La voce del branco. I predatori

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LE SPORE 5



I PREDATORI

Traduzione di Sara Saorin


Titolo originale “La voix de la meute - Les Prédateurs” Traduzione di Sara Saorin Si ringrazia Gaia Guasti per la collaborazione Copertina di Rossana Bossù Prima edizione: novembre 2019 ISBN 9788899842765 La voix de la meute – Les Prédateurs © Éditions Thierry Magnier, France, 2014 Per l’edizione italiana © 2019 Camelozampa Tutti i diritti riservati www.camelozampa.com Alta leggibilità Questo libro utilizza il Font EasyReading® Carattere ad alta leggibilità per tutti. Anche per chi è dislessico. www.easyreading.it




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Dalla stanza proveniva un fetore insopportabile di sudore e lenzuola umide. Ludo si fermò sulla soglia, disgustato dall’odore. «Ludovic!» chiamò di nuovo la voce impastata di suo padre, intrisa di alcol come dovevano esserlo il fegato e la canotta lurida che non cambiava da giorni. Cercando di vincere il ribrezzo, il ragazzo mosse un passo. Seduto sul letto, il suo vecchio cercava maldestramente di abbottonarsi la camicia. «Ma porca puttana...» Gli tremavano le mani. Gli occhi gonfi tradivano il sonno disordinato. Erano le tre del pomeriggio e il Grigio non si era ancora alzato. Lo sguardo di Ludovic scivolò impassibile sullo spettacolo di degrado che offriva la stanza. Il pavimento era disseminato di cumuli di vestiti, macchie di umidità chiazzavano i muri. E al centro di quel disastro si trovava un uomo, suo padre, che non riusciva neanche a infilare un bottone in un occhiello. Nell’arco di un anno, il Grigio era diventato vecchio. Dal giorno in cui la frana l’aveva sepolto nella grotta, l’immobilità forzata della convalescenza e il dolore delle ferite avevano aggravato la sua dipendenza dall’alcol. E inevitabilmente, dopo varie risse, dopo essere stato trovato alla guida con un tasso alcolemico 7


nel sangue che sfidava le leggi della biologia, un giudice assennato aveva ritenuto opportuno togliergli il porto d’armi. Era stato un dramma. Il Grigio aveva dovuto rinunciare alla sua attività preferita. La sua sola e unica passione. La caccia. Perfino i suoi compagni, stanchi dei suoi eccessi di rabbia, avevano accolto la notizia con sollievo. Da allora, il padre di Ludo si trascinava tra le quattro mura di casa e i bar dei dintorni, ruminando il suo rancore per quello schifo di vita che, alcolici a parte, non aveva più niente da offrirgli. «Vieni qua, moccioso. Portami qualcosa da bere». Ludo fece una smorfia, combattuto tra la pena e il disgusto. Un anno prima, avrebbe obbedito all’istante, evitando lo sguardo di quel padre irascibile che l’aveva abituato a vivere nella paura. Da allora, però, le cose erano cambiate. «Non ho tempo, ho un appuntamento». «Portami da bere, ho detto!» Ludovic guardò il Grigio dritto negli occhi. «No. Devo andare». Suo padre si alzò barcollando. Malgrado fosse deperito, aveva ancora un fisico imponente. Il viso deformato dalla rabbia incuteva ancora timore. Ma il ragazzo non indietreggiò. «Chi ti credi di essere, stronzetto? Posso ancora darti una ripassata che te la ricordi finché campi». Ludo sorrise, ironico, scoprendo leggermente i denti. «Provaci» rispose con un filo di voce, gelido. «E vediamo». Nel silenzio della casa deserta, mentre i due uomini si squadravano, Ludovic ebbe il tempo di realizzare fino a che punto, ormai, non temeva più la violenza 8


di suo padre. Nel suo corpo non si muoveva niente. Nessuna paura risvegliava i suoi istinti, nessuna voce gli risuonava nella testa. Non c’era più pericolo. Era lui il più forte. Arriverò in ritardo, si disse semplicemente, con una punta di tristezza. Se devo spaccargli la faccia, mi toccherà fare tardi. Ma il Grigio, con la stilla di buonsenso che gli rimaneva, scelse di battere in ritirata. Di malavoglia si riparò dietro una risata astiosa. «Credi forse di essere migliore di me? Razza di animale! Vedrai, diventerai una merda come tuo padre! Finirai per pisciarti addosso anche tu». Ludo si girò e uscì dalla stanza. La voce di suo padre lo inseguì fino alla porta di casa. «Siamo uguali, io e te. Ha fatto bene, tua madre, a crepare prima di vedere cosa sarebbe diventato suo figlio. Finirai come me, te lo dico io!» Qualcosa si agitò nello stomaco del ragazzo, mentre si sbatteva la porta alle spalle. No, si ripromise Ludovic. Non come lui. Tutto, ma non come lui. E, inspirando a fondo l’aria umida di quel sabato 15 novembre, si tirò su il cappuccio sulla testa e si mise a correre verso il sentiero che portava alla Sorgente dei Lupi. Lungo la strada, indifferente alla pioggerellina sottile che incupiva la campagna, Ludovic fece uno sforzo per schiarirsi le idee. Come sempre, correre gli liberava la testa e permetteva alla memoria di riaffiorare. Mila. Mimì. Da quanto tempo non la vedeva? 9


Si ricordava di aver intravisto il suo profilo dietro al finestrino dell’autobus che la portava in città, quando era ricominciata la scuola. I suoi occhi incredibilmente profondi, il viso illuminato da un sorriso indefinibile. Bella e inaccessibile come un quadro d’autore. Quando era stato? All’inizio di settembre, forse? Già due mesi, un’eternità. E Tristan, cosa faceva? Stringendo i denti, Ludovic si addentrò nella boscaglia. Non capiva la nuova distanza che si era creata tra di loro. Mentre i suoi passi percorrevano un sentiero che conoscevano a memoria, ripensò all’anno appena trascorso. All’inizio, dopo la scoperta della loro doppia natura, c’era stato un momento in cui i tre amici avevano condiviso lunghe corse nel cuore della foresta e notti sotto le stelle. La vita selvaggia. In quel periodo, la voce del branco li aveva riuniti. Riecheggiava chiara e distinta nelle loro teste. Permetteva loro di comunicare con più facilità che a parole. Insieme, avevano cacciato, scavato tane, seguito piste nella neve. Bevuto l’acqua gelida dei torrenti, chini sulla riva. Ludovic conservava un ricordo incantato di quei mesi erranti. Era tutto così semplice, immediato. Per la prima volta, anche lui si sentiva parte di qualcosa. Mai prima di allora era riuscito a trovare un posto nel mondo, né a casa né a scuola. Aveva sempre camminato rasente i muri, cercando di non farsi notare. Ora ne aveva uno. Il suo. I boschi erano la sua dimora, il territorio del suo branco. Non era mai stato così felice. I tre amici si risvegliavano dalle loro peregrinazioni 10


notturne esausti e storditi, sempre meno inclini a riprendere il corso della loro vita quotidiana. Tornavano a casa senza dare la minima spiegazione, indifferenti alla sfilza di domande che rivolgevano loro i genitori. Per tutti, stavano diventando preoccupanti. Mila, Ludo e Tristan si rendevano conto che la loro natura animale non spariva più del tutto al risveglio. Anche nei loro goffi corpi di esseri umani si scoprivano in grado di conservare nuove capacità: l’olfatto fine, la resistenza, gli istinti. La libertà, di cui esploravano i confini giorno dopo giorno, sembrava non avere limiti. Poi, improvvisa e travolgente, era esplosa la primavera. E la loro complicità esclusiva era stata spazzata via, come se il sole che dissipava la nebbia e scioglieva la neve li avesse spinti a cercare di nuovo la compagnia degli uomini. Senza preavviso, Tristan era stato riassorbito dalla vita familiare. Aveva ricominciato ad aiutare sua sorella Lucille nei compiti, ad accompagnare suo fratello Felix agli allenamenti di calcio. Si era perfino fatto convincere dai genitori a dare una mano in negozio, l’unico panificio di Malazuc. Sollevati di vedere che il figlio era tornato sulla retta via dopo mesi di scorribande, i suoi genitori non lo perdevano più di vista, neanche un attimo. Bisogna mettergli dei paletti, si ripetevano a vicenda, gli adolescenti hanno bisogno di essere inquadrati. E Tristan, forse stanco delle sue corse selvagge, si era lasciato inquadrare con una facilità sorprendente, accettando con una certa rassegnazione il sistema di regole che i suoi gli servivano su un piatto d’argento. A volte rivedeva i vecchi compagni, quelli che avevano continuato la formazione per diventare falegnami. Ascoltava con gentilezza i loro aneddoti 11


sull’apprendistato. Senza invidia, senza rimpianti. La voce del branco gli aveva insegnato che il legno non era fatto per essere trasformato in assi di compensato. Mila, invece, era tornata al liceo. Aveva ricominciato a seguire le lezioni, colmato le lacune. Aveva ritrovato altri amici, rapporti superficiali ed effimeri che adesso le sembravano riposanti. Ludovic non aveva capito. Per un certo periodo, aveva aspettato che lei tornasse dal convitto, il venerdì sera, con un nervosismo che cercava di ingannare correndo a perdifiato. Il lunedì all’alba aveva preso l’abitudine di andarla a salutare alla fermata dell’autobus che la riportava in città. Ma più cercava di trattenerla e più Mila si allontanava da lui. Finché un giorno, una mattina di aprile, Mila gli aveva annunciato che non sarebbe tornata per il fine settimana. Né quello successivo, e nemmeno quello dopo ancora. «Hai presente il mio corso di teatro? Stiamo preparando uno spettacolo. Fino alla fine dell’anno faremo le prove di sabato. Non potrò tornare a casa». Era lì, davanti a lui, con lo zaino su una spalla, la pelle scura accarezzata dai raggi obliqui del sole che sorgeva. Bella come il giorno e infinitamente lontana da lui. Ludo l’aveva fissata senza dire una parola, ferito. Lei non aveva abbassato lo sguardo. Mila non era abituata a nascondersi. Durante le loro fughe nel bosco, era stato tutto così semplice. I loro corpi, quei corpi nuovi che di giorno in giorno diventavano sempre più agili e forti, si ritrovavano spontaneamente, senza imbarazzo. L’amore diventava naturale. Eppure, non appena scivolavano di 12


nuovo nella loro pelle umana, non sapevano più come comportarsi. Mantenevano allora una strana distanza tra loro, schivi. Certo, ricordavano tutto. Ma alla luce del giorno e della loro coscienza, invischiati nelle inibizioni e incapaci di parlarsi, non osavano più nemmeno sfiorarsi. L’autobus era sbucato in fondo al rettilineo che attraversava la pianura di Malazuc. Prima che si fermasse ai Trois Chemins, Ludo aveva già girato le spalle e imboccato il sentiero che tagliava attraverso i campi. Aveva corso a lungo, con il cuore in gola, le lacrime agli occhi. Così erano passati i mesi. L’estate aveva portato i turisti, i concerti all’aperto. E mentre Tristan e Mila conducevano una vita quasi normale, circondati dai loro cari e da una nuova cerchia di amici, Ludo aveva scoperto con una fitta di amarezza che non aveva nessuno a cui rivolgersi. Tutto ciò che gli restava era quel rottame di suo padre. Tanto valeva continuare a vivere nel bosco, nella pelle di una belva selvaggia. Lungo il sentiero che conduceva alla sorgente, Ludovic si fermò, realizzando che da lì a qualche minuto avrebbe rivisto Mila. Sapeva che sarebbe venuta all’appuntamento, così come avrebbe fatto Tristan. Questa volta, si ripromise, sarà diverso. Le andrò incontro e tutto tornerà semplice, come prima. Inspirò a fondo per calmarsi. Il Picco delle Anime si stagliava davanti a lui, imponente sotto la pioggia. Fu allora che sentì l’urlo. Raddrizzò la testa, turbato da quel grido lontano, che 13


gli toglieva il respiro e gli risvegliava i sensi. Era un richiamo animale, un lungo suono modulato che sembrava disegnare lente volute nell’aria e dileguarsi salendo verso le vette. Ludo ne era certo, durante le sue cacce notturne nel bosco non aveva mai sentito quella voce. Apparteneva a una bestia sconosciuta, che lui non riusciva a immaginare, ma di cui capiva il messaggio, dagli accenti inferociti. E pericolosi. Quando l’urlo si spense, Ludovic accelerò il passo verso la sorgente. Qualunque cosa fosse quell’animale che si nascondeva nella macchia, bisognava scoprire qual era la sua natura. Quando lo vide arrivare, Mila gli rivolse un sorriso radioso. Non l’aveva previsto. Malgrado i dubbi, malgrado l’imbarazzo, malgrado l’estate che aveva scavato la distanza tra loro, rivedere Ludovic le toglieva il fiato. Osservò le piccole cicatrici disseminate sul suo viso spigoloso, sempre così pallido, illuminato dallo sguardo verde chiaro. I capelli cortissimi, nascosti sotto il cappuccio bagnato. Un ragazzo a fior di pelle, scontroso e solitario. «Avete sentito?» fece Ludo senza tanti preamboli, avvicinandosi alla sorgente. Tristan gli andò incontro, i capelli eternamente scompigliati, umidi di pioggia. «Sentito cosa?» «Un urlo. Un animale». «No...» «Era strano» insisté Ludo. «Sembrava un lamento». 14


«Milù? Hai sentito qualcosa, tu?» ribatté Tristan interrogando l’amica. La ragazza non rispose. Immobile vicino allo stagno, con il cappuccio del giubbotto che le nascondeva la folta massa di capelli ricci, non aveva staccato gli occhi da Ludo, delusa che le rivolgesse così poca attenzione. «Ciao, Ludo» mormorò. Ludovic la guardò. Per un istante, trattenne il respiro. Mimì. Si fissarono un attimo, fiutando le sensazioni tradite dai loro corpi. Poi Ludo si voltò, a disagio, troppo introverso per ricordarsi di salutarla. Osservandoli, Tristan capì subito, ma si affrettò a ricacciare indietro ogni stilla di gelosia. Con il tempo, ci aveva fatto l’abitudine. «Dài, lascia stare gli animali nel bosco» disse, andando a stringere la mano all’amico. «Tutto bene?» «Sì, niente di nuovo». «Ma cos’è quella faccia? Non farai il muso proprio oggi?» Con un gesto teatrale, Tristan tirò fuori una bottiglia. «Quest’anno, ragazzi, champagne!» «Accidenti, hai vinto al lotto?» «Sì, magari! Lavoro, io, che credi?» «Sempre con i tuoi vecchi? Ma non sei stufo?» Tristan gli rivolse un mezzo sorriso, avvilito. «Sono diventato il campione della baguette». Per cambiare argomento, tese la bottiglia a Ludovic. «A te l’onore. Dopotutto quest’anno sono diciotto». Ludo ci mise un po’ a capire. «Diciotto cosa?» Uscendo dal suo riserbo, Mila scoppiò a ridere, divertita. «Ma Ludo! Te ne sei dimenticato?» 15


All’improvviso, Ludovic si ricordò. I loro tre compleanni, che avevano l’abitudine di festeggiare assieme. Il motivo del loro appuntamento, il 15 di novembre, alla sorgente. Era da così tanto tempo che avevano quel rituale, che non c’era più bisogno di ricordare come fosse nato. «Ora sei maggiorenne, amico mio. Dobbiamo festeggiare». Con affetto Tristan gli appoggiò una mano sulla spalla, e Ludo lo ringraziò con uno sguardo imbarazzato, come al solito un po’ schivo, mentre Mila osservava la loro complicità sorridendo. Insieme, di nuovo, come ai tempi della loro infanzia. Il secondo ululato li sorprese così, uno vicino all’altro. Un brivido percorse il corpo dei tre amici, immobili sotto la pioggia leggera. Il lamento della bestia saliva e scendeva, grido lacerante che sembrava a tratti una richiesta di aiuto, per colorarsi poi di sfumature minacciose. Poi l’urlo si spense piano, quasi con una breve risata, e un silenzio di tomba scese sulla sorgente. «Ma che cos’è?» mormorò Tristan. «Non ne ho idea. Ma non mi piace per niente» disse Mila con una smorfia, sentendo i muscoli irrigidirsi. «Non è un cane, questo è certo» aggiunse Tristan. Ludovic, invece, era rimasto impietrito, un rictus di aggressività sul volto, lo sguardo vitreo, assente. Mila si avvicinò e gli appoggiò delicatamente una mano sul braccio. «Ludo, che hai?» Con un movimento brusco, quasi violento, Ludo si allontanò. La voce del branco lo chiamava, più forte di lui, più potente del desiderio di restare vicino a Mila. 16


Un attimo dopo se n’era già andato, scomparso dietro ai cespugli che circondavano lo stagno. Mila rimase di sasso. Poi la delusione si insinuò tra i sentimenti contraddittori che provava. «Ma dove sta andando?» si allarmò Tristan. Si guardò attorno, perplesso. «Dici che ha intenzione di cercare… quella cosa?» Mila si accovacciò sul bordo della sorgente. Tese una mano e sfiorò l’acqua gelida, dove la pioggerella che continuava a cadere disegnava centinaia di minuscoli cerchi concentrici. «Tristan…» «Sì, Milù?» Lei alzò lo sguardo e fissò l’amico, seria. «Ho un brutto presentimento».

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