Gideon Samson
Traduzione di Olga Amagliani
Gideon Samson (1985) è un acclamato autore per ragazzi nederlandese. Nel 2010 è diventato il più giovane vincitore di sempre del prestigioso premio nederlandese Silver Pencil. Tra i riconoscimenti che ha ottenuto anche il Flag & Pennant, il Golden Pencil e il Silver Paintbrush. È stato per cinque volte nominato per l’Astrid Lindgren Memorial Award e alcuni dei suoi titoli per ragazzi sono entrati nelle selezioni White Ravens e IBBY Honour List. I suoi libri sono stati tradotti anche in Germania, Danimarca, Spagna, Slovenia, Russia, Turchia, Cina, Bulgaria e Iran.
Olga Amagliani, dopo la laurea presso la Scuola per Interpreti e Traduttori di Trieste e un master in Traduzione audiovisiva e multimediale, lavora da oltre dieci anni come traduttrice. Per Camelozampa ha già tradotto i romanzi di Enne Koens, Derk Visser, Jean-Claude van Rijckeghem, oltre agli albi illustrati Più grande di un sogno di Jef Aerts e Marit Törnqvist e Viktor di Jacques e Lise.
Tu ci sei. Tu, sì. Lo zaino che porti sulle spalle non contiene una merenda e nemmeno dei compiti appena finiti, ma un passaporto nuovo di zecca, un telefono spento, un giornalino di enigmistica completato per metà e un pacchetto di caramelle alla liquirizia praticamente vuoto.
Accanto a te, contro le sbarre arrugginite di un’alta cancellata, è appoggiata una valigia blu.
Neanche un metro più in là c’è un cane maculato che dorme lungo disteso sul marciapiede.
La valigia è tua, il cane no.
A quanto pare, il cane non è di nessuno.
«Appena esci, troverai tuo padre che ti aspetta» ti ha ripetuto almeno tre volte tua madre stamattina, all'aeroporto di Amsterdam.
«Sei sicura?»
«Te lo prometto, tesoro. Me l’ha garantito».
«Ma se non ci parli mai».
Tua madre ha sorriso anche se non era davvero divertita. «Quasi mai» ha puntualizzato. «E tu, comunque, adesso non devi preoccuparti di nulla».
9
Avresti preso l’aereo da solo fino all’isola e lì
ci sarebbe stato Giannis. I tuoi genitori si erano messi d’accordo così. Lui sarebbe venuto a prenderti e poi voi due sareste andati insieme in macchina fino al paese.
«Come faccio a sapere se lui mi riconosce?»
Tua madre ti ha guardato sorpresa.
«Io non penso proprio di riconoscerlo».
«Dài, non fare lo scemotto».
L’ultima volta che hai visto tuo padre è stata a Natale di circa quattro anni fa, in Olanda.
Per quanto ti riguarda avrebbero potuto benissimo passare altri quattro anni – in fin dei conti, non è che ti sia mancato più di tanto in tutto questo tempo – ma tua madre aveva altri piani.
Ha ben pensato di trascorrere quest’estate in modo completamente diverso dal solito. Anzi, è stata un’idea di Kees.
«Ho capito» hai detto quando te l’hanno annunciato, un paio di settimane prima dell’inizio delle vacanze. «Non mi volete tra i piedi».
«Cosa ti salta in mente?»
«E così, mi spedisci via senza tanti problemi».
Il fatto è che Kees vuole andare in vacanza da solo con tua madre, perché è convinto che sia il massimo del romanticismo. Così potrà dormire con lei in degli alberghi di lusso e godersi delle interminabili cene al ristorante, senza te che li
10
scocci o che finisci per sbaglio in una delle sue centomila foto. Kees si è innamorato di tua madre sin da subito e, per quanto tu possa giudicare, anche lei lo adora.
«Senti un po’, tesoro». Tua madre ha scosso la testa. «Lo sai quanto costa un viaggio del genere in Thailandia? Mi pagherà tutto Kees, eh».
«Com’è gentile Kees».
«Infatti». Ha annuito. «E se andassimo tutti e tre sarebbe ancora più caro, questo lo capisci, vero? Insomma, non voglio fargli spendere un capitale».
Ecco, tua madre non voleva far spendere un capitale a Kees. Ti ha detto così, ma tu sai come stanno le cose. Lei e Kees non sanno che farsene di te per le loro smancerie e perciò ti spediscono in Grecia da tuo padre, senza tanti complimenti. Un padre che conosci appena, tra l’altro, ma questo per tua madre non è un problema.
O, meglio detto (sue testuali parole): «È arrivato il momento di cambiare le cose».
«Ma perché, scusa?»
E a quel punto hai sfoderato il tuo ultimo argomento, in un disperato tentativo di non essere costretto ad andare. «Mamma» hai detto.
«Guarda che lui non è mica lì ad aspettare trepidante che arrivi io».
«Certo che sì» ha risposto lei seccamente, e così
11
la discussione – per quanto si potesse definire tale – è stata chiusa.
Avevi ragione tu. Ovvio che avevi ragione. Perché infatti, adesso che sei atterrato nel piccolo aeroporto dell’isola dopo tre ore abbondanti sopra le nuvole, Giannis Zervakis non è lì ad aspettarti. Anzi, è l’esatto contrario. Sei tu che aspetti lui, e da un bel po’ di tempo. All’inizio erano un paio di minuti, poi è diventato un quarto d’ora e poi ecco che si è aggiunto un altro quarto d’ora.
La gente che è appena atterrata o che deve ancora decollare ti passa davanti frettolosa. Non ti vede nessuno, ma era proprio quello che volevi. Ti sei abilmente reso invisibile, in modo da correre il minor rischio possibile che qualcuno ti si piazzi davanti e ti chieda cosa ci fai lì tutto solo o dove sono i tuoi genitori o come ti chiami e da dove vieni e se sei proprio sicuro che verranno a prenderti oggi.
Fa caldo lì davanti a quella cancellata, un caldo tremendo. Ti sfili lo zaino dalle spalle e lo appoggi per terra vicino a te. Dopo le vacanze te ne prenderanno uno nuovo, più grande. Uno zaino per andare alle superiori.
Ti guardi intorno nel caldo asfissiante e vedi un autobus in attesa poco più in là, con il motore acceso e il portellone del vano bagagli
12
spalancato. Brandendo delle cartelline piene di moduli, alcuni tizi con delle polo colorate tentano di condurre verso l’autobus un grande gruppo di mansueti turisti. Riconosci una coppia anziana che era in coda con te all’aeroporto di Amsterdam. L’uomo indossa una camicia a quadretti che gli va larga, dei bermuda e un paio di sandali con i calzini, la donna uno svolazzante vestito a fiori e un cappellino che è strano forte. In Olanda, per un po’ quei due si sono comportati come se fossero i tuoi nonni. Hanno attaccato discorso con te così di punto in bianco, nella fila per salire sull’aereo.
«Viaggi tutto solo?» ha domandato in tono leggermente preoccupato l’uomo con i quadretti e i sandali coi calzini.
Tu hai fatto cenno di sì, e la donna con i fiori e il cappellino ti ha rivolto uno sguardo curioso.
«Davvero si può?» ha chiesto. «Già alla tua età?»
Naturalmente, avresti potuto spiegare che tua madre ti aveva promesso che qualcuno della compagnia aerea ti avrebbe accompagnato, poi però è venuto fuori che tua madre non sapeva che una cosa simile va organizzata almeno ventiquattr’ore prima della partenza e dopo (ieri pomeriggio) ha scoperto che i ragazzini dai dodici anni in su possono viaggiare anche senza
13
assistenza. Invece hai detto: «Da soli costa meno».
I tuoi nonni temporanei sono scoppiati tutti e due a ridere. Hanno promesso che ci avrebbero pensato loro a tenerti d’occhio, ma qui sotto il sole sei diventato invisibile e tutta la loro attenzione va alle valigie, che dopo qualche tira e molla vengono inghiottite dal pulmino con un paio di morsi famelici.
Arriva l’ennesima auto. E nemmeno in questa c’è tuo padre. Non sai neanche che macchina guidi o di che colore sia, e adesso che ci pensi è proprio qualcosa che avrebbero anche potuto dirti in anticipo. E poi, perché tua mamma non ti ha dato il suo numero di telefono? Almeno avresti potuto chiamarlo e chiedere per quanto cavolo di tempo devi ancora aspettare.
Certo, adesso potresti tirare fuori il telefono dallo zaino. Così chiameresti tua madre e lei a sua volta telefonerebbe a Giannis, ma a dire il vero non hai nessuna voglia di parlare con lei. Non per niente hai spento il telefono subito dopo averla salutata all’aeroporto. Per il momento è meglio se quel coso non si accende.
I secondi scorrono lentissimi e fa sempre più caldo. Ormai da quasi un’ora ti colano dei goccioloni dalla testa, neanche fosse un rubinetto aperto che non si vuole più chiudere con questo
14
caldo infernale, e adesso sembra che la tua maglietta sia appena stata pescata da un secchio d’acqua. Di tuo padre continua a non esserci la minima traccia.
Guardi di lato, verso il cane che non è di nessuno. «E tu che ne pensi?» chiedi, ma il cane non risponde, dopotutto è un cane, e ovviamente i cani hanno di meglio da fare che degnarsi di rispondere a ragazzini spuntati da chissà dove che fanno domande a bruciapelo. «Vabbè» pensi (e lo dici anche ad alta voce). «Lasciamo perdere». Il cane resta pigramente sdraiato senza scomporsi ma poi, di colpo, solleva appena appena la testolina assonnata, e aguzza per un attimo le lunghe orecchie cascanti. E proprio quando ti viene in mente che magari ti sei messo davanti alla cancellata sbagliata e tuo padre in quel momento è davanti a un’altra uscita dell’aeroporto che ti cerca disperato, anche tu senti i colpi di tosse brontolanti di una macchina senz’altro decrepita che si avvicina lentamente.
15
«Con Elza tutto va bene?» Giannis stringe il volante logoro di un veicolo grigio scuro pieno di ammaccature e tiene gli occhi fissi sulla strada. Tu sei seduto di fianco a lui, in cima a una montagnola di briciole giallastre di gommapiuma secca uscita dal sedile strappato. Nel caos che regna intorno ai tuoi piedi sei riuscito a far entrare a malapena lo zaino. «Sì, tutto bene». Tuo padre annuisce, preme un po’ più a fondo sull’acceleratore e supera un camion facendo rombare il motore.
In macchina non parlate granché. Le poche volte che uno di voi due apre bocca è per un paio di parole appena, e siccome il silenzio ti provoca uno strano prurito e non hai la più pallida idea di cosa ti dovrebbe venire spontaneo raccontare a tuo padre, fai l’unica domanda che ti viene in mente.
È esattamente uguale alla domanda che ti ha fatto lui (solo che la tua è formulata correttamente). «Eh?» chiede Giannis. «Il ristorante, intendo».
16
«Ah».
Tuo padre è un cuoco. Lo è sempre stato. Sette giorni a settimana, nella cucina del suo ristorante (di cui non è solo il cuoco, ma anche il proprietario) Giannis cucina per i turisti che vanno a sedersi ai tavoli all’aperto pieni di aspettative, perché qualche tizio o tizia di un’importante casa editrice di guide di viaggio ha scritto in un grosso libro sull’isola che nel paese di tuo padre c’è un unico ristorante decente.
A pagina 191 di quella guida, nella colonna sinistra per essere precisi, e poi un po’ sotto la metà del foglio, appena sopra la foto in bianco e nero un pelino sfocata in cui il cuoco Giannis Zervakis del ristorante Elza (sono le sette parole scritte in corsivo sotto la foto) guarda l’obiettivo con un sorriso leggermente sfumato eppure chiaramente orgoglioso, si parla di piatti autentici, ingredienti freschi e preparati con amore, il che probabilmente significa che tuo padre prende piuttosto sul serio tutto quel cucinare.
«Con la ristorante va bene». Sembra proprio che faccia apposta a cambiare il tuo articolo “il” in un “la”.
«Okay» rispondi tu, e ti viene in mente la guida di viaggio che da quando ti ricordi – e probabilmente da prima ancora – sta nella libreria
17
in camera di tua madre.
A volte, quando sei a casa da solo, prendi dallo scaffale quella guida piena di ditate e la sfogli alla ricerca del sorriso del cuoco Giannis Zervakis.
Tuo padre dà due colpi al volante, supera un’altra macchina e poi dice: «O forse devo dire potrebbe andare meglio».
Ti domandi cosa significhi – che va bene o che potrebbe andare meglio? – e, come se potesse leggerti nel pensiero (cosa che ovviamente non può fare perché leggere nel pensiero di qualcuno è del tutto impossibile), lui te lo spiega: «È cominciata l’estate, così da questo momento credo tutto sarà latte e miele».
«Ho capito» dici, e infatti hai capito davvero.
Non sai bene che altre domande fare e tuo padre torna a concentrarsi completamente sulla guida.
Ti ritorna quella specie di prurito.
«E Harry?» si sente dopo un po’.
«Chi?»
«Harry» ripete Giannis continuando a tenere lo sguardo fisso sulla strada. «Quel fidanzato di Elza».
«Kees, vuoi dire».
«Kees?»
«Sì».
«Può essere» Giannis suona il clacson a due capre
18
che brucano lungo la strada e che non sembrano aver mai avuto intenzione di attraversare e si limitano a guardarvi, spaventate da quel suono squillante. «Anche con lui tutto va bene?»
«Sì» rispondi tu. «Non c’è male». Giannis annuisce come aveva fatto prima, e poi la conversazione finisce di nuovo.
Il tragitto prosegue tra silenzi e pruriti attraverso piccoli villaggi, curve e strade piene di buche.
A volte la strada si interrompe di colpo, sembra che quelli che la stavano costruendo siano andati un attimo a pranzo e poi si siano scordati di tornare a proseguire il lavoro. E così voi sobbalzate tra sassolini e crateri, finché all’improvviso torna a esserci uno strato di asfalto e tutto quello che si trova dentro e intorno alla macchina smette di tremare. Un paio di volte consideri l’opzione di chinarti in avanti per tirare fuori una liquirizia dallo zaino, ma trovi sempre una ragione per non farlo.
Giannis dice qualcosa in greco.
«Stai parlando con me?» chiedi, facendoti coraggio.
Lui ti lancia un’occhiata. «Con chi, altrimenti?»
«Io non so il greco».
«Sei o non sei mio figlio?»
Nessuno dei due è un gran chiacchierone ma, a parte questo, è difficile trovare altre somiglianze
19
tra di voi, e in questo momento hai la sensazione che l’uomo di fianco a te non sia assolutamente tuo padre. E, di conseguenza, di non essere suo figlio.
«Quella lingua come fai a dimenticare, Giakos» chiede Giannis, anche se non suona come una domanda.
Giakos. Una sola persona al mondo ti chiama così. Non riesci a ricordarti quando è stata l’ultima volta che hai pensato a quello strano nome, e probabilmente te l’eri quasi dimenticato e ti è tornato in mente solo adesso che lui lo pronuncia. Tu (cioé Giakos) spieghi che è da un sacco di tempo che non senti e non parli greco. Giannis annuisce di nuovo, dopodiché nessuno dei due parla più.
La macchina entra brontolando in paese. Giannis svolta a sinistra, poi ancora a sinistra, alla fine della strada a destra – tu non riconosci niente di niente – e poi parcheggia all’inizio di un vicolo.
«Benvenuti, ragazzi!» esclama una voce appena smontate da quel coso tutto ammaccato. «Gertie» ti dice Giannis, come se gli avessi domandato chi è (e non è così) e come se quel nome dovesse chiarire tutto (e neanche questo è vero).
Ti carichi lo zaino sulle spalle e Giannis apre il bagagliaio. Ne estrae la tua valigia blu, richiude
20
il portellone e si trascina dietro la valigia nel vicolo. Lì in mezzo alla strada, tra i tavolini quadrati circondati da sedie colorate, c’è una donna che a quanto pare si chiama Gertie.
È bionda e snella – non proprio snellissima, se guardi meglio – e indossa una camicetta sul viola, una gonna a pois bianca e rossa e scarpe nere col tacco. Mentre tu e Giannis vi avvicinate, quella Gertie sfodera un sorrisone. Dice qualcosa, ma il frastuono delle rotelline sul selciato rimbomba talmente forte contro i muri delle case che non si capisce niente.
«Sei Jakob!» dice Gertie appena arrivate davanti a lei e la valigia si dà una calmata. Rimani in silenzio e Gertie si china verso di te. Ti bacia sulla guancia destra e sulla sinistra, senza che nessuno gliel’abbia chiesto. «Benvenuto» ripete. «Che bello che sei arrivato».
Guardi Giannis, ma nulla nell’espressione del suo viso tradisce l’identità di quella Gertie. Che cosa ci fa al ristorante? Lavora qui, o c’è dell’altro?
A Giannis piacciono le donne olandesi – se non fosse così, tu neanche esisteresti – ma di quella Gertie nessuno ti aveva detto niente.
«Posso portare la mia roba in camera?»
Gertie e Giannis si scambiano un’occhiata. «Non gli hai detto niente?» gli chiede lei.
Giannis si gratta dietro un orecchio. «Sì…»
21
esita. «Ancora non ti avevo detto, Giakos, ma, ehm…»
Viene fuori che devi dormire sul divano. Nella casa sopra il ristorante c’è solo una camera da letto in più, e siccome d’inverno il ristorante non è che sia andato proprio a gonfie vele, Giannis ha dato quella camera in affitto. La definisce una “soluzione temporanea”, e adesso tu capisci chi è Gertie.
Otto anni fa tua madre ti ha riportato in Olanda con sé. Non sapevi che cosa ti fosse rimasto in testa del periodo precedente, ma quando Giannis spalanca la porta del ristorante e tu lo segui dentro, piano piano ti compaiono davanti le cose di prima, come un filmato in Internet che per colpa della connessione lenta viene riprodotto un pezzetto per volta, tra pause e intoppi.
Prima ti ritornano in mente le poltroncine davanti al caminetto, poi i portasalviette di plastica e le saliere sul bancone di legno e dopo la cucina semiaperta, colma di pentole e piatti da lavare.
Riconosci il disegno sul muro con le tre donne identiche, la mensola con appesi i cento bicchieri da vino e le tende che permettono di guardare da fuori ma non da dentro.
«Vai per vedere di sopra» propone Giannis. «Intanto io mi metto a cucinare».
22
Attraversi il ristorante fino al corridoio, sollevi
la valigia facendola sbattere contro i gradini e la trascini sulle rotelle fino alla grande camera con il divano verde sbiadito che in questo momento non è ancora un letto.
«È un divano comodo» senti dire alle tue spalle.
Gertie si è sfilata le scarpe col tacco per poterti sgattaiolare dietro a piedi nudi.
«Sì» rispondi. Vedi dieci unghie delle dita dei piedi color rosso scuro. «Si nota». Appoggi la valigia vicino al tuo futuro letto e, con lo zaino ancora sulle spalle, ti lasci cadere sui cuscini scoloriti. Poi ti metti a fissare Gertie finché è costretta a dirti qualcosa.
«Bene» dice alla fine.
«Bene» ripeti tu.
Gertie annuisce, senza che tu sappia perché. «Mi sa che vado a dare una mano a tuo padre» dice.
«In cucina».
«Bene» dici di nuovo.
Gertie annuisce un’altra volta, si gira e scompare dalla stanza, portandosi dietro le sue dita dei piedi verniciate di rosso.
23
Come va lì?
Elza van Diepen <elza.van.diepen@hotmail.com> a Jakob Ciao, tesoro mio!
Ho provato un paio di volte a chiamarti, ma mi sa che il tuo cellulare non funziona. Il caricabatterie l’hai preso? Sono troppo curiosa di sapere come te la passi lì!
Tuo padre mi ha appena scritto che vi siete trovati senza problemi, all’aeroporto. Sono contenta. Vedi che non serviva preoccuparsi tanto? E per il resto, è andato bene il viaggio? Vi divertite insieme?
E come si sta sull’isola? Mentre scrivo, mi sembra quasi di sentire di nuovo l’odore degli ulivi e delle capre. Ti invidio, sai!
Al momento, Kees e io siamo abbastanza indaffarati con i preparativi per il grande viaggio, ovviamente. Abbiamo il volo domani mattina presto. Lui vuole portare tre macchine fotografiche diverse e anche un’intera valigia piena di lenti e altri aggeggi.
È decisamente troppo, ma sai com’è Kees con la fotografia.
Devo dire che sono un po’ agitata. E poi, stare tanto tempo senza un figlio, non è facile per una madre… Mi manchi tanto, amore mio!
Fatti sentire presto, mi raccomando! Chiamami o mandami un messaggino di risposta.
Un bacione dalla mamma
RE: Come va lì?
Jakob Zervakis <jakozerva@gmail.com> a Mamma Ciao mamma
Qui va tutto bene. Fa un sacco caldo e sì, Giannis era lì quando sono arrivato. Anche il viaggio è andato bene. Divertiti in Thailandia e saluti (anche a Kees)
RE: RE: Come va lì?
Elza van Diepen <elza.van.diepen@hotmail.com> a Jakob Tesoro, che bello avere tue notizie prima di partire! Sono felice di sentire che lì va tutto bene!
Mi fai sapere cos’è successo con il cellulare?
Va bene, allora divertiti e rilassati! Noi faremo lo stesso. Non ti scriverò mail tutto il tempo, però ogni tanto mandiamoci un messaggino, così sto tranquilla.
Un altro bacione enorme dalla mamma