simone Guidetti PARTENZA: Rifugio Città di Arona (1750m) ARRIVO: Lago Bianco DISLIVELLO IN SALITA: 400m Descrizione dell’attività L’attività è incentrata sull’osservazione e la descrizione dell’ambiente alpino, con particolare attenzione per i piani altitudinali, le principali tipologie di associazioni vegetali e la fauna tipica dell’Alpe Veglia (ambiente tipicamente alpino). Viene descritta anche l’attività dell’uomo legata alla pastorizia (prati, pascoli, transumanza). Attività in rifugio (circa 1:30 ore) Introduzione con notebook sull’ambiente naturale del veglia e sulle relazioni tra clima, geologia, piani altitudinali, vegetazione e fauna. Si prosegue con un gioco. Si dividono i ragazzi in gruppetti, a ciascuno dei quali vengono consegnati due fogli in formato A3 dove sono rappresentati diverse quote e rispettivamente le piante o gli animali tipici per tali

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DISLIVELLO IN DISCESA: 400m TEMPO TOTALE: 5h DIFFICOLTA’: E quote, con dei “buchi” che i ragazzi devono riempire collocando alla quota giusta le sagome di alcune piante e animali mancanti. In conclusione cenni sugli indici di presenza degli animali. Attività all’aperto: gita con osservazioni naturalistiche con riferimenti agli aspetti spiegati in precedenza in rifugio. Materiale occorrente 1 notebook e materiale didattico, fogli in A3 con i disegni schematici dei piani altitudinali e le sagome ritagliate di piante e animali da inserire nella giusta posizione. Colla o scotch per attaccare le sagome degli animali. Fascia d’età Dai 7-8 ai 18 anni (con impostazioni diverse a seconda dell’età per quanto riguarda l’approccio dei giochi e delle spiegazioni didattiche).


Lago Bianco

Rif. Città di Arona

Rif . Ci ttà di A ron a

Lag oB ian co

Rif . Ci ttà di A ron a

Alpe Veglia

2300 2100 1900

0

1

2

3

4

5

6 6,2km

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SETTIMANA ESTIVA LOMBARDA DI ALPINISMO GIOVANILE RIFUGIO DINO TAVECCHIA - VAL BIANDINO 1 - 7 LUGLIO 2012


SETTIMANA ESTIVA LOMBARDA DI ALPINISMO GIOVANILE

DATA: 1 - 7 luglio 2012 ESCURSIONE: settimana estiva intersezionale Rifugio Tavecchia - Val Biandino SEZIONE ORGANIZZATRICE: C.R.L.A.G. PARTENZA: Introbio – LC (586m) ARRIVO: Rifugio Tavecchia (m. 1500)

Caratteristiche tecniche DISLIVELLO IN SALITA: 924m DISLIVELLO IN DISCESA: 924m passo Camisolo (m. 2020) TEMPO TOTALE: 2,5h

DIFFICOLTA’: E TRASPORTI PUBBLICI: autobus PERIODO CONSIGLIATO: da giugno a ottobre

Descrizione percorso Lasciata l’auto all’ingresso del paese di Introbio si seguono le indicazioni Val Biandino lungo le vie lastricate del paese fino a raggiungere le ultime case dove parte la mulattiera per i rifugi Grassi e Santa Rita fino a raggiungere la strada carrozzabile realizzata in battuto di cemento. Proseguire fino ad arrivare in prossimità del primo ponte e poco prima di attraversarlo si svolta a destra sul sentiero denominato Via del Bitto (m 849). Entrati nel bosco si procede in lieve salita fino al bivio che indica i due rifugi; girare a sinistra verso la Val Biandino ed attraversare il torrente Troggia su un

ponticello di legno. Salendo alcuni tratti ripidi del sentiero si incrocia nuovamente la strada carrozzabile in cemento su cui si prosegue fino a raggiungere la fontana S. Carlo (m. 1.060) dove è possibile sostare e scendere a visitare l’antica sorgente. Si procede a salire dolcemente rientrando nel bosco e continuando per alcuni tratti di falso piano fino a raggiungere un cippo a forma di obelisco con la scritta "55 Rosselli", posto in posizione panoramica su di un salto di roccia all’ingresso della Bocca di Biandino (m. 1.493) dove si trova il rifugio Tavecchia

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Bocca di Biandino Cima delle Miniera

Baite della Scala

Zuc di Valbona

Zuc di Cam

Cima d’Agrella

La Forcella Zucco di Cornisella

Baite Piazzolo

Boc ca d i Bi and ino

Int rob io

Bai te P iaz zolo

Bai te d ella Sca la

Introbio

1500 1300 1100 900 700 0

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1

2

3

4

5

6

6,9km


Attività Geologica - G.Galli e M. Panseri PARTENZA: Rifugio Tavecchia (m. 1510) ARRIVO: Passo Camisolo (m. 2020) DISLIVELLO IN SALITA: 510m

DISLIVELLO IN DISCESA: 510m TEMPO TOTALE: 6.40h DIFFICOLTA’: EE

DESCRIZIONE DEL PERCORSO L’itinerario prevede un giro ad anello che parte dal Rif. Tavecchia e risale la Val Biandino lungo il sentiero 41 fino al Baitello del Lago. Da lì si prende un sentiero che passa alla base della parete ovest dei dossi che costituiscono la testata della valle. In corrispondenza della Baita della Corna il sentiero si collega al sentiero delle Orobie (101), che abbiamo percorso fino al Rif. Grassi. Da lì, attraverso il Passo del Camisolo, siamo tornati al Rif. Tavecchia lungo il sentiero 40. La Val Biandino è un’area geologicamente molto interessante; la presenza di numerose faglie mette a contatto rocce sedimentarie, metamorfiche e magmatiche (Plutone della Val Biandino) di differente età e formazione.

l’utilizzo di campioni di rocce, minerali e carte geologiche, è stato descritto l’assetto geologico della Val Biandino. I ragazzi, che si sono dimostrati molto interessati e curiosi, hanno potuto analizzare i diversi campioni di rocce e di minerali, imparando a riconoscerli ed esponendo le loro numerose domande. In seguito, aiutati dalle condizioni meteorologiche che sono migliorate, ci siamo recati all’esterno dove è stato allestito il gioco “Ricostruisci il minerale”. I partecipanti sono stati suddivisi in quattro squadre equivalenti, a ciascuna squadra è stato consegnato il disegno di un minerale. Scopo del gioco era ricostruire, nel minor tempo possibile, il puzzle relativo al proprio disegno. Le tessere del puzzle sono state guadagnate da ogni squadra attraverso una corsa a staffetta. FASCIA DI ETA’ A CUI E’ INDIRIZZATA L’ATTIVITA’ Dai 7 ai 18 anni. In base all’età dei partecipanti è utilizzato un lessico appropriato e adatto alla comprensione dei ragazzi per la spiegazione degli argomenti.

Rif. TAVECCHIA – 2 LUGLIO 2012 DESCRIZIONE DELL’ATTIVITA’ Il pomeriggio del 2 luglio, in accordo con gli accompagnatori, è stata svolta un’attività ludico/didattica all’interno del Rifugio Tavecchia per la prima parte e sui prati all’esterno per la seconda. Durante la prima parte del pomeriggio, essendo il tempo piovoso, abbiamo colto l’occasione per tenere una breve lezione teorico-pratica sulla geologia, le rocce e i minerali. Per meglio esporre l’argomento, i ragazzi sono stati divisi in due gruppi in base all’età e, attraverso

VAL BIANDINO 3 LUGLIO 2012 DESCRIZIONE DELL’ATTIVITA’Lo scopo dell’attività svolta era quello di far realizzare a ciascun ragazzo una carta geologica semplificata della Val Biandino.

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Prima di iniziare la camminata, a ciascuno dei partecipanti è stata consegnata una carta topografica dell’area (estratto Carta Geografica Militare in scala 1:25.000) ed alcune matite colorate. Data la complessità geologica della Val Biandino sulla carta erano già stati tracciati i limiti tra le formazioni rocciose sedimentarie, metamorfiche e magmatiche, senza indicare però di che rocce si trattasse. Lungo il percorso sono state effettuate diverse soste “ad hoc” durante le quali è stato chiesto ai ragazzi di fare il “punto in carta” individuando la loro posizione sulla carta. Sono stati raccolti alcuni campioni di roccia che i ragazzi hanno classificato e infine è stato chiesto loro di indicare sulla carta il tipo di roccia con un pallino di un determinato colore. In corrispondenza dell’ultimo stop, le carte si presentavano costellate di punti di tre colori differenti (rocce sedimentarie, metamorfiche e magmatiche). I ragazzi hanno potuto completare la loro carta geologica riempiendo gli spazi rimasti bianchi e realizzando una legenda. In corrispondenza del Rif. Grassi, i ragazzi sono stati accompagnati in vicinanza dell’entrata dell’ex-miniera, chiusa e messa in sicurezza. Dopo avere descritto la struttura della miniera e il tipo di minerali che si estraevano (Galena argentifera), i ragazzi sono stati lasciati liberi di cercare qualche campione di minerale (sempre seguendo la normativa vigente in materia di raccolta di campioni di minerali e rocce). FASCIA DI ETA’ A CUI E’ INDIRIZZATA L’ATTIVITA’ Dai 7 ai 18 anni. In base all’età dei

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partecipanti viene utilizzato un lessico appropriato e adatto alla comprensione dei ragazzi per la spiegazione degli argomenti. Anche l’attività cartografica può essere svolta già con i più giovani, utilizzando carte con un differente grado di difficoltà. Rif. TAVECCHIA – VAL BIANDINO SERATA ASTRONOMICA OSSERVATIVA – 3 LUGLIO 2012 SERA Basandosi sulla convinzione che il cielo stellato montano sia tra i più spettacolari da osservare, l’esperto ha voluto avvicinare i giovani anche a questo aspetto da valorizzare. Dopo essersi recati in un luogo abbastanza buio, ai ragazzi è stato fatto notare come il cielo stellato montano sia molto più buio di quello della pianura e di come il numero di stelle sia maggiore proprio perché manca l’inquinamento luminoso. Poi sono state illustrate le costellazioni estive, con l’ausilio di un puntatore laser per astronomia. E’ stata mostrata loro la forma delle costellazioni e raccontati i miti greci collegati. Inoltre si è illustrato come trovare il Nord usando il Grande Carro per trovare la Stella Polare e come riconoscere i pianeti (Saturno e Marte) dalle stelle. In seguito, dopo aver montato un telescopio Antares da 114 mm di diametro, i ragazzi hanno potuto osservare a diversi ingrandimenti il pianeta Saturno.


Madonna della Neve

Rif. Tavecchia

Cima delle Miniere Passo Camisolo

Rif . Ta vec chi a

Min iere di V alb Pas ona so C am iso lo

Rif. Grassi

Rif . Gr ass i

2100

Rif .M ado nn ad ella Ne ve

Rif . Ta vec chi a

Miniere di Valbona Zuc di Valbona

1900 1700 1500 0

2

4

6

8

10

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13,3km

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Attività paesaggistica archittettonica - Giuseppe Dei Cas PARTENZA: Rifugio Tavecchia (m 1.510) ARRIVO: Bocchetta di Trona (m 2.093) DISLIVELLO IN SALITA: 583m Dalla Bocca di Biandino (m. 1.493) dove si trova il rifugio Tavecchia, la passeggiata inizia verso il piccolo nucleo di Biandino, da qui si gira a sinistra per intraprendere il ripido sentiero che porta fino alla cresta e poi continuare sul percorso panoramico verso il rifugio Santa Rita (m 1.999). Giunti alla Bocca di Cazza superare il rifugio e seguire le indicazioni verso la Bocchetta di Trona lungo il sentiero della Tempestata. Poco più avanti si giunge ad un bivio dove da entrambi i sentieri è possibile arrivare alla bocchetta di Trona, dunque è possibile scegliere se intraprendere il sentiero panoramico che porta prima al rifugio Falk e poi scende verso i resti dell’ex rifugio PioXI oppure proseguire per il sentiero di mezza costa. Giunti a destinazione per il ritorno è possibile prendere al contrario il sentiero precedentemente scartato così da completare una sorta di giro ad anello dell’Alta Val Varrone, Attività svolta: Durante l’intero percorso: Scopo della giornata è quello di provare a ricostruire l’antico “spirito del luogo” formatosi durante il periodo del secondo conflitto mondiale ripercorrendo una delle vie battute dalle brigate partigiane, in particolare quello della 55° Brigata Garibaldi Rosselli, fino a raggiungere gli ultimi avamposti militari conservati alle

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DISLIVELLO IN DISCESA: 583m TEMPO TOTALE: 6h DIFFICOLTA’: EE Bocchette di Trona. Inoltre i ragazzi /e per provare a rivivere alcune situazioni vissute dai partigiani che non avevano calzature, hanno provato a camminare scalzi per un buon tratto di sentiero dalla bocchetta di Trona in direzione del Rif. S. Rita, dimostrando grande sopportazione alla sofferenza. 1. Durante il percorso sono stati previsti momenti di lettura, con le testimonianze di alcuni partigiani e di osservazione del paesaggio. Inoltre, in alcuni punti strategici del percorso è possibile effettuare alcune tipologie di gioco per ragazzi inerenti il tema (ad esempio la realizzazione di piccoli rifugi temporanei attraverso l’utilizzo di copri zaino e racchette da passeggiata oppure la “guerra dei numeri” da effettuare nella zona boscata della Conca di Biandino). 2. Sul sentiero panoramico della tempestata: Visita alle antiche miniere del ferro dell’Alta Val Varrone e racconto della loro storia, in particolare sulle tecniche di scavo, di estrazione e di fusione del metallo. 3. Al rifugio Santa Rita: affrontando il tema del rifugio, inteso come luogo di ricovero d’emergenza, i bambini saranno coinvolti nell’assemblaggio di piccole casette per uccelli utilizzando basi di legno predimensionate.


Bocchetta di Trona Rif. Santa Rita Rif. Madonna della Neve

Pizzo Varrone

Lago dell’Inferno

Rif. Tavecchia

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Cima delle Miniere

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1

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4,9km

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Attività naturalistica - Simone Guidetti Descrizione dell’attività L’attività è incentrata sulla fauna. Attività in rifugio: gioco riconoscimento degli indici di presenza (vedi materiale didattico del 29-5-2011) e descrizione degli indici. A seguire approfondimento sui rettili e sui grandi mammiferi predatori . Attività all’aperto: i ragazzi vengono suddivisi in 6 gruppi. Durante la gita ogni gruppo deve individuare, riconoscere e descrivere il maggior numero di indici di presenza animale. Ad ogni indice riconosciuto corrisponde un punteggio attribuito dall’accompagnatore in funzione della sua rarità ed interesse naturalistico. Questo gioco (che coinvolge attivamente anche gli accompagnatori, impegnati a rispondere ai numerosi quesiti posti di volta in volta) stimola la curiosità e comporta un notevole movimento da parte dei ragazzi, in cerca degli indizi.

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Al termine, i ragazzi del gruppo che ha ottenuto il maggior punteggio (dato dalla somma di tutti i punti corrispondenti agli indici trovati) vincono un premio (una foto di animale a scelta). Calco di un’orma animale (per esempio di ungulato), mediante apposito kit, seguendo le istruzioni appositamente predisposte. Materiale occorrente - Materiale didattico ed esempi di indici di presenza animale (palchi, corna, pigne, noci, penne, versi animali, ecc.). - Documentazione sui Rettili e sui Grandi Mammiferi Carnivori. - Blocco per appunti (1 per gruppo), matita, macchina fotografica. - Kit per realizzare il calco delle orme (gesso, acqua, elastico, contenitore, cartoncino, spatola).



SCALIAMO

LE NOSTRE CIME


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Trekking Regionale Lombardo di Alpinismo Giovanile Il trekking è un'attività organizzata dalla C.R.L.A.G. con la collaborazione e il supporto di Accompagnatori di varie sezioni che per tempo e motivazione si mettono a disposizione a livello regionale. E' diretto a ragazzi da 13 a 17 anni provenienti da tutta Lombardia che già frequentano le attività di AG all'interno di Gruppi sezionali, se vi è disponibilità di posti si accettano partecipanti con un loro Accompagnatore anche da altre regioni. La durata abituale è di una settimana e si svolge lungo un percorso itinerante da rifugio a rifugio. I ragazzi partecipanti devono aver già consolidato una certa esperienza di montagna attraverso i corsi e le attività di A.G. sezionali e devono dimostrare entusiasmo e voglia di mettersi alla prova. Le finalità e gli obiettivi sono molteplici. Il messaggio che viene dato ai ragazzi più piccoli durante la settimana stanziale, durante il trekking viene sviluppato, approfondito e consolidato. Ad esempio: il rapporto uomo e natura favorendone la consapevolezza della fragilità di questo equilibrio; la conoscenza dell'ambiente circostante, sia naturale che antropico. Solidarietà, condivisione, rispetto, socializzazione sono fondamentali per una buona riuscita dell'esperienza. Dobbiamo considerare la resistenza alla fatica di camminare per una settimana intera

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con uno zaino sulle spalle, arrivare in rifugio dove non sempre è possibile fare una doccia e dove non ci sono comfort da hotel, la promiscuità obbligata spesso in spazi ristretti, tutti elementi profondamente formativi nell'esperienza di un giovane adolescente. L'accettazione di limiti e difficoltà dei compagni di avventura mette in evidenza risorse inaspettate che nascono a sostegno di tutto il Gruppo. Il profondo messaggio umano, tradotto in un gesto, una mano tesa o una parola di conforto, segnano l'animo dei giovani partecipanti. I ragazzi si trovano a misurarsi con loro stessi in analisi interiori, a confrontarsi con dubbi e timori personali per spiccare un balzo di qualità con il confronto tra loro ed il superamento in Gruppo delle difficoltà incontrate. Il trekking è sempre un'esperienza profonda ed importante; in questo caso la collaborazione con lo psicoterapeuta ha permesso a ragazzi ed Accompagnatori di approfondire dinamiche interpersonali ed analisi interiori.

Piera Eumei Presidente C.R.L.A.G. 2011/2014 Moreno Sironi Vice Presidente C.R.L.A.G. 2011/2014



TREKKING REGIONALE LOMBARDO DI ALPINISMO GIOVANILE GIRO DEL BERNINA 17 - 23 LUGLIO 2011


TREKKINGREGIONALE LOMBARDODIALPINISMOGIOVANILE

AUTORE: Carlo Plaino DATA: 17 - 23 luglio 2011 ESCURSIONE: Trekking Regionale Lombardo di Alpinismo Giovanile SEZIONE ORGANIZZATRICE: C.R.L.A.G. con Scuola di Alpinismo Giovanile della Provincia di Sondrio PARTENZA: Campo Moro (Valmalenco) ARRIVO: Campo Franscia (Valmalenco)

Caratteristiche tecniche DISLIVELLO IN SALITA: 4.430m DISLIVELLO IN DISCESA: 4.900 m TEMPO TOTALE: 7gg

DIFFICOLTA’: EE TRASPORTI PUBBLICI: treno e autobus PERIODO CONSIGLIATO: da luglio a settembre

Descrizione percorso Per affrontare un trekking di una settimana occorre buon allenamento e preparazione fisica e psicologica. Alcune tappe sono lunghe e quindi impegnative dal punto di vista fisico, ma non si incontra nessuna difficoltà alpinistica. Occorre quindi partire con un buon allenamento e gli indumenti adatti anche all’alta montagna e sufficienti per una settimana. 1° Tappa : Campo Moro in Valmalenco, salita al rifugio Carate Brianza 2.636 metri – tempo previsto ore 2,30 - dislivello di salita 700 metri. Dal parcheggio presso il piazzale, all’altezza dello sbarramento della diga, si percorre il muraglione verso N per poi scendere tramite una stradetta ad uno slargo sottostante. Traversatolo verso le

pendici del Sasso Moro, si trova il cartello indicatore per i rifugi Carate e MarinelliBombardieri. Si segue il sentiero che con numerose ripide svolte risale per cenge la sovrastante parete portando su un panoramico poggio boscoso. Si prosegue in direzione NW in leggera salita e poi in piano in un rado bosco per aggirare le pendici SW del Sasso Moro. Verso i 2.200 metri la salita inizia a farsi di nuovo ripida nel grande vallone interrotto da una serie di ondulazioni del terreno i così detti “sette sospiri” e si raggiunge il rifugio Carate. Poco sopra il rifugio, alla Bocchetta delle Forbici, appare in tutta la sua maestosità una larga parte del versante meridionale del gruppo del Bernina circondato da grandi

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ghiacciai. I simpatici Francesca e Angelo offrono un accoglienza amichevole e un’ottima cucina. 2° Tappa : Rifugio Carate 2.636 metri – Chiareggio 1.600 metri – tempo previsto 7 ore – dislivello di salita 450 metri. Dal rifugio si scende lungo il sentiero del giorno precedente fino all’alpe Musella, quindi si prosegue fino alla bellissima piana devastata dall’alluvione del 1987 dell’alpe Campascio 1.840 metri. Seguendo la mulattiera che porta a Campo Franscia, si raggiunge il Dosso dei Vetti dove si incrocia il sentiero che percorso porterà al Passo di Campolungo 2.319 metri. La discesa avviene sulla stupenda conca del Lago Palù e, sempre su sentieri ben segnalati si prosegue fino a Chiareggio dove si potrà riposare all’omonimo albergo gestito dai proprietari Flavia e Livio Lenatti. 3° Tappa : Chiareggio 1.600 metri Passo Maloja 1.815 metri, poi bus fino a St. Moritz - Tempo previsto 7 ore – dislivello di salita 1.000 metri. Da Chiareggio in direzione W si oltrepassano le ultime case e si imbocca l’antica mulattiera che in circa 3 ore abbondanti porta al Passo del Muretto 2.562 metri. Questo valico già noto ai tempi dei romani, per tutto il periodo medioevale ebbe notevole importanza nello sviluppo dei traffici commerciali fra il versante sud alpino e le nazioni settentrionali. Era privilegiato in tal senso il trasporto del vino valtellinese e delle piode della Valmalenco. Il passo oggi ha perso tutta la sua importanza commerciale, anche se fino alla metà degli anni ’60 fu utilizzato con frequenza per il

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contrabbando. Il toponimo potrebbe derivare da mor che significa cumulo di pietre. Si entra ora in territorio svizzero e su ripido pendio ci si abbassa fino a Plan Canin. Si prosegue in leggera discesa fino al lago Cavloc e dopo un’altra ora si giunge a Maloja 1815 metri. Con servizio di bus si raggiunge St. Moritz per alloggiare all’organizzatissimo ostello per la gioventù. 4° Tappa : St. Moritz 1.822 metri – Fourcla Surlej 2.755 metri. Tempo previsto 3.30 ore – dislivello di salita 980 m. Da St. Moritz Bad nei pressi del campo giochi si imbocca un sentiero con cartelli indicatori, al primo bivio si volge a destra e si sale seguendo le indicazioni fino al Lej dals Chods (lago dei Galli) dove si trova anche un piccolo ristorante (ore 1,30). Da qui si prende il sentiero segnalato per il valico che si raggiunge in altre 2 ore. Il panorama che si può ammirare sui laghi e sull’alta Engadina è qualcosa di fantastico. I ll nome Surlej deriva da quello del paese che sorge sulle rive dei laghi comunicanti di Silvaplana e Champfer e significa sopra il lago (sur, sopra; lej, lago). Il valico è uno dei migliori punti panoramici sui versanti settentrionali del Piz Bernina, Monte Scerscen e Piz Roseg. Da questo punto è visibile integralmente la famosa cresta Nord del Pizzo Bernina nota come Biancograt (cresta bianca) o Crest’Alva (dal romancio) o Himmelsgrat (scala del cielo) e che è sicuramente una delle più celebri e frequentata di tutte le Alpi. Cena e pernottamento all’Albergo



Ristorante Surlej, punto panoramico impagabile, ospiti della proprietaria signora Claudia. 5° Tappa : Fourcla Surlej 2.755 metri – Pontresina 1.774 metri. Tempo previsto 4 ore – dislivello di salita 0 metri. Dalla Fourcla Surlej, seguendo le indicazioni si scende lungo il sentiero ben segnalato in direzione NE che in 2 ore porta all’Hotel Roseg. Qui ci si può concedere un po’ di relax (se il tempo lo permette) ed eventualmente gustare gli squisiti dolci esposti in un grandioso banco all’esterno dell’Hotel. Prendendo poi la carrozzabile in altre 2 ore si raggiunge il paese di Pontresina, dove, con il famoso trenino rosso della ferrovia retica diventato da poco patrimonio dell’UNESCO, attraversando luoghi meravigliosi, si giungerà all’Alp Grum 2.093 metri dove, nell’omonimo e caratteristico albergo, ospiti del signor Primo Semadeni, si può gustare una tipica cena svizzera e pernottare. 6° Tappa : Alp Grum 2.093 metri – Rifugio Bignami 2.385 metri. Tempo previsto 8 ore – dislivello di salita 1.300 metri. Dalla stazione di Alp Grum si imbocca la comoda mulattiera che scende al piccolo borgo di Cavaglia. Lo si attraversa e si imbocca il sentiero che con dei continui sali-scendi porta prima all’alpe Varuna e poi all’alpe Somdoss 2.160 metri. Ora seguendo le segnalazioni si sale fino al Passo di Canfinale (ultimo campo) 2.628 metri dove sorge il bivacco Anghileri-Rusconi.

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Si scende all’alpe Gembré e con un ampio giro in senso antiorario in salita, si raggiunge il rifugio Bignami. Ospiti di Raffaella ed Alessandro dopo una buona cena si potrà riposare da questa tappa lunga e faticosa! 7° Tappa : Rifugio Bignami 2.385 metri – Campo Franscia 1.500 metri. Tempo previsto 3 ore – solo discesa. Possibile rientro a Sondrio con bus di linea.


Lago di San Murezzan

Pontresina

Saint Moritz

Lago di Silavaplana

Lago di Sils

Fourcla Surlej

Passo del Maloja

Lago Bianco

Massiccio del Bernina Rif. Carate Brianza

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Chiareggio Campo Moro

Lago Pal첫

Lago Alpe Gera

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Una settimana in montagna coi ragazzi - C. Plaino L’Unione Europea stabilisce che il fondo europeo per lo sviluppo regionale (FESR) debba contribuire alla realizzazione di attività economiche, sociali e ambientali transfrontaliere mediante strategie comuni di sviluppo territoriale sostenibile, concentrandosi in particolare sulla promozione dell’imprenditorialità e, segnatamente, sviluppo delle PMI, del turismo, della cultura e del commercio transfrontaliero. Il C.A.I. Lombardia in collaborazione con Regione Lombardia ha promosso il progetto VETTA: “VALORIZZAZIONE DELLE ESPERIENZE E DEI PRODOTTI TURISTICI TRANSFRONTALIERI DELLE MEDIE ED ALTE QUOTE” per l’avvicinamento dei giovani e degli anziani alla montagna per facilitare e sviluppare una corretta fruizione dell’ambiente montano oltre che promuovere lo stesso come contesto privilegiato per lo sviluppo di abilità intra- ed inter-personali per i giovani. Durante la giornata di presentazione del progetto VETTA, avvenuta a Torino il 26 gennaio 2011, si è tenuto un workshop proprio su “i giovani e la montagna”. L’interesse dimostrato dai partecipanti è stato molto alto. E’ emerso subito che l’attività escursionistica porta i bambini e i ragazzi a esplorare il mondo e a misurare le proprie capacità con un atteggiamento di maggior indipendenza. Si compiono esperienze che sviluppano il senso della responsabilità, che portano i giovani a cercare i propri limiti e ad imparare a

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stare in gruppo. Il soggetto più lento accelererà il suo passo e quello più veloce imparerà ad aspettare chi è rimasto indietro incontrandosi sulla linea del sentiero. L’escursionismo abbraccia tutti questi valori, anche la competizione (non possiamo dimenticare come il positivo senso della competizione costituisca un elemento sano nella crescita soprattutto nell’ adolescente), ma con l’attenzione a non rimanere imprigionato dall’agonismo. Non troviamo il singolo in sfida con il singolo, ma gruppi che nonostante il confronto non rimangono vittime dell’ affermazione del sé con conseguenti frustrazioni, poiché non si rimane soli ad affrontare le proprie debolezze. Il camminare può essere interpretato come una metafora della vita in cui il bambino prima e il giovane poi possono attuare una propria crescita individuale. Nel silenzio della montagna, nel buio di una notte in tenda o al rifugio si ha la possibilità di ascoltare il proprio respiro, i propri pensieri, scoprire la bellezza del contesto e farla propria per un attimo. L’escursione in montagna, il trekking o l’attendamento sono modalità di interazione e di valorizzazione delle esperienze che permettono all’individuo di sviluppare abilità sociali e di confronto con gli altri. Il gruppo dei pari diviene quindi veicolo e contesto per l’ampliamento della personalità tutta ed in particolare del senso di autoefficacia ed autostima che veicolano il senso di


autorealizzazione; in aggiunta l’inserimento in un contesto “naturalmente ecologico” favorisce l’esperienza ed il rafforzamento del sé ecologico ovvero quell’aspetto della personalità legato alla nostra evoluzione, al nostro passato, al nostro modo di vivere il mondo in qualità di esseri viventi. Esperienze come quelle proposte dal C.A.I. attivano e facilitano lo sviluppo di processi efficaci orientati alla costituzione del sé e delle relazioni che l’individuo instaura con gli altri e con l’ambiente che lo circonda. L’esperienza della montagna può essere funzionale all’espansione del livello di consapevolezza ecologica ovvero la coscienza di far parte di un contesto naturale più ampio: possiamo quindi parlare di un sé ecologico che è il risultato della grande visione sistemica del mondo che ci aiuta a riconoscere la nostra “immersione” nella natura e a modificare il modo in cui noi possiamo fare esperienza di noi stessi attraverso un processo di identificazione con l’altro e con il contesto. L’identità ecologica si riferisce a come gli individui percepiscono se stessi in relazione alla natura come esseri viventi in relazione alla grande e diversa complessità dei sistemi ecologici: l’acquisizione di un’identità ecologica si verifica quando una persona impara a riflettere e ad interiorizzare l’impatto personale e pubblico delle esperienze ambientali e andare in montagna facilita questo processo. STUDIO DI UN CASO: IL TREKKING DEL BERNINA L’esperienza del trekking estivo del

2011 che ha percorso l’anello del Bernina, è stata un’esperienza molto arricchente sia dal punto di vista delle conoscenze/competenze che dal punto di vista umano per tutti i partecipanti: dai ragazzi agli accompagnatori a me e Marcello (cameraman). L’esperienza di gruppo è da considerarsi, in generale, un’esperienza accrescente sia sul profilo inter-personale, conosciamo altri diversi da noi, sia sul profilo intra-personale, impariamo qualcosa di più su noi stessi confrontandoci con gli altri. In più l’esperienza di gruppo costituisce una buona fetta della giornata che gli adolescenti, i giovani ed i ragazzi in generale vivono: pensiamo ad esempio al gruppo-classe, al grupposportivo, al gruppo-amici, al gruppooratorio e così via. Sembra quindi rilevante nella quotidianità saper vivere in gruppo ed imparare a riconoscere le diversità che al suo interno si esprimono. Nel caso del trekking posso dire che quest’esperienza può essere ulteriormente potenziata poiché il contesto ecologico all’interno del quale l’esperienza di gruppo si snoda ha sicuramente un impatto rilevante sulla personalità dei singoli membri. Pensiamo ad esempio ad una lite, un bisticcio fra due membri in città: potranno prendere ed allontanarsi ognuno per conto proprio dall’altro. Questo stesso litigio vissuto in una situazione scandita da tappe, da passaggi “pericolosi”, da rifugi da raggiungere: troverà la stessa risoluzione che trova nei contesti urbani? Evidentemente no, in contesto montano si possono apprendere elementi fondanti la personalità di un sano individuo,

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sempre più scarsi nei nostri tempi, come ad esempio la tolleranza alla frustrazione, alla fatica, l’adattamento a contesti meno “confortevoli” e il supporto che posso avere dai miei pari, non solo fisico ma anche psicologico attraverso il principio di universalizzazione per il quale le difficoltà che vivo io durante una tappa sono le difficoltà che vivono anche gli altri vicino a me con i quali posso solidarizzare, dai quali posso ricevere sostegno e appoggio. Il gruppo in situazioni “estreme” diviene risorsa fondamentale se ben gestito e coordinato. Contesti ambientali a forte impatto ecologico sono rilevanti nella formazione e per le esperienze personologiche di chi partecipa ad un’iniziativa come quella del trekking. Il gruppo che ha animato il trekking del 2011 è un gruppo ad esclusiva presenza maschile e questo, in qualche misura, può aver influito sulle dinamiche espresse dallo stesso. Diversi ragazzi, 19 in tutto, provenienti da diverse sezioni del CAI Giovanile della Lombardia hanno costituito il gruppo che, partito da Campo Moro, in Valmalenco, ha percorso in 7 giorni l’anello del Bernina attraverso le seguenti tappe: 1° giorno: Campo Moro Rifugio Carate Brianza 2° giorno: Rifugio Carate Brianza Chiareggio 3° giorno: Chiareggio Maloja-St. Moritz 4° giorno: Maloja-St. Moritz Furcla Surlej 5° giorno: Furcla Surlej Alp Grum 6° giorno: Alp Grum Rifugio Bignami 7° giorno: Rifugio Bignami Campo

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Moro Per i non addetti ai lavori tali tappe possono risultare solo come nomi scritti sulla carta: per chi conosce le tappe sopraccitate sarà invece possibile apprezzare la strutturazione delle stesse ed il necessario impegno, fisico e mentale, che deve essere investito dai partecipanti (soprattutto dai giovani) per poterle completare. Cercherò, proseguendo nella narrazione, di rendere al lettore parallelamente due piani di contenuti: il primo relativo alle dinamiche di gruppo che si sono instaurate nel trascorre dei giorni, il secondo relativo ai concetti di personalità e di sviluppo personale che sono, indirettamente, sollecitati e toccati dall’esperienza stessa della tappa e delle relazioni che si instaurano in gruppo. Infine dedicherò alcune riflessioni alle azioni che gli accompagnatori hanno intrapreso cercando anche di integrarle con alcune suggestioni che potrebbero intraprendere per facilitare il processo di crescita personale all’interno del gruppo. 1° giorno “Si parte!!” Dinamiche di gruppo Cercate di ricordare quello che fate quando vi recate, magari in compagnia di qualche amico/conoscente, in un posto nuovo dove sono presenti altre persone. Cos’è la cosa che viene più naturale fare? Vi lanciate subito nella conoscenza delle nuove persone? Oppure cercate di rimanere vicini a chi conoscete? Se siete sinceri sapete benissimo che è la seconda ipotesi quella che vi da maggior tranquillità. E quindi, anche in questo caso, si assiste naturalmente ad una prima conoscenza, spesso



solo basata su un piano visivo e non dialogico, fra i partecipanti. Frammentati, ravvicinati in sottogruppi, molto vicini a coloro che già, per appartenenza alle relative sezioni, conoscono. Il gruppo si muove seguendo le indicazioni della guida in modo “allungato”: tutti rispettano le indicazioni con tempi e modalità diverse. Personalità e sviluppo personale Emergono subito le diverse motivazioni che i partecipanti hanno nel prender parte all’esperienza. Mi sembrano evidenti 3 diversi atteggiamenti riconducibili ad altrettanti tipi di forme di gruppo: Il gruppo dei “bambini”: costituito prevalentemente da giovani di età compresa fra i 10 ed i 14 anni, divertiti perché questa costituisce una delle prime esperienze lontano da casa e dai propri familiari. Il gruppo dei “tecnici”: con carta geografica e strumenti tecnici sono già preoccupati del meteo e di come sarà la tappa, di quali difficoltà ci saranno da affrontare. Il gruppo degli “amiconi”: costituito da ragazzi più adulti con età compresa fra i 14 ed i 17 anni che prevedono di divertirsi fra amici e di ridere fra e con loro durante l’escursione. All’inizio di un’esperienza ogni membro ha le sue aspettative e le porta nel gruppo; siamo nella fase di orientamento per un gruppo dove i membri esperiscono: tensione ed aspettative, provano una certa ansia (come mi integro, cosa si aspettano da me), valutazione della situazione e delle figure centrali, necessità di trovare una colloca-

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zione e di stabilizzarsi. Azioni degli accompagnatori Anche gli accompagnatori sono in questa prima giornata in fase di studio del gruppo dei giovani: ognuno conosce i giovani provenienti dalla propria sezione ma non gli altri e quindi si tratta di vedere come reagiranno quelli che non si conoscono alle tappe programmate. Il centramento sull’obiettivo, ovvero il rispetto delle tappe prestabilite, è forte in questa fase iniziale. Avendo inviato il programma nessuno si premura di illustrare la tappa che dovrà essere affrontata e questo, a mio avviso, potrebbe essere invece rilevante per la preparazione dei giovani alpinisti: sapere dove e come mi reco all’arrivo può aiutare ad affrontare le eventuali difficoltà incontrate. All’arrivo al rifugio la presentazione di ogni membro avviene in modo “scolaresco” poiché viene fatto l’appello ed ognuno si alza per farsi vedere dagli altri: anche in questo caso potrebbe essere utile strutturare una presentazione con modalità diverse che sia, essa stessa, un processo di conoscenza fra i membri. Ad esempio con la “presentazione incrociata” si potrebbe avviare già un primo processo di socializzazione; di seguito le modalità di realizzazione di tale “gioco relazionale”: Svolgimento: a coppie i giovani intervistano un proprio compagno e si fanno raccontare “di tutto un po’” del compagno stesso poiché, successivamente, ognuno presenterà il proprio collega all’intero gruppo. Eventuali suggerimenti: è meglio prendere appunti delle caratteristiche del compagno intervistato; inoltre ogni


membro dovrà dire se ritiene la presentazione di sé fatta dall’altro adeguata. 2° giorno “La seconda tappa” Dinamiche di gruppo Dopo la prima notte passata insieme ad altri, il livello di confidenza è leggermente aumentato e quindi si può iniziare già a raccontare storie su “come l’altro dorme” oppure su “come si è svegliato” o ancora su “come ha preparato lo zaino”. Conoscere e condividere una camerata con altri espone direttamente alla conoscenza dell’altro ed ai primi confronti. L’alzata mattutina, ore 7 circa, impone già ai giovani un ritmo diverso rispetto alla quotidianità che sono abituati a vivere almeno da quando la scuola è finita. Anche durante la prima colazione ci sono possibilità di sviluppare le nuove relazioni anche se frequentemente, la tendenza naturale, spinge ad avvicinarsi ancora a chi già si conosce per una questione di “sicurezza emotiva”, di comodità. Personalità e sviluppo personale Si possono osservare quei soggetti che per temperamento, personalità ed apprendimento sono maggiormente orientati alla conoscenza degli altri (estroversi) rispetto a quelli che, per le stesse ragioni, sono più propensi a mantenersi nel gruppo di appartenenza (introversi). Nel corso della seconda tappa ci sono spunti tecnico/didattici dai quali ogni giovane trae le prime conoscenze/competenze: da come si avvertono i soccorsi a quali piante/animali popolano le zone che vengono percorse dal gruppo stesso. La pausa pranzo costituisce un altro

momento di socializzazione potenziale che dovrebbe però essere maggiormente facilitato anche dagli accompagnatori: lasciati spontaneamente organizzarsi i giovani tendono comunque a ritornare verso i sotto-gruppo di appartenenza piuttosto che allargare la socializzazione. La tappa lunga mette subito a “dura” prova coloro che, specialmente fisicamente, sono un po’ più fragili. L’arrivo in serata permette un momento di relax vissuto attraverso il gioco delle carte o la visione della televisione. Mentre il primo è un processo fortemente socializzante, il secondo impedisce di fatto la comunicazione poiché la televisione è, per eccellenza, uno strumento di monopolio comunicativo: in altri termini è la televisione che parla con noi e non noi con i nostri compagni di avventura. Ecco perché potrebbe essere auspicabile ridurre al minimo l’esposizione a tale strumento. Azioni degli accompagnatori Gli accompagnatori lasciano liberi i ragazzi di autogestirsi il tempo libero: mentre il presidio dell’adulto è forte durante la tappa sia per il monitoraggio della sicurezza che per le comunicazioni di tipo tecnico/conoscitivo, forse “troppa” libertà viene lasciata per il tempo di relax all’arrivo. Si potrebbe immaginare come un’azione maggiormente efficace possa essere quella di proporre alcune attività che, solo successivamente, sono autogestite dai giovani. Ad esempio la partita a carte può diventare un piccolo torneo di carte che coinvolga la maggior parte dei presenti oppure la visione di un programma televisivo possa diventare spunto di

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discussione fra gli accompagnatori ed i giovani. Ritengo utile lasciare liberi di autoorganizzarsi ma ancor più utile è fornire spunti intorno ai quali possano i giovani auto-organizzarsi. Infine uno strumento che ritengo utile poiché favorisce sia il senso di gruppo (abbiamo affrontato insieme alcune difficoltà sia fisiche che metereologiche relazionali) sia l’elaborazione personale di quello che è accaduto durante la tappa è il debriefing. A fine tappa durante il momento di relax ripercorrere i momenti salienti diventa una fase di condivisione che promuove il senso di appartenenza al gruppo; a tal proposito propongo schematicamente le fasi del debriefing per fornirne una guida rapida e pratica e per favorirne la diffusione: 1-Introduzione: alla situazione ed alla tappa 2-Discussione dei Fatti: ricostruzione del percorso attraverso le "narrazioni" e le prospettive multiple dei partecipanti 3-Discussione dei Pensieri/Cognizioni: che i partecipanti hanno avuto durante la tappa 4-Discussione delle Emozioni: condividendo quelle provate durante la tappa 5-Conclusione:"chiudere" l'esperienza bevendo e mangiando qualcosa insieme per rinsaldare i legami sociali di gruppo dopo la "fatica emotiva“ e la “fatica fisica”. Ricordo infine gli obiettivi principali di tale tecnica: Raggiungere un livello d'informazione uniforme per il gruppo permettendo di co-costruire una prospettiva condivisa della tappa. Comprendere meglio le reazioni, le

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emozioni e le esperienze vissute da ognuno dei partecipanti. Diminuire o permettere di rimodulare l'intensità delle reazioni emotive inevitabilmente generate da un'esperienza “faticosa”. Rinforzare la rete delle relazioni fra i partecipanti che hanno condiviso la tappa stessa. 3° giorno “La terza tappa” Dinamiche di gruppo Continua la conoscenza fra i partecipanti anche se sono consolidate sempre di più alcune conoscenze pregresse rispetto all’esperienza di trekking. Ci sono sporadici scambi fra i giovani nei confronti di chi è meno conosciuto mentre continuano le relazioni fra coloro che provengono dalla stessa sezione. In testa al gruppo continuano ad esserci coloro che sono più interessati agli aspetti tecnici del trekking insieme ai più giovani mentre, in coda al gruppo spesso sono presenti i ragazzi orientati al “divertimento” che vedono nell’arrivo ai rifugi a fine tappa un momento ludico. Si possono forse distinguere due macro tipologie di atteggiamenti: Chi trova soddisfazione nella fatica/percorrenza della tappa poiché stimolante sia da un punto di vista paesaggistico/faunistico sia da un punto di vista conoscitivo e di apprendimento. Chi vive la tappa come un momento di transizione fra un rifugio e l’altro vedendo nell’arrivo del rifugio e quindi nella fine della tappa stessa un momento di divertimento e di gioco. Personalità e sviluppo personale La terza tappa mette a dura prova la resistenza dei ragazzi poiché è una tappa


ABBIAMO

TESTA E PIEDI


particolarmente faticosa. Giovani abituati a camminare ed atleticamente preparati sono molto stimolati da questo tipo di esperienza mentre, chi è meno “sportivo”, inizia a provare le prime fatiche ed avere i primi cedimenti “psicologici” come ad esempio: ce la farò? Quanto manca alla fine? Ma quando ci fermiamo? Dal punto di vista personologico i più preparati cercano conferma delle proprie abilità e della propria tenuta fisica e mentale mentre, per i meno preparati, inizia una sfida, un’esplorazione dei propri limiti e dei propri ostacoli. A mio avviso la crescita personale attraverso l’esperienza la possiamo vedere in entrambe le direzioni: per chi cerca conferma della propria resistenza è un’occasione comunque di autoefficacia poiché si genera la consapevolezza di potercela fare, di tenere duro e di essere già pronto per sostenere la fatica. Per coloro che iniziano uno sfida, riuscire ad arrivare alla fine della tappa è una somma prova di auto-realizzazione poiché, avvicinati al proprio limite, sono riusciti comunque a superarlo ottenendo il rinforzo del meritato riposo e di un’immagine di sé riformulata e ristrutturata proprio grazie al traguardo raggiunto. Ricordo come (Bandura, 1973) l’auto-efficacia influenzi l’auto-realizzazione e questa influenzi l’auto-stima personale: fare esperienze gratificanti per sé aumenta la stima che abbiamo di noi stessi e quindi la risposta ad uno dei bisogni fondamentali dell’individuo (Maslow, 1954). Azioni degli accompagnatori Gli accompagnatori strutturano

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sempre di più il loro ruolo che talvolta fa da collante all’interno del gruppo ma, tal altra, potrebbe aumentare il proprio impatto sulle dinamiche del gruppo stesso. Cercare di disseminarsi all’interno del gruppo potrebbe essere una strategie di potenziamento dell’azione personale: stare con il gruppo di coda e poi allungare il passo per raggiungere il gruppo di mezzo della cordata ed infine raggiungere il gruppo di testa per scambiare due parole e raccogliere le impressioni ed i vissuti dei ragazzi stessi può contribuire allo sviluppo del gruppo poiché l’accompagnatore diviene depositario dei vissuti/pensieri/emozioni di tutti e può, una volta raggiunto l’arrivo, condividerlo con i giovani. Inoltre potrebbe essere utile, durante la cena o la prima colazione, condividere il pasto prendendo parte al tavolo dei giovani piuttosto che creare il tavolo degli adulti: è corretto lasciare che i ragazzi condivano fra loro le esperienze in modo spontaneo ed autentico, confrontandosi fra pari ma può essere utile anche avvicinare il gruppo “fondendosi” con questo favorendo momenti anche di auto-apertura ovvero momenti nei quali l’accompagnatore racconta le sue esperienze personali ai giovani ricordando magari quando lui aveva la loro età e spiegando loro le sue difficoltà vissute nelle arrampicate piuttosto che nei trekking. L’importanza del “raccontare storie” ha da sempre avuto un valore importante nell’avvicinare i giovani agli adulti poiché ha sempre favorito, naturalmente se la storia è interessante ed “avvincente”, un processo di identifi-


cazione nell’adulto favorendo quindi il processo di modeling ovvero un processo imitativo che spinge naturalmente ad emulare chi abbiamo di fronte. La tecnica del modellamento consiste nella promozione di esperienze di apprendimento attraverso l'osservazione del comportamento di un soggetto che funge da modello, in questo caso l’accompagnatore. In varie situazioni il modeling avviene anche senza una precisa intenzionalità del modello stesso e dell'osservatore ovvero del giovane. Il soggetto che funge da modello può non avere alcuna intenzione di insegnare e, allo stesso modo, l'osservatore di imparare, ma si trova ad apprendere a livello latente utilizzando le sue osservazionei anche molto tempo dopo averle effettuate (Ballanti e Olmetti Peja, 1989). A livello generale il processo di modeling dipende da tre condizioni determinanti: - le caratteristiche del modello con particolare riferimento allo status sociale ed al prestigio, ma anche ai legami affettivi che possono intercorrere con l'osservatore; - le caratteristiche dell'osservatore riferite soprattutto alle variabili di personalità (disponibilità e motivazione); - le conseguenze prodotte dal comportamento del modello e da quello dell'osservatore nel momento in cui imita il modello. Quando tali conseguenze sono positive, l'osservatore continuerà a manifestare il comportamento acquisito tramite modellamento, in caso contrario tenderà ad inibire tale comportamento. Avvicinandosi e “fondendosi” con i

giovani durante alcuni momenti del riposo serale diviene quindi occasione per favorire il processo di modellamento e quindi di avvicinamento agli stili positivi dell’adulto da parte dei giovani che ritrovano in questo un individuo da “imitare” 4° giorno “La fatica è sempre più intensa” Dinamiche di gruppo La fatica continua nonostante la tappa che si presenta sia modesta. I ragazzi hanno avuto modo di giocare insieme nella stanza dei giochi ma le separazioni fra i sottogruppi non sembrano scomparire; c’è mutuo rispetto, nessun affronto o contrasto ma il dialogo è ancora privilegiato con i compagni che si sentono più prossimi. Qualche soggetto è più aperto all’incontro con gli altri ma in generale permane la resistenza all’apertura verso l’altro: lo scarto di età e di obiettivi fra i membri del gruppo rendono difficile l’integrazione. Naturalmente anche il tempo trascorso insieme è relativamente poco e non permette una particolare coesione del gruppo stesso. È utile ricordare come un gruppo sia, per certi aspetti, come un individuo e come tale affronta alcune tappe di sviluppo: la nascita, la crescita, lo sviluppo e la fine. Proviamo a vedere quindi quali sono le necessità di un individuo che prende parte alla vita di gruppo sulla base proprio delle fasi di vita del gruppo stesso: Fase 1- ORIENTAMENTO - Provare una certa ansia: come mi integro, cosa si aspettano da me - Valutazione della situazione e delle

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figure centrali - Necessità di trovare una collocazione e di stabilizzarsi Fase 2- INSODDISFAZIONE - Provare uno scostamento tra aspettative e realtà - Ci si sente incompetenti e confusi ed insoddisfatti nonché affaticati - Si compete per potere e/o attenzione Fase 3- LA SVOLTA - Si sviluppano armonia, fiducia, sostegno e rispetto - Responsabilità ed emozioni vengono condivise - Si usa un linguaggio comune ed è ampio l’uso del “NOI” Fase 4- STABILITÀ - Si collabora attivamente con tutto o con gran parte del gruppo - Si percepisce la forza del gruppo nel realizzare i compiti - Si condivide la leadership in prospettiva meritocratica ed interdipendente Personalità e sviluppo personale Inizia ad essere sempre più forte la sperimentazione individuale di alcuni valori che la montagna e la situazione del trekking forniscono come ad esempio l’autonomia (preparare le cose da soli, non scordarsi i propri oggetti per poi dire a metà strada “ca.. mi sono dimenticato al rifugio…”), autogestione (gli accompagnatori ci sono ma sei tu che devi provvedere a te stesso procurandoti il cibo per la tappa piuttosto che gestendo i tuoi soldi o ancora i tuoi oggetti), adattamento (le situazioni ambientali sono piuttosto impervie ed il meteo non è stato clemente, freddo e pioggia sono elementi da accettare e non da combattere, alcune comodità urbane sono

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molto distanti dalla quotidianità vissuta in montagna). Per necessità questi valori, che sono poi tradotti in abilità messe in atto da ogni giovane, devono essere sviluppati ed adottati. Molti giovani si rendono conto di queste differenze rispetto alla vita condotta in città e le apprezzano; spesso però lo fanno durante la settimana senza poi trasferirle alla quotidianità. Per loro stessa ammissione questi nuovi comportamenti appresi saranno, con buona probabilità, perduti e tralasciati a favore dei vecchi una volta tornati a casa: qui c’è dunque una riflessione importante da fare. Lo spirito di adattamento e di autonomia vissuta nel contesto ambientale della montagna è una via sufficiente e necessaria per “sopravvivere” in questa cornice, tuttavia, nel momento in cui il contesto cambia, queste due caratteristiche tendono ad estinguersi lasciando spazio alle vecchie modalità. Diviene quindi opportuno cercare un canale, una comunione ed una vicinanza di intenti fra gli accompagnatori ed i genitori dei giovani al fine di creare continuità nelle condizioni che gli stessi giovani ritrovano una volta tornati a casa: in altri termini se gli accompagnatori ed il contesto ecologico spingono nella direzione dell’autonomia, ad esempio, sarebbe molto utile che anche i genitori, una volta accolti i propri figli alla fine dell’esperienza, ricreassero condizioni e situazioni nelle quali si renda necessario ri-attivare la spinta all’autonomia in modo tale da continuare l’azione di modificazione comportamentale innescata dal trekking.


Se fra una tappa e l’altra, per la preparazione del pranzo, gli accompagnatori invitano i giovani ad auto-organizzarsi sarebbe auspicabile che anche tornati a casa trovassero i genitori che spingono in questa stessa direzione ad esempio facendo preparare loro il pranzo. Azioni degli accompagnatori Gli accompagnatori in questa fase potrebbero essere facilitatori di coesione e di relazione. L’atteggiamento spesso utilizzato è incentrato su caratteristiche tecnico-didattiche e difficilmente su quelle relazionali: pur rendendosi sempre disponibili ed accessibili ai ragazzi, tendono poco ad andare loro verso i ragazzi adottando modalità comunicative che spingano all’apertura dei ragazzi stessi. La didattica è un aspetto importante dell’esperienza del trekking ed a questo dovremmo aggiungere anche la capacità relazionale per favorire il senso di gruppo. Vorrei portare un esempio di come, in funzione dello stadio di vita del gruppo dei giovani, sarebbe opportuno adattare e modificare la modalità di conduzione del gruppo stesso. Vorrei chiarire questa riflessione. Nella S1 ovvero nella fase di vita che il gruppo affronta e che è stato chiamato in precedenza “orientamento” è opportuno che il gruppo degli accompagnatori si orienti a modalità direttive (spiegare cosa fare, chiarire dove si deve andare e avere ben chiaro, trasferendolo, quali sono gli obiettivi). Nella S2 ovvero nella fase di “insoddisfazione” alla direttività dovrebbero aggiungere supporto (comunicare e condividere le proprie emozioni, le

difficoltà e gli ostacoli per permettere ai giovani di parlare delle loro in una modalità mutualmente arricchente. Nella S3 chiamata la “svolta” iniziare a ridurre la direttività, lasciando alto il supporto poiché i giovani sono ormai entrati a far parte del gruppo e quindi, anche attraverso le competenze/conoscenze apprese in precedenza, non hanno più bisogno di essere indirizzati ma di essere sostenuti negli sforzi e nelle fatiche profuse. Infine, S4 etichettata come “stabilità”, anche il supporto può venir meno poiché ogni membro del gruppo ha raggiunto una adeguata autonomia ed una stabile sicurezza emotiva utile alla gestione dei propri e degli altrui vissuti. Naturalmente, in una settimana di interazione, non è possibile percorre interamente queste tappe ma è tuttavia importante orientare, per l’accompagnatore, la propria azione di leadership in modo da fornire, al momento giusto, ciò di cui ha maggiormente bisogno il giovane ed il gruppo. 5° giorno “il trenino del Bernina” Dinamiche di gruppo Una volta sperimentate alcune dinamiche relazionali e raggiunto un certo assetto è difficile modificare le dinamiche di gruppo. Siamo partiti con sottogruppi che scarsamente hanno comunicato tra loro, fatte salve alcune eccezioni, e questo naturalmente e fisiologicamente continua ad essere mantenuto. L’abitudine è potente: se siamo stati, in termini relazionali, così per 5 giorni perché non continuare a fare quello che si è sempre fatto? La domanda, ironica, è in realtà il vero motivo per cui si mantengono le distanze fra i tre

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sottogruppi creati fin dalla partenza. Alcuni giochi relazionali, potrebbero essere utili in questa fase come strumenti di “rottura” rispetto all’abitudine e di inserimento di nuovi elementi relazionali che possano, in qualche misura, modificare l’assetto del gruppo. Personalità e sviluppo personale Il confronto con se stessi e con la propria resistenza si fa sempre più aspro poiché, anche se la tappa non è impegnativa, sono ormai 5 giorni che siamo esposti ad un ambiente che impone comportamenti diversi rispetto a quelli quotidiani: Rispetto degli orari di alzata e della colazione Preparazione quotidiana dello zaino Organizzazione delle provviste per la tappa Preparazione dell’attrezzatura (scarpe e racchette) e dell’abbigliamento adeguato Marciare fin quando qualcuno non dice “stop” Sono solo alcuni degli esempi di comportamenti che, generalmente, non sono agiti nella vita dei ragazzi; fanno anch’essi parte di un processo di maturazione e di crescita personale che vede proprio nell’autonomia e nell’auto-gestione due valori fondamentali ed imprescindibili che saturano, in ogni momento, l’esperienza del trekking e della montagna, inducendo una modificazione della personalità o almeno dei repertori comportamentali di ognuno in un contesto ecologicamente rilevante. Azioni degli accompagnatori Anche il gruppo degli accompagnatori è sottoposto alle medesime dinami-

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che: ciò che si è iniziato continuiamo a fare per il beneficio che porta l’abitudine. Quindi le modalità tecnico/didattiche sono molto diffuse, ed anche molto positive, mentre scarseggiano quelle relazionali, con le necessarie eccezioni anche in questo caso, e comunicative orientate ad una condivisione dell’esperienza. È come se, davanti alla medesima esperienza ecologicamente rilevante, ognuno avesse il proprio vissuto e lo custodisse gelosamente: siamo nello stesso luogo ma abbiamo vissuti diversi e non proviamo a connetterli a quelli degli altri. Utile, a mio avviso, sarebbe ricordare alcune buone e semplici regole comunicative che favoriscono uno scambio efficace. Ad esempio Rogers sottolinea l’importanza di alcuni fattori nella comunicazione efficace: in primis la disponibilità all’ascolto ovvero l’atteggiamento positivo nell’ascoltare il proprio interlocutore ancor prima che questo inizi a parlare. Successivamente l’accettazione non giudicante ovvero accettare ed accogliere i vissuti e le idee portate dai giovani senza etichettarle e giudicarle (quando ci sentiamo giudicati ci chiudiamo a riccio e non vogliamo continuare la conversazione, non siamo più disponibili verso l’altro). Interviene quindi un po’ di empatia a mostrare all’altro che stiamo provando ciò che prova anche lui: in questo il giovane ed il gruppo dei pari, in particolare, sono maestri poiché molto spesso la fatica provata da uno di loro viene percepita anche dagli altri che a


loro volta la provano e quindi “solidarizzano” ed universalizzano (condividono in gruppo) lo stesso vissuto. Questo diviene un propulsore della coesione e dell’avvicinamento del gruppo. Infine, ma solo in conclusione, possiamo iniziare a parlare, ad usare le parole per esprimere i pensieri: se mancano i tre requisiti precedenti è scarsa l’efficacia delle parole ed anzi, a mio avviso, è più opportuno un sano silenzio! 6° giorno “Verso la fine…” Dinamiche di gruppo Non si evidenziano più particolari dinamiche all’interno del gruppo poiché si va proprio verso la fine dell’esperienza settimanale. Molto stanchi affrontano l’ultima tappa che risulta essere abbastanza impegnativa. La sensazione è quella per cui le possibilità relazionali sono state giocate e messe in atto, quello che ha funzionato è quello che, dal punto di vista comportamentale, viene mantenuto e quindi i gruppi iniziali sono stati in qualche modo rinforzati a fare gruppo tra loro e non con “tutti” i partecipanti. Ripeto che questa è una naturale tendenza umana che non è facile contrastare: ci si avvicina di più a chi si conosce meglio, si ha difficoltà a confrontarsi con chi ci risulta sconosciuto, emotivamente si è più sicuri nel proprio gruppo di appartenenza ed è, da un punto di vista energetico, molto dispendioso mettersi in gioco con gli altri. A testimonianza della frammentazione si può notare esistono diversi sottogruppi che, anche nella disposizione tra loro, indicano una scarsa coesione.

Piuttosto che avere un unico cerchio (Gordon) si evidenziano 5 diverse postazioni scelte liberamente dai partecipanti e non si evince, da tale disposizione, un “centro” del gruppo una comunione di gruppo. Dal membro isolato alla sinistra, passando alla coppia in alto fino ad arrivare ai tre macro gruppi, più vicini certamente, ma che si danno le spalle tra loro sembra chiara una mancata integrazione relazionale: comunicare con un membro del gruppo con questa prossemica (ovvero la disposizione dei corpi nello spazio) diventa un’ardua impresa e quindi getta le premesse per una comunicazione parziale con il vicino e non una condivisione con l’intero gruppo. Personalità e sviluppo personale Arrivati a questo punto si inizia ad assaporare la soddisfazione personale per esserci riusciti, si inizia a provare autorealizzazione perché in diversa misura gli sforzi sono stati ripagati e siamo arrivati alla meta. Bandura (1973) sottolinea come l’esperienza di autorealizzazione sia mutualmente influente sia sull’autostima percepita che sull’autoefficacia individuale che sono, insieme, importanti ingredienti di crescita individuale e di sviluppo psicologico. Acquisire fiducia nelle proprie capacità/abilità, nella possibilità di applicarle in diversi contesti e quindi ottenere buoni risultati da quest’applicazione è estremamente gratificante per il giovane che cresce poiché sviluppa un atteggiamento generalmente positivo nei confronti delle difficoltà e della vita: quando un ragazzo con buona autosti-

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ma ed autoefficacia si pone davanti ad un problema esprime positività ed apertura verso le soluzioni possibili, in ottica costruttiva e proficua anche in relazione ai propri compagni. In particolare nella relazione si possono evidenziare quattro modalità: io posso pensare di me di essere ok e di avere tutte le carte in regola per entrare in relazione e risolvere / affrontare le difficoltà. Diversamente posso pensare di essere ok mentre l’altro non è ok e quindi ritrovare nell’altro qualcosa che non funziona. Possibile anche la combinazione nella quale sono io a non essere ok mentre l’altro lo è, determinando una forma di relazione dipendente poiché l’altro è più bravo di me. In tal senso si possono esplificare tali modalità relazionali e sintetizzarle per orientare un’azione educativa in: l'atteggiamento ++ è del tipo "Accetto me, accetto l'altro, qual è il problema? Risolviamolo". L'atteggiamento + - : "È tutta colpa tua!". L'atteggiamento - + : "E tutta colpa mia!" Ed infine l'atteggiamento - - : "Non si può fare niente". È opportuno quindi favorire un atteggiamento nel giovane orientato alla modalità “++” per sviluppare una modalità di risoluzione dei problemi sempre possibile e da costruire insieme all’altro poiché non esistono soluzioni pre-impostate nella relazione ma, la stessa, risente di continue negoziazioni e concertazioni con l’altro. Il valore della socialità sta dentro a questo concetto: quello che vivo/penso io è positivo ma anche quello che vivi/pensi tu lo è altrettanto, costruiamo insieme una terza modalità che ricono-

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sca quanto di buono c’è in me e quanto di buono c’è in te. Azioni degli accompagnatori Alla luce di quanto sopra esposto risulta rilevante l’azione dell’accompagnatore nella gestione e nell’orientamento delle modalità relazionali: davanti ad un atteggiamento “io sono ok-tu non sei ok“ del giovane caratterizzato da una supervalorizzazione di sé e dalla de-valorizzazione dell'altro che rivela un atteggiamento verso la vita improntato all'aggressività, alla ricerca del “potere” sarebbe opportuno intervenire mostrando come anche l’altro riporti pensieri / opinioni / emozioni / atteggiamenti condivisibili e validi, spingendo ad una maggiore accettazione della “diversità”. Mentre con un atteggiamento “io non sono ok-tu sei ok” caratterizzato dalla de-valorizzazione di sé e dalla supervalorizzazione dell'altro che presuppone una dipendenza dall'altro ritenuto più forte e più capace, diventa opportuno valorizzare le abilità / caratteristiche che il giovane ha mostrato e messo in atto durante la settimana rinforzando la sua autostima ed invogliando a riconoscere in se stesso elementi di successo e di forza: “anche tu sei stato in gamba”, “ti ho visto capace di affrontare le fatiche/difficoltà di questa settimana” o ancora “grande, ci sei riuscito anche tu” diventano espressioni rinforzanti e facilitanti per lo sviluppo di una fiducia in se stessi e di una visione di sé più positiva. Verso la chiusura della settimana è importante che gli accompagnatori si concentrino su questi aspetti che, di fatto, condizionano l’intero bilancio che


il giovane fa della settimana stessa: di questa esperienza si ricorderanno maggiormente gli elementi iniziali e finali ed è per questo che è opportuno “concludere in bellezza” per sviluppare il desiderio di ripetere l’esperienza stessa. Se vogliamo spingere i giovani a continuare a frequentare la montagna dobbiamo cercare di chiudere la stessa con sentimenti / emozioni / pensieri positivi e propositivi che si tramutino quindi in buone premesse per l’esperienza che verrà, per l’escursione di domani. 7° giorno “La conclusione dell’esperienza” Dinamiche di gruppo “Alea jacta est” il dado è tratto: il gruppo arriva alla conclusione del trekking e, per questa brevissima tappa, non si può far altro che lasciare che lo stesso finisca per agire come si è abituato ad agire durante l’intera settimana: non ci sono modifiche nel comportamento e nelle relazioni, si da spazio al bilancio ed all’accettazione dei vissuti. Personalità e sviluppo personale Recuperare e far elaborare al giovane quello che ha provato durante tutta la settimana diventa un modo per fissare quali obiettivi di crescita sono stati realizzati o almeno toccati, costituendo una ottima premessa per lo sviluppo della personalità futura. Ma cosa hanno imparato questi ragazzi? Quali sono stati gli elementi significativi che hanno riscontrato? Niente di meglio che chiederlo direttamente a loro e quindi, attraverso il gioco dell’intervista, singolarmente ogni parte-

cipante è stato sottoposto a domande quali: Cosa hai imparato da questa esperienza? Cosa ti “porti a casa” da ciò che hai vissuto? Come hai percepito l’intera settimana? La consiglieresti ad un amico? Le risposte fornite evidenziano gli aspetti importanti della settimana appresi dai partecipanti e di seguito elencati: Flora/fauna e orografia: conoscenze tecniche inerenti agli argomenti che sono state proposte durante il tragitto e sono entrate a far parte del patrimonio culturale dei giovani. Simpatia/antipatia: apprendimento di abilità sociali che permettano la relazione anche con coloro che riteniamo “antipatici”. Conoscere gli altri: entrare in contatto con personalità diverse rispetto alla propria ed apprezzare la diversità integrandola ed accettandola. Superare i pre-giudizi: trascorrere tempo e condividere esperienze anche con coloro che, al primo impatto, possono sembrare meno amichevoli e propensi al dialogo. Altruismo: aiutare un compagno in difficoltà, fargli forza e sostenerlo nei momenti di fatica e di difficoltà. Aumentare la stima di sé nel sentirsi “utile” e di sostegno ad altri Paure e timori: riuscire ad esporsi a tappe che sembrano (e sono) impegnative realizzando che è possibile affrontarle e superarle. Capacità organizzativa: organizzare lo zaino e l’abbigliamento, il pranzo e

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l’arrivo della tappa sperimentando auto-efficacia. La pazienza e la sopportazione: della fatica fisica e di quella psicologica che ogni tappa riserva, la tolleranza alla frustrazione provata nei momenti difficili sia per i vissuti personali che per quelli relazionali. La fatica: raggiungere un obiettivo faticando ha un sapore diverso rispetto al raggiungimento dello stesso con più facilità. Ci si può divertire anche con poco: la condivisione nelle camerate e delle tappe è, in se stesso, un momento che può trasferire gioia e soddisfazione. Scoprire i propri limiti: rivedere l’immagine che si ha di se stessi in funzione dei traguardi che il trekking pone, avvicinandosi ad una rappresentazione di sé più autentica. Condivisione degli spazi e dei tempi: condividere con altri sia le tabelle di marcia che gli spazi della propria intimità e privacy. Autonomia personale: non dipendere dagli adulti ed autogestirsi sono prove di crescita personale rilevanti, vivere un senso di “adultità”, dell’essere più adulti. Condivisione delle difficoltà: vedere e sentire che anche altri provano e vivono i miei stessi ostacoli accresce la consapevolezza ed il senso di appartenenza al gruppo. La de-fusione dalla vita “frenetica”: distanziarsi dalle abitudini di vita urbana ed apprezzare possibili altre soluzioni per essere soddisfatti della propria vita sperimentando il rallentamento dei ritmi che la montagna impone.

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Azioni degli accompagnatori Sviluppare una sorta di intervista finale dove, con accettazione e disponibilità all’ascolto, gli accompagnatori possano osservare ed elaborare insieme al giovane i suoi vissuti è un’occasione da non perdere per: 1.Comprendere ciò che è stato positivo/negativo nell’esperienza da parte del giovane. 2.Adeguare il proprio comportamento per situazioni future e correggere lo stesso qualora sia stato inefficace. 3.Osservare quali siano i tratti di personalità che maggiormente si sono sviluppati / modificati grazie all’esperienza vissuta. Potrebbe quindi diventare una “buona pratica” intervistare, uno per uno, i ragazzi e raccogliere, come nel debriefing, il contenuto di ogni singolo partecipante portando quindi alla condivisione le modificazioni e la crescita personale. Conclusioni La montagna fa bene non solo al fisico ma, soprattutto, anche allo spirito che modernamente potremmo individuare nell’autostima che, come abbiamo visto nella sezione precedente, avvia un processo di mutua influenza con altri due elementi fondamentali per la costituzione dell’identità e la strutturazione di una sana personalità ovvero autoefficacia ed autorealizzazione. In aggiunta il confronto con il gruppo dei pari si trasforma in un “laboratorio” dove ogni singolo individuo può mettersi alla prova ed apprendere social skills o “abilità sociali” generalizzabili in altri contesti dove il gruppo si concretizza.


L’educazione tra pari in questa situazione è parte costitutiva dell’esperienza stessa e funge da veicolo per lo sviluppo di abilità come mantenere amicizie, saper fare critiche, saper accettare la sconfitta, sentire la fatica e tollerarla, gestire le emozioni e controllare l’aggressività in un contesto naturale quale quello della montagna (McGinnis, Goldstein, Sprafkin, Gershaw, 1992). A scuola, nello sport, nei centri di aggregazione sono sollecitate costantemente queste abilità relazionali e di interazione. Stimolare questi fattori in un ambiente naturale che richiami il senso ecologico della vita e dell’esistenza diviene un’esperienza privilegiata per i giovani nel loro processo di crescita: allontanare i ragazzi, anche se solo per brevi parentesi, dalle realtà metropolitane sempre più uniformanti e alienanti e farlo verso obiettivi che invece mantengono le caratteristiche incontaminate di naturalezza potrebbero divenire strategie efficaci di sviluppo individuale per tutti quei ragazzi che sempre più vediamo o sentiamo in crisi di identità. Allora possiamo dire che un’escursione è un evento completo: invoglia e spinge alla fisicità dell’atto e stimola e sviluppa la psichismo dell’essere e del benessere. Il trekking fornisce quindi la possibilità effettiva di tradursi, a livello operativo, in un efficace modello di lavoro con gli adolescenti per lo sviluppo di reali processi di autonomia ed empowerment individuale, attraverso il potenziamento del lavoro di gruppo quale strategia per lo sviluppo della responsabilità che ciascun singolo ha nei confronti di se stesso e degli altri

all’interno del gruppo stesso. Aiutare i giovani nella loro crescita umana proponendo l’ambiente montano per vivere con gioia esperienze di formazione è un obiettivo raggiungibile che il CAI Giovanile può e deve porsi. L’esperienza del trekking del Bernina 2011 ha dimostrato come si possano ottenere risultati positivi sul fronte della formazione di una consapevolezza rispetto a “chi siamo?” e al “chi possiamo essere?” (potenziale personale ancora inespresso) come ingredienti fondamentali per un passaggio maturo all’indipendenza. I ragazzi si sono avventurati con coraggio nelle attività proposte affrontando i propri limiti, la fatica, le paure e condividendo i valori positivi della solidarietà, del sostegno reciproco nelle difficoltà, dell’amicizia. Il tema della responsabilità ha toccato tutti ed ha fatto emergere una nuova spinta da parte dei ragazzi a mettersi ancora in gioco. In particolare: mettersi in gioco, al massimo delle proprie capacità, su un percorso esperienziale che permette di misurarsi, ascoltarsi e condividere con il proprio gruppo tutto ciò che emerge, incluse difficoltà e disagi. Il trekking quindi ha offerto una possibilità concreta ai giovani di entrare nell’età adulta attraverso i valori dell’autonomia/solidarietà/responsabilità. Lo sport in generale sollecita alcuni elementi costitutivi della personalità: i valori personali che, come abbiamo visto, spaziano dall’autonomia al rispetto degli altri, dall’amicizia all’altruismo. L’azione impegnata richiesta ad ogni partecipante per affrontare, in modo

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sistematico e costante, le diverse tappe. L’accettazione dell’altro e della fatica che si prova nonché delle condizioni che impongono la condivisione degli spazi personali. Infine il momento presente che, grazie al contesto ecologico montano, può essere apprezzato in funzione del rallentamento e del ritmo di vita che, necessariamente, acquisisce diverse caratteristiche rispetto alla vita urbana. In conclusione, in riferimento agli accompagnatori, la dimensione esperienziale, se guidata con competenza, è la via che permette ai giovani di crescere in gruppo e di recuperare la conoscenza del territorio montano. Ci si potrebbe porre come obiettivo un livello di impegno più alto per gli accompagnatori stessi che potrebbero entrare in un duplice ruolo: guideinsegnanti ma anche educatori in grado di contagiare positivamente i nuovi partecipanti dando l’esempio con il proprio modo di essere virtuosi nei vari contesti. Essere modelli positivi per i giovani ma rendersi anche facilitatori di processi di socializzazione e di coesione del gruppo aumentando il senso di appartenenza allo stesso e quindi, indirettamente, le abilità di socializzazione. Attraverso giochi relazionali, modalità comunicative ispirate all’accettazione non giudicante e con tecniche di debriefing favorire la rielaborazione dell’esperienza rendendola rilevante per i partecipanti anche sul piano socioemotivo, sviluppando attenzione e rispetto per l’altro nonché conoscenza di sé, delle proprie risorse e dei propri limiti, delle proprie difficoltà e delle proprie

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possibilità. È sicuramente fondamentale che le nostre mani sappiano fare nodi, sappiano reggere una cartina o piantare un chiodo che potrebbe salvarci la vita; ma altrettanto fondamentale è che le nostre mani sappiano comunicare, accarezzare, indicare o suggerire uno stupore. Accompagnare bambini o ragazzi in montagna è un compito che può essere svolto in molti modi; possiamo rimanere freddi, occuparci della loro incolumità, preoccuparci di sgridarli quando sbagliano e rimanere muti al loro interesse. Possiamo quindi camminare davanti alla colonna e trascinare il gruppo fino alla cima. Certo possiamo farlo ma, forse, saremmo più pecorari che accompagnatori. Non dobbiamo dimenticarci che in qualsiasi caso abbiamo davanti a noi persone; stiamo accompagnando ragazzi e ragazze nel fiore della loro crescita e non stiamo accompagnando solo i loro passi lungo un sentiero. In quel momento stiamo indicando una via, uno stile, stiamo mettendo in discussione la nostra capacità di relazionarci, di metterci in gioco, di comunicare con queste persone perché saperlo fare è fondamentale tanto quanto la nostra preoccupazione per la loro sicurezza.






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