Cai Valenza la storia

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CLUB ALPINO ITALIANO SEZIONE DI VALENZA “DAVIDE E LUIGI GUERCI”

Comune di Valenza

Monte Rosa 1954

Valenza e la montagna un lungo percorso

Sezione di Valenza

Pale di S. Martino


Le grandi storie vengono da lontano e vanno lontano. Quelle del rapporto tra Valenza e la Montagna è una di queste e si intreccia con quella della locale sezione Cai che, proprio quest’anno, compie quarant’anni. Sicuramente è nei desideri dei soci e dei valenzani continuare il percorso iniziato tanti anni fa; per questo lavoriamo affinché il desiderio diventi, giorno per giorno, una realtà. Valenza 2014 Fausto Capra Presidente

www. cai.valenza.it


VALENZA E LA MONTAGNA. Prima parte. di Giorgio Manfredi Parlar di montagna: c’è la montagna con i richiami delle sue altezze, delle sue cime da scalare con ascensioni fantastiche che scatenano una passione ardente, compagna di fatica ma con il regalo di sublimi appagamenti. C’è anche la montagna delle vacanze da gustare con uno stile sobrio e contenuto della vacanza famigliare, per molto tempo lontana da esaFamiglia Abbiati sperazioni consumistiche. A chi va in montagna, cammina, sale, scavalca colli e cengie, raggiunge rifugi in alta quota, si arrampica sulle cime, con lunghe ore di fatica e sacrificio, si fa spesso la domanda: chi te lo fa fare? Risponde Erri De Luca scrittore e alpinista: “La domanda è molto italiana, suppone un mandante, uno che istiga da dietro. L’alpinismo non ce lo fa fare nessuno. Viene da sé, un formicolio alle dita in vista di una montagna, una parete di roccia, ghiaccio, neve. Scatena attrazione, fa accostare. Si sta in montagna da passanti di superficie senza un lasciapassare, che Giuseppe Abbiati (Pippo). può essere ritirato in ogni punto. Una valanga, un temporale, un vento, una nebbia, sbarrano il passaggio. Nessuno è garantito mentre scala una parete, anzi è esposto, indifeso, minuscolo sul corpo dell’immenso. È una buona lezione circa le proprie misure”. La montagna di lezioni ne dà molte altre che affiorano dai suoi richiami come risposte a bisogni ed esigenze di salvamento. Salvare l’integrità dello sguardo, la dimensione dell’eternità, l’esercizio del pensiero liberato, la semplice esperienza di indugiare con lentezza e profondità 1

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sulle bellezze ammirate. Altre riflessioni assai stimolanti sull’arricchimento che la montagna può dare all’uomo ci sono state inviate, su nostro invito, da Annibale Salsa, antropologo e presidente generale del CAI dal 2004 al 2010. Le pubblichiamo, con piacere, a conclusione. Iniziamo la storia dei valenzani e la montagna, partendo dai primi anni del novecento, raccontando di alcuni di loro che affrontarono allora le esperienze alpinistiche. Giuseppe Abbiati, detto Pippo, della famiglia dei proprietari della Voglina nasce a Valenza nel 1901, terzo di quattro fratelli, tre maschi e una femmina. Laureatosi in ingegneria e architettura, si trasferisce a Genova e nel 1922 Famiglia Peroso si iscrive al CAI e inizia subito una intensa attività alpinistica che lo porta ad arrampicare in tutte le montagne dell’arco alpino. Compie alcune prime ascensioni sia nel gruppo del Ruitor che del Sassolungo (vedi articolo a lui dedicato nel numero 17 di Valénsa ’d’na vòta). Partecipa alla campagna di Russia nella seconda guerra mondiale e alla fine del conflitto riprende a pieno ritmo l’attività alpinistica. In inverno con gli sci da gita sulle più vicine Alpi Marittime e Cozie, in primavera e fino a inizio estate a caccia dei “quattromila” del gruppo del Bianco, del Rosa, dei Mischabel, e Federico Peroso. dell’Oberland Bernese. Nominato Presidente del CAI di Genova per due mandati (dal 1956 al 1964) ne diviene poi Presidente Onorario. In quegli anni è anche Presidente della Commissione Centrale di Sci Alpinismo e membro del Comitato Centrale del Club Alpino Italiano, cariche che mantiene fino quasi alla morte avvenuta a Valenza nel 1985. Federico Peroso nasce a Valenza il 9 luglio 1902, dove, dopo la scuola, si dedica all’attività orafa nell’azienda con i suoi fratelli. Nel 1946 si trasferisce a Roma e diventa concessionario per il Centro Italia degli orologi Eberhard. Amava molto l’arrampicata su roccia e a metà degli anni trenta favorì 2

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la possibilità di utilizzo di una struttura dei Vigili del Fuoco di Valenza, allora in Via IX Febbraio, per farne una palestra di arrampicata. Era iscritto al CAI di Alessandria dal 1929 con gli amici Luigi Vaggi e l’alessandrino Gioletta, condividendo con loro l’amore per la montagna. Ha svolto la sua attività alpinistica specialmente in Val Gardena dove ha scalato molte cime. Esercitava lo sci in questa valle dolomitica ed anche sulle nevi di Cortina. Arrampicò più volte in scalata su alcune vie rocciose del Sassolungo con una prima assoluta nel Gruppo Centrale. Fu protagonista con la Guida di Ortisei Matteo Nogler della prima ascenFamiglia Meregaglia sione assoluta del “Sigaro del Pisciadù” nel gruppo dolomitico del Sella il 12 agosto 1932 con una arrampicata di 6 ore. Fu molto attivo anche in Val d’Aosta, a Cervinia e a Courmayeur. Salì il Monte Bianco , il Dente del Gigante e molte altre cime. Luigi Meregaglia nasce a San Salvatore il 21 giugno 1912. Si laurea al Politecnico di Milano in Ingegneria Elettronica. Dopo alcuni anni di attività all’Ercole Marelli di Milano nel 1950 sposa Paolina Ivaldi e ritorna a Valenza svolgendo un’attività autonoma nell’officina elettromeccanica del padre in Viale Vicenza e si occupa di impianti elettrici. Pasqua 1949, da sinistra Luigi L’amore per la montagna è una Meregaglia con la guida Achille componente importante della sua Compagnoni sulla cima del Breithorn. personalità . Frequenta la Valgrisanche e la Valle di Cogne in Val d’Aosta e poi, dopo la nascita del campeggio Valenzano a Perrères, la Valtournenche, da dove sono partite tante sue escursioni. Con la sua Guida Marcello Carrel l’11 agosto 1966 salì il Cervino. Lo stesso giorno Piero Lenti con la Guida Ferdinando Gaspard arrivò alla stessa ora, sulla stessa cima. Piero sorpreso mormorò “ma quello è Meregaglia!”. Pensarono fosse l’altitudine a procurare un’allucinazio3

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ne: invece no, era proprio vero. Oltre al Cervino Luigi Meregaglia salì il Monte Bianco, la Punta Dufour del Monte Rosa, il Dent d’Herens, il Gran Paradiso, la Cresta Sud della Grivola e molte altre cime. Con il figlio Carlo, che divenne poi un amante e frequentatore della montagna, effettuò la sua ultima escursione nel 1975, alla Punta Basei nella Val di Rhêmes. Il rapporto di Valenza con la montagna si è arricchito con la nascita, nel dopoguerra, del Campeggio a Perrères di Valtournenche in Val d’Aosta. È stato un giovane prete, don Pietro Battegazzore, amico dei giovani a volerlo per loro con tanto entusiasmo. Gruppo amici di Don Pietro e Don Luigi

Il campeggio Don Pietro a Perrères.

Don Pietro nasce nel 1919 a Mombisaggio nei pressi di Tortona, fu ordinato sacerdote nell’aprile 1943 e a luglio dello stesso anno inviato, con l’incarico di vice parroco, a Valenza, dove ha dedicato tutta la sua breve vita a favore dei giovani. La sua vocazione di educatore lo spinse a fondare nel 1947 il campeggio montano a Perrères servendosi in un primo tempo di una baracca di legno precedentemente utilizzata dalla Sip nei lavori della vicina centrale elettrica. Dopo un primo esperimento nell’estate 1947 e vari interventi sulla 4

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baracca ricevuta in dono, tutto era pronto, l’estate successiva, per partire con l’attività del campeggio. La baracca era vecchia, senza comodità, il tetto teneva poco ma allora era una casa fantastica al cospetto meraviglioso del Cervino e delle Grandes Murailles. Nel luglio 1948 il viaggio dei ragazzi per arrivare da Valenza a Perrères durò circa dieci ore su un camion con rimorchio del corriere Ferraris di Valenza che si rese disponibile, con tanta generosità, a questo trasporto “eccezionale”. La salita del Montjovet, verso Chatillon e gli ultimi tornanti prima di Perrères, sopra Valtournenche, costrinsero i ragazzi a fare qualche chilometro a piedi perché il mezzo faticava a proseguire con tutto il suo carico. Si arrivò bene comunque, quando ormai incominciava ad imbrunire e le prime ombre della sera annunciavano che iniziava l’avventura. Il campeggio ha visto Gruppo amici di Don Pietro e Don Luigi passare, in oltre sessant’anni, centinaia di giovani. Grazie a don Pietro e ai molti sacerdoti che lo hanno seguito è stato un luogo educativo e formativo ed un richiamo per la montagna e le sue bellezze. Fin dall’inizio fu don Pietro a pensare e promuovere gite ed escursioni. Si consulta1949, in cima alla “Gran Sometta”. va con le Guide Alpine e prezioso fu il suo rapporto con don Luigi Maquignaz, allora seminarista e grande alpinista, studiando itinerari adeguati alle varie età. Si cominciò con escursioni all’Alpeggio di Manda, al Lago di Loz, a Cheneil, al Colle di Cime Bianche, al Lago di Cignana, al Rifugio Oriondè e tante altre. Sandro Picchiotti per le sue straordinarie doti fisiche e capacità, fu in quei primi tempi il trascinatore principale, fra i giovani, nei contatti con la montagna. Passarono pochi anni e con l’esperienza e l’entusiasmo si affinò l’approccio con le cime e con le escursioni. Qualcuno aveva già avuto modo di avvicinare la montagna con il CAI e pian piano si affrontarono mete più impegnative: la cima Gran Sometta, 5

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la Roisetta, il Gran Tournalin, il Rifugio Bobba e poi l’esperienza in cordata e il Ghiacciaio a cominciare dal Breithorn, primo quattromila salito. Al terzo anno del campeggio si scelse insieme una escursione impegnativa e appagante: la Traversata della Cresta di Függen, proprio a fianco del Cervino. Con don Pietro si partì molto presto la mattina del 7 agosto 1950 dal Campeggio di Perrères per raggiungere Cervinia e salire ai metri 3273 del Colle Fürggen. Sedici giovani con don Pietro proseguirono in cordata sulle rocce della Cresta di Fürggen da ovest a sud-est, superando i 3500 metri di quota, giungendo al Rifugio di Teodulo con una vista spettacolare che li accompagnò per tutta la traversata. Qui il tempo era ancora Gruppo amici di Don Pietro e Don Luigi buono anche se non più con quel cielo, senza nubi, che accompagnò il gruppo nella mattinata. Tutti erano felici malgrado le asperità del percorso lungo e impegnativo. Don Pietro nel rifugio, offrì da bere e qualcosa di caldo a tutti, uniti in una condivisione di ap7 agosto 1950: cresta di Fürggen poche ore prima della pagamento e di gioia. tragedia. da sinistra e dall’alto: A. Genovese; G. Qualche nuvola arrivava Canepari; G. Negri; P. Staurino; G. Battegazzore; P. da lontano e si sollecitò il Caveglia; S. Picchiotti; D. Gastaldello; Alberto Vaccari; F. Bajardi; G. Ferraris; don Pietro; Angelo cammino per il ritorno. Iniziò la discesa su Vaccari; G. Manfredi; G. Cellerino. Facevano parte del gruppo G. Annaratone e G. Marchese che scattò la foto. Cervinia. Le nuvole aumentarono e molto presto il gruppo fu raggiunto da un temporale sempre più violento con grandine, tuoni e fulmini. Quasi nei pressi di Plan Maison (a mt. 2547), la comitiva si era sgranata, alcuni erano appena giunti alla Stazione della Funivia, altri seguivano. Proprio quasi alla meta e alla sicura protezione, un fulmine si abbattè su un gruppetto di quei giovani con don Pietro, gettandoli a terra. Alcuni si rialzarono benché storditi e spaventati, ma don Pietro rimase là. 6

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Morì a trent’anni, a metà pomeriggio di quel 7 agosto. Abbiamo pensato e pensiamo ancora che se ne sia volato via con un sorriso: “I miei ragazzi sono tutti vivi!”. All’obitorio di Valtournenche lo vegliarono tutta la notte Sandro Picchiotti e Nino Fracchia (Jimmy). Al funerale a Valenza partecipò tutta la città. Se n’era andato un entusiasta della vita, che sprigionava sempre un desiderio intenso di ascolto, condivisione, di sentimenti e di senso. Aveva l’anima di un fanciullo, con un cuore che dava calore a tutti. La sua ricchezza spirituale e lo spessore umano che elargì con ampiezza di dono, restano nell’intimo di coloro che lo incontrarono. Nel 1950 l’attività del campeggio terminò quel giorno. Riprese l’anno successivo sotto la guida di don Luigi Frascarolo arrivato a settembre 1950 a sostituire don Pietro. Anche lui fu un grande educatore e amico della montagna. Gruppo amici di Don Pietro e Don Luigi Negli anni seguenti si intensificarono i rapporti con le guide di Valtournenche dove mitica era la figura di Luigi Carrel (Carrellino) considerato la migliore guida di allora. La collaborazione più intensa fu con Marcello Carrel e quindi con Jean e Germain Agosto 1954: teraversata Teodulo-Castore e Lyskamm. Ottin, Camillotto PellisIn piedi da sinistra: Don Luigi Frascarolo; Don Luigi sier, Ettore Bich e altri Martinengo; P. Picchiotti; uin basso: L. Villasco; G. ancora. Già nell’estate Manfredi; B. Mortarini; asp. guida; guida M. Carrel; del 1950 una ventina di G. Re; B. Bissone; F. Bajardi. ragazze dell’oratorio aveva soggiornato a Perrères in una baita dei Vallet. Un gruppo meno numeroso continuò la presenza nella Valle nelle estati dal 1951 al 1955 a Losanche, una frazione di Valtournenche, nella casa delle Guide Ottin. Furono per loro anni di escursioni compiute anche con i ragazzi del campeggio. Il Campeggio diventò un luogo dove si pensava e si progettavano escursioni di sempre maggior impegno, realizzate anche in più giorni. Sandro Picchiotti e Francesco Bajardi, insieme a don Luigi, concor7

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davano il programma con le guide e tenevano le fila nelle scelte degli itinerari. La prima esperienza fu, nell’agosto del 1954, una traversata sui ghiacciai del Gruppo del Monte Rosa e la salita delle cime del Castore e dei Lyskamm. Seguì presto la seconda, l’ascensione alla Punta Dufour del Monte Rosa, con i suoi 4634 metri, seconda cima europea. Sempre con la guida Marcello Carrel e altre si partì dal campeggio, quindi in funivia a Plateau Rosà, poi su ghiacciaio sino al Rifugio Betemps, in Svizzera per il primo pernottamento. Partenza notturna per la salita sul versante Nord della Dufour, quindi ascensione alla Cima Zumstein con altro pernottamento alla Capanna Margherita, a 4551 metri. Il terzo giorno, dopo aver attraversato il Ghiacciaio del Lys, con un lungo tragitto in discesa, Famiglia Vaccario si giunse a Gressoney senza ausilio di funivie che allora non c’erano. A questo punto il ritorno avvenne con corriera a Pont St. Martin, treno a Chatillon e corriera a Perrères, arrivando molto tardi al campeggio, con tanta gioia. Gli anni passarono, nuove generazioni arrivarono al “Campeggio don La guida Camillotto Pellissier con Mariolino Vaccario. Pietro” e tantissimi furono i nuovi giovani che lo frequentarono, molti quelli che da lì partirono per le più diverse escursioni, traversate in alta quota e scalate. Nella seconda metà degli anni cinquanta emerse l’esigenza di dar vita alla costituzione di un primo gruppo di aderenti al Club Alpino Italiano, mentre era iniziata anche l’attività di un “Gruppo Amici della Montagna”. Negli anni 1956/1957, sotto la spinta di Francesco Bajardi, Marica Porta, Luigi Vaggi, don Franco Picchio e tanti altri nacque un primo nucleo del CAI con le iscrizioni di molti valenzani alla Sezione di Alessandria ed anche a quelle di Casale e San Salvatore. 8

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Di questo primo nucleo di Soci CAI faceva parte, fra i più anziani d’età, Mariolino Vaccario , attivo alpinista, personaggio simbolico nel panorama valenzano di quegli anni. Mariolino Vaccario nasce a Valenza il 22 luglio 1914. Il lavoro di incassatore lo accompagnerà per tutta la sua vita. Amava viaggiare, gli piaceva la caccia che esercitava spesso insieme a Pier Francesco Calvi, conte di Bergolo. Passò alcuni anni di vacanza a Valtournenche ma la passione per l’arrampicata gli venne dal campeggio di Perrères, che iniziò a frequentare nel 1949. La folgorazione che ebbe in quegli anni accelerò al massimo la sua attività alpinistica. Si collegò presto con le Guide di Valtournenche e in particolare ebbe uno stretto sodalizio con la Guida Camillotto Pellissier. Accompagnò spesso ragazzi e ragazFamiglia Vaccari ze del Campeggio di Perrères in molte escursioni e da loro era chiamato “Mariolino la Guida”. Oltre al Cervino salì molte cime in Val d’Aosta e fu sempre attivo sia nel campeggio che con le Guide di Valtournenche. Con Camillotto Pellis1995: a villa Gropella, da sin.: Federico Felli; Euge- sier, il 10 agosto 1955 nio Vaccari; Luigi Cerino Badone; Walter Bonatti; realizzò, in scalata, la priGian Luigi Vaccari. ma assoluta della Cima Centrale per la parete sud-est del Dome de Cian. Morì il 30 marzo 1968 e, al suo funerale a Valenza, intervennero molte Guide di Valtournenche e di Cervinia. Nel periodo che precede la nascita ufficiale della Sezione Valenzana del CAI, ricordiamo i fratelli Vaccari della Villa Gropella a Valenza, che hanno svolto lunga attività in montagna, ricca di importanti imprese. Gian Luigi (1938) ed Eugenio (1942) si accostarono alla montagna intorno ai 14-15 anni seguendo lo zio Mario, scultore, nella visita alle postazioni di guerra 1915/18 dove aveva combattuto (Cristallo, Tofane, Pomagagnon). 9

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Passando le vacanze in campeggio in Val Veny, iniziarono a salire le prime cime del Monte Bianco, prima con guide, poi, dopo i 18 anni senza. Ambedue istruttori nazionali di alpinismo parteciparono ai corsi della Scuola “Bartolomeo Figari”, di Genova per circa trent’anni. Gian Luigi venne nominato Accademico, il più alto riconoscimento CAI. Eugenio si sposò nel 1970 a Valenza , dove si stabilì e si dedicò con la famiglia alla gestione dell’Azienda Agricola Gropella. I fratelli Vaccari aprirono vie nuove sul Monte Bianco, Alpi marittime, Alpi Cozie e Apuane e scoprirono per primi le meraviglie del Finale. Gian Luigi partecipò a spedizioni in Groenlandia e in Africa. Insieme, scalarono alcune volte le principali vie del Monte Bianco, la Nord (Via Cassin) delle Grandes Jorasses, aprendo poi una via nuova sul Mont Blanc Du Tacul (Pilier Du Diable) vicino all’Aiguille Du Diable. Nelle Dolomiti salirono, fra le altre, la Solleder del Monte Civetta e lo Spigolo Giallo della Cima Piccola di Lavaredo. Tracciarono una via nuova sulla Torre Castello in Val Maira, mentre, da giovanissimi, salirono in arrampicata sulla parete Punta Nelion sul monte Kenya. Sud del Monte Nona sulle Alpi Apuane con 2 bivacchi. Il 21 dicembre 1972 tre amici e soci CAI , Giampiero Accatino, Giovanni Ceva e Marica Porta, accompagnati dalla Guida di Valtournenche, Ettore Bich, partirono per il Kenya con lo scopo di scalare il Monte Kenya, situato nel parco omonimo a circa 200 chilometri a nord di Nairobi. Durante il viaggio incontrarono Massimo Mila, esperto alpinista e critico musicale del giornale La Stampa, Vittorio Badini Confalonieri allora Presidente del CAI di Torino e il famoso alpinista e fotografo Alessandro Gogna. Il gruppo era organizzato e accompagnato da Beppe Tenti titolare di “Trekking International”. Il 1° gennaio 1973, dopo aver superato il campo tendato di Makinder’s a 4200 metri e il campo base a 4700 metri, di buon mattino, la guida 10

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Ettore Bich, Giovanni Ceva e Marica Porta affrontarono l’ascesa del Monte Kenya. Alle ore 12, dopo una breve sosta in un bivacco, furono in vetta alla Punta Nelion a quota 5188 metri, una salita con un misto di 3° e 4° grado. Il tempo cambiò improvvisamente e costrinse il gruppo a scendere velocemente a corda doppia, arrivando poi al campo base completamente fradici a causa del fortissimo temporale sopravvenuto. La cima fu raggiunta il giorno seguente da Giampiero Accatino con Bich e tutti insieme, il 3 gennaio salirono la Punta Lenana a metri 4985, dopo una lunga ascesa sul ghiacciaio Lewis. Famiglia Badini Confalonieri L’incontro con Vittorio Badini Confalonieri, membro della famiglia Badini-Ceriana, proprietari di Villa Astigliano a Valenza fu l’occasione per far nascere la Sezione valenzana del CAI. Vittorio Badini Confalonieri nasce nel 1914, eletto alla Costituente nel Collegio Cuneo Asti Alessandria, divenne due volte Sottosegretario e poi Ministro per il Turismo e lo Spettacolo. Fu eletto nel 1965 Consigliere Comunale a Valenza. Dal 1986 al 1991 fu Vice Presidente generale del CAI. Da valenzano, come si definiva, ai valenzani incontrati nel viaggio in Kenya, Badini Confalonieri sollecitò con calore che Valenza avesse al Vittorio Badini Confalonieri con il pripiù presto la sua Sezione CAI e così mogenito Giuseppe. avvenne nel 1974. Il 4 aprile 1974 un centinaio di soci CAI, iscritti alle Sezioni di Alessandria, Casale e San Salvatore inoltrarono alla sede centrale del CAI a Milano la richiesta di costituzione di una Sezione a Valenza. La richiesta fu accettata. Dopo un brevissimo periodo in cui la sede della Sezione era provvisoriamente in Corso Garibaldi 107, il CAI si trasferì in Via Felice Cavallotti 26. Il primo Consiglio Direttivo eletto fu formato dai seguenti Soci: Gian 11

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Archivio CAI Valenza Piero Accatino, Nino Bergamino, Pier Luigi Bianchi, Giovanni Ceva, Piero Lenti, Gastone Michielon, Marco Piccio, Marica Porta. Gian Piero Accatino fu eletto Presidente e, sempre riconfermato, restò in carica sino al 1993, guidando i successivi consigli direttivi. In questa prima fase di attività il CAI di Valenza dedicò il suo impegno a curare l’aspetto tecnico dell’alpinismo per affinare, con esperienze sul campo, ogni elemento della conoscenza e della preparazione all’ascensione in montagna. Con l’intervento di Nino Bergamino, che aveva esperienze di alto livello in La guida Mario Mochet con, in alto, ascensioni e scalate, soprattutto nel Enzo Francescato, al corso di alpiniGruppo del Monte Bianco, si realiz- smo sul ghiacciaio di Pré de Bar. Archivio CAI Valenza

10 Agosto 1978, Mont Rous Petites Murailles. Da sinistra: Gian Paolo Zulato; Gigi Stefanutto; Francesco Bajardi; Luciano Bajardi; Gastone Michielon. 12

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zò una eccellente collaborazione con le Guide di Courmayeur e Bergamino divenne poi Guida Onoraria. In particolare il rapporto coinvolse le Guide Renzino Cosson, Mario Mochet, Cosimo Zappelli, Otton Clavel, Luciano Maregliati e altre. Si realizzarono corsi di Alpinismo, su roccia e su ghiaccio, e nacque Archivio CAI Valenza una vera scuola con il coordinamento di Mario Mochet. Fra i pionieri di questo “nuovo mattino” ricordiamo Pier Luigi Bianchi, Piero Lenti, Gastone Michielon e Gian Paolo Zulato e appena dopo si aggiunsero Enzo Francescato, Claudio Quagliotto e Alberto Tenconi. Nel 1981 il CAI organizzò il primo dei 14 “Corsi di Alpinismo”, con le guide di Courmayeur e molti giovani si iscrissero alla Sezione. Fra i partecipanti ai corsi si formò un gruppo molto affiatato che per alcuni lustri rappresentò il nucleo dirigente del CAI di Valenza e frequentò i luoghi di arrampicata delMaggio 1981: corso di alpinismo, palestra di arram- l’arco alpino, dalle picata di Courmayeur: Pier Luigi Bianchi con, in alto falesie di Finale ai satelRenzo Favre. liti del Monte Bianco, ripercorrendo le più celebri vie. Alcuni di loro parteciparono ai corsi della Scuola Gervasutti di Torino, portando a Valenza le nuove tecniche dell’arrampicata moderna, il free climbing. Nel maggio 1982, in un tragico incidente, perse la vita Renzo Favre, aspirante Guida di Courmayeur. Gastone Michielon racconta: “Era do13

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Archivio CAI Valenza menica e il gruppo del corso di alpinismo giunse in Valchiusella alla palestra di roccia di Traversella, atteso dalla Guida Mario Mochet e dall’aspirante Renzo Favre. C’era un buon affiatamento fra noi e la mattinata passò serena, mentre divisi in vari gruppi, assistiti da Mario e Renzo, provammo varie tecniche di salita. Nel pomeriggio, dopo ancora qualche arrampicata, si passò alle operazioni di abbandono della parete e di recupero dell’attrezzatura. Fu proprio in questa fase che si consumò la tragedia. Renzo Favre precipitò e, picchiando Agosto 1991: sui seracchi del ghiacciaio la schiena su una sporgenza roccio- del Gigante, Davide Guerci, a sinistra, e Graziano Masiero . sa, si schiantò ai piedi della parete. Morì dopo pochi minuti: aveva 27 anni. Eravamo sconvolti e traumatizzati. Mario Mochet lo compose adagiandolo su un lungo tronArchivio CAI Valenza co. Portammo Renzo all’interno della vicina chiesa. A tarda sera arrivò la madre che abbracciò e vegliò il suo ragazzo. Renzo è sempre vivo in noi: ora lo si va a trovare nel piccolo cimitero di Courmayeur”. Nell’estate 1991 gli amici Andrea Campese, Enzo Francescato, Checco Galanzino, Davide Guerci, Graziano Masiero, Claudio Quagliotto, Stefano e Sara Scaglione e Alberto Tenconi, si insediarono per alcuni giorni al Rifugio Torino e scalarono le più belle vie di roccia sulle vette che contornano il Monte Bianco fra Disegno di Gian Piero Accatino. le quali il Grand Capucin, il Pic Adolphe Rey, l’Aiguille du Midi e la Chandelle. L’attività sportiva continuò anche nei mesi più freddi con salite su cascate di ghiaccio.

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Il rapporto con Courmayeur rese possibile la realizzazione di due importanti Mostre al Centro Comunale di Cultura di Valenza, una di fotografia con le splendide immagini di Renzino Cosson e un’altra con i dipinti e i manifesti di Franco Balan. Si organizzarono incontri culturali con interventi di grandi personaggi della montagna tra i quali Alessandro Gogna, Reinhold Messner protagonista nel 1982 di una straordinaria serata al Teatro Sociale di Valenza. In quegli anni la vena artistica di Gian Piero Accatino creò una serie di disegni sulla montagna usati su magliette per alpinisti. Vennero realizzate alcune Mostre di quegli splendidi disegni fra le quali una a Cogne ed una a Courmayeur. Dal 1994 al 1999 la Sezione CAI di Valenza ha avuto come Presidente Ivo Fenaroli e il primo Consiglio Direttivo composto da: Maurizio Alternin, Pier Giorgio Bertoni, Pier Luigi Bianchi, Flavio Busanello, Marco Bonicelli, Riccardo Bussone, Ivo Fenaroli, Enzo Francescato, Pier Giorgio Manfredi, Stefano Palazzolo, Claudio Quagliotto, Luca Vanin. Revisori dei conti: Lindo Caprino, Marco Demartini, Piero Lenti. Archivio CAI Valenza

Giugno 1983: salita all’Aiguille de L’M, gruppo Monte Bianco. Da destra: R. Quagliotto; G. Guarda; A. Vantini; C, Quagliotto; P. Annaratone; A. Tenconi; G.P. Zulato; P.L. Bianchi. 15

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La sede era ancora in Via Cavallotti, 26 per poi essere trasferita nel 1995 in Via Magenta. In questo periodo si è intensificato il rapporto con il Centro Comunale di Cultura di Valenza e le iniziative culturali ebbero un importante rilancio. Molta partecipazione hanno avuto incontri con grandi figure dell’Alpinismo e scalatori come Walter Bonatti, Cesare Maestri, Giovanni Bassanini, il vice presidente generale dei CAI Teresio Valsesia, il fotografo e alpinista Alessandro Gogna e il direttore della Rivista del Trekking Giancarlo Corbellini. Molte serate con proiezioni sulla montagna si svolsero al Centro Comunale di Cultura soprattutto grazie a Marco Lenti con la sua intelligente e geniale capacità di catturare immagini perfette di molti ambienti di alta quota dove è salito in tanti anni. Sempre al Centro Comunale di Cultura fu ospitata con grande successo la mostra del grande scultore del legno Dorino Ouvrier conclusa con l’intervento del Gruppo Folkloristico di Cogne “Lou Tintamaro”. Iniziò la collaborazione con Alphar per la gestione a livello provinciale di corsi di Alpinismo e proseguì la programmazione dell’attività escursionistica delle gite sociali aperte a tutta la città. Significativa la collaborazione con la Croce Rossa per organizzare gli interventi di primo soccorso e la partecipazione nel programma di aiuti nell’alluvione di Alessandria nel 1996. Dal dicembre 1999 al 2008 Maria Bajardi è stata la Presidente del CAI di Valenza. Il primo Consiglio Direttivo di questi anni era composto da: Roberto Bisio, Angelo Bosio, Ivo Fenaroli, Enzo Francescato, Davide Guerci, Ermes Moraglio, Giovanni Omodeo, Fabrizio Tinghi, Angelo Torti e Barbara Vaia. Revisori dei Conti furono: Luigi Borsalino, Lindo Caprino e Piero Lenti. Pochi mesi passarono, durante i quali l’attività proseguiva con nuovo slancio e uno dei primi obiettivi della Sezione fu il rafforzamento del rapporto del CAI con la città, le sue realtà e il suo territorio. Il 22 agosto 2000 un triste evento sconvolse tutti: Davide Guerci precipitò nel Gruppo del Monte Bianco. Lo sgomento e il dolore furono intensi. Consapevoli della grande passione e preparazione di Davide che lo portarono, nonostante la sua giovane età, a tante impegnative imprese alpinistiche, tutti rimasero increduli e smarriti. Nato nel 1968, socio CAI dal 1986, membro del Consiglio Direttivo, ha partecipato come impegnato protagonista nel gruppo di arrampicata sorto a Valenza 16

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negli anni ’80. Maria Bajardi racconta: “Davide era un ragazzo semplice, mite, di compagnia, a cui non mancava mai la battuta spiritosa e soprattutto innamorato delle montagne e dell’arrampicata. Compie la sua prima ascensione con la guida di Courmayeur, Giuseppe Petigax nel 1983 al rifugio Monzino e l’anno successivo all’età di sedici anni sale la via ferrata al rifugio Borelli. Inizia così una carriera alpinistica che lo vede in cima alle vette più alte delle Alpi, Monte Bianco, Monte Rosa, Gran Paradiso. Negli anni ’88/89, sulle Dolomiti sale la Torre del Vaiolet nel Catinaccio, lo Spigolo del Velo e il Campanile Pradidali delle Pale di San Martino. Ripete numerose vie di arrampicata moderna sui satelliti del Monte Bianco: Gran Capucin, Piramyd du Tacul, Pic Adolph Rey, Aiguille du Midi, Chandelle du Tacul. Arrampica in Italia e all’estero nel Verdon, in Marocco e in California nella Yosemite Valley. D’inverno quando il ghiaccio ricopre le vallate sale le cascate di ghiaccio di Cogne, della Valsavaranche e della Val Varaita mentre continua ad arrampicare nelle falesie di Finale Ligure e più volte conquista in Sardegna la Guglia di Coloritze. Si classifica primo assoluto nell’agosto 1999 alla gara di arrampicata in velocità a Courmayeur. Nell’agosto del 2000 è impegnato a preparare una grande ascensione, il Pilastro Centrale del Monte Bianco. Questa preparazione comprende un susseguirsi di cime e di vie tra cui Pointe Lachenal via Le Bon Filon, Tour des Jorasses via Diedro Machetto, Mont Rouge de Peuterey fino al 22 agosto 2000. Doveva essere un giorno di riposo alla vigilia della partenza per il Pilone Centrale, invece, in una splendida giornata di sole, la tragedia. Durante la discesa in corda doppia dalla via Titanic sulla Parete dei Titani in Val Ferret, Davide precipita insieme ai suoi sogni all’età di 32 anni. Arrampicare era il massimo! È la frase posta sulla targa di commemorazione in Val Ferret. Non sapremo mai cosa sia successo durante l’ultima corda doppia nel vuoto, quando la montagna si è presa la sua vita.”. Courmayeur ha dedicato a Davide una palestra di arrampicata, la “Falesia Pierre Taillée” con la frase “Speriamo che piaccia a Davide e che, dovunque sia, si diverta a vederci scalare e inseguire sogni, spinti dalla sua indimenticabile energia e passione per l’arrampicata”. Rosalba e Luigi Guerci, i genitori di Davide, espressero il desiderio di lasciare un significativo ricordo del loro caro con la costruzione di un edificio destinato al CAI, alla montagna, alla città. Si avviarono i con17

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tatti con l’Amministrazione Comunale, viene individuata l’area dei giardini Aldo Moro e, nel 2003, su progetto dell’ing. Giovanni Angeleri e l’intervento dell’impresa edile Francescato, con la direzione di Enzo Francescato, motivato da grande passione e competenza, iniziarono i lavori. La Sezione intanto cercava di dare valore al ruolo della montagna come luogo da conoscere ed Famiglia Guerci esplorare per gustare i suoi paesaggi, la sua storia, le sue bellezze. L’attività escursionistica, che aveva già avuto il suo sviluppo negli anni precedenti, si rafforzò nel decennio 2000-2010 con un programma annuale e una scelta di percorsi vari e accessibili a un numero sempre crescente di partecipanti. Ogni anno si ottennero buone presenze nelle escursioni con una scelta di itinerari comprendenti le Valli alpine, le Alte Vie Liguri, l’Appennino ligure piemontese e le colline del territorio. Nei mesi invernali si proseguì con le racchette da neve, le ciaspole. Queste furono il primo mezzo Davide Guerci, il 10 Agosto 2000 sulla via Contamine inventato dall’uomo per del Monte Bianco, punta Lachenal. muoversi sulle nevi. Oggi, migliorate tecnicamente, permettono di affrontare anche escursioni impegnative con dislivelli notevoli. Andar con le ciaspole è un’esperienza che permette di immettersi nella “bianca” natura assaporando il silenzio dei boschi, la lentezza delle salite, l’ebrezza delle discese, lasciando libere le emozioni. 18

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Notevole successo ebbero le escursioni di più giorni, le Alpi Apuane, le Calanche di Marsiglia, la Sicilia e tante altre. Larga adesione si ebbe anche nei gruppi di escursioni nelle Dolomiti con pernottamenti in albergo oppure nei rifugi e continuò l’attività sulle Vie Ferrate. L’iniziativa per la realizzazione della struttura polivalente in memoria di Davide, con il cospicuo finanziamento della famiglia Guerci giunse verso la conclusione. Fu completata con l’intervento del Comune, divenendo bene comunale e dato, con convenzione, in gestione al CAI. Il Palaguerci, così fu intitolata la costruzione, venne inaugurato il 25 Archivio CAI Valenza

Marzo 2005: verso il col Citrin, Gran San Bernardo, con le racchette da neve. Da sinistra in piedi: G. Cresta; D. Bosi; M. Accorsi; R. Giunta; R. Cassola; L. Villasco; M. Varona; P. Levati; S. Sisto; F. Raselli; G. Sisto; M. e T. Lava. In basso: G. Lucardi; A. Baglioni; G. Indri; B. Grassi; E. Tassisto.

marzo 2006 diventando, oltre che un presidio importante in una bella zona verde di Valenza, un luogo di incontro e aggregazione con sala conferenza, biblioteca, palestra di arrampicata, bar e servizi vari a disposizione della città. La nuova sede diede al CAI altro slancio e rafforzata iniziativa. Si intensificarono i rapporti con le Scuole grazie alle escursioni guidate sia in montagna che nelle nostre colline. Intensa divenne la collaborazione, con l’utilizzo dei locali del 19

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19/9/2000, traversata Cervinia-Val D’Ayas sotto il ghiacciaio del Ventina. Archivio CAI Valenza

25/3/2006: giardini Aldo Moro, inaugurazione del Palaguerci. 20

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Palaguerci, con le Associazioni culturali e di volontariato, UNITRE di Valenza e di Alessandria, famiglie e altre realtà del territorio. Con un lavoro durato cinque anni, grazie alla guida di Giovanni Omodeo, si realizzò la segnaletica di 14 sentieri nelle nostre colline con uno sviluppo di 194 chilometri, dalle colline al Po, in collaborazione con il Parco Fluviale del Po e dell’Orba. Grande successo ebbe la pubblicazione della Carta dei Sentieri, iniziativa assai apprezzata e utile per il rilancio turistico-ambientale del nostro territorio. Molti furono gli appuntamenti culturali con proiezioni e incontri con Archivio CAI Valenza scrittori, studiosi, alpinisti fra i quali le Guide Abele Blanc, Marco Camandona. Le iniziative svolte in occasione del trentacinquennale della Sezione CAI di Valenza, volute dall’attuale Presidente Fausto Capra e caldeggiate da tutto il consiglio direttivo, ebbero una grande partecipazione. Di alto livello furono gli incontri con le Guide Marco Cunaccia e Simone Origone, recor27/1/2009: al Teatro Sociale il grande alpinista dman mondiale del Km “Gnaro” Silvio Mondinelli con Rosalba Guerci. lanciato, lo scrittore Roberto Mantovani. Straordinaria fu la serata al Teatro Sociale con la presenza di Gnaro Silvio Mondinelli, grande alpinista, uno dei sei scalatori in assoluto ad aver raggiunto, senza l’uso di bombole di ossigeno, tutte le 14 vette più alte del mondo. Abbiamo tracciato un percorso di oltre sessantanni. Rimangono ancora tanti personaggi da ricordare, raccontando le loro storie. Lo faremo nella seconda parte. Il viaggio affrontato ha seguito le tracce di tanti uomini, giovani e meno giovani, qualcuno non c’è più, ma sono ancora visibili le orme di tutti su salite, colli, pareti, cime, ghiacciai, alte vie, vie ferrate e sentieri. Sì! Scarponi in ordine, zaino pronto, è proprio un sen21

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Riccardo Cassola

tiero che ci aspetta per andare sui monti e ritrovare ancora altre volte, come in un giorno di festa, la condizione di essere felici.

MONTAGNA e CAI Riflessioni di Annibale Salsa, antropologo e Presidente Generale del Dal campeggio alla conquista della Dufour. Agosto CAI dal 2004 al 2010

2010: M. Capra; R. Cassola, con la guida N. Corradi, partiti dal campeggio Don Pietro sono sulla punta Dufour, m. 4634, seconda cima europea. Agosto 1955 altri giovani partirono dal campeggio e, in diverse cordate, salirono alla Dufour.

I montanari e gli alpinisti appartengono a due ambiti culturali distinti già a partire dalla data di nascita dell’alpinismo, il cui battesimo ufficiale è segnato dalla prima salita al Monte Bianco (1786). Il montanaro Balmat ed il medico Paccard ne sono la rappresentazione più concreta. Al di là del fatto di cronaca, i due savoiardi sono portatori consapevoli di due mondi diversi, ma in contatto fra loro. Il valligiano è espressione di un vissuto tradizionale della montagna declinato sul piano della quotidianità e della sussistenza economica. Il medico, di una visione del mondo del tutto innovativa, improntata alla rivoluzione scientifica delle “magnifiche sorti e progressive”. Per il primo, la montagna esiste “da sempre” come terreno da Famiglia Bajardi cui ricavare risorse di vita, per il secondo la montagna esiste come terreno da esplorare e da “inventare”. Ecco, quindi, delinearsi due diversi approcci alla montagna che accompagneranno, attraverso più di due secoli, due percorsi distinti ma interdipendenti. Agosto 2002: Triestina e Maria Bajardi, madre e fiIl medico di Chamonix glia, sulla cima del Monte Bianco. 22

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aveva respirato il clima illuministico degli ambienti scientifici della capitale del Regno. Nella vecchia Torino si stavano diffondendo le nuove idee all’interno del mondo accademico. Spesso si attribuisce agli Inglesi la primogenitura di tale visione del mondo alpino ed alpinistico. Ci si dimentica, invece, che sono gli ambienti scientifici ginevrini di Horace Benedict De Saussure e torinesi del dottor Paccard, suddito sabaudo del vecchio Piemonte, alle origini di tale rivoluzione copernicana. Non sarà un caso che, pur dopo la nascita del primo Club Alpino di Londra nel 1857, Torino riprenda il ruolo di protagonista nella “re-invenzione delle Alpi” con la fondazione del CAI nel 1863 ad opera di scienziati e studiosi. Da ora in poi il legame fra montagna ed alpinismo diventerà un fatto indissolubile per più di un secolo. Oggi Archivio CAI Valenza esiste il rischio, però, che tale cordone ombelicale si allenti sotto la spinte di tendenze modaiole generatrici di pericolose dissociazioni fra montagna ed alpinismo. Gli eccessi del tecnicismo arrampicatorio, la cultura dominante 2005: le guide di Valtournenche in visita al cantiere del di tipo agonistico Palaguerci. Da sin.: Giovanni Ceva; Albino Pellissier; Ar- e competitivo, mando Perron; il decano delle guide Ferdinando Gaspard; spingono verso Corrado Gaspard; Giovanni Omodeo; Pierino Barmasse e orizzonti artificiaEnzo Francescato. li e virtuali che rischiano di produrre surrogati alla montagna reale. Quest’ultima è, infatti, la migliore metafora della vita, segnata dall’alternanza fra fatica e soddisfazione. La montagna è uno scrigno di valori ecologici, estetici, etici ed educativi. Essa insegna la cultura del limite in senso oggettivo e soggettivo, in un mondo bombardato di messaggi che inneggiano al no limits. Messaggi che, purtroppo, fanno breccia anche nella comunità alpinistica e dei frequentatori della montagna. I molti incidenti che ne funestano la cronaca trovano le loro ragioni in questa 23

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“sub-cultura della fretta” che non tiene più conto dei cicli naturali. Per tali ragioni la montagna si presta, più di altri ambienti, ad usi retorici che ne snaturano l’essenza. Il Club Alpino, fondato sulla base di quei principi di conoscenza del territorio e del terreno delle montagne, non può abdicare a questa sua funzione culturale. E’ compito delle Federazioni sportive e non dei Club Alpini, che con le attività sportive agonistiche hanno ben poco da spartire, ricercare le performances atletiche. Oggi i giovani hanno un grande bisogno di riappropriarsi della conoscenza del territorio di cui, non per colpa loro, sono diventati analfabeti. L’esplorazione dei luoghi dovrebbe seguire un criterio diffusionistico che, a cerchi concentrici, muova dai propri dintorni e gradualmente raggiunga le montagne più lontane ed elevate. AnArchivio CAI Valenza che le Sezioni CAI non di montagna, come quella di Valenza, hanno innumerevoli occasioni per confrontarsi con territori di prossimità quali sono le colline del Monferrato o i rilievi dell’Appennino Ligure-Alessandrino. Gli scopi statutari origi- Il Presidente Generale del CAI Annibale Salsa a Valenza in nari del Club Alpi- occasione dell’inaugurazione escursionistica dei sentieri tracno sono finalizzati ciati dal CAI: “Le colline e il Po di Valenza”. proprio a “far conoscere le montagne e ad agevolarvi le escursioni, le salite e le esplorazioni scientifiche”. La loro attualità, nonostante i cambiamenti sociali e di costume che innervano la Storia, resta immutata e granitica come le rocce del Monte Bianco da cui il viaggio di “reinvenzione” moderna della montagna è partito.

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VALENZA E LA MONTAGNA. Seconda parte. di Giorgio Manfredi. Avevo terminato la prima parte di “Valenza e la montagna” (Valénsa ’d’na vòta numero 25 dicembre 2010) con l’impegno di proseguire con il ricordo dei protagonisti ed il racconto delle loro storie. Voglio iniziare con Sandro Picchiotti (1930-2004) e mi accorgo subito che Sandro stesso è “una storia”. Mi prende il timore di non rendere bene la trama di tante vicende e fatti vissuti. Sandro ci ha accompagnati con intuizioni e fantasie che lasciavano senza fiato e sapeva trasmettere un’allegria che scompaginava la Famiglia Picchiotti normalità senza emozioni in cui spesso si ci trovava. Sandro Picchiotti, iscritto al CAI dal 1965 e socio della Sezione di Valenza quando si è costituita nel 1976, ha sempre avuto un grande amore per l’alpinismo. Nella sua vita la montagna è entrata presto, nei primi anni del campeggio “Don La tessera CAI di Sandro Picchiotti. Pietro”. Fu subito, sin dal 1947, un leader ed un trascinatore. Si adoperò ad organizzare escursioni, cercando mete ardite e impegnative della Valtournenche, dove era nato il campeggio “Don Pietro”. Si voleva puntare al superamento del limite dei 4000 arrivando alle grandi cime valdostane con i loro superbi ghiacciai. Fu tra i primi a guidare un gruppo che salì sul Breithorn 4165 mt., una bella cima che, a est del Cervino, apre lo spettacolare gruppo del Monte Rosa. Sul Breithorn salirono, a partire dalla fine degli anni 40, molti giovani come a compiere, con questa ascensione quasi tutta su ghiacciaio, il loro battesimo dei 4000. Negli anni 1954, 1955 e 1956 si guardò oltre con mete ancora più impegnative ed a quote superiori, sempre nel fantastico gruppo del Rosa: Castore 4221 mt., Lyskamm 25

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4481 mt., Zumstein 4563 mt., Punta Gnifetti con la Capanna Margherita 4554 mt., e la stessa punta Dufour 4633 mt. La guida Marcello Carrel, grande esponente dell’alpinismo del Cervino, amico e sostenitore delle attività alpinistiche del campeggio, coordinò e guidò queste importanti ascensioni e Sandro Picchiotti, presente in tutte queste salite, contribuì alla buona riuscita delle imprese facendo spesso il capo cordata insieme alle guide. La salita alla nord della punta Dufour del Monte Rosa con i suoi 4634 Gruppo amici di Don Pietro e Don Luigi

1955: da sinistra Don Luigi Frascarolo; Giorgio Manfredi; Sandro Picchiotti; Giorgio Re; Gian Piero Marchese verso la punta Dufour del Monte Rosa.

mt., seconda cima più alta in Europa dopo il monte Bianco, rappresentò per lui e per il campeggio un impegno importante e significativo. Tutto venne organizzato con la guida Marcello Carrel e con il portatore (aspirante guida) Silvano Meynet che guidarono il gruppo composto da don Luigi Frascarolo, Sandro Picchiotti, Giorgio Re, Giorgio Manfredi e Giampiero Marchese. Quest’ultimo si trovò in difficoltà quando l’altitudine crebbe, superando i quattromila. Si trattò di un vero e proprio “mal di montagna” che causò qualche inconveniente pur non impedendo di ultimare l’impresa. La guida Marcello Carrel risolse i problemi 26

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tecnici nella progressione della salita, ma fu proprio grazie a Sandro Picchiotti che Marchese, che stava procedendo come un automa e che era legato in cordata vicino a lui, poté continuare. Sandro aveva per tutti un soprannome che usava disinvoltamente con vena ironica. Giampiero Marchese era appellato “Cheisot” e in questo modo Sandro lo sollecitava e lo spronava: si sentiva la sua voce che impartiva continuamente ordini con indicazioni rapide e precise mentre l’ascensione procedeva. “Cheisot qui il piede, là l’appiglio per la mano destra, subito dopo l’altro piede sullo spuntone a sinistra”... e così avanti e si saGruppo amici di Don Pietro e Don Luigi

1954: da sinistra: Sandro Picchiotti; Francesco Bajardi; Giorgio Re; Don Luigi Martinengo; l’aspirante guida Silvano Meynet sulla cima del Lyskamm.

liva. In questa non semplice occasione si affermò il ruolo di “trascinatore” di Sandro con la sua forza morale fisica ed il coraggio che rendevano attuabile quello che sembrava impossibile. Il sorriso che Marchese ritrovò scendendo dopo la Capanna Gnifetti, sotto i quattromila, fu il miglior riconoscimento della straordinaria impresa che Sandro aveva realizzato. L’anno prima, nel luglio 1954, sempre con la guida Marcello Carrel e il portatore Silvano Meynet, con Sandro Picchiotti, erano saliti al Castore don Luigi Frascarolo, don Luigi Martinengo, Francesco Bajardi, Beppe Bissone, Giorgio Manfredi, Beppe Mortarini, Pinuccio Picchiotti, Giorgio Re e Liliana Villasco. Dopo il pernottamento al rifugio Quintino Sella il giorno successivo, Francesco Bajardi, 27

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don Luigi Martinengo, Sandro Picchiotti e Giorgio Re, con le stesse guide scalarono il Lyskamm occidentale. Il gruppo si ricompose al rifugio ed insieme discesero tutti a Gressoney. Salirono alla punta Dufour, sempre dal versante nord e alla punta Zumstein, questa volta nel 1955, Francesco Bajardi, Oscar Amelotti, Beppe Bissone, Flavio Gastaldello con le guide Marcello e Alberto Carrel. Fu un periodo entusiasmante di importanti ascensioni Gruppo amici di Don Pietro e Don Luigi per i giovani valenzani che, insieme a tanti altri continuarono a vivere la passione per la montagna, allargando sempre più questo amore contagioso e affascinante. Un’altra dimostrazione della forza di Sandro era avvenuta quando, insieme a don Pietro, si decise nell’estate del 1949 di salire con un gruppo numeroso alla Gran Sommetta per celebrarvi la messa. Questa cima di 3166 mt. non presenta eccessive difficoltà di salita, ma l’altarino per la messa era contenuto in una pesante valigia che Sandro Picchiotti volle portare in vetta. Oltre 1954: da sinistra: Pinuccio Picchiotti; Beppe Bissone; allo zaino sulle spalle si Francesco Bajardi al rifugio Quintino Sella sul Rosa. legò con una robusta corda la valigia sul davanti, proseguendo sul ripido pendio di pietroni e sfasciumi, sollecitando i compagni di scalata a procedere. Tutto andò per il meglio e la messa venne celebrata in vetta. Qualche anno dopo guidò un’escursione alla capanna Margherita con il fratello Pinuccio ed altri due amici. Dormirono alla Capanna Gnifetti e poi salirono in cordata alla Margherita a 4551 mt. Al ritorno, durante una sosta sul ghiacciaio, 28

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Sandro si accorse di aver dimenticato le scarpe da ginnastica che normalmente vengono usate per entrare al rifugio: non volle sentir ragioni per evitare il recupero. Effettivamente non sarebbe valsa la pena di risalire per riprendere un paio di scarpe da ginnastica usate, ma invitò i tre compagni a proseguire la discesa mentre lui fece di corsa la risalita del ghiacciaio per poi tornare con loro. Così avvenne: lo videro comparire mentre correva, prima di Gressoney, dove giunsero tutti e quattro insieme... comprese le scarpe da ginnastica. La corsa in montagna fu la sua passione ed un’attività alpinistica alla quale si dedicò per anni. E’ questa una specialità sportiva molto impegnativa che richiede una preparazione fisica accurata, tenendo conto delle continue alterazioni di altitudine e di uno sforzo fisico e respiratorio che viene concentrato in poco tempo. Curava la preparazione con allenamenti quotidiani partendo molto presto velocemente di corsa al mattino da Issime, in Val d’Aosta, dove abitava la moglie Renée e dove risiedeva spesso nel periodo estivo, salendo e poi ridiscendendo su gradoni alti circa un metro verso la cappella di San Grato. Fra le molte gare di corsa in montagna, nel periodo anni 60/70 si ricordano le traversate del Col Dondeuil fra la valle di Gressoney e la Val d’Ayas e la Piedicavallo-Colle della Mologna-Gaby fra le valli biellesi e la valle di Gressoney. Più volte partecipò alla Torino-Saint Vincent, una super maratona di 100 km che collega il capoluogo piemontese con la “porta” delle montagne della Valle d’Aosta. Nell’edizione del 1979 su 1200 partecipanti Sandro si lasciò alle spalle più di 1000 concorrenti, portando a termine la gara in 12 ore dalle otto del mattino alle otto di sera e piazzandosi al 104° posto. Sandro Picchiotti continuò a svolgere un’intensa attività di ascensioni guidando cordate e portando su molte cime della Valle d’Aosta le nuove generazioni che si susseguirono al campeggio “Don Pietro”. Fino agli anni ’80, con la guida Marcello Stevenin della valle di Gressoney, effettuò importanti ascensioni fra le quali il Monte Bianco, il Cervino, la Dent d’Hèrens, la Tour Ronde, il Dente del Gigante, i due Lyskamm, la sud del Castore, il Polluce e molte altre. Marcello Stevenin così lo ricorda: “Sono stato per parecchi anni la sua guida alpina e insieme abbiamo fatto tante belle salite. Sandro Picchiotti più che un cliente è stato un caro compagno di cui mi potevo fidare: una persona che non è facile dimenticare. Posso dire che era un uomo straordinario per la sua grande passione, avvinto dalle emozioni che la 29

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montagna sa dare. Aveva uno stile tutto particolare nell’ arrampicata, sembrava spesso che i piedi non tenessero o si staccassero dalla roccia per il modo veloce col quale li posava, poi invece procedeva e saliva, quasi volando. Era così concentrato, forte e deciso che trovava sempre un appoggio per la progressione in salita, anche in tratti ripidissimi. In discesa sembrava un camoscio e Dal volume “Mal di montagna” di Enrico Camanni qualche volta dovevo richiamarlo per frenare la sua esuberanza. In alcune occasioni portò in cordata con noi un suo amico, Enzo Rho di Bergamo, che invece era molto più calmo e ancor più faceva apparire Sandro con la sua forza e decisione. Ricordo che nell’ascensione al Monte Bianco, partimmo da Chamonix con l’intenzione di raggiungere il rifugio Gouter per il pernottamento prima della salita alla vetta. È previsto in questo caso l’utilizzo del trenino che da Saint Gervais les Bains porta a quota 2372 mt. del Nido d’Aquila. Il trenino tardava ad arrivare e lui ci fece decidere, zaini in spalla, di fare di corsa il percorso sui binari sino al Nido d’Aquila e poi sino al Gouter a 3817 mt. Disse che poteva servire per un buon allenamento! Andare in montagna con Sandro era per me una grande soddisfazione e mi faceva condividere bei momenti di allegria e di gioia”. Piero Rosmino. Voglio ora parlare di Piero Rosmino (n. 1935), socio CAI dal 1976, una persona curiosa e disponibile per tutti: sempre pronto a consumare scarponi su per sentieri e biciclette su e giù per le nostre colline ed oltre, ma anche a partecipare a serate gastronomiche con gli amici alpini. I fine settimana, che il tempo sia bello o brutto per lui è tempo di gita: nessuno lo può fermare. Piero é medico di se stesso e non ci si ricorda di averlo visto con il raffreddore, la tosse 30

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o un altro malanno. Bravo disegnatore ed orafo non disdegna mai frasi poetiche semplici e cariche di ironia. Racconta Gastone Michielon: “Molti anni fa, agli inizi degli anni 60, durante un’attraversata di più giorni in Valpelline con Carlo Meregaglia, Mario Ivaldi, Carla Gallini e me, dopo molte ore di cammino ci trovammo sotto il Colle de Gastone Michielon Valcournera, tra la valle di St. Barthelemy e la Valpelline sopra Prarayer. L’obbiettivo era di scendere al lago di Place Moulin, ma era già molto tardi (eravamo circa a 3000 mt.) e decidemmo di bivaccare in una baita semi diroccata che ripulimmo. La notte era fonda, il paese più vicino a non meno di 8/10 ore di cammino, il silenzio assoluto ... Sentimmo un rumore in lontananza, sicuramente un aereo. Piero, rannicchiato nel pagliericcio di fortuna disse: “Toh... ’na moto!...”. Scoppiammo a ridere: una moto a 3000 mt., in una valle sperduta! Iniziai a frequentarlo già da 1969: Piero Rosmino suona l’armonica a Cheneil dopo ragazzino quando i miei un’escursione con Carluccio Meregaglia. genitori mi mandarono al campeggio “Don Pietro” nel periodo estivo. Rosmino mi insegnò a camminare in montagna. L’osservavo accarezzare i sentieri, leggero e sicuro, io sempre dietro. Facevamo tutti a gara per camminargli alle spalle. Insegnò a molti di noi a riconoscere le montagne che ci circondavano, per ognuna il suo nome: Roisette, Becca D’Aran, Sigari di Bobba, Gran Tournalin, Gran Sometta, Grandes Mourailles, Jumeaux, Dent D’Hèrens. Ripeteva di continuo il nome delle cime che in parte 31

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aveva salito. Imparammo da lui a trovare sorgenti di acqua scavando nel terreno ed a contenere la sete succhiando un sasso del torrente.. , ad attraversare i ruscelli riconoscendo i sassi stabili e non scivolosi ed anche ad intuire le variazioni del tempo. Al campeggio in pochi volevano dormire nella sua stanza: si addormentava presto e si svegliava all’alba. I giovanissimi avevano altri ritmi! Col tempo però anche altri amici appassionati di escursioni in montagna si adattarono a riposare con lui nella camera a 4 posti. Era effettivamente insofferente e quando si rientrava tardi sbottava sempre: “UĂ che adm mat n-na l’è dĂźra!â€?. Piero Rosmino era stato svezzato in un collegio dove restò sino alla chiamata alle armi. Entrò negli alpini e dopo alcuni anni fu congedato con il grado di sergente. Si trasferĂŹ a Valenza per fare l’orafo. La montagna fu per lui un vero amore. Ha ragione lo scrittore alpinista Enrico Camanni che nel suo libro “Mal di montagnaâ€? (CDA & Vivalda editore) gli dedica un bel profilo: “Di solito iniziava il resoconto con l’escursione del giorno, perchĂŠ non c’era giorno che Rosmino non andasse a camminare. Ci andava con il sole e con la neve, per lui non faceva differenza. Se c’era il sole diceva - Che bel sole -, se nevicava diceva - Che bella nevicata -. L’importante era andare, un po’ per assecondare la vacanza e un po’ per riempire il vuoto di una vita da scapolo: Rosmino viveva di poesia (la poesia della natura), ma i suoi racconti erano ingenui, scarni. - Oggi a Champlève ho visto le tracce della lepre; forse era un cane - le pelli di foca facevano lo zoccolo. La neve era gesso sopra la Madonna della Salette, che fatica salire con lo zoccolo - fino a Cheneil non c’era vento, ho sudato anche un po’, ma sulla cresta del Molar si volava via -. Al secondo bicchierino si sfilava il maglione e restava in maniche di camicia. Allora potevi provocarlo tranquillamente: - Senti, Rosmino, e se domani andassimo a fare il Ventina con le pelli? - Il Ventina? Ma sĂŹ, di lĂŹ scendono in pochi perchĂŠ c’è la neve fresca. I cannibali sono tutti dall’altra parte - Cannibali? - certo, non conoscete il Cannibale lanciato? Era la sua definizione preferita, il massimo slancio provocatorio della sua mente gentile. Indicava ogni genere di sciatore che usasse gli impianti di risalita e le piste battute, specialmente a Cervinia, la patria del “cannibalismoâ€?. In senso piĂš lato, abbracciava quell’ antropologia urbana che aveva profanato i valori della montagna riducendola a stadio, Disneyland, parco giochi. Rosmino non era bigotto nĂŠ moralista, ma difendeva uno stile di vita consono alla propria semplicitĂ . Soprattutto cercava compagni, e sapeva adattarsi. Tollerava i miei amici can32

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nibali che talvolta ci seguivano con le racchette da neve o con gli sci, e tollerava anche le (rare) donne del gruppo, aspettandole incoraggiandole, rispettandole. Non gli ho mai sentito pronunciare una parola maschilista, secondo la logica tipica degli uomini soli e di certi ambienti montanari. Era candido anche in questo. La montagna è anche stata crudele con lui. Quando decise di fare la Cresta Albertini alla Dent d‘Hèrens con la guida più forte dell’epoca, Camillotto Pellissier, nulla lasciava presagire il dramma. Durante la scalata Camillotto cadde e morì: lui scese da solo giù dalla parete dopo aver depositato il corpo su una cengia. Non parlò mai a nessuno di quella esperienza, salvo minimi particolari. Spesso durante le innumerevoli gite lo si vedeva irrigidirsi quando sentiva cadere dei sassi o quando sentiva sferragliare i ramponi sulle rocce. Si turbava tantissimo, poi si calmava e ritornava il Rosmino di sempre. Continua Gastone Michielon, che gli fu molto vicino nei giorni della tragedia: “Su questo argomento, anche in tempi recenti, ho avuto discussioni con alcune guide del Cervino che, ancora oggi, sollevano qualche ombra sull’accaduto. Ho spiegato loro come si sono svolti i fatti. Era una mattina del 6 agosto 1966 ed era l’ultimo giorno di campeggio, poi c’era il cambio del turno. Eravamo tutti sul piazzale di Perrerès quando è arrivato il Maggiolino verde di Camillotto. Piero Rosmino era già pronto, andò incontro alla guida alpina. Alcuni di noi sapevano dei programmi alpinistici di Piero, anche io che dormivo nella sua stanza. Un giorno prima, Mariolino Vaccario e Francesco Bajardi, i vecchi del campeggio, avevano allestito una catasta di legna sul “Pietrone” che avrebbe dovuto essere acceso per segnalare che tutto andava bene e così dovevano fare Camillotto e Rosmino arrivati al bivacco Albertini per dormire. Dopo i soliti convenevoli Piero caricò la sua attrezzatura sulla macchina della guida e mi chiese di accompagnarli sino a Cervinia. Accettai, avevo alcune ore a disposizione prima della partenza del pullman. Arrivammo a Cervinia, parcheggiarono l’auto e, scaricati gli zaini, si incamminarono verso l’attacco. Li accompagnai per un breve tratto fino alla palestra delle guide, salutai e ritornai indietro. In pullman arrivai nel tardo pomeriggio a Valenza; mi venne incontro mio padre e mi disse che era successa una disgrazia: Piero era morto in un incidente in montagna. Lo tranquillizzai dicendo che non era possibile, ero stato con lui e la guida sino a poche ore prima. Arrivò poi la notizia che era morta la guida, ma Piero era vivo. Purtroppo, appena dopo, fu confermato: la guida 33

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Camillotto Pellissier era precipitata morendo ma Piero Rosmino era vivo. Passarono anni prima che qualcosa trapelasse da Piero, mai nessuno di noi si azzardò a chiedergli notizie. A volte qualcosa raccontava e come un mosaico ricostruimmo il fatto. Piero raccontò che quel mattino arrivarono all’attacco della via e Camillotto, davanti, salì in arrampicata sulla parete, quindi i due procedettero in sintonia per un po’. Arrivarono ad un punto di sosta, Camillotto salì per una mezza lunghezza di corda, Piero operò una sicurezza passando la corda a cavallo di uno spuntone sopra di lui. Quasi subito sentì uno sferragliare come dei ramponi che grattano la roccia, alzò lo sguardo e vide la guida con il viso verso il vuoto! Un attimo e precipitò sulle rocce sottostanti passando a fianco di Piero. La sicurezza trattenne il corpo che penzolò nel vuoto per un tempo imprecisato. Chiamò la guida in continuazione. Le mani facevano male, il pericolo che anche lui seguisse la sorte di Camillotto era evidente. Sotto di loro, c’era una cengia-terrazzino ad un paio di metri. Diventava buio, la guida non rispondeva e nessuno nelle vicinanze: le sue grida venivano vanificate. A quel punto provvide ad adagiare sulla larga cengia il corpo della guida che non dava nessun segno di vita. Da quel momento Piero non ricorda più nulla. Sapremo poi che alcune guide avevano intuito l’accaduto ed erano corse verso l’attacco della via, incontrando Rosmino che, sceso da solo su difficoltà non indifferenti, corse verso di loro completamente impazzito”. Questo è il racconto di una persona che è stata molto vicino a Rosmino in quei giorni e che ha vissuto la tragica vicenda, a commento della quale aggiungo ancora alcune righe di Enrico Camanni tratte dal libro già citato: “A distanza di vent’anni il solitario minimalismo montanaro di Rosmino mi sembrava una risposta assai più onesta di tante infedeltà, tradimenti, nequizie che la vita ci butta addosso provocando la nostra pazienza. Se la felicità consiste nel restare se stessi, allora Rosmino ci era riuscito. E se la vita è un mistero, allora lui aveva vissuto”. Nella prima parte di questa rievocazione ho già ricordato la figura di Gian Piero Accatino (1934-2003), nel ruolo da lui svolto per la fondazione, nel 1974, della Sezione CAI di Valenza di cui fu il primo presidente, restando in carica sino al 1993. In questa seconda puntata intendo invece richiamare la sua abilità grafica nel creare opere in bianco e nero sul mondo alpino. Sono “Storie brevi in punta di penna” come le chiama il periodico di arte, cultura, informazione e turismo “Pagine della Valle d’Aosta” n. 4, giugno 1996, dal quale cito la presentazione 34

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Da: “Pagine della Valle d’Aosta”.

Gian Piero Accatino.

pubblicata con alcune opere significative e divertenti: “Gian Piero Accatino si interessa a tutte le vicende che riguardano la montagna e il suo mondo da quando, ancora bambino, ha visto per la prima volta le montagne della Valle d’Aosta che, anno dopo anno, ha sempre frequentato, anche a livello alpinistico. Amici di Courmayeur e Valenza, sua città natale, lo hanno convinto a presentarsi al giudizio del pubblico in mostre personali. Tra le più recenti, nel 1994 a Courmayeur presso la Maison Fleur con una personale dal titolo evocativo “Oh, les belles Da: “Pagine della Valle d’Aosta”.

Marcia Gran Paradiso: il ritardatario. Un disegno di Gian Piero Accatino. 35

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Da: “Pagine della Valle d’Aosta”.

Dice di passare alla cassa prima della consumazione. Disegno di Gian Piero Accatino.

montagnes!”, e nel 1995 a Cogne presso l’Atelier d’Arts et Métiers con un’altra personale intitolata “La grand’Eyvia racconta”. Sempre a Cogne ha partecipato ad una collettiva alla quale erano presenti artisti valdostani come Ouvrier, Balan, Tecco ed altri. Profondamente legato all’ambiente ed alla cultura alpina, continua a scrivere le sue “Storie brevi” in punta di penna sul suo blocco degli schizzi. A volte lieve come un acquerello di Samivel, a volte ruvido e aspro come un graffio di Forattini, miscela in sé il sogno bambino della primavera che rinasce, il rimpianto del sole che tramonta, la nostalgia delle nebbie autunnali. Dalla sua opera più recente, abbiamo tratto alcune tavole nelle quali il lettore attento troverà moltitudini di parole che cercano prepotentemente di uscire allo scoperto. Ad ognuno di noi dar loro vita; ad ognuno di noi ritrovare le proprie neiges d’antant!”. Ho già parlato di Pier Luigi Bianchi (n. 1949) che fu nel 1974 uno dei fondatori del CAI di Valenza e dirigente della sezione per molti anni svolgendo un’attività alpinistica importante e continuativa nel tempo. Voglio ora narrare la sua interessante esperienza sulle Alte Vie Dolomitiche realizzata alla fine degli anni 70. Con “l’Alta Via” viene proposta una nuova formula di turismo alpino: essa è dedicata a quella vasta categoria di appassionati della natura alpina che non intendono esaurire i loro interessi nelle due attività estreme, cioè, da un lato le 36

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semplici escursioni estese sino ai passi o rifugi accessibili per rotabili o altri mezzi meccanici, dall’altro l’arrampicamento su itinerari molto difficili e impegnativi. Le alte vie estive specie sul terreno dolomitico che presenta tutte le attrattive di alta montagna a quote relativamente moderate e senza pericoli obbiettivi dei grandi ghiacciai, offrono, a buoni escursionisti alpini, la possibilità di itinerari organici e di ampio respiro, alcuni celebri e molto frequentati, altri più selvaggi e meno conosciuti, ma non per questo meno affascinanti. Si tratta, in sostanza, di itinerari che collegano una catena di rifugi, con percorsi più o meno lunghi e faticosi, ma sempre senza forti difficoltà, almeno per escursionisti esperti. In parte si tratta di percorsi da sempre noti e praticati. In alcuni casi, però per mezzo del tracciamento e segnalazione di nuovi sentieri e dell’ attrezzamento di tratti scabrosi, è stato possibile rendere agevole l’attraversamento di zone, prima considerate impervie. Se, dunque, nessun tratto di “Alta Via” costituisce, di per sé, una novità assoluta, l’intero percorso, con le nuove condizioni di percorribilità e le nuove basi di appoggio, offre realmente nuove possibiIl lago Coldai, Alta Via n. 1 delle Dolomiti. lità di interesse. Attualmente sono otto le alte vie delle Dolomiti, mentre Pier Luigi Bianchi percorse interamente le quattro che erano attive negli anni 70. Pier così si racconta: “Cominciai ovviamente dall’ alta via numero uno che parte dal lago di Braies in Val Pusteria e arriva sino a Belluno: eravamo in due in quel fine luglio del 1977. Con me Ivo Pagliano buon camminatore e grande amante della montagna. Partimmo, ciascuno con il proprio zaino al mattino presto in treno da Valenza sino a Milano Porta Genova, quindi in metropolitana alla Stazione Centrale. Da qui con il treno della 37

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linea Milano - Bolzano fino a Fortezza e poi su quella della Val Pusteria arrivando a Villabassa in serata. Dormimmo in una “Zimmer” con prima colazione e all’alba del giorno dopo prendemmo il pulmino di linea che da Villabassa porta al lago di Braies. Qui calzammo gli scarponi che tenevamo appesi allo zaino durante il viaggio riponendo i sandali che sarebbero poi serviti agli ingressi dei rifugi: iniziammo quindi l’escursione”. A questo punto è opportuno segnalare l’importanza dello zaino, fondamentale compagno di viaggio che deve contenere tutto quanto serve nei giorni delle escursioni che, quasi sempre come nel caso di queste, superano la settimana, cercando di limitare il peso compatibilmente con le necessità. I due affrontarono l’itinerario dell’alta via numero uno perché ideato per primo e, comunque, destinato a restare uno dei più classici, se non il più classico, in quanto attraversa il

Le altimetrie della Alta Via n. 1 delle Dolomiti.

cuore delle Dolomiti nella loro parte centrale, da nord a sud e viceversa, dalla Pusteria in provincia di Bolzano alle soglie della pianura veneta, passando per le Dolomiti di Braies, di Cortina D’Ampezzo, dello Zoldano, dell’Agordino e di Belluno. Si tratta di un’enorme varietà di ambienti naturali e anche umani che trasforma il percorso in un’esperienza ricchissima. Continua Pier: “Siamo partiti dall’incantevole lago di Braies percorrendo per buoni sentieri, il romantico ambiente del Fanes, raggiungendo le maestose Tofane nella superba conca di Cortina, sfiorando le caratteristiche architetture rocciose delle Cinque Torri, del Nuvolau, della Croda da Lago. Abbiamo poi superato dall’ alto la bella Val di Zoldo, attraversando la regale mole del monte Pelmo (El Caregon de Dio). L’attraversamento del gruppo del Civetta, la cui cima è stata scalata quest’anno da 4 amici del CAI di Valenza, ci ha fatto gustare le visioni più grandiose ed impressionanti di tutte le Dolomiti. A seguire le Moiazze dove abbiamo incontrato un mondo alpestre più solitario ma affascinante per poi superare il Tamer, la Schiara e raggiungere 38

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Belluno. Durante il percorso abbiamo approfittato di alcune varianti e utilizzato cinque vie Ferrate che hanno dato all’esperienza ulteriore emozione e ancor maggior fascino. Abbiamo pernottato in ordine di cammino nei rifugi Pederù, Lagazuoi, Nuvolau, Città di Fiume, Venezia, Coldai, Vazzoler, Carestiato, Sommariva al Pramperet, Furio Bianchet, 7° Alpini”. Si tratta di rifugi quasi tutti del Cai che forniscono una buona accoglienza e una professionale assistenza con tutte le informazioni più aggiornate sui sentieri. Affrontando questi percorsi con un cammino quotidiano sempre lungo per molti giorni si possono Marco Lenti

Luglio 2011. Da sinistra: Riccardo Cassola; Alessandro Marica; Pascal Pintore; Marco Lenti sulla cima del Civetta, con salita su ferrata degli Alleghesi e discesa su ferrata Tissi.

incontrare imprevisti, sia sul piano fisico che meteorologico, tali da creare problemi rispetto al programma. Ai due capitò questa seconda ipotesi “il 30 Luglio arrivammo al rifugio Lagazuoi 2752 mt.: la sera prima pioveva e al mattino dopo ci svegliammo sotto una forte nevicata che ci bloccò in rifugio due giorni. Quel mattino salì in funivia al rifugio il grande alpinista Lino Lacedelli con parecchia altra gente che venne con lui per festeggiare l’anniversario della prima ascensione al K2. Lui e Achille Compagnoni, con l’aiuto di Walter Bonatti, lo conquistarono il 31 Luglio 1954. Grazie alla neve abbiamo avuto l’emozione di con39

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dividere la partecipazione di un giorno di festa insieme a uno straordinario esponente dell’alpinismo. Concludemmo il percorso dell’alta via 1 in dodici giorni camminando 6/7 ore al giorno. Effettuammo il viaggio di ritorno in treno partendo da Belluno e arrivando a Valenza dove abbiamo finalmente lasciato lo zaino”. Pier Luigi Bianchi percorse poi nel luglio 1978, ancora insieme a Ivo Pagliano, l’ Alta Via Dolomitica n. 2, con l’itinerario da Bressanone a Feltre, toccando le province di Bolzano, Trento e Belluno attraverso 8 gruppi dolomitici fra i quali le Odle, il Sella, Il Piz Boè, la Marmolada, le Pale di San Martino e le vette Feltrine. Questa lunga escursione si è sviluppata mantenendosi in media a quote fra 2000 e 3000 mt., rasentando una serie di grandi cime oltre i 3000, superando una trentina fra passi e forcelle e pernottando in rifugi alpini. Nell’estate 1979 Pier Luigi Bianchi proseguì da solo il completamento delle altre due alte vie (la 3 e la 4) esistenti in quegli anni. L’Alta via 3 lo vide percorrere l’itinerario da Sesto in Pusteria a Longarone, incontrando il Picco Vallandro, il Monte Piana, il Cristallo, il Sorapis, il Monte Rite, il Bosconero, montagne in parte famose in parte ancora poco note, con grandi varietà alpestri ora pastorali ed ora selvagge. Impiegò 7 giorni ma, non perdendo tempo, raggiunse in treno da Longarone la località di San Candido al confine con l’Austria da dove l’alta via numero 4 inizia per svilupparsi sino a Pieve di Cadore con un percorso molto interessante, sia per la bellezza dei monti che per la loro importanza storica. Presi nel senso del percorso alcuni tratti (Rondoi, Baranci, Cadini, Sorapis) sono ancora non molto frequentati e fanno ritrovare un genere di montagna primitiva ed autentica. Anche quest’alta via impegnò Pier per 7 giorni. Nei mesi estivi di 3 anni (19771978-1979) Bianchi percorse quindi completamente le 4 alte vie dolomitiche esistenti allora, con un dislivello generale (salita e discesa) di 58.000 mt. ed uno sviluppo complessivo di 700 km. Soprattutto acquisì un’esperienza fantastica, colma di sensazioni magiche che la montagna sa dare nei tanti modi in cui può essere veramente gustata. Nino Bergamino (1931), socio CAI dal 1960, un altro fra i fondatori nel 1974 della Sezione CAI di Valenza, ha intrapreso un’importante esperienza alpinistica soprattutto legata al Monte Bianco, creando intensi rapporti con Courmayeur e in particolare con la “Società Guide Alpine Courmayeur 1850”, seconda solo a quella di Chamonix per anzianità nel mondo. Nino, per le molte imprese alpinistiche da lui realizzate e per il contributo da lui dato al mondo alpino di Courmayeur, 40

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è stato riconosciuto “Guida Onoraria”. Le Guide Onorarie facenti parte dell’Associazione di Courmayeur vengono così definite: “Sono prestigiose persone che hanno aiutato il mondo delle Guide Alpine, della montagna, del Soccorso Alpino, a crescere negli anni e a raggiungere i livelli di conoscenza e di professionalità che oggi le Guide Alpine possono vantare.” Così commenta il Presidente della Società Guide di Courmayeur Arrigo Gallizio: “Nino Bergamino si è guadagnato la carica di Guida Onoraria sul campo. La passione e l’amore per il Monte Bianco che Nino ha Nino Bergamino

15 agosto 1978. Nino Bergamino, quarto da sinistra in basso, alla festa delle guide di Courmayeur.

ancora vivo nel suo cuore è l’esempio di che cosa le nostre Guide Alpine riescono a trasmettere in persone che sono attratte dal fascino magico che la nostra Montagna per eccellenza, sa catturare con i suoi verticali versanti, con le sue romantiche albe e tramonti sempre diversi, sempre nuovi in ogni occasione sia d’inverno che d’estate. Nino ha vissuto l’era dell’alpinismo che si confronta ad armi pari con la montagna ed ha avuto la grande fortuna di avere come Guide, poi come veri amici, persone nate e forgiate sul territorio. Le sue imprese sono descritte con sentimento genuino da Mario Mochet che ripercorre quegli 41

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anni storici ed il periodo della sua formazione di Guida Alpina di Courmayeur di cui è fiero. La nostra Società, la più antica d’Italia, la seconda del Pianeta, è onorata di annoverare nel proprio sodalizio persone come Nino Bergamino, che oggi come allora, è costantemente attento alla vita attiva della Società e delle nostre Guide, del loro lavoro fatto con etica, temperanza, prudenza, sulle Montagne valdostane e del Mondo ripercorrendo le sue indimenticabili salite memore dei sentimenti ed emozioni che con loro ha vissuto”. Prosegue quindi la Guida Alpina Mario Mochet: “Nino Bergamino ha scoperto Courmayeur e la Archivio CAI Valenza

Luglio 2010. Da stnistra: Alfredo Dovis; Barbara Repnic; Stefano Sisto; Giuseppe Stafforini; Piero Amisano, ferrata e cima Averau gruppo “Cinque Torri” Dolomiti Ampezzane.

montagna negli anni 70 ospite della famiglia Grivel amici della moglie, ed è stato Walter Grivel ad accompagnarlo nelle prime escursioni, Traversata della Vallée Blanche, Aguille d’Entrèves, Petit Mont Blanc, Aguille des Glacier, Tour Ronde. Chi meglio di un Grivel poteva fargli scoprire il monte Bianco. In seguito Nino voleva ampliare le sue salite su altri massicci con gite di più giorni e Walter, preso dagli impegni della Ditta Grivel, non poteva più accompagnarlo. Così, come si dice in gergo delle guide, mi ha passato il cliente, ed è nato il nostro rapporto di Guida - cliente e di amicizia. Seguendo le indicazioni del famoso 42

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libro di Gaston Rebbufat, “Le cento più belle salite del Monte Bianco”, io giovane Aspirante Guida alle prime armi e Nino insieme siamo riusciti a scoprire itinerari che allora non erano molto frequentati dalle Guide di Courmayeur, Couliour de la table de Roc, Tour Noir, Aguille des Chardonnet, Traversata dei Domes des Miages, e tante altre salite classiche. Come Aspirante Guida non potevo accompagnare i clienti su salite oltre una certa difficoltà e Nino allora fece alcune escursioni con i fratelli Alessio ed Attilio Ollier. Poi, diventato Guida, salimmo tante Famiglia Guerci

Luglio 1986: Davide Guerci con la sua prima guida Giuseppe Petigax di Courmayeur sul Dente del Gigante.

montagne con suo cognato Elvio Lombardi grande appassionato di montagna, Attilio Ollier, e Renzino Cosson. Vorrei citare forse la più bella salita fatta insieme, la via Chabod Grivel alla Nord della Aguille Blanche con la salita al Bianco fatta con due amici guide, Luca Argentero e Dario Brocherel. In quella occasione abbiamo volutamente passato una notte con bivacco al Colle di Peuterey, forse il posto più bello e carico di storia di tutto il Monte Bianco. In seguito il rapporto professionale e di amicizia si è ampliato tramite il CAI di Valenza e i suoi corsi di alpinismo dove, in tanti anni, ho 43

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potuto conoscere e apprezzare la disponibilitĂ e la capacitĂ di chi mi aiutava ad accompagnare e insegnare agli iscritti nei vari corsi. In particolare cito, per la grande passione e il forte impegno, i soci del CAI di Valenza Pier Luigi Bianchi, Enzo Francescato, Gastone Michielon, Claudio (Clib) Quagliotto, Luigi Tenconi, Gian Paolo Zulato e con loro tanti altri che hanno con me condiviso molte affascinanti avventure. Il mio pensiero va con piacere a Gian Piero Accatino con i suoi splendidi disegni pieni di humor che non mancavano mai durante i compleanni Gruppo amici di Don Pietro e Don Luigi

Il Coro Cervino al Teatro Sociale con le guide: Camillotto Pelissier; Ettore Bich; Luigi Carrell (Carrellino).

dei miei due figli Sylvie e Nicolas. Desidero infine ricordare con affetto Davide Guerci, giovane alpinista di punta del CAI valenzano che ha tenuto un continuativo rapporto con le guide di Courmayeur, realizzando tante eccezionali imprese in tutto il gruppo del Bianco e oltre, sino al giorno della sua scomparsa, il 22 agosto 2000, precipitando sulla parete dei Titani in Val Ferret mentre era impegnato a preparare una grande ascensione, il Pilastro Centrale del Monte Bianco. Anch’io, come gli Amici valenzani che a lui hanno dedicato la loro nuova e bella sede, mi unisco partecipe nella memoria di questo giovane ed entusiasta al44

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pinista, con un sentito riconoscimento ed un caro augurio al CAI valenzano per i suoi futuri impegni.” Pescando fra i mille ricordi che si affollano nel lungo percorso del rapporto fra i valenzani e la montagna voglio raccontare un evento che non si riferisce direttamente ad ascensioni alpine anche se richiama i monti. A crearlo è stato un gruppo di giovani, frequentatori della montagna, che hanno tratto linfa e ispirazione dal mondo alpino riproponendone la musica ed il canto popolare. Nel 1951 nacque a Valenza una formazione corale, a 4 voci maschili, che per alcuni anni ha svolto una attività continuativa con concerDa: “Whymper, Carrel & Company” ti in varie località del Piemonte. Il repertorio faceva riferimento al Coro della SAT e ai tanti altri cori che erano impegnati a esaltare i canti di montagna, il filone dei canti degli alpini e la canzone popolare delle varie regioni italiane. Si utilizzarono le armonizzazioni di musicisti specializzati fra i quali Bepi De Marzi, Renato Dionisi, Antonio Pedrotti, Luigi Pigarelli, Giovanni Veneri, ma anche Arturo Benedetti 1959: Marica Porta sulla cima del Cervino. Michelangeli, il grande pianista che curò la trascrizione di alcuni fra i più famosi canti di montagna. Il Coro venne chiamato “Coro Cervino” e non poteva essere diversamente per il forte legame che Valenza ha sempre avuto con la “Gran Becca”. I circa 30 giovani che formavano il Coro si davano appuntamento in una sala dell’Oratorio di Viale Vicenza per le prove. Va in particolare ricordato il concerto tenutosi nel 1955 al Teatro Sociale di Valenza con un gran pubblico ed alla presenza delle Guide Alpine di Valtournenche Luigi Carrel (Carrellino), Camillotto Pellissier e Ettore Bich. L’organico del Coro era così composto: Ampelio Amadori, Oscar Amelotti, Francesco Bajardi, Germano Baldini, Giuseppe Biscaldi, 45

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Franco Cassola, Nino Castellani, Giovanni Cavalli, Elia Gastaldello, Nino Ghidetti, Carluccio Manfredi, Giorgio Manfredi, Severino Masteghin, Giancarlo Molina, Pinuccio Picchiotti, Luigino Ponzano, Giulio Ponzone, Giorgio Re, Franco Stanchi, Mino Stanchi, Gigi Staurino, Paolo Staurino e Nino Verità. Il “Coro Cervino” canFamiglia Demartini tava e intanto parecchi valenzani sul Cervino salivano affrontando la dura e impegnativa scalata per arrivare sulla cima. Ho cercato di comporre un elenco, scusandomi se ho dimenticato qualcuno: Oscar Amelotti, Ivano Arzani, Francesco Bajardi, Beppe Bissone, Riccardo Cassola, Luigi e Gemma Cerino, Giovanni Ceva, Marco e Paola Demartini, don Luigi Frascarolo, Luigi Illario, Renato Ivaldi, Piero Lenti, Luigi e Carluccio Meregaglia, don Giacomo Pasero, Sandro e Pinuccio Picchiotti, Marica Porta, Piero Rosmino, Mario Paola e Marco Demartini sulla cima del Cervino tra le guide Luigi Herin e Jean Bich nel 1983. Scaglione, Giovanni Scarfato, Gigi Staurino, Mariolino Vaccario. La “Editions l’Eubage” di Aosta ha pubblicato un libro con tante foto di alpinisti in vetta alla “Gran Becca”, fra questi alcuni valenzani accompagnati dalla loro Guida. Faccio seguire alcune immagini, mentre sullo sfondo mi par di sentire il canto di “Montagnes valdotaines, vous êtes mes amours” e mi batte il cuore… Come avrete notato da questo racconto e come appare in entrambe le 46

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parti di “Valenza e la montagna”, quella di Francesco Bajardi (n. 1933), iscritto al Cai dal 1960, è stata una presenza importante e significativa nella storia dell’alpinismo valenzano e, con lui, quella della moglie Triestina (n. 1938), socio Cai dal 1960, che lo ha accompagnato in tante imprese e della figlia Maria (n. 1970), socio Cai dal 1988. Faccio parlare di Francesco, ancora Gastone Michielon, portavoce di una generazione più giovane che lo ha frequentato: “Sicuramente da noi giovani alpinisti del Campeggio “Don Pietro”, parlo del periodo degli anni 60/70 , Francesco Bajardi era visto come la persona più autorevole, quello a cui stare appresso sia nelle serate canore del dopocena sia per ascoltarne le avventure e le impressioni. Andare in montagna con lui significava essere considerato uno “bravo”; chiunque di noi avrebbe fatto di tutto per legarsi alla sua corda. Non era una guida ma per noi non cambiava nulla: lui era il più forte di tutti, quello che ti dava sicurezza sempre. Piero Rosmino ne era innamorato, con Francesco sarebbe andato ovunque e sinceramente anche molti di noi giovani. Quando programmava una salita e si combinavano le possibili cordate, tutti noi speravamo in una convocazione che non sempre arrivava. Invidiavamo i fortunati e speravamo, in cuor nostro, che ci ripensasse così da chiamare noi. Fu lui, alla fine degli anni ’60, avevo allora poco meno di 17 anni, a gratificarmi della sua fiducia, affidandomi la guida di una cordata nella traversata del Furggen. Arrivati al Plateau Rosa, mi si avvicinò e mi diede il capo di una corda. Ne feci subito il nodo-guida che serviva per fissarlo alla cintola e gli restituii la corda. Si mise a ridere e mi disse - no, è tua! Sarai tu il capo-cordata con lei... - mi voltai e vidi Gianna Bonelli che conoscevo bene essendo amica dei miei famigliari. Andò tutto bene, solo sull’ultimo passaggio detto della Madonnina, ebbi alcune difficoltà: non riuscivo a salire e nemmeno a scendere... bella grana! Francesco si sporse dal pietrone e, con calma, mi spiegò i movimenti che dovevo compiere. In un attimo, senza aiuto materiale, salii e feci salire Gianna che, probabilmente spaventata, si sentì male. Risero tutti e scendemmo a Cervinia. Con Francesco, nella seconda metà degli anni ’70 scalammo la Cresta del Mont Rouge che parte dall’intaglio del Monte Seriola (colle della finestra di Cignana) e con una lunga galoppata tra difficoltà varie sino al 3° grado, arriva sulla spalla e poi sulla vetta. Discendemmo poi dal 47

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ghiacciaio di Volfrede sino a Perrères; con noi erano Gigi Stefanutto, Luciano Bajardi e Paolo Zulato. Francesco ne intuì l’itinerario senza mai sbagliare percorso, nonostante non ci fossero indicazioni, in un ambiente severo che nessuno conosceva. La più bella è stata senz’altro la salita del Gran Paradiso: Carlo Meregaglia ed io avevamo messo in apprensione don Luigi che allora guidava il campeggio e che non volle più consentirci di compiere salite troppo impegnative da soli: allora noi pregammo Francesco affinché intercedesse e ci lasciasFamiglia Bajardi se liberi…ma nulla da fare! La nostra intenzione era quella di raggiungere il Gran Paradiso, mai salito da nessuno di noi! Don Luigi accettò di lasciarci andare a condizione che ci fosse anche Francesco. Fu un invito a nozze: in tre ore eravamo pronti a partire Francesco, Carlo, io e Matteo Bongiorno. Raggiungemmo il rifugio Vittorio Emanuele e pernottammo senza chiudere un occhio: la mattina fummo tra i primi a partire, sbagliammo strada e ci dirigemmo verso il Ciarforon. Sotto di noi Triestina Bianchi in Bajardi con la figlia Maria sulla una serie lunghissima di ferrata al bivacco Borelli nel 2000. lumini in processione saliva in altra direzione. Capimmo e senza pensarci sopra ci precipitammo verso il basso sciando sui nevai. Arrivammo quasi al rifugio e ci mettemmo in coda. Salimmo molto veloci e iniziammo la bellissima salita. Arrivammo in vetta tra i primi: due foto e poi giù al rifugio. Dopo molti anni i ricordi non sono assolutamente affievoliti e sono rimasti intatti in coloro che, con Francesco, hanno condiviso tante avventure. 48

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Ed ora la figlia Maria, presidente della Sezione CAI di Valenza dal 1999 al 2008, che ha svolto un’attività alpinistica di grande livello. Fra le principali ascensioni alpinistiche cito la Nord del Gran Paradiso, molte vie nel Gruppo del Bianco fra le quali Pilier Rouge de la Blatiere, la Via Bonatti - Tabou alla Chandelle, la Nord e la Via Normale Tour Ronde, il Monte Bianco dal Maudit e la Via degli Svizzeri-Grand Capucin. Quest’ultima impegnativa scalata venne effettuata nel 2004 con la guida Giovanni Bassanini. Maria Bajardi così la racconta: “Sono circa le 7,45 Archivio CAI Valenza

Luglio 2010. Da sinistra: Valeria Piccinelli; Mario Boschi; Barbara Repnic; Giovanni Sisto sulla Scala Minighel - Ferrata Tofana Rozes di Cortina.

quando io e la guida Giovanni Bassanini scendiamo velocemente da Punta Helbronner. Risaliamo quasi di corsa il pendio e giungiamo in prossimità del canale. Ramponi, piccozza, casco e corda. Ci leghiamo: dapprima il canale e poi la crepacciata terminale. I primi tiri sono su rocce mobili. Sopra di noi ci sono altre cordate che fanno cadere dei sassi. Le superiamo e attacchiamo ai piedi del diedro. Salgo sempre con il fiato in gola. Alle 12 raggiungiamo la vetta. La vista è a 360°. La cima del Bianco è lì, spicca a poca distanza l’Aiguille du Midi e tutto il Cirque Maudit. Siamo al centro di una immensità di ghiaccio e di 49

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rocce. La parete è rossastra. Iniziamo le doppie. Non finiscono mai: alcune sono a strapiombo nel vuoto (che paura!). Alla penultima doppia la corda s’impiglia e la perdiamo. Giò impreca perché è la quarta corda che perde in un mese. Arriviamo alla terrazza dove avevamo lasciato gli zaini. Ci infiliamo gli scarponi e scendiamo sul ghiacciaio. La salita del Flambeaux è faticosa. Alle 14,30 siamo al Rifugio Torino. Finalmente il Grand Capucin è fatto!”. Qualche anno prima Maria affrontò con la mamma Triestina la salita al Dome du Gouter sul Bianco con una esperienza avventurosa che ci descrive: “Estate 2000, siamo ad agosto, in montagna le giornate sono stupende. Ci troviamo a La Salle. Le previsioni meteo sono positive, così decido di fare una gita con mamma Triestina. Si parte. Lasciamo l’auto a Courmayeur e con la navetta raggiungiamo il fondovalle della Val Veny. Scarponi ai piedi, zaini pesanti sulle spalle, saliamo verso il rifugio Gonella. La pietraia del Miage è interminabile. Il percorso è poco segnalato, ci sono alcuni bolli gialli ed omini di pietre. Giunte in fondo alla pietraia attraversiamo il ghiacciaio, superiamo la crepacciata terminale e risaliamo la via attrezzata che ci conduce al rifugio Gonella a poco più di 3000 mt. Pernottiamo al rifugio: a mezzanotte sveglia e colazione. Ci prepariamo con scarponi, ramponi, piccozza, frontale, ci leghiamo e ci incamminiamo sulla normale italiana che sale al Monte Bianco. Il nostro obiettivo è salire sulla vetta del Dome du Gouter e scendere all’omonimo rifugio. Il ghiacciaio che sale dal Gonella è uno dei più tormentati. All’alba ci troviamo sulla cresta del Piton des Italiens. In tarda mattinata raggiungiamo la sommità del Dome du Gouter a 4306 mt. Il panorama è stupendo e vediamo le cordate che dalla Capanna Vallot risalgono la cresta del Monte Bianco. Cominciamo a scendere seguendo un tracciato ben evidente. Presto mi accorgo di non essere scesa sul versante giusto ma su quello del rifugio del Grand Mulets. Siamo scese troppo per risalire, dopo un attimo di sconforto decidiamo di proseguire. Il ghiacciaio è spaventoso talmente pieno di crepacci enormi che siamo costrette ad aggirare ed, a volte, a saltare. Finalmente vediamo il rifugio ma non riusciamo a salire perché si trova in cima ad un torrione roccioso e siamo troppo stanche per arrampicarci. Scendiamo allora attraverso un tratto difficile e privo di traccia dove, per fortuna, riesco a trovare l’unico passaggio in mezzo ai crepacci che ci porta sul sentiero immerso nella pineta. Proseguiamo per il sentiero: sta arrivando il buio ed abbiamo terminato l’acqua. Quando ormai non c’è più luce sbuchiamo all’uscita del tunnel 50

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del Monte Bianco. Qui chiediamo un passaggio in auto ad un francese che gentilmente, ci accompagna a Les Huches alla casa per ferie “Don Bosco” dove possiamo fare una doccia, cenare e riposarci. Il giorno dopo ci svegliamo in piena forma, felici e rientriamo in Italia con la funivia e gli ovetti attraverso la Valleé Blanche.” Due anni dopo, però, Maria e mamma Triestina riescono nell’impresa, senza avvalersi della guida, e solo grazie alla loro esperienza e preparazione: “Il tanto atteso mese di agosto è soArchivio CAI Valenza praggiunto all’insegna del maltempo. In programma c’è l’ascensione al Monte Bianco. Occorre ancora un po’ di allenamento, soprattutto per la mamma, sessantaquattrenne, non più in giovane età. Prendiamo la funivia da Les Houches alle 7,30 del mattino per Bellevue. Poi proseguiamo con il trenino a cremagliera fino a Nid D’Aigle. Zaino sulle spalle, si incomincia a salire verso il Rifugio del Gouter (mt. 3817) che raggiungiamo dopo 7 ore di dura salita su neve e roccia. Alle 2 la sveglia e alle tre di notte sotto le stelle ca31 luglio 2011: inaugurazione della palestra di rocdenti, muoviamo i primi cia dedicata a Davide Guerci a Courmayeur. passi sul ghiacciaio del Gouter. Sulla cresta dei Bosses il vento forte che solleva la neve e la quota rendono l’ascesa lenta e faticosa. Alle 10,10 siamo in vetta a 4810 metri. La gioia è davvero grande”. La famiglia Bajardi ha rappresentato un punto di riferimento per generazioni di alpinisti e di amanti della montagna. Insieme a tanti altri, anche qui citati, è stata una realtà attenta a trasmettere esperienze, ad 51

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incitare, a fungere da stimolo importante: se il CAI di Valenza è cresciuto e si è affermato, lo si deve anche alla loro presenza e al loro concreto impegno. Il CAI d’altra parte, nella nostra realtà locale costituisce da molti anni e in particolare dal 1974, quando la sezione di Valenza è diventata autonoma, un luogo di amicizia e collaborazione fra generazioni diverse, tutte mosse dall’amore per la montagna e per i valori della natura. Questo sentimento è ben rappresentato dalle parole dell’attuale presidente Fausto Capra:”La nostra sezione CAI rappresenta un fatto concreto, una realtà storica e la storia non è fatta soltanto di accadimenti ma è fatta dagli uomini. Tutti quelli appena ricordati hanno fatto la storia del nostro sodalizio, non per nulla la Sezione è stata dedicata a Davide Guerci, un giovane amante della montagna che proprio la montagna ha voluto rapirci precocemente. E’ attraverso questi uomini che il CAI di Valenza è diventato un “faro” culturale, umano, di pratica all’escursionismo, di conoscenza e rispetto dell’ambiente alpino ma anche del nostro territorio. E’ nostro dovere “passare il testimone” alle giovani generazioni, arricchendolo di quei sentimenti e di quei valori incorrotti che abbiamo ereditato”. Al termine di questa seconda parte mi auguro di essere riuscito con questo scritto a trasmettere ai lettori il significato di una passione, quella di tanti valenzani per la montagna, che non è solo cimento per intraprendere pur significative imprese che mettono alla prova chi le affronta, ma che si manifesta soprattutto come amore, legame e poesia per i luoghi e per la natura. Come ricerca individuale di uno spazio da condividere con altri compagni di avventura che diventa dimensione dello spirito ed avvicinamento al mistero ed al fascino della Creazione. Il silenzio, il raccoglimento, la fatica e lo stesso camminare ci propongono un’idea dell’alpinismo come elevazione della mente e dell’anima, non solo come raggiungimento di obiettivi fisici o materiali. Questo messaggio, in un modo bello e naturale, si è trasmesso fra le generazioni che, idealmente, si sono susseguite, prima educando ed insegnando poi cooperando ed accompagnando. Tutto è avvenuto e avviene in un luogo che, secondo me, sa ancora trasmettere valori ed emozioni vere in una società dispersiva e chiassosa che ha tanto bisogno di recuperare il senso profondo ed autentico di sé stessa.

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VALENZA E LA MONTAGNA. Terza parte. di Giorgio Manfredi Annibale Salsa, antropologo e presidente generale del CAI dal 2004 al 2010, è intervenuto con uno scritto a “Valenza e la montagna” (1); richiamo alcune delle sue riflessioni, per introdurre l’ultima parte della mia ricerca: “La montagna è uno scrigno di valori ecologici, estetici, etici ed educativi. Essa insegna la cultura del limite in senso oggettivo e soggettivo, in un mondo bombardato di messaggi che inneggiano al no limits. Messaggi che, Archivio CAI Valenza purtroppo, fanno breccia anche nella comunità alpinistica e dei frequentatori della montagna. I molti incidenti che ne funestano la cronaca trovano le loro ragioni in questa “sub-cultura della fretta” che non tiene più conto dei cicli naturali. Per tali ragioni la montagna si presta, più di altri ambienti, ad usi Annibale Salsa, già Presidente Generale CAI, Antonio retorici che ne snatura- Rota del CAI di Casale e Gianfranco Garuzzo già no l’essenza.(……..). membro del comitato direttivo centrale CAI sui sentieri delle colline valenzane. Oggi i giovani hanno un grande bisogno di riappropriarsi della conoscenza del territorio di cui, non per colpa loro, sono diventati analfabeti. L’esplorazione dei luoghi dovrebbe seguire un criterio diffusionistico che, a cerchi concentrici, muova dai propri dintorni e gradualmente raggiunga le montagne più lontane ed elevate. Anche le Sezioni CAI di non montagna, come quella di Valenza, hanno innumerevoli occasioni per confrontarsi con 1) Valenza e la montagna. Prima parte, Valénsa ’d’na vòta 25/2010- pag.69. 53

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territori di prossimità quali sono le colline del Monferrato o i rilievi dell’Appennino Ligure-Alessandrino”. Quando pensiamo alla montagna, lasciamo i nostri territori per andare verso altri, più o meno lontani. Annibale Salsa ci invita a frequentare e valorizzare “territori di prossimità”, come le nostre pianure e le nostre colline, nei luoghi dove abitiamo. Questa scelta, come per la montagna, richiama l’esperienza del camminare, una attività fondamentale nella vita che coinvolge il fisico, la mente e lo spirito di ogni uomo. Camminare e pensare, molto spesso, sono attività coincidenti. Camminare aiuta a respirare meglio, a cercare, anche se non si è tra i monti, la compagnia di altre persone abituate ad alzare lo sguardo e a respirare forte. Credo profondamente che camminare generi una modalità del vivere che sprigiona condizioni liberatorie ed appaganti: il camminare ha fatto sempre parte dell’esperienza umana. Questa modalità di viaggio antica sta conoscendo un nuovo interesse, cresce il numero di quelli che la praticano non solo per sport. Fra i cambiamenti che l’attuale momento porta con sé sta nascendo un modo nuovo di gestire il proprio tempo. Sempre più la gente cammina e dedica alcune ore della propria quotidianità a percorrere zone limitrofe alla propria abitazione cercando percorsi all’aria aperta fra la natura. Uomini, donne, e fortunatamente anche molti giovani si vedono viaggiare a piedi, attraversano strade e sentieri, passo dopo passo, confidando solo nelle proprie forze. Sperimentano così un senso di appagamento e di appartenenza a una nuova aristocrazia: quella di chi è padrone del proprio tempo. Sta diventando un fenomeno di costume la cui diffusione è forse causata anche dalle crisi in corso. E’ confortante però che ormai molti scoprano una nuova forma di vivere che arricchisce e gratifica. Una profonda riflessione la suggerisce Paolo Rumiz (2), scrittore, viaggiatore a piedi, in treno, in bicicletta, in barca, che ama viaggiare lentamente e con la gente comune per scoprire e raccontare luoghi e persone con le loro storie. Così afferma: “Il paese è in fregola. Ha voglia di andare. Troppo a lungo ricurva è stata la sua schiena, troppo umili e chine le sue teste. Una volta esistevano i frontali tra automobili, oggi 2) Paolo Rumiz ha scritto molti libri, l’ultimo dei quali “A piedi”, Feltrinelli, 2012, narra il suo viaggio a piedi attraverso l’Istria da Trieste a Capo Promontore. Nell’estate 2012 ha percorso in barca il Po fino al delta con il nostro concittadino Angelo Bosio che l’ha ospitato più volte nella sua baracca sulle sponde valenzane del grande fiume. 54

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abbiamo i frontali tra persone armate di cellulare. In treno, troppa gente guarda un display anziché il paesaggio che scorre al finestrino. Si comincia già da bambini a usare il pollice su un touch screen, invece che ascoltare una fiaba che dice “cammina”. E’ la degenerazione della specie. Il ritorno alla scimmia. E’ ora di dire basta. Le scarpe vendicatrici ritornano! Non quelle per apparire, ma quelle per masticare chilometri, battere il tamburo della terra, sentirne la voce oscura, scollinare, guardare lontano, respirare profondo come una prateria col maestrale. E’ un segno rivoluzionario, Alessandro Scillitani perché il Potere, lo stesso che ci ha resi pronti all’opportunismo e al baciamano, ci vorrebbe ancora più chini. Il Potere sa che l’uomo immobile non sogna, non canta e non legge più, diventa piatto e sottomesso, e questo è esattamente ciò che vuole da lui, per meglio derubarlo di ciò che Dio gli ha dato gratuitamente, e rifilargli poi cose inutili a pagamento. Chi cammina, invece fa la rivoluzione perché capisce l’imbroglio, parla con gli altri uomini, li aiuta a reagire e a indignarsi contro questa indeco-rosa rapina. Il solo Lo scrittore Paolo Rumiz con Angelo Bosio sul Po. fatto di mettere un piede davanti all’altro, di questi tempi, è una dichiarazione di guerra alla civiltà dello spreco. Ai padroni dell’economia non piace che l’uomo si muova con le sue gambe, perché sanno che l’uomo che si alza e cammina è una persona pensante, critica, che si guarda attorno, controlla il territorio, incontra le persone e sa far rete con i suoi simili.” La sezione CAI di Valenza ha dedicato gli anni più recenti della sua attività, dai primissimi anni duemila, a studiare le varie mappature delle carte del territorio che si estende dalle colline al Po in un’alternanza di luoghi con modeste ma pittoresche alture e di altri pianeggianti attraversati dal fiume Po. Un gruppo di volontari del CAI guidato dal vice 55

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presidente Giovanni Omodeo ha messo in atto un’esplorazione accurata in tutte le zone del territorio che interessa, oltre Valenza, i comuni di Alessandria, Bassignana, Bozzole, Montecastello, Pecetto, Pietramarazzi, Pomaro, Rivarone e San Salvatore. Con un lavoro paziente, accompagnato da numerosi sopralluoghi, sono stati individuati 14 sentieri, tracciati e segnalati, con la numerazione prevista dai regolamenti che Archivio CAI Valenza fanno capo alle istituzioni competenti, compreso il Club Alpino Italiano Nazionale. Ne è scaturita una rete di percorsi che si allungano, si incontrano e fra loro si intrecciano, favorendo una piacevole possibilità di immersione nelle bellezze, nei colori della natura che anche il nostro territorio può offrire. I sentieri si snodano per circa 140 chilometri e sono percorribili per escursionismo, mountain bike e brevi passeggiate. Il CAI di Valenza ha realizzato, in collaborazione con il Comune di Valenza, la Provincia di Alessandria, la Regione Piemonte, il Parco Fluviale del Po e dell’Orba e la Fondazione Cassa di RisparGiovanni Omodeo, vice presidente del CAI mio di Alessandria, una carta di Valenza appone le targhe di numerazione dei sentieri in scala 1:25000 dei sentieri. che è a disposizione di tutti coloro che amano camminare, esplorare, gustare la natura. L’iniziativa inoltre, contribuisce a valorizzare e portare a conoscenza una serie di antiche vie di comunicazione stradali tracciate nel territorio valenzano. Oltre al valore paesaggistico esse conservano i ricordi di un lungo passato colmo di storie, popolazioni, personaggi, ma anche di invasioni e battaglie, richiamando la loro memoria. Sono tanti gli avvenimenti che si sono succeduti sulle colline che circondano la nostra città 56

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e “Valénsa ’d’na vòta” li ha raccontati e illustrati nelle edizioni passate con continuità e rigore. Molti di essi sono avvenuti nella zona della Strada della Serra che si snoda da ovest a est, nel nucleo centrale del territorio che ci interessa. La Strada della Serra (Valénsa ’d’na vòta 14/1999-pag.49) nasconde vicende ed eventi storici in gran parte oggi dimenticati ma che, all’epoca in cui si svolsero, segnarono in modo significativo l’esistenza della popolazione locale. Innanzi tutto è bene sottolineare come si parli di “strada” della Serra e non di semplice cabiana. Ciò sta ad indicare l’antica importanza di questa via di comunicazione, tracciata probabilmente in epoca alto-medioevale per unire i borghi di Montecastello, San Salvatore e Lu (già sede della LV legio in epoca tardo romana). Attraverso le colline allora ricoperte da boschi di rovere e latifoglia, evitando accuratamente le pianure allora sede di paludi ed acquitrini. La prima testimonianza cartografica la troviamo in una carta piemontese del XVIII secolo esistente presso l’archivio nazionale di Alessandria e in un coevo esemplare di pianta topografica rilevata dal genio francese durante la guerra di successione austriaca del 1745. Da queste interessanti tavole notiamo come la Serra è cartografata quale strada di una certa importanza all’interno della rete viaria del regno di Sardegna: dai guadi sul Tanaro la strada si snodava sulla linea di cresta delle colline sino a Verrua Savoia e quindi a Torino. Se le principali vie commerciali andavano dal mar Ligure alle Alpi, ossia da nord a sud e viceversa, la Serra univa Torino con i confini orientali del regno e si presentava come un lungo asse di arroccamento su cui erano posti i principali dispositivi difensivi sabaudi contro un attacco da est: Torino, Verrua, Alessandria, Tortona. Non fu quindi un caso che nel 1215 gli alessandrini utilizzassero la Serra per tendere un’imboscata all’esercito casalese nelle boscaglie del Clorio; i Piemontesi, il 27-28 settembre 1745 sconfitti alla battaglia di Bassignana percorsero la Serra in ritirata verso Torino, facendo terra bruciata sul loro cammino. E nella primavera del 1746 i soliti Piemontesi (ciò dimostra l’interesse del genio sabaudo su questa strada) con una azione da blitzkrieg si incamminarono lungo la Serra per liberare Alessandria dall’assedio francese. La “via dei cannoni” della Val Maira trova nella Serra una degna consorella! E non fu un militare spagnolo, in forza ad uno dei tanti eserciti che devastarono l’Europa nel XVI e XVII secolo, a cadere in quel pozzo ora inserito nel Santuario della Madonna del Pozzo mentre 57

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transitava lungo la Serra? A quanto sembra anche i Francesi nel 1799 e nel 1800 la percorsero più volte con i loro eserciti. Cambiati i modi di fare la guerra e cambiate le esigenze strategiche del settore, la Serra non aveva più ragione di esistere e fu consegnata al ruolo di strada cantonale. Ma, se pur asfaltata o ridotta a sentiero, esiste ancora. E per gli abitanti Archivio CAI Valenza dei luoghi che questa via attraversa, essa rimane la “strada di Napoleone” a ricordo degli eventi che l’hanno vista testimone e partecipe. Oggi la si ripercorre in escursione attraversando la cresta collinare in un lungo piacevole tracciato che domina l’intero territorio. Si segue la strada militare della Serra che si snoda prevalentemente lungo la linea di cresta delle colline. Il tracciato consentiva al viandante di compiere discrete distanze senza dovere affrontare dislivelli superiori ai 50 metri. Il fondo stradale era sicuramente in terra battuta, sostituita ora solo parzialmente da tratti di strada asfaltata. La particolare posizione della via consente al passante di spaziare con lo sguardo dall’Appennino piacentino al massiccio del monte Rosa. Il La carta dei sentieri CAI valenzani. percorso ha inizio nell’abitato di Montecastello più precisamente dal piazzale nei pressi del monumento ai caduti. Si segue la strada asfaltata che aggira la rupe del duecentesco castello sino ad incrociare la via per Pietramarazzi. Poco dopo sulla sinistra si imbocca un viottolo sterrato che con un percorso in leggera pendenza porta sulla sommità di una collina sormontata da un ripetitore (bricco di Montalbano). Chi vuol godere uno dei panorami 58

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più belli della zona deve salire di trenta metri sulla destra fino alla vetta vera e propria del colle (vedute su Alpi occidentali, Appennino ligure e piacentino, pianura di Tortona e Monferrato). Questo percorso incontra alcuni dei sentieri tracciati: qui li elenchiamo, nella loro totalità, sperando che possa nascere attenzione e interesse in molti, stimolando il desiderio di gustare bellezze naturali, accompagnate dal richiamo del ricordo di tanti avvenimenti. 601 Valenza – Montecastello 603 Valenza – Rivarone 605 Anello di Valenza 607 Rivarone – San Salvatore Monferrato 609 Valenza – ponte di ferro – Rivalba 611 Valenza – San Salvatore Monferrato – Fonte di Monte 613 Fiondi – Mugarone – Rivarone 615 Valenza – Mugarone –Bassignana – Rivarone 617 Fonte di Monte – Pomaro - Monte – Fonte di Monte 619 Montecastello – Pietramarazzi – Pavone – Montecastello 621 Montecastello – Antenna – Pian della Madonna – Fiondi – San Bernardo – Antenna – Montecastello 623 Sentiero naturalistico di Pecetto A 625 Sentiero naturalistico di Pecetto B 627 Sentiero naturalistico di Pecetto C Come la vasta zona percorsa dalla Strada della Serra anche altri luoghi, attraversati dai sentieri tracciati, conservano memorie storiche che “Valénsa ’d’na vòta” ha richiamato, raccontandole nel tempo. Sul sentiero 603 si incontra la villa Il Calvario che fu la residenza estiva dell’Ambasciatore Vittorio Cerutti, uno dei più importanti diplomatici nella storia di Valenza. (vedi Valénsa ’d’na vòta 16/2001-pag.86) (3), si passa anche nei pressi di villa Pastore (Vdv 23/2008-pag.8). Il sentiero 605, con la strada Molinello Gazzolo, corre a fianco della cascina Morosetti, che fu l’abitazione di Vincenzo Morosetti, uno dei fondatori dell’oreficeria valenzana (Vdv 10/1995-pag.85), inoltre incontra, più in alto sulla collina, villa Ceriana, residenza estiva della famiglia Ceriana che aveva fondato a Valenza le Filande e poi la banca omonima (Vdv 12/1997-pag.65). Sempre il 605 si snoda nei pressi di villa Pravernara (Vdv 11/1996-pag.37), villa del Pero (Vdv 12/1997-pag.75) e villa 3) Successivamente Vdv. 59

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Voglina della famiglia Abbiati (Vdv 8/1993-pag.78). Il sentiero 611 sfiora la cascina Bianca Stanchi che già nel ’600 era un quartier generale degli eserciti assedianti (Vdv 4/5/6), successivamente incontra villa Gropella della famiglia Vaccari, con il suo grande parco (Vdv 5/1990pag.71), villa Astigliano, prima dei Ceriana, poi, per via ereditaria dei Badini Confalonieri (Vdv 9/1994-pag.65), quindi villa Rosa, una delle ville più antiche di Valenza (Vdv 24/2009-pag.45). Archivio CAI Valenza

Una escursione di gruppo del CAI di Valenza sui sentieri delle nostre colline.

La cascina Capriata (Vdv 11/2000-pag.34) che era una delle innumerevoli proprietà della famiglia del Marchese Camillo Capriata, presente in tutte le carte antiche di fine ’600, si incontra percorrendo il sentiero 615 che poi giunge al Castello delle Oche (Vdv 25/2010-pag.16), che è stato il quartier generale degli eserciti assedianti. Il sentiero 617 raggiunge le Terme di Monte Valenza (Vdv 12/1997-pag.204) mentre la casa dell’Orefice (Vdv 20/2005-pag.55) che era la residenza estiva della famiglia Clerici, si supera camminando sul sentiero 625. Infine con il sentiero 627 si percorre la zona Sabbione Montariolo, attraverso i luo60

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ghi nei quali si erano insediati sia gli eserciti assedianti, sia quelli di soccorso che erano in difesa della città, nei pressi del Bric d’Nadalì (Vdv 24/2009-pag.82). “A questo punto non resta che “mettersi in cammino”, in cammino con la locale Sezione CAI, perché ormai da anni è una realtà.”, così commenta Fausto Capra, Presidente della Sezione CAI di Valenza Davide e Luigi Guerci. “Come abbiamo constatato, scorrendo le pagine della storia del rapporto tra i valenzani e la montagna, la sezione ha permesso di raggruppare e rendere omogenee tutte quelle iniziative spontanee esistite da sempre. Con la costituzione della Sezione Cai tutti i cittadini, che hanno voluto, hanno potuto avere un punto di riferimento, dove “il camminare” non è stato un metter il piede avanti all’altro, ma ha costituito un momento di aggregazione, di socialità; si è potuto non tanto camminare per svolgere soltanto un salutare esercizio, ma incamminarsi con altri per raggiungere traguardi che non erano costituiti dalle mete occasionali, ma erano finalizzati alla conoscenza di luoghi, persone, storie, tradizioni, territori, culture. Negli ultimi anni l’operosità del Cai valenzano ha permesso l’instaurarsi di un rapporto particolare anche con altre realtà cittadine, quali le Istituzioni Pubbliche, le scuole e diverse aggregazioni socio-culturali, rapporti forieri di ulteriori e migliori traguardi, che non mancheranno di essere raggiunti se faremo tutti parte della medesima…cordata.” Termina qui il mio racconto su Valenza e la montagna che è anche una ricerca dei luoghi dello spazio, della mente e dell’anima; un percorso inutile secondo le logiche dominanti, non per donne e uomini pensanti che si sentono spinti dal desiderio della viandanza, del camminare. Camminare: la bellezza di un’esperienza che apre alla novità, allo stupore, sollevando il nostro essere. Il passo, unito al battito del cuore e al respiro, diventa ritmo, dà una cadenza superiore ai nostri sentimenti ed alle nostre parole. E’ camminando che vengono le folgorazioni, le immagini e le metafore, si miscelano i pensieri in modo più originale. E poi, una salita ad una cima di montagna o una camminata su colline e pianure possono donare frammenti di libertà e la gioia di una festa.

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Gianpiero Accatino Presidente dal 1974 al 1993

Ivo Fenaroli Presidente dal1994 al1999

Maria Bajardi Presidente dal 2000 al 2008

Fausto Capra Presidente dal 2009 al 2014


Le famose 3 G Giovanni Gelui Giovanni

Verso Champlong Valtournenche con le ciaspole

Al Rifugio Bezzi Valgrisenche


Davide Guerci


Valenza ha sempre amato la montagna. I valenzani l’hanno frequentata, ammirando le sue bellezze, visitando le sue vallate, camminando sui suoi sentieri, salendo sulle sue cime, scalando le sue pareti rocciose e i suoi ghiacciai. Ho raccolto documenti, testimoniaze, immagini fotografiche, cercando di rac– contare le storie di coloro che hanno lascia– to piccole e grandi tracce sui monti. Alcuni non sono più ritornati e li ricordiamo in modo particolare. Tutti sono stati partecipi di una grande passione, scoprendo tanti momenti di felicità. Giorgio Manfredi Estratto da “Valensa d’na vota” n° 25 - 2010 n° 26 - 2011, n° 27 - 2012

Al Lago d’Arpi al cospetto delle Grandes Jorasses


Il Palaguerci (In ricordo di Davide Guerci) Sezione del Cai di Valenza Con la palestra di arrampicata,la sala boulder e la “biblioteca della montagna�; ospita anche corsi dell’Unitre, conferenze, convegni di carattere culturale rivolti agli studenti e a tutta la cittadinanza.

Giardini Aldo Moro


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