AFK di Alice Keller

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LE SPORE 3


A Milena e Francesco

Grazie per il supporto tecnico e la pazienza a J.K., Kato Silvestro, Emanuele A Della, per i preziosi consigli

“AFK” di Alice Keller Copertina di Alessandro Baronciani Prima edizione: aprile 2019 ISBN 9788899842567 © 2019 Camelozampa Tutti i diritti riservati info@camelozampa.com www.camelozampa.com Alta leggibilità Questo libro utilizza il Font EasyReading® Carattere ad alta leggibilità per tutti. Anche per chi è dislessico. www.easyreading.it




1 / Stanza

Stanza. Occhi. Li tengo chiusi finché non spariscono le luci. Spara. Corri. Spara. Gira. Il cerchio viola. Oh, shit. Non ti preoccupare, ci sono. W Q W E Corri. Sinistro Q-W-E-R Spara. Gira. Più veloce. Ok. Così. Andiamo bene. Uccidiamo il Baron. E questo da dove è uscito? Non dovevo andarci di nuovo. Va be’, sono autistico non ci posso fare nulla. Lo so. Non sono autistico. Cioè: non per davvero. Niente cartelle cliniche e altre menate così. Sicuro se fossi autistico tutto sarebbe più semplice. Cosa sono non lo so. Io dico che sono me. 5


Me è: giocare a qualunque videogioco. Chattare online. Me è: le cuffie sulle orecchie. Il microfono davanti alla bocca. La voce di Cabbit che bestemmia nel mio timpano destro e io che bestemmio nel sinistro. Me è: la sedia. Il computer. La tastiera. Il mouse. M2 Q M2 M2 M2 W Q W E Sinistro Q-W-E-R Me è: dormire. Letto. Mangiare. Non parlare. Insultare mia madre e mio padre. E dormire. Dormire. Dormire. Ancora dormire. Crollare. Me è: essere sporco. Me è: aspettare che bussi mia sorella. Ma far finta di dormire. Sempre. Me è: fare paura. Minacciare di buttarmi di sotto. È questo che spaventa tutti. E il fatto che non dormo la notte ma solo di giorno. Che passo la mia vita a giocare. Che non mi sposto. Che non vado a scuola, non ho amici, non parlo, non mi lavo, sto chiuso in stanza. È la mia stanza che spaventa tutti. Io sono la mia stanza. E il computer, la tastiera, il mouse, le cuffie, il letto, tutta la gente che mi parla da chissà dove nel mondo e 6


le partite vinte e quelle perse, e quelle perse e quelle vinte, quelle vinte, quelle perse e notte, alba, notte, alba e via cosĂŹ.

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2 / Into the Jungle

Non so quando ho iniziato a giocare. Ho iniziato e basta. Un giorno era pomeriggio, e poi di botto mia madre rompeva il cazzo perché era pronta la cena. E il giorno dopo sempre pomeriggio e poi di botto notte – e mia madre che chiamava per la cena non l’ho proprio sentita, o se l’ho sentita ho chiuso la porta e basta. E il giorno dopo era di nuovo pomeriggio e poi di botto alba, e allora sono andato a letto e ho dormito fino a pranzo. E il giorno dopo ancora ho iniziato verso le due e di nuovo nel giro di qualche partita ho sentito mia sorella che si alzava per fare la doccia, e di nuovo non sono andato a scuola perché avevo gli occhi troppo pesti e mi sono buttato sotto le coperte anche se mia madre è entrata urlando e voleva far di tutto per farmi prendere il pullman. Poi un’altra volta mi ha fatto prendere il pullman ma io mi sono addormentato in classe, e mi sono addormentato per parecchi giorni di seguito, e la prof ha detto che voleva parlare con mia madre, che non era normale che un ragazzo alla mia età si addormentasse in classe, che alle medie uno non può andare a letto tardi, e credo sia stato da questa volta qua che mia 9


madre ha iniziato a sentirsi le mani di melma, legate strette dietro la schiena, credo che si sia proprio vergognata parecchio, come se la prof le avesse detto: Lei non sa per niente occuparsi di suo figlio. E forse gliel’ha detto veramente perché la sera voleva far credere di essere una iena, e ha tenuto mio padre in cucina tutto il tempo a chiedergli cos’era successo e com’era potuto succedere e quand’è che la situazione gli era sfuggita di mano e come mai non riuscivano a far niente, come, come, come. Mio padre non so cosa ha detto, sicuro conoscendolo avrà detto: Esageri O peggio: Non so di cosa stai parlando, secondo me vi state tutti agitando. E mia madre deve avergli urlato qualcosa come: È un mese che non va a scuola e se ci va dorme. E devono essere andati avanti così per un po’ e dopo non ricordo bene la sequenza esatta ma sono cominciate le minacce e poi c’è stato quello che coi loro amici hanno sempre chiamato: L’incidente. Come se fosse successo per caso e non l’avessi scelto. Come se fossi uscito in balcone e semplicemente mi fosse caduta in testa una mattonella. E poi boh, sono passati ore mesi giorni, ma più o meno tutti i giorni sono così: che inizio a giocare di pomeriggio e di botto è l’alba. Davanti a questo gli adulti non sanno che dire. Non fanno che spedirmi da un medico all’altro, e di nuovo a quello e a quell’altro, e lo psicologo, lo psichiatra, mi è toccato pure quello dei disturbi alimentari perché sono grasso. 10


Sperano che smetta di giocare, che vada a scuola, che ricominci a parlare con quelli della mia età . Che abbia una vita sociale – come dicono loro – e sai io che gli dico? R.I.P.

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