Bottega

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Campi Magnetici PhotoMag rivista trimestrale

numero_2 bottega



«All photographs are memento mori. To take a photograph is to participate in another person’s (or thing’s) mortality, vulnerability, mutability. Precisely by slicing out this moment and freezing it, all photographs testify to time’s relentless melt» «Ogni fotografia è un memento mori. Fare una fotografia significa prendere parte alla mortalità, vulnerabilità e mutabilità di un’altra persona o di un’altra cosa. È proprio isolando questo determinato momento e congelandolo che tutte le fotografie testimoniano l’inesorabile azione dissolvente del tempo» S. Sontag


FUORI CORNICE

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«L’arte non è uno specchio in cui riflettere il mondo ma un martello con cui scolpirlo» V.V. Majakovskij Lo studio di Hassan Vahedi a Roma, in via Sirte 40, ha la porta aperta. Rumori di martello, profumo di legno e di colori. Hassan alza gli occhi per pochi secondi dalla sagoma che sta intagliando, sorride, riabbassa lo sguardo e, solo dopo aver ripreso il suo lavoro, saluta. Dice poche frasi, semplici e concise come i gesti di una mano. Mani che sanno, vedono, ascoltano e raccontano. Ogni opera è una storia senza titolo, un’avventura di sperimentazione, un dialogo, con il presente e con il passato, fatto di materia e colore, tradizioni e improvvisazione. Hassan racconta mentre inchioda su un supporto delle sagome dipinte e scartavetra dei pezzi per raffinarne i bordi. Ripete spesso che non vuole spiegare le sue opere. Eppure nello studio non c’è mai silenzio, anche quando non ci sono parole c’è musica di strumenti al lavoro. E poi racconti, sul corniciaio Mario del negozio accanto, su una mostra in allestimento a Teheran, su un amico fotografo, un articolo di giornale o un libro appena letto. Nei mesi di febbraio, marzo e aprile del 2011 una serie di sculture in legno invade ogni centimetro quadrato di spazio disponibile nella bottega dell’artista iraniano.

Fuori cornice è un reportage fotografico realizzato da Gabriella Caponigro (Roma 1985) per l’esposizione di una selezione delle sculture di Hassan Vahedi (Teheran 1947) curata dall’associazione Cartastraccia a Roma. Gli scatti di Gabriella raccontano la quotidianità dell’artista all’opera, l’immediatezza e l’intimità di uno spazio abitato ogni giorno ma anche l’urgenza e la costanza di un lavoro che non conosce interruzione. Una quotidianità che è il punto di incontro tra la ricerca di Gabriella e il soggetto del suo reportage. Fuori cornice fissa nel bianco e nero di un’immagine il lento consumarsi del sigaro e, insieme, la concentrazione e la leggerezza, la costanza e l’eccezione. Racconta storie di pezzi di scarto, di oggetti sottratti al disuso, di avanzi del consumo quotidiano nel momento in cui si trasformano in altro, rivisitati, scomposti, assemblati in un nuovo spazio, fuori cornice. Come le opere di Hassan, il lavoro di Gabriella è la storia di una possibilità, del quotidiano che si fa extra-quotidiano, istante sospeso di fiato trattenuto, resistenza.

foto: Gabriella Caponigro testo: Cora Presezzi










SLIDING DOORS


«Le storie della strada e delle loro botteghe sono di tutti. Hanno un valore morale ad un prezzo ragionevole. L’importante è saperle ascoltare».

foto: Marco Norberto Bernabè testo: Marco Norberto Bernabè










DESIGN

arte contemporanea

decorazioni artistiche

FOTOGRAFIE D’AUTORE

pavart srl via dei genovesi 12/a 00153 Roma tel & fax 0039 06 5808778 email: info@pavart.it www.pavart.it



I 1000 E 1 GIORNI


Il lavoro, condizione fondamentale per l’autosussistenza dell’essere umano nella vita in società, assume profonde connotazioni nel momento in cui si è lontani dal paese d’origine. In questo caso il lavoro diventa un riferimento necessario; difficilmente ci sarebbero altre possibilità per sentirsi utili in maniera presente e continuativa. Nel caso poi delle difficili condizioni tradizionali che alcune aree mondiali presentano in relazione all’ambito lavorativo, l’immigrazione a fini occupazionali propone un’áncora di salvataggio e crescita per quelle persone coraggiose che hanno intrapreso un viaggio sconosciuto in cui le difficoltà a terra ferma devono essere affrontate e superate. Moltissime sono poi le storie di persone che intraprendono un viaggio di sola andata per chissà quale motivo: tragedie in mare o piani diabolici di trafficanti di esseri umani... Ecco allora installarsi in un quartiere romano un gruppo di lavoratori provenienti dal Pakistan; lavorano più di 12 ore al giorno concedendosi la domenica come meritato riposo. Sono molto uniti e hanno quella profonda capacità di lavorare meditando... Ripetono per ore gli stessi movimenti.

foto: Rodolfo Rocca testo: Rodolfo Rocca








C.A.S.A. DEI MESTIERI


Una bottega, luogo di scambio e produzione, ma soprattutto istruzione. C.A.S.A. dei mestieri rappresenterà per la località guatemalteca Cerro La Granadilla esattamente questo. La piccola struttura comunitaria ospiterà una scuola di panetteria e pasticceria, offrendo agli abitanti uno sguardo verso un futuro diverso da quello di confezionare fuochi d’artificio, ma anche la consapevolezza di poter costruire una casa utilizzando materiali facilmente reperibili come la terra e il legno, senza dover ricorrere all’importazione. A Marina di Sibari (CS) è stato realizzato un prototipo per la C.A.S.A. nell’ambito di un workshop insolito. Sulla scena di un villaggio turistico, il gruppo di lavoro C.A.S.A. coordinato da Mezzosangue Lab e AK0, insieme agli studenti del Master in Housing dell’Università di Roma Tre, ha preso parte a questo programma durato una settimana. Sole, pioggia, fatica, professionalità e collaborazione sono i fattori che hanno fornito l’energia necessaria per completare il piccolo modulo di terra e legno, grande soddisfazione e speranza per il futuro. Per maggiori informazioni: www.akzero.blogspot.it www.sullastradaonlus.com

foto: Davide Onorati testo: Davide Onorati






L’ARBURESA


Il fabbro

Arbus

«Ah tu semini stelle con la mano! Arde l’ultima fiamma, ecco, su Monte Atha e tu picchi ancora, o buon titano,

Arbus è un piccolo paese del Campidano, a nord ovest di Cagliari, situato in una zona particolarmente suggestiva dal punto di vista paesaggistico: da un lato l’ambiente marino di Marceddì e le dune rosate di Pistis; di contro colline boscose incontaminate. Poco lontano le dismesse miniere di Ingortosu e Montevecchio, ricche di minerali e fossili. Dal candore dei monti circostanti trae il suo nome: Albu, divenuto, poi, Arbus.Fu abitato da genti nuragiche, dai fenici, dai punici ed infine dai romani. Oggi Arbus è il paese, per antonomasia, dei coltelli panciuti, la cosidetta “Arburesa”, dal manico in montone e la lama d’acciaio. Ed è anche grazie all’eclettico Paolo Puxeddu, il Mastro (in foto), che l’artigianato della coltelleria è mutato in una forma d’arte. Il coltellaccio, lo “strumento” dei pastori, è divenuto, cosi, più di un oggetto di souvenir. Una vera e propria opera d’arte. E questa è la sua nascita.

Dall’alba! I carratori volti al mare Vedon rider nell’ombra, fin dal ponte, Quel tuo stambugio come un focolare. A quel sonìo la sedula massaia Si desta per la casa e dice ai figli: — O figli, è l’ora: Già sulla giogaia Trema il Grappolo, e i cieli son vermigli. — Vengono a te i garzoni e dicon: — Zio, Tu maestro del ferro, eccoti il vecchio Ferro, e tu facci un vomere. — Con pio Vigor tu batti ed ecco dalle mani Ti esce il vomere. E quello come specchio Ben poi risplende quando gli anzïani Spargon pregando la semente, e i solchi Fumigan sciolti, e ascoltano tra snelle Selve il brusìo degli orzi alti i bifolchi. Ed ecco pur, battuti in quel tuo roggio Antro, falcetti e industriose falci. O bel cantare del ricolto! Il poggio Tutto ne suona tra le messi e i tralci. Ed al ricolto, premio al tuo lavoro, Ecco grappoli azzurri, ecco mannelle Di spighe d’oro, una corona d’oro!»

Sebastiano Satta

foto: Danilo Salis testo: Danilo Salis












POSSO FARLE UNA DOMANDA?


Ho 25 anni. Si dice che la mia generazione farà un lavoro diverso da quello per il quale ha studiato. Effettivamente negli ultimi anni, mentre galoppava la globalizzazione e tutti partecipavano attivamente alla diffusione dei mobili fai-da-te, i miei coetanei hanno collezionato le migliori lauree brevi, lunghe, doppie allo scopo di accumulare nevroticamente oggetti futuristici più o meno difettosi. La chiamano obsolescenza programmata e funziona perfettamente. È stressante. Mentre gli oggetti aumentano, le possibilità di lavoro sembrano diminuire. Qualcuno ha deciso quindi di cambiare strada, preferendo sviluppare le proprie passioni, pur rinunciando ad un futuro florido di aggeggini tecnologici. Altri hanno invece profetizzato un ritorno alla campagna, alle botteghe, all’artigianato. Ho voluto chiedere ai proprietari delle botteghe del mio quartiere quali fossero le loro passioni quando erano giovani. Diverse reazioni. Curiosamente ho scoperto che molti non ne avevano. Qualcuno ha dichiarato che il lavoro artigianale stesso è stata la passione di sempre, altri hanno invece ammesso di non avere avuto il tempo per sviluppare interessi, avendo cominciato il lavoro in bottega sin dalla tenera età. Qualche appassionato però l’ho trovato. Riccardo per esempio è il proprietario della Bottega Galvanica Restauro Metalli ma in segreto disegna e produce ciondoli alla moda.

Claudio fa il restauratore ma ha sempre sognato di pilotare aerei, per poco non iniziava la carriera di pilota. Francesca è l’ultima erede della famosa ditta di tessuti Fallani. Oggi gestisce un mercato per conto terzi, ma qualche tessuto Fallani lo nasconde ancora in un armadio. L’armadio è in vendita. Vincenzo si occupa di motori elettrici e riguardo alle passioni giovanili non ha dubbi: le donne. Oggi si dedica alla donna migliore, la moglie Marisa. Marco fa il tappezziere e nel tempo libero è un aspirante campione di tennis. Massimiliano invece un campione lo era veramente. Nella sua bottega di restauro mobili ci mostra, impolverate, una trentina di coppe e medaglie vinte tra i campi di calcio. Per ultimo conosco Raniero, il famoso sarto del papa. Chiedo anche a lui se avesse passioni alternative al lavoro. Mi risponde con una domanda: “Tu che hai studiato?” “Giurisprudenza” “E fai il fotografo?” “È una passione” “Io facendo il sarto sono arrivato fino al papa, dopo di lui ce sta solo il padre eterno... che passioni ce devo ave’?”

foto: Paolo Teta testo: Paolo Teta assistenti: Lorenzo Ettorre, Marisa Scudieri








FUORI FUOCO

MENWORKS


Le botteghe in Asia di rado hanno l’uscio, e quando ce l’hanno allora non son più tali ma diventano negozi, centri commerciali. Malls. Le botteghe, quelle vere, sono stanze aperte, spesso senza pareti, con soffitti improvvisati di ruggine e plastica. Con la planimetria disegnata da un telo buttato a terra che tutto raccoglie, tutti accoglie: le cose fatte e contraffatte. Le pose accartocciate di chi da una vita se ne sta a barattare; quelle abbarbicate di chi solo osa sostare: minuti o anni sulla soglia, a studiarsi le occasioni. A sfidare le intenzioni. È un teatro di sguardi ammiccati e di frutti ammaccati. Di colori congestionati. Profumi di non sai che. Fetori di vite rinnegate, fugate. Reclami. Filastrocche, stornelli. È un continuo issare di cose, di muscoli a farsi: torsi maschi scolpiti bagnati, e caviglie femmine d’argento a scampanellare. Semole in spalla e caschi di banane a quintali che s’incrociano veloci. E i desideri si sfiorano precoci tra carcasse rosso sangue e montagne di mutande. Di spezie e di possibilità, riflesse negli angoli del giorno. Queste fotografie ritraggono scene quotidiane del mercato centrale di Mysore, India, e sono state scattate in un giorno d’agosto del 2010 da una bottega di incensi ed oli essenziali al centro della piazza. L’effetto caleidoscopio è dato dal gioco di riflessi dei vetri delle bottiglie di profumo. Nessun ritocco digitale.

foto: Davide Fantoni testo: Davide Fantoni

foto: Davide Fantoni testo: Davide Fantoni








LE MANI BUONE


«La decisione di chiudere Fortunato l’aveva presa poco meno di una settimana prima, subito dopo che gli ultimi clienti si erano allontanati lungo il vicolo. Insieme a Teresa avevano fatto il giro degli interruttori, sprangato la porta, asciugato gli ultimi bicchieri, poi lei aveva sistemato la brace del fuoco e l’aveva raggiunto al tavolo centrale. Se ne erano stati per un po’ così, seduti davanti a uno dei tanti fiaschi vuoti, ognuno con lo sguardo perso dietro chissà cosa, illuminati solo dalla luce al neon dell’insegna della farmacia dall’altro lato della strada. Intorno tutto era immobile, solo le ombre seguivano il ritmo delle fiamme del camino, l’avresti detta una danza antica, senza musica. Succedeva spesso dopo la chiusura che se ne stessero per un po’ in quel modo, come per lasciare che si spegnesse l’eco della serata, roba di bere un goccio prima di andare a dormire, niente di più. Quella sera però era successa una cosa strana: Fortunato, nel suo girare lo sguardo intorno, si era sorpreso per un istante a guardarsi le mani e quello che aveva visto lo aveva lasciato quasi di sasso, stava lì che si guardava le mani perplesso e quasi non ci credeva, perché quello che vedeva erano le mani di un vecchio, ed erano le sue. Quando aveva alzato lo sguardo era come se fosse stato tolto un velo e tutto fosse invecchiato di colpo,

diventato antico. C’era stato un bel po’ in quel modo, come stupito, poi aveva incrociato lo sguardo di lei e tutto era stato immediatamente chiaro per entrambi. Quello che c’era da dire se l’erano detti in silenzio, non servivano parole: era la fine, tutto lì, si trattava solo di prenderne atto. Fortunato era uno che andava subito al succo della faccenda, non c’era da perdersi dietro nostalgie inutili, tanto valeva chiuderla lì, si era detto, con stile. “Quanto vino è rimasto?” “…stasera?” “No, nelle damigiane, quanto vino abbiamo in tutto?” “Boh… un po’, non so.” “Meglio così, non lo ricomprare”». Tratto da Saverio Minozzi, “Vino e donne dal 1913”.

foto: Damiano Minozzi testo: Damiano Minozzi










FITZGERALD. I TESORI NASCOSTI DI WILLIAMSBURG


Micheal e Hiroyo Fiztgerald sono una coppia di orefici che vive e lavora a New York. Micheal arriva a NY nel 1994 dopo aver studiato arte in Irlanda, giovanissimo inizia a collaborare con un architetto americano, ma dopo qualche anno decide di occuparsi unicamente di oreficeria. Circa 10 anni fa apre il suo laboratorio in una vecchia fabbrica di bottoni nella zona nord di Williamsburg (Brooklyn), diventando nel tempo un punto di riferimento per i designer del settore e un’ulteriore realtà all’interno di un quartiere che già da anni è fonte di ispirazione e teatro di progetti artistici e culturali. Tutta l’attrezzatura è stata studiata da Michael e Hiroyo, in particolare la forma dei tavoli agevola il lavoro di precisione e la sacca sottostante consente il recupero di materiale prezioso che potrebbe andare perso. Hiroyo, moglie di Michael - specializzata in anelli di fidanzamento - trasforma periodicamente la bottega in galleria ospitando artisti e in uno spazio dove tiene workshop ai quali gli studenti, se non hanno la possibilità economica di acquistare i materiali, sono invitati a portare gioielli smessi da fondere e ricreare.

foto: Enrico Brunetti testo: Enrico Brunetti








TAGLIA E CUCI


Questo è un mestiere che è uscito dalle case per affermarsi sempre di più grazie alla nostra continua smania di acquistare e di cambiare continuamente look. Noi, incapaci di tenere ago e filo in mano, ci affidiamo alle esperte delle macchine per cucire e degli spilli, che scendono dalle loro case in strada, aprendo continuamente botteghe ad ogni angolo della città. Tra una matassa colorata, fili, spille, stoffe di ogni tipo, ascoltano musica e chiacchierano fra di loro davanti alle loro macchine da lavoro. Sistemano, aggiustano, attaccano ma sono anche capaci di creare, appena ne hanno il tempo, ed esprimere la loro personalità.

foto: Antonella Finocchiaro testo: Antonella Finocchiaro








MAN@WORK


Qual è il significato di bottega oggi? È possibile riproporre in chiave contemporanea il senso tradizionale di bottega? Queste immagini possono far discutere su come la pratica artigiana possa essere continuata in un mondo ipertecnologico e dislocato come quello contemporaneo. Se la macchina ha ormai superato la mano, in precisione e affidabilità, e se il web sta divenendo il luogo delle nostre relazioni; quale senso ha ancora parlare del lavoro artigiano? E come proporre la validità del suo luogo? Si tratta forse di un modo per opporsi al progresso, un anacronistico ancorarsi a tradizioni passatiste? Guardando queste immagini, varie sono le sollecitazioni alla riflessione. Innanzitutto il volto: sembra tradire il piacere, oltre la difficoltà, del contatto fisico con la materia. La miriade di utensili rimanda a un apprendistato impegnativo che rinvia alla lunga e difficile pratica di bottega, cui dovevano sottostare gli artisti quando non era stata ancora tracciata la linea di confine tra arte e artigianato. Infine, l’accumulo di ritratti datati e di tracce non strettamente professionali richiama una stratificazione di esperienze che non sarebbe percepibile in un luogo più etereo. Forse allora si può tentare di rispondere alla domanda iniziale, lasciando comunque sempre aperto il campo ad altre repliche.

La bottega oggi potrebbe delinearsi come una forma di resistenza. Resistenza alla smaterializzazione dei contatti, sia con i materiali sia umani; alla perdita di memoria che il vivere fluido e frenetico comporta; all’appiattimento a cui la globalizzazione ci ha abituato. Dunque, questo artigiano, le cui mani spesso in primo piano ci raccontano di impegno e dedizione, e questo luogo, che conserva una storia di incontri ancora percepibili, possono divenire testimonianza di un’identità differente, che non è l’aura del marchio individuale né inutile campanilismo. Le foto sono state scattate nella bottega del tornitore Pietro Filoso a Trastevere, Roma.

foto: Prisca Tozzi testo: Mara Righini








ARTIGIANI EATALIANI


Giovedì 21 giugno 2012 ha aperto a Roma Eataly, il diciannovesimo e più grande al mondo. Che cos’è Eataly? La loro idea è semplice: “grandi luoghi conviviali dove il cibo italiano di alta qualità si può comprare, mangiare e studiare”. L’artigianato italiano torna così ad essere un valore, anche nelle città metropolitane. Un valore, ritrovato e rivisitato, in particolare grazie allo spazio dedicato, tra i produttori, ai piccoli artigiani e alla possibilità, data agli ospiti, di assistere alla lavorazione dei prodotti alimentari. Bottega: “piccolo esercizio commerciale, generalmente affacciato sulla pubblica via, composto da un ambiente deputato alla vendita e da un adiacente laboratorio artigianale ove si lavorano le merci”. Eataly, ad un ampio ambiente deputato alla vendita, affianca laboratori artigianali dove si lavorano – sotto gli occhi del pubblico - pane, pasta fresca, pesce, carne, mozzarella, birra, etc. Eataly riassume quindi per noi l’idea di bottega in chiave moderna.

foto e testo: Nina Baratta e Kuei Ying Proietti



















:nel prossimo numero

ricreazione

“pausa dallo studio o dal lavoro; distrazione, svago che ridĂ tono al fisico e allo spiritoâ€?.

manda il tuo progetto fotografico a campimagneticiphotomag@hotmail.com



:redazione Luigia Bersani Caterina Ciancaglioni Dorotea Ottaviani Kuei Ying Proietti Giulia Zevi :direttrice responsabile Luigia Bersani :foto e testi Nina Baratta Marco Norberto Bernabè Enrico Brunetti Gabriella Caponigro Davide Fantoni Antonella Finocchiaro Damiano Minozzi Davide Onorati Cora Presezzi Kuei Ying Proietti Mara Righini Rodolfo Rocca Danilo Salis Paolo Teta Prisca Tozzi :logo campi magnetici Maurizio Bonolis :grafica Dorotea Ottaviani :amministrazione a.c. Campi Magnetici :marketing Iliana Bersani Nadia Lateano :stampa Rotomail S.p.A. contatti: www.campimagneticiphotomag.com campimagneticiphotomag@hotmail.com registrazione tribunale

di roma n: 60 del 15.03.2012


Campi Magnetici Edizioni




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