Champion

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LE SPORE 2


Titolo originale “Champion” Traduzione di Sara Saorin Copertina di Silvia Rocchi Prima edizione: maggio 2018 ISBN 9788899842147 Champion © 2017 Editions La Joie de lire S.A, Genève, Switzerland Pubblicato originariamente con il titolo: Champion da La Joie de lire S.A., 5 chemin Neuf, CH - 1207 Genève Per l’edizione italiana © 2018 Camelozampa Tutti i diritti riservati www.camelozampa.com Alta leggibilità Questo libro utilizza il Font EasyReading® Carattere ad alta leggibilità per tutti. Anche per chi è dislessico. www.easyreading.it


Traduzione di Sara Saorin



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Immaginiamo una grande casa in mezzo alla campagna, non lontana da un bosco di querce e castagni. Dev’essere un posto bellissimo dove vivere. La città più vicina dista una decina di chilometri appena. C’è un grande giardino e, sul retro, il quadrato di un orto ben tenuto. Questa casa rurale, bassa e lunga, una cosiddetta longère nel più tipico stile della regione del Périgord, è stata risistemata dai genitori di Lauryanne. Hanno ristrutturato ogni stanza con cura particolare. La camera della ragazza è spaziosa e piena di luce. Aveva otto anni quando hanno acquistato La Barabie, il nome con cui hanno battezzato la loro proprietà. Mezzo giro. Punta. Tacco. Due passi a destra. Due passi a sinistra. Lauryanne fa un’altra giravolta, poi si studia nello specchio dell’armadio. «Sono bella» dice ad alta voce. «Sono. Proprio. Bella» ripete, un po’ più forte. Scandisce ogni parola, come per convincersene, ma... Ops! Con queste fesserie, si è appena presa una storta alla caviglia destra. Si accovaccia e si massaggia: niente di grave. Un colpo d’occhio furtivo allo specchio: «Proprio un bel seno». Altrettanto non può affermare del senno. 5


Lauryanne sorride, poi si rialza. Esegue ancora due passi di danza prima di lasciarsi cadere, a braccia aperte, sul letto disfatto. I suoi genitori sono commercianti e hanno due negozi. Uno è in città, l’altro in periferia, nel centro commerciale di un supermercato. Sabato è il giorno di massima affluenza. Soldi a palate, come se piovessero. Vendono vestiti. Degli straccetti che si fanno arrivare a container interi dalla Cina, importandoli via nave. «Vanno bene solo per i poveracci, i vostri cenci» ha buttato là un giorno ai genitori, mentre erano a tavola, fiera di aver usato quella parola, cenci, che aveva imparato a scuola, in un testo che la prof aveva dato loro da studiare. La forchetta di suo padre, Jean-Louis, era rimasta sospesa a mezz’aria, a metà strada tra il piatto e la bocca. «Quei poveracci, come li chiami tu, Lauryanne, ci danno da mangiare» aveva replicato con voce glaciale. La forchetta aveva poi continuato il suo percorso, per piantarsi nella bocca del vecchio. Una crocifissione orale che le toccava sorbirsi in prima fila, a ogni pasto che consumava con i genitori. Lauryanne si alza, sistema sommariamente la coperta e il lenzuolo, poi esce dalla camera da letto. Un gradino. «Yeah!» Un altro gradino. «Yeah!» Arrivata in fondo alle scale, lancia un nuovo “Yeah!” tonante, come se avesse appena compiuto un’impresa prodigiosa. «Ho sceso fottutamente bene quella bastardissima scala!» 6


Si dirige verso la cucina, entra, la attraversa fino al frigorifero e lo apre. È fuori discussione che legga il post-it appiccicato sulla porta del frigo. Ogni sabato ci sono scritte le faccende che si suppone debba sbrigare. Tipo: riordinare la sua camera, mettere i suoi vestiti sporchi nella lavatrice, fare i compiti e... e perché non costruire addirittura una nuova ala del garage per la crossover che suo padre si è appena regalato? Una Renault, nemmeno una marca di un certo livello, un cesso francese di un bianco sporco tendente al giallo piscio. Jean-Louis era così felice la prima volta che è sceso da quella macchina davanti a casa, che aveva urlato: «Venite a guardare!» Vedendola, Alison aveva emesso una serie di urletti acuti: “Ih! Ih! Ih!” e aveva lanciato anche un “Ah!”, giusto per sprecarsi. Lauryanne, sedici anni, presa da un’ispirazione inopportuna e incontrollata, si era creduta scaltra a deriderlo con un: «Ma è da mezza sega avere una carretta come quella, no?» Inutile dire che suo padre non aveva affatto apprezzato quel commento che alludeva anche alla sua virilità e le aveva dato la lezione che si meritava, deluso anche dal fatto che la figlia non si rendesse conto della volgarità del suo linguaggio, poco adatto a una ragazza perbene. Lui non lo sospettava, ma Lauryanne se la rideva, perché suo padre non faceva altro che confermarle il concetto di mezza sega. “Datti una svegliata, vecchio mio” meditava dietro alla sua faccina arrabbiata, lasciandosi scorrere addosso la pioggia dei rimproveri paterni. Lauryanne riservava ad altre occasioni l’arte di un 7


linguaggio elevato. Per esempio, quando doveva schiacciare con la propria superiorità linguistica le squinziette che volevano metterla in ombra con qualche ragazzo... Versa del latte sui petali di mais al miele. I fiocchi sibilano. In piedi davanti al lavello, mescola e guarda fuori dalla finestra della cucina. È sempre da questo avamposto che fa colazione al sabato. Aggiunge dello zucchero. Molto zucchero. Lo zucchero serve a sbugiardare Alison, che le ha predetto un avvenire da cicciona se continua a ingozzarsi di dolci, barrette ai cereali e bibite. «Lauryanne, stai mettendo su chili» l’ammonisce, adottando quell’atteggiamento sentenzioso che hanno certe madri quando si tratta di questioni di peso. Ma sua figlia non batte ciglio. Non ha un grammo di troppo. Il punto vita è ben segnato. Le cosce sono muscolose. Il seno è grazioso, come abbiamo già visto. La pancia è piatta. Insomma, Lauryanne è uno schianto. Verrebbe da dire che i dolci non hanno alcun effetto negativo su di lei. Quella mattina ci dà dentro, ha la mano pesante con lo zucchero, e quando assaggia i cereali, le sfugge una smorfia. «Puah! Che schifo!» si lamenta. Malgrado ciò, inforna una seconda cucchiaiata e mastica rabbiosamente, testarda come si può essere solo a quell’età. «L’età doppiamente ingrata...» scherza spesso suo padre. E questo la fa incavolare, allora dà di matto e JeanLouis ride ancora più di gusto, peggiorando le cose. «Due volte ingrata!» si compiace. «Smettila, tesoro... Vedi anche tu che si offende» 8


interviene Alison. «Nessuno ti ha chiesto niente!» si inalbera Lauryanne. «Non ti permetto di parlare con quel tono a tua madre» si mette in mezzo Jean-Louis. «Ma dacci un taglio!» La lite va subito fuori controllo e la temperatura sale di diversi gradi. Dopo cinque minuti di dialogo tra sordi, Lauryanne finisce per salire in camera. La sua unica consolazione è sentire i genitori scannarsi tra loro al piano di sotto sull’eterna questione: che educazione dare alla loro unica figlia? Fa bel tempo, lo sguardo di Lauryanne si sofferma su un grande campo coltivato. Grano. Moltissimo grano. Una strada – ehi, una strada comunale, mica una statale! – separa la loro proprietà dal campo. C’è poco movimento, nella maggior parte dei casi ci passano trattori e altri mezzi agricoli. «È stupenda la campagna» mormora. «Stupenda! Stupenda e stupenda!» Si lascia sedurre dal suono della propria voce e dalla ripetizione. «Stupenda!» scandisce a squarciagola raggiungendo l’apoteosi, mentre apre le braccia, come per salutare una folla immaginaria. Purtroppo urta la tazza, che si rovescia nel lavello. I fiocchi di mais rammolliti si ammucchiano sul foro di scarico. Li schiaccia con le dita, ancora e ancora, fino a quando la poltiglia filtra attraverso i buchi. Apre il rubinetto e l’acqua scorre, mandando dentro alle tubature il resto di quella che era stata la sua colazione. A Lauryanne scappa all’improvviso la pipì. L’acqua le fa sempre quell’effetto. Deve correre in bagno. 9


* Un grande portico sul davanti della casa. Lauryanne si è vestita per la giornata. Gonnellina corta. Camicia maschile, con la scollatura aperta fino al terzo bottone. Ai piedi, ballerine di marca AddictInitial color rosso sangue. Si è anche truccata con un bello strato di fondotinta, rossetto rosa, lucidalabbra, mascara, ombretto e un neo sulla fossetta destra. Il suo ultimo capriccio, il neo. Molto di moda, a scuola, pare che sia sexy e di super tendenza. Lauryanne ha un’età in cui essere sexy non le interessa, no non gliene sbatte, no non gliene frega. Quanto al neo, è un po’ la ciliegina sulla torta del desiderio, in equilibrio precario su tentazioni maschili nascenti. Fred o Hippolyte o Zacharie o Carl o Ebran o ancora Florentin, anzi quest’ultimo forse no, ché ha i denti sparati in avanti. Lauryanne valuta i pro e i contro. Quelli che hanno un fisico da urlo. Quelli che hanno un bel faccino. Quelli dalla parola facile, quelli che fanno gli spacconi, quelli che ci sanno fare, quelli che allungano le mani. Senza trascurare i timidi, che sono i più commoventi. Ha solo l’imbarazzo della scelta. È carina, sveglia, alla moda, attraente, non troppo scorbutica, ricca... «Papà, siamo ricchi?» si preoccupava da piccola. Jean-Louis sorrideva, alzava le spalle e cercava di assumere un’aria neutra, tuttavia il suo atteggiamento tradiva un certo compiacimento. «Ricchi?» rispondeva. «Non lo so, tesoro. Potremmo dire che lo siamo rispetto a certe persone, credo». Si concedeva una pausa e assaporava il momento, prima di riprendere: «Diciamo che siamo relativamente abbienti...» 10


A Lauryanne piaceva quel concetto di agiatezza di cui non comprendeva veramente bene il senso, ma che le permetteva di dire “lo voglio” e avere tutto, adocchiare un giocattolo, un vestito, qualunque cosa e ottenerla. Essere ricchi era come vincere al lotto e Lauryanne aveva azzeccato i numeri giusti con i suoi genitori. Accontentavano ogni suo capriccio. Perché era figlia unica, la pupilla dei loro occhi, il frutto del loro ventre, la carne della loro carne... In poche parole, tutto quello che due genitori in estasi davanti al loro bambino possono accampare come giustificazione autoindulgente. In realtà, cedere a ogni minimo desiderio della figlia era per Jean-Louis e Alison il modo più rapido ed efficace per ottenere la tranquillità, anche se non era un metodo educativo. I loro sentimenti nei suoi confronti si sono evoluti con l’adolescenza. Jean-Louis continua a ripetere che Lauryanne è insopportabile, mentre Alison sbuffa come un mantice pensando alle manie della figlia. La Barabie è il teatro di tutti i conflitti e di tutti i contrasti. Due mondi vi si fronteggiano, quello dei genitori e quello della figlia. Torniamo a Lauryanne, che tentenna. Che fare della mattinata? Telefonare a un’amica? Passare due ore a raccontarsi i pettegolezzi del liceo? Chi esce con chi, chi si è lasciato e perché, chi tradisce chi? Questa opzione sembra la più probabile. Non c’è niente alla televisione al sabato mattina. Il suo PC è inchiodato come non mai, sicuramente un virus. Bisognerebbe averne uno nuovo, uno all’ultimo grido, al top della tecnologia, high tech e compagnia bella... Tutta presa dal suo sogno di possesso, Lauryanne non ha notato, alla sua sinistra, un ragazzo che cammina nel 11


bel mezzo della strada e non tarderà a passare davanti alla sua casa. Brandon, si chiama così, ha le cuffie sulle orecchie, la Ferrari delle cuffie senza fili, delle Supraaural Bluetooth® Bose® SoundLink®, il massimo in materia di ascolto senza fili. Ai fini del racconto, diremo che Brandon è un ragazzo in gamba, il classico tipo tranquillo. Lauryanne e lui si conoscono vagamente, hanno già avuto occasione di chiacchierare assieme, ma niente di più. Brandon studia in un liceo privato, l’Istituto Santa Maria del Bambin Gesù. È piuttosto ben fatto grazie agli allenamenti sportivi intensivi e offre agli occhi dei suoi ammiratori un corpo atletico. Da notare che Brandon è un appassionato di techno e heavy metal. In questo momento, le cuffie gli sparano a tutto volume nelle orecchie un remix dei Da Tweekaz. Un remake della canzone di Frozen della Disney in stile nightcore, come direbbero gli esperti di quella musica che qualche genitore, poco avvezzo al fenomeno techno, definisce “letame uscito da una pressa idraulica”. «Chi sarebbe, questo David Guetta?» aveva domandato un giorno Jean-Louis a Lauryanne, prima di intimarle di abbassare il volume in camera sua. «Un marziano sotto acido?» aveva aggiunto, pensando di aver fatto una bella battuta. Lauryanne l’aveva guardato male prima di ribattergli a brutto muso: «Sempre meglio del tuo Joe Dassin!» (Jean-Louis è un fan di quel cantante che, tra le varie canzoni del suo repertorio, gracchia L’estate di San Martino, una lagna che fa venire la nausea) «Quella sdolcinatura da vecchi rimbambiti!» aveva rincarato, prima che suo padre battesse in ritirata. Alla fine, Lauryanne si è accorta di Brandon, il quale, 12


dal canto suo, non ha visto Lauryanne arrivare sul davanti del porticato sorridendo. Brandon si accorgerà da così lontano di quel sorriso? Il volume delle cuffie e il flusso di musica che arriva addirittura fino a Laurynne bastano a spazzar via le sue speranze. Ma che importa, si consola facendogli un cenno con la mano. Un saluto come quando ci si rivolge a un amico di passaggio. Non costa niente e ci si può sempre aspettare una risposta equivalente in cambio. Che in capo a qualche anno Brandon diventerà sordo, questo è fuori discussione, quando i timpani gli saranno andati in pappa a forza di iniettarsi dosi di techno o di heavy metal a tutto volume, gli saranno esplose le orecchie e gli acufeni gli avranno mandato in tilt il cervello. Al momento, per lui Lauryanne non esiste proprio. Non la vede. Continua per la sua strada. Ha un appuntamento allo stadio Marcel Dampeyre e non deve perdere l’autobus per arrivarci puntuale. Nel minuto in cui Lauryanne lo osserva dal porticato, sono numerosi gli interrogativi che stanno tormentando Brandon. Per la vittoria, la gloria, l’orgoglio dei suoi genitori, di suo padre soprattutto, vale la pena di doparsi? Quel verbo sganciato così gli sballonzola nel cervello, gli infesta il corpo. Brandon capisce bene che comporta un rischio, ma il gioco vale la candela? Qualche pastiglia, qualche iniezione e oplà!, vinto. Il suo livello attuale non basta per non dover imbrogliare? «Ma tutti imbrogliano!» ha sbuffato l’allenatore. «Vivi nel mondo dei sogni o che?» Brandon ha scosso la testa, confuso, e il coach si è fatto strada in quel varco. «Pensaci bene, ragazzo mio... Per quanto mi riguarda, io alleno solo quelli che lo accettano. Dei vincitori, non dei perdenti! Non voglio dei frocetti nel mio team, 13


hai capito?» L’insulto supremo, frocio. E, mentre i Da Tweekaz si accaniscono a massacrare Frozen, Brandon medita. Quanto a Lauryanne, ignara di ciò che turba Brandon, si volta. Ha sentito un rombo. Quello di un motore tirato al massimo. Al momento non distingue nulla. Nessuna macchina all’orizzonte. Destra. Sinistra. Scandaglia con lo sguardo tutta la strada. Un quad, forse, o un’auto di grossa cilindrata? Una moto: ci sono quelli che nel fine settimana scorrazzano nel bosco. Il ragazzo sta per sparire dietro alla curva. La musica nelle cuffie gli impedisce di sentire il rumore di quel motore che si avvicina e che cresce. «Sta’ attento!» esclama Lauryanne. Avverte confusamente l’imminenza di un pericolo. Bisognerebbe avvisare Brandon perché si sposti. Ma d’altronde quello stronzo non si è neanche degnato di farle un gesto amichevole, il suo saluto è caduto nel nulla. Il motore finisce per materializzarsi sotto le sembianze di un enorme fuoristrada che corre a tutta birra. Sul ciglio della strada, gli steli del grano si piegano al suo passaggio. Lauryanne non può fare a meno di ammirare quei paraurti scintillanti, che la fanno restare a bocca aperta. Nella frazione di secondo in cui il mezzo attraversa il suo campo visivo, è colta da un brivido. È proprio gigantesco! Mille aghi le pungono le braccia. La pelle d’oca le copre tutto il corpo. Quel misto di sorpresa e pericolo la inebria. Dovrebbe urlare, fare dei segni al conducente, avvisarlo che in fondo alla strada, là dove c’è una curva a destra, là dove si deve trovare Brandon adesso, invisibile, perso nel suo mondo, con la musica a palla, c’è il rischio di una collisione, di un incidente. 14


Ma no, Lauryanne non muove neanche un dito. Anzi, si volta e si dirige verso la casa a grandi passi. Non vuole sapere niente, vedere niente, sentire niente. Telefonerà a un’amica. Abigail, per esempio. Vanno avanti a parlare per ore...

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