Abuso/Riuso - Carlo Mossetti

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POLITECNICO DI TORINO II FacoltĂ di Architettura Corso di laurea specialistica in ARCHITETTURA a.a. 2012 / 2013

Relatori:

Alfredo Mela Massimo Camasso

Candidato:

Carlo Mossetti


Abuso/Riuso

Strategie responsabili nell’ambiente urbano

Politecnico di torino

II FacoltĂ di Architettura Corso di laurea Specialistica in ARCHITETTURA a.a. 2012 / 2013

Relatori:

Alfredo Mela Massimo Camasso

Candidato:

Carlo Mossetti


Indice

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Introduzione CAPITOLO I_______________________________________________________________ L’ABUSO Inquadramento della questione, regole, fattori

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ciclicità tempo/regole/sub-regole/super-regole

Leggi della tecnoscienza

stratificazione dei limiti/anelli di retroazione negativa struttura territoriale/relazioni funzionali/forma rete

Leggi del mercato marketing pubblicità/infrastrutture sociali credito obsolescenza programmata/usa e getta

Dimensione sociale evoluzione dell’approccio/sociologia spazialista-temporalista società delle reti/spazio delle reti percezione/rappresentazione dello spazio delle reti relazioni governance sintesi

La questione urbana transizione demografica inflazione urbana questione delle abitazioni la città diffusa/suburbanizzazione/periurbanizzazione piano regolatore concentrazione/dispersione fasi storiche neoliberismo/ekümenopolis

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22 23 24 25 26

28 29 30 31 33 34 37

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forze individuali/forze costanti continuità/discontinuità

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aree dismesse/rigenerazione urbana

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APPROFONDIMENTO I Il caso di Torino CAPITOLO II____________________________________________________________ IL RIUSO Rifiuti e dismissione 4 R

il problema del valore/memoria/abbandono/sostituzione città come caleidoscopio/città come palinsesto/tipologie

Strategie e strumenti nell’ambito del riuso programmi area based PPU/Urban/PIT/PISU PUC sintesi sussidiarietà/servizi non convenzionali modelli forme di integrazione funzionale opzioni strategiche “macro” e “micro” riuso Riuso e architettura Duisburg Landschaftpark Kokerei Zollverein Kulturbrauerei Spinnerei Amsterdam NDSM RDM Volkspalast Amsterdam Keetwonen M-Hotel MDJ panoramica sul “micro” riuso padiglione Germania 2012 Refunc Winter/Hörbelt/2012Architecten/Superuse Raumlabor IZMO

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73 74 75 76 80 81 83 83 85 88

90 91 93 94 95 96 97 101 102 104 105 107 108 109 110 111 112


Boxel/Rural Studio Tipologie e approcci

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Tabella di sintesi nel “macro” riuso

APPROFONDIMENTO II Riuso a Torino, introduzione ai Casi-Studio CAPITOLO III__________________________________________________________ CASI-STUDIO Scheda 1: Parco Dora Scheda 2: Ex-INCET Scheda 3: Bunker Scheda 4: Cecchi Point Scheda 5: Cortile del Maglio Scheda 6: Nietzsche Fabrik Scheda 7: CSOA Gabrio Scheda 8: CSOA Askatasuna Scheda 9: 30.000 Pizzas Scheda 10: In/Cubo Tabella sinottica Sintesi, introduzione alle matrici Matrice finalità Matrice modalità Matrice considerazioni / prospettive Conclusioni

Possibili applicazioni In/Cubo diffuso Sintesi

Note al capitolo I Note al capitolo II Bibliografia Tesi di Laurea Sitografia Filmografia Appendice Interviste

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Introduzione

La seguente tesi nasce dall’osservazione di alcuni aspetti caratteristici delle città del XXI secolo. La prima necessità è di mettere in luce criticità e punti di forza delle società del consumo, attraverso un’analisi interdisciplinare, rendendone ponderabile il costo sociale e le ambiguità. Lo sviluppo della tesi segue un processo deduttivo lineare che parte dall’analisi di alcuni aspetti di carattere teorico (Capitolo I-II), seguita da un apparato di indagine diretta, dal quale è possibile desumere una serie di caratteri progettuali e strategici di particolare rilevanza (Capitolo III).

zarli come punto di partenza per la stesura di un quadro ampio e strutturato. I punti di contatto tra il concetto e la disciplina architettonica si palesano nella scelta di alcuni casi studio, ritenuti emblema di determinate strategie o attitudini che caratterizzano la città postmoderna. Tali strategie sono di fatto il principale oggetto di studio, in quanto forniscono risposte e alternative al paradosso della crescita infinita. Lo strumento utilizzato per la raccolta di informazioni sui casi studio è, nei limiti del possibile, l’intervista diretta semi strutturata, in modo da avere un riscontro verosimilmente completo e affidabile.

Gli aspetti essenziali, approfonditi nell’incipit della parte teorica, attorno al quale ruotano le società basate su modelli di crescita/consumo, sono le leggi della tecnoscienza, le leggi del mercato, la dimensione sociale e la questione urbana. Queste quattro sfere di analisi collidono tra loro e mostrano legami intimi imprescindibili, tanto che è difficile stabilire dei limiti inequivocabili; d’altro canto proprio per la loro unitarietà e sinergia sono state scelte come “terreno” su cui iniziare la ricerca. Tale analisi permette una comprensione più completa del fenomeno e consente di introdurre la questione del riuso nella prospettiva corretta. Il campo analitico non va inteso come elemento ermetico: la trattazione non si pone di seguire rigidamente i quattro punti citati, bensì utiliz-

La ricerca parte dall’osservazione e l’atto di osservare, come qualunque altro, ha dei precisi confini nello spazio e nel tempo: gli aspetti spazio-temporali acquisiscono una certa “rilevanza strategica” nel contesto analitico. Heisenberg nel “principio di indeterminazione” (Heisenberg, 1926) afferma che il semplice fatto di osservare un fenomeno ne influenza in una certa misura lo sviluppo. Perciò diventa importante stabilire dei limiti di indagine, prima di procedere con l’analisi della questione abuso-riuso. Come stabilire questi confini? La parte iniziale del libro La città del ventesimo secolo (Secchi, 2005) è un esempio calzante della complessità che sta dietro la scelta

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di limiti temporali appropriati. L’autore fa riferimento a tre racconti riguardanti la medesima epoca, espressi facendo uso di tre chiavi di lettura differenti: il primo riguarda la città delle aspettative, generata dall’illusione di crescita continua e illimitata, che degenera poi nel timore della dissoluzione della città e della dispersione insediativa; il secondo racconta l’aspirazione tipicamente modernista di edificare una nuova società e un “nuovo uomo”, simbolo di una società protesa al cambiamento; il terzo fa riferimento alla dimensione del welfare e alla ricerca del benessere individuale e collettivo. Ad ogni racconto corrisponde un asse temporale diverso poiché ognuno pone l’accento su questioni differenti, ma allo stesso modo determinanti, di un’epoca.

Per quanto riguarda i limiti fisici-territoriali, si intende concentrare l’attenzione sui fatti riguardanti i paesi sviluppati (cosiddetto Nord del mondo), per il semplice fatto che il progresso trasversale li ha condotti al confronto diretto con il modello di consumo di stampo capitalista. Le questioni del Terzo mondo si ritengono una conseguenza più o meno diretta della cultura dell’abuso e del dualismo dell’economia-mondo capitalistica (Wallerstein, 1974), secondo cui il concetto di scambio ineguale condiziona i mercati a tal punto da generare pesanti squilibri tra diversi paesi del mondo, soprattutto se altamente specializzati in una sola produzione intensiva. Il punto di arrivo coincide con l’individuazione di alcune specificità della questione abusoriuso, capaci di fornire alternative o imprimere evoluzioni nei fatti architettonici. Le informazioni ottenute dalle interviste, effettuate a soggetti il cui operato li pone in contatto stretto con i temi d’indagine, costituiscono i singoli punti attorno a cui articolare ragionamenti e relazioni, in modo da costruire un quadro operativo maggiormente strutturato. Dalle informazioni sono anche desumibili una vasta gamma di caratteristiche proprie di ogni singolo caso studio. Tali caratteristiche, necessitano inevitabilmente di determinati connotati progettuali, per acquisire concretezza e validità strategica. L’analisi in questo senso, verte maggiormente su fattori ideologici e progettuali contenuti nella prassi architettonica.

Per analogia, i quattro centri di analisi citati all’inizio rappresentano le chiavi di lettura, e ad ognuna corrisponde un asse temporale variabile e distinto. Il “tempo dell’azione” sarà ridefinito di volta in volta. Occorre aggiungere che i presupposti analitici non sono di tipo storiografico, nel senso crono-metodologico del termine, bensì di tipo utilitaristico e comportamentale, basato su relazioni incrociate tra individui oggetti, dove con oggetto si intende qualunque cosa che produca un certo grado di utilità (dallo spazzolino da denti al quartiere urbano). L’epoca all’interno del quale tali confini temporali si muovono coincide con il momento di maggior diffusione degli oggetti, ovvero quell’epoca storica in cui le innovazioni della tecnica e la diffusione di know how hanno permesso al genere umano di massificare la produzione globale raggiungendo livelli (sia per quantità che per contenuti tecnologici) fino a poco tempo prima impensabili.

Il ponte tra teoria e pratica è la città di Torino, a cui viene dedicato un ampio approfondimento, e da cui è possibile sintetizzare in modo più dettagliato i frutti del percorso analitico della prima parte di tesi. Non a caso Torino 5


raccoglie la maggior parte dei casi studio analizzati;

dall’attacco al World Trade Centre, l’11 Settembre 2001. Questo tragico atto terroristico ha messo a fuoco lo stato di precarietà e incertezza dei destini umani. Nel terzo millennio, nato sotto l’egida di catastrofi naturali, mutano i copioni e le regie, i princìpi e i prìncipi, ma non cambia lo scenario: la città è il teatro delle metamorfosi geografiche e culturali in atto. La città del presente è complessa, destrutturata, caotica e vitale nonostante i lutti, le lacerazioni, le estensioni territoriali, le catastrofi naturali e le omologazioni etniche in corso. (Ceresoli, 2005, p.13).

La nuova scena urbana comprende la globalizzazione dell’economia, la terziarizzazione produttiva, il decentramento politico e urbanistico, l’esetetizzazione dei sobborghi. Nel presente, tramontato il modello fordista della produzione, prevalgono forme autonome di lavoro più complesse e flessibili, anche destabilizzanti. Le guerre imperialiste della nuova economia sono espressione di una politica economica e d’investimento, rallentata

Schema generale della struttura della tesi.

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Capitolo I

L’abuso

Sarajevo Fonti: Autore

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Inquadramento della questione, regole, fattori

Abuso (da latino abusus derivato da ab uti usare male) è un termine che indica un uso sbagliato (www.wikipedia.it, 2013)

poter effettivamente mettere in atto il meccanismo del progresso. Ecco perché esiste il parallelismo diretto fra società della crescita e società del consumo. (Latouche, 2006)

Abuso s.m. uso eccessivo, indebito o arbitrario (www.wordreference.com/it/, 2013)

L’utopia della crescita infinita ha condotto alla genesi un sistema economico e produttivo basato sulla quantità e sulla continuità. Tale sistema è stato via via migliorato per mezzo di varie strategie che appartengono ai più svariati rami disciplinari, evolvendosi in una macchina articolata e dinamica.

Abùso s.m. 1 Uso cattivo, illecito,smodato di q.c. fare - del fumo, dell’alcool. 2 Esercizio di un diritto in contrasto con lo scopo per il quale è stato attribuito | - di foglio in bianco, lo scrivere o far scrivere in un documento un atto privato o pubblico diverso da quello cui si era obbligati o autorizzati || -accio, pegg. (Zingarelli, 2010)

L’analisi prende proprio queste strategie come elemento d’indagine, utilizzando le rispettive discipline come chiave di lettura. [Fig.1.1].

Capire il senso della parola abuso è il punto di partenza della ricerca. Le tre definizioni proposte offrono uno spunto sul significato letterale, ma contemporaneamente sottintendono una quantità pressoché infinita di concetti. Uno solo di questi concetti è utile ai fini della ricerca ed è quello connesso con i caratteri che contraddistinguono la società della crescita. La parola abuso assume qui il significato di prodotto, di risultato ultimo di un modello culturale-societario, generato dalla coesione sinergica di determinati sistemi. Si parla di società della crescita, in quanto questa è stata di fatto fagocitata dall’economia della crescita e il consumo è una condizione necessaria per

In primo luogo troviamo gli aspetti scientificotecnologici, le leggi della tecnoscienza. Dalla prima rivoluzione industriale si è innescato un ciclo di innovazioni estremamente rapido. Da quel momento l’essere umano ha continuamente accresciuto determinate facoltà tecnico-scientifiche, acquisendo un potere produttivo e consumistico smisurato, se paragonato ai secoli passati. L’abuso antico, quello pre-industriale, non sarebbe mai stato in grado di aprire buchi nell’ozono o costruire giganti di 829,8m di acciaio vetro e cemento armato 1.

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In quarto e ultimo luogo troviamo la questione urbana, i fatti urbani 2 come manifestazione concreta di un modello societario, Il luogo fisico in cui si fissano imprescindibilmente le architetture che ne testimoniano le vicende, come fotografie sulla pellicola fotosensibile.

In secondo luogo troviamo la “mano invisibile dell’economia”, ovvero le leggi del mercato. Di fatto la società del consumo è per molti aspetti riflesso e oggetto delle strategie di mercato. Da questo punto di vista il marketing è lo strumento essenziale che consente al sistema dell’abuso di crescere e permanere. Tutto ciò ricade su un altro sistema, quello delle dinamiche sociali e culturali.

Questi quattro punti rappresentano i margini entro i quali si svolge l’analisi; la loro importanza è basilare e contengono molte informazioni utili per comprendere come si sia delineata la situazione attuale e, conseguentemente, come ragionare sulle possibili strategie e su quelle già in atto.

Il terzo punto, la dimensione sociale, raccoglie quella serie di implicazioni sul modo di vivere e sulle abitudini degli individui, causa e/o conseguenza dei fenomeni generati dalla società dell’abuso. Occorre riconoscere dietro diversi elementi, anche alcuni profondamente radicati nella cultura, l’intima connessione che li lega allo sviluppo di certi apparati (politici, modali, strategici).

Un aspetto interessante che riguarda direttamente lo sviluppo di questi quattro pilastri della società è la meccanica ciclica dei fenomeni che li interessano. Nel campo tecnologico e

Figura 1.1: Schema illustrativo del campo analitico. Fonti: Autore.

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scientifico troviamo per esempio la ciclicità dei fenomeni energeticamente dipendenti, caratterizzata dalla sempre maggior richiesta di fonti per sostenere un consumo sempre crescente; nelle dinamiche sociali e nel marketing troviamo la fortissima influenza dei cicli della moda, i quali si susseguono più o meno frequentemente portando repentini cambi nella domanda di beni; infine nella dimensione fisica della città prendono forma tutte le ciclicità che questa contiene, e solitamente vengono raggruppate e catalogate come fasi storiche, correnti architettoniche e via dicendo.

La validità del concetto di onda lunga è estendibile anche alle questioni produttive e sociali, in quanto l’economia ne è complementare: se esistono dei cicli che condizionano l’offerta significa che la domanda è in grado di adattarsi o è la domanda stessa a generarli. La domanda è a sua volta interpretabile come sintesi di numerosi processi politici, sociali, economici, individuali e molti altri di difficile riconoscibilità. Generalmente le onde si sovrappongono tra loro, in quanto si tende a evitare la fase di stagnazione “cavalcando” nuove onde, ovvero nuove fasi innovative. Ne consegue che il substrato fisico-sociale è soggetto ad una crescita quantitativa-qualitativa continua, in un contesto di moltiplicazione più o meno costante di relazioni. Questa dinamica sta alla base della società della crescita e dei consumi. Il problema è che, mentre da un lato la velocità di produzione ha conosciuto incrementi drastici, dall’altro la velocità di consumo ha incontrato dei limiti fisici invalicabili: è possibile convincere la popolazione a mangiare più hamburgher (tra 30% e 40% dell’obesità mondiale è concentrata negli U.S.A.) 3, ma non si

Nel 1926 N. Kondratiev ipotizzò l’esistenza di cicli di espansione e declino dei processi economici, chiamati onde lunghe, o onde K, della durata di circa cinquanta-settanta anni. Secondo questa teoria ogni onda è costituita da quattro fasi successive temporalmente distinte:

* *

fase innovativa, in cui entra in gioco un nuovo fattore di sviluppo; fase espansiva, che corrisponde al momento di diffusione tra i soggetti dell’elemento di novità;

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maturità, momento in cui tale novità raggiunge il massimo livello di diffusione;

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stagnazione, conseguenza del fatto che l’adozione da parte della maggior parte dei soggetti di un determinato input ne diminuisce i vantaggi relativi. (Mela, 2006) [Fig.1.2] Figura 1.2:

Schema illustrativo delle quattro fasi che contraddistinguono un’onda lunga. Fonti: Autore.

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Figura 1.3: Schema che illustra il meccanismo di crescita ciclica dell’ambiente urbano, in relazione alle onde lunghe.

Al crescere delle funzioni crescono le relazioni e dipendenze, le quali generano a loro volta nuove funzioni. La ciclicita’ dei fenomeni implica, almeno in linea teorica, la crescita infinita del sistema. Cio’ non puo’ accadere nelle citta’ per ovvi motivi spaziali, anche se esistono megalopoli di 25 milioni di abitanti (Citta’ del Messico ad esempio). Fonti: Autore.

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può andare troppo oltre. La crescita e il consumo illimitato di risorse non sono fisicamente ammissibili. Perciò il problema del tempo acquista sempre maggiore centralità: è proprio in esso che risiede la causa della difformità fra produzione e consumo. Per esempio, nel 1725 servivano cinque filatori per gestire un telaio manuale e 100 libre di cotone costavano 100000 ore di lavoro; nel 1825 un solo uomo poteva controllare contemporaneamente 2 telai meccanici e 100 libre di cotone costavano appena 135 ore di lavoro (Hudson, 1995). In pratica il tempo impiegato dai filatori del 1725 per produrre 100 libre di cotone corrispondeva a quello impiegato dai filatori del 1825 per produrne circa 75000. Il rapporto è 750 a 1.

co, dal mercato, dalla politica e molto altro. Tale insieme, definito come insieme delle sub-regole, diventa col passare dei decenni sempre più centrale nella questione produttiva, fino a diventarne il punto di riferimento. Il problema sta proprio nel distacco di queste ultime dalle leggi naturali, definito come insieme delle regole, che genera disequilibrio e asincronia: le sub-regole costituiscono un sistema a sé stante, basato su relazioni interdisciplinari, che si regola a prescindere dal sistema ambientale e dall’ecosistema globale. Occorre aggiungere che molte regole che stanno alla base delle società non sono poi tanto differenti da quelle della biologia elementare: vi è una serie di direttrici di crescita e sviluppo affiancate da un meccanismo di assorbimento-elaborazione-consumo di risorse. Il tutto avviene in un contesto dove vigono dei sistematismi basati su rapporti causa-effetto. Queste regole sono di fatto alcune delle leggi naturali citate sopra, ma la cui validità è estendibile anche dopo la rivoluzione industriale. Le definiamo “super-regole” nel senso che non cessano di esistere.

Nel passato vi erano pochi filtri fra uomo e natura, proprio perché il livello tecnologico era molto inferiore rispetto a quello odierno. L’oscillazione attorno al potenziale naturale degli elementi era minima. La resa di un campo agricolo o la velocità di un trasporto qualunque dipendevano dal tipo di vegetale, dalla terra, dal clima e dalle gambe di un mulo. La velocità di produzione e quella di consumo erano rapportabili e il valore degli oggetti e del lavoro umano erano estremamente diversi da oggi. La progressiva diminuzione dei tempi necessari a produrre un manufatto ha lentamente slegato la produzione dal contesto naturale, ponendola in conflitto con essa sotto molti aspetti. Così anche la relazione intrinseca tra uomo e natura viene sempre meno.

Il concetto di super-regola affonda le sua radici nel filone ecologico della sociologia e nella scuola durkheimiana e corrisponde grossomodo al livello biotico dell’agire umano, individuato da Robert E. Park (Park, Burgess, McKenzie, 1999) nello studio del concetto di ecologia umana. Il livello biotico costituisce una sorta di base attitudinale su cui si innesta il livello culturale, che determina le differenze di scelta e di comportamento tra individui. (Mela, 2006). Questa semplificazione molto schematica di un fenomeno dalla portata globale può sembrare semplicistica e riduttiva, e non

Dall’insieme di leggi naturali si genera un altro insieme di leggi che dipende essenzialmente dalle facoltà umane, dal progresso tecnologi12


avanza specifiche pretese o ipotesi sul piano accademico. Si tratta di una modellizzazione concettuale utile soprattutto per la comprensione del passaggio logico che intercorre tra i processi derivanti dallo “stile di vita passato” e quelli dello “stile di vita presente”. Questo passaggio, da un sistema unico autoregolato ad una coesistenza di due sistemi contrastanti (società del consumo e ambiente naturale, urbano e sociale, lette come le rispettive trasposizioni di sub-regole e regole), testimonia una tendenza diffusa, antropocentrica e antropizzante, che pone l’uomo e il progresso al centro del dibattito. Fino alla fine degli anni ‘70 del ventesimo secolo questa tendenza non è stata smentita. Con il rapporto intitolato “limit to growth” (Meadows D. e D., Randers, Behrens III, 1972) emergono degli aspetti cruciali dal modello economico, politico e sociale basato su crescita e consumo. Il lavoro svolto dai coniugi Meadows e dal loro team mette in luce le criticità che derivano dai concetti di crescita infinita, ponendo le basi per una nuova riflessione, che accompagnerà in maniera più o meno discontinua le decadi successive, alimentando timori e inquietudini sul modello capitalista. Da questo momento in poi, come si vedrà più dettagliatamente nel Capitolo II, si comincia a delineare l’ipotesi di uno “stile di vita futuro”, basato su nuove prospettive e nuove necessità. Prendono forma nuove strategie e nuovi sistemi, supportati da enti specifici, associazioni e istituzioni, in grado di apportare sostanziali cambi di tendenza. L’ambiente urbano, così come quello naturale, seppure con maggiore ritardo, prende gradualmente posizione nel dibattito, fino a diventare uno dei temi centrali negli ultimi decenni. Città, riuso, riciclo, rigenerazione diventano associazioni frequenti a livello bibliografico e

mediatico, sintomo dell’acuirsi di certe problematiche, ma anche dell’approfondimento sistematico nello studio dei fattori che gravitano attorno alla condizione urbana del XXI secolo.

Figura 1.4: Schema di sintesi. Fonti: Autore. 13


Leggi della tecnoscienza

La trattazione del seguente argomento richiede una precisazione iniziale: le relazioni che nascono da fattori evolutivi di carattere tecnico, tecnologico e scientifico, vengono qui trattate con un chiaro riferimento al loro funzionamento sul piano economico. Il cuore dell’analisi non concerne la struttura evolutiva impostata da certi apparati tecnici, bensì la sommatoria di tutti queste strutture, “sovrapposte” alle logiche della produzione, del consumo, del mercato. In secondo luogo occorre spiegare perché è opportuno parlare di tecnoscienza.

flessione si è lentamente orientata sul “come” realizzare il progresso, piuttosto che sul “perché”; si è perso di vista il costo sociale e le conseguenze ambientali delle azioni umane e la chiave di lettura caratterizzata dal breve periodo ha prevalso su quella del lungo periodo. I due significati possono essere contestualizzati in due assi temporali distinti: la tecnica, come progresso tecnologico, si sviluppa esponenzialmente dalla prima rivoluzione industriale ad oggi; la scienza, come fatto cognitivo, acquista centralità a fasi alterne e a periodi discontinui, ma dagli anni ‘70 ad oggi è stata più o meno largamente accettata come parte fondamentale della questione. Il lavoro commissionato dal Club di Roma 4 rappresenta una tra le più valevoli testimonianze dell’impegno scientifico nei confronti dello studio della società del consumo. In “I nuovi limiti dello sviluppo” (Meadows D. e D., Randers, 2006) troviamo ulteriori upgrades del modello usato per elaborare i possibili scenari futuri, chiamato World3 5. Questo studio contiene una serie di concetti, riferiti appunto al rapporto tra tecnologia e mercato, dall’importanza basilare. Nel capitolo tecnologia, mercato e superamento dei limiti (Meadows D. e D., Randers, 2006, pag. 245) viene delineato puntualmente il ruolo che svolge il progresso tecnologico nella società moderna.

La parola tecnoscienza racchiude in sé una dicotomia nel significato: la “tecnica” intesa come la facoltà umana di mettere a punto sistemi e strategie sempre più performanti, che fa riferimento all’esperienza empirica; la “scienza”, interpretata con la particolare accezione di “conoscenza” dei fenomeni che circondano l’essere umano. (Israel, 1998) La duplice valenza di questa parola sottolinea due caratteri che non hanno conosciuto uno sviluppo parallelo nel tempo: la mera tecnica, soprattutto agli albori del l’industrializzazione, ha soffocato gli aspetti cognitivi sfociando nell’ipertrofia dei fattori produttivi e nella diffusione massiva del capitale tecnologico, sotto l’egida del progresso e del consumo. La ri-

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L’innovazione tecnica ha inizialmente svolto il ruolo di elemento scatenante, soprattutto durante le rivoluzioni industriali. Le invenzioni sono state la scintilla che ha fatto esplodere il fenomeno dell’industrializzazione e del capitalismo. Tale ruolo però è cambiato radicalmente nel tempo e quello attuale è strettamente connesso con ciò che i coniugi Meadows definiscono stratificazione dei limiti: [..] se si elimina o si sposta verso l’alto un limite e si continua a crescere, si incontra un altro limite. E il limite successivo, specialmente se la crescita è esponenziale si presenterà ben prima di quanto si creda.(Meadows D. e D., Randers, 2006, pag. 267)

produttori sostituiscono la risorsa scarsa con una risorsa più abbondante e ricorrono maggiormente al riciclaggio. I consumatori utilizzano meno prodotti contenenti quella risorsa o la impiegano in modo più efficiente. I tecnici sviluppano dispositivi di controllo dell’inquinamento, trovano luoghi in cui confinare l’inquinante, inventano processi di produzione che non emettano affatto quell’inquinante.

*

Le risposte dal lato della domanda e dal lato dell’ offerta competono sul mercato, e l’interazione tra compratori e venditori che vi ha luogo determina quali tecnologie e quali modelli di consumo possono risolvere il problema con la massima velocità ed efficienza e a costi più bassi.

Il ruolo della tecnologia nella società moderna è fondamentalmente quello di spostare progressivamente i limiti dello sviluppo più avanti nel tempo. Le modalità ideali con il quale ciò dovrebbe avvenire sono espresse dal seguente schema per punti:

*

Alla fine il problema è “risolto”. Il sistema ha superato quella particolare scarsità, o ha ridotto i danni prodotti da quell’inquinante.

*

Tutto ciò può essere realizzato a un costo che la società è disposta a pagare e avviene abbastanza rapidamente da evitare danni irreparabili. (Meadows D. e D., Randers, 2006, pag. 249-250)

*

Si presenta un problema di limiti: una risorsa diventa scarsa o un inquinante comincia ad accumularsi;

*

Il mercato fa sì che il prezzo della risorsa scarsa aumenti rispetto a quello di altre risorse, o che l’inquinante cominci a generare costi che portano all’aumento del prezzo dei prodotti e dei servizi che lo contengono o ne fanno uso;

Modelli di questo tipo vengono definiti anelli di retroazione negativa (cicli di feedback negativo), in quanto costituiscono catene causali innescate per invertire una tendenza e ripristinare l’equilibrio. [Fig. 1.5]

*

L’aumento del prezzo suscita risposte. Vengono fatte prospezioni geologiche per trovare ulteriori quantità della risorsa, o ricerche biologiche per selezionarla, o sperimentazioni chimiche per sintetizzarla. I

Tuttavia si basa sul presupposto che le interazioni fra economia e tecnologia si svolgano in maniera perfetta; inoltre si considera il sistema mondo nella sua unitarietà, senza prendere atto del fatto che spesso i problemi di scarsità 15


di risorse e inquinamento compaiono in paesi che hanno già problemi di bilancio, debito pubblico e aggravanti di natura economica. Infine, il modello riduce semplicisticamente ad un unica, “singola, miracolosa variabile aggregata detta tecnologia” (Meadows D. e D., Randers, 2006, pag. 251) ogni adattamento di retroazione negativa. Anche nel più florido degli scenari elaborati dal programma World3 [Fig.1.6], scenario contraddistinto dall’ipotesi che all’inizio del XXI secolo venga messo in atto un programma di eco-efficienza formidabile, si giunge ad un collasso nel terzo quarto del secolo portato dai costi troppo elevati del piano. In molti casi, come in quest’ultimo scenario, il crollo del sistema ipotetico non è causato da una carenza di terra, alimenti, risorse o modi di assorbire l’inquinamento; quello che viene meno è la capacità di fare fronte ai problemi, concetto che dipende da fattori di natura competenziale, motivazionale, economica, istituzionale e da molti altri, tra cui il tempo che l’umanità ha a disposizione per risolvere determinati problemi. E la crescita esponenziale lo riduce ulteriormente. Occorre puntualizzare altre due grandi vulnerabilità delle tecnologie: mercati e tecnologie sono

strumenti asserviti a degli scopi (solitamente di natura economica); i meccanismi di adattamento tecnologico hanno dei costi e tali costi seguono andamenti non lineari: Si può anche riuscire a dimezzare le emissioni inquinanti per autoveicolo, ma, se il numero di autoveicoli raddoppia, occorre dimezzare di nuovo le emissioni per autoveicolo per mantenere la qualità dell’aria al livello prima. Due raddoppi richiedono un abbattimento delle emissioni del 75%, tre raddoppi richiedono l’87,5%. Perciò, a un certo punto, non è più vero che la crescita consente a un’economia di diventare abbastanza ricca da sopportare i costi di eliminazione dell’inquinamento. In realtà la crescita spinge un’economia lungo una curva dei costi non lineare fino a che ogni ulteriore abbattimento diventa troppo costoso. A quel punto, una società razionale smetterebbe di espandersi, visto che crescere ancora non farebbe aumentare il benessere dei suoi membri. (Meadows D. e D., Randers, 2006., pag. 269, 270) Nonostante ciò la ricerca svolta dal team di economisti del MIT conferma che i cicli di re-

Figura 1.5: Schema sintetico degli anelli di retroazione negativi. Fonti: Autore. 16


troazione negativa esistono su scale e livelli differenti e svolgono un ruolo essenziale nel quadro complessivo, soprattutto per un’altra loro criticità: contengono informazioni distorte e ritardi insiti nella risposta del mercato e della tecnologia e possono diventare essi stessi fonte di instabilità. Un caso emblematico sono le oscillazioni del prezzo del petrolio dopo il 1973. In quell’anno i pozzi petroliferi operavano oltre il 90% delle loro potenzialità. Ogni calo di produzione non poteva essere compensato e ciò diede l’opportunità ai paesi dell OPEC di alzare i prezzi, cosa che avvenne anche nel 1979. L’incremento di capitale consentì di potenziare la filiera aumentando la capacità produttiva. Ma questo procedimento richiese molto tempo. Contemporaneamente la domanda reagì all’aumento del prezzo diminuendo i consumi e puntando sul risparmio. Le case automobilistiche iniziarono a produrre veicoli meno consumanti, i governi cominciarono a regolamentare i consumi e i produttori di energia elettrica si orientarono verso altre fonti. Solo dopo dieci anni l’offerta di petrolio riequilibrò la domanda. Nel 1983 però il consumo di petrolio era sceso del 12% rispetto al 1979 e l’OPEC dovette dimezzare la capacità estrattiva per contenere lo scivolamento dei prezzi, che comunque crollarono fino agli anni Novanta. (Meadows D. e D., Randers, 2006., pag. 273) Così vennero lentamente accantonati i propositi di risparmio energetico e abbandonate diverse strategie. [Fig.1.7] Tutte queste variazioni sono state di fatto frutto di inevitabili ritardi che condizionano le relazioni tra tecnologia e mercato.

Figura 1.6:

Scenario 6 elaborato dal programma World3. Nel mondo simulato vengono sviluppate efficaci tecnologie che, permettono di abbattere l’inquinamento, aumentare le rese della terra, salvaguardare i suoli e risparmiare risorse non rinnovabili. Si suppone che queste tecnologie comportino dei costi e richiedano vent’anni per giungere a piena attuazione. Esse permettono al mondo simulato di crescere e prosperare finchè a causa dell’accumularsi dei costi di tali tecnologie, il benessere decade. Fonti: Meadows D. e D., Randers, 2006, pag. 265.

Alla luce di ciò diventa estremamente difficile guardare la tecnologia come fattore che da solo è in grado di rimediare ai problemi causati 17


dalla società del consumo. Ne è peraltro la causa scatenante e resta un fattore decisivo nella sua perpetrazione, essendone funzionale. La dualità tecnologia-mercato si traduce in tecnologia-progresso per semplice analogia, (il progresso si manifesta attraverso il mercato). Non è da escludere però che si creino nuovi rapporti tra tecnologia e giustizia sociale o benessere, qualora questi divenissero scopi primari.

[..] Tutti gli ambiti della vita umana, compresi i più intimi, sono stati in realtà investiti dalla diffusione del progresso tecnico, rendendo progressivamente inutilizzabili attrezzi, manufatti e modalità d’uso ormai “superati” e riempiendo la nostra vita e le nostre abitazioni di prodotti e marchingegni sempre più complessi. (Viale, 2011, pag. 8). Alcuni di questi prodotti e marchingegni hanno aperto le porte ad altri tipi di relazioni. Le modalità con cui tali relazioni si evolvono dipende da diversi elementi. La geografia economica ci fornisce un quadro abbastanza completo della struttura di queste relazioni:

Ma per comprendere appieno il significato della tecnologia nel contesto architettonico e urbanistico bisogna necessariamente fare un passo indietro. La tecnica è in grado di mettere in gioco continuamente nuovi sistemi e processi di produzione che potenziano oggetti o ne sostituiscono di vecchi con nuovi e più efficienti. La dinamicità intrinseca nel concetto di progresso tecnologico si ripercuote drasticamente sulle esigenze e sui costumi delle persone.

Figura 1.7: Grado di utilizzazione

Nella tradizione degli studi economici si distinguono, in particolare, tre tipi di rapporti tecnico funzionali:

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verticali, allorché una serie di processi produttivi sono legati l’uno all’altro in

della capacità produttiva petrolifera nei paesi dell’OPEC e prezzi mondiali del petrolio.

Fonti: EIA/DOE.

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successione e contribuiscono alla graduale trasformazione della materia prima in prodotto finito [..];

terminati insediamenti. Una gerarchizzazione analoga è descritta dal concetto di struttura territoriale [Fig.1.8]: i diversi soggetti economici sono legati tra loro da relazioni orizzontali, mentre sono connessi con le caratteristiche proprie del territorio a cui appartengono attraverso relazioni verticali. (Conti, Dematteis, Lanza, Nano, 2006)

*

laterali, allorché le imprese producono certi componenti o servizi destinati a convergere verso un’unica impresa di assemblaggio [..];

*

di servizio, quando le imprese utilizzano un processo o servizio comune fornito in una determinata area. (Conti, Dematteis, Lanza, Nano, 2006, pag. 159)

La quantità, variabilità e intensità di relazioni orizzontali determina la formazione di una struttura territoriale la quale morfologia è definibile come forma-rete [Fig. 1.9]. (ivi. pag. 29) Questo tipo di connessione non ha un valore deterministico, essendo una rappresentazione schematica di un fenomeno comprensivo di svariati fattori, e non è legato esclusivamente a fattori produttivi, in quanto politica, cultura e fatti storici risultano determinanti nella gerarchia dei poli. Occorre aggiungere che le relazioni orizzontali sono generalmente flessibili e mutevoli, mentre quelle verticali sono molto più statiche e durature nel tempo, ma,

Questo insieme di lacci che collega l’apparato produttivo fa si che l’estensione fisica delle aree dedicate a questa funzione seguano uno schema ben preciso. E tale schema trova riscontri anche sul territorio. Per esempio, la scelta di separare le attività d’ufficio da quelle produttive, solitamente delocalizzate, genera sul territorio un effetto immediato, modificando profondamente la morfologia e l’assetto di de-

Figura 1.8: Schema sintetico di una generica struttura territoriale. Le relazioni verticali legano i luoghi fisici ai soggetti, le relazioni orizzontali mettono in relazione tra loro idiversi soggetti. Fonti: Autore.

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cosa più importante, anche se una relazione verticale viene meno, i segni fisici sul territorio permangono a tempo indeterminato. Fenomeni come la riqualificazione delle periferie industriali, la gentrification, la rigenerazione urbana, costituiscono delle modalità d’azione specifiche, volte a relazionarsi con i lasciti di un sistema di produzione e consumo che ha generato determinati squilibri nell’architettura delle città sviluppate. I punti di contatto tra le leggi che governano la tecnoscienza e le questioni architettoniche sono molteplici. Le innovazioni che hanno portato la modernità e i nuovi stili di vita (igiene, comfort, cultura, trasporti), ma anche le nuove

realtà sociali e povertà urbane, hanno trasformato l’ordine spaziale e sociale delle città, in ragione della normalizzazione, gerarchizzazione e standardizzazione (Secchi, 2000). Tuttavia, ridurre a meri rapporti causa-effetto le questioni che riguardano queste due discipline sarebbe una semplificazione eccessiva. La tecnologia esercita alcune influenze dirette, ma quelle di rilevanza analitica sono soprattutto indirette e riguardano lo sviluppo della morfologia delle città in funzione dei modelli che si sono consolidati dall’industrializzazione in poi. Esistono delle connessioni tra tecnologia e consumo, ma passano attraverso altri fattori

Figura 1.9: Reticolo urbano della pianura padana, modello policentrico trans-connesso. La maggiore intensità nei collegamenti è tra Torino e Milano. Fonti: Dematteis, Emanuel, 1990.

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come il mercato: sono, per esempio, le strategie economiche a determinare in larga parte i destini degli insediamenti urbani, dal momento che anche la pianificazione urbana presuppone, logicamente, il funzionamento del sistema di scambio delle merci. Ad ogni modo il ruolo del progresso tecnologico e scientifico in relazione all’industrializzazione e alla città è descritto da Henry Lefebvre attraverso i processi congiunti di implosione e esplosione (ovvero concentrazione e dispersione, come si vedrà in seguito) (ivi. pag. 47).

mostro che divora gli esseri umani (Governa, Memoli, 2011, pag. 57). Gli scritti di Marx e Engels, ma anche capolavori del cinema come Metropolis (Lang, 1927), toccano frequentemente queste riflessioni. Allo stesso tempo la città industriale può essere letta come modello positivo capace di riconosce i valori di libertà, diversità e modernità, in grado di esaltare le prospettive legate all’emancipazione sociale, alla produzione culturale e artistica, tecnologica e innovativa, rendendo la città il luogo di espressione, attore e contesto.

L’industria [..] fa crescere la città a dismisura, ma in un’esplosione delle loro antiche caratteristiche [..] l’uso e il valore d’uso sono scomparsi [..]. Con questa generalizzazione dello scambio, il suolo è diventato merce, lo spazio indispensabile per la vita quotidiana si vende e si acquista. Tutto ciò che fa la vitalità della città come opera è scomparso davanti alla generalizzazione del prodotto. [..] Da un lato si istituiscono centri di decisione dotati di poteri ancora sconosciuti, poiché si concentrano la ricchezza, la forza espressiva, l’informazione. Dall’altro, l’esplosione delle antiche città permette processi multiformi di segregazione; gli elementi della società sono impietosamente separati gli uni dagli altri nello spazio. (Lefebvre, 1970, pag. 71-72)

Le “due facce della medaglia” trovano un nesso logico nella sintesi di Georg Simmel, contraddistinta dall’idea che la metropoli rappresenti il luogo della società in cui l’uomo gode della maggior liberà possibile proprio in virtù del distacco, dell’anonimato e dell’indifferenza delle relazioni che avvengono all’interno di essa. (Simmel, 1997)

In sintesi l’industrializzazione ha subordinato il valore d’uso a quello di scambio e ha dato origine ad un tipo di urbanizzazione “disurbanizzante e disurbanizzata” (Governa, Memoli, 2011). La città industriale può così essere considerata come un fatto negativo, contraddistinto da fenomeni di ineguaglianza, povertà, sfruttamento, quindi immoralità e degenerazione che sfociano nell’archetipo della città 21


Leggi del mercato

Marx aveva descritto il passaggio dal circuito M-D-M (merce, moneta, merce) al circuito D-M-D1, dove D1 è maggiore di D: il circuito tipico dell’accumulazione nel quale il bene economico concreto diventa un puro mezzo per attivare il processo di accumulazione del denaro. Oggi il circuito si è semplificato, facendo a meno della mediazione, e attivando quella che Elias Canetti chiamerebbe una “muta di accrescimento”: la produzione di moneta attraverso la moneta: D-D1. Attraverso questo processo il capitalismo raggiunge la sua forma più essenziale. Quella della mercatizzazione, non delle ricchezze presenti, ma di quelle inesistenti: le ricchezze del futuro. Con ciò esso attinge i limiti della sua potenza e del suo principio vitale: l’impulso ad accumulare, che non ha più bisogno di un oggetto concreto: diventa un puro potere di disporre. (Ruffolo, 2006, pag. 6)

[..] abbiamo bisogno di qualcosa che è andato perduto nella frenesia di rifare il mondo: il senso del limite, la consapevolezza dell’importanza delle risorse della Terra. Stewart Udall, 1980 Come visto in precedenza, la società del consumo è caratterizzata dal dualismo tecnologia-mercato. Lo sviluppo della tecnologia, ha permesso finora di allontanare i limiti dello sviluppo, sostituendo risorse scarse con risorse più abbondanti; il sistema dei prezzi costituisce un indice di scarsità atto a promuovere le sostituzioni. (Ruffolo, 1994) Il mercato si inserisce nel quadro complessivo come strumento ordinatore dei flussi economici. La lettura del mercato consente di assumere determinate strategie produttive, economiche e politiche, atte a favorire un evento piuttosto che un altro, solitamente con lo scopo finale di accumulare sempre maggior capitale. D’altro canto, l’intento della tesi non è un trattato economico, pertanto l’analisi si concentra su quegli aspetti puntualmente localizzati della logica di mercato che più incidono sui fenomeni legati alla crescita e al consumo. L’evoluzione del sistema mercato avvenuta negli ultimi decenni è espressa molto bene dalla seguente formulazione di Giorgio Ruffolo:

Il credito al consumo, come vedremo successivamente, combacia perfettamente con il concetto di muta in accrescimento sopra illustrato. Si assiste ad una progressiva capitalizzazione del mondo che, esaurito lo spazio, si appropria anche del tempo; i mercati ormai saturi si scontrano con la sovrapproduzione e comincia quella grande competizione, dove alcune economie riescono a cavarsela, ma per il mondo nel suo complesso questa

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strada porta in un vicolo cieco, in quanto le esportazioni degli uni sono necessariamente le importazioni degli altri. E’ un gioco a somma zero. (Latouche, 2013, pag. 16) Inoltre è’ facilmente intuibile che una società in continua crescita richiede continui consumi; se la crescita rallenta il sistema entra in crisi. Tale presupposto fa della società della crescita un gabbia d’acciaio, celebre espressione di Max Weber 5.

di bellezza, di utilità, di irrinunciabilità associata a determinate cose. Lo scopo è l’accumulo di capitale, attraverso la manipolazione dell domanda, in modo da alimentare e sostenere il meccanismo che si trova alla base delle società del consumo. Di fatto la pubblicità omette con particolare cura i processi oggettivi, la storia sociale degli oggetti, solo per poter meglio imporre, attraverso l’istanza sociale immaginaria, il sistema sociale di produzione e sfruttamento. (Baudrillard, 1987, pag. 98)

Dunque la necessità maggiore che interessa l’economia di mercato ad oggi è l’esercizio di influenze sulla domanda per mantenere in vita la crescita. La risposta a questa necessità è fornita dal marketing, ovvero da quell’insieme di strategie economiche, volte al soddisfacimento di un obbiettivo o al raggiungimento di uno scopo prefissato. Nello specifico, di queste strategie, ve ne sono tre che rivestono un’importanza basilare:

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la pubblicità; il credito al consumo; l’obsolescenza accelerata e/o programmata.

Inoltre il consumatore è mediamente ignaro del “bombardamento” di stimolazioni a cui il suo cervello è continuamente sottoposto. Si calcola che ogni persona riceva in media 3.000 stimoli pubblicitari al giorno (Trotta, 2002). Del resto la pubblicità, sottolinea Latouche, costituisce il secondo bilancio mondiale dopo gli armamenti:

300 miliardi di dollari negli Stati Uniti nel 2007, 15 miliardi di euro in Francia nel 2003. Nel 2004 le imprese francesi hanno investito 31,2 miliardi di euro per la comunicazione (cioè il 2% del PIL e tre volte il deficit della protezione sociale!). A livello mondiale la spesa pubblicitaria arriva alla cifra colossale di più di 1000 miliardi di dollari l’anno. (Latouche, 2013, pag.23)

La prima genera il bisogno, il secondo fornisce i mezzi e la terza rinnova la necessità. (Latouche, 2013) La pubblicità è una pratica sociale volta all’esibizione di contenuti simbolici, con funzioni di persuasione o di socializzazione, solitamente realizzata nel contesto di un più vasto scambio di stampo economico e/o comunicativo.(Abruzzese, Colombo, 1994)

La pubblicità ha contribuito largamente a creare una barriera sempre più alta, rinnovandola ogni giorno, tra il nuovo e l’usato. (Viale, 2011, pag. 10) Questo meccanismo incrementa ulteriormente il consumo e l’inquinamento,

La pubblicità serve a formare i gusti e influenzare le percezioni. Lo fa attraverso l’illusione 23


facendo contemporaneamente aumentare la domanda dei beni desiderati e abbattendo il valore di quelli “datati”, che finiscono inevitabilmente tra i rifiuti.

Le infrastrutture sociali sono il bacino relazionale più strutturato a cui la pubblicità può attingere. Sono così definite:

Poiché non si limita a vendere prodotti, ma veicola e impone immagini, sogni, stili e modelli di vita idealizzati, la pubblicità è spesso vista come una pericolosissima tecnica di “propaganda in favore dei beni di consumo”. La sua funzione fondamentale, infatti, consiste nell’innescare sempre nuovi desideri (che possono tendere, però, a tramutarsi in ansie) negli individui. Le va, comunque, riconosciuto il merito di aver velocizzato l’introduzione di nuove tecnologie ad una cerchia sempre più ampia di consumatori, allargato i mercati, ridotto il prezzo dei beni di consumo, accelerato i cambiamenti. (Trotta, 2002, pag. 28)

Rete territoriale di servizi sociali che funzionano come mezzi di consumo collettivo [..] senza i quali non sarebbero garantiti i livelli qualitativi minimi del lavoro, necessari per le funzioni produttive di un dato territorio [..]. Le infrastrutture presentano inoltre le seguenti caratteristiche: sono strutture territoriali; sono beni non escludibili; sono sovente indivisibili; non danno profitti. (Conti, Dematteis, Lanza, Nano, 2006, pag.13-14) La rete stradale, per esempio svolge la funzione primaria di collegamento; è un’infrastruttura sociale continuamente percorsa da individui. La pubblicità si appoggia a questa rete per lanciare messaggi attraverso cartelloni pubblicitari, maxi-schermi, volantini, input visivi e sonori di ogni genere, fino ai loghi sui sacchetti della spesa. Ad oggi, le modalità di comunicazione pubblicitaria principali, così come si sono configurate, sono:

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il cinema internet altri (direct marketing..)

Il modo in cui tali modalità vengono attuate dipende da vari fattori. Ad esempio, il tempo è un fattore che incide largamente sulle campagne pubblicitarie, basta pensare alle fasce orarie televisive. Così ad ogni utenza corrisponde una categoria di pubblicità prestabilita.

Questo sistema sfocia in quella che si definisce obsolescenza simbolica/psicologica. (Latouche, 2013) Il modello Detroit 6 testimonia il successo delle strategie di marketing basate su fattori di questo tipo.

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La pubblicità riesce ad elevare non solo caratteristiche estetiche, ma anche comportamentali, come privilegiare un determinato mezzo di trasporto piuttosto che un altro. In quest’ottica, la moda, intesa come modello estetico-comportamentale indirettamente imposto sulla popolazione da determinate dinamiche, dipende fortemente dalla pubblicità. Ciò non ha un’accezione prettamente negativa: se la moda genera miglioramenti obbiettivi sul comportamento degli individui sarà sicura-

la stampa la televisione la radio e le affissioni 24


mente un fatto positivo. Nell’epoca moderna, il modello su cui si basava il susseguirsi delle mode era verticale: l’oggetto del “nuovo stile” veniva introdotto dalla nobiltà e dalle classi più elevate, di qui si diffondeva col tempo fino a quelle via via meno abbienti e alla fine giungeva agli individui più poveri, solitamente logoro e consunto, memore di uno stile ormai “fuori moda”. Come si può notare, un percorso dall’alto verso il basso. Il post-modernismo è caratterizzato da un modello orizzontale: dalla rivoluzione industriale in poi la diffusione di “cose” ha indirettamente veicolato molti status symbol contemporaneamente, dal momento che ogni cosa viene prodotta per essere venduta. Ne consegue che la maggior parte del mondo occidentale conduce uno stile di vita basato sul possesso di beni di consumo, più o meno accessibili. Oggi i confini della moda sono molto più sfumati: sono i dettagli che fanno la distinzione tra chi è alla moda e chi no. (Viale, 2011) La parola “orizzontale” mette in luce un’aspetto essenziale della moda: la capacità di diffondersi, mutare e rigenerarsi in nuovi contesti assumendo di volta in volta connotati differenti, originando un quadro complessivo molto articolato e dinamico, incentrato sulla creazione costante di bisogni e aspettative.

soggetto debitore, quest’ultimo si impegna al pagamento o alla restituzione del denaro ed eventuali interessi ad una determinata data di scadenza futura. Il credito è pertanto uno scambio tra una prestazione corrente ed una prestazione futura, le due prestazioni non sono contemporanee bensì separate tra loro da un intervallo di tempo. Dal punto di vista economico il credito è uno scambio di ricchezza, attuale e disponibile, con la promessa di una controprestazione futura (come illustrato all’inizio del capitolo, una muta in accrescimento: D-D1). I promotori principali sono le banche. Senza il credito non sarebbe sostanzialmente possibile portare avanti le politiche di sviluppo e consumo per mancanza di disponibilità economica da parte dei singoli o delle imprese.

Queste necessità fanno del credito al consumo uno strumento basilare: permette di consumare a chi non ha un reddito sufficiente e di investire agli imprenditori che non dispongono di capitale necessario. In sintesi, il credito è lo strumento messo in gioco dal marketing per fornire i mezzi di consumo agli individui. Consiste in uno scambio di prestazioni tra due soggetti. Il soggetto creditore trasferisce una determinata quantità di denaro o di beni ad un

Il terzo fattore che si inserisce nel meccanismo a tre marce promosso dal marketing è l’obsolescenza accelerata e/o programmata. Con tale termine non si fa riferimento alla sostituibilità intrinseca di un bene con uno analogo più prestante; cosa che avviene continuamente nell’economia di mercato, definita dagli economisti come obsolescenza tecnica. Si intende invece quel tipo di obsolescenza che sopraggiunge per prematura rottura totale o

Giorgio Ruffolo individua nei meccanismi del credito delle sostanziali ambiguità, arrivando a definire il concetto di terrorismo dell’interesse composto 7 .(Ruffolo, 2006) Non a caso, tra il 1947 e il 1957, negli Stati Uniti i prestiti nel settore automobilistico sono cresciuti dell’800%; successivamente sono nati i prestiti NINJA (senza reddito, senza lavoro, senza proprietà), la cui crescita vertiginosa ha prodotto la crisi dei subprimes dell’agosto 2007. (Latouche, 2013).

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parziale di un manufatto. I produttori calcolano con precisione chirurgica la durata dei manufatti industriali. Talvolta inseriscono dispositivi appositi nei prodotti e attuano strategie affinché gli oggetti durino meno di quanto dovrebbero (o potrebbero) e siano quindi più sostituibili. Emblema di ciò è il comitato delle 1000 ore 8, cartello monopolistico delle lampadine a incandescenza inaugurato nei primi anni ‘20 da varie società. (Latouche, 2013)

successo, sconfinando successivamente in fenomeni come l’obsolescenza progressiva (fondamentalmente, comprare per stare al passo coi tempi) e obsolescenza alimentare. Basta pensare che dal 30% al 50% dei prodotti alimentari finisce nelle discariche prima di essere venduto o nelle pattumiere dell case perché scaduto. (Latouche, 2013) L’utopia della città di Pletoria in cui ogni primavera e ogni autunno si abbatteranno le case di cartapesta per ricostruirle subito dopo, risparmiandosi la fatica delle pulizie (Packard, 1960) incarna alla perfezione il rituale del consumo, mediato dalle forzature dell’obsolescenza anticipata.

Le ripercussioni di questo fenomeno sono profonde. La programmazione dell’obsolescenza nelle apparecchiature come telefonini, tablet, pc, che genera la necessità di un continuo ricambio, ricade drasticamente su alcune zone, per esempio, dell’ Africa centrale, in quanto ricche di giacimenti di tantalio, metallo fondamentale nelle componenti elettroniche. Nelle regioni orientali della Repubblica Democratica del Congo si consuma da anni uno dei più sanguinosi conflitti dalla fine della Seconda guerra mondiale. La guerra e le carestie hanno portato alla morte di almeno 5,4 milioni di persone, con 45mila nuove vittime ogni mese. Secondo gli attivisti, i produttori di elettronica cercano di nascondere la verità sui minerali provenienti dalle zone di guerra dell’Africa per non mettere in cattiva luce i loro prodotti. (www.ilpost.it, 2010)

Resta il fatto che a pagare il prezzo di questa corsa alla crescita è in primis l’ambiente. Considerando inoltre che i paesi del sud del mondo si sono ormai configurati come “discarica” dei paesi del nord, per motivi ovviamente economici, le concentrazioni di rifiuti in certi punti del globo è altissima. Basta dare uno sguardo alla mappa dello smaltimento degli scarti elettronici [Fig. 1.10] per rendersi conto del meccanismo paradossale che innescano le pratiche del marketing. La questione dei rifiuti, che verrà marginalmente affrontata all’inizio del Capitolo II (ivi. pag. 65) costituisce uno dei molti risvolti delle strategie di mercato in atto. Tra questi si ricorda quello più direttamente connesso con i temi trattati: dietro ad una gigantesca quantità di prodotti (e rifiuti) vi è un apparato produttivo smisurato, da cui dipendono economicamente intere città. Tale dipendenza porta ad una serie di compromessi localizzativi, gestionali, modali, che influenzano enormemente la morfologia degli spazi urbani. Spesso le municipalità decidono

La questione dell’obsolescenza è legata a quella dell’usa e getta, che si prefigura come incipit del percorso di colonizzazione dell’immaginario 9 teorizzato da Latouche, che guida l’homo oeconomicus verso la crescita-consumo infinito. Questo modello di consumo, che si afferma grazie ai beni di consumo ripetitivo (rasoi, assorbenti, fazzoletti..), trova ampio 26


di potenziare alcuni servizi, come l’infrastrutturazione stradale o ferroviaria, esplicitamente per aumentare la capacità produttiva di determinati apparati. In sintesi, la produzione sostiene la città, nell’economia locale, e la città sostiene la produzione nell’infrastrutturazione, nei servizi e nella messa a punto di strategie specifiche. Logicamente, la pulsione verso l’incremento costante della capacità produttiva si traduce nella richiesta di spazi sempre più estesi di operatività da parte del settore produttivo. Ciò e senz’altro vero a livello globale, ma, come si vedrà nelle tematiche riguardanti la questione urbana (ivi. pag. 39), non lo è a livello locale, in quanto le specificità di ogni regione hanno portato al successo o

al declino di determinanti modelli. Torino, per esempio, testimonia il successo del modello industriale di stampo fordista, fino alla fine degli anni ‘60 del XX secolo, e il successo declino. Questa ritirata dalla fabbriche lasciò alla città numerosi impianti abbandonati e vastissime aree dismesse. (ivi. pag. 56). Parallelamente, le leggi del mercato e quelle della tecnoscienza comportano sostanziali alterazioni in ciò che nel capitolo successivo chiameremo civitas, intesa come insieme di caratteri politico/sociali che costituiscono la città. Per prima cosa occorre approfondire l’evoluzione degli approcci e degli strumenti di indagine sociale, in relazione all’affermarsi del capitalismo.

Figura 1.10: Mappa che illustra i flussi relativi allo smaltimento dei rifiuti elettronici. Fonti: press.com/2012/03/ewaste-destinations.jpg (rielaborazione aut.).

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http://discardstudies.files.word-


Dimensione sociale

Le conseguenze di quanto detto fin ora sono visibili sullo spazio urbano. La città, in questo capitolo intesa come civitas, come fatto politico, piuttosto che come città fisica o urbs, si configura come luogo delle relazioni e di incontri: tra locale e globale, tra individuo e norme, tra individuo e collettività. (Perulli, 2000)

serie di coalizioni tra soggetti uniti da un comune interesse. Solo ne tardo ‘800 le teorie di Durkheim spostano il focus verso un quadro più articolato, dove l’individuo è mosso da norme morali interiorizzate che gli derivano dall’apprendimento sociale o da un impulso presociale “egoistico” arginato dai comandi morali imposti dalla società. In questo caso si parla di società come organismo. Parsons approfondisce ulteriormente questo filone interrogandosi sul nesso che lega i mezzi ai fini, giungendo ad identificare concatenazioni infinite in un sistema complesso.

La sociologia urbana [..] ha come elemento di particolarità quello di interessarsi della città nei suoi aspetti sociali. E tali aspetti si riferiscono all’agire dei soggetti che compongono la popolazione urbana, alle relazioni che essi instaurano tra loro e con soggetti esterni, alla formazione di gruppi sociali, movimenti, istituzioni, organizzazioni, ai legami di complementarietà o di competizione che tra tutte queste entità, sino alla configurazione della città stessa in quanto sistema sociale. (Mela, 2006, pag. 14)

Il concetto stesso di scelta razionale, se spinto al di là del senso tecnologico della scelta dei mezzi per un fine singolo e se esteso a includere il caso in cui viene implicata anche una scelta dei fini, perde ogni significato tranne se viene concepito in termini di un sistema organizzato di fini. (Parsons, 1990)

Nel corso della storia si sono susseguite diverse interpretazioni della dimensione sociale e della civitas. Il dibattito settecentesco iniziato da Mandeville (Mandeville, 1714) e portato avanti da Smith (Smith, 1759), sfocia in una interpretazione meccanica dei comportamenti umani, basati fondamentalmente sull’utilitarismo. Si parla di società come macchina. In quest’ottica la città diventa la macchina per lo sviluppo (Molotch, 1976), costituita da una

Tale concetto definisce la società come sistema. In Laboratory Life (Latour, Woolgar, 1986) si osserva come un evento o una scoperta, spogliata delle circostanze che ne hanno svelato l’esistenza, perde ogni specificazione spazio-temporale, venendo successivamente inclusa in altri elaborati di altri individui. Acquista vita propria. (Perulli, 2000) Quest’esempio dimostra una chiara attenzio-

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ne ai contesti in cui si svolgono i fatti, e non solo ai fatti stessi.

continua evoluzione, assemblaggi meccanici che mescolano categorie come la biologia, la tecnica, il sociale, l’economia e così via, con i confini del significato e delle pratiche tra le categorie in continuo mutamento. (Amin, Thrift, 2005, pag. 117)

Si assiste alla progressiva presa di centralità della dimensione sociale, intesa come spazio, non prettamente fisico, e al tempo in cui avvengono le relazioni. L’ottica spazialistatemporalista (Ledrut, 1987) restituisce alle discipline sociologiche una componente fondamentale dell’oggetto di analisi.

Queste evoluzioni nell’approccio nello studio sociale sono in buona parte dovute alla crescente integrazione sistemica tra economia locale e rete globale. Si giunge a descrivere la società come network, ovvero come società delle reti. Si assiste ad un progressivo declino dei vincoli spaziali, concetto di paternità Durkheimiana. Così la geografia degli spazi economici e sociali assume una morfologia reticolare, strutturata secondo gerarchie di canali e direttrici. Nascono i concetti di cyberroutes (Sassen, 1994), network cityes (Batten, 1994), città carrefour, reti multipolari e megalopoli (Gottman, 1991).

Questa nuova tendenza, definita sociologia spazialista [Fig. 1.11], tocca tutti i punti cardine del dibattito sociologico: la microsociologia, che si occupa dell’azione dei singoli soggetti; la mesosociologia, che interessa le relazioni inter soggettive; la macrosociologia, che studia i sistemi sociali di forte complessità; l’ambiente, inteso come ambiente urbano in primis, ma più generalmente come valore locale dello spazio in cui si svolge l’azione. (Mela, 2006) Il rifiuto dell’approccio rigidamente sistemico trova ampio margine di dibattito nei concetti elaborati da Amin e Thrift in cities (Amin, Thrift, 2005, pag. 117), che recuperano la metafora della macchina, ma stavolta per descrivere un ambiente differente, dove i confini tra naturale e artificiale diventano labili di fronte ad una attenta rilettura dell’idea di macchina, reinterpretata come estensione degli individui stessi. A tale proposito: Il primo passo verso la creazione di un nuovo linguaggio socio spaziale è intendere la città come una macchina. Utilizzando questo termine non vogliamo intendere che la città può essere compresa attraverso metafore meccaniche (input, meccanismi e output), bensì che può essere vista come una “meccanosfera”, una serie di sistemi o reti in

Figura 1.11: La sociologia spazialista, schema strutturale della disciplina. Fonti: Autore.

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Un primo sintomo di questo declino è descritto dalla variabilità con cui un medesimo spazio fisico viene descritto e interpretato in funzione di fattori di varia natura, come ad esempio la mobilità. Tale variabilità è legata alla mancanza di uno dimensione spaziale fissa e univoca delle reti e delle loro gerarchie:

generale possibile è che, nell’economia della rete, le città sono punti di interscambio e di trasmissione. (Amin, Thrift, 2005, pag.99) La distribuzione sulle reti ha luogo attraverso quattro invenzioni: il modello di pendolarità; i dispositivi per trasmettere e immagazzinare informazioni; elementi affidabili per il supporto degli attori quotidiani (luce, gas, fogne); i mezzi di rappresentazione di massa. (Amin, Thrift, 2005) La prima di queste invenzioni è l’unica profondamente legata al territorio fisico e alla sua morfologia. Allo stato attuale è possibile relazionarsi con una moltitudine di reti sincronicamente o contemporaneamente; i mezzi più veloci (aerei. treni veloci, metro, grandi autostrade) creano canali privilegiati verso determinati punti (hub) da cui si diramano infinite altre reti gerarchicamente suddivise. Nasce il concetto di spazio-tempo, qui inteso in senso territoriale, rappresentabile come una mappa cartografica del mondo, ma strutturata secondo i tempi di viaggio da un luogo all’altro, ovvero secondo la distanza funzionale [Fig. 1.12]. Questo è un esempio di come la lente analitica della mobilità abbia prodotto un nuovo tipo di rappresentazione del territorio.

Tali gerarchie sono complesse: le aziende sono coinvolte in alleanze strategiche, accordi di licenza e progetti di coproduzione con numerose altre aziende, gestiscono lunghe catene di distribuzione che si estendono in tutto il mondo, fanno affidamento su unità che si governano da sole lungo una catena di competenze sparse e trattano per determinare differenti scale spaziali di governance [..] e il loro potere è collocato in un genere molto particolare di spazio economico: uno spazio economico che non è riducibile ai poteri del luogo. (Amin, Thrift, 2005, pag. 98) Nel caso specifico gli autori fanno riferimento alle Tnc (reti transnazionali di corporations), le quali coprono circa un terzo del commercio mondiale, ma è particolarmente utile per comprendere che la lente analitica può variare notevolmente. Potrebbe essere geografica, potrebbe essere settoriale e potrebbe essere organizzativa. E potrebbe anche essere una combinazione di queste.[..] Il punto di una rete non esibisce schemi di connessione spaziale peculiari. E non svolge neppure una funzione fissa, come accadeva alle gerarchie urbane del passato, nelle quali le città principali erano centri di amministrazione e di ricerca, quelle intermedie erano luoghi di produzione specializzata e quelle di periferia erano fonti di manodopera non qualificata per lavori non specializzati. L’unica affermazione di portata

La società ha sempre cercato di ovviare ai problemi della distanza [..] in primo luogo con la concentrazione sullo stesso territorio di fattori produttivi, massimizzando la compresenza di individui e risorse; in secondo luogo attraverso la mobilità, cioè con lo spostamento materiale tra contesti geografici diversi, attuato per mezzo dei trasporti; infine con la telecomunicazione, attraverso la quale si ha uno spostamento dell’informazione nelle sue forme diverse. (Conti, Dematteis, Lanza, Nano, 2006, pag. 230) 30


In un certo senso la mobilità e le telecomunicazioni sono cresciute a tal punto da trasfigurare la percezione dello spazio fisico, portando l’uomo ad analizzare, descrivere e rappresentare il mondo sotto altri punti di vista, funzionali a determinate circostanze. Un altro esempio piuttosto eloquente è costituito dalle mappe della metropolitana, che descrivono i percorsi all’interno dello spazio urbano secondo criteri non direttamente spaziali, bensì di tracciato e di connessione (linee e nodi). [Fig. 1.13] Ne risulta una mappa comprensibile e coerente di tutti gli spostamenti possibili in metropolitana, ma sovrapponendo questa serie di tracciati alla mappa territoriale della stessa città [Fig. 1.14], ci si accorge di numerose incongruenze tra le due (contrazioni, dilatazioni). L’approccio ecologico si inserisce in questa prospettiva di ricerca con le formulazioni di Ernst Burgess (Park, Burgess, McKenzie, 1999). Egli propone una modellizzazione della città di Chicago “per zone concentriche” [Fig. 1.15]. Tale modello individua uno “scivolamento” a carattere sociale, etnico e residenziale dal centro verso le periferie, che implica nel tempo lo spostamento e l’occupazione successiva di altre zone da parte di comunità e gruppi in relazione alla diversa capacità di ascesa sociale (Governa, Memoli, 2011, pag. 66) Questo modello rispecchia, come vedremo in seguito, l’evolversi del processo insediativo. Del resto l’osservazione empirica delle trasformazioni urbane porta il team della Scuola di Chicago 10 a considerare le città come laboratori sociali in cui studiare disorganizzazione e (ri)organizzazione delle configurazioni spaziali. (Governa, Memoli, 2011) Un altro tipo di rappresentazione, che in questo caso non riguarda più la generalizzazione di

Figura 1.12:

Mappa della distanza funzionale. Fonti: Spiekermann & Wegener, IRPUD.

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comunità con caratteristiche distinte, bensì la percezione individuale dello spazio, è quella fornita da Kevin Lynch (Lynch, 2006). L’autore, partendo dal presupposto che i lineamenti della città siano “senza posa”, quindi in costante cambiamento, si pone l’obbiettivo di indagare le relazioni percettive degli spazi da parte degli individui, per poter tracciare delle rappresentazioni mentali. Egli effettua un certo numero di interviste ai cittadini di Boston sull’immagine che hanno della loro città, e ne ricava una serie di elaborati, definite per l’appunto mappe mentali [Fig. 1.16]. Una mappa mentale contiene tre momenti distinti, ma legati tra loro: il momento della rappresentazione, che conferisce un ordine strutturale dettato da conoscenze spaziali, immagini convenzionali, pratiche personali; il momento della percezione, che dipende dalle sensibilità soggettive; il momento dell’interpretazione, che concede un’oggettivazione razionale dei contenuti, offrendone una rappresentazione leggibile e sintetica (Governa, Memoli, 2011). Anche in questo caso i caratteri spazialisti dell’indagine sociologica trascendono la concretezza formale e indagano la città sotto aspetti differenti;

aspetti che fino ad allora non avevano avuto entità e peso sufficienti da stimolare un’analisi in questo senso. L’evoluzione degli strumenti di indagine sociologica è un fatto coordinato con il progredire di determinati modelli societari, economici, politici e territoriali. Tornando al discorso della forma-rete, si può dire che ognuna di esse è basata su un certo tipo di relazione. Si è parlato fin ora di relazioni di vario tipo che nascono all’interno di un tessuto sociale, senza però specificarne la natura. Tali relazioni sociali possono essere principalmente di tre tipi (Berry, Kasarda, 1977):

*

quelle primarie sono caratterizzate dal fatto che gli individui si conoscono reciprocamente in quanto soggetti che svolgono più ruoli; quelle secondarie sono, invece, le relazioni in cui ciascuno consce l’altro in quanto svolgente un unico ruolo;

*

*

quelle terziarie, infine, sono tali da porre in rapporto i ruoli stessi, indipendentemente dai soggetti che li svolgono. (Mela,

Figura 1.13:

Figura 1.14: Foto aerea della città di Milano con i trac-

Rete metropolitana di Milano. Fonti: http://www.atm-mi.it/it/viaggiaconnoi/pagine/schemarete.aspx

ciati metropolitani sovrapposti. Ogni punto corrisponde ad una fermata. Fonti: Google maps.

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2006, pag.86) La prima categoria entra in crisi parallelamente al successo delle società del consumo. Il terreno di confronto si sposta sempre più verso ambienti multimediali, ove scambi impersonali o precostruiti prevalgono sulla relazione diretta. Aumenta esponenzialmente il numero di relazioni terziarie, in maniera sinergica con il progresso dell’economia, soprattutto grazie ai progressi della tecnoscienza. Il cambio di paradigma coinvolge sia il carattere qualitativo che quantitativo delle relazioni. La società delle reti diventa “città delle reti” nel momento che gli individui che la abitano ne riscrivono i connotati strutturali in funzione di nuovi tipi di relazione. (Perulli, 2010) Non si intende ovviamente il mero spazio fisico, ma si fa riferimento alla struttura politica, economica, sociale-relazionale della città-rete.

Figura 1.15: Modello per aree urbane secondo zone concentriche. Fonti: Burgess, 1925.

Figura 1.16: Immagine di Boston ricavata dalle interviste verbali. Nella mappa sono indicati i percorsi, i margini, i punti

nodali, i quartieri e i landmarks. Tutte queste categorie sono divise in classi di frequenza, basate sull’esito delle interviste, che vanno da 12-25% fino a oltre 75% del riscontro. Fonti: Lynch, 2006.

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Si giunge a categorizzazioni estreme come tossici della crescita e nuove forme patologiche, ad esempio il workalcoholism 11. (Latouche, 2013) Di maggior peso analitico sono le considerazioni di Ash Amin e Nigel Thrift che definiscono una nuova forma di comunità postsociale, dove diventa sempre più evidente la necessità di dissociare il concetto di relazione e di sociabilità dalla sua fissazione sui gruppi umani. Basta pensare ai monitor di computer:

facilitatore o intermediario tra i vari interessi che entrano in gioco. (Vicari Haddock, 2004) La governance è quindi considerata come insieme di attività sostenute da fini condivisi; mentre government come insieme di attività sostenute da attori formali, quindi istituzioni politiche. La prima individua un fenomeno più ampio, non circoscritto ai governmental actors (organi istituzionali) e comprende anche relazioni informali tra attori non istituzionali. Questa duplicità va considerata come un continuum di relazioni che si intersecano, dando vita ad una rete strutturata e sinergica tra government e governance. (Governa, Memoli, 2011)

Gli schermi non sono solo intermediari passivi: essi assemblano e implementano su una sola piattaforma le attività precedentemente disperse di un’intera serie di agenti umani differenti, assumendo in sé queste attività. (Amin, Thrift, 2005)

Dal government, che muove da un principio di autorità nell’allocazione di valori e nella formazione delle decisioni, si è passai a governance. Essa è caratterizzata da politiche pubbliche costantemente rinegoziate a livello multiorganizzativo e multiistituzionale, tra attori pubblici e attori privati. Il tradizionale ruolo dello stato di redistribuzione interpersonale e inter territoriale è messo in discussione”. (Perulli, 2010, pag. 124)

Definiscono inoltre la comunità pianificata dalle tecnologie di controllo , in particolare dalla “tirannia dell’indirizzo”. la città è posizionata, fissata, guidata come non lo era stata mai in precedenza; proprio di ciò si parlerà nel capitolo sulla questione urbana, in relazione alle forze che hanno prodotto l’esigenza dei piani regolatori (ivi. pag. 45). Queste dinamiche dipendono in misura considerevole dell’economia di mercato e dei progressi tecnoscientifici, anche se ridurre la questione a un mero rapporto causa-effetto risulterebbe, anche in questo caso, forzato (Rossi, 2011). La politica, e in particolar modo quell’insieme di relazioni che si sovrappone alle forme di governo, definito governance, coordinandosi e auto regolandosi, influenza grandemente la struttura e l’evoluzione delle reti. In primo luogo, si assiste ad una ridefinizione del ruolo della municipalità, che da provider, ovvero fornitore di regole e servizi, diventa enabler, cioè

Tale affermazione ha però dei limiti, insiti nel concetto di legittimità: Il riconoscimento della legittimità non è un atto libero della coscienza chiara, ma ha le sue radici nell’accordo immediato tra le strutture incorporate nell’individuo e le strutture oggettive di un ordine sociale (Bourdieu, 1997, pag. 185) Oltre al fatto che vi sono delle incongruenze fra scala globale e locale, soprattutto se si parla di global governance. Al di là delle de34


finizioni istituzionali 12, è possibile sintetizzare alcuni degli aspetti principali, limiti e potenzialità del concetto di governance:

proprie dei meccanismi volti a “tenere insieme” una molteplicità di attori con fini specifici. Queste ultime considerazioni nascono da una serie di problematiche concrete così riassumibili:

*

costituisce una modalità di organizzazione di una pluralità di attori che si fonda sulla costruzione di partenariati e coalizioni (attori pubblici e privati) orientati verso il raggiungimento di un obbiettivo specifico, congiuntamente definito;

* *

difficoltà nella costruzione di accordi di comodo; l’allungamento dei tempi delle politiche derivanti dalla costruzione di partenariati e accordi;

*

deriva da un complesso gioco negoziale fra attori e interessi in cui si scambiano risorse e si costruiscono obbiettivi condivisi;

*

il cambiamento del ruolo del soggetto pubblico che deve imparare ad “accompagnare” e “dialogare” con una pluralità di interessi;

*

mette in gioco risorse non solo finanziarie, politiche, conoscitive, ma anche regole formali e informali per gestire le relazioni fra gli stessi;

*

la rigidità e impermeabilità delle reti più organizzate, che determina l’emarginazione degli interessi “deboli”.

*

non è connessa unicamente al ruolo delle istituzioni formali, quanto piuttosto a relazioni basate sul consenso e l’apprendimento collettivo, al fine di sviluppare capitale sociale e promuovere lo scambio di competenze e conoscenze;

*

difficoltà nella partecipazione degli abitanti, spesso vittime di manipolazioni del consenso;

*

diminuzione della legittimità dell’azione e difficile riconoscibilità e ripartizione delle responsabilità. (Governa, Memoli, 2011, pag. 239)

*

a differenza della “governance economica”, volta esclusivamente al raggiungimento dell’efficienza economica delle imprese, la governance come “minimal state” si confronta con il problema della rappresentanza degli interessi, inserendo fra i propri obbiettivi anche dimensioni sociali, politiche e culturali. (Governa, Memoli, 2011, pag. 237-238)

Le forme di governance si inseriscono nel contesto della crisi urbana, indotta dalla crisi del modello industriale, come alternativa alle politiche di rigenerazione top-bottom, come il welfare state o il neoliberismo urbano, che ha ceduto ampi margini di speculazione in ragione del simbolismo architettonico dei grandi progetti, che richiamano la rinnovata vitalità dell’economia locale e invocano il rilancio

Le difficoltà nell’attuazione di forme di governance risiede soprattutto nella complessità del contesto, ovvero la città, e nelle difficoltà 35


dell’immagine complessiva della città. A tale proposito si richiama l’esperienza di Urban, iniziativa comunitaria sostenuta dall’Unione Europea avviata nel 1994, dopo la sperimentazione dei Progetti Pilota Urbani (1989-93). Urban I ha interessato 118 città europee originando un’intensa attività di progettazione al livello locale. Urban II (2000-06) ripercorre le modalità del precedente, ma orientato verso situazioni urbane (solo comuni con più di 20.000 abitanti) caratterizzate da determinate problematiche dal punto di vista socio-economico. In Italia sono stati finanziati 10 progetti (Carrara, Caserta, Crotone, Genova, Milano, Misterbianco, Mola di Bari, Pescara, Taranto e Torino), e caratteristiche del progetto Urban possono essere così sintetizzate:

dell’informalità, ottenuto soprattutto grazie alle forme di governance, come precedentemente illustrato, sancisce il progressivo l’abbandono del modello classico proposto dalla Strange, basato sul concetto che l’interazione tra stato e mercato da luogo alla political economy: (Strange, 1998) S + M = P/E Da questo modello, tipico del welfare state, si passa ad uno più articolato e stratificato, dove autorità multiple e mercati multipli si influenzano reciprocamente e generano valori rapportabili con la società, rappresentativa in questo caso di raggruppamenti sociali trasversali e sovrapposti: (Perulli, 2000)

*

A(n)/M(n) + M(n)/A(n) = V(n)/Soc(n)

approccio integrato ai problemi e alle opportunità della rigenerazione urbana, con particolare riferimento ai temi dell’emarginazione sociale e della qualità ambientale;

La struttura di questo schema è caratterizzato dalla scomparsa dello stato-generatore, sostituito da “autorità multiple”. Le relazioni tra questi soggetti, e a questo proposito si anticipa il principio di sussidiarietà (ivi. pag. 81), nel contesto di mercato, danno origine ad una nuova forma di socialità, basata sulla condivisione di prospettive e integrazione delle singole attività.

*

priorità delle strategie dell’Unione Europea, in relazione all’integrazione degli immigrati, allo sviluppo sostenibile, alle pari opportunità e alla società dell’informazione;

*

gestione locale delle iniziative, con il forte coinvolgimento degli abitanti nella fase di ideazione e gestione dei progetti;

Il lavoro svolto in occasione del meeting di Roma, abbondantemente citato nel secondo argomento (ivi. pag. 16), sottolinea l’importanza della rete sociale come struttura autosufficiente in quanto fondata sulla condivisione di valori e consapevolezze. Nel trattare la possibilità di una transizione verso un sistema sostenibile, gli autori sostengono che l’unica via percorribile consista nel “cambiare la struttura” (Meadows D. e D., Randers, 2006)

*

processi di apprendimento, con l’analisi e lo scambio di esperienze e “buone pratiche” all’interno di un gruppo composto da circa 200 città.(Governa, Memoli, 2011, pag. 244) L’evoluzione delle strutture retiformi e dei sistemi relazionali, oltre al ripristino del valore 36


Per esempio, cambiare le struttura del sistema di informazione, col tempo, potrebbe far cambiare anche la struttura sociale e materiale. Inoltre che una trasformazione tale non deve per forza venire dal centro; può essere del tutto non programmatica, naturale, evolutiva. (Meadows D. e D., Randers, 2006, pag. 284)

tecniche o organizzative, bensì sull’idea che dei cambiamenti nella struttura del sistema di consumo producano determinati valori che inducano la popolazione mondiale a comportarsi più responsabilmente in termini di natalità. Una forzatura sotto molti aspetti, ma manifestazione di una grande lungimiranza. L’importanza della società retificata e dello sviluppo delle governance risiede dunque nella potenzialità intrinseca che esse possiedono, essendo in grado di produrre grandi cambiamenti prescindendo da una molteplicità di vincoli che caratterizzano le forme di politica classica e puro government. E, al di là delle soluzioni possibili, si può riconoscere nelle questioni sociali, quindi nella civitas,

Questi ragionamenti si concretizzano nello Scenario 7 elaborato da World3, caratterizzato da restrizioni deliberate sulla crescita della popolazione. Si suppone che tutte le coppie dal 2002 in poi non abbiano più di due figli. Gli autori sanno bene che la natalità non è una variabile sufficientemente controllabile; tale esperimento non si basa su previsioni

Figura 1.17:

Schema di sintesi. In evidenza la Società del consumo come prodotto dell’intersezione sistematica dell’insieme economico e insediativo. Fonti: Autore.

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delle ragioni fondamentali della urbs, città di edifici e strade. Come evidenziato dalle argomentazioni poste sin ora, le sinergie sono molteplici e semplificare eccessivamente la questione dell’abuso conduce essenzialmente a pregiudizi e conclusioni affrettate. Tuttavia l’analisi in chiave sociologica effettuata dalle tre differenti angolazioni, rappresentate dai tre capitoli precedenti, conduce a figurare la struttura della società dell’abuso secondo un duplice insieme di logiche che si intersecano creando le “condizioni al contorno ideali” per la crescita continua [Fig.1.17]. Da un lato troviamo un insieme di rapporti funzionali strutturati attorno a relazioni economiche. La ricerca scientifico-tecnologica diventa un fattore di propulsione e sostentamento, come anche le strategie del marketing. Dall’altro vi è l’insieme civitas-urbs, che raggruppa quelle relazioni che legano la città costruita alla città letta come fatto politico-sociale-culturale. Questo fatto è essenziale per una comprensione d’insieme, innanzitutto perché svela l’esistenza di connessioni a più livelli analitici, cosa che risulta utile se si cerca di studiare l’andamento e le ripercussioni di un dato fenomeno; inoltre la presenza di due sovrainsiemi logici aiuta a formare un schema mentale più semplice, nel quale stabilire in maniera più chiara e sintetica i rapporti in atto. Ovviamente tale riduzione non deve cadere in dualismi stretti e forzature, in quanto i fatti economici hanno senza dubbio effetti sulle città, ma le modalità con cui si manifestano sono varie e mutevoli a seconda di epoche e contesti. Basta pensare a quanto sono cambiati gli schemi insediativi industriali nel corso dell’ultimo secolo: dalla ricerca della prossimità e dell’agglomerazione alla fuga dispersiva verso costi più bassi di gestione e manodopera. In questo caso, i traguardi rag-

giunti dalla mobilità risultano determinanti (ivi. cap. 46), come si vedrà in seguito. Per concludere, si può affermare che un’analisi monodirezionale tende per definizione a trascurare molti aspetti importanti. Questi concetti sono basilari per affrontare la questione di maggiore rilevanza nel contesto architettonico: la questione urbana. In questo senso non bisogna dimenticare che in primo luogo la città è una complessa mescolanza di attori con obbiettivi, metodi e prassi differenti. In secondo luogo, proprio a causa di questa complessità, la città non può mai essere compresa in profondità: vi sono sempre alcune sue parti che non possono essere raggiunte, perché gli strumenti (progetti, organizzazioni, pratiche del soggetto ecc.) creati per raggiungere e restituire localizzazioni particolari sono rappresentazioni che devono escludere per poter includere/intromettere essi stessi hanno una funzione - e vengono introdotti continuamente nuovi contributi che superano in ogni caso questi strumenti. (Amin, Thrift, 2005, pag. 74) A questo proposito torna in mente l’assenza di un ordine panottico nelle reti della città moderna, teorizzata da Latour. Ciò rende necessari diversi punti di osservazione, ovvero un Oligopticon, che rappresenta una serie di ordinamenti parziali, capaci di guardare fissamente in certe direzioni e non in altre. (Latour, 2005)

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Questione urbana

Le città sono, contemporaneamente, degli straordinari “amplificatori” di fenomeni, processi, sentimenti, idee, tendenze, ma anche mondi eccezionalmente complessi in cui si trova e si rappresenta la gran parte delle questioni principali del mondo attuale. Il problema ambientale, quello della qualità della vita, i processi migratori, lo sviluppo economico, l’innovazione e la creatività ecc. sono aspetti che si amplificano nelle città e che, inserendosi in complessi insiemi di relazioni, assumono qui condizioni specifiche. (Governa, Memoli, 2011, pag. 12)

mortalità, rimane vero che la relazione temporale tra gli andamenti della mortalità e della fecondità e la crescita economica moderna non è stretta. (Kuznets, 1990, pag. 116) Ad ogni modo, nel 1650 la popolazione mondiale era di circa mezzo miliardo di persone e il tasso di crescita annuo era dello 0,3%. Nel 1900 raggiunse 1,6 miliardi, con un tasso di 0,7-0,8% e continuò a crescere fino a 3,3 miliardi nel 1965, con un tasso del 2%. Fino a qui, l’incremento demografico è stato doppiamente esponenziale, crescendo parallelamente il tasso annuo di incremento e numero di individui. (Meadows D. e D., Randers, 2006) Questo fenomeno, definito da Golini come transizione demografica, [Fig. 1.18], è dovuto allo sfalsamento temporale

A partire dal XVIII secolo una moltitudine di fattori, tra cui una serie di migliorie nel campo alimentare e igienco-sanitario contribuirono a un sostanziale declino della mortalità. Tali innovazioni furono facilmente esportate dai paesi più sviluppati nel resto del mondo e attecchirono in maniera più o meno diffusa. Inoltre il rafforzamento del legame tra scoperte, invenzioni, innovazioni, applicazioni, ulteriori conoscenza, ulteriori scoperte e così via, rese possibile la spinta prolungata verso livelli di produzione più elevati. (Kuznets, 1990, pag. 118) Spiegare la transazione demografica come prodotto dell’economia e del progresso tecnologico è estremamente riduttivo. Kuznets stesso afferma che sebbene i processi di crescita economica abbiano fornito la possibilità di ridurre la

Figura 1.18:

Grafico illustrativo della transazione demografica mondiale. Fonti: ONU.

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tra l’anticipato calo della mortalità e il posticipato declino della natalità. Il ritardo di quest’ultimo fattore deriva dal fatto che il processo di modernizzazione richiede tempi lunghi per trasformare la società da rurale e basata sulla famiglia a urbana e scolarizzata, dove troppi figli rappresentano costi eccessivi. (Golini, 2003) Dal 1965 al 2000 il tasso scende da 2% a 1,2% e la popolazione mondiale passa da 3,3 a 6 miliardi di persone 13. L’abbassamento del tasso di incremento annuo è sintomo di importanti mutamenti nei fattori socio-culturali a cui sono legate le decisioni relative al numero di figli che si desidera avere. Da una media di 5 figli per donna, registrata a metà del XX secolo si passa a 2,7 agli inizi del XXI. Nello stesso momento in Europa la famiglia tipo contava 1,4 figli per coppia 14. La popolazione Europea sta andando incontro a un lento declino, dai 728 milioni del 1998 ai 715 milioni del 2025. (Meadows D e D, Randers, 2006, pag. 52)

Figura 1.19:

Grafico illustrativo del’aumento annuo della popolazione mondiale. Fonti: ONU, D. Bogue.

tasso di fertilità di una generazione tende a impoverire ulteriormente quella successiva. Ciò genera un circolo vizioso di impoverimento. a cui si aggiunge l’aggravante della trappola fiscale. (Sachs, 2005) L’aumento vertiginoso della popolazione nei paesi meno industrializzati si traduce, soprattutto dal secondo dopoguerra in poi, in intensi flussi migratori verso paesi con economie più floride, aggravando una questione che da molti anni domina la scena delle discipline architettoniche e urbanistiche: la questione urbana.

Ciò non significa affatto che la crescita demografica si sia arrestata, come evidenziato dai Meadows, poiché la diminuzione del tasso d’incremento è ampiamente compensata dall’aumento della popolazione. Di fatto il bacino di crescita maggiore si è solo spostato da Nord al Sud del mondo [Fig. 1.19]. I legami che intercorrono tra povertà e aumento demografico sono oggetto di ampio studio. Jeffrey D. Sachs definisce in proposito i concetti di trappola demografica e trappola della povertà, che sfociano nella trappola della stagnazione. Tali argomentazioni si basano sul presupposto che un basso livello di istruzione produca un aumento costante della natalità. Inoltre, l’alto

Fin dal principio del XVIII secolo, la città si configura, soprattutto con l’affermarsi del modello industriale, come una potente calamita, insieme di forti attrattive. Allo stesso tempo, la crescita demografica ha portato all’aumento della densità d’occupazione dei terreni agricoli, causando repulsione dalle campagne. Questo fenomeno, definito da Bairoch inflazione urbana (Bairoch, 1967) apre nuove riflessioni sulla questione della città: nascono concetti come urbanesimo, urbanizzazione e 40


inurbamento 15, diverse declinazioni e punti di vista della ricerca urbanistica dell’epoca. (Astengo, 1966)

zio fisico delle città cresce esponenzialmente. Nei tre millenni di storia che precedono la rivoluzione industriale non vi sono mai state più di due città contemporaneamente prossime al milione di abitanti. Tra il 1964 e il 1966 New York supera i 15 milioni di abitanti e nel 1910 più del 40% della popolazione mondiale vive ormai in città (Bairoch, 1967). Tutto ciò pone ovvie questioni riguardo alla dimensione ottimale della città, oltre a stimolare la ricerca costante in termini di sviluppo del tessuto urbano.

[..] L’incremento demografico è fenomeno secondario rispetto alla distribuzione sul territorio: il trauma dell’Ottocento consiste nell’affluenza di immense folle contadine nei centri industriali, quindi nel dilatarsi delle città e nella rottura dell’equilibrio urbanistico stabilizzatosi da secoli in Europa. (Zevi, 2001, pag. 26) Fino alla rivoluzione industriale gli insediamenti erano cresciuti prevalentemente per addizioni continue al corpo originario ed avevano manifestato una certa stabilità rispetto ai contesti ambientali. Successivamente la rapidità di sviluppo spaziale delle città aumenta incredibilmente (Governa, Memoli, 2011), [Fig. 1.20].

L’organizzazione spaziale della grande città moderna, luogo per eccellenza della divisione del lavoro cui dal XVIII secolo appaiono legati la crescita economica, il progresso tecnologico e il miglioramento delle condizioni materiali delle popolazioni che vi abitano, appare però in ritardo rispetto all’organizzazione dei luoghi della produzione e dello scambio (Hilberseimer, 1981)

Londra, dopo il 1845 supera già 2 milioni di abitanti e ne conta più di 7 ancora prima del 1910. Nel 1959 sorpassa gli 8. [Fig. 1.21] Roma passa da 300.000 abitanti a più di un milione in appena 60 anni. [Fig. 1.22] Lo spa-

Soprattutto nella fase iniziale di questo processo, verificatosi troppo rapidamente rispetto ai tempi di modernizzazione delle città, si crea-

Figura 1.20: Grandi fasi evolutive dell’insediamento umano Fonti: Governa, Memoli, 2011, pag. 84. 41


no situazioni di forte instabilità, in primo luogo perché le prime espansioni seguono una logica di addizione di spazi per le industrie e per i necessari quartieri di edilizia “povera” (veri e propri ghetti per operai e classi lavoratrici). Così accade che le masse dei nuovi immigrati in un primo periodo gremiscono le vecchie città stipandosi negli edifici esistenti, erigendo baracche in ogni spazio libero [..]; poi vengono incasellate e racchiuse nei cosiddetti tuguri legalizzati, dimore inumane, prive di aria, luce e servizi igienici, precedute dagli speculatori fondiari e edili. (Zevi, 2001, pag. 27) Dalla prima metà del XIX secolo iniziano ad acquistare importanza tematiche come la qualità degli ambienti urbani e, in particolar modo,

Figura 1.21: L’espansione di Londra dal XVIII al XX se-

Figura 1.22: L’espansione di Roma dal 1870 al 1941. Fonti: Zevi, 2001.

colo. Fonti: Zevi, 2001.

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Figura 1.23:

e alle Hauserwerbvereine tedesche, antenate delle odierne società di credito (ivi. pag. 25), che permettevano alle fasce di reddito più basse di acquistare una casa dilazionando il pagamento, ma con forti interessi. (Engels, 1971, pp. 86-90) In realtà, la questione delle abitazioni, così come viene posta da Engels, costituisce un fatto assolutamente non privo di precedenti storici. Rossi sottolinea come il sorgere della grande industria abbia solo peggiorato e fatto emergere questioni latenti (Rossi, 2011). Lo stesso Engels afferma:

Aumento demografico e fenomeno dell’urbanesimo in tre paesi europei. Fonti: Zevi, 2001, (Elizabeth Derby).

Questa penuria di abitazioni non è qualcosa di particolare dell’epoca presente, ne è un male particolare del moderno proletariato che lo contraddistingua da tutte le classi oppresse che lo hanno preceduto; al contrario essa ha colpito tutte le classi oppresse di tutti i tempi in maniera piuttosto uniforme. (Engels, 1971). Non si può però escludere che una serie di “coincidenze” abbia prodotto delle singolarità rispetto ai fenomeni del passato. Il progressivo aumento della densità urbana, senza precedenti storici, ha posto l’uomo nella condizione di dover far fronte a nuove questioni; inoltre lo sviluppo della mobilità, con conseguente ampliamento dei mercati e ridefinizione dei rapporti lavorativi, ha catalizzato la tendenza all’espansione verso l’esterno; senza contare l’apporto fondamentale dello sviluppo delle tecniche costruttive, che ha reso possibile la costruzione di opere molto estese in tempi sempre più brevi.

delle case. Nel 1845 Friedrich Engels scrive La situazione della classe operaia in Inghilterra (Engels, 2011) e nel 1872 La questione delle abitazioni (Engels, 1971). Vari dibattiti filosofici e sociali lo portano spesso a scontrarsi con esponenti anarchico-liberisti come Proudhon e Bakunin 16 o economisti filo-capitalisti come Sax 17, producendo in una certa misura la contaminazione dei contenuti teorici. Nonostante ciò non è difficile desumere dagli scritti di Engels una serie di fattori cruciali nell’evoluzione della questione urbana. Nel secondo dei libri citati, l’autore mette in luce la chiara volontà da parte dei capitalisti di mantenere la questione delle abitazioni in uno stato di crisi quantitativa e qualitativa, al fine di trarre il maggior profitto possibile dalla speculazione edilizia. Si fa anche riferimento alle Building Societies inglesi

Questi fattori introducono il concetto di suburbanizzazione, che descrive il continuum urbanizzato generato dall’espansione della città 43


“a macchia d’olio” attorno ai nuclei storici degli insediamenti. A tale proposito Patrick Geddes individua il fenomeno della conurbazione, che indica l’area urbana continua che si forma tra due o più città, in seguito alla loro progressiva espansione e mutua fusione (Geddes, 1915). E’ il caso del bacino della Ruhr in Germania e dell Grande Manchester nel Regno Unito. (Governa, Memoli, 2011). Si definisce anche il modello di crescita per agglomerazione, derivato della agglomerazione produttiva (Marshall, 1987) e delle economie di prossimità, che indica l’espansione compatta di un centro urbano che ingloba progressivamente i centri rurali limitrofi [Fig. 1.24].

Figura 1.24: Schemi descrittivi della conurbazione (a

In Italia l’espansione dei principali centri urbani ha prodotto contemporaneamente l’agglomerazione con gli insediamenti circostanti di minore importanza e la conurbazione con i grandi nuclei urbani vicini (Governa, Memoli, 2011). Questa concomitanza di tensioni ha prodotto una continuità del costruito tale da definire la città diffusa, come modello di espansione delle città Italiane del XX secolo (Indovina, 1990). Alla base di questi processi sta il fenomeno della periurbanizzazione, cioè l’urbanizzazione dello spazio rurale fino a distanze di varie decine di chilometri (Indovina, 2008), coadiuvato principalmente da tre forze contingenti:

Parallelamente alla presa di centralità del fenomeno urbano si mettono a punto nuovi strumenti volti a definire i caratteri delle città, primo fra tutti, il piano regolatore. Il concetto stesso di piano manifesta una sintesi fino ad allora inedita nel modo di relazionarsi allo spazio, frutto di esigenze più o meno caratteristiche. Il Plan Cerdà di Barcellona inaugura, e per molti aspetti anticipa, dei fattori essenziali della questione urbana. Pur essendo del 1860, quindi antecedente al consolidamento di molte dinamiche capitaliste, contiene concetti estremamente all’avanguardia. La duplice tendenza della città ad organizzarsi secondo spazi della dinamicità e spazi della staticità, definiti mobilità e stasi, è una delle intuizioni più brillanti di Cerdà, attorno al quale si sviluppano gran parte dei ragionamenti raccolti nel piano. (Cerdà, 1995) [Fig. 1.25]

sinistra) e dell’agglomerazione (a destra). Fonti: Governa, Memoli, 2011, pag. 88.

*

l’indebolimento della gerarchia urbana, che determina nuovi modelli di centralità, più frammentata e distribuita. (Governa, Memoli, 2011).

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la diffusione dell’automobile, che permette la decentralizzazione a vasto raggio e favorisce lo “stile di vita suburbano”; l’inversione dei gradienti centro/ periferia, che vede favorite le aree più esterne di nuova urbanizzazione;

*

La normalizzazione degli isolati, ritrovabile anche nel dutch baublock, e la modularità degli edifici ipotizzati da Cerdà, preconfigurano elementi tipologici estremamente diffusi nella 44


città del XX secolo. (Secchi, 2005) Ma ancora più importante è lo studio della mobilità, effettuato con grande lungimiranza e perizia.

urbanistica modellando prototipi architettonici di strutture-polo, adatte a contenerne le esternalità, come la torre parcheggio teorizzata da Louis Kahn nel 1920 [Fig. 1.29]. A questo punto il concetto stesso di città, fino ad allora definito per contrapposizione rispetto alla compagna, necessita di nuovi connotati identificativi poiché questa contrapposizione viene sempre meno e la città si presenta sempre più come un’entità diffusa. Steve Pile ne recupera i connotati spaziali attraverso una nuova definizione che si articola su tre punti: densità (nel senso di concentrazione di persone, cose, istituzioni e forma architettoniche); eterogeneità di forme di vita che si giustappongono in stretta prossimità; il fatto che ospitano svariate reti di comunicazione e di flusso che le attraversano e oltrepassano. (Pile, 1999) A tali connotazioni strettamente fisiche si sommano i ragionamenti di Ash Amin e Nigel Thrift, già citati nel capitolo precedente, che completano la città descritta come contenitore di contenuti fino ad allora trascurati, dedotti dall’osservazione della quotidianità e da diversi aspetti di vita “informale”. In particolare elaborano il concetto di transitività, intuizione generata dall’esperienza del flàneur, secondo cui la porosità della vita urbana attuale non lascia spazio alla stabilità.

D’altronde la mobilità assume un ruolo sempre più importante. Dalla metà del XIX secolo, parallelamente allo sviluppo tecnologico applicato ai mezzi di trasporto e alle straordinarie accelerazioni di ogni forma di movimento, trova spazio la tendenza a dilatare scala e dimensione urbana attraverso piani e progetti che ne modificano immagine e modi di funzionare, in ragione delle nuove potenzialità e esigenze portate dal progresso. Dai disegni di Henard per Parigi [Fig. 1.26] al piano di espansione di Bakema e Van den Broek per Amsterdam Pampus, [Fig. 1.27] o ancora il piano di Kahn per Filadelfia [Fig. 1.28] si delineano le modalità con cui i ragionamenti sullo spazio urbano vengono relazionati agli spostamenti. La dimensione della mobilità trascende la scala

I cento milioni di passeggeri che giungono a Londra in aereo ogni giorno sono pari a circa il doppio della popolazione britannica. Il fatto che il fenomeno del viaggio abbia assunto simili proporzioni rende impossibile caratterizzare le città come entità stabili. Non sono più semplicemente luoghi geografici, bensì contesti urbani che si adattano a un flusso costante. (Barley, 2000) L’analisi coinvolge anche i ritmi della città,

Figura 1.25: Cerdà,

dettaglio, rapporto tra tipologia degli isolati proposti per Barcellona e viabilità. Fonti: http://www.urba.unifi.it/

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intesi come le coordinate attraverso le quali gli abitanti e i visitatori inquadrano e ordinano l’esperienza urbana. (Amin, Thrift, 2005, p. 37). Tale concetto trova ulteriori sviluppi in Lefebvre, con l’approccio rythmanalyse, basato sul fatto che ogni città ha il proprio ritmo, dettato dall’organizzazione sociale del quotidiano. (Governa, Memoli, 2011) Si individua un luogo temporalizzato o un tempo localizzato che registra il tempo giornaliero della città, affiancato dalla metafora dell’impronta, che costituisce il superamento dell’idea di città come spazio circoscritto. L’esempio di Plaza de las tres Culturas a Città del Messico, [Fig. 1.30] dove si contrappongono rovine azteche, edifici contemporanei in stile Internazionale e una chiesa Cattolica barocca, dimostra come la spazialità sia in realtà costituita da una molteplicità di storie che si giustappongono e stratificano. Ciò conduce al confronto col passato e a stabilire rapporti di continuità o discontinuità con esso, ma di ciò si parlerà in seguito. Un fatto evidente, è che il primo impulso che

Figura 1.26: Eugene Henard, 1906, schema teorico relativo al nuovo assetto della viabilità di Parigi. Fonti: http://wp.stockton.edu/parismaps/1904-2/

Figura 1.27:

Piano di espansione Pampus: dettaglio del piano del traffico, J.B. Bakema and J.H. van den Broek, Fonti: 1964. NAI Collection, BROX 1411t1-3.

Figura 1.28: Louis I. Kahn, reformed traffic circulation

Figura 1.29:

Louis I. Kahn, torre parcheggio, 1920. Fonti: Giorgieri, Ventura, 2007.

pattern, Filadelfia, Pennsylvania, 1952. Fonti: http://archiveofaffinities.tumblr.com/

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Figura 1.30: Plaza de las tre Culturas, Città del Messi-

contraddistingue la città del ventesimo secolo, è la concentrazione (Secchi, 2005), ovvero la tendenza della città a crescere su se stessa per mitigare la tirannia della distanza. (Bairoch, 1967) Soprattutto gli impianti industriali nelle prime fasi dell’industrializzazione tendono a localizzarsi vicini tra loro e nei pressi di grandi centri urbani, beneficiando così di esternalità, economie di urbanizzazione e economie di agglomerazione.(Conti, Dematteis, Lanza, Nano, 2006, pag. 159) Nascono importanti riflessioni sul fenomeno della concentrazione urbana, come nella Scuola di Chicago tra il 1914 e il 1940. Lo studio delle relazioni tra strumenti della mobilità e piani regolatori, letti come elementi funzionali al densificarsi della città (Park, Burgess, McKenzie, 1999), pone l’accento su sinergie e coesioni tra aspetti differenti della società, che non possono più essere trattati separatamente. L’approccio da loro utilizzato, definito “approccio ecologico”, come già visto in precedenza, svela legami con un ordine morale dietro a fattori altrimenti considerati strettamente “artificiali”. Lo sviluppo della letteratura e delle tecniche d’indagine a riguardo, confermano anche l’insorgere di certe inquietudini relative alla concentrazione eccessiva nelle città. In concomitanza con il momento di massima diffusione dell’automobile, giunge il rapporto Buchanan 18 (Buchanan, 1963), che dopo lo studio di alcune città inglesi afferma che i problemi di congestione causati dalla richiesta di spazi della mobilità sempre più ampi, rende necessario il ridisegno delle città nelle sue parti essenziali. Così entrano in gioco nuove forze, come politiche mirate a favorire la dispersione degli insediamenti, in primis l’infrastrutturazione dei territori. Secondo gli studi di Marcel Smets e Bruno De Meulder la costruzione dei paesant tramways,

co. Fonti: http://www.geolocation.ws/v/P/17843441/ plaza-de-las-tres-culturas/en

ovvero di una densa rete ferroviaria, è stato il catalizzatore della dispersione nelle Fiandre. (Secchi, 2005) Ettore Conti giustificava il progresso dell’industria elettrica italiana in ragione dei giovamenti che la diffusione della corrente elettrica avrebbe prodotto sulla dispersione insediativa. (Conti, 1986) Si sviluppa la seconda tendenza dominante della città del ventesimo secolo, la dispersione. Concentrazione e dispersione nelle grandi periferie metropolitane, nei suburbs, nella “città regione”, divengono fenomeni auto-contradditori, ciascuno causa del suo opposto. Essi fanno sì che la città sia costantemente alla ricerca di un equilibrio spaziale e temporale tra il proprio ruolo e l’infrastruttura che ne consente un completo svolgimento, che la città sia perennemente instabile, L’instabilità, l’impossibilità di darsi un assetto duraturo nel tempo sembra divenire uno dei connotati fondamentali della città del ventesimo secolo. (Secchi, 2005, pag. 18) Francesca Governa e Maurizio Memoli definiscono il concetto di dispersione attraverso il termine contro-urbanizzazione, che ha a sua volta suscitato numerose teorie riguardo l’eventuale crisi dei modelli urbani concentrati, anche se non vi è una spiegazione univoca. 47


Inseriscono nel dibattito anche il termine riurbanizzazione, riferendosi alla riconquista e rigenerazione dei centri urbani, teoria che riprende il concetto di ciclo di vita delle città, di paternità organicista, e che può corrispondere all’emersione di processi di gentrification. Il passaggio dall’urbanizzazione alle nuove forme di urbanità, definite appunto neourbanità, è un fatto temporalmente distinguibile e identificabile in fasi successive e alterne [Fig. 1.31]. Tuttavia la linea temporale in cui si inseriscono non è la medesima per ogni città: il fenomeno ha coinvolto le città dell’Europa degli Stati Uniti e del Giappone in tempi diversi. (Governa, Memoli, 2011).

crescita del core a scapito del ring;

contro-urbanizzazione: qualora la perdita di popolazione del core superi l’aumento di popolazione del ring. In tal caso si ha un calo netto di popolazione;

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riurbanizzazione: il core comincia nuovamente a crescere, mentre il ring continua a perdere popolazione. (Governa, Memoli, 2011) Questa serie di caratteristiche pone la città al centro di un processo di continuo disfacimento e rifacimento delle funzioni e dell’immagine urbana. L’instabilità è una forma di dinamicità. La necessità di rinnovarsi continuamente è la caratteristica fondamentale che riporta la questione urbana in stretto contatto con la società della crescita e del consumo. Tale necessità genera anche sperimentazione e rinnovamento. Col tempo si configurano nuovi tipi edilizi, come nei quartieri intorno alle fabbriche di Essen, gli insediamenti di Saltaire,

L’approfondimento dello studio di questa linea evolutiva urbana, condotta all’interno del progetto Curb (the costs of urban grouth), i cui esiti sono stati pubblicati nel volume Urban Europe, A study of Grouth and Decline, (Van den Berg et al., 1982) mette in evidenza la successione di fasi che interessano diversamente il core urbano (centro città) e il ring (corona legata al centro dal pendolarismo). Vengono individuate quattro fasi successive:

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* *

suburbanizzazione: crescita del ring a scapito del core;

urbanizzazione:

Figura 1.31: Urbanizzazione e Neourbanità nel XX secolo Fonti: Governa, Memoli, 2011, pag. 92. 48


Figura 1.33:

Port Sunlight, Bourneville e molti altri che preannunciano il modello siedlungen, i concetti di villaggio operaio, baublock, edilizia seriale, residenza a schiera, fino ai progetti di Ledoux per la città ideale Saline de Chaux o alle Garden Cities di Unwin e Howard. (Zevi, 2001)

Estratto della copertina dell’edizione ARCH+buch1 di Delirious New York. Fonti: http://www. sitterwerk-katalog.ch/controller/public/show_book. php?gm=526176

Si conferma il successo di certi modelli e si decreta il fallimento di altri. La tendenza alla verticalità, già evidente nel pensiero di Hilberseimer (Hilberseimer, 1998) [Fig. 1.32], diventa un elemento caratteristico di molte città, sinonimo di progresso e monumento autocelebrativo di soggetti e istituzioni. L’ascesa della verticalità è stata accompagnata dalla ridefinizione di molti aspetti della vita umana. Koolhaas evidenzia come l’ascensore abbia riattribuito nuovi valori allo spazio potenziale. Un ottica nuova destinata a segnare profondamente il disegno urbano.

con ciò che resta della natura (luce e aria). L’ascensore è l’ultima profezia che si autoavvera: più si va in alto, più diventano indesiderabili le circostanze che si lascia dietro di sé. (Koolhaas, 2001)

L’apparato di Otis recupera gli innumerevoli piani sospesi nella sottile aria della speculazione e rivela la loro superiorità nel paradosso metropolitano: più è grande la distanza dalla terra, più è stretta la comunicazione

Del resto le considerazioni di Koolhaas nascono dal caso estremo della città di New York, guardando in direzione di Manhattan [Fig. 1.33], luogo per eccellenza della verticalità. Secchi afferma che se da un lato la città shrinks, con riferimento alle forze che tendono a concentrare le attività umane, dall’ altro la città shifts, ovvero migra verso l’alto accompagnata da un nuovo simbolismo (Secchi, 2005)e da una nuova forma di branding, che lega architettura e marketing alle immagini del potere mediante formulazioni nuove, nelle quali la figura dell’architetto si riduce ad uno strumento commerciale per il capitale. (La Cecla, 2009) Tra le varie declinazioni della megalopolis post moderna, descritta come city-region contraddistinta dall’urbanizzazione reticolare,

Figura 1.32: Ludwig Hilberseimer, Città verticale, strada nord-sud. Fonte: Giorgieri, Ventura, 2007, Pag. 48.

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che permette un’altissima densità di collegamenti (Gottman, 1970), si rivelano certi casi emblematici di degenerazione degli strumenti volti a regolare le questioni urbane. Il caso di Istanbul, ampiamente analizzato nel documentario Ekümenopolis (Şehir, 2011), è caratterizzato dalla più o meno lenta trasformazione del TOKI 19 in un’azienda privata di stampo speculativo monopolistico. Il titolo stesso è molto significativo: la parola Ekümenopolis è stata coniata nel 1967 da Constantinos Doxiadis 20 per rappresentare l’idea che in futuro le aree urbane e le megalopoli si potrebbero fondere dando origine a una sola città continua in tutto il mondo, sintesi della progressione dell’ urbanizzazione attuale e del trend di crescita della popolazione. [Fig. 1.34] Un esempio cinematografico meno recente, ma più vicino a noi, è costituito da Le mani sulla città (Rosi, 1963), capolavoro si Francesco Rosi, che delucida accuratamente l’iter speculativo nell’attività edilizia del secondo dopoguerra italiano.

bilancio, piuttosto che altri. Da ciò derivano comportamenti istituzionali spesso contraddittori, che da un lato cercano di mettere in moto politiche sociali di sostegno (ad esempio il welfare-state), e dall’altro incentivano attività speculative di stampo capitalista, che tolgono spazio alla collettività e ai luoghi sociali, aggravando stati di crisi già palesi. Negli USA ci sono qualcosa come sei milioni di abitazioni che sono state sfrattate, come dire, sei milioni di famiglie che hanno perso la propria casa. Che avviene con queste abitazioni? Per ora hanno un prezzo molto basso. Sono state acquistate da grandi gruppi capitalisti che le tengono per due o tre anni, nell’attesa che il mercato si riprenda, e allora si riempiono le tasche. Abitazioni riacquistate al prezzo di, poniamo, 200.000 dollari per unità si venderanno allora a 300.000 o 400.000 dollari ciascuna, sempre che il mercato si riprenda. Si tratta di una attività speculativa, è ciò che chiamo accumulazione per spoliazione 21. (Harvey, 2013)

Il graduale successo conquistato dal neoliberismo, come espressione del libero mercato attraverso leggi economiche, politiche e sociali (che puntano soprattutto a minimizzare la presenza dello Stato), è un fatto cruciale nella questione urbana. I fatti urbani, più di altri, sono destinati a subire questa tendenza in maniera drastica. La città del neoliberismo infatti produce guadagni sensazionali per speculatori e capitalisti e genera questioni dalla portata spaziale e temporale assolutamente senza precedenti. Il problema intrinseco nel modello neoliberista risiede nella tendenza a far coincidere il valore di un elemento col suo valore economico, spingendo le istituzioni a conferire maggior peso decisionale a fatti di

Uno strumento di indagine molto valido per determinare i parallelismi tra fatti urbani e fatti economici è costituito dall’esproprio. Questa tesi, sviluppata da Maurice Halbwachs (Halbwachs, 1928) e ampiamente discussa da Rossi in L’architettura della città (Rossi, 2011), parte dal presupposto che la città sia continuamente investita da una duplice serie di forze. La prima riguarda gli eventi considerati singolarmente, come frutto di azioni esercitate da certe personalità, definita come insieme di forze individuali. La seconda, definita insieme di forze costanti, è relativa alla pulsione a costruire, acquistare e vendere i terreni di tutti i tempi. Queste forze si articolano però 50


Figura 1.34:

Ekümenopolis teorizzata da Constantinos Doxiadis (1967) Fonti: Governa, Memoli, 2011, pag. 104.

secondo direzioni specifiche e si inseriscono in piani e progetti prestabiliti. I due tipi di forze coesistono e si condividono il terreno d’azione inserendosi vicendevolmente l’una nell’altra. Ne sono un esempio i grandi piani stradali parigini che sfruttarono le enormi proprietà pubbliche generate dalla nazionalizzazione dei beni del clero e degli emigrati, avvenuta in periodo rivoluzionario. Il fatto che molte parti di città siano state riassorbite dalla municipalità a causa di una rivoluzione, costituisce di per sé un fatto individuale, così come i singoli progetti via via proposti per la trasformazione della città e Il piano della Commissione degli Artisti 22. La natura complessiva dei fatti urbani risponde invece a delle forze costanti, volte all’espansione della città e al miglioramento di alcune sue parti secondo direzioni offerte da piani e direttive (altre forze individuali). (Rossi, 2011) Alla luce di ciò, la tesi di Halbwachs si propo-

ne di considerare la questione degli espropri come punto di vista più sicuro e chiaro per studiare un insieme molto complesso di fenomeni, poiché è nei movimenti d’espropriazione e nelle loro conseguenze immediate che si manifestano come in una sintesi, abbastanza condensata, le tendenze economiche attraverso cui analizzare l’evoluzione fondiaria urbana. (Rossi, 2011, pag. 161) Perciò l’analisi di questo strumento fornisce informazioni non solo di tipo territoriale ci permette di comprendere e indagare la caratteristica dinamica della questione urbana, stabilendo relazioni tra discipline e soggetti che caso per caso definiscono le ragioni dell’esproprio. L’applicazione di queste tesi ci consente di comprendere meglio fenomeni complessi:

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Berlino precedente il conflitto, vengono intese come un modo di opporsi all’americanismo della Berlino Ovest e alla banalizzazione della Berlino Est. (Kleihues, 1987)

A questo proposito è tipico il giudizio sull’opera di Haussmann; in sostanza, ampliando la teoria di Halbwachs, si può affermare che il piano di Parigi Haussmann si può approvare o disapprovare, può piacere o non piacere, solo giudicandolo nel suo disegno [..] Ma è altrettanto importante poter giudicare che la natura di quel piano è legata alla evoluzione urbana di Parigi in quegli anni e che da questo punto di vista il piano è uno dei più grossi successi che si siano avuti, per una serie di coincidenze ma soprattutto per la sua adesione puntuale alla evoluzione urbana in quel momento, nella storia. le strade aperte da Haussmann erano strade che seguivano la direzione reale dello sviluppo della città e vedevano chiaramente la funzione di Parigi nelle sue caratteristiche nazionali e sopranazionali. (Rossi, 2011, pag. 170)

E’ certamente vero che sono molti i punti di incontro tra società del consumo e sviluppo urbano, ma esistono altre forze in gioco e tali forze possono essere causa di grandi trasformazioni urbane. In sintesi, la storia è di per se una forza costante e ogni evento ne è in una certa misura determinante e determinato; motivo per cui nella trattazione della città, non si può prescindere dai fatti storici. Nel caso del piano Hausmann, già citato in precedenza, con adesione puntuale alla evoluzione urbana in quel momento si intende anche sottolineare i timori di sollevazioni popolari che portarono a realizzare strade ampie e controllabili, difficilmente barricabili dagli insorti. E questo è senza dubbio un fatto storico. Concentrazione e dispersione, continuità e discontinuità, sono, per quanto rilevanti, caratteristiche descrittive di un fenomeno, utili soprattutto a compren-

Un ultima considerazione sull’analisi della trasformazione urbana riguarda i rapporti con la storia, di continuità o discontinuità con il passato. Questa osservazione trova spunto dall’analisi dei fatti Berlinesi del secondo dopoguerra, dove la pesante distruzione rendeva necessaria una massiccia ricostruzione. Nel 1946 il collettivo diretto da Hans Sharoun propose un piano basato sul legame tra città e paesaggio, articolato per unità paesistiche differenti, complessivamente innovativo, ma che presupponeva una concezione di impianto urbano nuova per i berlinesi. A questo fu preferito lo Zehlendorfer Plan 23, che utilizzava maggiormente l’impianto e la rete esistente, o quel che ne restava. (Secchi, 2005) Questa e tutta un’altra serie di fatti furono spunto per le riflessioni di Kleihues sui rapporti col passato e con la storia, dove per esempio il recupero della trama viaria e dell’isolato della

Figura 1.35:

Piano Haussmann,1852. In bianco le strade esistenti, in nero quelle da costruire, in quadrettato i quartieri nuovi, in rigato le aree verdi. Fonte: http://archhistdaily.wordpress.com/2012/03/

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derne le peculiarità, cause e dinamiche. Ma i lasciti di questo fenomeno, ovvero le prove tangibili sul territorio, sono gli edifici, in particolar modo, se si parla di città industriali, le fabbriche. Queste incarnano i valori del consumo e della crescita continua, essendone gli strumenti principali. La produzione, come noto, è l’asse portante del sistema capitalista, e i luoghi della produzione ne sono le cattedrali. Ma i cambiamenti nell’assetto economico dei paesi e le trasformazioni delle città per mezzo dei piani, hanno generato uno scenario nuovo. Gli impianti industriali, come il resto delle città, si trasformano, si frammentano e si spostano in ragione del decentramento produttivo. Alcuni

chiudono, alcuni cambiano sistemi di produzione, molti vengono abbandonati. Le città si riempiono di edifici, fabbriche, palazzine per uffici che hanno ormai superato il tempo della loro funzione originaria e giacciono svuotati del loro significato in stato di abbandono. L’evidenza ci circondava sotto forma di rovine dell città. Il Bronx era, isolato dopo isolato, chilometri e chilometri di rovine, e alcuni quartieri di Manhattan, i tenements popolari erano in stato di collasso in tutto il paese, molti dei docks che erano stati la chiave economica dello sviluppo di San Francisco e di New York giacevano abbandonati, a San

Figura 1.36: Detroit, 2011, mappa delle strutture in via di demolizione: ogni cerchio corrisponde ad un range che va da 10 a 100 strutture in base all’ampiezza. Fonte: http://affordablehousinginstitute.org/blogs/us/2011/04/a-job-only-a-friendshould-do-part-1-measure-twice.html

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termini funzionali). La rigenerazione urbana, tema tanto discusso negli ultimi anni, non è per forza sinonimo di ricostruzione, anche se a tale titolo vengono continuamente abbattuti e ricostruiti edifici. Il problema di fondo è se, in termini di utilità, vale la pena o meno che un oggetto o uno spazio venga riutilizzato; deve però esistere un soggetto in grado di riconoscere il valore, e tale giudizio non deve essere contaminato da fattori che, come ampiamente dimostrato, non hanno contingenze con la “spinta a migliorare” la qualità della vita urbana e gli spazi della socialità. Infine si ricorda che per riqualificare un oggetto, un architettura, un quartiere, non basta farla “durare”; è necessario ripristinare un valore all’interno della sua immagine.

Francisco lo era anche la Southern Pacific, la ferrovia che una volta attraversava il paese, e le due più famose birrerie della città. Lotti vuoti come denti caduti accompagnavano con un ghigno sordo le strade che percorrevamo. C’erano rovine dappertutto, perché le città erano state abbandonate dai ricchi, dalla politica, da una certa visione del futuro. Le rovine urbane erano il luogo emblematico di quest’epoca, i posti che offrivano al punk parte della sua estetica, e come molte estetiche anche questa conteneva un’etica, una visione del mondo con un mandato su come agire, come vivere. Cos’è una rovina, dopo tutto? E’ una costruzione umana abbandonata alla natura, e una delle caratteristiche delle rovine in città e il loro aspetto selvaggio: sono luoghi pieni di promesse e di incognite, con tutte le loro epifanie e i loro pericoli. (Solnit 2002) In molti casi il recupero delle aree dismesse appare più che altro come una grande occasione persa. L’architettura del XXI secolo tende alla globalità e alla eterogeneità, concetti difficilmente conciliabili con le specificità dei luoghi e col regionalismo critico, soprattutto se difficilmente adattabili ad altre funzioni. I nuovi simbolismi della globalità, aeroporti, shopping malls, stadi, grandi poli amministrativi, raramente si conciliano con l’archeologia del novecento. Aderiscono piuttosto a nuove visioni e strategie per la città che ne ridefiniscono immagine e identità, attraverso interventi puntuali, limitati e discreti in luoghi strategici. (Secchi, 2005) Tale limitatezza implica un trattamento caso per caso delle questioni urbane e ciò ricade logicamente anche sulle politiche legate al riuso degli spazi. Spesso manca la capacità di elaborare strutture amministrative in grado di sottrarre alla speculazione i vuoti urbani (in

Figura 1.37: San Francisco, 2009, mappa degli edi-

fici abbandonati: ogni cerchio corrisponde ad un edificio privo di funzione, in stato di abbandono. Fonte: http:// sfpublicpress.org/news/2010-08/run-down-pay-up-alist-of-san-francisco-blighted-properties

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Approfondimento I

Il caso di Torino

continuità nell’intento di conservare alcuni elementi e perpetrarne i valori culturali storici e talvolta funzionali. (Rossi, 2011) Si fa riferimento al legame con il concetto di impronta (Amin, Thrift, 2005) enunciato nel capitolo precedente (ivi. pag. 51), laddove la città trascende la spazialità e si pone in un ottica di convivialità culturale, soprattutto nei momenti

Torino, in qualità di città, contiene numerose testimonianze di quanto detto fin ora in relazione alla questione urbana. Per prima cosa occorre chiarire il contesto in cui la città si inserisce. La gerarchia dei centri urbani piemontesi era fino al XVII secolo pressoché omogenea e non vi erano polarità in grado di prevalere su altre, per particolari attributi politici o economici. Torino, che dal 1561 era capitale del ducato di Savoia, nel 1861, con l’Unità d’Italia, divenne la prima capitale del regno (1861-1865). Questi fatti, di natura politica, scatenarono una serie di processi urbani che ne ridefinirono i connotati in maniera radicale. Già nel Theatrum Statuum Sabaudiae 24 , nato come manifesto politico dei Savoia, finalizzato a far conoscere alla comunità a alle corti europee il livello raggiunto, si nota l’ampiezza e orizzontalità dell’operato sabaudo, che coinvolge grandi palazzi e complessi amministrativi, simbolo di potere e maestà, ma anche strade, piazze, parchi, monumenti. Col tempo, il nuovo ruolo conferì maggiore centralità all’infrastruttura urbana rispetto al territorio circostante, così cominciò a mutare lo schema funzionale della città: comparirono nuovi “grandi servizi” per l’amministrazione e per l’individuo e la collettività, e nuove attrattive. Così la rete urbana cominciò ad articolarsi maggiormente verso l’esterno [Fig. 1.38]. In questo senso si può notare come esista una certa

Figura 1.38:

Schema funzionale della città nei primi anni postunitari. In evidenza la cinta daziaria e le vie di comunicazione principali che la oltrepassano mediante le frontiere daziarie Fonti: Comoli Mandracci, 2010, Pag. 191.

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di intersezione tra correnti o istituzioni differenti, evidente nella coesistenza tra la maglia ortogonale dell’impianto urbano, e gli edifici che la occupano, ma ancora prima, nella scelta stessa di mantenere certe definizioni nell’impianto urbanistico piuttosto che altre. Più nello specifico, suscita interesse il caso della cinta daziaria del 1853, che nasce come strumento di difesa dal contrabbando, ma segnerà profondamente lo sviluppo della città radiocentrica, consolidando i tracciati radiali che conducevano oltre le barriere (porte) daziarie. In sintesi l’impronta di questo elemento guiderà verso la rottura con l’impronta dell’ortogonalità, in un susseguirsi di scelte che porteranno molto tempo dopo all’incontro tra il razionalismo della torre RAI, la sperimentazione della nuova stazione di Porta Susa e i portici di via Cernaia. Come evidente, esistono fattori che contrariamente generano discontinuità. Già a partire dal 1882 una commissione di studio nell’ambito della municipalità aveva fatto emergere proposte concrete di allargamento e di tagli nel nucleo antico. (Comoli Mandracci, 2010)

serpeggiano e si spezzano bizzarramente, fiancheggiate da case alte e lugubri, divise da una striscia di cielo, che s’aprono in portoni bassi e cavernosi, da cui si vedono cortili neri, scalette cupe, anditi bui, vicoli senza uscita, sfondi umidi e tristi di chiostro e di prigione. (De Amicis, 1880, Pag. 35-37) La tesi di discontinuità trova maggior forza se consideriamo il fatto che talvolta si sceglie di demolire la maglia ortogonale (impronta latente dai tempi del castra romanorum e dell’impianto cardo-decumano) per far posto ad assi nevralgici di taglio diagonale. in particolare, via Pietro Micca e via IV Marzo. [Fig. 1.39] La Legge per il risanamento della città di Napoli 25 , 1865, fu l’elemento che catalizzò il dibattito e portò ad attuare il piano di risanamento sul territorio Torinese. Come si può notare, un fatto politico, nato da influenze esterne. In sin-

Le motivazioni reali di tale pulsione rimangono legate anch’esse ad un certo tipo d’impronta, ovvero al decoro urbano come manifestazione di potenza, ma senz’altro creano una cesura con un contesto che non si dimostra più adatto alle direzioni della città: le aree sottoposte a piani di risanamento riguardano una parte di città estremamente densa e intricata, carica di problematiche:

Figura 1.39:

Rinnovamento urbano con indicazione della profondità dell’intervento della ristrutturazione edilizia, in applicazione della legge di Napoli (1885) nella “città vecchia”, secondo il PIANO REGOLATORE EDILIZIO PER IL RISANAMENTO DELLA CITTA’ Fonti: Comoli Mandracci, 2010, Pag. 209.

Qui la città invecchia improvvisamente di parecchi secoli, si oscura, si stringe, si intrica, si fa povera e malinconica [..] Le vie 56


tesi una concomitanza di fattori di varia natura ha accentuato e/o reso possibile il cambio identitario della zona. Tale concetto non può essere ridotto a semplici dualismi e rapporti chiusi tra entità definite: l’episodio, come qualunque altro, andrebbe considerato nella sua totalità, attraverso diversi punti di vista.

società immobiliari e residenza di lusso. (Governa, Memoli, 2011) Un altro di questi punti di vista, che riguarda piuttosto la città nel suo complesso, si articola in ragione del processo di industrializzazione che investe la città. La discontinuità in quest’ottica si fa più accentuata. La perdita del ruolo di capitale e la marginalizzazione del potere sabaudo spostano il dibattito sullo sviluppo urbano da caratteri politici a caratteri economici. Infatti a Torino, l’ipotesi di conversione della base terziaria amministrativa, in produttiva ed industriale, era già stata presa in attenta considerazione fin dal 1862, tre anni prima dello spostamento della capitale. Il sindaco di allora, Emanuele Luserna di Rorà, proponeva con determinazione l’elaborazione di una strategia che non cogliesse impreparata la città nel momento del definitivo spostamento delle funzioni amministrative. A tal proposito si ricorda che l’indotto di attività che derivavano dal ruolo di capitale aveva segnato l’aumento della popolazione da 179.653 a 204.715 abitanti, tra il 1858 e il 1862 (Comoli Mandracci, 2010). Si trattava dunque di una riorganizzazione incisiva dell’economia, da svolgere al di fuori dell’apparato statale. La stampa locale di allora concludeva: Coraggio, o torinesi, con tali elementi la vostra città può mutar di corona, ma resterà pur sempre coronata, sostituendo alla corona politica quella dell’industria 26.

Un punto di vista che torna utile, già citato nel capitolo precedente, è la tesi di Halbwachs (Halbwachs, 1928), relativa all’esproprio come strumento d’indagine. Effettivamente, con l’applicazione della Legge di Napoli, furono apportate al centro storico trasformazioni profonde, atte a consolidarne la centralità. Espropri e demolizioni di interi isolati erano auspicate e accettate come momento indistinguibile del risanamento urbano. Ciò favorì l’appropriazione strumentale del suolo da parte della borghesia, con lo scopo di trarne profitti. (Comoli Mandracci, 2010) Occorre aggiungere che la variante del 1885 della citata legge, aumentò il valore di indennizzo per i beni espropriati (probabilmente per contenere l’abuso di tale strumento), e ciò generò uno spostamento degli investimenti verso terreni di nuova edificazione. Qui il fenomeno dell’esproprio, condizionato dalla politica, decresce e parallelamente il focus delle trasformazioni urbane comincia a spostarsi dal centro verso le periferie. Un secondo punto di vista è costituito dal fenomeno della riappropriazione borghese della città antica, fenomeno oggi conosciuto come gentrification, che lega il quadro di risanamento alle pressioni fondiarie esistenti, mediante la riconversione del ruolo precedente di residenziale povero in funzioni qualificate e d’alto rango, come sedi bancarie, luoghi amministrativi,

In vista di questo cambiamento, serviva un sistema infrastrutturale adeguato e un mercato favorevole. In merito a quest’ultima considerazione, è interessante notare che, non essendoci la possibilità di reperire carbon fossile a 57


prezzi sostenibili per le imprese, la municipalità istituì una commissione per l’industria, incaricata di studiare i mezzi per dare maggiore sviluppo all’industria della città nostra 27. Tale ente si occupò in primis di censire le attività industriali per prendere coscienza della loro consistenza; successivamente elaborò una serie di direttive ritenute essenziali per creare le condizioni adeguate alla crescita. Il lavoro della commissione era sostanzialmente finalizzato a superare dei limiti che caratterizzavano la città di Torino (come il prezzo del carbone), attraverso l’elaborazione di nuovi strumenti o programmi di sviluppo. Ed il superamento, o meglio, lo spostamento dei limiti attraverso tecnica, tecnologia e scienza, è un elemento che contraddistingue le società della crescita, come visto precedentemente (ivi. pag. 16).

della città si vadano disponendo gli uffici politici e amministrativi, i circoli e i palazzi dei ricchi, i teatri, le chiese, i grandi alberghi, i magazzini di lusso; mentre le case delle famiglie meno agiate, le sedi delle aziende aventi grandi opifici e grandi magazzini, si dispongono verso la periferia. Ma, crescendo sempre più la città, avviene che le classi ricche, dice il Boccardo, trovandosi stipate troppo e addossate nel centro, bramose di aria e di luce, desiderose

Il Piano regolatore del prolungamento dei corsi e vie principali fuori la Cinta Daziaria della città di Torino [Fig. 1.40], sviluppatosi tra il 1885 e il 1899, approfondisce una caratteristica già precedentemente delineata, come evidente dalla figura 1.38; tuttavia la ragione principale che formalizzò la prima pulsione verso l’esterno fu il ruolo politico della città; nel secondo furono caratteri più variegati, di natura, come già detto, economica, ma anche sociale: Il centro della vita torinese è ancora l’antica Piazza Castello; ma in questi ultimi anni si rende sempre più manifesta la tendenza verso quel fenomeno, che si nota in molte città moderne, e chi il Boccardo chiama eccentrazione. Lo sforzo verso la somma minima di resistenze locali al mantenimento e all’esercizio delle funzioni esercita una grande influenza sulla distribuzione delle varie località entro all’abitato. Esso fa sì che verso il centro

Figura 1.40: “L’Ingegnere Capo Velasco”, prolunga-

mento fuori cinta daziaria della normativa edilizia, 1887. (Piano regolatore del prolungamento dei corsi e vie principali fuori la Cinta Daziaria della città di Torino Fonti: Torino, Archivio storico del Comune, Decreti Reali 18851899, serie 1 K, n. 13, f. 274, 4 settembre 1887, disegno allegato f. 267, stralcio relativo alla parte di disegno.

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di cingere le loro case con un giardino, d’uno spazio qualunque, cominciano ad emigrare dal centro verso la periferia, abbandonando le vie anguste aperte dai loro avi, e trasportano le loro case nelle regioni un giorno suburbane. (Comoli Mandracci, 2010, Pag. 213)

della monopolarità (Conti, Dematteis, Lanza, Nano, 2006). Questa successione di tensioni [Fig. 1.41] si traduce in un alternanza di fasi di agglomerazione dei piccoli centri contigui e periurbanizzazione che porta alla collisione con le città adiacenti. Alla fine del XX secolo la forma della crescita urbana torinese corrisponde ad un’“agglomerazione a macchia d’olio”. (Governa Memoli, 2011) Fu la prima fase di questa espansione, sotto forma di una serie di nuclei di nuova urbanizzazione, a far percepire la necessità di un regolamentazione urbanistica ed edilizia più precisa e articolata. Tra il 1906 e il 1908 venne steso, proposto e approvato il Piano Unico Regolatore e d’Ampliamento [Fig. 1.42], sintomo che l’estensione urbana per direzioni funzionali non

Così, verso la periferia della città, si cominciarono a determinare situazioni articolate: da un lato le residenze lussuose, villette; dall’altro impianti industriali, grandi magazzini, aziende, e conseguentemente, una nuova urbanizzazione basata su diversi insediamenti residenziali, collocati al di fuori della cinta daziaria per beneficiare di certe esenzioni fiscali (tipo il dazio sui materiali da costruzione), ma in prossimità delle principali vie di accesso e di comunicazione. E’ possibile riconoscere in questi fenomeni alcune delle considerazioni precedenti, relative al concetto di suburbanizzazione. Si è detto che in Italia la forma di città-diffusa trovò ampi margini di concretizzazione, per la concomitanza di fenomeni agglomerativi e conurbativi. Alla fine del XVII secolo, la città di Torino, assunto il ruolo di capitale, iniziò a stabilire nuove reti e gerarchie, che la resero “dominante” rispetto al contado circostante. Perso questo ruolo, durante il XIX secolo, la gerarchia stabilita si spezza e cominciano la loro crescita anche i centri vicini, favoriti dal commercio oltre l’arco alpino. Nella seconda metà del XX secolo la città assume caratteri fortemente industriali, e ciò la pone nuovamente in forte dominanza rispetto ai centri vicini, e l’organizzazione territoriale assume una forma monocentrica, caratterizzata dallo “sviluppo stellare” delle reti. Tra gli anni ‘80 e ‘90 del XX secolo tali reti si riorganizzano in ragione delle nuove gerarchie, che sanciscono il definitivo abbandono

Figura 1.41: Evoluzione del sistema urbano regionale dal 1600 ad oggi. Fonti: Conti, Dematteis, Lanza, Nano, 2006, pag. 33 (parziale).

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consentiva più di intervenire in maniera parziale con piani di urbanistica settoriale. Fino ad allora il presupposto era rimasto la minima tangibilità della proprietà catastale e di quello della formazione di lotti adeguati ad una costruzione standardizzata, senza riferimenti o legami strutturali con la preesistenza [..] (Comoli Mandracci, 2010, Pag. 217) Il piano unico regolatore si presentava più che altro come la sommatoria dei tenti piani parziali citati, privi di interrelazioni; inoltre l’estensione dei limiti urbani attraverso la nuova cinta daziaria del 1913, “cinta Rossi”, rendeva assai difficile la gestione amministrativa. In sintesi, le caratteristiche spaziali assunte da Torino non erano supportate da una efficace gestione del territorio.

In tal proposito, Francesca Governa definisce Torino una one company town, sottolineando il legame profondo che lega lo sviluppo dei tratti industriali torinesi alle scelte della FIAT (Governa, Memoli, 2011). Effettivamente dal 1899, anno di fondazione dell’azienda, vi sono stati numerosi processi che hanno coinvolto simultaneamente questi due “attori”. La costruzione del Lingotto (1915-26) segnò l’adozione del modello di produzione Fordista. L’architettura stessa si presenta come “manifestazione architettonica” della catena di montaggio. Ben presto l’azienda spostò gran parte dell’attività produttiva a Mirafiori: circa un milione di metri quadri, destinata alla produzione di autoveicoli e motori di aviazione e alla fusione dei

L’organizzazione spaziale della grande città moderna, [..] appare però in ritardo rispetto all’organizzazione dei luoghi della produzione e dello scambio. (ivi., pag. 41) Il discorso verte sui caratteri industriali acquisiti dalla città nel corso del XX secolo. Il censimento degli opifici e delle imprese industriali del 1911, oltre a testimoniare la centralità del tema, evidenziò che il fenomeno produttivo stava crescendo notevolmente, soprattutto grazie al settore metalmeccanico e automobilistico, entrambi in rapida ascesa. [Fig. 1.43] Il censimento del 1911 aveva individuato le presenza di 16.800 addetti nelle industrie “mineralurgiche, metallurgiche e meccaniche” e di 14.607 in quelle per “la costruzione dei veicoli”, con la presa di importanza progrediente rispetto ai più tradizionali settori produttivi [..]. (Comoli Mandracci, 2010 pag. 224)

Figura 1.42: Piano Unico Regolatore e d’Ampliamento

approvato dal Consiglio comunale sen 1906 e reso esecutivo col decreto legge 5 Aprile 1908 Fonti: Torino, Archivio storico del Comune, Tipi e disegni, 64-6-6.

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metalli, in grado di accogliere 22.000 operai (una concentrazione allora unica in Italia, tale da suscitare la perplessità di Mussolini), con fabbricati estesi su una lunghezza di cinquecento metri e una larghezza settecento, sei chilometri di gallerie sotterranee, rifugi antiaerei per 11.000 persone, undici chilometri di binari ferroviari e una pista di prova di oltre due chilometri (Berta, 1998) Negli anni ‘70 più della metà della popolazione torinese viveva direttamente del lavoro della FIAT e gran parte del terziario, commerciale e servizi, gravitavano comunque nell’area economica alimentata da quest’azienda o dalle aziende affiliate (Governa, Memoli, 2011). Il successo dell’attività industriale nella città di Torino è fortemente dipeso dalla FIAT, senza la quale non sarebbero mai esistite numerosissime attività complementari, anche extrasettoriali. La FIAT ha anche scatenato un altro fenomeno, evidente in figura 1.42, ovvero l’insediamento delle aziende nella parte meridionale del tessuto urbano. L’industria ottocentesca si localizzò prevalentemente a ridosso della Dora, fino alla confluenza con il Po, per beneficiare dei corsi d’acqua per l’energia idroelettrica. In questo caso la localizzazione delle fabbriche sembra svincolarsi dalla tradizionale adduzione idraulica, essendo la rete infrastrutturale elettrica abbastanza sviluppata da sopprimere tale necessità (Comoli Mandracci, 2010). Questo nuovo aspetto localizzativo ha riscontri precisi nella formazione di nuove identità urbane, come borgo San Paolo o barriera di Milano. Questi insediamenti si distinguono nettamente dai precedenti, in quanto non derivano tanto dalla gestione amministrativa e annoaria della città, ma seguo-

Figura 1.43: La distribuzione delle imprese industriali

del 1889 e del 1914 a confronto. Nella prima è indicata la cinta daziaria in linea tratteggiata. Nella seconda è indicato il sedime della precedente cinta daziaria in tratteggio quadrettato e la nuova “cinta Rossi” (parziale) in tratteggiato. Il settore meccanico, metalmeccanico e metallurgico è indicato con i cerchi neri pieni. La dimensione del cerchio è unità di misura (indicativa) per il numero di impiegati. L’unità base indicata in legenda è di 100 impiegati. Fonti: Comoli Mandracci, 2010, pag. 220-221.

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no, o sono correlabili, con la localizzazione industriale di nuovo tipo, svincolata cioè dalle fonti energetiche. (Comoli Mandracci, 2010, pag. 225) Questi sobborghi operai incarnano realtà decentrate e disancorate dalla città, e prefigurano fenomeni sociali correlati alla nuova situazione di “proletariato urbano” in rapida crescita e autodeterminazione. Di fatto si instaurò una divisione netta tra la fascia di borghesia industriale e la grande massa degli operai. (Governa, Memoli, 2011) Tra il gli anni cinquanta e settanta Torino richiama manodopera esterna, in particolare dal sud Italia,; il 1961 è l’anno in cui si registra il più alto tasso di immigrazione per la città, con 84.000 nuovi arrivi. Nel 1951 la popolazione tocca i 700 mila abitanti e nel 1971, supera il milione e 200 mila (un incremento del 70%). Negli anni ‘70 la città di Torino arriva a ospitare circa la metà dell’intera popolazione piemontese (Castronovo, 1987). A dei livelli tali di inurbamento corrisponde una altrettanto intensa crescita dell’impianto urbano [Fig. 1.44] caratterizzata da profonde trasformazioni nella forma urbis. L’espansione sancì il definitivo abbandono della “scacchiera” in favore del modello a direttrici radiali e cerchi concentrici. Tale modello, ha dei connotati sociali ben definiti che aderiscono perfettamente ai principi dell’industrializzazione. Il funzionamento del modello a cerchi concentrici è strettamente legato la gerarchia di rapporti che si creano tra aree centrali e aree via via più periferiche, in un contesto di mobilità e infrastrutturazione diffusa tale da permettere il pendolarismo (Park, Figura 1.44: (a lato) Espansione urbana di Torino dal

1908 al 1981 Fonti: P. Tosoni, in R. Gambino, R. Tadicioni, P. Tosoni (a cura di) , Dossier Torino, in “Spazio e società”, 42 (1988) p. 102.

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Figura 1.45:

siva fase di deindustrializzazione seguita da una reindustrializzazione fondata su paradigmi diversi, espressione di un mutamento nella struttura produttiva, portò alla graduale comparsa di vuoti urbani. La chiusura degli stabilimenti è riconducibile principalmente a: maggiore specializzazione e divisione tecnica del lavoro tra impianti; effetti centrifughi delle nuove tecnologie (telecomunicazione, elettronica);

Felice Casorati, quadro pubblicato per il lancio dell’autovettura FIAT 600 (1955). La visione notturna coglie la dimensione urbannistica della città Fonti: Torino,Centro Storico FIAT

* * * * * *

crisi settoriale di alcuni apparati;

riorganizzazione delle grandi imprese verso forme a rete decentrata; delocalizzazione produttiva per beneficiare di economie locali; crisi della domanda. (Are, Venere, 2005, pag. 45) Nel caso di Torino i vuoti generati da questo fenomeno sono prevalentemente di due tipi: industriali o di servizi e impianti ormai obsoleti o trasferiti (mercati, ospedali, magazzini). I vuoti industriali costituiscono il 77% del patrimonio torinese dismesso. La dimensione delle aree è molto variabile, dalla superficie della singola azienda ai grandi agglomerati ex-industriali, come quelli interessati dal più esteso progetto di trasformazione urbana in atto nella città, ovvero la cosiddetta “Spina Centrale”, che copre 2,8 milioni di metri quadrati. (Maspoli, Spaziante, 2012) Sia i vuoti industriali che i grandi servizi dismessi occupano posizioni abbastanza centrali, poiché progressivamente inglobate dall’espansione urbana,

Burgess, McKenzie, 1999); (ivi, pag. 45). Ad ogni modo le ragioni dell’industria stavano comunque vincendo sulle ragioni del territorio. Anche la critica urbanistica coeva pare cosciente del conflitto profondo che separava, ormai irreversibilmente, la città redditiera dalla città industriale. La città capitale era diventata la “città del capitale” (Comoli Mandracci, 2010, pag. 231) Alla fine degli anni settanta l’assetto territoriale degli impianti produttivi è determinato, così come la nuova struttura polare del capoluogo, e non ha subito sostanziali modifiche fino alla fine del XX secolo. Tuttavia una succes63


o comunque beneficiano di connessioni storicamente consolidate per motivi funzionali. Negli anni novanta si è riusciti ad approfondire la questione, tramite la quantificazione della dismissione. Secondo il censimento delle aree industriali dismesse del 1989, effettuato dal dott. Egidio Dansero, docente presso l’Università degli studi di Torino, emersero quasi 4.000.000 metri quadrati di suolo in disuso all’interno dell’area metropolitana [Fig. 1.46]. A questo punto, appurata la dimensione del fenomeno, cambia la prospettiva di analisi: le aree dismesse, precedentemente lette come frammenti isolati, diventano parte integrante del sistema urbano, caratterizzato da un bi-

lancio ecologico, a cui ogni componente è chiamata a contribuire, in nome della sostenibilità sociale e ambientale. Il nuovo approccio è volto al superamento dell’insularità caratteristica degli insediamenti dismessi, verso la costruzione di una rete di esperienze capaci di fornire benefici alla collettività e al funzionamento della città, nell’ambito di una strategia complessiva di rigenerazione. Con gli anni novanta, con l’affermarsi del concetto di sostenibilità (ivi. pag. 73) e con il riconoscimento del ruolo cardine della città nell’innesco di processi di sviluppo sostenibile, prendono avvio alcune esperienze di piano che, integrando urbanistica ed ecologia, assegnano una decisa priorità al tema della rigenerazione delle risorse naturali in ambito urbano attraverso gli strumenti propri della pianificazione urbanistica. (Are, Venere, 2005) Si nota anche un maggior interesse da parte delle amministrazioni pubbliche al problema; esse destinano ai vuoti industriali una parte cospicua delle proprie risorse, a significare un’esigenza di riappropriazione pubblica dello spazio produttivo; ma soprattutto iniziano a ripensare e rinnovare le pratiche vigenti. Basta pensare al Piano Regolatore del 1995, definito “sostenibile” o ai Programmi Complessi, volti a delineare nuove prospettive attraverso un forte mix funzionale, capace di combinare attività produttive o commerciali con servizi a scala urbana, innalzando la qualità ambientale, economica e sociale del sistema urbano.

Figura 1.46: Comune di Torino, 128 aree dismesse nel 1971. Fonti: Agata Spaziante, 1993

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Capitolo II

Il riuso

Amsterdam NSDM Fonti: Autore

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Rifiuti e dismissione

milioni di tonnellate di rifiuti speciali (prodotti da attività agricole, industriali, sanitarie, di servizio, di scavo e demolizione, di recupero dei rifiuti stessi) e 32,1 milioni di tonnellate di rifiuti solidi urbani. Questa materia viene portata in discariche e inceneritori, soprattutto nel caso dei rifiuti urbani (46% del totale) (Ceste, 2012) 1 . Nel 2007 in Italia vi erano già 269 discariche e 47 inceneritori, 52 nel 2010. Numerose problematiche sociali e politiche affiancano l’emergere della questione dei rifiuti. Durante l’emergenza della regione Campania del 2008, circa 1500 tonnellate di rifiuti venivano quotidianamente portate in Germania; un business esteso lungo 2000 chilometri, dal valore di 200 mila euro al giorno per le due società tedesche che gestivano lo smaltimento. Vi furono anche episodi di illegalità, come nel caso delle “ecomafie” 2, che accentuarono sensibilmente la percezione mediatica di tale crisi. Alla radice del problema si trovano delle evidenti insufficienze a livello gestionale nell’ambito dei rifiuti. Nell’aprile del 2008 la Corte europea di Giustizia ha inflitto l’ennesima condanna all’Italia per il mancato rispetto della normativa comunitaria sullo smaltimento dei rifiuti nelle discariche. Umberto Ghezzi, docente del Politecnico di Milano, afferma: abbiamo pochissimi termovalorizzatori e discariche simili a bombe ecologiche. [..] Non si può certo dire che il nostro paese gestisca

Rifiuti e dismissione costituiscono due aspetti consequenziali di un fenomeno vasto e non circoscrivibile, determinato dall’azione di strategie orientate al supporto della produzione. Nel primo capitolo si è studiato il comportamento di queste forze e la dinamica complessiva che ha portato a specifici risultati. Questi risultati sono il necessario punto di partenza per una nuova riflessione. Ora, emerge con chiarezza il fatto che il passato di determinati modelli e società incide profondamente sul loro futuro. Ciò che viene scartato dall’evoluzione delle strutture territoriali o delle coscienze individuali costituisce il fulcro attorno al quale costruire nuove strutture ed una nuova coscienza. D’altronde il noto economista americano Jeremy Rifkin, nel corso della biennale di Venezia del 2008, presentando la Carta per l’Architettura del Nuovo Millennio, pone il riciclaggio di vecchi spazi come pilastro della Terza Rivoluzione Industriale, all’insegna della sostenibilità e del risparmio energetico. In linea con le affermazioni di Muhammad Yunus, in occasione del World Congress of Architecture (2008) a Torino: “I progettisti si confrontino realmente con quello che c’è nelle nostre città. Tutto il resto, per quanto bellissimo, è destinato a rimanere soltanto un esercizio di stile”. (Yunus, 2008) Per prima cosa, occorre aprire una breve parentesi sulla questione dei rifiuti. In Italia nel 2009 si registrano 128,5

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razionalmente il problema dei rifiuti. (Alessandrini, 2008, pag. 34). Senz’altro è possibile costruire ulteriori discariche e termovalorizzatori, ma ciò non costituisce una soluzione. Come dimostrato dai Meadows (ivi. pag. 15), si tratta di uno spostamento dei limiti. Se la società continuerà a crescere, e con essa anche i consumi, incontrerà inevitabilmente un nuovo limite. Diversamente, un cambio strategico che incida sullo “stile di vita”, potrebbe portare benefici durevoli. Basta pensare a quanti dei numerosissimi imballaggi che contengono i prodotti di mercato siano effettivamente necessari o, ancora più a monte, al concetto stesso di rifiuto. L’oggetto “desueto”, scartato e emarginato dal mondo dell’utilità e funzionalità, non ha delle caratteristiche fisse, universalmente riconoscibili. La sua appartenenza o meno a questa definizione è legata al valore che ogni individuo attribuisce a tale oggetto. Il design industriale e il funzionalismo, che hanno ispirato il movimento moderno in architettura, hanno anche prodotto numerosi cambiamenti nel rapporto uomo-oggetto, spostando progressivamente i confini dell’ordine morale e del senso estetico verso i principi di funzionalità, fino a far coincidere il concetto di valore con quello di utilità. La cultura dell”usa e getta”, fonda i propri canoni proprio su questa nuova relazione. (Latouche, 2013) Le direttive volte a contrastare la “questione rifiuti”, condivise anche dall’Unione Europea, sono riconoscibili nel principio delle 4 R (quattro “erre”) (Alessandrini, 2008, pag.43):

** **

I primi due punti riguardano essenzialmente l’esauribilità delle fonti. Gli ultimi due punti richiamano esplicitamente il concetto di rifiuto. Il D.Lgs. 152/06 parte IV 3, in linea con la direttiva 2008/98/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio 4, definisce rifiuto: Qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o abbia l’obbligo di disfarsene. Nell’architettura e nell’urbanistica si notano situazioni molto simili, sovrapponibili per molti aspetti. Forze individuali e forze costanti si intersecano nei fatti urbani, determinando scelte e prospettive di sviluppo. Anche qualora queste scelte prevedano l’abbandono di oggetti e manufatti architettonici, poiché nella città si concretizzano una serie di esigenze che rispecchiano interessi diversi (economici, politici, sociali), che non sono sempre finalizzati al mantenimento delle strutture territoriali per come si sono formate. La trasformazione della città, in ragione della transitività propria delle nuove forme urbane (ivi pag. 45), richiede cambiamento continuo nella forma e nelle funzioni. Il rifiuto “micro” e quello “macro” (dallo spazzolino da denti al quartiere urbano, ivi. pag. 5) sono fenomeni complementari e rapportabili. La produzione di case, scuole, ospedali, fabbriche è un fatto parallelo a quella dei beni di consumo comuni. Ogni cosa ha un ciclo di vita proprio, e tale ciclo dipende fortemente dalle scelte compiute dall’utilizzatore. Il termine di questo ciclo non coincide per forza con la consunzione del manufatto, in quanto questo può essere riparato o usato in altri modi, esattamente come un edificio o un quartiere può essere ristrutturato, restaurato, rifunzionalizzato e rigenerato. Il presupposto attorno al quale si articola il seguente capitolo consiste proprio nel non considerare l’architettura e l’urbanistica come entità indipenden-

risparmio delle materie prime; riutilizzo dei prodotti; riciclaggio dei rifiuti; recupero dell’energia dai rifiuti;

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ti, avulse dal contesto dell’abuso. In sintesi Il ciclo di vita tradizionale (lineare) dei prodotti [Fig. 2.1], ma anche dell’architettura urbana, può e deve essere bilanciato da fenomeni che orientino gli apparati e le discipline verso un ciclo di vita chiuso, basato sul riassorbimento, mediante il riciclo, e sul riuso, mediante bonifica, ristrutturazione e riqualificazione dei manufatti [Fig. 2.2].

piccole nostre abitudini quotidiane, nei cento oggetti nostri che il più umile mendicante possiede. [..] Ne è pensabile di venirne privati, nel nostro mondo, che subito ne troveremmo altri a sostituire i vecchi, altri oggetti che sono nostri in quanto custodi e suscitatori di memorie nostre. [..] Le cose, naturali o artificiali, portano con se una traccia, il riverbero di una presenza umana a esse prossima. [..] Ma quella presenza può alterarsi, deformarsi, e allora le profana, le devasta, ne abusa, le abbandona per incuria, disinteresse e barbarico vandalismo. (Viale, 2011, pag. 58)

Occorre precisare che, come già detto, la questione dei rifiuti nasce dai paradossi dell’industrializzazione, in un sistema dove la regola del consumo rende necessario lo scarto continuo per far posto al “nuovo”. In quest’ottica l’espansione industriale, seguita dalla sua progressiva sostituzione, pare un fenomeno incontenibile e l’urbanistica, in tal senso, assume grandi responsabilità. Inoltre il concetto di sostituzione, che sta alla base del consumo, tocca intimamente la riflessione sulla conservazione delle memorie urbane e dei luoghi. Qui ritroviamo il problema del valore. Mentre nel contesto “micro” decidere quando riutilizzare o meno un oggetto può sembrare una scelta facile (anche se in realtà non lo è), nella scala “macro” tale decisione risulta oggettivamente difficile. Nel primo caso, le osservazioni di Guido Viale suscitano numerose riflessioni riguardo il rapporto uomo-oggetto.

Da questa riflessione trapelano una serie di concetti chiave: L’importanza della memoria nei processi di attribuzione del valore; la pulsione verso l’abbandono di ciò che perde il legame con la propria ragione di essere, quindi la tendenza alla sostituzione degli oggetti. Il dibattito architettonico non si allontana da questi concetti, ma i processi decisionali in merito, sono estremamente più complessi, poiché le scelte da effettuare non sono individuali, ma riguardano la collettività, le istituzioni, interessi diversi e spesso in contrasto. L’esperienza italiana denuncia il peso di tre componenti che hanno influenzato notevolmente la questione:

*

la grande tradizione maturata nella valorizzazione e nel recupero dei centri storici;

Consideri ognuno, quanto valore, quanto significato, è racchiuso anche nelle più

Figura 2.1: Schema illustrativo del ciclo di vita lineare dei prodotti e dell’edilizia. Fonti: Autore. 68


Figura 2.2: Schema illustrativo del ciclo di vita chiuso dei prodotti e dell’edilizia. Fonti: Autore.

d’uso nel patrimonio esistente, pertanto è necessario un controllo pubblico. E qui entra in gioco la difficile conciliabilità dell’interesse pubblico con quello privato, accentuata dalla scarsa flessibilità dei ruoli e dalla specificità dei singoli casi. Inoltre le politiche del riuso presuppongono sistemi di gestione ai vari livelli istituzionali, perseguendo obbiettivi aggregati di riequilibrio, cosa che genera maggiore affidabilità e controllo, ma anche macchinosità e, spesso, lentezza nella pratica. (Celada, Paolillo, Fontana, 1982) Per mantenere un ruolo di identificazione culturale, le aree dismesse non devono limitarsi a “durare”, ma devono restare attive, ovvero esprimere una funzione, che può essere neoproduttiva, congnitiva, socio-culturale. In pratica si tratta di reinserire attivamente questi beni nel flusso continuo del cambiamento sociale. I problemi posti dal tema dell’identità urbana, spaziale e culturale, in relazione ai problemi del riuso, si risolvono nell’applicazione di strategie di valorizzazione complesse, capaci di rilanciare sia gli aspetti produttivi che quelli culturali. Queste considerazioni nascono dalle riflessioni degli

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il difficile rapporto con l’architettura contemporanea; l’orientamento a privilegiare e garantire la fattibilità e redditività economica degli interventi, e dunque l’interesse dei privati, piuttosto che l’interesse pubblico, rappresentato in generale dal miglioramento della qualità urbana. (Maspoli, Spaziante, 2012, pag. 17). Pertanto si prospettano scelte difficili, soprattutto nel caso che il manufatto non sia depositario di un valore culturale, sociale, storico ed architettonico tale da meritare tutela e conservazione. L’attribuzione di tale valore è stata sovente fatta coincidere con i canoni UNESCO, per la salvaguardia del patrimonio dell’umanità, e ciò risulta limitativo (Alessandrini, 2008). Inoltre vi sono ulteriori difficoltà insite nel metodo del riuso. Infatti un piano, anche locale, del riuso deve porsi il problema degli effetti sul mercato: di una loro verifica ex ante per evitare conseguenze boomerang. Deve anche tendere al riassorbimento di squilibri

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il ritardo, infine, con cui sono andate sviluppandosi nuove figure professionali, presenti ed efficaci in altri Paesi, come il “developer” o il “promoter”, ovvero soggetti capaci di gestire l’intera operazione di trasformazione dell’area o dell’immobile, dalla fase urbanistica alla realizzazione e gestione delle opere. (Maspoli, Spaziante, 2012, pag. 21).

anni ‘70 e ‘80 del XX secolo, periodo in cui si spesero numerose energie per far accettare alla cultura accademica, mediatica e alle amministrazioni le testimonianze della cultura industriale tra i segni più valevoli di cultura materiale. Oggi raccogliamo i frutti di quel lavoro, nel passaggio da “archeologia industriale” a “patrimonio industriale”, sintomo di una nuova consapevolezza e di un ritrovato valore. Occorre precisare che la patrimonializzazione industriale non è semplice tutela e salvaguardia di un oggetto-simbolo; rappresenta piuttosto la possibilità di creare legami tra elementi culturali significativi a processi di sviluppo locale (Are, Venere, 2005). Vi sono alcuni nodi cruciali da superare, individuati da Maspoli e Spaziante, ai quali è strettamente connesso il destino della riqualificazione delle aree dismesse. Di questi ricordiamo i principali: l’incapacità delle regole dell’urbanistica, delle procedure ordinarie di gestire il territorio, ma anche dei vecchi e superati strumenti in atto (PRG, varianti, strumenti esecutivi) di farsi carico dei nuovi problemi;

Questi aspetti, di carattere più tecnico e applicativo, dipendono dalle strategie messe in gioco dalle istituzioni e saranno esaminate più dettagliatamente in seguito. Ad ogni modo, le politiche del riuso urbano sono ormai una pratica diffusa: Non si contano più “recuperi” e “conversioni” in piattaforme creative di aree dismesse, periferiche, ex-fabbriche o architetture industriali di vario genere. La ristrutturazione e riqualificazione di questi luoghi è una prassi urbanistica confermata da molti progetti internazionali, più o meno riusciti, che hanno modificato il concetto degli spazi espositivi tradizionali e dei quartieri circostanti, considerati come luoghi di “attraversamento”. (Ceresoli, 2005, pag. 21)

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la complessità applicativa della cosiddetta “perequazione urbanistica” 5, introdotta per agevolare l’accordo sulla distribuzione dei diritti edificatori fra proprietari e promotori e favorire l’attuazione di grandi operazioni urbane come i “programmi complessi” (PRIN, PRU, PRiU, PRUSST) 6;

Come vedremo, numerose città, tra cui Torino, sono state laboratorio e fucina per svariati piani di risanamento, volti soprattutto alla risistemazione dei cosiddetti “vuoti urbani”, zone dismesse, in demolizione o abbandono, private della funzione. Questo fenomeno, che affianca le politiche del riciclo, la raccolta differenziata e, più in generale, le dinamiche di sensibilizzazione verso una gestione più responsabile del rifiuto, si inserisce in un quadro complessivo caratterizzato da un sempre maggior dispendio di energie intellettuali e

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L’insufficiente presenza di soggetti in grado di esprimere il “managemet”, le risorse finanziarie, la capacità progettuale in uno scenario di competizione sempre più agguerrita fra territori;

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fisiche verso i concetti di sostenibilità sociale e ambientale. Queste tendenze hanno dei legami molto precisi col territorio, pertanto la città nei suoi connotati, necessita di un’attenta rilettura. Di tutti i modi di interpretare lo spazio urbano, vi sono due approcci particolarmente significativi: il primo, spaziale e orizzontale, vede la città come caleidoscopio, metafora della casualità e fluidità con cui i frammenti urbani si riconfigurano di continuo (come avviene con le immagini filtrate dalla lente caleidoscopica). Tale interpretazione è molto vicina all’idea di città-mosaico, proposta dalla Scuola di Chicago (Park, Burgess, McKenzie, 1999). Il secondo vede la città come palinsesto, come pergamena sulla quale si susseguono cancellature e nuove scritte. Ma i segni delle cancellature permangono nel tempo, sotto forma di ciò che nel testo viene definito “deserto” (Corboz, 1998), o meglio, spazio privato di funzione o architettura desueta. Lo stesso Corboz afferma: [..] Il territorio non è un contenitore a perdere nè un prodotto di consumo che si possa sostituire. Ciascun territorio è unico, per cui è necessario “riciclare”, grattare un volta di più (ma possibilmente con la massima cura) il vecchio testo che gli uomini hanno inscritto sull’insostituibile materiale del suolo, per deporvene uno nuovo, che risponda alle esigenze di oggi, prima di essere a sua volta abrogato. (Corboz, 1998, pag. 190)

periodi di degrado, pauperizzazione e degenerazione sociale. A partire dalla fine del XX secolo, molte aree di questo tipo hanno conosciuto una fase di progressiva rigenerazione, portata da meccanismi di gentrificazione (gentrification) con conseguente sostituzione della popolazione. In secondo luogo vi sono i vuoti industriali, oggetto principale di analisi della tesi, definiti anche friches 7. Questa categoria contiene facciate, ciminiere, vecchi opifici e strutture di vario genere la cui preservazione va a rappresentare quegli elementi di patrimonio definito oggi come “archeologia industriale”. (Governa, Memoli, 2011, pag.256) Occorre aggiungere che nella maggior parte delle aree industriali si coniuga bene il fenomeno del riuso, come vedremo in seguito, sia per motivi di localizzazione, sia per morfologia propria degli impianti. In terzo luogo si annoverano quelle porzioni urbane strettamente connesse con le attività industriali e di commercio portuale, ovvero i waterfront. I Docklands di Londra, ma ancora prima Siviglia, Detroit, Chicago testimoniano l’importanza del fenomeno. Un ulteriore approfondimento riguarda le tipologie di aree industriali dismesse: i vuoti industriali citati in precedenza hanno caratteristiche marcatamente differenti. La seguente schematizzazione viene effettuata al fine di ridurre la frammentarietà degli elementi e ricondurre la questione ad uno sguardo complessivo strategico. Inoltre riguarda soprattutto il caso italiano. In primo luogo vi sono i fabbricati di antica industrializzazione, derivanti dalla proto-industrializzazione o da apparati produttivi tradizionali. Questa tipologia appare piuttosto diffusa, anche fuori dalle medie e grandi città. Seguono le aree del gigantismo industriale, ovvero della maturità industriale della seconda metà del XX secolo.

Tre tipologie di aree sono storicamente più soggette al “rifiuto” e alla dismissione. In primis troviamo i centri storici che a causa della progressiva delocalizzazione di attività storicamente connesse al centro (amministrative, gestionali), hanno vissuto in molte situazioni, 71


Tale tipologia è diffusa soprattutto nel “triangolo industriale italiano” (Lombardia, Piemonte, Liguria) e ne sono esempio i grandi impianti inglobati dall’espansione delle città, come nel caso di Torino (Lingotto, OGR, Teksid-Ilva, FFSS), Milano (Pirelli Bicocca, Bovisa, Sesto San Giovanni), Genova (Ansaldo, Finsider). E’ importante sottolineare che la disponibilità di tali aree deriva fortemente dallo spegnimento progressivo degli “interventi salvagente” a favore dell’industria ad opera dello stato, fenomeno che ha liberato in pochi anni almeno 10 milioni di metri quadri in posizione strategica nei relativi contesti urbani. Possiamo affermare che buona parte delle città italiane, soprattutto del centro-nord, sono caratterizzate da questi spazi vuoti di dimensione medio-grandi, se non spesso grandissima (Are, Venere, 2005, pag. 31). In terzo luogo troviamo le grandi infrastrutture urbane, spesso servizi obsoleti ottocenteschi, come dogane, caserme, macelli, ospedali, scali ferroviari. Questa tipologia si trova spesso in posizione centrale o semicentrale in tutte le città del centro-nord italiano. La quarta tipologia è quella degli impianti mai nati o di breve durata, realizzati con fondi pubblici, e in molti casi, sostenuti dalla Cassa del Mezzogiorno, come il porto industriale di Gioia Tauro, in provincia di Catanzaro, in stato di parziale abbandono e degrado. Infine vi è il dismesso diffuso, caratterizzato da tanti piccoli e medi stabilimenti, investiti dalla riconversione economica e produttiva di alcuni settori. Questa tipologia occupa aree periferiche e spesso interstiziali, fino all’aperta campagna. Il gigantismo industriale e le grandi infrastrutture urbane sono le aree più accomodanti in termini di riuso, soprattutto per la dimensione delle aree coinvolte , la collocazione in aree a forti dinamiche di trasformazione quali quelle

metropolitane ed urbane maggiori , le attese di operatori immobiliari, amministratori, società proprietarie di aree pubbliche e private. I valori anche ideologici mobilitati attorno al destino di questi luoghi che simboleggiano fasi di eccezionale importanza nel ciclo di vita delle città [..] hanno dunque attivato l’interesse e la produzione di conoscenze soprattutto su queste realtà. (Are, Venere, 2005, pag. 33) In questa direzione si muovono l’Audis (Associazione Aree Urbane Dismesse), nata nel 1995, così come l’ Aipai (Associazione Italiana Patrimonio Archeologico Industriale), fondate proprio sull’esigenza di dare maggiore operatività alla questione del riuso urbano e fare emergere i punti critici che dipendono dalle trasformazioni di tutta questa serie di aree citate, soprattutto in relazione ad un uso più economicamente efficiente e socialmente più equo (Alessandrini, 2008, pag. 56). La parte successiva di questo capitolo è volta a mettere in evidenza i caratteri strategici che riguardano la questione del riuso. Nello sconfinato panorama di esempi si individua una duplice tendenza: da un lato il riuso “micro”, finalizzato alla costruzione di nuove relazioni tramite manufatti di design e architettura, capaci di generare una nuova sensibilità verso i consumi diretti e più facilmente rapportabili con i ritmi di vita individuali; dall’altro il riuso “macro” degli spazi urbani dismessi. La duplicità di questi fenomeni si trasmette anche nella modalità con cui i processi vengono portati a termine. Si individuano processi verticali, dall’alto al basso (top-down), marcatamente istituzionali e viceversa processi dal basso all’alto (bottom-up) che si avvalgono sovente di accordi informali e forme di governance.

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Strategie e strumenti nell’ambito del riuso

per cercare di risolvere problemi quali la povertà, la crescente disparità tra paesi industrializzati e paesi in via di sviluppo, nonché le difficoltà sempre maggiori negli ambiti sociali, economici ed ambientali, gettando le basi per uno sviluppo sostenibile a livello mondiale. Nei suoi lavori, la Conferenza ha attribuito la stessa importanza alla protezione dell’ambiente, allo sviluppo economico e a quello sociale. I Paesi partecipanti hanno sottoscritto tre accordi non vincolanti a livello internazionale (l’Agenda 21, la Dichiarazione di Rio, la Dichiarazione dei principi per la gestione sostenibile delle foreste) e due Convenzioni giuridicamente vincolanti (la Convenzione quadro sui cambiamenti climatici, la Convenzione sulla diversità biologica). Di particolare rilievo, l’Agenda 21, è un programma d’azione globale in tutti i settori dello sviluppo sostenibile. E’ divisa in quattro sezioni: dimensioni economiche e sociali, conservazione e gestione delle risorse per lo sviluppo, rafforzamento del ruolo delle forze sociali e strumenti di attuazione. I piani d’azione contribuiscono all’attuazione dell’Agenda 21 sul piano nazionale, mentre a livello comunale questo ruolo viene assunto dall’Agenda 21 locale. La Provincia di Torino ha costruito la propria Agenda 21 attraverso la partecipazione diretta dei rappresentanti della comunità locale, riuniti in un Forum di discussione costituitosi nel 2000. Il Forum, che comprende

Nel 1972, con la pubblicazione del rapporto intitolato Limiti dello sviluppo (Beherens, Meadows D. e H., Randers, 1972) (ivi. pag. 15), si gettarono le fondamenta per una serie di riflessioni legate alle problematiche dello sviluppo e del consumo. Nel corso dello stesso anno si tenne la Conferenza ONU sull’Ambiente Umano, a Stoccolma, nel quale si inserisce nel quadro degli obbiettivi quello di difendere e migliorare l’ambiente per le generazioni presenti e future. Seguirono nel 1980 l’IUCN, International Union for Conservation of Nature, nel quale si elaborò il documento Strategia Mondiale per la Conservazione; nel 1983, l’istituzione da parte dell’ONU della Commissione Mondiale su Sviluppo e Ambiente; nel 1987 il rapporto Brundtland, dall’autrice Gro Harlem Brundtland. In tale occasione si fornisce il concetto di sviluppo sostenibile: lo sviluppo sostenibile è uno sviluppo che soddisfi i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri.(WCED,1987) Le prime testimonianze del raggiungimento di un grado di consapevolezza più profonda avvengono nel 1992 a Rio de Janeiro, nell’ambito della United Nations Conference on Environment and Development, UNCED. I rappresentanti di 172 paesi si incontrarono

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rappresentanti del mondo economico, amministrazioni pubbliche, associazioni di diverso tipo operanti sul territorio, ordini professionali, università ha approvato nel 2002 il Piano d’Azione per la Sostenibilità.

urbane orientate alla competitività e alla crescita economica. Questa legge, la cosiddetta “legge Bersani”, contiene, per la prima volta, anche interventi per lo sviluppo imprenditoriale in aree di degrado urbano”. In particolare, queste misure sono orientate al superamento di crisi di natura socio-ambientale in limitati ambiti dei comuni capoluogo che presentano caratteristiche di particolare degrado urbano e sociale. A questo scopo il ministro dell’Industria, del commercio e dell’artigianato provvede al finanziamento di interventi predisposti dalle amministrazioni comunali con l’obiettivo di sviluppare, in tali ambiti, iniziative economiche e imprenditoriali. (Allulli, 2010, pag. 24 ) Questo programma non si limita al superamento di situazioni episodiche, ma si configura come vera e propria policy, nel senso di azioni congiunte a più livelli, prevede misure che connettono il tema dello sviluppo alla condizione urbana. Infatti secondo la Corte dei Conti, grazie agli effetti delle leggi 341/1995 e 266/1997 (“legge Bersani”), nel periodo 1997-2002, sono stati complessivamente approvati 41.670 progetti, a fronte dei quali le domande con erogazioni sono state 15.718 e sono state assegnate agevolazioni per circa 447 milioni di euro 8.

La Carta di Aalborg (Danimarca), approvata nel 1994 da 80 amministrazioni locali europee e da 253 rappresentanti che hanno partecipato alla Conferenza europea sulle città sostenibili, sollecita le regioni e le città europee all’impegno nell’attuare l’Agenda 21 a livello locale e a elaborare piani d’azione a lungo termine per uno sviluppo durevole e sostenibile. Queste direttive vengono interiorizzate dagli enti governativi secondo schemi e strumenti precisi. I primi interventi considerabili come politiche urbane esplicite e dirette vengono avviati in Italia a partire dagli anni novanta. Così la questione urbana entra a far parte dell’agenda politica nazionale e si diffonde la percezione dell’esigenza di risposte specifiche per le sfide che le città e i loro governi si trovano ad affrontare. La strategia attivata, perseguita da tutti i paesi europei, è volta al sostegno della competitività e crescita economica, alla riduzione degli squilibri sociali e alla sicurezza. I primi due punti hanno caratterizzato i programmi area based attivati nel corso degli anni novanta. Con questa definizione si intendono quei corsi di azione destinati a incidere su specifiche aree di disagio all’interno delle città. Inizialmente i provvedimenti espliciti e diretti sulla questione urbana erano condizionati da caratteri emergenziali ed episodici, soprattutto provvedimenti volti a rispondere a situazioni di acuto disagio o sottosviluppo. Con la Legge 266/1997, si definisce un più elevato grado di strutturazione delle politiche

Di minore rilievo ai fini della trattazione della tesi è il provvedimento relativo alle Zone Franche Urbane (ZFU), generate dalla legge 266/1997 e da altri provvedimenti quali quelli relativi alla Programmazione Negoziata (legge 662/1996; cfr par.3) (Allulli, 2010). Sostanzialmente, Le Zone Franche Urbane sono aree infra-comunali di dimensione minima prestabilita dove si concentrano programmi di defiscalizzazione per la creazione e il sostegno di piccole e micro imprese 9.. 74


principali del programma Urban, così come presentate dalla Direzione Generale per la Politica Regionale UE, sono le seguenti:

Tornando ai programmi area based, la maggior parte di questi in Italia è promossa e/o gestita dalla Direzione Generale per lo Sviluppo del territorio (Dicoter), organo che fa capo al Ministero delle Infrastrutture, e dal Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica (CIPE). Si confermano quindi attori chiave nelle politiche urbane in Italia. Queste possono essere suddivise sulla base di due criteri:

L’approccio integrato di URBAN tiene conto di tutte le dimensioni della vita urbana. Si prevede quindi un insieme di progetti che abbinano l’ammodernamento di infrastrutture obsolete ad iniziative economiche e orientate a favorire il mercato del lavoro. Queste sono integrate da misure di lotta contro l’esclusione sociale in quartieri degradati, e da misure per migliorare la qualità dell’ambiente 10. (Allulli, 2010, pag. )

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gli interventi attivati sulla base di opportunità offerte dalle istituzioni comunitarie (UE);

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È importante sottolineare come i principi di partecipazione e di good governance siano parte integrante del disegno che orienta questa politica pubblica le cui iniziative sono selezionate e realizzate nel quadro di un vasto partenariato tra tutti i soggetti interessati. L’attuazione dei programmi Urban prevede anche l’attivazione di processi di policy ai livelli nazionale e locale, in quanto il Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR), istituito appositamente, può finanziare fino al 50% del costo totale di un programma, 75% se la zona urbana è situata in una regione in ritardo di sviluppo.

attivati autonomamente su iniziativa del governo nazionale. (Allulli, 2010) I primi programmi area based che furono attivati su base comunitaria sono i Progetti Pilota Urbani (PPU). Nella prima fase, avviata nel 1989, i PPU hanno interessato due città in Italia (Venezia e Genova), mentre nella seconda fase le città interessate sono state Torino, Milano, Napoli e Brindisi. Il CIPE, attraverso la deliberazione del 26 febbraio 1998, ha integrato i finanziamenti europei con fondi nazionali ammontanti a 10,702 miliardi di lire (circa cinque milioni e mezzo di Euro). È anche in virtù della diffusione dei risultati dei programmi pilota che nel 1994 si avvia il programma di iniziativa comunitaria Urban I, già citato in precedenza (ivi. pag. 36) che hai interessato 16 città italiane. Nel 2000 si avvia una seconda fase del programma, denominata Urban II, anche in ragione della attività di lobbying delle reti urbane transnazionali e della mobilitazione del Parlamento Europeo. In Italia si attivano programmi in dieci città, per un investimento pari a 114 milioni di Euro. Le caratteristiche

Oltre a PPU e Urban, furono attivati anche i Progetti Integrati Territoriali (PIT) e Progetti Integrati di Sviluppo Urbano (PISU). I primi sono lo strumento di attuazione dei Programmi Operativi regionali nell’ambito del Quadro Comunitario di Sostegno 11 2000-2006. I secondi sono gli strumenti di attuazione degli obiettivi propri del Programma Operativo finanziato dal Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (PO FESR) 2007-2013. Si ricordano anche i programmi cofinanziati dall’UE Interreg, di 75


cooperazione transfrontaliera, transnazionale e interregionale dall’ampio spettro di azione, dallo sviluppo territoriale ai sistemi di trasporto dalla cultura all’ambiente, che nel 2012 giungono alla terza edizione.

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Programmi di Recupero Urbano (PRU): sono previsti dall’articolo 11 della Legge 493/1993 e indirizzati dai Decreti Ministeriali (DM) 1071 e 1072 del 1/12/1994. Sono orientati al recupero del patrimonio pubblico residenziale tramite il potenziamento dell’edilizia residenziale pubblica e la realizzazione di opere di urbanizzazione primaria. I PRU sono tra i primi strumenti a integrare la politica abitativa con strumenti di policy differenziati volti al recupero complessivo di aree urbane. Le regioni svolgono il ruolo essenziale di riattribuire il finanziamento ai Comuni, secondo la procedura consolidata dell’edilizia residenziale pubblica.

Anche grazie all’apporto dei programmi Urban, a partire dagli anni novanta si affermano in Italia i Programmi Urbani Complessi (PUC). Questi nascono come interventi di edilizia residenziale pubblica e si sviluppano come politiche abitative di più ampia valenza, al fine di correggere soprattutto i limiti di monofunzionalità e carenza di servizi propri di determinate aree urbane, operando la riqualificazione di intere parti di città (Monea, Iorio, Gimigliano, 2005; p.30). Si definiscono complessi in quanto integrano diversi strumenti di policy, propri delle politiche sociali, urbanistiche ed economiche, per perseguire la riqualificazione di aree urbane. I Programmi Urbani Complessi attivati in Italia sono i seguenti:

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Programmi di Riqualificazione Urbana (PRiU): compaiono sulla base dell’articolo 2 della legge 179/1992 e grazie al DM 21/12/1994. Sono indirizzati su grandi Comuni e Aree Metropolitane, mediante una procedura selettiva. Coprono una vasta gamma di ambiti: centri storici, aree industriali e attrezzature dismesse, residenziale pubblico. L’ampia libertà di proposta riservata ai Comuni ha reso possibile la coniugazione simultanea degli interventi con politiche pubbliche urbane oltre a permettere una vasta sperimentazione e differenziazione. Nel nord Italia prevalgono nettamente i PRiU relativi al riuso di aree industriali dismesse, e per questo motivo tale strumento acquista notevole interesse nell’ambito della tesi; nel meridione invece si concentrano su beni culturali e centri storici.

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Programmi Integrati di Intervento (PII): sono i primi PUC entrati nella strumentazione urbanistica, grazie all’articolo 16 della legge 179/1992. Sono caratterizzati dalla presenza di pluralità di funzioni, dalla integrazione di diverse tipologie di intervento, comprese le opere di urbanizzazione, da una dimensione tale da incidere sulla riorganizzazione urbana e dal possibile concorso di più operatori e risorse finanziarie pubblici e privati. L’attuazione dei PII dipende il larga misura dalla capacità programmatica delle Regioni, che in certi casi li hanno reinterpretati positivamente, facendone baricentro di una programmazione estesa (148 PII in Emilia Romagna). Privilegia interventi su centri storici e comuni medio o piccoli.

Programmi di Riqualificazione Urbana e Sviluppo Sostenibile del Territorio (PRUSST): attivati tramite il DM 21/12/1994 e disciplinati dal DM 1169 dell’8/10/98, am76


pliano il raggio d’azione dei PRU, ponendosi come obbiettivo la riqualificazione del tessuto urbanistico e produttivo di aree estese strategiche, come sistemi metropolitani, distretti insediativi, strutture a rete o puntuali e aree sottoposte a più amministrazioni. Ciò tramite l’infrastrutturazione, la realizzazione di un sistema integrato per le attività industriali e la creazione di occasioni per uno sviluppo sostenibile socialmente, ambientalmente e economicamente, promozione del turismo e infine, riqualificalificazione di porzioni urbane in degrado.

do o disagio. Prevedono la realizzazione di opere infrastrutturali di urbanizzazione ed interventi residenziali. Una caratteristica importante dei Contratti di quartiere è l’attenzione che in essi si attribuisce alla partecipazione dei cittadini nei processi di governance urbana. In seguito al primo bando del 1997(decreto del 30 dicembre 2002) il Ministero delle Infrastrutture ha attivato il bando di concorso per i Contratti di Quartiere II. La prima fase dei CdQ ha visto l’investimento di 200 miliardi di lire (circa 103 milioni Euro), mentre per la seconda fase sono stati allocati 263,393 milioni Euro.

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Contratti di Quartiere (CdQ): finanziati con DM del 22/10/1997, sono programmi orientati alla riqualificazione in senso edilizio, urbanistico e sociale in aree di degraAnno

Obbiettivi

1989

rigenerazione e pianificazione urbana, coesione sociale ed economica

PIT - PISU

1992-2000

sviluppo del territorio mediante multisettorialità e approccio attuativo unitario

UE

Urban I Urban II

1994-2000

modelli di sviluppo innovativi per il recupero socioeconomico di zone urbane depresse

ITALIA

Programma

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Urban Italia: Nasce sulla base del consenso originato dal Programma Comunitario Urban, per finanziare le iniziative pro-

PRU

1993

Recupero del patriomonio pubblico, potenziamento del residenziale pubblico. Opere di urbanizzazione primaria.

PRiU

1994

Caratteristiche del PRU estese ad una vasta gamma di ambiti: centri storici, aree industriali e attrezzature dismesse, residenziale pubblico

PRUSST

1994

Riqualificazione del tessuto urbanistico e produttivo delle aree urbane

1997-2003

Connessioni tra recupero edilizio convenzionale e miglioramento delle condizioni sociali della popolazione

2001

Finanziamento dei primi 20 Comuni non entrati nella graduatoria UE

PPU

CdQ Urban Italia

Figura 2.3: Tabella illustrativa dei programmi area based, attivati da fondi comunitari (UE) o nazionali (Italia) Fonti: Allulli, 2010 (Rielab. Aut.).

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gettate dai primi 20 comuni non entrati nella graduatoria di quelli finanziati dall’Unione Europea. La legge finanziaria del 2001 ha allocato per questo programma un ammontare di circa cento milioni di euro. (Allulli, 2010)

sua natura settoriale, le trasformazioni programmate ai soggetti reali che le dovranno attuare. Accorciando in questo modo due tipi di distanze: la distanza nel tempo fra le previsioni generali e le fasi dell’attuazione; e la distanza fra gli attori delle previsioni generali e i soggetti reali dell’attuazione. La durata delle operazioni di trasformazione urbana evitabilmente si allunga; il mercato è sempre più flessibile e mobile, accrescendo l’imprevedibilità delle forme e dei contenuti delle operazioni. Non vi è rischio maggiore di prescrivere regole prima che si verifichino le condizioni operative di realizzazione. A ciò si accompagnano i rapidi mutamenti del contesto sociale ed economico, che rendono ineluttabile l’evoluzione continua dei programmi e dei progetti. Inoltre, nessuna attuazione può astrarsi dalle condizioni reali specifiche, sia locali che temporali dei luoghi. Le trasformazioni urbane necessitano oggi più di ieri di partner finanziari e operativi in grado di montare e costruire le operazioni di trasformazione. Al progetto deve corrispondere un soggetto committente, in grado di esprimere

E’ opportuno aggiungere qualche considerazione sui Programmi Complessi. Per prima cosa, il loro funzionamento è garantito dall’integrazione sinergica delle risorse, tra pubblico e privato, con formule di cofinanziamento variabile (questo fattore permette di superare in parte la caduta della domanda abitativa e contenere la spesa pubblica), e delle funzioni (residenziale, terziario, produttive). Il mix funzionale e l’assetto flessibile nella gestione delle risorse possono conferire ai PUC un’immediatezza in termini di fattibilità tale da superare il caratteristico divario esistente tra previsione e attuazione di un piano. l programma avvicina, molto più di quanto facesse il tradizionale strumento attuativo delle previsioni urbanistiche generali, per

Figura 2.4: Schema delle peculiarità dei Programmi Complessi Fonti: Cresme (Rielab. Aut.)

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Figura 2.5: Schema delle interazioni Pubblico-Privato

(legge “Bassanini II”). Le STU sono degli istituti flessibili e dalle vaste potenzialità messe a disposizione degli enti locali per intervenire nelle aree urbane consolidate per la realizzazione di interventi complessi e di significative dimensioni, in termini di rilevanza urbanistica delle aree interessate, molteplicità di soggetti coinvolti ed entità di investimenti. Si ricorda anche il progetto di Facility Management Urbano (FMI) volto alla gestione integrata dei servizi di supporto per il funzionamento, la fruizione e la valorizzazione dei beni urbani. Si tratta del Facility Management applicato ai beni urbani.

nel quadro dei progetti area based, tra cui i PUC Fonti: Cresme (Rielab. Aut.).

Tutti questi strumenti fin ora citati, si sviluppano all’interno di un contesto strategico ben definito, che vede nello scambio continuo tra attori pubblici e privati il fulcro del loro fun-

domande, bisogni e aspettative, mettendo a disposizione risorse economiche ma anche organizzative e gestionali. (Vitillo, 2010) In secondo luogo, si intende sottolineare il carattere strategico di questi programmi, che mirano piuttosto all’innesco di processi virtuosi: l’obbiettivo principale non è più l’esclusiva rimozione fisica delle cause del degrado, ma la sostanziale valorizzazione delle aree basata su processi di riqualificazione partecipativi, capaci di catalizzare gli interessi in campo. (Are, Venere, 2005) I rapporti tra i soggetti coinvolti sono regolate e garantite da forme di partenariato, concertazione e partecipazione. Accanto ai PUC si delineano anche nuovi strumenti volti alla gestione delle forme di partenariato pubblico-privato, quali le Società di Trasformazione Urbana (STU) disciplinate dall’art. 120 del Decreto Legislativo 267/2000 e introdotte per la prima volta nel nostro ordinamento dall’articolo 17 della Legge 127/1997

Figura 2.6: PRUSST, CdQ, PIC Urban Italia,

Fonti: O. Barduzzi, Università degli studi di Trieste. (Rielab. Aut.)

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zionamento [Fig. 2.5]. La strategia di base è, dunque, quella di assicurare determinati livelli qualitativi agli impianti urbani attraverso forme di gestione trasversale degli apparati, verso la coniugazione simultanea di più meccanismi articolati in più contesti disciplinari. A questo punto, resta da valutare in che misura tali strumenti incidono sulla questione del riuso. Per prima cosa occorre sottolineare che, sebbene la loro genesi non sia specificatamente orientata al recupero di aree dismesse, bensì alla riqualificazione generica di settori urbani degradati, i PRiU, PRU e PRIN (Programmi Integrati) si sono rivelati tra gli strumenti efficaci in termini di riuso del patrimonio. Con l’attuazione di questi programmi complessi si è sviluppato il tema del recupero urbano di vere e proprie parti di città, integrando modalità di intervento, tipologie edilizie, risorse pubbliche e private. Esempi specifici di verranno analizzati successivamente in Riuso e architettura (ivi. pag. 90) e Riuso a Torino (ivi. pag. 118). Questo filone concerne più che altro l’assetto urbano e può essere definito come “macro” riuso, in quanto verte verso una pluralità di fattori ed, in generale, un programma complesso ha un raggio d’azione spaziale e temporale molto vasto. Inoltre sono strumenti messi a disposizione da istituzioni comunitarie, statali, regionali, comunali e rientrano sommariamente nel range di strumenti top-down (senza però dimenticare che avviano processi partecipativi, concertativi e di confronto plurale). Parallelamente si trovano processi di “macro” riuso organizzati però a partire dal basso, definiti quindi bottom-up. Tali procedure sono caratterizzate dall’avvio di progetti secondo canali non convenzionali, col beneficio di forme di partenariato locale, a cui segue, talvolta, il riconoscimento istituzionale.

I grandi contenitori urbani, svuotati delle precedenti funzioni, restano per lungo tempo inutilizzati stretti tra la complessità dei processi di decisione e di progettazione interni all’amministrazione e le attese speculative dettate dalle attese del mercato. Finiscono per essere al contempo risorse sottratte alla città e luoghi di insicurezza. Proprio dentro a questo tipo di contenitori trovano spazio progetti sociali che suggeriscono metodologie e contenuti differenti: all’interno dell’ex ospedale psichiatrico Paolo Pini, grazie al lavoro di un’associazione e di una cooperativa, si riapre l’area a partire da un’azione di integrazione tra occasioni di uso pubblico dello spazio rivolte alla città e attività di reinserimento degli ex degenti; nella periferia della Barona, in attesa delle grandi trasformazioni, una fondazione benefica, supportata dalla progettualità del prete di quartiere e dalla forza volontaria di un’associazione locale sostiene un progetto di riqualificazione centrato idealmente e fisicamente attorno a una serie di spazi e di strutture destinate a ospitare categorie sociali in condizioni di marginalità; ancora, nelle numerose aree dismesse o abbandonate della città gruppi più o meno strutturati di giovani avviano progetti di riutilizzo autogestito, attrezzano laboratori di creatività e progettualità attorno ai quali si aggregano capacità, risorse ed energie. In questi modi si restituiscono alla città spazi dimenticati: il centro sociale Leoncavallo e la cascina autogestita Torchiera per fare alcuni esempi. In forme e con linguaggi diversi anche la campagna periurbana di Figino, grazie al lavoro decennale di Italia Nostra diventa Boscoincittà, un esempio innovativo di parco urbano che trova il modo di integrarsi con il tessuto denso della città mettendo in sinergia 80


competenze professionali, risorse volontarie, usi informali e liberi degli spazi; ancora l’associazione Amici del Parco Trotter, un gruppo di genitori, allievi e insegnanti opera all’interno di un’area verde di pertinenza scolastica nei pressi di viale Padova, riaprendo lo storico parco attraverso molteplici e originali forme di integrazione tra il comparto scolastico e il quartiere. Ancora alla Barona, per recuperare una struttura pubblica nuova rimasta inutilizzata per sette anni, Comunità Nuova lavora a un progetto di riutilizzo che rispondendo al bisogno di spazi di aggregazione e di incontro possa essere anche l’occasione per trattare la condizione di esclusione dei giovani e dei ragazzi del quartiere. (Cottino, Zeppetella, 2009, pag. 16)

orizzontale riconosce il valore strategico delle varie iniziative indirizzate a rafforzare la collaborazione operativa tra le diverse componenti locali, istituzionali e sociali, rispetto al trattamento dei problemi della collettività. Ciò porta i Comuni a interfacciarsi sistematicamente con la società locale (Cottino, Zeppetella 2009). Il risultato di queste operazioni è costituito dalla comparsa di servizi non convenzionali, ovvero quei servizi generalmente erogati da soggetti terzi, che si dimostrano capaci di intercettare un qualche aspetto dell’interesse collettivo non ancora affrontato dalla routine amministrativa convenzionale. In quest’ottica i cittadini non sono passivi destinatari di servizi, ma piuttosto soggetti attivi e parti in causa nella riorganizzazione delle forme di trattamento dei problemi collettivi. Il principio del Welfare State e alcune sue distorsioni culturali, hanno prodotto una netta separazione tra fornitori e utilizzatori dei servizi, causando la relegazione dei contenuti culturali alla sola componente istituzionale, dimenticando che essa consiste eminentemente e primariamente in uno spazio di organizzazione sociale (Castoriadis, 2001). L’avvallamento del divario si concretizza con il cambio di ruolo che vede le Pubbliche Amministrazioni passare da provider di servizi ad enabler, ossia di attivatore e facilitatore di processi progettuali e di sperimentazioni creative, di potenziale punto di riferimento per uno spettro articolato di attori interessati ad essere coinvolti in un’esperienza progettuale all’interno della quale ruoli e funzioni non possono essere predefiniti. (Balducci, 2000) Le modalità con cui si presentano i servizi sociali non convenzionali sono le seguenti:

E’ fondamentale a questo punto enunciare il principio di sussidiarietà, che trova in questo ambito, ma anche nella precedente trattazione dei progetti area based, un quadro applicativo fertile. Questo principio esprime, a grandi linee, la strategia che regola il rapporto tre la società e il governo. Si riconoscono due tipi di sussidiarietà: verticale, volta a definire il rapporto tra i diversi livelli di governo (comunitario, nazionale, regionale) tale da trasferire “verso il basso” il maggior numero di poteri, quindi la dominanza del piano locale rispetto al piano globale; orizzontale, volto a garantire il rapporto tra i vari soggetti, pubblici e privati, in modo tale da incentivare la libertà e la creatività individuale e sociale nei processi di uso e pianificazione del suolo. (Fabbri, 2006) La sussidiarietà verticale è una caratteristica propria dei programmi complessi, dove la ripartizione delle responsabilità e dei compiti segue un iter capillare, che parte dagli attori specifici e termina con le istituzioni in causa. Quella

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attori non settoriali si impegnano in iniziative trasversali ai tradizionali confini 81


settoriali (competenze associate a specifici bisogni) e indirizzate principalmente a valorizzare le opportunità offerte dal territorio (riconosciute a partire dagli spazi disponibili) per sviluppare idee o potenziare interventi già in atto;

soggetti istituzionali. Il limite evidente di questo tipo di pratiche è rappresentato da una loro ambiguità di fondo: i luoghi prodotti in questo modo ambiscono ad essere spazi pubblici, ma la mancanza di un rapporto con le Amministrazioni Pubbliche tende a limitare la possibilità di lavorare a fondo sulla sfera pubblica. In più l’assenza di un riconoscimento da parte delle istituzioni le rende strutture precarie, perennemente a rischio di sgombero e dunque limitate nella loro possibilità di programmazione a lunga scadenza (anche se non mancano esempi di lavori di ristrutturazione anche molto complessi portati avanti all’interno di centri sociali e case occupate, anche in virtù del tacito “patto di non belligeranza” tra le parti che per lunghi anni ha caratterizzato la scena torinese). La relazione con lo spazio da riutilizzare è in questo modello molto forte: la presenza di un edificio inutilizzato diventa l’occasione per costruire nuove forme di socialità;

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le idee di progetto non sono quasi mai l’applicazione di modelli precostituiti quanto piuttosto l’esito innovativo del confronto con il territorio e del lungo processo di radicamento al suo interno delle nuove funzioni. Tale processo trova negli spazi uno stimolo continuo e anche uno strumento particolarmente efficace per quanto riguarda lo sviluppo di giochi a somma positiva tra attori locali;

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attorno all’organizzazione pratica del funzionamento degli spazi, i modelli gestionali assumono le configurazioni ibride più interessanti, nelle quali professionalità, saperi, esperienze e anche interessi spesso molto diversi tra loro si mischiano in modo efficace con gradi elevati di autogestione e di coinvolgimento degli utenti. (Cottino, Zeppetella, 2009, pag. 31)

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modello sostitutivo: è quello costruito dalle organizzazioni che assolvono funzioni pubbliche al posto delle istituzioni e che ha caratterizzato fin dalla metà degli anni ‘80 il processo di esternalizzazione dei servizi sociali da parte degli enti locali. Il servizio o l’attività gestita da soggetti privati (generalmente associazioni o cooperative) è tendenzialmente ben definito, tanto da poter essere oggetto di appalto;

Occorre puntualizzare che dall’esperienza empirica emerge la presenza di specifici modelli relativi al rapporto che si genera tra Pubbliche Amministrazioni e soggetti sociali, sempre nell’ambito dei servizi non convenzionali volti al riuso:

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modello antagonista: contraddistingue la maggior parte delle esperienze di occupazione a sfondo sociale. Le iniziative di riuso si sviluppano attraverso processi di autorappresentazione e di autosoddisfazione dei bisogni da parte degli occupanti, senza ricorrere alla mediazione e all’intervento dei

modello negoziale: in questo caso la relazione fra soggetti pubblici e privati parte da una domanda formatasi dal basso, e presentata in forme più o meno conflittuali, in risposta alla quale vengono aperti spazi di negoziazione. L’interazione è generalmente costruita attraverso la somma, a pesatura va82


riabile, di procedure istituzionalizzate (bandi di gara, trattative, strumenti quali i tavoli sociali) e di relazioni informali, può avere tempi anche molto lunghi e ha generalmente come esito la realizzazione di progetti che mettono insieme la domanda che viene dal basso con le disponibilità e le risorse offerte dagli enti pubblici. In alcuni di questi casi lo spazio fisico può rappresentare l’occasione per far confluire le diverse progettualità (istituzionali e “sociali”, o di soggetti privati) in un insieme coerente; in altri casi la relazione con lo spazio diventa invece il terreno vero e proprio della negoziazione, ovvero lo spunto per ridefinire le progettualità e le loro finalità, per inventare nuovi usi possibili superando le aspettative iniziali;

quanto riguarda le strategie bottom up, consente la messa a punto di forme di integrazione sinergica e creativa tra funzioni eterogenee, rappresentate da diversi soggetti. La creatività riveste un ruolo essenziale nella ricerca di buone pratiche (good practices), capaci di generare uno slancio positivo, senza però ricadere nella metodicità rappresentata dai modelli consolidati (best practices). Il riuso creativo diventa paradigma della ricerca in questo senso, parallelamente al riuso sociale. Tra le forme di integrazione funzionale che si sono osservate è opportuno ricordare:

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quella tra ampliamento/diversificazione dell’offerta culturale urbana e creazione di opportunità di inserimento e reinserimento sociale per soggetti in difficoltà: è il caso, ad esempio, dello Chapitò, iniziativa di riutilizzo di un ex riformatorio come centro di eccellenza a livello internazionale per la promozione e la diffusione dell’arte circense rivolto ad offrire una occasione di formazione ed emancipazione per i numerosi minori a rischio di un quartiere storico di Lisbona;

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modello cooperativo: l’incontro fra società e istituzioni avviene su di un piano di sostanziale parità, e si sviluppa nel tempo con forme che sono dettate dalle esigenze del processo stesso più che dallo status e dalle routines degli attori coinvolti. In questi casi il punto di partenza può essere la disponibilità di un bene (un edificio agricolo in disuso nel caso della Cascina Roccafranca, gli storici bagni pubblici nel caso del progetto ConverGente, casa delle associazioni nel quartiere San Salvario, un ex edificio scolastico nel caso del Barrio, uno dei Centri del Protagonismo Giovanile), cosi come lo sviluppo di progettualità sia pubbliche che private. La coprogettazione comporta per i soggetti coinvolti l’adattamento del proprio ruolo a ciò che viene richiesto dal contesto specifico in cui si opera e l’adozione di una certa dose di flessibilità e di capacità di confrontarsi anche sul piano dell’informalità. (Cottino, Zeppetella, 2009, pag. 34)

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quella tra sperimentazione di forme collettive dell’abitare e promozione di stili di vita sostenibili: è il caso, ad esempio, dell’esperienza in corso a Berlino nota come Ufa Fabric, che oggi si configura come un rilevante centro di ricerca e consulenza per lo sviluppo ecologico fondato su un sistema di competenze sviluppate direttamente e praticamente da un gruppo di giovani che si sono cimentati nella riconversione abitativa di un ampio spazio localizzato nella periferia della città;

La prospettiva del riuso, in particolare per

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quella tra rivitalizzazione com-


in una piccola area industriale tra l’autostrada, la ferrovia e l’aeroporto. (Cottino, Zeppetella, 2009, pag. 40-42)

merciale e promozione socio-culturale nei quartieri: è ad esempio il caso della Yppen Platz a Vienna, nella quale le strutture commerciali in via di dismissione sono state recuperate e rese nuovamente vitali mescolandole a spazi destinati ad attività culturali rivolte alla città e a servizi sociali rivolti alla comunità locale;

A questo punto si può dire che la creazione di servizi non convenzionali attraverso le pratiche del riuso costituisce una variabile effettivamente efficace, anche in ragione dei numerosi esempi esistenti, che verranno trattati più specificatamente in seguito (ivi. pag. 90). Tuttavia esistono dei punti critici. In primis, la gestione economica di queste aree, basata nella maggior parte dei casi su autofinanziamento, sovvenzioni pubbliche e contributi privati, non è sempre sufficiente a coprire i costi di amministrazione, messa in sicurezza, ristrutturazione, abilitazione. Si delineano così modalità innovative, come nel caso di Kaapeli, a Helsinki, dove nel riuso di una ex fabbrica di cavi è stato elaborato un meccanismo di valorizzazione dei circa 4500 metri quadrati di suolo disponibile, basato sulla messa a disposizione dell’area per iniziative temporanee (concerti, mostre, eventi), volte ad aumentare l’attrattiva del centro e l’offerta culturale urbana. Un altro esempio è costituito dall’ex cotonificio Spinnerei (ivi. pag. 93), a Lipsia, dove il Comune ha introdotto un Programma Speciale di Impiego che prevedeva l’adozione di soggetti disoccupate come manodopera impiegata per la ristrutturazione, richiedendo ai promotori solo il sostenimento dei costi dei materiali. O ancora è il caso dell’ Hangar di Barcellona o del Kaus Australis di Rotterdam, dove gli intenti specificatamente sociali dei progetti hanno reso possibile l’intercettazzione di finanziamenti statali (volti soprattutto a procedimenti di start up delle pratiche), oltre che al più usuale beneficio di sponsorizzazioni aziendali. A livello Eurpeo, il riconoscimento

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quella tra sostegno di nuove tendenze creative emergenti e creazione di opportunità aggregative per la cittadinanza: è il caso, ad esempio, della Chocolate Factory di Londra, nella quale la concessione di spazi atelier a basso costo per artigiani ed artisti emergenti è vincolata all’impegno nella organizzazione di workshop, festival ed eventi rivolti alla città;

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quello tra creazione di attrezzature per nuove pratiche urbane, tutela della memoria storica degli edifici e interventi di uso e presidio degli spazi aperti: è il caso del Country park (Duisburg Landschaftpark) realizzato in una delle più grandi aree siderurgiche della Ruhr (ivi. pag. 91) all’interno della quale le vecchie strutture sono state riutilizzate per attività collettive quali una palestra di roccia, un centro di allenamento per sub (all’interno dell’ex gasometro), un sistema di scivoli per bambini; o il caso della creazione di skate parks recuperando una vecchia strada (Avenda Rangel Pestana a San Paolo) o riutilizzando un ex parcheggio in una zona malfamata (Burnside Bridge in una zona industriale di Portland nell’Oregon); o ancora il caso del Kaus Australis a Rotterdam, spazi a basso costo per la sperimentazione nel campo delle arti visive messi a disposizione dalla Municipalità 84


delle pratiche sociali, volte alla creazione di servizi non convenzionali mediante il riuso, è obliterato dalla messa in campo di politiche specifiche, che tuttavia presentano connotati pionieristici e spesso sperimentali, essendo tale fenomeno ancora caratterizzato da una certa episodicità. Nonostante ciò, si riportano di seguito i tratti principali delle opzioni strategiche a cui fanno riferimento le politiche per il riuso sociale adottate da certe città europee:

tessuto urbano.

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Politiche del riuso sociale per contrastare la fuoriuscita del potenziale creativo dalla città. L’esperienza del Comune di Amsterdam (Assessorato allo sviluppo urbano) attraverso la progettazione e l’implementazione del programma Broedplaats (ivi. pag. 86) è sicuramente emblematica in questo senso. A partire dal 2000 l’istituzione locale è impegnata in un progetto volto a salvaguardare spazi di agibilità in città per l’arte e la produzione culturale alternativa non commerciale che ha storicamente contribuito a determinare l’immagine informale e plurale di Amsterdam e che recentemente risulta minacciata dalle pressioni di un mercato immobiliare in forte espansione. Per prevenire la rapida scomparsa di un settore importante per la città, la Municipalità ha deciso di investire 30 milioni di euro per sottrarre alle dinamiche del mercato immobiliare e destinare ad usi sociali “alternativi” (artistici, culturali, creativi) alcune strutture dismesse e occupate nel centro della città (vecchi edifici scolastici, vecchie chiese, ma anche depositi, palazzi per uffici, spazi industriali, cantieri navali). L’obiettivo del progetto – da perseguire attraverso un lavoro coordinato e collaborativo con enti culturali, sindacati e gruppi di squatters – è quello di generare in quattro anni 2000 aggiuntivi spazi di lavoro e di esercizio per artisti individuali o per gruppi, integrandoli con l’offerta già garantita dalle strutture autogestite, le quali verrebbero in tal modo valorizzate e potenziate.

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Politiche del riuso sociale come strategia per costruire una nuova connotazione identitaria dei quartieri e per sostenere lo start-up dello sviluppo di distretti creativi. Un esempio significativo da questo punto di vista può essere rinvenuto nel progetto Quarter21 promosso a partire dal 2002 da parte del Governo federale austriaco e dalla Città di Vienna, attraverso la creazione di una agenzia di sviluppo di proprietà pubblica (75% Governo federale e 25% Città di Vienna) per la progettazione e la gestione del riutilizzo di una superficie di 7000 metri quadrati nel centro cittadino. L’iniziativa è orientata a rivitalizzare e ampliare il ruolo del MuseumsQuartier di Vienna (uno dei più ampi complessi culturali nel mondo) attraverso la realizzazione di una piattaforma per l’industria creativa che, offrendo spazi (per ospitare sedi istituzionali, servizi o alloggi/studio per artisti) e opportunità di sostegno economico (attraverso la costruzione di accordi di partenariato con istituzioni private che hanno permesso, ad esempio, la creazione di borse di studio per artisti partecipanti al programma Artist-in-Residence), stimoli la condivisione del lavoro creativo e l’integrazione tra iniziative di diversa natura e scala, sostenga il loro inserimento nei circuiti internazionali e costruisca relazioni positive con il

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Politiche del riuso sociale per sostenere la riappropriazione da parte dei cittadini di spazi di risulta. Interessanti in questo senso sono le proposte dell’Associa85


zione Esterni di Milano, patrocinate da diverse istituzioni pubbliche quali Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Regione Lombardia, Provincia e Comune di Milano. Con l’iniziativa Design Pubblico, in particolare ,l’associazione Esterni si propone di rivitalizzare gli spazi pubblici di Milano (soprattutto quelli in cui si passa senza sostare) e di valorizzare il loro potenziale sociale e culturale attraverso idee innovative che vanno dalla organizzazione di eventi agli interventi di arredo urbano. Design Pubblico è un framework di azioni miranti ad implementare una strategia di riappropriazione degli spazi pubblici della città come spazi di socializzazione per la cittadinanza rendendoli “accessibili”, utilizzando temporaneamente lo spazio dei cantieri, organizzando al loro interno servizi provvisori (lavorando ad esempio su un tema rispetto a cui Milano è particolarmente carente e inaccessibile, quale quello dell’ospitalità e della ricettività).

lare la combinazione tra interessi differenti (più spesso tra quelli di enti e istituzioni interessati alla visibilità e quelli delle organizzazioni del terzo settore in cerca di spazi entro cui organizzare iniziative ed eventi). In questo modo il Comune intende promuovere ed incentivare l’associazionismo ed il libero incontro tra i cittadini, riconoscendo l’aggregazione come valore fondamentale del vivere civile.

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Politiche del riuso sociale come strategia di risarcimento delle comunità locali svantaggiate. Ad esempio, in Italia la Legge 109/1996 sul riutilizzo a fini istituzionali e sociali dei beni confiscati alla mafia è il risultato di un percorso che, a partire dal lavoro svolto negli anni dall’associazione Libera (un coordinamento di oltre 1300 associazioni, gruppi, scuole, realtà di base, territorialmente impegnate per costruire sinergie politicoculturali e organizzative capaci di diffondere la cultura della legalità), ha coinvolto e reso protagonista un ampio spaccato della società civile nell’individuazione degli strumenti per una più efficace lotta alla criminalità organizzata. Nei 13 anni di applicazione la Legge ha consentito di creare in molti territori (non solo del sud d’Italia) le condizioni per l’inserimento occupazionale di giovani disoccupati. Sulla scia di questo percorso a partire dal 2007 l’Agenzia del Demanio ha avviato un nuovo modello di gestione e destinazione dei beni confiscati, basato su Progetti Territoriali che prevedono la consegna di “pacchetti omogenei di beni” agli Enti locali e il loro riutilizzo sociale, attraverso la firma di Protocolli d’Intesa.

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Politiche del riuso sociale per rafforzare le capacità progettuale e di azione del terzo settore. Un esempio innovativo viene dal progetto Spazi per le idee promosso in collaborazione dagli Assessorati alla Gioventù, al Patrimonio ed alla Integrazione e Rigenerazione urbana del Comune di Torino, come risposta alla crescente richiesta di spazi nel quale dare luogo alle attività del mondo giovanile e dell’associazionismo. Il progetto (attualmente in fase di lancio) si orienta a valorizzare il patrimonio di spazi disponibile nella città: a tal fine è stato effettuato un lavoro di indagine, stimolo e messa in rete delle disponibilità di soggetti pubblici e privati titolari di spazi, confluito nella costruzione di un sito web che vuole funzionare da dispositivo per l’incontro tra domanda e offerta e per stimo-

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Politiche del riuso sociale come strategia per valorizzare il tempo della trasformazione. L’esperienza realizzata a 86


partire dal 2002, chiamata Transvaal, nella zona sud-ovest di Den Haag in Olanda (ivi. pag. 110), risulta particolarmente interessante in questo senso. Si tratta di un quartiere degradato per la rigenerazione del quale la Municipalità ha previsto un piano decennale di operazioni di demolizione, ricostruzione e vendita di circa 3000 case popolari. Il progetto Transizione, promosso da una associazione di artisti (Optrek) in collaborazione con la Municipalità. Si propone di accompagnare la trasformazione valorizzando il potenziale degli spazi “in transizione”, quali gli immobili in attesa di demolizione e gli alloggi di nuova costruzione non ancora venduti, impiegandoli per usi compatibili e funzionali con le aspettative sul futuro. In particolare, il progetto Transvaal Hotel prevede la realizzazione di un “albergo diffuso” nel quale le stanze saranno i singoli appartamenti (personalizzati ad opera di artisti e imprenditori locali), mentre i corridoi saranno le strade del quartiere. L’indotto atteso da questa iniziativa è lo sviluppo locale di un’industria turistica fatta di negozi e servizi e destinata a durare nel tempo.

già realizzate hanno avuto un effetto positivo sulla ridistribuzione del turismo di massa, ponendosi come alternativa al turismo balneare. Il successo di questo percorso è stato tale da incoraggiare gli imprenditori locali, i proprietari di alberghi e ristoranti a chiedere l’autorizzazione per pubblicizzare le loro aziende lungo i percorsi. L’effetto positivo delle greenways sulle aree attraversate non è limitato al settore turistico, ma incide positivamente anche sulla qualità della vita delle comunità locali, che hanno avuto la possibilità di ripristinare gli edifici dismessi (ad esempio le ex-stazioni) per la realizzazione di attrezzature e servizi locali. Questi effetti appaiono ancora più significativi se si considerano le zone rurali, nelle quali attraverso percorsi di formazione al lavoro, la realizzazione delle greenways è stata utilizzata come opportunità di inserimento occupazionale (sia all’interno dei cantieri che nell’ambito dell’indotto turistico). (Cottino, Zeppetella, 2009, pag. 50-54) Vi sono poi ulteriori programmi e politiche più specifiche, come Ornassi, a Helsinki, basata sul recupero di vecchie strutture di proprietà pubblica come abitazioni, con lo scopo di incoraggiare la vocazione dei giovani alla indipendenza, favorendo l’affitto a basso prezzo di residenze e la creazione di comunità vive e socialmente coese; o ancora Precare (Bruxelles, Milano, Londra, Barcellona), programma volto a incoraggiare i proprietari di edifici pubblici e privati a concedere l’utilizzo temporaneo degli edifici inutilizzati di loro proprietà. Gli obiettivi specifici sono l’incentivo del settore creativo all’interno delle città, attraverso la concessione di spazi temporanei dove svolgere attività e l’allontanamento del degrado legato all’abbandono e all’inutilizzo degli edifici,

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Politiche di riuso sociale per incidere sulla qualità e la sostenibilità della vita urbana. Da questo punto di vista è utile considerare il progetto Vias Verdes, promosso dal Ministero delle Opere Pubbliche per la trasformazione della rete nazionale spagnola (oltre 7.000 chilometri) di linee ferroviarie dismesse o lasciate incompiute, per lo sviluppo di funzioni legate all’ecoturismo. Fin dall’inizio questo programma ha visto una stretta cooperazione tra i diversi settori dell’Amministrazione Pubblica (a livello locale e regionale), comprese le compagnie ferroviarie, i gruppi di cittadini e varie associazioni. Alcune delle greenways 87


trasformandoli temporaneamente in luoghi di lavoro. Si ricorda inoltre il caso dell’ NDSM Wherf (Nederlandse Droogdok Scheepsbou Maatschappij) (ivi. pag. 96), vecchia azienda Olandese che gestiva i cantieri navali e l’area del porto, nella parte nord di Amsterdam, in cui lo spazio è concesso in uso in modo da permettere uno sviluppo delle aree urbane che parta “dal basso”. Si tratta di una strategia di town planning alternativa, incentrata sul modello Stadt als Casco, il cui scopo basilare è generare una “città vivente” in cui la gente sia responsabile dell’ambiente che la circonda. Gli abitanti e gli utenti non sono più visti come consumatori passivi ma come partner di pari livello nello sviluppo e nel controllo degli alloggi, degli edifici, dei quartieri e perfino dell’intera città. É un modo per rendersi consapevoli allo stesso tempo del valore del patrimonio esistente e di quello della trasformazione. Il modello “casco” di sviluppo urbano basato sul self-management nasce come una teoria basata sull’esperienza della vita quotidiana: un modo per consentire il passaggio dall’industrializzazione verso altri usi degli edifici del porto. L’idea è quella di fornire uno scheletro, un guscio, dove è l’utilizzatore finale a decidere quali elementi costruire all’interno degli edifici: in questo modo nasce una modalità di progettazione, uso e manutenzione degli edifici più flessibile. La tradizione dello squat di grandi edifici industriali, ha comportato l’acquisizione di un’ampia esperienza nella ristrutturazione, organizzazione e uso di grandi edifici: gli squatter hanno acquisto la capacità di adattare le strutture edilizie alle loro particolari esigenze. Infine si ricorda la strategia messa a punto dall’associazione ACME (ACME Studios, Londra), il cui obbiettivo è l’individuazione di edifici in disuso, di proprie-

tà pubblica o privata nel territorio londinese, e affittarli a medio o lungo termine per trasformarli in complessi di studi e/o alloggi per artisti. Il quadro generale, così strutturato, vede la coesistenza di programmi “dal basso”, che trovano riconoscimento attraverso le forme politiche, e programmi (complessi) “dall’alto” che tendono a regolare lo sviluppo complessivo dei fatti urbani. Questa duplice serie di tensioni può essere letta come un fenomeno sinergico, che contraddistingue la tematica del riuso urbano (ed è proprio questo un presupposto della trattazione in corso). Questi “macro” fenomeni aprono la strada ad un altra serie di esperienze, dal carattere prettamente “micro”, legate sempre al tema del riuso. Di queste, solo una parte è localizzabile nel contesto architettonico, ed è quella che riguarda gli “esperimenti” di quartiere, associativi e anche individuali, nella creazione di componenti (spesso temporanei) di arredo urbano e arte urbana. La diffusione di questi elementi li rende rilevanti al fine della trattazione, poiché sono uno strumento straordinariamente versatile per la trasmissione di messaggi sociali. Il riuso, coniugato in questi termini, riesce ad acquistare una dimensione in più, molto vicina alla percezione individuale e alla “vita quotidiana”. Si intende avvalorare questa tipologia di esperienze proprio in ragione del carattere di forte trasmissibilità e permeabilità che li caratterizza. Il riferimento è esplicitamente orientato verso i casi di riuso pratico di componenti di scarto, quali pallets, pneumatici, imballaggi, lattine e molto altro, che fanno di tali elementi degli strumenti costruttivi e, proprio attraverso questi strumenti, tendono a sensibilizzare la collettività. Ricondurre questi fenomeni a degli schemi di base è pressoché impossibile, vista la loro quantità e variabilità. Non vi sono inol88


tre specificità disciplinari in queste pratiche. Coinvolgono qualsiasi tipo di fruizione e partono da qualunque tipo di competenza, anche se la maggior parte dei casi appartengono alla sfera del design e della tecnica costruttiva. Non mancano tuttavia esempi di arte muraria, che coniuga il tema del riuso non nell’atto in se, ma piuttosto attraverso i contenuti. Occorre aggiungere che questa categoria di esperienze viene inserita nella trattazione della tesi, senza la pretesa di rilevarne peculiarità “scientifiche”, essendo un’indagine in questo senso fortemente aleatoria e pesantemente condizionata da componenti localizzative. Inoltre la smisurata quantità di esempi, metodi realizzativi, soggetti in causa, ne rende possibile solo un’analisi parziale, restando per forza in ombra una grandissima quantità di testimonianze. E’ comunque vero che le esperienze di “micro” riuso spesso partono da forme concorsuali comunali, o comunque di carattere solitamente locale, legate alla comunicazione ambientale e artistica, in linea con i presupposti della sostenibilità ambientale e sociale. Questi concorsi vengono banditi da associazioni di vario tipo, collettivi, enti con riconoscimenti istituzionali dal carattere più o meno locale, e rientrano in un quadro complessivo di “lotta agli sprechi”, tema molto diffuso ad oggi. Proprio in ragione di ciò, si individuano artisti che danno autonomamente origine a movimenti come Refunc, avviato dagli architetti olandesi Denis Oudendijk e Jan Körbes, laboratorio in cui creare strutture sperimentali e microarchitetture mobili basate su materiali di scarto, o Redeemade (eco del ready made), fondato dall’italiano Davide Manzoni, con sede a Bussana Vecchia in Liguria. Oudendijk e Körbes, definendosi garbage architects, affermano:

L’architettura dei rifiuti assume un significato profondo in un mondo in cui le materie prime stanno diventando sempre più esigue. Ci consideriamo più logici che ecologici. È semplicemente razionale ridare una funzione ai materiali di scarto perché le loro qualità e il loro specifico valore non vadano perduti in processi di riciclaggio non sempre intelligenti. (Corriere.it) A questo punto occorre focalizzare la trattazione sugli aspetti architettonici che contraddistinguono il “micro” e il “macro” riuso, in modo da approfondire la percezione della questione e fornire una serie di risposte concrete. Lo sviluppo dei concetti seguirà quello adottato per il presente argomento (Strategie nell’ambito del riuso), partendo da alcuni esempi degli esiti di strumenti comunitari, Programmi Complessi e altri modelli interpretativi, per poi scendere gradualmente di scala, verso fenomeni più circoscritti che si individuano nel quadro del “micro” riuso. Il procedimento deduttivo adottato non si pone come chiave interpretativa univoca, in quanto l’insieme rappresentato dalla casistica analizzata costituisce in realtà un unicuum di concetti generato da varie forze in gioco, finalizzate a fornire soluzioni che legano più livelli analitici ad un unico problema, quello dell’abuso. Senza contare che il più delle volte “micro” e “macro” riuso si compenetrano e mescolano all’interno delle esperienze, rendendo una classificazione sommaria estremamente forzata.

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Riuso e architettura

Per prima cosa, occorre puntualizzare che molti degli strumenti precedentemente analizzati, quali i PUC, corrispondono all’incorporamento da parte della struttura di gestione del territorio messa a punto dalla Pubblica Amministrazione, ai vari livelli competenziali (nazionale, regionale, comunale), ma comunque relativi all’interpretazione Italiana di determinate strategie comunitarie. Nella casistica di seguito riportata, si fa riferimento ad esperienze Europee che si sviluppano in ragione di strumenti diversi, relativi al proprio quadro gestionale nazionale, ma che, in ogni caso, mostrano caratteri affini ai Programmi Complessi, essendo anch’essi frutto dei medesimi ragionamenti. Occorre puntualizzare anche che la trattazione del seguente argomento è stata effettuata attingendo ai materiali di ricerca di straordinaria utilità, prodotti da Lina Scavuzzo nell’ambito del progetto Reuse13, oltre a quelli forniti dal portale temporiuso.org.

ziative. Nel caso di spazi di dimensioni molto ampie, laddove la ristrutturazione integrale avrebbe richiesto non solo interventi molto onerosi ma anche una definizione puntuale e preventiva delle destinazioni d’uso, la soluzione preferita è stata infatti spesso quella di combinare un intervento “minimo” su tutta la struttura (solitamente coincidente con la sua messa in sicurezza) con una ristrutturazione parziale e incrementale soltanto di alcuni spazi, rendendo così possibile la sperimentazione di certe ipotesi di intervento e anche la loro revisione in corso d’opera. Accanto alle peculiarità spaziali si richiama il carattere temporale: il layout temporale del riuso (sociale) ha caratteristiche differenti: può essere per l’appunto progressivo e tendente alla stabilizzazione,

Dal punto di vista architettonico, è necessario sottolineare che, nell’ambito del riuso, le aree industriali dismesse posseggono delle specificità determinanti; la flessibilità degli spazi in gioco e la praticabilità di interventi leggeri orientati a suddividere, articolare e differenziare agilmente l’organizzazione dei volumi ha rappresentato in quasi tutti i casi un fattore spesso decisivo per la realizzazione delle ini-

Figura 2.7: Schema relativo al risuo di ex aree industriali Fonti: http://www.urban-reuse.eu/ (Rielab. Aut.)

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oppure anche occasionale e sottoposto a verifica di utilità (come nel caso del programma P40 di Amburgo, dove l’amministrazione locale del quartiere di Barmbek ha inserito all’interno di un programma di riqualificazione urbana il riutilizzo sperimentale per attività culturali e sociali di una parte del vecchio ospedale, in via di trasformazione). Per primi si analizzeranno quei casi di riuso di estesissime aree (ex produttive o ex estrattive) che hanno portato alla conformazione di grandi parchi della cultura.

regioni industriali”. Il progetto è stato supportato dalla Città di Essen con il sostegno di sponsor privati e dell’Internationale Bauausstellung Emscherpark. Il progetto IBA è stato concepito come un processo dal basso, pur essendo tipicamente top down, in quanto non è stato disegnato un masterplan complessivo ma sono stati promossi singoli progetti connessi al tema di fondo della trasformazione del territorio nel rispetto della memoria del passato industriale e alla promozione della cultura. Il progetto è stato affidato ad una agenzia, con uno staff di 30 persone, che ha avviato il lavoro con l’obiettivo di coordinare la trasformazione ecologica e la rinascita dei siti abbandonati, attraverso la rinaturalizzazione del fiume Emscher, la conversione produttiva dei siti industriali, la conservazione delle memorie del passato industriale, la costruzione di progetti sperimentali di Housing, la promozione di nuovi ambienti di lavoro. L’agenzia ha raccolto attraverso un bando oltre 350 proposte progettuali e quelle selezionate hanno avuto un accesso privilegiato ai finanziamenti pubblici. I progetti sono stati esposti alla Biennale di Architettura di Venezia del 1996 e sono state promosse numerose iniziative di presentazione sul territorio. Il progetto è stato promosso dalla Città di Duisburg con il sostegno di sponsor privati. Il Parco è gestito dal Landschaftspark Duisburg-Nord GmbH, che per la promozione delle attività, per il sostegno e per lo sviluppo del progetto ha strutturato un sistema di sponsor che interessa le attività del parco. Così, il progetto IBA Emscherpark ha dato vita al Duisburg-Nord Country Park (Duisburg Landschaftpark), [Fig. 2.8, 2.9] parco multifunzionale, caratterizzato da una commistione di usi e di significati che lo rendono un luogo unico nel suo genere. La conversione dell’a-

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In Germania, un primo esempio di rilievo, è costituito dal riuso dell’ex area industriale siderurgica dislocata lungo il fiume Emscher nella regione della Ruhr. Intorno agli anni ’80, i grossi complessi industriali hanno lasciato il bacino della Ruhr. Alla fine degli anni ’80 il Ministero della Pianificazione Urbana e dei Trasporti ha promosso un progetto di rigenerazione urbana denominato IBA Emscherpark (International Building Exhibition). Si tratta di un processo di rinnovamento complessivo della struttura paesaggistica, economica e sociale della regione della regione, lanciato con il nome di “workshop per il futuro della

Figura 2.8: Landshaftpark),

Duisburg-Nord Country Park (Duisburg vista aerea. Fonti: http://visceralintricacyexperientialresearch.blogspot.it/

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Figura 2.9: Schema decompositvo del Duisburg-Nord Country Park (Duisburg Landshaftpark)

Fonti: http://visceralin-

tricacyexperientialresearch.blogspot.it/

rea ha generato nuove economie nel territorio locale, una nuova offerta di sistemi produttivi e un cambiamento sostanziale delle funzioni del passato mantenendo un ampio rispetto della storia e delle tradizioni. Il progetto nasce con specifiche differenti ed è stato progettato per rispondere a quattro tipologie di Parco: il Parco per lo Sport, votato al ciclismo, sport subacquei e alpinismo. Vi sono percorsi di arrampicata nei serbatoi del Parco e il gasometro è diventato un affascinante mondo subacqueo per lo sport, uno dei più innovativi diving center della Germania; Il Parco Industriale, dove i monumenti industriali ricordano la storia del Duisburg-Nord Paese Parco; Il Parco Naturale e Agricolo, volto a preservare l’habitat, la natura e le caratteristiche vegetative dell’area: esistono delle zone dove la natura è lasciata libera, un’azienda agricola e una fattoria pedagogica (in linea con l’Agenda 21); Il Parco per gli Eventi, costituito dai 5 acri della fonderia, trasformati in spazi per eventi organizzati per i programmi di incentivazione e in altre occasioni: gli spazi vengono utilizzati per performance, concerti, spettacoli teatrali, spettacoli di danza, mostre, fiere, eventi, gala, presentazioni, cinema. Questa riconversione non mostra limiti temporali e il riuso in questo caso si configura come strategia del lungo periodo, laddove il funzionamento ottimale delle strutture socio-territoriali elaborate è garantito

dalla continuità del fenomeno ed espandibilità verso altri attori.

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Un altro esempio tedesco è costituito dalla riconversione della miniera Zollverein di Essen, la più grande nella zona della Ruhr con una produzione quotidiana di 12,000 tonnellate di carbone e una superficie di 100 ettari. Si trova a nord di Essen, nel bacino idrografico del fiume Ruhr percorso da est a ovest dal fiume Emscher ed è una delle più grandi regioni minerarie e siderurgiche d’Europa. La costruzione della miniera è iniziata nel 1847. Nel corso degli anni ’70 i settori estrattivi e siderurgici sono entrati in crisi e l’intero bacino industriale di Emscher ne ha pagato le conseguenze. Nel 1979 fu demolita una parte della struttura e l’intero insediamento è stato dismesso nel 1986. In seguito Zollverein è stato indicato come un Monumento della città di Essen da un Decreto Ministeriale e già nel 1987 sono state avanzate idee per conservare il sito. Nel 1999 fu aperto al pubblico per la prima volta, in occasione di una mostra su alcune esperienze di riconversione di edifici industriali promossa anche in questo caso da IBA Emscherpark (International Building Exhibition). Dichiarata patrimonio dell’Unesco nel 2002, la fabbrica è stata fatta oggetto di un progetto di trasformazione in parco culturale iniziato nel 2001, completato nel 2010. 92


Figura 2.11:

Dal 2002 il progetto è rientrato nel quadro del programma di riqualificazione IBA Emsherpark sopra citato. Un concorso internazionale ha affidato all’architetto olandese Rem Koolhaas e al suo studio (OMA) il masterplan per il recupero dell’intera area [Fig. 2.10], basato sulla trasformazione dell’intera area in un grande spazio naturale ed espositivo recuperando e restaurando gran parte delle architetture industriali presenti. Il parco prende il nome di Eisbhan Kokerei Zollverein [Fig. 2.11]. Parte del parco è stata inaugurata nel 2006. Il Progetto ha utilizzato la commistione di usi e di funzioni per generare economie alternative e innovative rispetto al passato industriale. Sono stati creati circa 1000 posti di lavoro e Zollverein è diventato uno dei più importanti centri creativi della regione della Ruhr. Il progetto ruota attorno ai principi di conservazione architettonica attraverso nuovi usi e di catalizzazione di innovazioni, favorendo la creazione di un nuovo ambiente culturale nella regione sulla base di un processo di riconversione dell’economia locale. L’offerta culturale attrae circa 500.000 persone ogni anno, e ospita la Zollverein School of Management

Zollverrein, vista tridimensionale del complesso riqualificato, con indicazione delle funzioni. Legenda reperibile sul sito www.zollverein.de Fonti: http://www.zollverein.de/uploads/assets/

and Design, oltre ad una vasta gamma di attrazioni: storia, cultura, creatività, eventi, gastronomia, attività per il tempo libero. Inoltre il centro offre uffici e atelier per le persone che devono creare la loro azienda e funziona da incubatore creativo. Il progetto di recupero degli spazi è iniziato nel 2001 con la realizzazione della pista di pattinaggio più lunga del mondo (13 x 600 metri) [Fig. 2.12] e nel 2003 gli architetti Pasche e Milohnic saldando insieme due containers hanno dato vita ad una piscina all’aperto. Si individuano ora alcuni casi di riuso di grandi complessi ex industriali, più o meno inseriti nel contesto urbano e molto meno estesi dei precedenti “parchi industriali”; mostrano caratteri di maggiore compattezza fisica e offrono spunti di maggiore applicabilità, essendo questa tipologia di aree la più diffusa sul territorio europeo.

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In Germania, che assume un ruolo evidentemente pionieristico nell’ambito del riuso degli spazi dismessi, si individua il caso di Schultheiss-Patzenhofer-Braue-

Figura 2.10:

Masterplan Zollverrein. Fonti: http:// www.oma.eu/projects/2002/ (Rielab. Aut.)

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e cultura), ha dato vita al Kulturbrauerei di Berlino, ossia un distretto culturale, terziario e turistico basato sullo sviluppo e riqualificazione di un quartiere (Prenzlauer Berg) a partire dalla promozione culturale e dall’attrazione turistica, attraverso il presidio del territorio e la fruizione collettiva di uno spazio che appartiene alla memoria storica della città. La strategia dell’integrazione funzionale e della diversificazione dell’offerta hanno reso il Kulturbrauerei appetibile per diverse popolazioni in modo combinato: ai residenti del quartiere che fruiscono i diversi servizi, ai turisti che lo considerano una meta obbligata e un comodo punto di partenza per le escursioni nel quartiere, e infine a chi cerca un ufficio o uno spazio per un esercizio commerciale all’interno di un contesto vivace e dinamico. Inoltre l’ex birrificio mette a disposizione spazi per concerti e per festival di vario genere; offre rassegne teatrali, incontri sulla letteratura e sulla cultura, dibattiti politici e sociali. Lo spazio contiene cinema, negozi, ristoranti, studi e uffici [Fig. 2.13]. Questo esempio rappresenta una novità, in quanto valorizza lo spazio in termini di archeologia industriale come fattore

Figura 2.12: Pista di pattinaggio sul ghiaccio, Zollverrein. Fonti: http://www. zollverrein.de

rei, situato nel quartiere di Prenzlauer Berg, a nord di Alexander Platz, che a suo tempo, fu il più grande birrificio del mondo, con 25.000 metri quadrati di superficie totale distribuiti in un grande isolato chiuso, con un’ampia corte centrale, dove si collocano edifici di varie dimensioni. Nel 1967 il birrificio chiuse e per un po’ di tempo venne utilizzato come magazzino e poi totalmente abbandonato al degrado e al decadimento. Occupato e utilizzato come laboratorio da diversi artisti, negli anni successivi acquistò nuova vita: sin dagli inizi degli anni ‘70, il FanzCLub posto in cima alla torre era considerato una sorta di Mecca per i creativi alternativi e il centro propulsore di iniziative culturali che rivitalizzarono l’edificio. Dopo la caduta del muro l’intero complesso fu acquistato dall’immobiliare TLG KulturBrauerei GmbH & Co.KG, un’impresa del TLG Immobilien GmbH, che nel 1998 ha iniziato la ristrutturazione degli spazi con il vincolo di mantenere il carattere originale degli edifici storici e impegnandosi a prevedere funzioni che valorizzassero l’archeologia industriale. Il progetto, finanziato dal Land di Berlino (città- stato federale), dal Senatsverwaltung für Wissenschaft e dal Forschung und Kultur (dipartimento senatorio di ricerca scientifica e ministero di ricerca

Figura 2.13: Kulturbrauerei di Berlino, 3D con funzioni. Fonti: http://kulturbrauerei.de/en/ (Rielab. Aut.)

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Figura 2.14:

un imprenditore della Germania ovest per la produzione di materiale misto che richiedeva spazi ridotti rispetto alle dimensioni del cotonificio: a partire dal 1992-93 l’imprenditore cominciò ad affittare gli spazi inutilizzati a prezzi ridotti. Si insediarono una serie di artisti e di artigiani, alcuni dei quali appartenenti alla Scuola di Lipsia. Nel 2001 l’intera struttura è stata acquistata dalla società (Società Spinnerei) che attualmente la gestisce, per un valore di due milioni e mezzo di euro. La società proveniva da un’esperienza simile anche se molto più piccola e ha deciso di scommettere sulle potenzialità della destinazione artistica dell’ex cotonificio. Il processo di riuso e riqualificazione dello spazio è avvenuto attraverso tre fasi: in primis, attraverso il dispositivo degli affitti contenuti, già messo in atto dal proprietario precedente, che fu in grado di attirare giovani artisti e artigiani nella struttura e a garantirsi le prime entrate economiche; successivamente, dopo 2/3 anni di start up, la società decise di ampliare il raggio d’azione del progetto, per inserirlo nel panorama internazionale, promuovendo attività artistiche di qualità. Per portare avanti il progetto, la società modificò il piano economico e degli affitti coinvolgendo gli affittuari presenti nel progetto di riqualificazione per evitare che con l’aumentare dei costi andassero via. Parallelamente, all’ini-

Cotonificio Spinnerei, raffigurazione del 1909 Fonti: http://www.belocal.de/leipzig/sehenswuerdigkeiten/spinnerei/134811

di attrazione non in un’ottica museale, integrando spazi compatibili con la struttura per il divertimento, spazi commerciali e spazi culturali.

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Un altro caso emblematico, soprattutto per l’iter che ne ha permesso la realizzazione, è il riuso dell’ex cotonificio Spinnerei (Cotonificio Leipziger Baumwollspinnerei) a Lipsia (il più grande dell’Europa continentale) [Fig. 2.14], nella Germania orientale. la città di Lipsia ha subito un forte processo di dismissione industriale e ancora oggi ha un’alta disponibilità di edifici vuoti. Il complesso è costituito da un’area di circa 12 ettari, compresi i giardini, case per i lavoratori e spazi per l’asilo dei bambini dei dipendenti. I 23 edifici, realizzati in successione a partire dal 1885, garantiscono una superficie coperta di 70,000 metri quadrati articolata su diversi livelli. Con la fine della DDR, Spinnerei è stato acquistato da

Figura 2.15: Funzioni nell’ex cotonificio Spinnerei

Fonti: http://spinnereigalerien.de/site-plan/ (Rielab. Aut.)

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zio del 2004 iniziò il lavoro di contrattazione per portare all’interno dell struttura importanti gallerie espositive di Lipsia, visto che si era riempita di artisti promettenti e che la Scuola di Lipsia iniziava a diventare un punto di riferimento importante nel panorama internazionale. Infine, ultima fase della riqualificazione, per offrire ambienti idonei e appropriati si avviò un lavoro di rinnovo degli ambienti reso possibile grazie ad un Programma Speciale per l’impiego finanziato dal Comune di Lipsia che prevedeva il coinvolgimento di persone disoccupate come manodopera (ivi. pag. 84). Lo Spinnerei [Fig. 2.14] oggi funziona come un nodo logistico di raccolta e di promozione artistica, offre spazi per eventi culturali internazionali e mette in connessione gli artisti e le gallerie tra loro. All’interno dello Spinnerei gli spazi di diverse metrature ospitano atelier, negozi di artigiani, gallerie espositive, piccoli negozi commerciali, studi, appartamenti per artisti, un’associazione non-profit del Federkiel Foundation. Nel centro lavorano 100 artisti professionisti e 13 importanti Gallerie d’arte. Il progetto ha direttamente creato una risorsa enorme per i giovani artisti emergenti che trovano in questo ambito uno spazio di enorme visibilità a costi contenuti e indirettamente innescato un processo di riqualificazione di una parte di territorio marginale e periferica caratterizzata da una massiccia presenza di industrie dismesse. L’esperienza Tedesca fornisce numerosi elementi utili per lo studio delle strategie di riuso di grandi impianti manifatturieri dismessi, come le due grandi aree dismesse nel bacino della Ruhr (Duisburg Landshaftpark, Zollverein) o comunque di complessi dall’estensione notevole (Kulturbrauerei, Spinnerei), provvisti di strutture versatili e flessibili, capaci di

ospitare svariate nuove funzioni. Spostando il focus dall’analisi in Olanda, si individuano alcuni casi studio significativi, legati al passato di potenza navale che caratterizza la storia del paese. Il riuso dei waterfront (ivi. pag. 71), luoghi storicamente connessi con l’industria e il commercio, trova in questo contesto ampi margini di sperimentazione.

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Il quartiere navale Amsterdam NDSM, costituisce un emblematico esempio di riuso di un grande cantiere navale dismesso. Nel 1922 la Nederlandse Droogdok en Scheepsbouw Maatschappij (Dutch Dock & Shipbuilding Company) cominciò a costruire imbarcazioni in questo sito, situato sulla banchina a nord del fiume Ij, dando vita al più grande cantiere navale della città. Il quartiere di Tuindorp Oostzaan nacque proprio per ospitare la popolazione impiegata nel cantiere come manodopera. L’enorme complesso dichiarò bancarotta nel 1984, rientrando nel demanio municipale, e nel corso degli anni ‘90, il vuoto urbano venne occupato da squatters, skaters, artisti indipendenti e acquistò così nuova vita. Nel 2002 la municipalità riconobbe la portata del fenomeno e l’Amsterdam Bureau Broedplaatsen (ufficio per usi temporanei), organo dipendente dal Gemeente Amsterdam (Comune di Amsterdam) (ivi. pag. 85) bandì un

Figura 2.16: Amsterdam NDSM Fonti: Google Earth, (Rielab. Aut.)

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Figura 2.17: Amsterdam NDSM, tre fasi temporali dell’area (passato, attuale, prevista) Fonti: http://www.temporiuso. org/wp-content/uploads/2010/04/Amsterdam_NDSM_41.jpg.

concorso per selezionare un’idea innovativa di rigenerazione dell’area. Il concorso prevedeva un contratto di comodato d’uso temporaneo della durata di 5 anni, espandibile a 10 (formula 5+5), nella quale la municipalità si faceva carico dei lavori di ripristino infrastrutturale primario (acqua, luce, gas, riscaldamento) e degli allestimenti interni ed esterni, mentre la gestione spettava all’associazione-intermediario Kinetisch Noord, vincitore del bando. Il “motto” adottato dai gestori fu Die Stadt als Casco, ovvero “La città come guscio”, in ragione dei caratteri di riappropriazione temporanea del progetto, e della capacità di mettere all’interno di questo “guscio” una pluralità di funzioni variabili nel tempo. Infatti lo sviluppo del progetto non ricerca obbiettivi specifici fissati a priori, ma si sviluppa a partire da punti di partenza concettuali marcatamente definiti, quali la creazione di contenuti artistici e sociali, il mixitè e l’integrazione funzionale e la valorizzazione di un area con precisi significati storici e culturali. Nel 2008 parte della banchina è stata dichiarata dalla municipalità monumento nazionale (Rijksmonumenten). L’NDSM hangar è stato trasformato nell’attuale Kunststadt (città dell’arte) che fornisce spazi espositivi e di lavoro, oltre a strumenti operativi, in seno alla cooperazione e integrazione di competenze artistiche differenti. Il complesso ospita numerosi eventi e concerti, quali Over het IJ Festival, Valtifest e NDSM Vrijhaven. Nelle antiche officine IJkantine e nei

nuovi fabbricati temporanei Noorderlicht e Pllek sono state inserite funzioni ricreative e di ristorazione, mentre Landmarks come le ex officine di carpenteria navale, Timmerwerkplaats, e le ex officine ferraie, Smederij, attualmente ospitano uffici e studi di architettura, oltre a colossi come MTV, Red Bull e IDTV. Nei siti delle demolizioni, sono stati collocati edifici temporanei per uffici (HEMA, VNU Media e Rough Cookie), residenziale (anche tramite complesso di containers rifunzionalizzati), servizi sociali, un porto turistico e altre funzioni di completamento e miste, come nel kraanbaan (progettato dall’ Ontwerpgroep Trude Hooykaas), edificio lavorativo/residenziale costruito su una struttura storica in calcestruzzo, testimonianza dell’intersezione fisica positiva con l’eredità industriale. La fruizione è variegata e spazia dagli anziani riparatori di barche, ai giovani skaters, artisti, designers e architetti, oltre ad associazioni culturali.

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Il secondo caso che si intende analizzare è il riuso del Rotterdamse Droogdok Maatschappij, RDM (Rotterdam Dry-dock Company) (Zuidhof, 2009). Il complesso, stabilitosi nel 1902, tra il 1903 e il 1945 raggiunse le dimensioni complessive di circa 40 ettari. Nel 1914 iniziò la costruzione del villaggio giardino Heijplaat per i dipendenti costituito da 850 case, secondo il piano urbanistico disegnato dall’architetto personale della compagnia RDM, H.A.J. Baanders. Il can97


luogo e della situazione sociale, in relazione al valore intrinseco. Dal momento che le parti interessate cominciano a convincersi del potenziale, inizia una coalizione intraprendente. A questo punto si innesca un meccanismo di relazioni pubblico-privato / economie-territorio, il cui funzionamento è sommariamente descritto dallo schema riportato [Fig. 2.18]. Questa modalità attuativa mostra caratteri affini a quelli che si individuano nei Programmi Integrati o nei Programmi Complessi area based (ivi. pag. 74), soprattutto nella strutturazione del quadro analitico che descrive l’esplorazione delle opportunità in gioco, come interpolazione di dualismi simultanei. Il metodo DNA si basa sostanzialmente sulla creazione di un ambiente fisico, socio-culturale, politico ed economico favorevole alla riqualificazione, a partire dalle interazioni dei soggetti con l’ambiente stesso: l’ambiente è importante nel modo in cui le tendenze sociali e culturali si relazionano con esso a livello locale. Ogni am-

tiere navale fu uno dei più grandi d’Europa e nel 1938 toccò l’apice della propria potenza con la costruzione della nave ammiraglia Nieuw-Amsterdam, che fu più grande costruita nei Paesi Bassi. Da questo momento in poi, il graduale successo dei voli di linea e la crescita della cantieristica in paesi a bassi salari, causarono la regressione economica del cantiere (come anche nel caso precedente, NDSM). Nel 1983, nonostante una fusione societaria e la vendita di terreni ad un’impresa immobiliare nel (1980), RDM dichiarò bancarotta. Successivamente, una serie di interventi pubblici volti al rilancio dell’attività industriale, portarono ad una riconversione manifatturiera basata sulla produzione di componenti militari per la difesa ed equipaggiamento, che durò fino a metà degli anni ‘90. Nel 2002 l’attività industriale cessò del tutto il complesso fu acquisito dal Comune, rientrando nella lista del demanio pubblico di Rotterdam. Il complesso fu poi acquistato dall’Havenbedrijf nello stesso anno. Oggi il complesso di RDM è stato ristrutturato nella segno della ricerca, design e attività manifatturiera. E’ un Campus che ospita corsi di formazione tecnici dell’Università di Rotterdam, il Collegio Albeda e un piano di uffici per le giovani imprese tecniche. Il processo di riqualificazione e sviluppo fu avanzato sul concetto di creative economy, basato sul modello sviluppato da Saris & Hoogendoorn (Saris, Hoogendoorn, 2008) nell’ambito del Netherlands Architecture Institute (NAi). Questo modello, definito DNA, De Nieuwe Aanpak (letteralmente: “nuovo approccio”), prettamente verticale (ma non necessariamente top-down), strutturato secondo un complesso schema di stakeholding comincia dalla riqualificazione fisica dello spazio, da cui scaturisce la rivalutazione del

Figura 2.18: Contesto ambientale e relazioni, nel metodo DNA Fonti: Zuidhof, 2009, pag. 31, (Rielab. Aut.)

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Figura 2.19: Vista aere dal complesso negli anni ‘70

ziativa bottom up: non è stato il governo che ha imposto i locali alle scuole, ma le scuole a scegliere specificamente il complesso RDM. Successivamente sono stati organizzati eventi per la ricerca di gruppi target e potenziali utenti per la costruzione di una coalizione. Uno degli esempi più importanti di questi eventi è stato l’incontro “Creativity meets business” (la creatività incontra l’impresa), nel 2005. Il sostegno che l’idea del Campus RDM ha ricevuto da emissari politici e professionali, nonché dal pubblico, durante questo incontro è stato un fattore decisivo nel processo. Parallelamente sono stati commissionati degli esperti per esplorare le possibilità della zona. L’esplorazione dei valori utili sono basati sulla valutazione e la selezione dei risultati di questa fase. In seguito sono stati coinvolti soggetti pubblici e privati in un processo interattivo, fino a formare la coalizione. Nel caso di RDM la negoziazione avviene prevalentemente tra l’Università di Rotterdam e l’istituto professionale Albeda (affittuari) e l’Havenbedrijf Rotterdam (autorità portuale di Rotterdam, legal owner). questa negoziazione opera attraverso il livello locale e nazionale. Sono gli

Fonti: http://www.shipmotions.nl/RDM/

biente ha le proprie potenzialità, sfruttabili per mezzo di progetti creativi. Queste potenzialità emergono collegando le istituzioni della conoscenza, le imprese tecnologiche o innovative, la cultura e l’imprenditorialità creativa. Il metodo applicato sottolinea che, al fine di ridefinire la zona industriale obsoleta, è importante rivalutare e utilizzare le condizioni locali e regionali. Infatti nel processo dinamico DNA tutte le parti vengono riunite in una coalizione, cooperante per mezzo di una nuova struttura territoriale a rete. L’ambiente di ricerca stimola i partner della coalizione all’avvicinamento, alla trasmissione di saperi e facilita il perseguimento delle proprie prospettive. Il Campus RDM non si limita a fornire lo spazio d’ufficio per aziende creative , ma le combina con una catena educativa completa portando diversi livelli e tipi di formazione professionale riuniti “sotto lo stesso tetto”. Il progetto di riqualificazione prese il via con la proposta di Jasper Tuytel, presidente del consiglio dell’Università di Rotterdam, di istituire un servizio scolastico nel complesso RDM, in cui il cantiere-scuola professionale Albeda risiedeva ancora. Ciò conferisce al Campus RDM un carattere di ini-

Figura 2.20: Campus RDM, complesso rifunzionalizzato. Sulle coperture sono stati installati pannelli fotovoltaici Fonti: http://architizer.com/projects/rdm-innovationdock/

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Figura 2.21: Mappa gerarchia delle relazioni in gioco

assessori dei vari comparti politici interessati a doversi confrontare con gli sviluppi del Campus RDM, sia per quanto riguarda le influenze economiche sul porto, sia per l’istruzione. I soggetti pubblici e privati ​​sono quindi direttamente collegati. Sulla base della valutazione di questo processo si delineano i valori comuni in gioco. Questi valori costituiscono il punto di partenza per la riqualificazione e la base per uno sviluppo ulteriore del processo. Infine la fase di attuazione integrale del progetto vede la risistemazione degli ambienti e l’organizzazione del trasporto pubblico, l’insediamento dell’Innovation Dock e il presidio dell’Accademia di Architettura nel secondo edificio del bacino (2009), e di altre società, ad esempio la Prometics. Nella prima fase del programma, il progetto si è sviluppato sulla base dell’analisi costi-benefici, per determinare la priorità degli investimenti, i quali sono stati effettuati in modo da ottenere un capitale iniziale utile per il rinnovo dei Docks, in modo da sbloccare i contratti di locazione con le scuole. Un ruolo determinante del processo è stato svolto dal Rijksdienst voor het Cultureel Erfgoed, RCE (servizio pubblico per la conservazione del patrimonio culturale), che esercitando il proprio potere coercitivo sull’Havenbedrijf, ha spinto verso una ricognizione urbanistica-storico-culturale che convinse i proprietari a non demolire i fabbricati, aprendo così un processo di sviluppo diverso. Infatti, a prima vista, sarebbe risultato molto più vantaggioso per l’Havenbedrijf l’abbattimento dei manufatti per far posto a nuove costruzioni; ma in ragione del capitale sociale ambientale presente e del valore potenziale del luogo nel lungo periodo, gli attori in gioco si convinsero ad adottare una strategia volta al riuso e alla conservazione. Un altro interlocutore privato coinvolto nel ta-

sul tavolo di trattativa (stakeholding power map) Fonti: Zuidhof, 2009, pag. 46.

volo delle trattative (stakeholder) è il Woonbron (Housing Corporation) in qualità di promotore edilizio; mentre altri interlocutori pubblici o semi-pubblici, oltre ai già citati Università di Rotterdam, Albeda, RCE, sono lo Stadshavens Rotterdam (ente finalizzato all’amministrazione e osservazione degli ambiti portuali) e la Pubblica Amministrazione Locale. Le complesse relazioni che legano i vari soggetti, componendo il tavolo della trattativa sono descritte dalla figura riportata [Fig. 2.21]. Si è riservato al Campus RDM un così ampio margine di trattazione in quanto è uno dei pochissimi casi in cui a farsi promotori della pratica del riuso sono delle società private, perfettamente inserite in un quadro economico, che sono state capaci di visualizzare le opportunità ambientali offerte dall’area e di sfruttarle positivamente, raggiungendo il funzionamento operativo nell’ambito del mercato. Solitamente le logiche basate sul lungo perio100


Figura 2.23: Installazione artistica all’interno del Volk-

do, sulla coltivazione del capitale sociale e culturale, tendono a scoraggiare gli investitori, in quanto questi vedono con sfiducia le pratiche che allontanano la prospettiva di un ritorno rapido, se non immediato, del capitale.

spalast Fonti: Amelie Deuflhard, Sophie Krempl-Klieeisen, Theater der Zeit.

I casi analizzati fino ad ora sono tutti accomunati da un layout temporale non esplicitamente limitato. In ognuno di essi si concentrano un certo numero di prospettive future ed ipotesi di ulteriore sviluppo. Esistono casi dove, diversamente, la pratica del riuso prende il via pur sapendo che la struttura “ospite” è già in via di demolizione, solitamente per la imminente attuazione di un piano urbanistico che prevede destini diversi per l’area in questione.

nificazione delle due Germanie fu sottoposto a smantellamento selettivo, che ne lasciò solo la struttura in calcestruzzo e acciaio. Nel 2003 si decise per la sua definitiva demolizione. Tuttavia nei primi anni del 2000 si è formato un gruppo a sostegno della conservazione del palazzo composto da artisti, pensatori, progettisti, architetti e attori che mirava al riutilizzo della struttura per promuovere attività artistiche e per offrire un centro culturale alla città di Berlino. Il gruppo ha formulato una serie di proposte che tuttavia non sono mai state accolte dalla pubblica amministrazione, che anzi ha provveduto a chiudere lo spazio e a sorvegliarlo per evitare occupazioni di massa. Nella primavera del 2002, dopo un’intensa campagna di informazione e di azione da parte del Volkspalast, l’idea di usare gli spazi del Palazzo in modo temporaneo ha riscontrato interesse in alcuni settori politici e culturali di Berlino e su questo si è fondato l’accordo per usare gli spazi del Palazzo in attesa di una sua futura demolizione. Infatti la realizzazione di iniziative provvisorie e performative hanno attratto un vasto pubblico e hanno riempito la struttura di nuovi valori e contenuti: intorno al Volkspalast si è strutturato un network

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Un caso intenzionalmente temporaneo è quello del Volkspalast di Berlino [Fig. 2.22], dove l’ex palazzo del Parlamento è stato usato per performances artistiche e culturali per un periodo di tempo molto breve in attesa della sua demolizione già decisa da tempo. Partendo proprio da quest’esempio, pur essendo un esempio di riuso di patrimonio non industriale, si possono delineare alcuni tratti caratteristici del processo. L’edificio (circa 60.000 metri quadrati di SLP), dopo l’u-

Figura 2.22:

Volkspalast Fonti: Amelie Deuflhard, Sophie Krempl-Klieeisen, Theater der Zeit.

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etwonen, il più grande complesso di abitazioni-containers d’Europa. Si tratta di un progetto a metà strada tra “micro” e “macro” riuso, in quanto i singoli moduli abitativi sono realizzati all’interno dei containers commerciali rifunzionalizzati, e l’intero complesso si colloca i una zona residuale della città nella parte dell’Amstel business Park. Quest’area, marginalizzata dalla presenza di due barriere fisiche che la contengono e segregano (ferrovia e porto fluviale), non possedeva nessuna qualità particolare e un valore di mercato relativamente basso. In sintesi, le condizioni di ambiente non conferivano grandi potenzialità, in un ottica di edilizia convenzionale. Nel 2002 la società di consulenza, assistenza e project development Tempohousing Global con sede ad Amsterdam, avvia un progetto di ricerca per rispondere all’esigenza di residenze per la popolazione studentesca; L’unica soluzione possibile individuata dal gruppo consiste nella costruzione di residenze temporanee. L’edilizia convenzionale non avrebbe potuto soddisfare la domanda, poiché troppo lenta e costosa. Tempohousing è stata l’unica azienda a offrire opportunità concrete in soluzione al problema. Il modulo abitativo temporaneo viene realizzato a partire da un container commerciale, da un’azienda specializzata olandese, la deKEY, con sede ad Amsterdam e base produttiva in Cina. Quest’azien-

di iniziative e di operatori riferite a sei differenti aree tematiche: concerti musicali; opera lirica; installazioni di arte; esibizioni; associazioni di vario tipo; cultura e sport per i giovani. Tra il 2002 e il 2005 più di 300,000 persone hanno visitato il Volkspalast e hanno usufruito di un ampia offerta di programmi e di attività culturali come il World Break Dance Championship, il concerto della leggendaria band di Berlino “Einstuerzende Neubauten” e l’istallazione di una scultura alta 44 metri e altre opere d’arte [Fig. 2.23]. L’accordo prevedeva che gli Sponsor Privati (Sophiensäle, HAU) finanziassero il recupero della struttura per un valore di 100,000 di euro; la Pubblica Amministrazione promuovesse l’attivazione delle attività culturali valutati 280,000 euro e che l’associazione Volkspalast si occupasse della gestione del programma e dello spazio. Il progetto è iniziato nel 2002, i lavori nel 2004 e sono terminati nel 2005. Dal 6 Febbraio 2006 sono in corso i lavori di demolizione della struttura. Questo, come già accennato, è un esempio topico di come la messa a disposizione di una finestra temporale per il riuso di uno spazio in via di demolizione possa generare grandi benefici culturali, sociali ed economici.

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Lo stesso carattere di temporaneità, ma coniugato in modo diverso, è riscontrabile nel progetto Amsterdam Ke-

Figura 2.24: Varie tipologie di modulo abitativo temporaneo proposte da Tempohousing e realizzate da deKEY. I singoli

moduli sono concepiti in modo da rispondere a diverse esigenze, ma specifamente rivolti alla popolazione studentesca Fonti: http://www.tempohousing.com/products/housing-solutions/

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Figura 2.25:

Keetwonen, tre fasi temporali dell’area (passato, attuale, prevista) Fonti: http://www.temporiuso.

org/?page_id=575

da si occupa della totale rifunzionalizzazione dei container (sia nuovi che recuperati), dotandoli di numerosi comfort: bagno e cucina integrati, balcone, camera da letto separata e zona studio, finestre ampie, un sistema di ventilazione automatica con velocità variabile. I moduli sono predisposti per l’allacciamento ad un sistema di riscaldamento centralizzato (che nel caso del Keetwonen è gestito da una caldaia a gas naturale). Ogni modula ha un serbatoio per l’acqua calda da 50 litri e la predisposizione per la connessione internet ad alta velocità altre un sistema telefonico audio centrale (citofono) [Fig. 2.24]. L’intero progetto si sviluppa a partire dal partenariato commerciale instauratosi tra deKEY e Tempohousing, e trova l’appoggio istituzionale del Bureau Broeplaatsen (ivi. pag. 85), medesimo organo che bandì il concorso per l’Amsterdam NDSM. Grazie all’appoggio del programma Broedplaatz e, di conseguenza, del Geemen-

te Amsterdam, ai promotori venne concesso il comodato d’uso temporaneo con la formula 5 anni + 5 anni. Alla fine del 2005 le prime 100 abitazioni temporanee furono consegnate agli studenti, a metà del 2006 tutte i 1000 moduli erano pronti e operativi. Attualmente tutte le case sono in affitto e c’è una lista d’attesa di più di un anno. L’affitto, comprensivo di tutte le spese, è di circa 395 € al mese (nel 2007), prezzo abbastanza basso per la città olandese. Nell’area sono state inserite attività a servizio degli studenti: parcheggi coperti per biciclette, un supermercato, una caffetteria, una lavanderia, degli spazi per uffici, un campo sportivo e un negozio di riparazione biciclette. Si prevede che la delocalizzazione del complesso verrà rinviata al 2016, grazie alla clausola di rinnovo prevista dal contratto 5+5. Le città genericamente presentano moltissimi spazi marginali, o come precedentemente definite, zone residuali. Questa soluzione con-

Figura 2.26:

Figura 2.27:

Keetwonen Fonti: http://sightbywalk.blogspot.it/2011/02/keetwonen-biggest-container-housing.html (Rielab. Aut.)

Keetwonen in fase di construzione Fonti: http://sightbywalk.blogspot.it/2011/02/keetwonen-biggest-container-housing.html

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Figura 2.28:

sente di ottimizzare lo spazio urbano, sfruttandolo in maniera positiva, rispondendo a delle esigenze specifiche, come in questo caso, espresse da una precisa categoria sociale. Dopo il progetto Keetwonen, il modello elaborato da Tempohousing è stato riconosciuto in tutto il mondo e si sono sviluppati numerosi altri progetti simili. La caratteristica chiave del successo è la possibilità di spostare il complesso, adattandolo ad aree e contesti diversi, grazie alla flessibilità conferita dalle unità modulari. La velocità è determinante: questo modello è in grado di inserirsi nei ritagli di tempo che la lentezza dell’evoluzione urbana genera tra la fine di un processo e l’inizio di un altro.

M-Hotel Hoxton, Londra Fonti: http:// www.urban-reuse.eu/?pageID=casi_internazionali&cID

anche della M-house: un edificio residenziale trasportabile ideato per dare risposta alla mancanza di case a costi contenuti), che con Ron Packman ingegnere strutturista, direttore della Packman Lucas engineers e con Cameron Smith geometra e direttore del Boydengroup, forma il partenariato responsabile del progetto. L’ M-HOTEL si basa su un sistema intermodale per il trasporto: le unità abitative sono riducibili alla metà della loro dimensione, entrando in un container standard. Possono quindi essere spostati in qualsiasi parte del mondo in modo semplice ed economico. Una volta giunti a destinazione si ​​ espandono per diventare monolocali o appartamenti (in circa tre giorni). La finalità sociale è di offrire spazi confortevoli che possano essere abitati per brevi periodi e spostati facilmente da un’area ad un altra, inserendosi nei “buchi” che la macchinosità del mercato immobiliare lascia sul suolo urbano. In questo modo si tende a scoraggiare il pendolarismo e lo spostamento in automobile. Il progetto può essere replicato in altri contesti e per altri scopi, la finalità rimane sempre la stessa: usare aree urbane marginali in modo temporaneo con una strut-

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Si articola attorno allo stesso tema il progetto M-HOTEL, ad Hoxton nei pressi di Shoreditch Goods Yard, a Londra; l’area era adibita a parcheggio per automobili e il proprietario del sito aspettava che il valore aumentasse per edificare un complesso residenziale. Tuttavia, intravedendo la possibilità di una resa economica nel periodo di attesa, attraverso la costruzione di un edificio temporaneo, intraprese la realizzazione dell’’hotel mobile, concluso nel 2008 e previsto per 8 anni. Al termine del contratto di locazione il proprietario dell’area deciderà cosa fare della struttura. In questo caso sono stati presi accordi esclusivamente tra privati per lo sviluppo del progetto: il tavolo di trattativa vede un soggetto-proprietario interessato nel mettere a disposizione l’area, un soggetto investitore, che si fa carico dei costi di costruzione e di gestione, e un soggetto promotore, l’M-HOTEL (Hoxton) Limited, società che mette in campo gli strumenti e il know-how per la realizzazione. Ai vertici di questa società vi è l’architetto Tim Pyne, ideatore del modello (inventore 104


tura leggera e facilmente smontabile. I componenti architettonici possono essere utilizzati in modo differente o smantellati per riutilizzare l’area per altri fini. La tecnica costruttiva è basata sull’inserimento di singoli moduli abitativi all’interno di una maglia in strutturale acciaio La superficie totale della struttura di Hoxton è di 500 metri quadrati e contiene 32 unità abitative ciascuna di 16 x 36 metri quadrati e al loro interno sono dotate dei servizi e degli arredi. Le unità abitative sono progettate per essere riutilizzate anche come abitazioni temporanee, gli interni sono flessibili e dotati di uno spazio apposito per ricevere ospiti e familiari. Questo processo genera valore nelle aree marginali e di risulta, in quanto acquistano una funzione urbana e vengono inserite in un programma complesso di rigenerazione. Il progetto rappresenta un’occasione di sviluppo locale, risponde ad esigenze specifiche e rappresenta una risposta seppur parziale a esigenze abitative temporanee (le aziende possono usufruire di questa opportunità per fornire una locazione centrale ai propri dipendenti).

data di apertura della MDJ, alla fine de 2012 sono stati accolti più di 250 giornalisti provenienti da diversi paesi con problemi di guerra e conflitti politici (www.maisondesjournalistes. org). La casa dei giornalisti, utilizzando un’area dismessa, lavora sull’inserimento lavorativo e sociale di giornalisti richiedenti asilo nel periodo di attesa del permesso di soggiorno. I giornalisti possono rimanere della Maison per un periodo massimo di sei mesi, periodo che corrisponde al tempio media di attesa per ricevere lo status di rifugiato. Le attività dell’associazione sono principalmente rivolte a offrire ai giornalisti i servizi basilari (camera singola, buono pasto di 8,50 euro al giorno, abbonamento mensile per i trasporti urbani, carta telefonica mensile); sostenere la partecipazione alla redazione di un giornale: l’Oeil del’exilè (l’occhio dell’esiliato), trimestrale che permette ai richiedenti asilo di praticare la loro professione e di imparare i meccanismi della stampa francese (esiste anche una versione radiofonica del giornale) oltre a promuovere attività culturali di vario genere. I richiedenti asilo, nel periodo di attesa del permesso di soggiorno, non possono svolgere alcun tipo di lavoro e i luoghi di accoglienza sono spesso dei sem-

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Infine si intende riportare un esempio di riuso urbano dai connotati estremamente sociali. Si tratta di uno spazio all’interno di una fabbrica di spazzole in disuso, che è stato concesso dal Comune di Parigi per ospitare la sede dell’associazione Maison des Journalistes (MDJ) (rue Cauchy 35, nel 15° distretto di Parigi) per realizzare uno spazio d’accoglienza: la Casa dei Giornalisti rifugiati, che hanno chiesto asilo politico. L’associazione MDJ, fondata da Danièle Ohayon e Philippe Spinau, è ha come obbiettivo quello di assistere ai giornalisti che chiedono asilo politico nel territorio francese. Dal 6 maggio 2002,

Figura 2.29:

Maison des Journalistes, Parigi Fonti: http://www.maisondesjournalistes.org/wp-content/

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plici dormitori che forniscono un posto letto e un buono per la mensa. L’innovazione del progetto consiste nell’idea di promuovere un centro di accoglienza per un bisogno specifico dove poter svolgere il proprio lavoro di giornalisti e contemporaneamente entrare in contatto con la realtà professionale locale. Il centro si distingue dalla comune accoglienza proponendosi come veicolo di integrazione sociale e culturale. L’associazione MDJ è nata a Bobigny (Seine St Denis) e ha preso possesso dei suoi locali definitivi a Parigi nell’ex fabbrica nel Novembre del 2003. È stato possibile concretizzare il progetto principalmente grazie al sostegno del Comune di Parigi per quanto riguarda la realizzazione della struttura, e grazie ai finanziamenti dei media francesi (per il 50%) e dal Fondo Europeo per i Rifugiati concesso dalla Commissione Europea (rimanente 50%) per la programmazione delle attività e per la gestione della struttura. E’ stato un processo tipicamente bottom up, nel quale un’associazione ha assunto il ruolo di promotore di un progetto dagli elevati contenuti sociali, che ha ottenuto il riconoscimento di un’istituzione (Comune di Parigi) e un supporto esecutivo nello strumento del finanziamento pubblico.

riuso può portare a grandi risultati su svariati livelli. Un fatto che contraddistingue specialmente le pratiche top down è che queste interessano quasi esclusivamente intere aree urbane, grandi porzioni di territorio, in ragione del fatto che un intervento “integrato”, che per funzionare economicamente e socialmente deve interessare più settori, creando relazioni reciproche, dovrà necessariamente sviluppare le diverse attività e servizi previsti su di un territorio fisico, occupando spesso intere “regioni”. Questa necessità basilare fa sì che gli sforzi delle amministrazioni si concentrino soprattutto su grandi programmi di riqualificazione, come nel caso di PRiU Spina 3 di Torino, come si vedrà successivamente (ivi. pag. 123). Questa peculiarità, oltre ad una maggiore lentezza attuativa dovuta alla struttura propria della “macchina amministrativa”, costituiscono dei limiti di riproducibilità e ne riducono l’applicabilità solo certe specifiche condizioni ambientali. Proprio per questo assumono un ruolo fondamentale i modelli bottom up, come nei casi NDSM e RDM olandesi. Nel primo caso, a promuovere il riuso furono squatters e skaters, occupanti abusivi, che ponendosi in un rapporto antagonista con l’amministrazione sono riusciti a far valere i loro diritti, ottenendo il riconoscimento istituzionale tramite il bando di riqualificazione, nel 2002. Su questo punto gioca un ruolo determinante l’Amsterdam Bureau Broedplaatsen, ufficio competente in materia di aree residuali e in disuso, che ha visualizzato nel quadro sociale e culturale creatosi nel complesso NDSM delle forti potenzialità. Nel caso RDM invece, a farsi promotori furono le università, creando un dialogo pubblico-privato basato sulla cooperazione tra gli attori. Anche in questo caso però fu il Rijksdienst voor het Cultureel Erfgo-

Gli esempi trattati fino a questo punto, relativi a grandi aree o complessi in disuso, mostrano diversi caratteri che denunciano una moltitudine di approcci possibili. In particolare si intende porre l’accento sulla presenza sul piano metodico di procedure verticali di tipo top down, che interessano aree estesissime, come nei casi studio di Duisburg e Zollverein, grazie all’esplicito contributo dell’IBA Emscherpark, a dimostrazione del fatto che la creazione di organi istituzionali finalizzati al 106


considerare l’apporto dei rapporti di partenariato locale e contratti di intesa che si instaurano esclusivamente tra soggetti privati, capaci di dar vita e sviluppo a progetti dalla portata sociale e culturale sorprendente, come nel caso RDM. Un ultima osservazione riguarda le tempistiche: si osservano progetti e programmi dalla durata temporale indefinita e progetti la cui durata è definita fin dal principio, o per futura trasformazione dell’area (NDSM, Keetwonen), o per prevista demolizione della struttura ospitante (Volkspalace). La strategia di occupare i “vuoti temporali” generati dalla lenta trasformazione delle città, ha dimostrato di saper apportare numerosi benefici, anche di tipo economico, soprattutto se coniugata parallelamente all’edilizia temporanea. I numerosi modelli di gestione e le varie funzioni inserite nei vari complessi sono espresse nella scheda di sintesi [Fig. 2.40], (ivi. pag. 126).

ed (RCE), a dirigere il processo verso il riuso, evitando l’abbattimento (ivi. pag. 100). Anche in questi due casi, la presenza di un organo capace di riconoscere e valorizzare i contesti ambientali, risulta fondamentale nell’ambito del riuso. Molto spesso il ruolo istituzionale si limita a quello di negoziatore, concedendo il riconoscimento sotto forma di diritti temporanei (comodato d’uso, contratti di locazione temporanei) ad associazioni che si fanno reali promotori. Anche in questo caso le associazioni possono seguire un iter istituzionale, o, molto più frequentemente, occupare forzatamente (modello antagonista), come nel Volkspalaast o nel caso dell’ex birrificio Brauerei. I casi dove non si è verificato un iniziale fase occupazionale antagonista, coincidono con quelli in cui il rapporto con la Pubblica Amministrazione è stato minimizzato: nell’ex cotonificio Spinnerei, l’associazione ha comprato l’intero edificio da un altro privato, non instaurando rapporti forti con enti pubblici; Amsterdam Keetwonen e M-Hotel rappresentano iniziative tipicamente private, basate su partenariato. In questi casi si parla di sussidiarietà orizzontale, come visto precedentemente, in quanto i soggetti intercettano un aspetto di interesse collettivo non evidenziato dalla routine amministrativa convenzionale (ivi. pag. 81). In sintesi è osservabile una certa difficoltà nel dare il via a procedure virtuose, nell’ambito del riuso del patrimonio dismesso, se non si ha a disposizione una serie di strumenti (capitale, rappresentanza economica, conoscenze settoriali), senza porsi in un ottica, almeno inizialmente, antagonista. Proprio nel tentativo di sopperire a queste carenze, la strategia comunitaria cerca di mettere a punto strumenti che sostengano lo start-up dello sviluppo dei distretti creativi (ivi. pag. 85). Nondimeno bisogna

Ora, occorre spendere qualche parola sulle pratiche del “micro” riuso, a partire da alcuni esempi considerabili come “vetrina” di un fenomeno culturale ampiamente diffuso. Alla biennale di Venezia del 2008, il padiglione Cinese era costituito da un edificio interamente realizzato in scatole e tubi di cartone, nastro adesivo e alcuni giunti metallici: mediante un sistema strutturale memore dell’esperienza di Shigeru Ban, l’architetto Li Xianggang realizza la Paper-Brick House [Fig. 2.30]. L’intento è in realtà critico, nei confronti della bassa qualità delle abitazioni dello Sichuan, dove all’inizio del 2008 un violento terremoto ha causato molti danni e migliaia di vittime (inhabitat.com). L’intento non è quello di sensibilizzare al riuso. Tuttavia, lo slancio verso la sperimentazione di materiali non convenzionali è palpabile, ed è soprattutto importante il fatto che fruitori 107


Figura 2.30: Paper-Brick House, Padiglione Cinese,

to. Ma nel fare ciò ricicla e riusa, mostrando agli spettatori che il ciclo di vita degli oggetti può non essere quello a cui sono abituati a pensare. D’altronde già con la Biennale di architettura del 2000, presieduta da Massimiliano Fuksas, il cui tema fu “Less aesthetics, More ethics” si andava configurando un cambio nella prospettiva architettonica. Non a caso Le Corderie, le Artiglierie, gli spazi nuovi dell’Arsenale fino alle Vergini (recuperati dalla Biennale presieduta da Paolo Baratta dal 1999) venivano per la prima volta utilizzati per l’Architettura (www.labiennale.org). Questo percorso culmina nella Biennale del 2012, presieduta da David Chipperfild, il cui tema “Common Ground”, ha ispirato il padiglione Germania, [Fig. 2.31, 2.32] che esordì con lo slogan “Reduce/Reuse/Recycle”, il padiglione forniva grandi ispirazioni per ammortizzare l’impatto edilizio sul territorio. Inutile costruire il nuovo, più utile concentrarsi su questi 3 semplici concetti: ridurre, riutilizzare, riciclare.

Biennale dell’Architettura, Venezia, 2008 Fonti: http://inhabitat.com/chinese-pavilion-paper-brick-house/

dell’esposizione hanno “assorbito” una serie di messaggi, tra cui il fatto che è possibile costruire con materiali che usualmente vengono scartati. La Paper-Brick House non offre risposte concrete a problemi reali e, nonostante sia un prototipo abitativo perfettamente funzionante, resta una sperimentazione adatta ad una vetrina: funziona perché colpisce l’immaginario e crea nelle mente dell’osservatore nuove relazioni tra oggetti e possibili funzioni. In sintesi, è improbabile che si vedranno villaggi di carta nel futuro, ma è altrettanto probabile che se esistono così tanti tipi di sperimentazione con cartone 14, è in parte dovuto a fenomeni di questo tipo. Lo stesso anno alla biennale venne assegnato il Leone d’Oro per il miglior progetto di installazione della Mostra Internazionale a Greg Lynn Form per il progetto Recycled Toys Forniture. L’artista realizza quattro componenti di arredo a partire da giocattoli riciclati. Anche in questo caso l’idea progettuale è legata all’intento di turbare l’invisibile barriera che separa la maturità dall’età infantile, mescolando oggetti del passato giovanile a necessità dell’uomo adul-

L’intento di Chipperfield è chiaramente mostrare come la destinazione originaria delle architetture possa essere usata per scopi impensabili. (bsidesmagazine.wordpress. com)

Figura 2.31:

Slogan del Padiglione Tedesco, Biennale dell’Architettura, Venezia, 2012 Fonti: http://www. reduce-reuse-recycle.de/index_en.html

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Questa esposizione, basata sul concetto che sarebbe bellissimo se gli architetti disegnassero e costruissero edifici con l’idea in mente che un giorno un altro architetto prima o poi arriverà a disordinare tutto 15, mostra fotograficamente al pubblico alcuni casi inerenti alla questione del riuso urbano.

Figura 2.33:

Clothes House, MVRDV, Triennale di Milano, 2008 Fonti: http://www.mvrdv.nl/projects/ House_of_Clothing/

Tornando al 2008, nel contesto della comunicazione diretta di messaggi “sostenibili” si inserisce anche l’esperienza dello studio olandese MVRDV, che nell’atrio della Triennale di Milano realizza la Clothes House, un prototipo di edificio i cui tamponamenti parietali sono costituiti da vecchi indumenti e vestiti di rifiuto, preimballati in contenitori plastici per permetterne l’ancoraggio. Il progetto muove anche una forte critica nei confronti del meccanismo della moda, non a caso a Milano, che causa la prematura obsolescenza di numerosi capi d’abbigliamento (ivi. pag. 23). Il paper che accompagna il progetto conclude con l’interrogativo: Potremmo diventare più consapevoli stando qui? I vestiti che vengono utilizzati per questo padiglione a Milano probabilmente provengono dalla popolazione locale. Una casa per tutti dai vestiti di tutti, riuscite a vederlo? 16 (MVRDV, 2008)

Questa è una chiara sollecitazione verso il pubblico a riflettere su come dei meccanismi ritenuti “normali”, poiché consolidati, meritino in realtà un’attenta rilettura e ridefinizione, in ragione di un più elevato grado di responsabilità sociale e ambientale. Queste strategie di sensibilizzazione acquistano un’intensità sempre maggiore, coinvolgendo sempre più profondamente anche gli ambiti professionali. Un caso esemplare è costituito da Refunc (ivi. pag. 89), che riescono a realizzare numerosissimi progetti di “micro” riuso proponendosi come studio di architettura/design, quindi come un soggetto di mercato a tutti gli effetti. Ne sono esempio il recente progetto TOM, 2013, [Fig. 2.34] un silo abbandonato riconvertito in unità di osservazione panoramica utilizzando esclusivamente materiale recuperato. O il progetto CONTAINOSAURUS [Fig. 2.35], del 2009, dove in occasione di un grande evento musicale il team di architetti realizzò una struttura temporanea costituita da tre containers e i resti di una grande pala eolica dismessa. Anche in questo caso, la visibilità acquisita grazie al festival costituisce il valore aggiunto all’opera, che senza di esso non sarebbe stato in grado di veicolare i propri contenuti in maniera diffusa. Un esperienza

Figura

2.32: Padiglione Tedesco, Biennale dell’Architettura, Venezia, 2012 Fonti: http://www.reduce-reuse-recycle.de/pdf/en/RRR_Bienn2012_exhibition_views_August2012.pdf 109


simile è quella intrapresa dallo studio WINTER / HÖRBELT, sede a Francoforte, nel progetto kastenhaus, [Fig. 2.36], avviato nel 1996: una serie di opere costruite in varie parti del mondo e con varie funzioni (fermate autobus, biglietterie, un cinema, una casa del tè, chioschi e altro), interamente realizzate con cassette di plastica, solitamente impiegate per il trasporto di lattine o bottiglie, giuntate tra loro. Di particolare rilievo è l’attività dello studio 2012Architecten, con sede a Rotterdam, composto da uno staff eterogeneo di architetti, ingegneri, designers, matematici. Il gruppo promuove il concetto di Superuse, un approccio non solamente volto al riuso, ma orientato verso una progettazione più consapevole delle ripercussioni che questo processo può avere, soprattutto in termini ambientali. Nel 2007 realizzarono Wikado, area bimbi di 1200 metri quadrati, riqualificata mediante l’in-

Figura 2.34:

Figura 2.35:

CONTAINOSAURUS, Refunc, 2009 Fonti: http://refunc.nl/

serimento di 5 pale eoliche in disuso (preconsumo). Nel 2009 iniziò il progetto Lab [Fig.2.37], a Den Haag: Nel corso di 12 anni un radicale processo di rinnovamento urbano porterà alla demolizione di 3000 edifici per far posto a 1600 nuove unità. Ciò comporta la produzione di una ingente quantità di rifiuti di demolizione. Lo studio 2012Architecten propone il riutilizzo locale di questo materiale, mediante la creazione di un “luogo della memoria” costituito dai contenitori (containers) dei resti del processo di smantellamento. In questo modo il rifiuto diventa veicolo di riflessione. I containers possono essere organizzati in diverse configurazioni e anche gli alberi diventano parte del monumento. O ancora, il progetto Restructure del 2010, presentato in occasione della mostra OmBouwen/ReStructure, Rotterdam, o il Fonds BKVB dove il team realizza strutture, arredi e componenti di vario tipo a partire da serramenti riutilizzati, con opportune lavorazioni per permettere gli ancoraggi delle parti. Si ricordano inoltre i progetti del Raumlabor, gruppo fortemente votato alla sperimentazione architettonica, come Officina ROMA, realizzato a Roma nel 2011, interamente costruita a partire da rifiuti. Si

TOM, Refunc, 2013 Fonti: http://re-

func.nl/

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Figura 2.36: WINTER / HÖRBELT, progetti kastenhaus, realizzati grazie al riuso di cassette di plastica. Fonti: http:// www.winter-hoerbelt.de/

compone di una camera da letto, una cucina e un negozio. Questo progetto intende avvalorare una pratica edilizia sperimentale: oltre al tema del riuso, la scommessa fu di riuscire a costruire un’edificio funzionante all’interno di un workshop della durata di una settimana con 24 studenti delle scuole superiori provenienti da tutta Italia. L’edificio è un collage di

componenti di scarto: la cucina è interamente costruita con bottiglie, la camera con porte di automobili, il laboratorio con finestre a partire da mobili antichi in legno e il tetto con vecchi barili di petrolio. Il sito in cui venne realizzata la costruzione è proprio accanto al MAXXI, godendo di un alto grado di visibilità. Delle numerose esperienze di riuso con i pallets, bancali in legno per il trasporto, si ricordano le sperimentazioni del gruppo C+Arquiectos e Nerea Carvillo, in occasione del progetto El Ranchito, a Madrid, allestimento interamente realizzato a partire dal riuso di pallets. Questa pratica ad oggi trova ampi margini di applicabilità. Lo studio torinese IZMO, promuove il riuso di questi elementi attraverso workshops e tramite la realizzazione di installazioni varie, come il Velomuseo (museo della bicicletta) con sede al Cecchi Point di Torino (ivi Capitolo III, Casi-Studio). Infine si riporta un esempio di riuso che inserisce in una logica di marke-

Figura 2.37: Il primo schema (2004) mostra la tras-

formazione urbana, con la costruzione dei nuovi edifici, e l’avvio della demolizione; il secondo (2008) mostra il processo di riallocazione dei rifiuti di demolizione all’interno dell’area del progetto, 2008 Fonti: http://refunc.nl/

Figura 2.38:

Officina ROMA, 2011, Raumlabor. Fonti: http://www.raumlabor.net/

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Figura 2.37:

diventa determinante su due fronti: in primo luogo costituisce l’unica fonte sicura di trasmissione di sapere in termini di concetti e ideali e in secondo luogo permette il superamento di quei limiti tecnici e costruttivi che ne contraddistinguono la riproducibilità. Il progetto Boxel, intrapreso nel 2010 dall’Università di Scienze Applicate di Detmolder, Germania, ne è la testimonianza. Utilizzando un software di modellazione tridimensionale parametrico (Grasshopper), sotto la supervisione del professore Marco Hemmerling, gli studenti sono stati in grado di realizzare in una sola settimana una struttura costituita da più di 2000 cassette di plastica per la birra, unite da chiodi e assi di legno. Il software ha consentito, insieme ad alcune prove di laboratorio, di verificare preventivamente il comportamento statico dell’oggetto. Le cassette, una volta smontata la struttura, verranno riconsegnate all’azienda che gestisce il trasporto del vetro, per venire

Boxel, 2010, Henri Schweynoch, Università di Scienze Applicate di Detmolder Fonti: http:// www.archdaily.com/73173/boxel-students-of-detmolder-schule/

ting integrato. E’ il caso della Freitag Flagship [Fig. 2.38], in Svizzera, opera dello studio Spillmann Echsle Architekten. Il progetto (2006) permea alla perfezione i contenuti sociali dell’azienda Freitag, che dal 1993 produce oggetti di moda riutilizzando oggetti di scarto, soprattutto teli per tir e autotreni. Vinse il premio Marketing + Architektur 2006. E’ realizzato con 17 container dismessi, opportunamente provvisti di finestre, e ospita una uno showroom dell’azienda. La morfologia dell’oggetto, che si estende in elevazione, gli conferisce dei caratteri di landmark, e sfruttando questa associazione, comunica con forza il proprio messaggio, in questo caso, più pubblicitario che sociale. Gli esempi riportati fin ora riguardano un tendenza diffusa, ma uno step in più è costituito dal riconoscimento accademico nelle pratiche del riuso. In primo luogo occorre ricordare che gli strumenti di sensibilizzazione basati su stimoli ambientali, come l’architettura, hanno dei limiti tecnici e costruttivi: non è possibile (per motivi anche economici) riutilizzare qualunque cosa. Talvolta la convenienza a realizzare ex novo è schiacciante. In quest’ottica, il valore dell’attività didattica in termini di sensibilità al riuso

Figura 2.38: Freitag Flagship, 2006 Fonti: http:// www.marketingarchitektur.ch/bildmaterial.html 112


Figura 2.39: Lions Park Escape, 2010

così reintegrate nel circuito del riciclo. Gli studenti hanno così intrapreso un progetto basato sul riuso e sono stati capaci di sfruttare l’apprendimento di nuovi strumenti per superare eventuali difficoltà tecniche e realizzative. Sulla stessa linea si colloca il Rural Studio, attivo dal 1994, che porta avanti due laboratori all’interno del percorso didattico della facoltà di Architettura della Auburn University, Hale Country, Alabama, USA. L’obbiettivo del programma è di sperimentare nuove soluzioni a basso costo e “low-tech”, utilizzando riuso e riciclo di materiale per le realizzazioni come forma di “razionalità costruttiva”, anche in ragione della restrittezza economica che caratterizza la regione, una delle più povere degli Stati Uniti. Si realizzarono le 20k Houses, progetto in itinere, che punta alla costruzione di case dal costo inferiore ai 20.000 US$ (di cui ne sono già state realizzate molte), il Lions Park Escape (2010), area gioco interamente costruita a partire da barili per combustibile, o ancora il Corrugated Cardboard Pod, (2001), edificio di cui parte della struttura (fondazioni e setti) è costituita da “balle” di rifiuto da 750-1250 lbs. Questo sistema costruttivo nasce dalla ricerca svolta da una tesi di laurea, dopo molti test e analisi pratiche, a dimostrazione del fatto che l’iter accademico consente di approfondire molti aspetti della pratica del riuso. Molte altre sperimentazioni tecniche, costruttive e progettuali sono state prodotte dal Rural Studio. L’attività didattica e il circuito accademico fungono da propulsori per la sperimentazione: sono capaci di generare strumenti efficaci e numerosi esempi di good practices, che diventano la base teorica per un inedito approccio disciplinare, riconoscibile nella sua integrità, distinguibile dai “casi isolati” e , soprattutto, capace di riprodursi sul territo-

Fonti: http:// www.ruralstudio.org/projects/lions-park-playscape

rio in varie manifestazioni. Analizzando più nello specifico le metodologie di “micro” riuso, si distinguono dei caratteri tipologici, in quanto esistono diverse modalità con cui si può riutilizzare gli oggetti:

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riuso proprio: qualora un oggetto venga riutilizzato per assolvere la medesima funzione per cui è stato progettato e realizzato, senza modifiche sostanziali;

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riuso appropriato: qualora un oggetto venga riutilizzato per assolvere funzioni differenti da quelle originarie, senza però effettuare modifiche. Tale procedimento minimizza il dispendio di energia e massimizza l’utilizzabilità dei prodotti. D’altra parte, non è sempre possibile riutilizzare una componente senza modificarla;

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riuso con lavorazione: nel caso in cui si utilizza un oggetto o una parte di esso per realizzare nuove strutture spaziali o nuove componenti.

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riuso particolare: nel caso in cui si utilizza una componente specifica, come per esempio i telai delle finestre del progetto Restructure (ivi. pag. 110) per realizzare manufatti di altro tipo. (Ceste, 2012)

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mento istituzionale a causa dell’uso dei rifiuti, il metodo di Reynolds venne dichiarato illegale e gli fu ritirata la licenza di architetto (che riottenne solo dopo 17 anni di battaglie legali). L’operato di Reynolds si dimostrò troppo in anticipo, rispetto al grado di esplorazione della questione del riuso dell’epoca; ad ogni modo, grazie al suo operato, si può considerare come un precursore dei sistemi passivi e della bio architettura, che solo 30-40 anni più tardi diventerà un tema fondamentale nell’approccio architettonico. In Europa, meno sensibile all’approccio ecologista, poiché meno colpita dalla crisi degli anni ‘70, si sviluppano comunque casi di interesse, soprattutto in Olanda. Qui il SAR (Stichting Architecten Research), rivestì il ruolo pionieristico di sperimentazione del riuso nell’architettura convenzionale. WoBo, bottiglia concepita fin dalla sua fabbricazione per essere poi utilizzata come mattone edilizio ne è la testimonianza più forte.

Si individuano inoltre almeno cinque approcci metodologici e operativi nel riuso architettonico, che corrispondono a diversi “segmenti” concettuali, ognuno prodotto di determinate condizioni contestuali:

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l’approccio ecologista: si sviluppa a partire dagli anni ‘70, come conseguenza di ciò che scaturì dalla crisi petrolifera (ivi. pag. 18). L’insuccesso parziale del modello di consumo, la crisi economica e sociale, spinsero attivisti e teorici a ragionare su possibili strategie alternative, attraverso sperimentazioni, spesso utopiche, ma il più delle volte ricche di spunti e contenuti sociali. Drop City, Colorado, del 1965, costituisce un primo esempio del concretizzarsi di questo fenomeno. Una micro-città realizzata con “ritagli” di automobili, legname e altro, che prefigurava la spinta verso un modo di concepire l’architettura non convenzionale, capace di valorizzare i prodotti di scarto e fuori mercato. L’esperienza si concluse nel 1970 con lo sgombero. Nel 1979 la Florida A&M University organizzò un summit, proprio in ragione della visibilità sempre maggiore che i concetti di riuso e riciclo stavano gradualmente acquisendo. A tale conferenza partecipò anche Michael Reynolds, che già da molti anni lavorava sul tema in questione, definendo per primo il concetto di garbage architecture. Successivamente Reynolds sviluppò un programmaprogetto, chiamato Earthship bio-architecture, che prese il via in New Mexico, supportato da 35 anni di ricerche sul campo. Le residenze realizzate all’interno del programma, funzionavano sulla base di sistemi passivi, strutturati secondo l’uso sapiente di diversi materiali (di riciclo) e diverse conoscenze tecniche. Tuttavia nel 1989, non ottenendo un riconosci-

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l’approccio informale: si articola intorno ai concetti di Home-Made, autocostruzione, autoprogettazzione, DIY (Do It Yourself). Quest’approccio è diffusissimo, soprattutto grazie a Internet, che ne veicola gli strumenti e i metodi (spesso anche le “istruzioni di montaggio”). Si sviluppa in maniera interessante a partire dagli anni ‘90, quando comincia a contaminare fortemente anche la disciplina architettonica. Il riuso informale infatti è una pratica che, soprattutto nelle fasi iniziali, cresce nel mondo del design e dell’arte, trovando solo successivamente spazio per connotazioni più tecniche e tecnologiche.

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l’approccio PVS: la caratteristica fondamentale di questo approccio è che

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si sviluppa per necessità, per mancanza di alternative. In questo caso la sperimentazione è una tappa obbligata, mancando le condizioni economiche e ambientali per lo sviluppo dell’edilizia convenzionale. inoltre, occorre considerare che i paesi del terzo mondo raccolgono la maggior parte degli scarti dei paesi sviluppati (vengono spesso definite “pattumiere” del mondo). La mappa della dislocazione dei rifiuti elettronici portata come esempio nella presente tesi (ivi.pag.23) è un chiaro esempio di questo processo. In ragione di ciò i PVS si trovano in un contesto ambientale economicamente povero e “ricco” di rifiuti. Il riuso è l’approccio che trasforma questa “ricchezza” in un opportunità.

grado elevato di comprensione del fenomeno e le istituzioni spesso si ponevano in contrasto con queste pratiche. Ad oggi la situazione si evolve in favore di una maggiore apertura istituzionale accompagnata da una maggiore sperimentazione pratica, proprio sui suoli urbani. Il denominatore comune di questi differenti approcci è costituito dall’inversione della relazione progetto->oggetto, in favore di quella oggetto->progetto. Diventa fondamentale valutare il potenziale operativo dei materiali a disposizione e, in base a considerazioni pratiche e ideologiche, decidere come e se impiegare un determinato rifiuto. Il progetto si sviluppa di conseguenza, tenendo conto dei costi e benefici che conseguono la scelta di intraprendere una strategia piuttosto che un’altra. In questi termini, la teoria del riuso si dimostra come insieme di decisioni responsabili, perseguite in base alla pre-costruzione di un quadro complessivo del potenziale esprimibile. La procedura inversa si basa invece sull’adattamento delle parti verso una forma globale. Il potenziale è concentrato nel prodotto finito, a discapito di quello trascurato, che risiede nelle singole componenti. L’argomento “micro” riuso è stato trattato grazie all’apporto fondamentale della tesi di laurea Progettare con i rifiuti (Ceste, 2012).

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l’approccio sostenibile: anche questo, sviluppatosi a partire dal design, come l’approccio informale, si basa però su concetti di sostenibilità ambientale e eco friendly. E’ un filone disciplinare orientato più che altro allo studio di possibili soluzioni, legate al risparmio energetico e ripensamento del ciclo di vita dei prodotti radicale, in linea con la graduale presa di coscienza delle problematiche causate dal sistema di sprechi, generato dal ciclo produttivo.

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l’approccio Reuse: esplicitamente votato all’architettura, è un approccio moderno, portato avanti da studi come Refunc, 2012Architecten. Nasce come alternativa, ma si configura sempre di più come parte integrante di un dibattito più esteso, che riguarda da vicino il rapporto tra architettura e città. Ciò soprattutto in ragione degli strumenti amministrativi e disciplinari che le Pubbliche Amministrazioni mettono in gioca a favore del riuso e riciclo. Inizialmente infatti non vi era un 115


Casi studio:

Tipologia territoriale / edilizia

Funzioni primarie

Modello start up

Layout temporale

Gestione economica

Admin.

Duisburg Landschaftpark Kokerei Zollverein Kulturbrauerei Ex-Spinnerei NDSM RDM Volkspalaast Amsterdam Keetwonen M-Hotel MDJ Figura 2.40: Tabella sinottica dei casi studio analizzati, nell’abito del “macro” riuso. Da questo elaborato è possibile evin-

cere una serie di fattori: innanzitutto, in un ottica di potenziale futuro, acquistano un peso rilevante le forme di occupazione antagonista, che possono generare processi bottom up dalla portata urbana di notevole interesse, come nei casi Volkpalaast, Kulturbrauerei e NDSM. Dinamiche che spesso vengono “fraintese”, archiviate come “worst practice” costituiscono in realtà una risorsa ed un opportunità di sviluppo locale su più fronti (sociale, culturale, economico). Acquista notevole peso anche lo sfruttamento della transitività delle aree urbane, attraverso “accordi temporizzati” con le Pubbliche Amministrazioni. Nel caso Keetwonen e M-Hotel, il layout temporale limitato si risolve nelle temporaneità degli edifici stessi, progettati ex novo, ma facilmente spostabili (in questo modo si costruisce uno strumento capace di “riempire” i vuoti spazio-temporali generati dalla macchinosità dello sviluppo urbano, spostandosi da un’area marginale all’altra); nel caso Volkspalast si sfrutta un involucro privo di funzione esplicita, fino all’effettiva demolizione, canalizzandovi una serie di necessità locali. RDM invece viene utilizzato fino alla trasformazione e rifunzionalizzazione definitiva dell’impianto. Gli incentivi e i “contratti di locazione speciali” messi a punto dalle istituzioni ci dicono che le Pubbliche Amministrazioni riconoscono un vantaggio obbiettivo nella costruzione di un layout temporale logico per le architetture e per le aree urbane. Si auspica che questo tema acquisti una posizione sempre più centrale nel dibattito. Si sottolinea inoltre che le funzioni sono prevalentemente di tipo sociale, culturale, e abitativo (solitamente per target specifici) e che nella quasi totalità dei casi queste funzioni, si sono dimostrate abbastanza interessanti da attirare investimenti privati, che risultano lo strumento finanziario principale nell’ambito del riuso. Spesso gli interessi privati sono accompagnati dall’esercizio di attività commerciali.

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LEGENDA Layout temporale:

Tipologia territoriale / edilizia:

Non definito

Parco industriale

Limitato per demolizione del manufatto

Edificio / Complesso Industriale

Limitato per trasformazione dell’area

Waterfront

Gestione economica:

Edificio storico Edificio temporaneo

Finanziamento pubblico Investimento privato

Funzioni primarie: Aggregazione e protagonismo giovanile

Introiti commerciali

Produzione artistica e culturale

Rendita affitti

Eventi, esposizioni e intrattenimento

Autofinanziamento

Funzioni commerciali

Amministrazione:

Attivita’ sportive

Enti pubblici

Presidio di spazi pubblici aperti

Soggetti privati

istruzione, formazione

Gestione mista

Housing Sviluppo comunitario, distetti creativi Servizi per l’inserimento di persone svantaggiate

Modello start up: Processo top down Processo bottom up antagonista Processo bottom up negoziale / cooperativo Processo orizzontale

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Approfondimento II

Riuso a Torino, introduzione ai Casi-Studio

Nel primo approfondimento si condensano sulla città di Torino le conclusioni della trattazione sul concetto di abuso. Analogamente, in questo approfondimento, si delineano i caratteri che riguardano le pratiche di riuso urbano nella municipalità Torinese. Anche qui, come nell’argomento precedente, si intende sottolineare il ruolo fondamentale che ha avuto il progetto di ricerca Reuse, cofinanziato dal CNR (Promozione Ricerca 2005) e dal Dipartimento di Architettura e Pianificazione del Politecnico di Milano, e sviluppato da un’équipe di ricercatori a ridosso del contesto della città di Torino. La ricerca, i cui provvisori risultati sono raccolti all’interno del sito-web www. urban-reuse.eu, ha preso avvio con l’identificazione nel contesto torinese di un congruo numero di vicende (concluse o in corso) in grado di rappresentare dei casi-studio rilevanti rispetto all’ipotesi della ricerca: storie, tra loro molto eterogenee, di interazione tra vari attori a proposito della rifunzionalizzazione di spazi inutilizzati, che hanno offerto la possibilità di intercettare in modo più o meno intenzionale, esplicito e diretto questioni di interesse collettivo. Sulla base di ciò, il programma Reuse intende tradurre l’apprendimento generato dall’esplorazione in suggerimenti strategici e proposte d’approccio per le Pubbliche Amministrazioni che giungono ad interfacciarsi con l’opzione del riuso sociale e creativo. (Cotti-

no, Zeppetella, 2009) Un ruolo chiave nella stesura di questa parte di tesi è stato giocato anche dal volume Fabbriche, borghi, memorie (Maspoli, Spaziante, 2005) capace di fornire un quadro teorico e un background solido nell’ambito del riuso a Torino, oltre a spunti pratici interessanti, con focus sulla parte nord della città. Infine si sottolinea il valore della tesi di laurea in architettura intitolata: Il riuso di 128 aree industriali a Torino, conclusione del monitoraggio 1989-2005 (Are, Venere, 2005). Si ricorda che il monitoraggio a cui si fa riferimento, cominciato dal professore Egidio Dansero (ivi. pag. 64) , costituisce una delle basi di indagine per il volume citato (Maspoli, Spaziante, 2005), e di fatto, il dialogo tra i contenuti di questi due contributi bibliografici è molto forte. Precedentemente, il discorso relativo a Torino nell’abito dell’abuso, ha condotto a svelare i circa 4.000.000 metri quadrati di suolo dismesso all’interno dell’area metropolitana, senza però fornire un quadro preciso di come la Pubblica Amministrazione si interfaccia con questa situazione. Prima di procedere ulteriormente, si intende proporre, a titolo esaustivo, il confronto tra il rilievo di aree dismesse al 1989 [Fig. 2.41], e il rilievo dei Programmi Complessi avviati nell’Area Metropolitana Torinese (AMT) al 2006 [Fig. 2.42]. Dal confronto si evince, in modo preliminare, che i PUC interessano in

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molti casi delle zone dove la densità di edifici industriali dismessi è molto alta. Le ragioni di questo fenomeno risalgono a svariati episodi, in primis, l’approvazione del PRG del 1995, che ha avuto un peso determinante nell’innescare i processi di trasformazione urbana che interessano la città ad oggi. Nel primo Piano Strategico, redatto nel 2000 e in vista delle olimpiadi del 2006 (data di scadenza prevista) si condensano numerose necessità locali, che vengono tradotte in un quadro interattivo di relazioni atte a costruire delle opportunità su più settori. Le interazioni si articolano dal “locale” al “globale”, guidate dall’immagine e dai contenuti del programma Piano strategico per la Promozione della città (Torino Internazio-

nale, 2000). Questo documento propone sei linee strategiche, di cui la sesta è Migliorare la qualità urbana. (Torino Internazionale, 2000) All’interno dell’ultima voce si individuano due obbiettivi fondamentali in questa direzione: la creazione di nuove centralità, il rinnovo urbano e l’integrazione sociale come strategia per diffondere prosperità, coesione e rigenerazione urbana; Il compimento dell’Agenda 21 locale, per lo sviluppo sostenibile e l’innovazione ambientale come direzione e fondamento per le strategie cittadine. Queste linee guida trovano poi un campo di attuazione parzializzato nelle seguenti aree tematiche (sono messi in evidenza i concetti che maggiormente interessano la questione del riuso):

Figura 2.41:

Figura 2.42:

128 aree industriali dismesse a Torino nel 1989 Fonti: Dansero E., Censimento delle aree industrili dismesse a Torino, 1989, rielaborato, con aggiunta delle indicazioni relative a Spina Centrale. (Rielab. Aut.)

Programmi complessi avviati nell’AMT, fino al 2003 Fonti: Are, Venere, 2005, pag. 112, rielaborato. (Rielab. Aut.)

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al quale deve essere garantita fattibilità, continuità, efficacia e efficienza;

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caratterizzare Torino come luogo di eccellenza del no profit, candidando la città ad ospitare l’Authority per il terzo settore e promuovendo la città come centro di partnership a livello europeo;

promuovere la rigenerazione dei quartieri e delle zone urbane depresse o in difficoltà proseguendo sulla strada tracciata dal Progetto Speciale Periferie (per es. in via Artom, San Salvario, Porta Palazzo) e realizzando interventi integrati (aspetti sociali, ambientali, economici) basati sulla partecipazione sociale e diffusi nel tessuto urbano;

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costituire un Social Park che si ponga come centro di eccellenza del lavoro sociale, come struttura di sostegno all’azione di servizio sociale e come luogo di circolazione di esperienze;

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creare nuove centralità nella città, in stretto rapporto e coinvolgendo l’area metropolitana, valorizzando dove possibile, le trasformazioni già in atto per realizzare nuovi poli di sviluppo e identità locale di rilevanza urbana (per es. a Nord il polo sportivo; a Ovest il polo universitario; a Sud il polo ospedaliero);

*

*

sostenere strategie e progetti specifici nel campo del la mobilità, della gestione dell’energia e dei rifiuti, dei modelli insediativi e della produzione edilizia, delle strategie delle imprese e dei servizi e dei comportamenti i dei cittadini, coerentemente mirati a migliorare la qualità ambientale locale (aria, acqua, rumore) e la sostenibilità globale

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valorizzare, recuperare e ampliare la rete naturale diffusa nella città (i fiumi, le loro sponde, le aree verdi) attuando il progetto “Torino Città d’Acque” e rilanciando l’insieme delle iniziative sul tema del verde, paesaggio e biodiversità (collegamenti verdi, anello verde, parchi a tema, spazio verde e sport);

realizzare una rete di Infocentri, di collegamento e dialogo tra amministrazione e cittadini in particolare dedicati a funzioni quali l’integrazione della popolazione emarginata, il coordinamento degli interventi sul la sicurezza e la microcriminalità, la riduzione degli effetti temporanei negativi dovuti all’apertura di cantieri urbani;

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sostenere e lanciare attività di formazione professionale e di sostegno alla creazione di impresa, anche nel terzo settore, nel campo della conservazione e gestione dei beni culturali e delle risorse naturali, dell’ innovazione ambientale, della rigenerazione urbana e dei servizi dedicati alla persona;

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proseguire con gli interventi di riqualificazione degli spazi pubblici (pedonalizzazione e animazione, codici di comportamento per gli interventi sul colore, impianti pubblicitari e illuminazione pubblica, utilizzo dei concorsi di idee, delle sponsorizzazioni, di accordi volontari con i privati)

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creare un Urban Center a Torino, come luogo di un’iniziativa di pubblica utilità che dota la città di uno strumento di comunicazione e di partecipazione rinnovata, 120


attraverso il coordinamento con gli attori. Il lavoro si sviluppò in tre fasi principali:

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rilanciare il Progetto Cortili Verdi puntando a creare nei cortili cittadini luoghi di integrazione tra attività artigianali, commerciali e di ritrovo e svago, incentivando la creazione di verde condominiale e nel contempo sostenere il mantenimento delle attività artigianali nel tessuto urbano anche mediante l’individuazione e l’adeguamento ambientale di aree dedicate;

* * *

definizione del mandato e il confronto con gli attori politici e istituzionali; l’allargamento del dibattito in occasioni di confronto pubblico; l’identificazione di obiettivi e linee d’azione prioritarie, assumendo un carattere speciale secondo la natura degli argomenti trattati e degli attori coinvolti.

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attivare azioni positive (spazi, servizi, educazione) dirette a promuovere una “Città a misura dei bambini e del le bambine” e orientare in tal senso tutte le iniziative di trasformazione della città. (Torino Internazionale, 2000)

In termini sintetici, dalla sovrapposizione delle direzioni intraprese nei piani strategici e nel PRG, si può evincere che la maggior parte degli sforzi in atto si concentrano sulla riorganizzazione del sistema della mobilità, questione sufficientemente affrontata nel capitolo precedente (ivi. pag. 47) e sulla trasformazione e rigenerazione urbana sull’asse della Spina Centrale, oltre che sul recupero e riqualificazione ambientale sociale ed economica delle aree periferiche. (Are, Venere, 2005) In seno a queste considerazioni, i Programmi Complessi, che diventano i principali strumenti di attuazione del Piano Regolatore, acquisiscono un valore in più, gravitando attorno ad una serie di concetti condivisi orizzontalmente, che si pongono come denominatore comune delle strategie in atto. Sulla base dei dati forniti dalla Divisione Urbanistica ed Edilizia Privata della Città, ad oggi sono stati approvati 105 nuovi strumenti urbanistici/edilizi attuativi finalizzati al perseguimento del PRG e ne sono stati modificati 15 già esistenti: 42 Piani Esecutivi Convenzionati, 40 Concessioni Edilizie Convenzionate, 8 Piani Particolareggiati (PP), 15 Programmi di Riqualificazione Urbana (tra

Sulla base dei presupposti e dei risultati di questo primo Piano Strategico si articola il Secondo, approvato nel 2006, come conferma della validità ed efficacia dello strumento. La costruzione del Secondo Piano Strategico dell’area metropolitana torinese, cominciata nel 2005, richiese un anno e mezzo di lavori, incontri, dibattiti e approfondimenti. Si scese di privilegiare un approccio processuale alla definizione di dodici (non più solo sei) direzioni d’intervento, che ricalcano e approfondiscono le precedenti, riservando a quattro specifiche Commissioni Tematiche le responsabilità derivate dal coinvolgimento degli attori e dall’esplorazione di scenari, obiettivi e possibilità. Le quattro Commissioni, Territorio Metropolitano, Potenziale Culturale, Qualità Sociale, Sviluppo Economico, insieme al gruppo trasversale costituitosi sul tema della Conoscenza, si riunirono in forma plenaria, discutendo in gruppi di lavoro, esplorando orientamenti e ipotesi ed elaborando prospettive d’intervento 121


cui Spina 1, Spina 2, Spina 3, Spina 4). Sono stati modificati 8 PP e 8 PRiU. Complessivamente questi strumenti interessano quasi 4.000.000 metri quadrati, circa il 37% di quanto previsto dall’intero PRG. Occorre precisare che i numeri più rilevanti sono relativi a PEC e CC, ma una superficie molto maggiore è oggetto dei PRiU (1.446.863 metri quadrati). Programmi di Riqualificazione, Programmi Integrati, Piani Particolareggiati, strumenti convenzionati, hanno concorso unitariamente alla riconversione (Richter et. alt., 2006) Alcuni di questi, come i PP di iniziativa pubblica, si pongono in una posizione di transizione tra il PRG del 1995 (attuale) e quello precedente, ponendosi come anticipazione delle prospettive che si stavano delineando tra gli anni ‘80 e ‘90. E’ il caso del Lingotto, che nel 1987 venne vincolata ai sensi della normativa allora vigente (legge 1 Giu1089/1939). Ciò permise agli uffici di tutela di partecipare al processo di trasformazione, che termina con l’attuale configurazione dell’8Gallery. E’ importante considerare che se inizialmente il provvedimento di tutela emanato per il Lingotto era restato un fatto isolato, la progressiva, rapida chiusura di altre industrie fece sì che nella stesura del nuovo Piano Regolatore (rif. PRG 1995) venisse prevista la demolizione di larga parte degli stabilimenti dismessi, con il rischio di cancellare per sempre le testimonianze della particolarissima stagione economica, edilizia, sociale e politica vissuta dalla città. La scomparsa di queste architetture appariva come una vera e propria minaccia, una perdita di immagine valutabile in intere porzioni di superficie urbana: in termini dimensionali, l’edilizia legata all’industria occupa infatti circa 900 dei 10.000 ettari del territorio pianeggiante della città, e alcuni complessi hanno una superficie media

di 150.000 metri quadrati, mentre le sole Officine Grandi Riparazioni impegnano complessivamente circa 90 ettari.(Maspoli, Spaziante, 2012, pag. 66) I timori della dissoluzione della memoria industriale erano fortemente accentuati dal degrado molto spesso irreversibile degli stabilimenti, costruiti nella logica dell’obsolescenza programmata (ivi. pag. 26) Così tra il 1994 e il 1998 la Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici del Piemonte curò la prima ricognizione sistematica, inventariale, su tutti i complessi industriali, dismessi e attivi, presenti nell’Area Metropolitana Torinese. Di qui si avviò un progetto, in collaborazione con l’Ufficio del Piano Regolatore della Città di Torino, per provvedere alla trasformazione di 54 complessi attraverso una mirata attività di catalogazione. In quest’ottica, la Soprintendenza ha costruito un inedito sistema di interfaccia con le istanze dell’ambiente urbano, capace di garantire una certa flessibilità nel processo decisionale, basato su conservazione ragionata e rinnovamento consapevole. In questa logica si inserisce, per esempio, il vincolo posto sulle OGR o sulle Officine Savigliano, sulle Rotative Caprotti poi Tuttosport in corso Venezia, sull’ex Opificio Simbi, poi Casa Ozanam, sul Dopolavoro Michelin. (Maspoli, Spaziante, 2012). Talvolta il provvedimento di tutela ha garantito solo la conservazione parziale dei manufatti, per ragioni di degrado o povertà di contenuti. E’ il caso della torre di raffreddamento acqua Michelin, nell’attuale Parco Dora, o il prospetto su corso Rosselli della Materferro. Il riutilizzo delle aree dismesse risulta un esigenza imprescindibile. Tuttavia, in molti casi, 122


l’attuazione delle previsioni a mezzo del PRiU evidenzia le forti difficoltà causate da standard urbanistici elevati, che richiedono costi aggiuntivi consistenti a tal punto da rendere svantaggiosa l’utilizzazione della totalità del suolo disponibile. Ciò spiega perché le varianti al PRG proposte siano nella maggior parte dei casi riduttive. D’altra parte i programmi complessi nascono esattamente dall’inadeguatezza del PRG, come strumenti attuativi, caratterizzati da flessibilità e capacità di valorizzare le condizioni ambientali (in termini economici, sociali e culturali). Si tratta di una progressiva frammentazione del PRG in tanti elementi settoriali integrati, tali da permetterne il conseguimento degli obbiettivi definiti dal piano. Tutto ciò trova conferma nel fatto che dal 1995 in poi, hanno preso il via numerose iniziative di riutilizzo delle aree lasciate libere dalle industrie, rompendo un lungo periodo di immobilismo. La destinazione delle aree trasformate o in trasformazione diventa in gran parte residenziale, e solo in una percentuale minore produttive (in molti casi a partire dallo stimolo di investimenti pubblici) o per servizi (Urban-Reuse.eu). In questo contesto si sviluppa il progetto Spina Centrale. Si basa su un accordo di intesa, già abbozzato nel 1984, tra Ferrovie dell Stato e Città di Torino e fu un elemento basilare per l’elaborazione del Piano Regolatore attuale. In sintesi il progetto prevede l’abbassamento di una fascia lunga 15 Km di ferrovie al di sotto del livello stradale. Alla municipalità spetta il riconoscimento dei diritti edificatori relativi ad un area di circa 400.000 metri quadrati di S.L.P., che costituiscono una volumetria consistente, e alle Ferrovie spetta farsi carico dei lavori di abbassamento del livello dei binari. Attorno all’area del progetto Spina Centrale, gravitano oltre 2.000.000 di metri quadrati di aree

industriali dismesse, delle quali si prevede il riuso, in seno al PRG. (Richter et. al., 2006) In questa prospettiva a Torino nel 1995 si formò l’Audis (ivi. pag. 72), con lo scopo di costruire un ambiente di confronto e dialogo tra i vari attori, proprietari di aree, imprenditori industriali, società di gestione, pubbliche amministrazioni e altri interessati. La scala territoriale del riuso urbano è evidente nei programmi per le Spina 1, Spina 3 e Spina 4, che interessano grandi aree industriali dismesse, l’attuazione dei quali dipende alle indicazioni del PRG, come nei PRiU per Superga e ex Elli Zerboni, che interessano aree industriali dismesse di estensione minore. E’ osservabile che tra gli 8 PP Torinesi, il più esteso è quello relativo al Lingotto (1988), e copre 347.434 metri quadrati di superficie totale. Tra i PRiU riveste una posizione di assoluta centralità Spina 3, con 1.002.956 metri quadrati (quasi il 70% della superficie totale interessata dall’insieme dei PRiU torinesi). (Are, Venere, 2005). Nell’area vi sono soprattutto immobili di matrice industriale, in una fase avanzata di riconversione, che ha portato alla realizzazione di un grande parco urbano (circa 450.000 metri quadrati di superficie) e interventi per un totale di 585.542 metri quadrati di S.L.P. Nella parte sud della città, si individua il caso relativo all’area Mirafiori. In seguito al decentramento FIAT e alla crisi del settore, causa di un grande sottoutilizzo dei circa tre chilometri quadrati di stabilimenti, la Provincia e la Regione hanno proposto un intervento di riuso dell’impianto, per evitarne la totale dismissione, orientato verso un mix funzionale tra industria, ricerca e attività produttive. Il percorso che ha portato al progetto per la rifunzionalizzazione di una parte dello stabi123


Figura 2.43: Area del Centro Design Politecnico di Torino, Mirafiori Fonti: http://www.urbancenter.to.it/indexScheda.php?id_prog=65

limento di Mirafiori comincia con la costituzione nel 2005 di una società a capitale misto pubblico-privato, TNE, Torino Nuova Economia S.p.A., che ha come missione la riqualificazione e la valorizzazione delle aree acquisite da Fiat S.p.A. per la realizzazione del Polo Tecnologico di Mirafiori. L’accordo di programma siglato dal Comune e dalla Provincia di Torino, dalla Regione Piemonte, dal Politecnico del capoluogo piemontese e dalla società TNE (Torino Nuova Economia) ha come oggetto la collocazione della nuova sede del Centro del Design su una porzione dell’area dello stabilimento Mirafiori attraverso la riconversione di una parte dello storico stabilimento industriale verso nuovi mix funzionali di attività economiche. L’obbiettivo è quello di realizzare un nuovo polo universitario e di ricerca nell’ambito del Politecnico, nel quale possano integrarsi formazioni universitarie, ricerca di base e applicata, aggiornamento tecnico-professionale e promozione di cultura verso la città e la società: il modello di riferimento è quello dei parchi scientifici e tecnologici, sul modello RDM (ivi. pag. 97), dove convivono, con gli opportuni servizi, facoltà universitarie tecnicoscientifiche, istituzioni di ricerca pubbliche e private, imprese e investitori finanziari [Fig. 2.43]. Il caso di Mirafiori mostra una caratteristica unica nel contesto Torinese, rappresentata dal tentativo di porre in atto una vera politica industriale per costruire un partenariato pubblico-privato atto a favorire l’insediamento di nuove attività produttive, in linea con le scelte che la città ha elaborato nei suoi due Piani Strategici. Il livello di attuazione del programma di riuso degli stabilimenti FIAT è ancora molto basso. Per questo motivo, oltre che per la disponibilità di numerosi esempi e casi-studio, dovuta all’estensione notevole dell’area,

l’analisi si concentra sull’ambito del progetto denominato Spina 3, di cui precedentemente accennato. Per visualizzare l’importanza del fenomeno, e sottolinearne la dinamica temporale, si richiama il lavoro svolto da Rossella Maspoli e Agata Spaziante (Maspoli, Spaziante, 2012) i cui elaborati mostrano l’evoluzione dell’intero comparto urbano, Torino nord, in parte interessato dal Programma di Riqualificazione Urbana, attraverso quattro step temporali [Fig 2.44, 2.45, 2.46]. Il focus è circoscritto alle zone di Basso San Donato, Valdocco, Madonna di Campagna, Borgata Vittoria a ovest; Barriera di Milano, Borgo Dora, Borgata Aurora al centro e Borgo Rossini, Barriera e Borgo del Regio Parco, Scalo Vanchiglia. Dall’elaborato è possibile ripercorrere le quattro fasi successive che hanno coinvolto non solo l’area in analisi, ma molte altre parti di città. Il terreno più appetibile per la localizzazione degli impianti industriali fu in questo caso, come più generalmente in tutta la città, il limite esterno della cinta daziaria, per beneficiare di esenzioni fiscali e dagli oneri. La fase di urbanizzazione e di densificazione [Fig. 2.45] mostrano come gli impianti si siano lo124


ne delle Officine Savigliano (SNOS) rientra nello stesso quadro di riqualificazione, ma con l’apporto di finanziamenti comunitari e nell’ambito del PRG, in concomitanza con PRUSST “Eurotorino”, finalizzato a creare mixitè funzionale. FU una delle prime architetture industriali proposta a vincolo. Di particolare rilievo di ricorda il riutilizzo dello Stabilimento Paracchi, acquisito dal Comune dopo la dismissione, dal 1988 ospita la scuola elementare Eduardo De Filippo; oltre al riuso della Manifattura Tappeti Paracchi, in corso attuazione, che vede la coesistenza dell’Ambito di trasformazione Spina 3, del PriU “Comprensorio Paracchi” e del PRUSST “Eurotorino”, Entrambi questi edifici sono vincolati dal Soprintendenza ai Beni Ambientali e Architettonici del Piemonte (SBAAP), oltre che dal PRG stesso. Il medesimo tipo di vincoli ha tutelato anche per l’ex Cartiera San Cesario, riconvertita nel 2011 in una struttura ospitante una scuola materna, un centro giovanile, una palestra, una piazza interna e un’area verde. Di notevole interesse è anche il caso dello Stabilimento Pastiglie Leone, dove il riuso, tuttora in fase di attuazione, è stato mediato dal dipartimento Casa e Città del Politecnico di Torino, da cui dipese la valutazione dei caratteri di rilevanza storica, quindi soggetti a conservazione. Si ricordano inoltre il riuso della Fabbrica Boero, della Elli Zerboni e C. in ambito di PRiU; le Rotative Caprotti e i Docks Dora in ambito Spina 4, indicate come Zone urbane di trasformazione (ZUT). A proposito dei Docks Dora, lo si può annoverare come un caso di non-politica, nel senso che il processo di aggregazione di attività “creative” e di creazione di spazi di socialità è avvenuto in maniera spontanea, senza che fosse l’esito voluto di politiche di rigenerazione

Figura 2.44: Area di interesse per gli elaborati grafici successivi Fonti: Maspoli, Spaziante, 2012, pag. 101

calizzati all’interno di una fascia (che ricalca il profilo del fiume Dora, tagliando l’ansa che corrisponde all’attuale Parco Dora) che corrisponde ai limiti delle municipalità fiscali. La vicinanza ai centri abitati d’altra parte era essenziale per far prosperare le attività. Dalla fase di dismissione a quella di trasformazione [Fig. 2.46] appare la drastica riduzione di impianti, dovuta alle numerose demolizioni di quelli inadeguati, a fronte di una casistica piuttosto specifica nell’ambito del riuso. In primis, nell’ambito del Parco Dora (ivi. Capitolo III, Casi-Studio), si ricorda l’esempio delle Ferriere FIAT - Teksid, area Vitali, soggette al vincolo imposto dal PRG, indicate come ZUT. Ad oggi la zona si configura come un polo commerciale, centro alberghiero e area residenziale. La struttura coperta e aperta costituita dal capannone dello strippaggio diventa uno spazio multifunzionale pavimentato, capace di ospitare anche grandissimi concerti. La riqualificazione si è compiuta nell’ambito del PriU di Spina 3, definito nel 1997-98, con varianti del 2001 e del 2003. La riqualificazio125


Figura 2.44:

Fase di urbanizzazione e fase di densificazionie nel comprato nord della cittĂ di Torino (Basso San Donato, Valdocco, Madonna di Campagna, Borgata Vittoria, Barriera di Milano, Borgo Dora, Borgata Aurora, Borgo Rossini, Barriera e Borgo del Regio Parco, Scalo Vanchiglia) Sono indicate in grigio scuro gli edifici dismessi, mentre in giallo sono evidenziati gli edifici trasformati, in trasformazione o in attesa. Fonti: Maspoli, Spaziante, 2012,pag. 102.

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Figura 2.45:

Fase di dismissione e fase di trasformazione nel comprato nord della cittĂ di Torino (Basso San Donato, Valdocco, Madonna di Campagna, Borgata Vittoria, Barriera di Milano, Borgo Dora, Borgata Aurora, Borgo Rossini, Barriera e Borgo del Regio Parco, Scalo Vanchiglia) Sono indicate in grigio scuro gli edifici ad oggi scomparsi totalmente, mentre in giallo sono evidenziati gli edifici trasformati, in trasformazione o in attesa. Fonti: Maspoli, Spaziante, 2012,pag. 103.

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urbana. I Docks non sono il frutto di una strategia complessiva, ma della somma di tante azioni di piccoli gruppi, di imprese culturali, di soggetti economici. Il processo di concentrazione di attività creative nei Docks ha in qualche misura anticipato il processo di radicale trasformazione urbana previsto dal PRG, dato che è avvenuto prima ancora che i vecchi edifici industriali fossero abbattuti. Il caso dell’ex INCET (Industria nazionale cavi elettrici) (ivi. Capitolo III, Casi-Studio), come quello dell’ex CEAT gomme, in attesa di trasformazione il primo, trasformato il secondo, sono stati inseriti nel Programma integrato di Sviluppo locale Urban 3 - Barriera di Milano, comunemente definito Urban-Barriera, beneficiando così dei fondi regionali FAS (Fondo Aree Sottoutilizzate) e de FESR (Fondo Europeo Sviluppo Regionale). Il caso dell’immobile CEAT ha percorso una strada diversa, essendo stato acquistato dalla Città del 1981 e riqualificato negli anni successivi, Oggi ospita aree gioco, percorsi ginnici e una piastra sportiva. Rientra nell’asse “Riqualificazione di aree degradate” del progetto Urban 3. Il nuovo centro congressistico e alberghiero, con abitazioni, supermercato e biblioteca, situato nell’ex Conceria Durio è un altro caso di riqualificazione, questa volta nell’ambito del Piano Integrato di Intervento Pubblico e Privato, convenzionato del 1995. Il recupero si è concretizzato fondamentalmente in ragione dello scomputo degli oneri di urbanizzazione. Un iter ancora diverso accompagna il Nuovo Arsenale Militare, oggetto di riqualificazione ancora in corso. Due delle tre corti interne sono state oggetto di interventi di riuso: la “Corte dei Ciliegi” e il “Cortile del Maglio” (ivi. Capitolo III, CasiStudio). Le due corti ospitano attività artigianali e commerciali e nel complesso si localizza

anche l’Arsenale della Pace. Il processo è stato promosso dall’Agenzia di Sviluppo Locale The Gate, nel quadro del progetto Urban, finalizzato alla riqualificazione di Porta Palazzo e Borgo Dora. Stesso percorso per il Canale dei Molassi, che oggi ospitano la Direzione Attività Produttive della Regione Piemonte. Un processo diverso ha interessato l’ex fabbrica di cioccolato Tobler, soggetta ad un intervento di valorizzazione immobiliare che comincia con l’acquisizione dell’immobile per l’applicazione di un progetto integrato. Si rilevano altri casi di edifici trasformati e riutilizzati, come il Lanificio Maggia; le Rimesse e Uffici ATM; il Lanificio Colongo, che ospita il Cineporto della FIlm Commission Torino Piemonte; l’ex Stabilimento Cinematografico Ambrosio, in cui risiedono studi professionali, centri culturali e locali per lo spettacolo,i l teatro Espace; gli edifici CEAT Cavi nord (venduto all’asta con procedura non convenzionale) e sud (sede degli uffici ENI e Italgas); il Maglificio Calzificio Torinese, recuperato dal Gruppo Basic, che lo trasformò in centro commerciale con bar, ristorante e negozi. Si rilevano inoltre altri casi di edifici in via di trasformazione, come le Fonderie e Smalterie Ballada e la Centrale Elettrica ENEL, oltre ai Gasometri ed area Italgas - Officina Vachiglia. Molti altri casi sono tuttora in attesa di una chiara definizione delle proprie sorti. (Maspoli, Spaziante, 2012) Il focus su Torino nord inoltre preannuncia alcuni dei casi studio che verranno trattati nel capitolo successivo. In particolare alcuni progetti di Spina 3, in relazione al Parco Dora, ovvero le Ferriere FIAT - Teksid, area Vitali e il complesso SNOS (Società Nazionale Officine Savigliano), in qualità di progetto dalla scala 128


urbana estesa, sottoposto a diversi strumenti e svariati attori; l’ex INCET e il Cortile del Maglio, come risultato di strategie e strumenti comunitari che permeano fino alla scala locale ristretta, il Cecchi Point, come fenomeno associativo di rigenerazione durevole, Il Bunker, come fenomeno associativo dal layout temporale limitato (e in tale proposito si ricorda l’esperienza dei casi olandesi, ivi. pag. 96, 102, 104). Inoltre al di là della zona circoscritta dal focus Torino nord si analizzerà il caso delle Nietzche Fabrik, come coalizione privata di soggetti e funzioni, capace di creare un mixitè positivo; infine, nell’ambito delle occupazioni antagoniste, si prenderanno da esempio due realtà distinte, ma con programmi simili e prospettive affini: il CSOA Askatasuna, in zona Vanchiglia e il CSOA Gabrio, in zona San Paolo

varietà di funzioni e di fruizioni di una vera e propria piazza, unendo spazi per il lavoro, lo studio e la socialità. L’obiettivo è l’offerta a una categoria specifica di utenti (gli adolescenti) un luogo formativo capace di diventare un punto di riferimento anche al di là delle ore di studio/lavoro. In questo senso una funzione cruciale è quella commerciale, che dovrebbe stabilire un punto di contatto fra ciò che si produce nei vari laboratori e fra questi e l’esterno. Le attività presenti sono: sala lettura ed emeroteca; laboratorio sala ristorante; laboratorio di acconciatura; sala selfservice; laboratorio psicomotorio; laboratorio design; sala riunioni; cucina classica; cucina monopostazione; accoglienza; laboratorio di stampa; negozi. L’opera di ristrutturazione dell’edificio, dal costo totale di circa 11 milioni di Euro, è stata finanziata da Regione, Comune, Fondazione CRT e Fondazione San Paolo.

Allargando il campo di analisi, si individuano altri esempi rilevanti, soprattutto per i connotati relazionali che si instaurano con contesto locale. Si tratta di casi orientati più sulla creazione di hub sociali, culturali e relazionali: in molti di quelli precedentemente elencati, l’ambito istituzionale ha percorso la strada della rifunzionalizzazione semplice, sostituendo una funzione non più espressa con una funzione nuova (Lanificio Colongo, ora Cineporto; Canale dei Molassi, ora DAPRP; Cartiere San Cesareo, ora scuola materna; Stabilimento Paracchi, ora scuola elementare). Qui si individua invece una rifunzionalizzazione integrata, capace di coniugare simultaneamente più ambiti, esprimendo funzioni diverse che condividono aspetti logistici, tecnici, competenziali, strutturali. Il caso della Piazza dei Mestieri, che di base è un centro di formazione dove si intende riprodurre al proprio interno la

Nel quartiere operaio sviluppatosi attorno al Lingotto,di cui ampiamente discusso precedentemente, si individua la sede dell’associazione culturale Hiroshima Mon Amour occupa una ex scuola (due piani fuori terra e un giardino di pertinenza), in concessione dal Comune di Torino. Le attività pubbliche si svolgono nelle due sale al piano terra, mentre al piano superiore sono ospitati uffici e la sede di Radio Flash, nota radio torinese. Rappresenta uno dei principali operatori culturali della città per quanto riguarda l’organizzazione di grandi eventi musicali. Grazie all’esperienza ventennale (nata nel 1986 nel quartiere di San Salvario, spostatasi nel 1998) l’associazione è diventata un punto di riferimento della cultura giovanile, incubatore creativo e artistico locale. Gli effetti del centro si sommano al fatto che il quartiere nel corso degli anni stato og129


getto di programmi complessi di riqualificazione (primo Contratto di Quartiere di via Arquata, PRU di via Artom, Urban II) e rispetto alla situazione pre-olimpica, l’immagine della zona è cambiata radicalmente. Un esempio dai connotati culturali-museali è offerto dalla Fondazione Merz, in zona San Paolo, ospitata da una ex fabbrica del complesso Lancia trasformata in sede e spazio espositivo. L’edificio restaurato ha tre livelli, ed è costituito da due ambienti espositivi, un bookshop, un centro studi, una caffetteria, e un cortile. Il processo di costituzione della Fondazione e la ristrutturazione dell’edificio iniziarono nel 2002 e durarono fino al 2005. La ristrutturazione è stata effettuata con finanziamenti pubblici (Comune e Regione) oltre che privati. Un altro caso dalla forte connotazione sociale è individuabile nei Centri per il Protagonismo Giovanile aderenti alla rete To&Tu. Sono spazi di aggregazione presenti su tutto il territorio cittadino gestiti da associazioni giovanili in collaborazione con il Settore Politiche Giovanili della Città di Torino e le Circoscrizioni. Nello specifico sono: Centrodentro: attivo dal 1996 attraverso il Progetto Giovani ed è gestito dall’Associazione Culturale Città in Arte A.C.C.A. nei locali di un ex servizio comunale. L’elemento caratterizzante è la produzione musicale; L’Isola che non c’è: è un luogo aperto a tutti i giovani del territorio e un punto di riferimento per i soggetti locali. E’ attiva una sala dj gratuita oltre ad attività di animazione, incontri a tema, feste, concerti, calcetti, ping pong, giochi di società, proiezioni video, musica, teatro, internet, campi di calcetto, pallavolo, basket; El Barrio: ex scuola riconvertita in un luogo di incontro e contaminazione, che intende coniugare la dimensione locale con quella globale, offrendo e accogliendo proposte che

permettano ai giovani di tutta la città, tra i 18 e i 30 anni, lo sviluppo di pratiche di cittadinanza attiva. Molti e diversi sono i linguaggi e le esperienze che qui trovano casa: laboratori artistico-creativi, web, radio, fotografia, video, cooperazione internazionale, software libero, web design, autocostruzione, ma anche concerti, spettacoli teatrali, incontri e seminari; Bellarte: ex fabbrica che offre mostre, aperitivi acustici, spettacoli, serate VJ, concorsi per artisti. Le attività sono realizzate dall’Associazione culturale Tedacà. Cecchi Point (ivi. Capitolo III, Casi-Studio): il centro è attivo dal 2002 attraverso il Progetto Adolescenti e Giovani ed è gestito dall’Associazione Il Campanile ONLUS nei locali di quella che in precedenza era l’officina di manutenzione del Comune; CPG: Il Centro del Protagonismo Giovanile di Strada delle Cacce, inaugurato nel 2004, è nato da un partenariato tra il Settore Politiche Giovanili, la Circoscrizione X, la cooperativa Mirafiori e l’associazione Il laboratorio; è aperto a tutti coloro che hanno la voglia di mettersi in gioco, sperimentando attività formative, tra cui corsi di musica e laboratori che mirano a stimolare e promuovere la creatività giovanile; Teatro della Caduta: è stato realizzato nel 2003 e offre serate di spettacolo, organizzate per chi vuole avvicinarsi al teatro e all’esecuzione musicale cominciando dall’esibizione sul palcoscenico. Le attività sono realizzate dall’Associazione Culturale “Le Fragole nel Cappellino”. Nella zona di Barriera di Milano, già evidenziata all’interno dello studio della zona nord, si individua lo Spazio 211, situato in una struttura per servizi di proprietà del Comune che già da alcuni anni era adibita a sala prova musicale. L’edificio si trova in un’area all’incontro fra un parco, un complesso di edilizia popolare dei primi anni del ‘900 e una 130


zona industriale parzialmente dismessa. Svolge un duplice ruolo: luogo per eventi e attività musicali di svariato tipo da un lato; luogo della “creatività giovanile” sostenuto dal Comune dall’altro. Offre aree per concerti e un bar, oltre a sale prova e di registrazione. E’ prevista una gamma di servizi connessi alla produzione musicale a prezzi “controllati”. La struttura è gestita dall’associazione sPAZImUSICALI su concessione del Comune. E’ un’impresa sociale senza fini di lucro, il cui scopo dichiarato è di instaurare una collaborazione continuativa con le numerose realtà e del territorio al fine di creare eventi culturali coordinati attraverso aggregazione, idee, luoghi di incontro, comunicazione ed espressione, tentando di rompere il muro di indifferenza che da sempre rende difficile la realizzazione di ciò che potenzialmente già esiste a livello sotterraneo ed offrendo spazi reali ed occasioni di socializzazione positiva a giovani artisti e giovani musicisti, ed a chiunque abbia idee creative per poter esprimere se stessi e le proprie esigenze superando gli attuali ostacoli alla circolazione di una cultura alternativa che trasformi gli spazi del territorio da sedi di eventi preconfezionati dal monopolizzante mercato di massa a luoghi di cultura e di espressione libera” 17. Come in molti altri casi, risulta cruciale l’equilibrio fra le funzioni commerciali (che permettono alla struttura di sostenersi economicamente) e quelle di sostegno alle espressioni culturali di base; su questo punto torna centrale il supporto di sponsorizzazioni o di partenariato col comune, soprattutto per poter supportare gli alti costi di gestione. Lo spazio fornisce supporto ad un altro progetto, denominato OSSIGENO, il cui obbiettivo è anticipare un lungo processo di riqualificazione di una zona fortemente degradata della città, il cosiddetto Tos-

sic Park (sulle sponde del fiume Stura, con base in un tendone per eventi) attraverso attività culturali ed eventi in grado di rendere nuovamente fruibile l’area pubblica. L’idea di fondo del progetto è di accompagnare la repressione dei fenomeni di degrado sociale e ambientale legati al mercato della droga. Le attività organizzate nella struttura variano molto per ampliare il target: da proiezioni cinematografiche a danza e ballo, da concerti rock a concerti di musica etnica, dal teatro al circo. Il progetto si inserisce nel quadro del PRU urbano attivato dal Comune, gli attori principali sono: Comune di Torino, associazione Spazio 211, associazione Musica 90, associazione Metropolis, partners Iride e Novotel. Esistono molti altri CPG aderenti al programma To&Tu, come Polo Creativo 3.65, Centro Levitazione, Centro Anch’io, Cartiera (in quanto ospitato da una ex cartiera riconvertita). Ciascun Centro si caratterizza per una diversa offerta, dalla musica al teatro, dalle produzioni video alle arti grafiche e altro. In linea generale si tratta di luoghi nei quali sono affiancate a strutture per lo spettacolo spazi a disposizione dei frequentatori quali sale prova e di registrazione musicale, strutture teatrali, impianti musicali, audio-video e multimediali. Quasi tutti si localizzano in edifici dismessi rifunzionalizzati per ospitare i tipi descritti di attività. La rete dei Centri per il Protagonismo Giovanile nasce all’inizio degli anni 2000 come evoluzione del lavoro svolto dall’Ufficio Spazi Metropolitani. La rete è attiva in città dal 2003; i centri sono gestiti da associazioni o cooperative in partenariato con le Circoscrizioni amministrative di riferimento e il Settore Gioventù, ed intendono operare in stretto collegamento per costituire una rete di spazi in cui i ragazzi della Città possano sperimentare, creare e sentirsi 131


protagonisti in diversi campi culturali e artistici (Urban-Reuse.eu). Il rapporto fra gli enti pubblici e le associazioni responsabili dei centri è definito da contratti di assegnazione, nei quali generalmente è prevista l’erogazione da parte di queste ultime di alcuni servizi, o comunque si rende esplicito il carattere pubblico e sociale delle iniziative che vengono organizzate nei centri. Per il resto ciascuna associazione agisce in piena autonomia.

richiesto il recupero del sito attraverso una riqualificazione in chiave contemporanea della cappella Anselmetti, piccolo edificio adiacente la cascina, e la creazione nei due ambienti retrostanti di laboratori sperimentali destinati ai bambini e ai ragazzi di tutte le scuole cittadine e aperto al pubblico. Si ricorda anche il riuso dell’edificio sede del Caffè Basaglia, originariamente sede degli studi cinematografici Pastrone, culla del cinema italiano. Dopo la chiusura degli studi l’immobile è stato utilizzato come opificio militare, e successivamente come sede di una serie di studi professionali (in particolare di psicologi). L’associazione Vol.P.I (Volontari Psichiatrici Insieme) nel 1998 avviò un progetto di catering rivolto a persone con disturbi psichici. Dopo aver iniziato a organizzare corsi per cuochi per pazienti psichiatrici, l’attività dell’associazione cominciò a crescere, insieme alla necessità di avere uno spazio proprio, che venne infine individuato negli ex studi Pastrone. I lavori di ristrutturazione dell’edificio furono effettuati dalla stessa associazione, grazie all’autofinanziamento e all’erogazione di un piccolo prestito (25.000 euro) da parte della Banca Etica. Fino dall’apertura (2008) si definisce come spazio polifunzionale aperto ad attività organizzate da altre associazioni, alcune delle quali sono co-gestori della struttura. Si inserisce in una prospettiva antagonista, come più dettagliatamente si analizzerà nei casi-studio Gabrio e Askatasuna, il caso del centro sociale occupato e autogestito, dal 1987, El Paso. Situato a Mirafiori, quartiere sviluppatosi intorno alla FIAT, si trova in un ambiente dalla storia e dai caratteri simili al caso Hiroshima Mon Amour, precedentemente citato. La struttura è un ex asilo d’inizio ‘900, su due piani fuori terra, trasformato dagli occupanti in un centro socia-

Un caso dalle particolarità processuali è costituito da Nuovi Committenti, progetto in ambito Urban 2. Gli attori in gioco furono Fondazione Adriano Olivetti, Compagnia di San Paolo, Fondazione CRT, Comitato Urban 2 - Mirafiori Nord, Città di Torino (Assessorato al Decentramento e all’Integrazione Urbana), Commissione Europea (Direzione Generale Politiche Regionali), associazione A.titolo, insegnanti Scuole Elementari e dell’Infanzia del circolo “Franca Mazzarello” e “Renato Modigliani”, oltre all’artista Massimo Bartolini. L’idea di fondo del progetto Nuovi Committenti è di creare opere di arte pubblica attivando percorsi partecipativi che coinvolgano i fruitori dell’opera stessa. In questo caso l’operazione si è svolta all’interno del processo di riqualificazione urbana attivato grazie al programma Urban 2, e in parallelo alla rifunzionalizzazione dell’adiacente Cascina Roccafranca. L’arte pubblica, attraverso questo approccio, diventa uno degli strumenti attraverso i quali i cittadini da un lato vengono coinvolti nei processi decisionali che riguardano gli spazi della loro vita quotidiana, e dall’altro ricostruiscono per questa via una propria identità collettiva. I committenti, un gruppo di insegnanti delle scuole che ha concepito un programma didattico relativo alla memoria del quartiere, ha 132


le con spazi per concerti, proiezioni, cucina, centro di documentazione, bar. Il piano superiore è ad uso abitativo. La storia di El Paso comincia dai collettivi punk di inizio anni ‘80, attraverso occupazioni di edifici pubblici abbandonati e sgomberi, nel 1987, dopo varie vicessitudini, si insediano nell’attuale edificio ottenendo un accordo temporaneo con il Comune che concesse lo stabile a titolo gratuito. La concessione non venne mai rinnovata, e di fatto a tutt’oggi El Paso è in una situazione di illegalità; tutto ciò non ha mai costituito un problema per gli occupanti, che anzi rivendicano il rifiuto politico di stabilire canali di collaborazione con le istituzioni. La struttura ha da subito avuto funzione abitativa per gli occupanti (che in vent’anni sono cambiati più volte) e luogo di incontro, sperimentazione, attività politica e culturale per una cerchia più ampia di militanti, simpatizzanti o semplici fruitori. Nel panorama piuttosto povero di luoghi per la libera espressione che caratterizzava la Torino a cavallo fra anni ‘80 e ‘90 El Paso ha rappresentato un punto di riferimento per una cerchia molto ampia di persone, oltre che uno dei principali spazi per la produzione e la fruizione di cultura al di fuori dai circuiti del mainstream. La struttura si basa sull’autogestione: si fa esclusivo affidamento sulle attività organizzate al suo interno, che in ogni caso hanno sempre costi contenuti. El Paso non ha mai ottenuto né tantomeno cercato finanziamenti esterni. Si è costituito fin dall’inizio il principio basilare dell’autofinanziamento. Infine, in antitesi con l’ultimo caso descritto, si intende citare il progetto EUT Ecomuseo Urbano Torino, basato sulla valorizzazione della memoria urbana e fondato su una rete di edifici storici (Centri di Interpretazione) ristrutturati e adibiti a centri di informazione, incontro, esposizioni. Il pro-

getto dell’EUT nasce nel 2003, quando il Comune elabora le linee guida per la creazione del progetto “ecomuseo” sulla base di sollecitazioni prodotte da varie iniziative sostenute dai soggetti locali, impegnati da tempo nella tutela e nella valorizzazione del patrimonio storico culturale cittadino. La collaborazione fra il Comune e le Circoscrizioni si definisce l’anno successivo, e il progetto prende avvio, in fase sperimentale. L’adesione alla rete dell’Ecomuseo avviene sulla base di una serie di requisiti: deve esserci un soggetto promotore; il territorio deve essere riconosciuto sul piano sociale e culturale dalla comunità che vi risiede; il progetto deve essere coerente con la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico locale; è richiesto un approccio metodologico di tipo partecipativo; vi deve essere la disponibilità di uno spazio fisico che possa fungere da centro di interpretazione ed è necessario che un soggetto pubblico si faccia garante. Il Comune si occupa del coordinamento delle iniziative locali e mette a disposizione fondi e strumenti specifici. I centri di interpretazione ad oggi sono i seguenti: EUT 2: Cascina Roccafranca; EUT 3: ex-Fergat; EUT 4: via Medici 28; EUT 6: via San Gaetano da Thiene 6; EUT 7: Lungo Dora Savona 30; EUT 8: Ecomuseo del Po, Cso Moncalieri 18; EUT 9: via Bossoli, 72/a; EUT 10: Mausoleo della Bela Rosin, strada Castello di Mirafiori. Questa serie di esperienze descritte, alcune più pragmatiche, ma povere di contenuti altre meno istituzionali, ma ricche di valori sociali, costituiscono il panorama in cui si inserisce il successivo sviluppo della tesi. I casi-studio, già precedentemente citati, si pongono in analogia e, in certi casi, in rapporto diretto con alcune delle situazioni descritte. E’ il 133


caso dei CSOA, che sono inquadrabili in un certo tipo di background, costituito da specifici valori. In questo senso la breve descrizione di El Paso, aiuta a comprendere quali possono essere le direzioni che questi tipi di strutture sociali e territoriali possono intraprendere. D’altra parte i casi-studio Parco Dora, INCET, Cortile del Maglio, opposti ai precedenti, risultano inseriti in contesto più ampio e istituzionale di riqualificazione (rispettivamente Spina 3, Urban - Barriera, Urban I), di cui si è ampiamente discusso al fine di fornire una implicita contestualizzazione dei fenomeni. Il caso del Cecchi Point invece si inserisce nel programma più ampio definito dai processi To&Tu. Restano apparentemente casi isolati quello delle Nietzsche Fabrik e quello del Bunker. Entrambi propongono delle strategie “fuori dal comune” , per la situazione Torinese. In realtà il primo dei due mostra caratteristiche simili al Cortile del Maglio, per la matrice produttiva della struttura, anche se mostra dei caratteri di auto-realizzazione inusuali, di cui si parlerà specificamente. A proposito del Bunker si richiama l’esperienza estera, con chiaro riferimento all’esempio Amsterdam NDSM, e più in generale. all’uso “temporizzato” dell’architettura in disuso. Questo fenomeno costituisce una risorsa sociale e creativa; il moltiplicarsi di questo tipo di esperienze nei substrati più “esperti” in pratiche di riuso, mediato dalla messa a disposizione di strumenti specifici (Es. Broedplaatsen, Amsterdam), avvalora questa tesi. Il potenziale incorporato dall’esperienza del Bunker non è da ridurre in ragione della sua episodicità, quanto più è da valorizzare per i caratteri di trasferimento anticipato e diretto sul territorio di una strategia non ancora istituzionalmente delineatasi. Traspare in tutti i casi in analisi la presenza di un modello costi-

tutivo, che attraverso la trattazione del capitolo seguente verrà delineato, supportato da strategie e strumenti specifici. Nel “micro” riuso a Torino si individua il grande contributo fornito dall’associazione IZMO (ivi. pag. 112), che collabora con Raumlabor in occasione del cantiere BARCA, che da tre anni procede coinvolgendo anche un edificio dismesso e progetti come Situa.To, ponendosi come elemento d passaggio/fusione tra “micro” e “macro” riuso (dove ritroviamo anche l’associazione A.Titolo, promotore di moltissime opere di arte urbana) , e più nello specifico IZMADE, che nasce come sviluppo settoriale della prima, orientato al design di oggetti e forniture, sempre nell’ambito del riuso e dell’autocostruzione. Su questa linea si individua l’esperienza di FarWaste, primo caso studio nell’ambito “micro” riuso, che dal 2012 opera sul territorio Torinese in maniera costante, proponendo esposizioni e workshop. Meno votato al riuso, e più alla sensibilizzazione risulta invece l’operato dell’associazione PLinto, nata come collettivo studentesco, secondo caso studio in analisi, in merito all’opera di arredo urbano volta alla sensibilizzazione, denominata IN/Cubo, modello versatile e riproponibile di quantificazione dello “spreco” urbano.

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Capitolo III

Casi-Studio

Parco Dora Fonti: Autore

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Scheda 1

Ambito:

Spina 3, Parco Dora, Ferriere FIAT - Teksid, area Vitali.

Tipologia Il Parco costituisce il cuore della grande trasformazione dell’area di Spina 3, mediante lo strumento PRiU, e si configura come elemento connettivo tra i nuovi insediamenti; con i suoi 456.000 metri quadrati di superficie rappresenterà uno dei più vasti polmoni verdi della città. Il parco, realizzato sulle aree un tempo occupate dai grandi stabilimenti produttivi, integra ambienti naturalistici e preesistenze derivanti dal passato industriale della zona; comprende infatti elementi significativi, esclusi dalle demolizioni dei vecchi capannoni, tra cui la torre di raffreddamento della Michelin, la grande struttura dello strippaggio e la centrale termica delle acciaierie Fiat. Funzioni primarie Un elemento fondamentale per il parco è il fiume Dora, valorizzato e reso accessibile. La riqualificazione delle sponde del fiume si inserisce nel più vasto progetto Torino Città d’Acque e prevede la realizzazione di un percorso ciclopedonale che unirà l’area di Spina 3 ai tratti ciclabili già esistenti lungo il corso della Dora. Il parco, inteso come verde pubblico, (lotto Michelin) rappresenta la funzione più estesa. E’ caratterizzato dalla conservazione della torre di raffreddamento, unico e monumentale elemento che rimanda al passato industriale in quest’aera. E’ un parco di prossimità, intorno al quale gravitano le residenze di corso Mortara; ma è anche un parco internazionale, e questa sua caratteristica è obliterata dalla rifunzionalizzazione della tettoia dell strippaggio (altro elemento del passato industriale) e dell’area retrostante (lotti Vitali e Mortara), oggi

Figura 3.1:

Area d’intervento, in evidenza il cambio della struttura della mobilità e i cinque lotti di intervento Fonti: http://www.comune.torino.it/comitatoparcodora/. (Rielab. Aut.)

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piastra polifunzionale, che può ospitare dalle attività sportive ai grandi eventi. Sono presenti, infatti, campi sportivi e un’area per bambini. Nel lotto Michelin, principalmente, si sviluppa l’interramento della strada per la realizzazione del sottopassaggio. Il parco si estende fino all’Evironment Park, sviluppando una “promenade” affiancata da giardini ribassati, vasche d’acqua e giochi per bambini, nel lotto Valdocco. La conservazione del patrimonio industriale (qui solamente estetica) segue la linea dell’Environment Park, con l’inserimento di un giardino che prosegue edificio all’interno della maglia strutturale di un capannone industriale dismesso. Il lotto Ingest (ovest) è caratterizzato dalla chiesa di Mario Botta, ex novo, ma memore dei connotati industriali dell zona, riusa una ciminiera dismessa come landmark di culto. In questo lotto vengono anche rifunzionalizzate le vasche degli ex laminatoi facendo diverse piazze con giochi d’acqua, un giardino acquatico, un giardino ribassato, un prato giochi, e un’area giochi, vista la prospiciente scuola elementare Margherita di Savoia, e un hortus conclusus, giardino realizzato all’interno di una struttura dismessa. Vieni inoltre “agganciata” una passerella che attraversa l’aera estovest a dei preesistenti pilastri in acciaio. Modello start up e processo La riqualificazione dell’area avviene in seno al PRG 1995, con particolare riferimento al progetto di Spina Centrale e più nello specifico lo strumento di attuazione PRiU Spina 3. Tipicamente top-down, gestito attraverso la messa in gioco di uno strumento specifico (Comitato Parco Dora), con la supervisione della Città e dell’Unità di Missione Centocinquantenario, finalizzato alla costruzione di accordi con i proprietari delle aree dismesse, in modo da concedere i relativi diritti edificatori, e orientato verso la valutazione la valutazione strategica degli interventi. Non ci sono stati partenariati e sponsorizzazioni per scelta strategica. Il progetto architettonico del parco è il risultato di un bando di gara internazionale a procedura aperta, avviata nella primavera 2004; vincitore del concorso è risultato il gruppo diret-

Figura 3.2:

I tre lotti principali del progetto Spina 3, con funzioni indicate. In nero l’architettura dismessa reintegrata nel progetto Fonti: http://www.comune.torino.it/ comitatoparcodora/ (Rielab. Aut.)

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to da Peter Latz, già autore del parco postindustriale Thyssen nel Bacino della Ruhr, e costituito da Servizi Tecnologie Sistemi S.p.a., Latz+Partner, Studio Cappato, Gerd Pfarrè, Ugo Marano, Studio Pession Associato. Il gruppo italo-tedesco ha progettato un parco che alterna zone strettamente naturalistiche, costituite da grandi prati e spazi alberati, ad altre più antropizzate, che mantengono una forte relazione con gli elementi preesistenti, conferendo loro nuove funzioni. Nell’autunno 2007 il progetto del Parco è stato inserito tra le opere da realizzare per la celebrazione dei 150 anni dell’Unità d’Italia. A inizio 2008 sono stati aggiudicati gli appalti per l’affidamento dei lavori di realizzazione dei lotti Michelin, Ingest e Vitali; nell’estate sono partiti i cantieri. Il 4 maggio 2011, per i festeggiamenti dei 150 anni dell’Unità d’Italia, sono stati inaugurati e aperti al pubblico i primi tre lotti Ingest, Valdocco e Vitali. Le restanti parti sono state aperte nel 2012. Nell’ambito del lotto Mortara, si è concluso da non molto il sottopasso che attraversa l’area in senso est-ovest, liberando corso Mortara che è stato chiuso al traffico per divenire parte integrante del parco. Il lotto Valdocco, infine, è stato suddiviso in due parti, a nord e a sud della Dora: l’area a sud è stata la prima ad essere realizzata, mentre la seconda parte è occupata dal cantiere del Passante Ferroviario e bonifica del territorio.

Figura 3.3:

Torre di raffreddamento, landmark d’area nel parco, lotto Mochelin. Fonti: autore .

Figura 3.4:

Vista aerea del lotto Vitali, sullo sfondo il lotto Michelin Fonti: http://smartcitydays.it/showcase/ safe-city-in-parco-dora/

Layout temporale La fase di ideazione/progettazione/realizzazione copre un arco temporale di più di 15 anni, essendo un processo di trasformazione urbana di grandissima entità. Il mantenimento di certe strutture si inserisce in un’ottica di lungo periodo e si prevede l’utilizzazione degli elementi fintanto che vi sarà una ricaduta economica e sociale positiva. Gestione economica In linea con gli accordi, la gestione economica compete ancora alle imprese di trasformazione (per 2 anni dalla consegna). Si prevede che nell’Ottobre del 2013 cominceranno a

Figura 3.5:

Vista d’insieme dell’area di inervento con inserimento del progetto definitivo Spina 3 nel contesto urbano. Fonti: http://www.museotorino.it/view/ s/79ae56c1713b4bae8f5513b1d4c5bf61. (Rielab. Aut.)

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rientrare i vari elementi tra le spese di gestione del Comune. Non vi è ancora un programma di sviluppo e integrazione capace di fornire il sostegno economico adeguato e le spese di manutenzione sono ingenti, soprattutto per la tettoia che deve garantire determinati standard di sicurezza . Il Comitato Parco Dora propone delle soluzioni alternative, (vedi allegato 1), come l’affitto convenzionato della tettoia o la privatizzazione totale delle strutture. Amministrazione Pubblica con il supporto di privati (privato sociale). Il Comitato Parco Dora, nato e gestito da un accordo tra la Città di Torino, le Circoscrizioni 4 e 5, i costruttori privati, la Curia Metropolitana e rappresentanti dei cittadini, è uno strumento di azione strategica che gestisce il processo di trasformazione di quest’area sia svolgendo una funzione di servizio sul territorio sia rispondendo al forte bisogno di “cura” e di coesione economica e sociale che lo stesso esprime. Il Comitato lavora per promuovere e sostenere programmi di sviluppo locale, rafforzare il tessuto urbano, accompagnare le trasformazioni in atto, attivare risorse e opportunità, collaborare alla definizione di nuovi servizi, valorizzare le identità locali e le risorse endogene del territorio, ricucire i legami tra il “vecchio” e il “nuovo” quartiere. (www.comune.torino.it/comitatoparcodora/).

Figura 3.6:

Hortus Conclusus, giardino realizzato all’intero di una struttura dismessa interrata. Fonti: http:// www.comune.torino.it/comitatoparcodora/.

Figura 3.7:

Lotto Vitali, tettoia dello strippaggio, piastra polifunzionale attrezzata per attività sportive, nel caso proposto, con campetti da tennis Fonti: autore.

Figura 3.8: Lotto Vitali, tettoia dello strippaggio, pias-

Figura 3.9: Lotto Vitali, tettoia dello strippaggio, pias-

tra polifunzionale attrezzata per la celebrazione della fine del Ramadan Fonti: http://torino.repubblica.it/cronaca/2013/08/08/

tra polifunzionale attrezzata per l’evento KappaFuturFestival di musica elettronica. Fonti: http://www.kappafuturfestival.com/2013/index.php?lang=it.

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Ambito:

Ex INCET, Urban 3 - Barriera di Milano

Scheda 2

Tipologia L’intervento di riqualificazione dell’isolato ex INCET compreso tra le vie Cigna, via Cervino, via Banfo e corso Vigevano si colloca nella zona sud ovest dell’area interessata dal programma Urban. Si tratta di un importante complesso industriale costruito nell’ultimo decennio del XIX secolo e in disuso dal 1968. Alcune sue parti su corso Vigevano sono state demolite per far posto a edifici residenziali, altri edifici che si affacciano su via Cigna sono stati già oggetto di recupero e ospitano uffici e spazi commerciali dei magazzini dell’abbigliamento FACIT. Stante il rilevante interesse architettonico rivestito dall’intero complesso, con la Soprintendenza ai Beni Architettonici e Paesaggistici, si è sviluppato l’intento di salvaguardare il valore testimoniale dell’organismo edilizio, rappresentativo dell’edilizia industriale di inizio novecento. Il progetto in corso prevede la conservazione dell’originaria volumetria riproponendone i fronti architettonici e la configurazione strutturale. Funzioni primarie Vi sarà la nuova Sede Zonale del Comando dei Carabinieri, lungo il fronte prospiciente via Banfo, e un centro polifunzionale di servizi integrati per la collettività, tra cui un asilo, da insediarsi nel complesso di capannoni industriali centrali. A completamento dei medesimi è previsto un intervento di risistemazione complessiva delle aree esterne antistanti i fabbricati, che interesserà una superficie fondiaria di circa 11.000 metri quadrati, realizzando parcheggi, nuove aree a verde e una nuova viabilità interna al lotto, pedonale e veicolare,

Figura 3.10: Ex-INCET, inquadramento urbano e area

di progetto, In nero le parti conservate , in tratteggiato quelle in via di attuazione. Sono indicate le funzioni Fonti: http://www.comune.torino.it/urbanbarriera/. (Rielab. Aut.)

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comprendente i necessari spazi connettivi tra le diverse realtà compresenti. La nuova stazione del Comando dei Carabinieri si insedia in corrispondenza di un preesistente fabbricato con particolare attenzione verso la conservazione dei caratteri storici della facciata. Tale intervento si è da poco concluso. La caserma distribuita su tre piani fuori terra, viene organizzata secondo tre zone funzionali: nella parte est del piano terreno tutte le funzioni pubbliche; nella parte ovest del medesimo piano i servizi logistici comuni per il personale operante e/o residente; ai piani superiori gli spazi residenziali. L’edificio ha una SLP di circa 2.500 metri quadrati, più ulteriori spazi tecnici e di servizio e parcheggi. Il centro polifunzionale nasce dalla crescente domanda di spazi pubblici e funzioni metropolitane proveniente dal quartiere. Il nido d’infanzia e scuola materna infatti era una funzione espressamente richiesta dalla comunità. Questa è ospitata da un edificio realizzato ex novo. Il complesso di capannoni industriali destinato al centro invece occupa una superficie complessiva di circa 5000 metri quadrati, su tre maniche parallele dismesse. In accordo con la Soprintendenza ai Beni Architettonici e Paesaggistici, si è sviluppato l’intento di salvaguardare il valore testimoniale dell’organismo edilizio. Sarà quindi conservata l’originaria volumetria riproponendone i fronti architettonici e la configurazione strutturale. Il centro polifunzionale ospiterà, sul fronte sud, una serie di spazi associativi polivalenti a carattere circoscrizionale, mentre nei due piani della manica est saranno insediati ulteriori servizi per la collettività, ancora parzialmente da individuare, che dovrebbero comprendere anche alcuni spazi destinabili al culto di confessioni religiose minoritarie recentemente consolidatesi sul territorio. E’ stata prevista una ripartizione flessibile dei locali, articolati in otto nuclei accorpabili all’occorrenza in funzione delle esigenze della futura utenza. Sono stati previsti due nuovi corpi scala/ ascensori, che saranno inseriti all’interno del volume esistente. La manica centrale sarà convertita a piazza interna, parzialmente coperta e si connoterà come fulcro d’incontro

Figura 3.11: Vista prospettica dell’area Ex-INCET con indicate le funzioni principali Fonti: Il corriere di Barriera 12 -anno2-luglio-agosto-2013

Figura 3.12: Vista dell’area dell-Ex-INCET, evidenziata in giallo. Fonti: Google earth. (Rielab. Aut.)

Figura 3.13: Paricolare del prospetto laterale del corpo di fabbrica prima dei lavori. Fonti: http://www.flickr.com/ photos/squarcina/2347503950/sizes/o/in/photostream/

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e di scambio. La testata nord del complesso (lato via Cervino) sarà adibita a servizi tecnici. Dal progetto resterà esclusa la sola manica ovest, per la quale la Pubblica Amministrazione intende demandare il recupero a interventi di iniziativa privata, finalizzati ad arricchire il mix funzionale complessivo della struttura. Modello start up e processo La riqualificazione dell’area parte dai finanziamenti europei sviluppo regionale (FESR 200113) con accesso regolato da bando della Regione Piemonte. La candidatura del progetto Urban-barriera viene accettata nel Dicembre 2010; i fondi sono arrivati dopo quasi un anno. La finestra temporale di operatività e limitata al 2014, dopodiché si perde l’accesso ai fondi (tetto massimo di 35 milioni di euro). Il modello è verticale top down, ma con caratteristiche tipiche dei processi partecipativi a scala locale, che lo rendono per certi versi un modello misto, in quanto è capace di raccogliere le criticità/opportunità offerte dall’ambiente sociale e culturale. Il progetto è stato diviso in due lotti di intervento: Lotto B che ospiterà il nuovo presidio per la sicurezza e spazi in grado di dare una prima risposta alla crescente domanda di partecipazione attiva proveniente dal territorio, completato; Lotto A, che si configura come un’ideale prosecuzione del primo prevedendo il completo recupero edilizio delle maniche est e centrale, per integrare il centro polifunzionale. In fase di completamento. Si è concluso ad Aprile 2013 l’avviso esplorativo di manifestazione d’interesse d’imprenditorialità giovanile, promosso nell’ambito del programma Torino Social Innovation, per valutare possibili progetti di gestione (15 associazioni hanno risposto). Layout temporale Indefinito. Si auspicano ulteriori sviluppi e ricadute positive sull’ambiente economico e sociale locale. Il progetto Urban - Barriera ha all’attivo molti altri programmi nella zona, quali FaciliTO, per agevolare lo sviluppo di micro e piccole imprese, oltre che a mettere a dispo-

Figura 3.14: Lotto A, le tre maniche del progetto At-

tualmente solo due in fase di ripristino. Fonti: http://www. comune.torino.it/urbanbarriera/. (Rielab. Aut.)

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sizione servizi di consulenza gratuita e assistenza. Gestione economica Attraverso i FESR, bando della Regione Piemonte. E’ un Progetto Urbano di Sviluppo Integrato (PISU). Per far funzionare al meglio il sistema di finanziamento, si sfrutta il ribasso di ogni gara d’appalto, rispetto alle spese previste in progetto, per finanziare il progetto successivo. Questo sistema implica che se un progetto si ferma, tutti quelli successivi rischiano di non avere una base finanziaria adeguata. L’intero progetto ha a disposizione 35 milioni di euro. L’area di barriera di Milano conta circa 50 mila abitanti.

Figura 3.14: Vista laterale del corpo di fabbrica. Fonti: http://www.comune.torino.it/urbanbarriera/

Amministrazione Pubblica: il progetto Urban - Barriera è finanziato dalla Regione Piemonte. Il comitato Urban è un ente giuridico autonomo dalla città, per questo motivo riesce ad inserirsi con maggiore velocità ed efficacia nel campo attuativo delle trasformazioni urbane. Il presidente è Ilda Curti, il comitato direttivo è composto da Curti, Conticelli, presidente di circoscrizione e altri attori politici. Vi è un comitato direttivo, che assume decisioni gestionali e amministrative e un comitato di indirizzo, allargato, che valuta le possibili direzioni da intraprendere nell’ambito della progettualità e della strategia. (www. comune.torino.it/urbanbarriera/)

Figura 3.15:

Vista interna. Fonti: http://www.comune.torino.it/urbanbarriera/

Figura 3.17: Prospetto principale, sud, della caserma

Figura 3.16:

Prospetto principale della caserma dei carabinieri dopo il restauro Fonti: http://www.comune. torino.it/urbanbarriera/

dei carabinieri, da progetto Fonti: http://www.comune. torino.it/urbanbarriera/

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Ambito:

Bunker - Urbe - Barriera di Milano

Scheda 3

Tipologia Un anno dopo l’esperimento di via Foggia 28, l’associazione URBE si spostò a Barriera di Milano in una nuova sede, con scadenza preliminare fissata per l’estate 2012, poi più volte prorogata fino ad oggi. L’area dell’ex stabilimento SICMA (Società Italiana di Costruzioni Molle e Affini), entrato in attività negli anni Venti e in disuso dal 2007, entra a far parte di un processo di rigenerazione urbana unico a Torino, per le sue caratteristiche di temporaneità e di anticipazione funzionale dell’area. URBE studia la città e propone esperienze itineranti a scadenza, con l’obiettivo di intervenire nel tessuto urbano reinterpretando il tema della riqualificazione fisica e sociale in chiave artistica. Il progetto Bunker è stato inizialmente realizzato grazie al supporto tecnico e gestionale dell’associazione Reset. Il complesso è costituito da due gruppi di capannoni industriali e due volumi minori. Un capannone d un edificio in particolare, sono utilizzati con maggiore frequenza per ospitare eventi di vario genere. L’area è provvista di ampi spazi aperti, anch’essi sfruttati grandemente nell’ambito ricreativo. Vi sono almeno due piazzali interni ed un’ area verde molto estesa, oltre ad il caratteristico bunker sotterraneo, da cui prende il nome, memoria del passato bellico della città. Funzioni primarie Il progetto Bunker non si pone delle funzioni specifiche a priori, ma le sviluppa in base al potenziale offerto dall’ambiente fisico, sociale e culturale a cui viene incontro. Si sono sviluppati molti filoni. Il primo, quello artistico, si propone come elemento trainante della strut-

Figura 3.17:

Inquadramento urbano e area di progetto, In nero le parti conservate. In evidenza orti urbani e WAKE Fonti: Bing Maps, (Rielab. Aut.)

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tura. Gli eventi musicali e le serate con ospiti internazionali sono l’introito maggiore, in termini monetari, ma anche umani e di visibilità. Il bar è l’unica struttura commerciale presente e, proprio grazie alle serate, risulta essere un elemento fondamentale. La linea artistica spazia moltissimo: oltre la musica, il bunker si propone di accogliere qualsiasi manifestazione. Arti grafiche, pittoriche, graffiti, visuali, design, architettura, e lo scopo è creare una certa commistione nei potenziali fruitori, in modo da avere meltin pot culturale e maggiori scambi e integrazione tra le popolazioni presenti sul territorio. Sono state avviate funzioni più specifiche. In particolare, sono stati costruiti 30 orti urbani in un’area triangolare retrostante il complesso, per consolidare il rapporto coll’area e cercare di avvicinare la popolazione diffidente. Veicolare i contenuti sociali non è infatti sempre facile. E’ stato avviato anche il progetto UrBees, arnie urbane, poste nel bunker per promuovere l’apicoltura urbana. L’ultima funzione che si è aggiunta è il WAKE, ovvero una “vasca” d’acqua interrata che, mediante un sistema trainante, permette di fare wake boarding anche in città. Modello start up e processo Il progetto URBE, memore dell’esperienza di via Foggia, entra casualmente in contatto con il proprietario dell’ex SICMA, che, in base ad accordi stipulati tra i due soggetti, fornisce il comodato d’uso gratuito all’associazione per una finestra temporale limitata. Dopo quattro mesi di sperimentazione, il proprietario si dimostrò interessato a portare avanti un rapporto di collaborazione. L’associazione ottenne successivamente il patrocinato del Comune, e quindi un certo grado di riconoscimento, e le licenze d’uso temporaneo del suolo dall’assessorato di urbanistica, commercio, cultura. Il processo si svolge interamente in ambito privato ed è tipicamente bottom up non antagonista, ma cooperativo tra due soggetti, Il proprietario dell’area si è anche dimostrato disposto a variare la specializzazione delle aree produttive non ancora dismesse, per aumentare il potenziale creativo, purché ciò non

Figura 3.18:

Fotografie di esterni ed interni (zona bar) del Bunker Fonti: https://www.facebook.com/ bunkertorino?fref=ts.

Figura 3.19:

Slogan e inquadramento aereo. In evidenza le pertinenze Fonti: https://www.facebook.com/ bunkertorino?fref=ts. Rielaborati.

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cambiasse il piano di bilancio. Layout temporale La caratteristica più interessante del caso Bunker, risiede proprio nella temporaneità: fin dal principio gli accordi riguardo all’uso dell’area si sono sviluppati in un contesto di breve periodo. L’attuazione della variante 200 al PRG, che interessa proprio l’area dell’ex SICMA, prevede un cambio nelle destinazioni e nella morfologia dell’area. L’idea è di sfruttare il potenziale temporaneo del luogo per insediarvi funzioni che anticipino quelle previste per l’area da Piano Regolatore, utilizzando come contenitore le architetture dismesse, in modo da riqualificare aree urbane e innescare processi virtuosi di valorizzazione del territorio. La temporaneità diventa in questo caso la motivazione specifica delle strategie intraprese.

Figura 3.20:

Orti urbani in fase di realizzazione Fonti: https://www.facebook.com/bunkertorino?fref=ts.

Gestione economica Attraverso l’autofinanziamento da parte dell’associazione e del soggetto privato (in questo caso per coprire costi specifici, quale l’affitto dei mezzi per effettuare la bonifica della zona adibita ad orti urbani). Una parte delle spese di gestione è coperta dalle entrate del bar e delle serate a pagamento. La prospettiva in cui si sviluppa il progetto è quella di ammortare tutti i costi che derivano dal riutilizzo dell’area, mantenendo tutti i soggetti in una situazione di parità di bilancio (niente profitti, niente perdite).

Figura 3.21:

UrBees, apicultori urbani Fonti: https:// www.facebook.com/bunkertorino?fref=ts.

Amministrazione La gestione e l’amministrazione del complesso avviene tramite accordi tra i due soggetti privati: associazione URBE e proprietario della ex SICMA. Le istituzioni intervengono solo in ruolo documentale e di riconoscimento dell’operato sociale (attraverso il patrocinio).

Figura 3.22:

WAKE Fonti: https://www.facebook. com/bunkertorino?fref=ts.

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Ambito:

Cecchi Point, CPG, Circoscrizione 7

Scheda 4

Tipologia Il centro è attivo dal 2002 nei locali di quella che in precedenza era l’officina di manutenzione del Comune. Il progetto HUB MULTICULTURALE nasce nel 2009 dalla coprogettazione di quattro soggetti: il Comune di Torino, le Fondazioni Vodafone, Umana Mente (Allianz) e l’associazione Il Campanile ONLUS. Nel 2010 subentra anche la Compagnia di San Paolo. Queste realtà si sono impegnate in un importante progetto di ristrutturazione del Cecchi Point e nella creazione di un HUB multiculturale. Funzioni primarie L’obiettivo del centro è sempre stato quello di offrire opportunità educative e artistiche ai giovani del territorio e della città di Torino attraverso la creazione di un hub multiculturale che funzioni come spazio di promozione e di attivazione, luogo d’incontro di persone e di opportunità. Lo scopo è di innescare nuove relazioni con la città, come occasione di sperimentazione di un diverso modo di interpretare l’ambiente urbano. Il focus principale è l’incrocio tra contrasto del disagio e il protagonismo multiculturale. L’hub ha in progetto il Terzo Spazio, atelier, che tramite l’accoglienza di associazioni, o altre attività commerciali sia in grado di generare una nuova strategia di autofinanziamento che contribuisca alla sostenibilità futura della struttura. Le funzioni primarie sono costituite da ambienti polifunzionali (mostre, feste, riunioni ecc.) affiancati dal laboratorio “popolare” che mette a disposizione attrezzature specifiche a prezzi convenzionati; oltre alla cicloofficina, con il velomuseo

Figura 3.23:

Inquadramento urbano e area di progetto, In nero le parti conservate. Sono indicate le funzioni Fonti: Bing Maps, Google Maps, (Rielab. Aut.)

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(in itinere). Vi sono anche sale prove e sale musica, il ristorante (km0 e qualità, a prezzi ribassati), il teatro. La struttura offre, attraverso l’appoggio di altre associazioni (QuintaTinta, Video Community, MuoviEquilibri, Associazione Commercianti Aurora) offre corsi di teatro, di danza e di musica; laboratori video e di informatica, oltre al servizio di accompagnamento e assistenza di giovani e bambini in generale. Ospita anche la sede di Radio Blackout, nota radio indipendente torinese. Il Centro è attivo come motore di coinvolgimento e punto di connessione delle associazioni del territorio e della città. Dal 2011 la collaborazione con altri Centri per l’aggregazione e la creatività della città ha portato alla nascita di un’associazione di secondo livello denominata Direfarebaciare. Il Cecchi Point è uno spazio aperto al quartiere con attività, manifestazioni ed eventi culturali di richiamo.

Figura 3.24: Vista aerea, in evidenza l’area del Cecchi Point Fonti: Google maps, rielaborato

Figura 3.25:

Panoramica del complesso Fonti: http://casedelquartieretorino.org/category/

Modello start up e processo La zona doveva subire le trasformazioni previste dal progetto Officine di Idee, finanziato e messo a bilancio del Comune di Torino prima del 2006 per 13 milioni di euro. In seguito alle Olimpiadi il progetto fu abbandonato per problemi di bilancio. L’associazione Il Campanile ONLUS, dal 2002 gestiva l’attività di centro multiculturale nel sito, su concessione del Comune. Nel 2009, grazie alla mediazione di alcuni assessorati (ivi. Allegato 4), l’associazione riesce a intercettare un bando della Vodafone, che prevede finanziamenti per centri culturali e attività sociali. Riesce così a far iniziare le opere di ristrutturazione. Gran parte dei costi di ripristino delle strutture sono stati coperti da questi fondi. La parte restante è stata fatta in volontariato e autofinanziamento. Nel Cecchi Point si rovescia il processo: non è il Comune a farsi carico delle opere di bonifica e ripristino, per poi “subappaltare” la gestione ad una associazione; è un’associazione già presente nell’area, che costituisce un’utenza, a farsi promotore della riqualificazione, sfruttando il bando per finanziare il processo. E’ un modello bottom up avviato da investitori privati sociali. Il Comune qui gioca il ruolo di

Figura 3.26:

Cortile interno con sedute realizzate in pallets e legno di riuso (IZMO) Fonti: https://picasaweb. google.com/izmo.association/

Figura 3.27:

Ex autobus GTT rifunzionalizzato in area gioco per bambini (IZMO) Fonti: https://picasaweb. google.com/izmo.association/

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enabler. Con l’avviamento del processo di riqualificazione del sito, si cambia anche tipo di contratto: si passa da concessione a messa a disposizione, che risulta meno onerosa in quanto parte dei costi vengono sostenuti dal Comune. Layout temporale La formula della concessione prevedeva una destinazione d’uso per attività culturali di 30 anni e affidava la gestione per 10 anni all’associazione Il Campanile. Il layout temporale in questo caso, tende al lungo periodo, portando alla configurazione di un elemento di stabilità sul territorio, un punto di riferimento. Ed è appunto una delle tematiche dominanti quella di assumere la configurazione di “Casa del quartiere”.

Figura 3.29:

La ciclofficina,spazio laboratori-officina Fonti: https://picasaweb.google.com/izmo.association/

Gestione economica Vi sono stati numerosi finanziamenti, 800.000 euro da fondazione Vodafone, 400.000 euro da fondazione UmanaMente, 250.000 euro da fondazione San Paolo (da restituire con rate da 70.000 euro l’anno per 10 anni), e altri. Tuttavia, viste le ingenti opere di risanamento degli ambienti sono necessari ulteriori introiti. La linea di sostenibilità economica è supportata dai servizi a pagamento che si offrono (seppur a prezzi convenzionati). Primo tra tutti vi è il ristorante, che copre una buona parte delle spese di gestione.

Figura 3.28:

Velomuseo realizzato in pallet e tubi innocenti (IZMO), nello spazio laboratori-officina del Cecchi Fonti: https://picasaweb.google.com/izmo.association/

Amministrazione Il modello di concessione prevedeva che l’unico beneficiario del contratto fosse l’associazione il Campanile. Ora con la messa a disposizione, tutte le associazioni coinvolte sono in sostanziale parità, beneficiando tutte del contratto. Questo cambiamento pone le basi per una prospettiva di maggiore convivialità tra i soggetti operanti, in quanto tutti allo stesso modo responsabili e gestori degli spazi che presidiano. Il Campanile si presenta come “capofila” nel consiglio direttivo, e gestisce la struttura in partenariato con la Città di Torino e la Circoscrizione 7, presenti nel consiglio. (www.cecchipoint.it, www.comune.torino.it)

Figura 3.30:

Spazio mostre, esposizioni, conferenze, proiezioni. Fonti: https://www.facebook.com/hub. cecchipoint/

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Ambito:

Cortile del Maglio, zona Porta Palazzo

Scheda 5

Tipologia Riconversione di uno dei cortili dell’ex Arsenale Militare, di circa 1600 metri quadrati, nel quartiere di Porta Palazzo. Ristrutturato dal Comune e dato in concessione, con la formula dell’affitto per 99 anni, a una serie di imprese e studi professionali. E’ stato cofinanziato dall’UE per circa 4 milioni di euro (8 miliardi di lire), metà dell’investimento totale. Il Comune di Torino ha tracciato con il Progetto di Fattibilità approvato dal consiglio Comunale nel 1995, le linee guida per il recupero dell’intera area dell’ex Arsenale Militare. Lo Studio di fattibilità ha previsto l’apertura di una nuova strada sul tracciato dell’antico Canale dei Molassi da diverse decine d’anni chiuso e interrato. La nuova strada mette in comunicazione il cuore del Balon con via del Fortino che corre parallela alla Dora. La via toglie dall’isolamento e rende accessibile un’area centrale di grandi dimensioni costituita prevalentemente proprio dal corpo dell’ex Arsenale militare. La risistemazione degli spazi esterni copriva un’area di intervento di circa 10.000 metri quadrati. I lavori sono iniziati nel 2000 e finiti nel 2003. Il complesso ospita botteghe artigianali e commerciali (circa 4500 metri quadrati), capaci di relazionarsi tra loro e col tessuto sociale del mercato al di fuori del cortile. La copertura della piazza quadrata è costituta da una piramide tronca in legno lamellare sostenuta da pilastri ramificati che sostengono le falde, e nel centro della piazza vi è l’imponente maglio, elemento mantenuto evocativamente. Ha ricevuto il premio “Architetture Rivelate 2004”, dall’Ordine Architetti di Torino e dalla sua Fondazione.

Figura 3.31:

Inquadramento urbano e area di progetto, In nero le parti conservate. Sono indicate le funzioni Fonti: Bing Maps, Google Maps,(Rielab. Aut.)

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Funzioni primarie Originariamente la struttura doveva ospitare prevalentemente attività di artigianato. Il gruppo Sinatec, soggetto attuatore, cercava di stilare un bando; ma dagli esiti di una manifestazione di interesse si palesò un cambio nel panorama di insediamento: pochissime attività artigianali risposero alla manifestazione. A questo punto entrò in gioco The Gate, con il ruolo di mediatore e accompagnatore, approfondì gli aspetti analitici della questione e alla fine si convenne ad estendere il bando anche ad attività commerciali, seppur di un certo tipo: solo attività che si prevede che possano generare un valore integrativo e di sviluppo per l’area. Il bando prevedeva l’affitto per 99 anni a prezzi calmierati, senza oneri di urbanizzazione. Gli spazi furono affidati in gestione nel 2003, subito dopo la fine dei lavori. Nel 2008 nasce l’Associazione Cortile del Maglio, dedicata alla promozione e riqualificazione. Con il supporto di un mirato e forte piano di comunicazione e marketing, previsto dal Comune di Torino per il quartiere, l’Associazione propone un programma di iniziative annuale. Gli obbiettivi sono tre: promuovere la riqualificazione del quartiere; valersi dell’ampia diversità esperienziale dei suoi associati; affermare una certezza per i cittadini: al Maglio succede sempre qualcosa.

Figura 3.32:

Vista aerea, in evidenza l’area del Cortile del Maglio Fonti:Google maps, (Rielab. Aut.)

Figura 3.33:

Il maglio, elemento evocativo, mantenuto al centro della piazza Fonti: http://www.flickr.com/ photos/24269499@N04/

Modello start up e processo In questo caso è stato imposta la riqualificazione dal PRG, attraverso un PRU, cofinanziato Comune, UE. Il modello è verticale top down. La Città di Torino, per risolvere il problema dell’affidamento degli spazi, si è rivolta all’associazione The Gate. Questa relazione conferisce al processo un livello di mediazione in più, capace di avvicinare di molto il progetto alla realtà locale, aumentandone la sostenibilità economica e l’impatto sociale. Layout temporale La stipula di contratti per 99 anni suggerisce un layout temporale piuttosto lungo. D’altronde il progetto si inserisce in un programma di riqualificazione del tessuto sociale, per cui il

Figura 3.34:

Cortile del Maglio, In nero le parti conservate. Sono indicate le funzioni Fonti: Bing Maps, Google Maps, (Rielab. Aut.)

151


presidio degli spazi dismessi, unito alla creazione di centri di aggregazione, di scambio e, in questo caso, anche di lavoro cooperativo, (attraverso l’associazione), diventa uno degli elementi cruciali. Gestione economica Il progetto è costato 16 miliardi di lire, di cui 8 da un finanziamento comunitario. La gestione attuale degli spazi “comuni” del cortile è a carico della municipalità. Mentre la gestione dei singoli nuclei lavorativi dipende dagli affidatari. The Gate ha continuato a seguire le attività al fine di monitorare l’andamento delle attività insediate (artigianali e commercial, con target piuttosto specifici)

Figura 3.35:

Copertura del Cortile del Maglio Fonti: www.urban-reuse.eu

Amministrazione Si tratta di concessione novantanovennale del diritto di superficie, rinnovabile per altri novantanove anni, formula che ha reso possibile delle vendite di fatto a prezzi contenuti. L’intera operazione, fino all’assegnazione dei bandi, è stata gestita dal progetto The Gate. Dopodichè si è costituita l’associazione Cortiledelmaglio, formata dagli stessi commercianti, beneficiari della locazione. La municipalità si interfaccia sistematicamente con le associazioni coinvolte. (www.urban-reuse.eu, www. comune.torino.it, www.cortiledelmaglio.it)

Figura 3.37:

Cortile del Maglio, esposizione fotografica Fonti: www.urban-reuse.eu

Figura 3.36:

Cortile del Maglio prima dei lavori di ripristino Fonti: http/www.archimemoro.org

Figura 3.39:

Figura 3.38:

Sezione trasversale del cortile Fonti: http://www.comune.torino.it/portapalazzo/bancadati/altripro/maglio.htm. Rielaborato

Cortile del Maglio, evento “il valigione clandestino”. Fonti:http://www.flickr.com/photos/valigioneclandestino/4636766540/

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Ambito:

Nietzsche Fabrik, Parco del Miesino

Scheda 6

Tipologia Riconversione di una ex fabbrica, portata avanti da un gruppo di privati, costituitisi come associazione nel 2008, in occasione del World Design Capital, che vedeva Torino come centro di una serie di processi culturali e creativi. Il complesso, ai margini del parco del Miesino, è situato in un contesto di edilizia rarefatta e dai connotati produttivi. Il complesso, caduto in disuso dopo la seconda guerra mondiale, tornò verso gli anni ‘70 a funzionare tramite affitti per attività produttive. Lo stabilimento, di proprietà della famiglia Pasteris, produceva Gomme per la Fiat e affittava gli spazi sottoutilizzati o dismessi. Nel 1999 la famiglia Tommasuolo (attuale presidente dell’associazione) acquista un terzo dello stabilimento. Inizia così il processo di risistemazione che vede coinvolti entrambi i soggetti, sempre in regime di autofinanziamento. Gradualmente, con lo scadere dei contratti di affitto, si insediano nuove attività, più virtuose, finché non si crea una compresenza di attività tale da generare sinergia e cooperazione sul piano del lavoro. Tant’è che spesso vari soggetti, impegnati nell’arte, nella carpenteria, nell’impiantistica e nell’architettura, condividevano gli stessi cantieri, operando in sinergia. Questa commistione stava alla base del funzionamento del sistema. Nell’ambito del World Design Capital, l’evento di maggior portata fu Flex your Lab evento diviso in otto giornate. L’organizzazione di eventi culturali, serate, concerti, mostre per target misti e via dicendo, diventò il propulsore di contatti e di visibilità per lo spazio. Per due anni ricevette fondi per un progetto regionale di sviluppo delle aree piccole-medio produttive. Ma non appena vennero meno questi,

Figura 3.40:

Inquadramento urbano e area di progetto, In nero le parti conservate. Sono indicate le funzioni Fonti: Bing Maps, Google Maps, (Rielab. Aut.)

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allontanandosi anche dall’evento scatenante (il World Design Capital) la cosa andò scemando e ad oggi l’associazione è sul punto di sciogliersi. Funzioni primarie Nietzsche Fabrik è l’esempio di come l’aggregazione spontanea di soggetti può generare un piccolo distretto creativo grazie ad una serie di aziende, di studi professionali e di atelier. L’idea che sta alla base dello statuto associativo è in primo luogo la costruzione di spazi di lavoro comune, ma anche la produzione di occasioni per mettere in contatto il mondo della produzione artigianale, del design, dell’arte. Fare dei propri luoghi di lavoro spazi aperti all’esterno, attraverso l’organizzazione di eventi, mostre, piccoli spettacoli. Nietzsche Fabrik vuole diventare un luogo di sperimentazione, di utilizzo diverso degli spazi produttivi, a metà tra ludico e ricreativo. Nel 2008 ospitava: un laboratorio del legno; una ferrofficina; un atelier di decorazioni pittoriche da parete; un laboratorio d’arredi; uno studio di registrazione e laboratorio audio; uno studio di design di lampade; un atelier di un pittore; un’azienda di illuminotecnica e impiantistica elettrica; un bar.

Figura 3.41: Vista prospettica con funzioni presenti l 2010 Fonti: http://www.nietzschefabrik.com/

Modello start up e processo In contrapposizione con la scheda precedente, questo è un modello tipicamente bottom up, istituito da soggetti privati. L’unico rapporto istituzionale è stato quello occasionalmente sostenuto per l’assegnazione dei fondi della Regione, che ha anche fornito il patrocinato all’evento. Il processo ha seguito l’iter classico: acquisto (transazione privato-privato), ristrutturazione e affitto ad attività produttive.

Figura 3.42: Insegna all’ingesso del complesso Fonti: http://www.nietzschefabrik.com/

Layout temporale L’esperienza delle Nietzsche Fabrik volge ormai al termine, per insufficienza di fondi e poca disponibilità ad impegnarsi nella gestione. Occorre considerare che, essendo tutti i membri, titolari, o comunque rappresentanti, di attività produttive, non possono permettersi di occuparsi di gestione dell’associazione a

Figura 3.43:

Vista aerea, in evidenza l’area del Cortile del Maglio Fonti: Google maps, rielaborato

154


tempo pieno Gestione economica Il primo anno, oltre ai fondi pubblici, vi furono anche delle sponsorizzazioni private abbastanza importanti. Tutto il resto si fa in regime di autofinanziamento, o con gli introiti delle serate, anche se tutte completamente gratuite, e delle feste, soprattutto grazie alla vendita di bibite. Amministrazione Avviene attraverso un comitato direttivo composto da tutti i membri dell’associazione. Rientra comunque nell’ambito del privato. Fondato sull’auto-organizzazione dei soggetti che ne fanno parte. In altri termini, il bisogno di condividere le esperienze lavorative, le ricerche e le sperimentazioni di ciascuno, anche all’esterno, ha trovato una risposta senza far ricorso a risorse pubbliche, né richiedendone. Di fatto un gruppo di individui è riuscito a intercettare dei servizi non convenzionali attraverso l’aggregazione, veicolata all’interno di un’area dismessa, già rifunzionalizzata, che di giorno funziona come fabbrica. Di sera invece come collettore di persone e di idee. (www. nietzschefabrik.com)

Figura 3.44:

Installazioni artistiche durante l’evento Flex Your Lab, 2010 Fonti: www.urban-reuse.com

Figura 3.45:

Installazioni artistiche durante l’evento Flex Your Lab, 2009 Fonti: http://www.flickr.com/photos/albertotto/

Figura 3.46:

Stato attuale del complesso. Molte attività hanno lasciato la zona. Nietzsche Fabrik resta attivo solo come centro produttivo. Non si organizzano più eventi culturali, mostre, concerti dal 2010 Fonti: autore

155


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Ambito:

CSOA Gabrio, zona San Paolo

Scheda 7

Tipologia Quando l’ex edificio industriale è stato occupato era in dismissione da 3/4 anni. C’era in progetto di farci una sede dell’archivio scolastico, progetto non realizzato. E’ stato occupato nel ‘94. Quest’anno si compie il diciannovesimo anno di occupazione. L’esperienza del Centro Sociale, ha portato ne tempo all’occupazione di altri 4 stabili in zona San Paolo, poi sgomberati. L’occupazione è vista dai militanti del centro, ma in generale abbastanza trasversalmente da tutti centri sociali, come un valido strumento per sottratte suolo alla speculazione e restituirlo al valore sociale dell’aggregazione e della partecipazione. Emblematico il caso di poco tempo fa, relativo all’occupazione della ex Diatto, nell’isolato adiacente al Gabrio, promossa al fine di evitare l’attuazione di un PEC e la costruzione di un complesso di residenze, previa demolizione della fabbrica. Il motto: “Seminiamo conflitto, raccogliamo libertà”, si pone come base di un rapporto antagonista, fondato sulla creazione di opportunità individuali a sfondo sociale. Il Gabrio, col tempo, ha acquisito sempre più peso nelle questioni legate al quartiere, mettendo a punto, via via che il centro cresceva, nuovi strumenti a disposizione della collettività, ma specialmente rivolti agli abitanti di zona San Paolo e alle problematiche riscontrabili in loco Funzioni primarie Ad oggi il Gabrio ha sviluppato alcuni sportelli, principalmente “Casa” perché è la richiesta maggiore da parte degli abitanti, e “Equitalia“ (riscossioni); questo tipo di servizio mette a

Figura 3.47:

Inquadramento urbano e superficie del Gabrio, In nero le parti conservate. Sono indicate le funzioni Fonti: Bing Maps, Google Maps, (Rielab. Aut.)

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disposizione consulenze e indirizzi verso strutture specifiche, oltre a legali a disposizione anche per altre questioni. Vi è un ambulatorio popolare che offre un servizio di orientamento medico soprattutto a cittadini immigrati. Vi è l’HackLab, gruppo di informatici che tengono corsi sull’open source e simili. L’infoshock (spazio d’informazione dedicato soprattutto all’uso consapevole delle sostanze), free T.A.Z., nella dimensione più legata alle feste e alla musica elettronica in genere. Vi è anche una cicloofficina (chiamata “Ri-ciclofficina senza freni”), un cinema, sale da ballo, cucina comune, una palestra popolare, delle sale prova e , solo nel 2012, anche degli orti urbani (Orto Terra). L’offerta dei servizi è gratuita o a prezzi molto vantaggiosi, rispetto al mercato convenzionale. Vi è anche un comitato di quartiere, che si riunisce in assemblea insieme al direttivo, volto rivolto principalmente all’integrazione nei servizi degli abitanti del quartiere San Paolo.

Figura 3.48:

Vista aerea, in evidenza l’area del Cortile del Maglio Fonti:Google maps, (Rielab. Aut.)

Figura 3.49:

Vista esterna Fonti: Google maps

Modello start up e processo Si tratta di un modello antagonista, basato sull’occupazione del suolo pubblico. L’edificio è stato occupato nel ‘94, e da allora è sempre rimasto tale. E’ un modello bottom up in quanto è un processo che avviene in maniera autonoma, da determinati soggetti sul territorio, e non vi sono stati rapporti con le istituzioni, ne con altri enti facilitatori (se non altri centri sociali). In questo caso, i CSOA rappresentano una sorta di rete sul territorio, che si realizza per condivisione di ideali e prospettive. Non vi è legalità, quindi non c’è il riconoscimento da parte degli organi giuridici.

Figura 3.50:

Vista esterna del fabbricato sud ovest Fonti: http://commons.wikimedia.org/wiki/File:Cenisia_ csoa_gabrio.jpg

Layout temporale L’esperienza del Gabrio vede l’incombenza di una grave minaccia sulla struttura, costituita dalla presenza di amianto nelle coperture. Il centro ha creato un gruppo apposito (I love Gabrio), finalizzato alla raccolta fondi e alla promozione della bonifica. Vi sono grandi problematiche legali però, dovute allo status, di edificio occupato, che ne rendono la prospettiva di “messa in sicurezza” ancora molto lon-

Figura 3.51:

Vista della parete sul lato cortile. Fonti: http://torino.zero.eu/2012/09/23/18-anni-di-csoa-gabrio/

157


tana. Nono si esclude la possibilità di spostare le funzioni ospitate dal Gabrio in una nuova sede, sempre in zona San Paolo. Occorre aggiungere che nel caso dei centri sociali occupati, la temporaneità potrebbe manifestarsi in qualunque momento, attraverso lo strumento dello sgombero. Il centro sociale non può per definizione fare affidamento sul ungo periodo, nonostante si creino talvolta legami territoriali molto profondi (ad es. Leoncavallo). Gestione economica Lo spazio è autogestito e autofinanziato. Si sfruttano gli introiti di serate, feste, alcolici per finanziare le attività, attraverso la cassa comune della struttura. Vi è anche I Love Gabrio, ma è una cosa specifica, per la bonifica da amianto

Figura 3.52:

Evento musicale nello spazio principale del Gabrio Fonti: http://torino.zero.eu/2012/09/23/18anni-di-csoa-gabrio/

Amministrazione E’ basata sull auto-organizzazione e sull’autocostruzione; ed è realizzata attraverso riunioni direttive, in cui si incontrano i soggetti prevalenti, ma a cui possono partecipare tutti. Il dibattito continua finché non si trovano soluzioni comuni sui vari punti: non si vota a maggioranza e non c’è un leader. Ovviamente alcune figure risultano più “esperte” di altre in determinati settori, quindi il loro parere nel caso specifico sarà maggiormente preso in considerazione. Tutte le attività contenute nel centro sociale non godono di alcun appoggio esterno e l’intera struttura funziona autonomamente e indipendentemente dalle politiche urbane e dalla pubblica amministrazione. Queste peculiarità fanno dei centri sociali degli organismi molto interessanti, da punto di vista amministrativo, in quanto riescono a far fronte a numerosi problemi, senza ricorrere ad aiuti esterni. (gabrio.noblogs.org/)

Figura 3.53:

Vista del corridoio, edificio pricipale. Fonti: http://torino.zero.eu/2012/09/23/18-anni-dicsoa-gabrio/

Figura 3.54:

Demolizione della Ex-Diatto, nel lotto adiacente. L’excursus di occupazioni portate avanti dal CSOA Gabrio non ha prodotto il mantenimento della struttura, che verra’ sostituita con un complesso residenziale, secondo il PEC approvato Fonti: http://torino.zero. eu/2012/09/23/18-anni-di-csoa-gabrio/

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Ambito:

CSOA Askatasuna, zona Vanchiglia

Scheda 8

Tipologia L’edificio occupato dal centro sociale Askatasuna, fu costruito nella seconda metà dell’800 da una fondazione religiosa per ospitare attività educative e di beneficenza: L’Opera Pia Reynero. Raggruppava in una sola amministrazione 7 Istituti di beneficenza, tra cui un Asilo lat­tanti, dove erano accolti bambini dall’età di pochi mesi fino a tre anni. Nel corso del secolo successivo lo stabile fu bombardato e poi acquisito dal Comune. Subì una fase di ripristino e diverse trasformazioni e nell’uso, fino a diventare un magazzino e a venire abbandonato. La struttura, di tre piani fuori terra, dispone di un cortile in condivisione con un adiacente asilo nido. Al piano terreno sono concentrate quasi tutte le attività pubbliche, mentre i piani superiori sono adibiti in parte ad abitazione. Funzioni primarie Il tema di fondo è l’aggregazione, come strumento di scambio di idee e di integrazione sociale. Le attività organizzate all’interno dell’Askatasuna sono quelle tipiche dei centri sociali: concerti, dibattiti, cene sociali, seminari, eventi pubblici di vario genere, il tutto con una forte connotazione politica. Due particolarità contraddistinguono l’azione dell’Askatasuna nel panorama dei centri sociali torinesi: in primo luogo la volontà più volte esplicitata di stabilire un forte contatto con il quartiere, anche se non sempre le iniziative in tal senso sono state coronate da successo. In questa direzione si è sviluppato di recente il servizio di corsi di lingua per cittadini stranieri, volto a favorire l’integrazione. Il centro sociale ha al

Figura 3.55:

Inquadramento urbano e superficie del CSOA Askatasuna, In nero le parti conservate. Sono indicate le funzioni Fonti: Google Maps, (Rielab. Aut.)

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suo interno anche un comitato di quartiere, che si occupa appunto di questioni specifiche legate alla zona Vanchiglia e del rapporto con gli abitanti. Accanto a ciò la condivisione del cortile con un asilo nido ha comportato l’individuazione di criteri di gestione che permettano la promiscuità d’uso, garantendo ovviamente soprattutto i bambini. Sono state sviluppate a partire da questa occasione esperienze di lavoro con l’infanzia che risultano piuttosto inusuali in un luogo con queste connotazioni. Le vicende più che decennali del centro sociale Askatasuna fanno emergere alcune domande connesse alla dimensione di spazio pubblico. Nel caso specifico si evidenzia una criticità dovuta alla “chiusura” formale del centro che consegue al fatto che si pone frequentemente in un ottica conflittuale. Ciò genera diffidenza da parte degli abitanti del quartiere, che tendono a interpretare il luogo negativamente (merito soprattutto della campagna di informazione e propaganda che spesso si fa contro i centri sociali in generale). Offre funzioni svariate, come i già citati corsi d’Inglese, una palestra popolare (Antifa Boxe), una ludoteca (che sancisce la definiva coesione funzionale con l’adiacente asilo), degli spazi abitativi, oltre alle serate e agli eventi vari che si organizzano durante l’anno. Offre anche l’Askatasuna, come il Gabrio, uno sportello “Casa”, sintomo dell’importanza del tema e di una certa attenzione verso le questioni sociali e le dinamiche di quartiere. Questo ente promuove altre occupazioni di stabili abbandonati, come recentemente in Corso Vercelli 440, una delle tante case vuote nei pressi di Barriera di Milano. Si ricorda anche il progetto ARS-KA, che grazie al ComitatoQuartiereVanchiglia, porta avanti dal 2009 una serie di mostre, eventi e performance, mantenendo alto il profilo dei lavori presentati per poter coinvolgere, di volta in volta, un sempre maggior numero di presenze, energie e proposte

Figura 3.56: VIsta della palazzina Fonti:http://www. flickr.com/photos/21214978@N02/2458667563/

Figura 3.57:

Facciata della palazzina Fonti: http:// www.flickr.com/photos/44823990@N03/

Figura 3.58:

Vista aerea, in evidenza la palazzina e il cortile dell’Askatasuna. Il cortile, in realta’, e’ utilizzato in condivisione con l’asilo adiacente Fonti:Google maps, (Rielab. Aut.)

Modello start up e processo Anche in questo caso, il modello è antagonista, basato sull’occupazione avvenuta il 16 novembre del 1996, in seguito a un corteo. 160


Lo stabile era in disuso da una ventina d’anni. Nel corso del tempo è stato ristrutturato e percorso da vari ambiti collettivi, ma in generale si rifà all’area dell’autonomia operaia, quindi ha connotazioni politiche molto forti, da cui deriva lo spirito di aggregazione. Il caso dell’asilo adiacente ha creato numerose perplessità alla Pubblica Amministrazione, che per un periodo ha anche cercato di costruire un muro di divisione tra le due pertinenze, dimezzando così il cortile. Ovviamente gli occupanti si sono opposti allo snaturamento del cortile, per futili ragioni pregiudiziali, ed ebbero ragione. I due soggetti continuano a perpetrare un rapporto di convivialità.

Figura 3.59:

Ludoteca Fonti: http://torino.repubblica.it/multimedia/home/19689652/15

Layout temporale Come già accennato per il caso precedente, i centri sociali corrono costantemente il rischio di sgombero. Non si può pertanto parlare di layout temporale indefinito. Basta pensare al caso del CSOA Murazzi, ora sgomberato per la prevista trasformazione dell’area. Gestione economica Come nel caso del GabrioLo spazio è autogestito e autofinanziato. Si sfruttano gli introiti di serate, feste, alcolici per finanziare le attività, attraverso la cassa comune della struttura.

Figura 3.60:

Altalene nel cortile comune Fonti: http:// www.flickr.com/photos/31297400@N03/5065439334/

Amministrazione Le decisioni si prendono in un’assemblea di gestione settimanale. Anche qui vi sono personalità più adatte a svolgere un certi tipo di mansioni piuttosto che altre, e questo è un fatto riconosciuto dai membri senza che vi siano particolari gerarchie o simili. Inoltre, nel prendere le decisioni si cerca un accordo comune, evitando il concetto di maggioranza. Questo percorso è coadiuvato dal fatto che i membri effettivi sono 60 persone, un numero piuttosto limitato, unite però dalla condivisione di ideali e di prospettive. Questo fatto rende le idee e le strategie generate dalle riunioni e generalmente abbastanza condivise da tutti, soprattutto se vi è una forte connotazione politica dietro. (www.urban-reuse.eu, www.csoaskatasuna.org)

Figura 3.61:

Festa di primavera nel cortile comune. Fonti: http://www.flickr.com/photos/metellamerlo/3516115308/

Figura 3.62:

Palestra dell’AntifaBoxe Fonti: http:// www.flickr.com/photos/antifaboxe/5190735862/

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Scheda 9 [“micro” riuso] Ambito:

30.000 pizzas, FarWaste, Bunker

Figura 3.63:

Tipologia Si tratta di un elemento di “micro” riuso, costituito da tubi in materiale plastico (strutturale) rivestiti da latte usate per la conserva di pomodoro prelevate dai ristoranti e le pizzerie. La struttura ha la forma di un semi-geoide con sedute interne e dispositivi illuminanti. E’ un elemento suggestivo, che può facilitare l’aggregazione e, grazie alla spettacolarità, è molto comunicativo. E’ stato accolto in maniera favorevole dai vari fruitori: è stato in primo luogo a paratissima 2012, per poi essere spostato al Bunker, sotto una tettoia esterna (anche in ragione dei rapporti collaborativi, che si sono creati tra FarWaste e Bunker). In questo senso di assiste ad una commistione di “micro” e “macro” riuso, capace di generare nuovi valori e nuove soluzioni. Il progetto portato avanti dal collettivo FarWaste, vede la realizzazione di un altro semi-geoide, in cartone, con un apparato suggestivo interno realizzato con specchi a pavimento, dispositivi sonori e dispositivi illuminanti collegati ad un rilevatore di prossimità. In questo modo si è creata anche una sorta di interazione col pubblico.

30.000 pizzas, esterno Fonti: http://

www.farwaste.it/

Figura 3.64:

30.000 pizzas, interno Fonti: http:// blog.360cities.net/turin-30000-pizzas/

Figura 3.65:

Funzioni primarie La funzione principale è la comunicazione attraverso l’architettura e il design. Svolge anche funzioni micro aggregative, al pari di un gazebo, ma il main theme che precede questa esperienza è il riuso dei rifiuti e la sensibilizzazione verso lo spreco. Non a caso è stato denominato 30.000 pizzas, che corrisponde alla quantità di pizze necessarie per scartare la quantità di latte utilizzate nel progetto.

30.000 Pizzas, Particolare Fonti: http://

www.farwaste.it/

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Modello start up e processo Il processo che ha portato alla realizzazione di questo oggetto è assolutamente autonomo, dal basso. Il progetto è stato sviluppato in modo indipendente da sedi accademiche e da bandi di concorso . Layout temporale Indefinito. La struttura può comunque essere facilmente spostata, essendo composta da parti modulari semi-smontabili. Figura 3.66:

Gestione economica Nel caso specifico, autofinanziamento. Il gruppo FarWaste sta cercando di avviare un’attività, che potrebbe diventare il core business, legata alla produzione di arredi e oggetti di design, quali bicchieri, lampade, sedute, interamente realizzate a partire da rifiuti. Accanto a ciò si manifesta la necessità di raggiungere la sostenibilità economica. La coniugazione simultanea di questi due aspetti potrebbe essere la strada su cui si sta indirizzando il collettivo.

Modulo smontato Fonti: http://www.

farwaste.it/

Amministrazione Le decisioni vengono prese da tutti e 5 i membri del collettivo (prima erano 9), in maniera informale, sulla base del dialogo continuo tra i vari soggetti.

Figura 3.67:

Modulo smontato in fase di trasporto Fonti: http://www.farwaste.it/

Figura 3.66:

Modulo montato in occasione di Paratissima 2012, MOI (Ex-Mergati Generali, Torino) Fonti: http://www.farwaste.it/

163


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Scheda 10 [“micro” riuso] Ambito:

In/Cubo, Parco del Valentino

Figura 3.67:

Tipologia Si tratta di un elemento di “micro” riuso, costituito principalmente da griglie metalliche contenenti bottiglie di plastica vuote. L’idea, promossa dall’associazione PLinto, è di inquadrare il paesaggio naturale del fiume Po e del Parco del Valentino con un portale cubico alto 4 metri, pieno di bottiglie, in modo da creare una nuova associazione visiva, paesaggiorifiuto attraverso il forte contrasto (naturaleartificiale). La forma cubica dovrebbe evocare la pesantezza e la staticità, aumentano la percezione di un leggero disagio “di fondo” che si crea al di sotto della struttura. Vi sono anche due sedute all’interno del passaggio centrale. Sulle pareti esterne sono state posizionate delle “livelle” che portano, da un lato la quantità di CO2 equivalente (carbon footprint) per quantità di materiale; dall’altro il tempo necessario al Comune per produrre una data quantità di rifiuti. Entrambi i valori sono legati allo sviluppo in elevato della struttura, in modo da dare un’idea più precisa delle quantità contenute. Sulle pareti interne sono affissi degli “spot” comunicativi, sempre riguardanti il rifiuto plastico e le possibili alternative e uno “storyboard” che spiega come il reperimento delle bottiglie sia avvenuto nelle scuole, attraverso un processo anche didattico vero i bambini. In/Cubo di fatto, è un unità di misura base, e può essere utilizzata per contenere praticamente qualunque cosa.

Inaugurazione di In/Cubo Fonti: Mairino

M.

Figura 3.68:

Vista di In/Cubo accedendo all’area Fonti: Gesmundo V.

Funzioni primarie la funzione è la sensibilizzazione verso il consumo di bottiglie di plastica, e sullo spreco di materiale in generale. Svolge anche le funzioni

Figura 3.69:

Inquadramento e localizzazione, indicata la relazione tra parco e fiume, suggerita dal progetto Fonti: autore.

164


che potrebbe avere un gazebo. Ma ciò è del tutto secondario ai contenuti legati alla sostenibilità ambientale. Questa connotazione è esplicitata dai vari elementi affissi, finalizzati a migliorare la divulgazione del messaggio. Modello start up e processo Bando indetto da Antropocosmos, Econtact, Scholè ONLUS. Il meccanismo è dall’alto. I promotori sono stati delle associazioni private attraverso fondi della Regione, finalizzati allo sviluppo di attività legate alla sostenibilità. Il Comune ha fornito i permessi relativi all’uso del suolo per installazioni artistiche temporanee e al circoscrizione ha provveduto con un modesto supporto monetario. Si è inoltre cercato di ottenere delle sponsorizzazioni, di cui solo Smat ha scelto di partecipare, fornendo un contributo alla realizzazione di 5oo euro. Figura 3.69:

Layout temporale La finestra temporale prevista è di 8 mesi, ed è in procinto di scadenza (Novembre). Si suppone che l’installazione verrà spostata da qualche altra parte, possibilmente si cercherà un nuovo accordo per l’uso di suolo pubblico: per funzionare è indispensabile che sia fruibile.

Prospetto cieco Fonti: autore.

Gestione economica I fondi sono stati ottenuti con la vittoria del bando. Una parte aggiuntiva è arrivata tramite sponsorizzazioni. Il restante è tutto autofinanziato. L’associazione PLinto non ha entrate stabili e non ha neanche ancora una sede ufficiale. Tutto l’apparato gestionale è in via di definizione.

Figura 3.70: Prospetti Fonti: Autore.

Amministrazione Le decisioni vengono prese attraverso riunioni con cadenza settimanale (se possibile). In/ Cubo non richiede particolari strumenti amministrativi, se non monitoraggio e manutenzione fisica delle sue parti (soprattutto le griglie metalliche che, sebbene protette, tendono ad arrugginire).

Figura 3.71:

Corsi di educazione alla sostenibilita’ nelle scuole elementari Fonti: Gesmundo V.

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Casi studio:

Tipologia territoriale / edilizia

Funzioni primarie

Modello start up

Layout temporale

Gestione economica

Admin.

Parco Dora Ex-INCET Bunker Cecchi Point, Cortile del Maglio Nietzsche Fabrik CSOA Gabrio CSOA Askatasuna 30.000 Pizzas In/Cubo Figura 3.72: Tabella sinottica. Occorre precisare che il layout temporale relativo ai centri sociali occupato autogestiti

è stato “impostato” come “temporaneo per futura trasformazione dell’area”. E’ certamente vero che non esistono specifici progetti o piani di trasformazione che interessino i due complessi di edifici. Anzi nel caso del CSOA Gabrio sono già in itinere le procedure relative alla bonifica di amianto (cosa che si suppone vada ad allungare ulteriormente la finestra temporale di riutilizzo dello spazio). Tuttavia, non si può considerare queste esperienze come stabili nel tempo, e provviste di una durata non definita, per il fatto basilare che non sono riconosciute dalla sfera istituzionale, quindi a rischio costante di sgombero. La prospettiva dei centri sociali in questo senso è un elemento di forte criticità che ne pregiudica soprattutto la percezione. D’altra parte non bisogna attribuire loro una fine certa, in quanto il “tacito accordo” che si crea tra la Pubblica Amministrazione e i soggetti occupanti , può anche avere connotati propositivi e delle prospettive comuni e condivise, anche se non formalizzabili, e durare per molto tempo. Nel caso di In/Cubo invece, la finestra temporale figura come “temporanea per futura demolizione”. Si intende sottolineare, che con demolizione si vuole in realtà dire “smontaggio”, in quanto la struttura è perfettamente modulare, scomponibile in componenti semi-assemblate o in singole parti elementari (smontaggio totale). Il destino di In/Cubo, come già nel caso di 30.000 Pizzas, è quello della riproposizione in contesti diversi, resa possibile dal concetto di flessibilità e adattabilità che sta alla base di progetti di questo tipo. Infine si intende porre l’accento sulla forte presenza del soggetto privato nell’amministrazione e gestione dei casi di riuso. Questo fatto, che a primo avviso rende la municipalità assente, in realtà ne esprime la forte tendenza a “non farsi carico” di questi fenomeni, preferendo la via dell’integrazione pubblico-privato. I problemi di bilancio sono una delle cause preponderanti di questa scelta strategica.

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LEGENDA (Simbologia adottata anche nelle singole schede relative ai casi studio)

Tipologia territoriale / edilizia:

Modello start up:

Parco industriale

Processo top down

Edificio / Complesso Industriale

Processo bottom up antagonista

Waterfront

Processo bottom up negoziale / cooperativo

Edificio storico

Processo orizzontale

Edificio temporaneo

Layout temporale:

“Micro” riuso

Non definito

Funzioni primarie:

Limitato per demolizione del manufatto

Aggregazione e protagonismo giovanile

Limitato per trasformazione dell’area

Produzione artistica e culturale

Concluso o in conclusione, causa endogena

Eventi, esposizioni e intrattenimento

Gestione economica:

Funzioni commerciali

Finanziamento pubblico

Attivita’ sportive

Investimento privato

Presidio di spazi pubblici aperti

Introiti commerciali

istruzione, formazione

Rendita affitti

Housing

Autofinanziamento

Sviluppo comunitario, distetti creativi

Amministrazione:

Servizi per l’inserimento di persone svantaggiate Attività produttive / manifatturiere

Enti pubblici

Culto religioso

Soggetti privati

Sensibilizzazione, comunicazione

Gestione mista

167


Sintesi, introduzione alla matrici

La trattazione di queste specifiche esperienze prosegue attraverso la costruzione di 3 matrici che contengono i dati di utilità principale, sempre in relazione allo studio in corso sul fenomeno del riuso. Le informazioni reperite per il completamento delle matrici, provengono da interviste dirette semi-strutturate, effettuate prevalentemente ai soggetti con ruoli di gestione o amministrazione dei casi-studio. Per la maggior parte, sono figure legate alle associazioni, le quali sembrano essere il cardine attorno al quale si sviluppa la pratica del riuso. La presenza di un ente o di un gruppo capace di farsi carico di gestione e amministrazione, sta alla base di fenomeni di questo tipo.

tale di quindici), che si ritiene siano sufficienti a delineare un quadro di indagine congruo e piuttosto completo. Nella fase di indagine inoltre, si sottolinea la necessità di lasciare ampia libertà dialettica ai soggetti intervistati, in modo da ottenere informazioni il più possibile spontanee; senza forzature e senza guidare troppo il dibattito. Per questo motivo le domande non scendono mai nella specificità eccessiva, ma mantengono una certa distanza, lasciando la libertà di approfondimento al soggetto intervistato. In questo modo i temi che vengono toccati sono emersi, nella maggior parte dei casi, autonomamente e si suppone che tale fatto ne testimoni la superiorità rispetto ad altri, partendo dal presupposto che i soggetti intervistati sono da considerare come “portavoce” dei casi in analisi. Tutto ciò porta al confronto sinottico dei vari esempi, attraverso le matrici proposte in seguito. Da tale studio sarà infine possibile trarre le necessarie conclusioni, portando a compimento l’itinerario cognitivo deduttivo seguito dalla tesi. Infine si precisa che nelle matrici sono inserite esclusivamente citazioni dirette dei soggetti, estrapolate dal discorso e assunte come frasi topiche, in quanto descrittive e sintetiche di un fatto specifico. Il fatto di utilizzare espressioni proprie degli intervistati, inoltre, garantisce ai concetti di trovare una rappresentazione “non contaminata” dal processo di sintesi.

Un’ulteriore precisazione riguarda la suddivisione del campo d’indagine diretta in tre direzioni: le finalità, con lo scopo di capire quali siano i momenti più fertili per la pratica del riuso, e quali caratteristiche debba avere il background culturale, sociale, politico economico; le modalità, per comprendere i criteri attuativi e le varie direzioni in cui, a partire da finalità comuni, si può sviluppare un dato fenomeno; prospettive e considerazioni, per mettere in luce i propositi sul lungo periodo e le criticità eventuali che affiancano gli sviluppi empirici. All’interno di ogni sezione sono state poste agli intervistati cinque quesiti (per un to-

168


A questo punto della tesi, si può notare come da un punto di partenza generico (i concetti di abuso e riuso), affrontati in un’ottica “espansiva”, si è gradualmente scesi di scala geografica e strumentale, fino a giungere ai singoli casi studio, esaminati attraverso indagini individuali ed esclusive, cioè le interviste. Nella scelta dei casi studio, si ricalca la stessa procedura, partendo da esempi territorialmente estesi, basati su strumenti ad “ampio raggio

d’azione”, fino ai casi di “micro” riuso, basati su esperienze di singoli soggetti o associazioni. E’ riportato di seguito lo specchietto relativo ai soggetti intervistati, per avere una quadro preciso della provenienza delle varie informazioni reperite. Le interviste (sbobinate) integrali sono riportate in coda alla bibliografia, nella sezione “Appendice Interviste”.

Ambito

Data

Soggetto

Parco Dora, Spina3

31/07/2013

Direttore Comitato Parco Dora

Ex-INCET, Urban-Barriera

08/08/2013

Responsabile progetto FaciliTo Barriera di Milano,Comitato Urban-Barriera

Bunker, Barriera di Milano

27/07/2013

Co-gestore degli spazi, rapporti istituzionali e tecnici

Cecchi Point, CdQ, Porta Palazzo

31/07/2013

Direttore dell’associazione Il Campanile ONLUS

Cortile del Maglio, PRU Porta Palazzo

27/07/2013

Direttore del progetto The Gate, Porta Palazzo

Nietzsche Fabrik, Parco del Miesino

26/07/2013

Presidente Associazione Nietzsche Fabrik

CSOA Gabrio

11/09/2013

Membro militante e membro comitato di quartiere

CSOA Askatasuna

31/07/2013

“Ministro degli esteri” dell’Askatasuna

30.000 Pizzas, FarWaste

06/09/2013

Fondatore /membro del collettivo FarWaste

In/Cubo, PLinto

12/08/2013

Presidente associazione PLinto

Figura 3.73 :

Tabella/specchietto delle interviste

169


Matrice Finalità Scopi principali

Target

Le linee guida del bando [..] avevano come punto centrale il mantenimento della memoria storica

Mattino, mamme e bambini, nonne e nipoti; primo pomeriggio, giovani; preserale, misto giovani, anziani; sera, giovani

Lo scopo è la rigenerazione urbana. [..] Si tratta di rigenereazione urbana integrata e partecipata

Il target è vario, dai giovani alle imprese ai singoli fruitori degli spazi. Una parte del complesso si pensava di lasciarlo alle chiese

Casi studio:

Parco Dora

ex INCET

Bunker

La possibilità di gestire uno spazio in autonomia secono delle regole che noi riteniamo conformi ai nostri interessi e principi

Gli spazi sono rivolti praticamente quasi a tutti

La mission è la contaminazione che è a livello culturale, quindi hub multiculturale

Da 0 a 99 anni, perchè dai giovani partono attività importanti per tutti

Faceva parte della riqualificazione.[..] Noi ci occupiamo di rigenerazione urbana. Di fatto svolgiamo il ruolo di facilitatori per i processi

A tutti i cittadini della zona, ai fruitori del mercato e via dicendo

Nietsche Fabrik

Riuscire a creare un polo, uno spazio, in cui ci poteesse essere questo incontro tra l’artigianato, l’arte e il design

[..] ampio raggio, realtà diverse che sennò non avrebbero dialogato. Anzichè restringere il target, ampliare il raggio

CSOA Gabrio

Sicuramente di tipo aggregativo [..] e quindi il bisogno di avere un posto dover trovarsi, dove stare insieme e sviluppare socialità

Popolazione giovanile che risiede soprattutto nel quartiere

CSOA Askatasuna

Noi partiamo dall’istanza che pensiamo che l’aggragazione serva ad aiuatare lo scambio di idee, l’integrazione

Più o meno trasversale. C’è un problema di spazio che non ti permette di mescolare tanto la gente

FarWaste

L’obbiettivo primario che è sperimentare sul riuso, cioè di lavorare sui materiali, su oggetti, anche a caso, anche se non ci si guadagna

Tendenzialmente è generico, poi dipende da cosa a cosa

PLinto

Il tema della sostenibiltà ambientale, [..] ci ha dato la possibilità di mettere in pratica alcune idee che già nell’associazione ci sono

Si rivolge alla cittadinanza [..] Più a fondo, promuovendo l’iniziativa all’interno delle scuole medie e elementari

Cecchi Point Cortile del Maglio

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Finalità comuni

Evoluzione

Localizzazione

No, è un disastro. Fondamentalmente perchè non c’è capacità di dialogo tra i soggetti

Noi, per non fare cose senza tenere conto delle conseguenze, abbiamo fatto tre ricerche

La localizzazzione è fondamentale, per i presupposti legati alla memoria del luogo

Noi lavoriamo il linea con il PRG e con le istituzioni pubbliche, le rappresentiamo

La finalità è sempre quella di riqualificare l’area urbana [..] attraverso democrazia dal basso

La riqualificazione parte dal territorio ed è fondamentale che abbia rete sul territorio per funzionare

Un caso isolato, perchè e un progetto per certi versi autonomo, ma non antagonista [..] concesso da privato

Tendenzialmente noi stiamo continuando a farlo crescere, finchè lo spazio ha delle potenzialità

In base allo spazio che hai puoi fare o non fare determinate attività

A partire da The Gate [..] E ora sta diventando un’occasione di scambio tra vari enti.

Proprio perchè è nella natura del progetto creare uno spazio che risponda alle esigenze del territorio

Porta Palazzo, identità molto forte [..] l’integrazione, l’immigrazione, l’istruzione, [..] nascono dal luogo

Si inserisce nel processo di trasformazione urbana [..] in linea con la pubblica amministrazione

Dal PRG del 1995 la finalità si sono sviluppate in più direzioni [..] la riqualificazione è uno dei temi cardine

Il cortile del maglio è storicamente inserito in un contesto forte

Nontanto, più che altro non venivano percepite [..] non si concretizzava mai su nulla

Le finalità sono sempre state quelle [..] per la quantità di pubblico necessitava di un salto qualitativo

Siamo a 10 minuti dal centro, ma senza le problematiche dei posti che stanno dentro la città

Movimento antagonista cittadino, piuttosto che alle realtà del sindacalismo non concertativo

in relazione con le trasformazioni che questa città ha avuto nel corso degli anni

Un posto aperto e che vuole essere vissuto [..] fa sì che quello che ti vive intorno entra nel centro sociale

La finalità ultima nostra è la rivoluzione, quindi non credo che sia vicina alle istituzioni della città

Man mano che c’è il ricambio generazionale, cambiano anche le funzioni

Lo spazio è fondamentale, sennò non li avremmo occupati. In molte città si ragiona sul riutilizzo degli spazi

A Torino in particolare ci sono tante realtà che hanno gli stessi obbiettivi e lo stesso core business

Si è evoluta, con degli scopi più definiti. Alla fine ci è scontrati con la realtà e col dover fare compromessi.

La localizzazione è importante nel momento in cui c’è interesse.

In parallelo al collettivo studentesco [..] con le associazioni banditori del concorso e con la Circoscrizione 8

Ha un tempo limitato e la finalità resta quella originale [..] monitoraggio [..] se la gente ineragiva positivamente

Aiutato l’aspetto partecipativo dell’opera per la sua fruizione, essendo la zona dell’Imbarchino

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Matrice Modalità Iter

Strumenti

Parco Dora

Un bando europeo, il progetto architettonico è stato visto dalla città

Dal bando europeo ai lotti, no sponsor nè partnerships

ex INCET

Settembre 2010 abbiamo presentato il dossier di candidatura e da Dicembre 2010 è stato approvato ed è attivo da allora

Fondi europei, programma Urban -Barriera, Comune di Torino

Bunker

Chiedere una licenza temporanea al Comune [..] accordo era basato su un comodato d’uso gratuito [..] privato [..] soci

Patrocinio [..] non è proprio uno sturmento guridico, però è una condizione [..] giuridica [..] dialogo abbastanza continuo

Attraverso Levi e Curti siamo riusciti a intercettare questo bando della fondazione Vodafone e fondazione UmanaMente

Il protocollo d’intesa tra fondazioni e città di Torino, [..] che assegnava ad un soggetto privato la realizzazione del progetto

Cortile del Maglio

Lla Città chiese a The Gate di accompagnare [..] raccordo tra i commercianti che c’erano fuori, i cittadini e quant’altro

Normale atto notarile di cessione e acquisizione [..] Con prezzi calmierati, senza oneri di urbanizzazione.

Nietsche Fabrik

Nel ’99 abbiamo acquistato un terzo del fabbricato [..] Siamo riusciti a creare un gruppo di artigiani che collaboravano

Non c’è stato nessun apporto dall’esterno. E’ stata una cosa interamente ideata e gestita da noi

CSOA Gabrio

Progetto di farci una sede dell’archivio scolastico, progetto non realizzato [..] occupato nel ‘94

L’autorecupero [..] La miltanza e l’autoorganizzazione

CSOA Askatasuna

Ricomposizione del movimento [..] piano piano il peso politico di Akatasuna è cresciuto e nel ‘96 abbiamo occupato

Come collante c’è stato l’antifascismo e l’antirazzismo. [..] Poi ci sono stati molti lavori sulla soggetività

FarWaste

Nasce [..] da una serie di esperienze. [..] primo apporccio sui rifiuti e sulla manualità, che sono due cose parimenti importanti

Sempre da soli.

Casi studio:

Cecchi Point

PLinto

Concorso indetto dall’associazione river eyes Torino sul tema della comunicazione ambientale

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Volontà di sperimentare e di manifestarsi [..] spirito di gruppo, la condivisione di certi ideali


Attori

Gestione economica

Amministrazione

Imprenditori a cui spettano i diritti fondiari previsti dal progetto. La città di Torino, l’Unità di missione

Un euro al metro quadrato costruito, chiamiamolo un onere sociale, di restituzione

Il comitato [..] interesse diretto sull’area: 17 rappresentanze nel consiglio direttivo

Si preferisce [..] associazioni forti e ci devono dimostrare che il progetto è sostenibile economicamente.

Il comitato Urban è un ente giuridico autonomo dalla città, che invece è un macchinone

Con le associazioni e le reti di solito collaboriamo abbastanza a spot [..] artisti

Il bar, le serate, gli eventi. Invece un’altra parte [..] autofianziamento

Associazione culturale no profit. C’è un presidente e un vice e ora stiamo creando un nuovo soggetto

Campanile ed associazioni affilate [..] tutte insieme il beneficiario dello strumento concessione

Contributi pubblici [..] la ristorazione o i rimborsi ai locali, agli spettacoli o a finanziamenti privati autofinanziamento

Centro diurno aggregativo giovanile, che è un’attività educativa in convenzione col Comune di Torino.

Comunità Europea [..] San Paolo, fondazione CRT, Sinatec, attività [..] nel Cortile, Camera di Commercio

Una grossa fetta deriva dal finanziamento eurpeo [..] Chi ha comprato le botteghe [..] proprietà per 99 anni.

Comitato privato, di diritto privato, ma è un comitato che vede che un presidente designato dal Sindaco

Comune e circoscrizione come partocinio, la regione con i finanziamenti e tutte le aziende che lavorano qui

Il primo anno [..] siamo riusciti ad avere tutta una serie di sponsor privati. [..] autofinanziato da noi

L’associazione era un’associazione culurale no profit. Con tutto quello che comporta

Noi. [..] le persone che svolgono le funzioni, loro fanno parte delle decisioni.

L’autofinanziamento e tutto ciò che si guadagna dalle serate finisce nella cassa del centro sociale

Si adotta l’assemblea di gestione [..] Non crediamo in generale nei leader. Non votiamo a maggioranza

In generale tutti i centri sociali che condividono i punti centrali [..] Poi bè dentro di noi c’è il comitato

L’autofinanziamento. I concerti vengono fatti.[..] Con i costi d’ingresso e gli alcolici finanziamo

A noi non interessava, proprio perchè fuorti dall’ambito istituzionale siamo più flessibili

Noi e altre associazioni, tipo Libera e Acmos, Paratissima, cioè Ylda

L’autofinanziamento. Alcuni progetti sono rimborsati, tipo Milano, siamo andati lì come Paratissima

La cosa milgiore per noi sarebbe forse la cooperativa, che però ha dei costi che non siamo sicuri di poter coprire

PLinto, le associazioni banditrici [..] le scuole e le aule studio [..] il comune di Torino, Smat, Cecchi Point

Fondi del premio del concorso, sponsorizzazione Smat.[..] In parte abbiamo autofinanziato l’installazione

Non c’è una vera e propria gestione dell’installazione, quindi non c’è una forma giuridica

La città, noi e le associazioni

173


Matrice Prospettive / Considerazioni Esperienze simili

Forme di trasparenza

Parco Dora

Da Scampia in là, sui grandi interventi, insediamenti simili ci sono [..] La Fabbrica del Vapore a Milano, o le OGR

Indirizzario telematio di 5000 residenti e un blog. Dovevano esserci due momenti di discussione

ex INCET

E’ un PISU [..] troverete analogie con molti altri programmi attivati. Le analogie poi ci sono con tutti i progetti Urban

Il corriere di barriera[..] Poi ci sono assemblee con i manager d’area per la progettazione [..] Poi il sito internet

Bunker

Favara Farm Cultural Park [..] simili non molto: son sempre un pò antagonisti, centri sociali

Interni all’associazione e con il proprietario. Con l’assessorato anche per fare un po’ il punto della situazione

Casi studio:

Cecchi Point

Nelle case del quartiere, con presupposti diversi, però se siamo finiti tutti quanti in un unico progetto, ha un suo significato

Costanti, nel senso che c’è un’assemblea al mese di tutti i volontari. Avviene a più livelli

Cortile del Maglio

A Torino si è cercato più volte, a partire dal Lingotto, di riqualificare con successi e insuccessi

Diversi focus group, anche con i cittadini e i potenziali insediati, in modo da capire che direzioni prendere

Forse ci sono a Torino, ma io non ne sono a conoscenza. Non credo comuque.

Condivisione totale e c’era uno scambio continuo tra tutti. [..] normalmente quando ci incontravamo in cortile

Altri centri sociali che sono presenti sono simili a noi nella misura in cui si condivide l’autoorganizzazione come modalità

Le assemblee sono il momento di discussione.

CSOA Askatasuna

Un’esperienza simile è il Gabrio, con cui abbiamo avuto delle collaborazioni cittadine, come in CSOA Murazzi

La trasparenza che noi abbiamo con i nostri supporter è più sulle campagne che facciamo . C’è info-out che è il sito che veicola

FarWaste

Adesso IZMO ha fatto IZMADE, che è una sottobranca e il loro obbiettivo è realizzare oggetti e venderli, proprio sul furniture design

Si ogni giorno. [..] pagare l’affitto della sede non è facile. Abbiamo bisogno di capire a cosa dedicarci intensivamente

PLinto

Ci sono moltissime eseprienze simili alla nostra [..] vorremmo stringere rapporti e creare una rete con realtà simili

L’aggiornamento continuo è basilare. [..] principlamente atrtaverso internet, Facebook, il sito eccetera.

Nietsche Fabrik

CSOA Gabrio

174


Effetti sulle dinamche sociali

Effetti sulle politiche urbane

Effetti sulle territorio fisico

Valenza transnazionale per eventi, oltre a nuovo polmone verde. Vendibile anche a livello europeo

Discorso degli oneri sociali di urbanizzazione sarebbero diventati strumenti da Piano Regolatore.

Completato il passante tra Aurora e basso San Donato la viabilità sarà rivoluzionata

Le direttive 2020 [..] linee programmatiche smart cities e social business [..] noi ci inseriamo in queste prospettive

Certo che noi puntiamo al miglioramente dei servizi [..] ma di fatto rappresentiamo le politiche urbane.

Se una cosa è compresa dalla gente, questi la rispettano [..] è la linea di valorizzazione del territorio che si segue

Offrire un posto di incontro e di socievolezza un pò isolato dal resto della città dove non si creino problemi

Rimangono delle tracce. Quello che ci piacerebbe è che ci fossero delle eredità funzionali

Confronto con la città e alcune cose che gli abbiamo chiesto [..] le stanno inserendo nella variante 200

Luogo di vita reale per il territorio, per dare occasioni culturali diverse per il territorio

Spinto a parlarsi settori diversi della politica e confrontarsi [..] ha un beneficio sulla politica

Avendo creato una piazza laddove non c’era [..] più belli anche tutti gli edifici che vi si affacciano

Uno degli aspetti [..] sia l’attenzione rivolta al contesto [..] attività che non danneggiassero il tessuto sociale

Manca la flessibilità, e credo che sia questa la direzione [..] anticipare le politiche urbane

Non si può lavorare in modo settoriale. [..] tutti gli strumenti, si muovono verso politiche di integrazione

Cultura, conoscenza, e sapere [..] non hanno prezzo [..] La gratuità dell’offera è fondamentale

Ci siamo riconosciuti in altri progetti simili, tipo Turna

Si poteva riconvertire tutto, mettendo dentro artisti, designer e altri che creano cultura e lavoro. [..] ignorata

E’ sicuramente positivo che il centro sociale riesce ad evolversi rispondendo alle necessità della città circostante

C’è bisongo che chi ci abita sia maggiormente protagonista

C’è in ballo sulla questione dell’amianto. Non escludiamo di decidere di dover cambiare posto.

Più connessioni di gente diversa ci sono meglio è, più per il potere costituito diventa difficile insinuare discorsi

Si può puntare a qualcosa tipo la calmerizzazione degli affitti, o qualcosa contro la speculazione edilizia

Sul territorio fisico c’è la val di Susa, tutti noi siamo d’accordo

C’era anche l’idea iniziale, destinata a morire, di vendere i kit di autocostruizione

Raumlabor, stanno lavorando sul riuso di un ex centro di aggregazione [..] da 3 anni. Insieme a Situa.To e altri

E’ un tema interessante perchè si creano interazioni con la gente che usa gli spazi

Sensibilizzazione delle cittadinanza sui temi di base. Soprattutto, io credo, attraverso le lezioni svolte nelle scuole

La percezione diversa di alcuni spazi nell’intorno [..] e una diversa, seppure minima, fruizione di quella parte

Credo che sia molto difficile che un’installazione a carattere informale [..] possa generare una risposta

175


Conclusioni

La sintesi dei concetti acquisiti durante le interviste è riconducibile a due approcci: uno legato ai contenuti specifici delle singole “celle” della matrice, e quindi all’analisi focalizzata su determinati aspetti di rilievo particolare; uno legato alla “visione d’insieme”, ovvero alla capacità di riconoscere delle linee strategiche comuni e delle consuetudini pratiche. L’applicazione simultanea di questi approcci genera una sintesi capace di individuare e valorizzare le specificità, mantenendole inserite in un quadro globale strutturato.

caso dei due CSOA presi in analisi. Ciò ricade sulla fruizione degli spazi, che spesso diventano orientati verso un target specifico, e sulle forme di trasparenza, di cui si ha necessità ridotta, avendo di base un bacino di sostenitori limitato dal “colore di bandiera”. D’altra parte questi luoghi offrono servizi specifici a sostegno delle minoranze e per l’integrazione culturale: sportelli per la casa, orientamento medico per extracomunitari (non beneficiari della sanità pubblica), corsi di lingua, corsi di informatica open source, palestre popolari, corsi di informazione sull’uso consapevole di droghe. La specificità del target è supportata dalla specificità delle funzioni, che ricoprono un’importanza notevole, essendo spesso carenti quelle messe a disposizione dalla Municipalità in questo segmento. Tornando al Bunker, questo risulta aperto a 360 gradi. Si individua una certa orizzontalità nella fruizione in tutti i casi, tranne come già detto nei CSOA; i programmi nati in seno alla riqualificazione, essendo programmi area based, lasciano trasparire uno slancio leggermente più orientato verso la fruizione pertinenziale, degli abitanti del quartiere. D’altronde il Parco Dora è anche un parco di prossimità (ivi. pag. 136) e il Cortile del Maglio ha legami molto intensi con Porta Palazzo e con il Balon.

In primo luogo si riconosce la presenza di almeno tre tendenze sul piano degli scopi: la riqualificazione urbana, accostata al tema della memoria (INCET, Parco Dora, Cortile del Maglio); la creazione di spazi dell’aggregazione e della contaminazione culturale (Cecchi Point, Nietzsche Fabrik); la creazione di spazi sociali autonomi (Askatasuna, Gabrio, Bunker). Le finalità comunicative del “micro” riuso, apparentemente a sé stanti, si legano invece al concetto di riqualificazione urbana per induzione, essendo la città il luogo per eccellenza in cui si manifesta la responsabilità sociale. Mostra una certa singolarità il caso del Bunker, essendo un luogo che rivendica la propria autonomia in un contesto apolitico. Solitamente, finalità di questo tipo sono sostenute da movimenti di natura politica, come nel

Un quadro più variabile si presenta in relazione

176


alla condivisione dei fini. Generalmente i casi di riqualificazione sono riconducibili alle strategie più o meno condivise, ma senz’altro esistenti sul piano concettuale. A partire dal PRG, fino all’ultimo Piano Strategico, è riconoscibile una certa attenzione verso la pratica del riuso e della dismissione. Tuttavia il caso Parco Dora denuncia un certo isolamento dovuto all’incapacità di dialogo tra soggetti. E in questo senso il riferimento è in realtà più orientato a caratteristiche metodico-strumentali, piuttosto che “di scopo”. Il caso Parco Dora si distingue dagli altri due in quanto si è lavorato su un terreno di proprietà privata, distribuita tra diversi soggetti: l’attuazione del PRiU è stata calibrata sulla ridistribuzione dei diritti edificatori. In questo meccanismo le prospettive di rigenerazione sociale e culturale, preponderanti per il Comitato Parco Dora, si scontrano con fattori di natura economica, producendo l’insoddisfazione di molti obbiettivi che il Comitato si era prefissato (tra cui la costruzione di una biblioteca / centro di aggregazione per giovani e anziani). Risulta attivo solo l’Hortus Conclusus.

di fini in base alle trasformazioni sociali e urbane in atto. Vi è infine il caso in cui la finestra temporale di operatività è stata così breve da non permettere svolte ed evoluzioni nelle prospettive (Nietzsche Fabrick, 2008-2010). La localizzazione risulta fondamentale in tutti i casi, particolarmente nel Bunker, dove non essendoci un piano di attività e funzioni definito a priori, si decide tutto in itinere, a partire dagli spazi che via via si riesce a sottrarre alla dismissione. (il bunker è partito con un capannone e sta “bonificando” progressivamente l’area, vedi Orti e Wake). Nella gamma di modalità, figurano come modelli start-up: la promozione da soggetto privato (Bunker, Nietzsche Fabrik, 30.000 pizzas); il modello antagonista (i CSOA); la forma concorsuale, bandi UE, Comune, Privati (tutti gli altri). Nel caso del Bunker si individua nuovamente una situazione particolare: in questo caso si è chiesta una licenza ad uso temporaneo per attività sociali e culturali, in quanto nelle aree di trasformazione (variante 200) le destinazioni d’uso da PRG restano bloccate, e nell’area in questione sono tuttora previste (al netto della licenza) solo attività produttive e manifatturiere. Nello specifico risultano due casi di riqualificazione legati all’attività produttiva (rigenerazione attraverso la produzione manifatturiera): nel Cortile del Maglio, dopo la ristrutturazione dello stabile, si è provveduto alla cessione degli spazi per 99 anni a prezzi calmierati (tramite normale procedura notarile) ai privati interessati; in Nietzsche Fabrik un singolo privato ha acquistato un terzo del complesso e ha affittato gli spazi ad attività produttive scelte “con cura”. Queste due modalità, ed i relativi strumenti, costituituiscono due approcci differenti allo stesso modello

Anche gli spazi dell’autonomia risultano accomunati nelle finalità, tranne il Bunker, caso isolato che si rifà soprattutto all’esperienza estera; come anche il caso di Nietzsche Fabrik, che non ha trovato supporto monetario nei propositi di contaminazione culturale. Nell’evoluzione delle finalità, si identifica una duplice tendenza: quella dell’attuazione di piani e progetti di tipo top down, tendono a visualizzare la riqualificazione come punto di arrivo di un processo, quindi come perseguimento della finalità. Le esperienze generate dal basso invece restano più vicine al concetto di transitività urbana e di rigenerazione del sistema 177


produttivo: uno promosso dal pubblico, l’altro dal privato. Per questo motivo i due esempi in questione sono spesso citati in contrapposizione.

vedeva il versamento al Comitato stesso di 1 Euro al metro cubo di diritti edificatori concessi ai soggetti attuatori: una sorta di “onere di urbanizzazione sociale”, in quanto il Comitato svolge il ruolo di accompagnatore della trasformazione urbana attraverso progetti volti all’integrazione e sviluppo culturale (anche se l’operatività è stata molto ridotta, come già detto). Anche il sistema di finanziamenti elaborato dal Comitato Urban-Barriera, basato sul fatto che il ribasso d’asta del primo progetto bandito va a finanziare il secondo; il ribasso d’asta del secondo va a finanziare il terzo, e così via. Questo sistema è però limitato dal fatto che se si intercorre in un problema finanziario nel primo progetto, vengono archiviati o “cassati” tutti quelli successivi. Infine gli enti in analisi, sono divisi tra enti autonomi, ma che dipendono dalla sfera pubblica in maniera diretta o perché contengono rappresentanti di circoscrizione o di giunta all’interno dei consigli direttivi, o perché i membri principali sono direttamente nominati da autorità pubbliche (rapporti cooperativi, Comitato Parco Dora, The Gate, Urban-Barriera, ass. Il Campanile ONLUS); enti autonomi che si interfacciano con il pubblico per prendere accordi (rapporti negoziali, soprattutto Bunker), enti autonomi che non si interfacciano con la municipalità, solitamente perché non la riconoscono. In tutti i casi l’amministrazione avviene attraverso consigli direttivi e riunioni tra più soggetti.

Nell’ambito degli strumenti attuativi si nota la compresenza di strumenti diretti, quali i fondi europei per lo sviluppo regionale (FESR), Urban-Barriera, o cofinanziamenti UE (Cortile del Maglio, Parco Dora); strumenti indiretti, quali il Patrocinato, che non da benefici economici e non è una condizione giuridica, ma garantisce una livello di rappresentanza e dialogo in più (Nietzsche Fabrik, Bunker), o i protocolli di intesa con la città (Cecchi Point); strumenti impliciti, come la coesione sociale mutuata da sentimenti di appartenenza, l’auto-organizzazione, l’unione per ideali comuni, la sperimentazione, elementi tipici dei CSOA e delle associazioni che operano nel “micro” riuso. In questo quadro strumentale si inseriscono i vari attori che sono per lo più soggetti privati, associazioni e fondazioni che si interfacciano con la Pubblica Amministrazione per ottenere un riconoscimento e intercettare delle agevolazioni (Cecchi Point, Nietzsche, Bunker); associazioni o fondazioni promosse direttamente dalla Pubblica Amministrazione (tramite bando, Urban-Barriera, Comitato Parco Dora, In/Cubo, o emanazione diretta, The Gate); soggetti privati che non cercano riconoscimento istituzionale, atteggiamento dell’occupazione antagonista. La gestione economica avviene di conseguenza secondo le modalità: finanziamento pubblico per i soggetti vincitori di bandi, attività commerciali e autofinanziamento per i privati. Vi sono poi forme di sponsor definite privato sociale e modelli di finanziamento alternativi, come quello promosso dal Comitato Parco Dora, che pre-

Si evidenziano numerose esperienze simili, dalla Fabbrica del Vapore a Milano alle OGR (Parco Dora), dal Favara Farm Park (Bunker), alle altre Case del Quartiere torinesi (Cecchi Point), dalla riqualificazione del Lingotto a i PISU in genere (INCET), da IZMO a Raumlabor nel “micro” riuso. In sintesi, si può dire che 178


in un certo senso i soggetti intervistati percepiscano l’esistenza di una rete di esperienze simili, più o meno estesa e/o connessa. Secondo i dati forniti, non si individua nessuna esperienza simile alle Nietzsche Fabrik, anche se un’analogia esiste già tra i casi studio stessi, con il Cortile del Maglio (riconversione di ex area produttiva in neo area produttiva con contaminazioni culturali e sociali). Sembrano correre su un binario parallelo i CSOA, che hanno come riferimento altri centri dell’autonomia e dell’occupazione antagonista. Come già accennato anche le forme di trasparenza sono molto più circoscritte in questi casi. Diversamente associazioni e comitati promuovono ricerche, focus group, giornate di confronto aperte a tutti e strategie simili per aumentare il grado di coinvolgimento, che talvolta si dimostrano di utilità marginale (vedi appendice 7). Tra le prospettive, si denotano molte esperienze che auspicano una valorizzazione della territorialità e degli ambiti contestuali, dal punto di vista sociale, con un conseguente livello di rispetto maggiore degli elementi fisici che compongono lo spazio urbano. In sintesi, un effetto parallelo sulle dinamiche sociali e sul territorio fisico, apportato dalla riqualificazione. Una particolare attenzione agli aspetti direttivi di matrice Comunitaria è sottolineata dal caso studio INCET, nel quale si valuta il programma 2020, smart cities e social business come prospettiva di rigenerazione sociale più ampia, in scala e contenuti. Effettivamente, l’integrazione, il mix funzionale, l’aggregazione e la collaborazione settoriale, proposte variatamente da ogni caso studio, rientrano perfettamente nel quadro direttivo Comunitario. Nell’ottica delle prospettive, anche i Centri Sociali, che in molti casi si distanziano dalle alte esperienze, risultano in linea con la gene-

rale esigenza di ripristinare il protagonismo e la partecipazione alla vita di quartiere attraverso l’aggregazione. Si nota anche il proposito di ottenere affitti calmierati, cosa che molte associazioni propongono ugualmente in svariati contesti. In questo senso il divario tra le tipologie di approccio al riuso è colmato dalla prospettiva comune. Sugli auspici riguardo le politiche urbane, risulta nuovamente l’operato del Bunker, il quale cerca, attraverso il dialogo con le istituzioni, di rivedere parti della Variante 200 in funzione dell’esperienza portata avanti nella struttura, con la finalità ultima di effettuare delle modifiche positive al progetto. Si sta preparando un documento con l’apporto di diversi assessorati atto a riconoscere il valore empirico e cognitivo sulle dinamiche di quartiere portato avanti dal Bunker. Questo valore dovrebbe trovare la sua manifestazione attraverso “un’eredità funzionale” (vedi appendice 3). Le prospettive sul territorio fisico infine si dividono tra quelle di sviluppo economico (Parco Dora) dove si auspica che la nuova viabilità generi un ritorno economico immediato sulle attività commerciali della zona, e quelle di conservazione del patrimonio ambientale culturale e naturale (CSOA, per la Val di Susa). Nel mezzo vi sono le prospettive condivise abbastanza trasversalmente di valorizzazione fisica del territorio come strumento di riappropriazione degli spazi, talvolta letta anche come un’occasione persa (Nietzsche Fabrik). Infine, sulle prospettive, si sottolinea il ruolo di comunicatori svolto dagli elementi di “micro” riuso, i quali concentrano tutto il loro potenziale nella capacità di permeare un messaggio incisivo al pubblico. In questo senso, il ruolo svolto da questa categoria è esclusivamente rivolto alle prospettive future, che ne diventano la “ragione di essere”. 179


Possibili Applicazioni

In questa sezione della tesi si sviluppano alcuni aspetti progettuali nell’ambito del “micro” riuso, a partire dalle caratteristiche fondamentali del caso studio In/Cubo. Per prima cosa è un progetto site specific: il suo funzionamento è legato alle relazioni che questo crea con il luogo. La stessa morfologia dell’oggetto risponde ad una logica compositiva orientata al soddisfacimento di determinate relazioni impostate sul piano teorico e concettuale. Nella sua configurazione attuale In/Cubo è un portale, richiama quindi il concetto di attraversamento e di inquadramento dello spazio. Inquadra il fiume Po, creando una relazione tra la cornice e il corso d’acqua. Qui entra in gioco la seconda caratteristica fondamentale: è un progetto basato sul paradigma object oriented. Il linguaggio che utilizza è connesso con l’oggetto che lo costituisce, nel caso specifico, bottiglie di plastica. Si crea una quantificazione materica di un fatto, altrimenti non percepibile nella sua fisicità. In questo caso lo spreco. Il rapporto tra natura (Po) e cornice diventa in questo modo rapporto tra natura e spreco, per semplice analogia. Ed ecco manifestarsi il significato di In/Cubo, rappresentato dal valore dialettico che si instaura con il pubblico. E’ quindi fondamentale che In/Cubo sia fruibile orizzontalmente, quindi che sia localizzato sul suolo pubblico. L’ipotesi progettuale parte dall’idea di In/Cubo diffuso, ovvero di un

elemento distribuito sul territorio, localizzato su suoli strategici, caratteristici di certi tipi di abuso, e capace di raccogliere dentro di sé oggetti che abbiano un legame riconoscibile con il territorio stesso (non più con la sostenibilità ambientale in modo diretto). Nelle seguenti pagine è rappresentato incubo per come è costituito allo stato attuale. Successivamente, si propone il primo focus analitico sul tema In/ Cubo diffuso, che interessa la zona industriale in prossimità del Sangone, che attraversa i comuni di Nichelino, Borgaretto, Beinasco, Orbassano, Rivalta, e che parte dalle Fonderie Limoni (riqualificata) fino all’ex OMA Chimica (dismessa). Rappresenta la più vasta scala di diffusione che si andrà ad affrontare nel corso della presente tesi.

Figura 3.74 :

Tavole di concorso (Storyboard)

180


Figura 3.76 : Tavola esplicativa del calcolo esguito

In/Cubo, nella sua prima realizzazione, e’ costituito da un portale cubico, che porta sui prospetti principali delle “livelle”, che indicano la quantità della specifica unità di misura (ore / kg CO2 Equivalente) in relazione all’altezza. Tale associazione permette al fruitore di visualizzare lo spazio fisico del rifiuto prodotto. La Circoscrizione 8 impiega circa 90 minuti a riempire 40m3, che corrispondono a 930 kg di CO2 Equivalente. La morfologia dell’oggetto può essere modificata o replicata, è sufficiente mantenere la modularità generata dalle componenti (blocchi di 2m x 2m x 1m). La flessibilità dell’elemento lo rende idoneo per svariate applicazioni, come si vedrà in seguito.

Figura 3.77 :

Viste del progetto (elborati concorso)

Figura 3.75 :

Sequenza di montaggio e numero di bottiglie previste (tale numero e’ sceso a 8470 in fase progettuale avanzata, alla luce di alcune prove empiriche)

181


Figura 3.80 : Frame strutturale

Figura 3.79 :

Attuale localizzazione

Figura 3.78 :

Piante e prospetti In nero le parti sezionate Scala 1:50

182


In/Cubo, scomposto può essere utilizzato con significati diversi sul territorio. Può essere interpretato come landmark, quindi come elemento di arredo urbano simbolico, o come struttura funzionalizzata (area espositiva, area relax). Queste strategie applicative consentono all’oggetto di mantenere inalterato lo schema di relazioni che ne fanno un veicolo comunicativo a tutti gli effetti. Occorre puntualizzare che l’utilizzo di incubo come struttura funzionalizzata ha dei limiti intrinsechi nella tecnica adottata. Sebbene questa strada fornirebbe all’oggetto una variabile in più: un risvolto pratico, e conseguentemente una fruizione assidua da parte di specifici gruppi di individui, legati alla funzione espressa. Inoltre, la pratica di un’attività comporta un’interazione con lo spazio, cosa che lo rende ancora più emotivamente “appetibile” e interiorizzabile.

Figura 3.82 :

Possibil composizioni

Figura 3.81 :

Sezioni In nero le parti sezionate Scala 1:50

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Rivalta di Torino

Beinasco Torino Moncalieri

Figura 3.83 :

Percorso del Sangone (confine Torino sud) In evidenza: aree produttive / industriali (linea continua); aree residenziali (linea tratteggiata); edifici dismessi, non utilizzati o in forte sottoutilizzo.

Orbassano

Borgaretto Nichelino

IN/CUBO

Diffuso

Con In/Cubo diffuso, non si intende la semplice collocazione di una moltitudine disordinata di oggetti sul territorio. Per prima cosa, come precisato all’inizio del presente argomento, uno dei presupposti progettuali è definito dal concetto di site specific. Ogni possibile collocazione deve essere supportata da una ragione ambientale / territoriale. Nel caso in questione uno dei possibili legami con il territorio che si vuole avvalorare è basato sulla memoria. Non a caso lo sviluppo di questa tesi affronta più volte i legami possibili tra “micro” riuso e le grandi dismissioni. Qui, nello specifico, si intende ipotizzare la creazione di un percorso cognitivo, basato sulla ricomposizione delle unità modulari di In/Cubo. Questa ricomposizione segue i sedimi delle fabbriche dismesse, si appoggia e si integra con frammenti di architettura desueta, si mescola con i manifesti dell’abbandono allo scopo di contaminarne il messaggio con nuovi stimoli. Tutto ciò avviene in seno all’approccio object oriented. I manufatti, vengono riempiti con oggetti che rafforzino ulteriormente il legame tra questi e il territorio. L’esperienza acquisita

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Legenda: 1. Stabilimento 1 - O.M.A. Spa CHIMICA INDUSTRIALE Spa 2. Stabilimento 2 - O.M.A. Spa CHIMICA INDUSTRIALE Spa 3. Stabilimento via F.Gioia 13, Rivalta di Torino 4. Magazzini municipali e cisterna [proprietà comunale]

dal caso Lab Transvaal (ivi. pag. 110) mostra come sia possibile, anche a partire dal detrito di una demolizione, costruire un percorso cognitivo di memoria e condivisione. Qui si ripercorre lo schema: le griglie saranno riempite con i resti caratteristici del passato industriale che ha coinvolto l’area. Vi saranno volumi costituiti da pile di barili, altri da pneumatici, altri da rottami d’autoveicoli e macchinari. Scarti di ogni tipo strappati al suolo, alle discariche e all’inquinamento, per essere restituiti ad uno scopo specifico: la costruzione di un percorso della dismissione e della memoria industriale, che ricalca il sedime del Sangone.

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5. Stabilimento CO.ME.CAR. Spa [in demolizione] 6. Stabilimento FIAT-CNH industrial 7. Stabilimento TECNAMOTOR Spa 8. Stabilimento FIRSAT Spa


Stabilimento 1 - OMA Chimica L’ipotesi di intervento si basa sulla creazione di aree della “decontaminazione”: recinti conclusi realizzati mediante la struttura di In/ Cubo, con altezze variabili, da 95 cm (sedute) a 760 cm, nel caso degli ambienti più “pericolosi”, per sottolinearne l’infruibilità. I volumi sono costituiti dalle reti metallliche precedentemente descritte, riempite con detriti di demolizione (non pericolosi) reperiti in situ e componenti residuali come parti di tubature o di containers / silos chimici. La visibilità dei monumenti industriali viene così filtrata dai “rifiuti” dell’industria stessa, comunicando il concetto di sensibilizzazione tramite “micro” riuso.

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Lo spazio coperto utilizzabile si riduce quasi esclusivamente alle aree dei capannoni, dei quali resta solo la struttura portante e di copertura. I tamponamenti vengono realizzati secondo lo schema strutturale di In/Cubo. Le griglie metalliche, in questo caso, concludono lo spazio dei fabbricati dismessi, conferendo una nuova identità e una nuova gerarchia all’area. La modularità delle componenti di In/Cubo si inserisce nella modularità delle struttura industriali. Il paradigma comune ne rende estremamente versatile l’esecuzione. Anche in questo caso si utilizzano le componenti residuali per riempire i blocchi, sottolineando ancora una volta il legame tra oggetto e sito. L’ambiente così definito può essere interpretato come semplice area di sosta per i visitatori, ma anche come luogo della riappropriazione, dove gli individui possano interagire con l’ambiente in maniera diretta.

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L’edificio 2 (area 3), nell’ipotesi progettuale avanzata, subisce un “ribaltamento” dell’assialità principale che caratterizzano le fabbriche di questa tipologia. In questo modo si fornisce una variabile fisica al concetto di “rottura” che caratterizza la fase dell’abbandono. L’ambiente, uniformemente concluso dalle pareti di In/ Cubo, si configura come spazio ideale per perpetrare il “rituale della memoria”. Al centro viene posizionato un podio, sempre in griglia metallica, con lo scopo di raccogliere le informazioni dell’ex impianto industriale, cosi che il luogo sia perfettamente riconoscibile nella sua veste presente e in quella passata.

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Figura 3.84-3.88 (da alto sx a basso dx): Fotoinserimenti dell’ipotesi progettuale. Da sinistra in alto: edificio 2 visto dall’ingresso dell’area 3; edificio nell’area 2 concluso dal recinto (zona della decontaminazione); tettoia dell’edificio 1 (area 2); tettoia dell’edificio 2 (area 3) che ospita il podio centrale; vista globale dell’area1, in corispondenza della torre chimica dismessa e dell’elemento metallico disposto longitudinalmente sul suolo.

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Stabilimento 2 - OMA Chimica In questo caso, l’ipotesi di intervento risulta fortemente condizionata dalla presenza in gran parte dell’area di un’ingente quantità di rifiuti altamente nocivi ed altamente inquinanti. Lo sviluppo del progetto pertanto coinvolge quella parte del sito che risulta meno compromessa dall’attività svolta dallo stabilimento. L’area indicata come “gravemente contaminata” presenta ancora più di una ventina di silos per prodotti chimici, oltre a numerose componenti residuali di alta pericolosità. L’area di intervento in analisi è l’ex deposito di scorie. Qui gli scarti della produzione non rigenerabili venivano depositati all’interno di “vasche” di cemento interrate. Il progetto si articola attorno a questa caratteristica, con la costruzione di un percorso evocativo accostato a tre elementi che si configurano come landmark d’area. In/ Cubo diventa percorso: i moduli in rete metallica, riempiti di detriti, costituiscono il suolo su cui il pubblico si muove, 190


Figura 3.89-3.90 : Fotoinserimenti dell’ipotesi progettuale. A sinistra il percorso della memoria e a destra i landmark d’area.

Lo schema sopra riportato mette in evidenza la coesistenza di un “percorso della memoria locale”, e di un sistema di landmark. La coniugazione simultanea di questi elementi favorisce la riconoscibilità del luogo, permettendo l’associazione immediata tra elementi fisici del presente e memoria del passato industriale, mediata dal luogo specifico. 191


Stabilimento via F. Gioia 13, Rivalta di Torino L’area si trova a ridosso del confine sud di Rivalta; la zona adiacente, sul confine settentrionale, è costituita da quartieri residenziali a medio-bassa densità edilizia. L’ipotesi progettuale si concentra sulla creazione di uno spazio di aggregazione / attività di quartiere, aprendo le porte alla realtà circostante e dialogando con essa. 192


L’inserimento dell’area in un contesto urbano strutturato, consente di ragionare sulle possibili relazioni. L’edificio su cui si concentra l’ipotesi di intervento si prefigura come spazio multifunzionale: area di ritrovo e ristoro coperta, area per attività di mercato, area per esposizioni e piccoli eventi fieristici. La funzione varia a seconda delle necessità specifiche, ma grazie a tale attributo si riesce a ricreare un legame con il luogo. La parte restante dell’intero complesso è tuttora utilizzata come magazzino “occasionale” dagli abitanti della zona. Figura 3.91 : Fotoinserimento dell’ipotesi progettuale.

193


Stabilimento Tecnamotor S.p.aLo stabilimento, posto come il precedente a ridosso di un’area residenziale, risulta tra i più estesi complessi dismessi presenti ad oggi sul suolo Comunale. E’ costituito da un ampio ambiente longitudinale continuo a pianta libera coperto da sheds,con struttura in acciaio, sul quale si innestano numerosi volumi completivi in calcestruzzo armato. Nella rappresentazione grafica a lato, il volume principale risulta diviso in due parti, ma in realtà l’ambiente è continuo: cambia solo l’articolazione della facciata e il ritmo delle capriate, probabilmente perché il volume minore è stato aggiunto in un secondo tempo. Questo volume è proprio l’area di intervento principale. L’open space consente di sfruttare in svariate maniere l’area dismessa: in questo caso si sceglie di dar vita ad un luogo per manifestazioni / concerti / spettacoli. Sull’area esterna adiacente si concentra la seconda parte dell’intervento. Si realizza una struttura temporanea e flessibile, che reinterpreta i garage / magazzini sul lato opposto della piazza, riproponendo altri ambienti conclusi in modo da rendere l’intero piazzale predisposto ad accogliere attività di mercato e banchi di vendita. L’ipotesi si sviluppa temporalmente nell’auspicio che la rifunzionalizzazione coinvolga spontaneamente e progressivamente l’intero fabbricato, dopo che si siano collocate le prime nuove funzioni. Questi ragionamenti sono possibili, come nel caso precedente, solo per la vicinanza a un’area residenziale. Diversamente, qualsiasi intervento “leggero” che non muova ingenti capitali capaci di “ristrutturare” le gerarchie territoriali (e modali, vista la distanza che spesso separa i centri abitati dalle aree industriali), è destinato a trovare uno ventaglio di fruitori potenziali molto ristretto.

2 1

194


Figura 3.92 :

Fotoinserimento dell’ipotesi progettuale.

L’area 1, di circa 4000mq, nell’ipotesi di intervento viene rifunzionalizzata con l’inserimento di un palco e delle sedute, realizzate in griglia metallica (eventualmente anche con del legno, soprattutto per il palco), attorno alle quali si sviluppa un perimetro concluso da pareti alte da 2 a 4 metri, realizzate con la tecnica costruttiva di In/Cubo. Gli eventi e gli spettacoli si svolgono così all’interno di un duplice involucro: fabbrica dismessa il primo, e teatro - In/Cubo il secondo. Questa duplicità esiste anche sul piano logico essendo la fabbrica stessa un esempio di riuso del patrimonio dismesso, e le griglie di In/Cubo, contenendo i residui strutturali e le macerie del sito, raccolgono la seconda pratica del riuso messa in atto. Nel caso specifico si è scelto di creare un luogo che generasse una certa attrattiva e al contempo potesse essere fruito in maniera autonoma dagli abitanti del quartiere. La realizzazione di un teatro / area spettacoli, affonda le sue radici nel processo di trasmissione culturale che è insito in queste attività e che in questo modo viene “contaminato” dai concetti di riuso, ricilo e memoria, concetti chiave nell’ottica di sviluppo del progetto.

195


Sempre nel quadro di rifunzionalizzazione precedentemente descritto, si posiziona un area di mercato in prossimità dell’ingresso principale, su di un vasto piazzale. L’idea che la vendita diretta di beni avvenga all’interno dei “simulacri” dell’abuso è il punto centrale del progetto. Anche qui, la contaminazione tra azioni normalmente svolte in contesti “usuali” e elementi del riuso, trova una manifestazione fisica, nella logica di In/Cubo. I vari ambienti (da 10 a 20 mq) sono stati pensati come sedi ideali per banchetti di vendita mercatale. Possono comunque ospitare svariate funzioni (come pareti per esposizioni, sempre in seno alla trasmissione di informazioni e valori culturali). In ultima analisi si apre una riflessione sulla finestra temporale: In/Cubo, grazie alla flessibilità compositiva e alla facile spostabilità si dimostra un oggetto pertinente alle rifunzionalizzazioni temporanee di aree destinate a demolizione o trasformazione, adattabile a seconda dei diversi layout temporali. Figura 3.93 :

Fotoinserimento dell’ipotesi progettuale.

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Sintesi

L’applicazione della tecnica del progetto In/ Cubo, nell’ambito di una interpretazione “diffusiva” dell’elemento tipologico, risulta particolarmente efficace per due principali ragioni: è in grado di adeguarsi a margini temporali non convenzionali, essendo una struttura temporanea e rimovibile; è un contenitore di “macerie e residui” (opportunamente cerniti), quindi la procedura di posa in opera da un lato crea nuovi volumi, dall’altro libera il sito dagli ingombri indesiderati. Inoltre, qualora l’area di applicazione divenisse soggetta a trasformazione, una parte della bonifica sarebbe già in stadio avanzato: sarebbe sufficiente trasportare i moduli metallici, pieni di rifiuti, al sito di smaltimento per lo svuotamento. A questo punto i moduli potranno essere reimpiegati per una nuova applicazione. In questa procedura, il progetto In/Cubo diffuso rimarca la caratteristica basilare di legame con il sito; concetto di site specific: attraverso il rifiuto di un’area si rigenera l’area stessa, laddove un problema diventa un’opportunità. La comunicazione passa attraverso questa relazione, diventando lo strumento preponderante dei progetti presentati. In alcuni casi si trasmettono contenuti ideologici attraverso “monumenti”, landmarks, percorsi e “recinti”; in altri la comunicazione avviene direttamente, mediante le funzioni espresse: area per spettacoli, concerti, mostre, esposizioni; spazi dell’informazione e

della riappropriazione. E, più nel dettaglio, il dialogo con il pubblico esiste già nella pareti in se, attraverso ciò che contengono. Ogni interazione che si crea all’interno delle aree di intervento ipotizzate, avviene sotto l’influenza di questo dialogo. Le criticità, come già accennato, sono insite nella tecnica costruttiva, che non consente una articolazione “libera” delle masse, in quanto resta molto vincolata per quanto concerne gli sviluppi in elevazione con solai interpiano (si possono solamente realizzare grandi “torri piene”, all’interno delle quali non si possono realizzare solai calpestabili).

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Note al capitolo I

Il Club di Roma è una associazione non governativa, no-profit, di scienziati, economisti, uomini d’affari, attivisti dei diritti civili, alti dirigenti pubblici internazionali e capi di stato di tutti e cinque i continenti, la cui finalità è soprattutto quella di analizzare i cambiamenti globali della società contemporanea. Commissionò al Massachussets Institute of Technology (MIT) di stendere un “rapporto sui limiti dello sviluppo”. L’esito di questa esperienza fu pubblicata nel 1972 nel libro ivi citato in Bibliografia “Limiti dello Sviluppo” (Meadows D. e H., Randers, Beherens III). 4

Si fa riferimento alla struttura più alta mai costruita, il Burj Khalifa a Dubai, Emirati Arabi Uniti (progetto: Adrian Smith, SOM, 2010). Il titolo di “Edificio più alto del mondo” gli è stato assegnato il 4 Gennaio 2010. La questione del buco nell’ozono è oggetti di ampia trattazione nel libro ivi citato in Bibliografia, “I nuovi limiti dello sviluppo” (Meadows D. e H., Randers, 2006). 1

cfr. LATOUCHE Serge (2013) Usa e getta, le follie dell’obsolescenza programmata, Bollati Boringhieri, Torino. 5

Nel 1923 Alfed Sloan, padrone della General Motors, decide di attaccare il monopolio della Ford in campo automobilistico. Conscio del fatto che la competitività sul piano tecnico-meccanico con la catena di montaggio di Henry Ford non è possibile, punta sul marketing. Con il lancio della Chevrolet, crea un nuovo modello di autovettura all’anno e propone sul mercato degli incentivi per far cambiare automobile agli americani ogni 3 anni, tempo necessario a rimborsare il prestito dell’auto precedente. 6

Ora per architettura della città si possono intendere due aspetti diversi; nel primo caso è possibile assimilare la città a un grande manufatto, un’opera di ingegneria e di architettura, più o meno grande, più o meno complessa che cresce nel tempo; nel secondo caso possiamo riferirci a degli intorni più limitati dell’intera città, a dei fatti urbani caratterizzati da una loro architettura e quindi da una loro forma. Nell’uno e nell’altro caso ci rendiamo conto che l’architettura non rappresenta che un’aspetto di una realtà più complessa, di una particolare struttura, ma nel contempo, essendo il dato ultimo verificabile di questa realtà, essa costituisce il punto di vista più concreto con cui affrontare il problema”. (Rossi, 2011, pag. 21). 2 “

3

Il prestito a interesse composto (anatocismo), consiste nell’aggiunta periodica di interesse al capitale. Più si proroga il rimborso, più sale il tasso d’interesse e più cresce il debito. 7

Fonte: World Health Organization,

Negli anni ‘20 la durata media di vita delle lampadine era di 2500 ore, una durata inaccettabile per un prodotto industriale. Nel 8

2005.

198


1924 La General Electric e gli altri produttori si riunirono a Ginevra per concordare il “cartello Phoebus” che prevedeva appunto l’impegno a non produrre lampadine che durassero più di 1000 ore. Nel 1942 le società coinvolte furono condannate, ma di fatto l’accordo non fu mai cancellato. (Latouche, 2013, pag.42)

emergono dal processo di immigrazione nelle grandi città americane del periodo. Il termine “ecologia” deriva essenzialmente dall’intendere la città come un “ambiente”: prendendo in considerazione la “competizione” per l’occupazione dello spazio, gli esponenti della Scuola analizzano le forme di “adattamento” messe in atto dagli individui e dalle comunità di diversa origine che giungono a Chicago. (Governa, Memoli, 2011, pag. 64)

Con la terminologia colonizzare l’immaginario l’autore fa riferimento alle affermazioni di Patrick Le Lay, quando rivestiva la carica di presidente di TFI: 9

Workalcoholism indica la dipendenza dal lavoro scaturita dai ritmi imposti dalla società consumista e alimentata da criticità come il sovraconsumo di antidepressivi e, secondo alcuni studi, di droghe come la cocaina (Latouche, 2013). 11

“Ci sono molti modi di parlare della televisione. Ma in una prospettiva di business bisogna essere realisti: [..] bisogna che il cervello del telespettatore sia disponibile. I nostri programmi hanno la missione di renderlo disponibile: cioè di divertirlo, di distenderlo per prepararlo tra un messaggio e l’altro. Ciò che vendiamo alla Coca Cola è il tempo di cervello umano disponibile”. (cfr. LE LAY Patrick (2004) Les Dirigeants face au changement, Editions du Huitième jour, Paris)

La Banca Mondiale introduce il termine “good governance” alla fine degli anni ottanta come elemento di confronto per valutare forme e modalità di investimento nei paesi terzi, secondo modalità trasparenti, efficienti e democratiche. Il Centro delle Nazioni Unite per l’Insediamento Umano (UNCHS), nel 2002 indica le principali caratteristiche della buona governance: sostenibilità, sussidiarietà, equità, efficienza, trasparenza e responsabilità, coinvolgimento della popolazione e sicurezza. L’Unione Europea nel 2001 promulga il “Libro bianco sulla governance europea”, nella quale è definita come insieme di regole, processi e comportamenti che influenzano il modo in cui i poteri sono esercitati a livello europeo, facendo particolare riferimento all’apertura, alla partecipazione, alla responsabilità, all’efficacia e alla coerenza dei processi decisionali. (Governa, Memoli, 2011, pag. 234-235) 12

La scuola di Chicago, riunita intorno a Robert Ezra Park (che, prima di diventare professore all’università, è stato giornalista e ha svolto inchieste sociali a Chicago, Detroit, Minneapolis e New York), era composta da diversi sociologi, come Ernst Burgess, Roderick McKenzie, Louis Wirth. Nel 1925 pubblica un volume intitolato “The City” (Park, Burgess, McKenzie, 1999) che dà vita ad una corrente di pensiero definita “ecologia urbana”. Pur discostandosi dall’approccio organicista, ma ispirandosi ancora al “naturalismo”, gli studiosi della Scuola di Chicago pongono al centro della loro attenzione i problemi sociali e le forme di segregazione/assimilazione che 10

13

199

Fonte: PRB (Population Reference


Nel rapporto si individuano i problemi della circolazione e delle alterazioni ambientali dovute al crescente quantità di automobili e di traffico; si avanzano concetti teorici circa la natura e i problemi del traffico in relazione all’ambiente urbano, introducendo il concetto di capacità ambientale delle strade; si presenta una serie di studi pratici, condotti su città di diversa dimensione (piccole, medie e grandi) e di diversa tipologia (storiche, industriali, ecc). Il Rapporto Buchanan costituisce un caposaldo dell’urbanistica moderna e rappresenta una anticipazione dei temi della sostenibilità del traffico urbano. (Preto, 2000)

Bureau (1998) World Population Data Sheet. Fonte: United Nations Population Division (1998) Revision: World Population Estiamtes and Projections, United Nations Department of Economic and Social Affairs, New York. 14

Con urbanesimo si intende il fenomeno di ampia portata che ha condotto la maggior parte degli abitanti di una data nazione a vivere in ambiente urbano; inurbamento indica l’atto che compie il singolo individuo nello spostarsi dalla campagna alla città. L’urbanesimo è conseguenza dell’inurbamento. L’urbanizzazione descrive l’atto fisico di costruzione degli spazi della città. (Morbelli, 2005) 15

The Housing Development Administration of Turkey (TOKİ), ente pubblico inizialmente istituito al fine di porre rimedio alle questione delle abitazioni. Il TOKİ ha promosso la costruzione di più di 500,000 edifici in Turchia dal 2002. L’attuale presidente Bayraktar punta a raggiungere 1 milione entro il 2023. Le motivazioni del TOKİ sono legate soprattutto al fattore sismico (rilevante in Turchia), catalizzatore di demolizioni e ricostruzioni. (http:// www.todayszaman.com/) Allo stesso tempo sono già 500.000 gli alloggi vuoti per il costo troppo elevato e la cifra è destinata a crescere. (Şehir, 2012)

19

Pierre-Joseph Proudhon (1809 -1865). filosofo, sociologo, economista e anarchico francese. Michail Aleksandrovič Bakunin, (1814-1876), rivoluzionario, filosofo e anarchico russo, seguace della dottrina Proudhoniana, considerato uno dei padri fondatori dell’anarchismo moderno. Autore di molti scritti, tra i quali Stato e anarchia. 16

Emil Sax (1845-1927), economista austriaco. Deputato fino al 1879, professore all’università tedesca di Praga fino al 1893, appartenne alla scuola psicologica austriaca. Fu tra i primi ad applicare la teoria dell’utilità marginale allo studio della finanza pubblica. 17

Constantinos Apostolou Doxiadis (14 May 1914 – 28 June 1975), architetto e urbanista greco, noto per il progetto urbanistico di Islamabad, nuova capitale del Pakistan, e più tardi come padre dell’echistica. 20

Nel luglio 1963, Sir Colin Buchanan, coordinatore di un ampio gruppo di studio, consegna al Gruppo direttivo istituito nel Ministro dei trasporti inglese il Rapporto Traffic in Towns, commissionato nel giugno del 1961. 18

Il seguente estratto fornisce un esempio concreto di accumulazione per spoliazione che ne definisce il concetto: “di fatto, è possibile che soltanto una parte molto piccola 21

200


mate [..]. Emerge nitido il senso di un piano urbanistico continuo e perseverante: insieme si evidenzia il carattere fortemente risolutore e decisivo di quel periodo storico in relazione alla questione urbanistica dell’ampliamento orientale [..]. Dentro quest’ottica il libro inciso era apparso un valido strumento per la divulgazione di un programma che non era solo edilizio, ma anche urbanistico e di pianificazione territoriale nel senso più vasto, e che coinvolgeva insieme con la città capitale, in uno stretto giro di riferimento tangibile, il milieu ducale delle residenze esterne i il territorio rurale e produttivo; ne era derivata l’immagine amplificata del Potere accentrato, visto nella prospettiva diramata di realtà minori e satelliti. Il Theatrum, aveva posto su sue direzioni di ricerca temi concreti: da un lato l’immagine della capitale, un programma e un piano urbanistico fatto da urbanisti e architetti legati al giro della Corte, dall’altro quella del territorio rurale e delle città secondarie operando una sezione storica precisa che rappresentava la realtà rurale autentica, su cui stavano lavorando gli agrimensori, gli architetti, i misuratori del catasto in una dimensione più obiettiva, ancorata alle comunità locali”. (Comoli Mandracci, 2010, Pag. 45-53)

di plusvalore sia realizzato nella produzione. Se osserviamo l’esempio che ho già utilizzato, che è quello della [catena di supermercati] Wall Mart, che è una organizzazione commerciale capitalista, vedremo che ottiene elevatissimi tassi di profitto sulla base del subappalto ai produttori cinesi, che a loro volta ottengono dei tassi di profitto molto bassi. Pertanto, si tratta di una relazione di accumulazione per spoliazione”. (Harvey, 2013) La Commissione degli Artisti di Parigi fu incaricata nel 1794 di ridisegnare l’impianto urbanistico della città, in ragione dei numerosi espropri e delle distruzioni apportate dal periodo rivoluzionario. 22

Il piano prende il nome dall’ufficio di pianificazione urbana da cui proviene, ovvero quello del distretto di Zehelendorf, 19451946. Walter Moest, assistente di Hermann Jansen, fu il disegnatore effettivo del piano, insieme a Willi Goergen, Joachim Hildenbrand e Heinz Scheid Ling. Presentato il 06/16/1946, fornivano diverse opzioni per una rapida ed estesa ricostruzione dell’apparato residenziale. Prevedeva inoltre il potenziamento della mobilità di lunga distanza attraverso una serie di stazioni ferroviarie (Schlesischer Bahnhof, Bahnhöfe Friedrichstraße, Zoo e Charlottenburg). (Havemann, 1946) 23

Pochi anni dopo l’unificazione politica italiana, il 26 giugno 1865, viene varata la prima Legge di rilievo urbanistico: la 2359 con il titolo Disciplina sull’espropriazione forzata per pubblica utilità, che superò ed integrò una Legge dello stesso anno relativa ai contenuti dei Regolamenti di ornato e polizia locale. La Legge prevedeva l’esproprio a prezzi di mercato per la realizzazione di opere pubbliche (strade, ferrovie, canali) e che i Comuni con una popolazione riunita di 10.000 abitanti potessero 25

Il Theatrum Statuum Sabaudiae rappresenta una raccolta di opere sabaude sul territorio tra città capitale e “corona di delitie”. Sono fondamentali in proposito le considerazioni di Vera Comoli Mandracci: “Risulta importante il taglio critico, ormai dichiaratamente attento alla nuova dimensione urbanistica della città e alle sue palazzate uniformi o unifor24

201


Note al capitolo II

fare un piano regolatore nel quale venivano tracciati gli allineamenti all’edificazione, con il duplice scopo di rimediare alla viziosa disposizione degli edifici e per provvedere alla salubrità degli abitati. La Legge non usciva dalla logica degli allineamenti stradali e dei conseguenti sventramenti per l’edificazione. Il 15 gennaio 1885 viene emanata la Legge n. 2892, detta “Legge di Napoli” in quanto formulata per far fronte alla situazione di emergenza venutasi a creare dopo lo scoppio dell’epidemia di colera nell’anno precedente. Anch’essa prevedeva la possibilità di risanamento dell’abitato, attraverso la dichiarazione di pubblica utilità per tutte quelle opere necessarie al risanamento (case insalubri, pozzi, acque, fognature). Il sistema espropriativo, modificando la Legge del 1865 (media del valore venale dei terreni e dei fitti coacervati nel decennio) aumentò fortemente i valori di indennizzo e per tale motivo portò ad edificare nelle zone libere e di espansione della città. L’articolo 18 estendeva però a quei Comuni in cui le condizioni di insalubrità delle abitazioni, della rete fognaria e delle acque ne avevano manifesto bisogno, la facoltà di utilizzo della Legge. ( http://urbanisticaitalia. wordpress.com/2009/11/20/la-leggeurbanistica-del-1865-e-la-legge-di-napoli/ )

Dati ricavati dal “Rapporto rifiuti urbani 2012”, Roma, ISPRA, 2012 e dal “Rapporto Rifiuti Speciali 2011”, Rom a, ISPRA, 2011. 1

Con “ecomafie” (neologismo coniato da Legambiente) si intendono quelle associazioni criminali dedite al traffico e allo smaltimento illegale di rifiuti e all’abusivismo edilizio su larga scala. 2

Decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 “Norme in materia ambientale” pubblicato nella GU n. 88 del 14 aprile 2006. Supplemento ordinario n. 96. 3

Direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, 19 novembre 2008, relativa ai rifiuti, pubblicata nella GU n. L 312, 22/11/2008. 4

In urbanistica rientrano in un concetto ampio di Perequazione i vari meccanismi di distribuzione dei diritti edificatori tra i proprietari, ideati per superare i limiti diseguaglianti della zonizzazione razionalista. È definita come l’attribuzione di un valore edificatorio uniforme a tutte le proprietà che possono concorrere alla trasformazione urbanistica di uno o più ambiti del territorio, prescindendo dall’effettiva localizzazione della capacità edificatoria sulle singole proprietà e dalla imposizione di vincoli 5

Relazione del Sindaco di Torino, in “Gazzetta del Popolo”, a. XV, 27 Aprile 1862 cit., pag.2. 26

Atti Municipali, Torino, Archivio Storico del Comune, Deliberazioni della Giunta, Seduta del 29 Aprile 1862, Atti a stampa, p. 379. 27

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di inedificabilità ai fini di dotazione di spazi da riservare alle opere collettive. Manca attualmente di una disciplina legislativa unitaria su base nazionale, è però previsto da quasi tutte le leggi urbanistiche regionali ed è applicato da numerosi piani regolatori generali.

larchitettura-del-riuso-diventa-arte/. La ricerca tenta di individuare temi e criticità ricorrenti dei processi di riutilizzo sociale e li organizza nella forma di interrogativi, con riferimento ai quali alcune esperienze europee ritenute particolarmente significative (in ragione soprattutto della originalità/creatività dei modelli di riferimento sviluppati) sono chiamate a tracciare il solco di possibili risposte. Responsabile dei contenuti: Lina Scavuzzo; responsabile scientifico: Alessandro Balducci; Titolare del progetto: Paolo Cottino; contributi di: Paolo Zeppetella e Anna Dell’Olio. Fonti: http://www.urban-reuse.eu/?pageID=home. 13

Il concetto di programma complesso è chiarito nella trattazione delle “strategie nell’ambito del riuso” (ivi. pag. 73) 6

Friches, termine che in origine significa terreno agricolo incolto, ha assunto recentemente il valore “tecnico” di zona industriale in attesa di trasformazione o riconversione; testimonianza dell’ampiezza del fenomeno. (Governa, Memoli, 2011, pag. 255) 7

Si veda ad esempio gli arredi fieristici temporanei in cartone realizzati da Foldschool (http://www.foldschool.com/),A4Design (http://www.a4adesign.it/), Leokempf (http:// www.leokempf.com/cardboard.html). 14

Corte dei Conti, Comunicato Stampa n.54/2003 dell’8 Agosto 2003. 8

http://www.dps.mef.gov.it/zone_ franche_urbane/ZFU_cosa_sono.asp. 9

http://www.reduce-reuse-recycle. de/pdf/en/RRR_Bienn2012_Paper_August2012.pdf 15

http://ec.europa.eu/regional_policy/ urban2/urban/initiative/src/frame1.htm. 10

http://www.mvrdv.nl/projects/House_of_Clothing/get.pdf.html 16

Il Quadro comunitario di sostegno (QCS) è il documento approvato dalla Commissione europea d’intesa con lo Stato membro interessato, sulla base della valutazione del Piano presentato dallo stesso Stato. Il QCS contiene la fotografia della situazione di partenza, la strategia, le priorità d’azione, gli obiettivi specifici, la ripartizione delle risorse finanziarie, le condizioni di attuazione. (http:// www.dps.tesoro.it/qcs/qcs_regioni. asp) 11

12

17

http://www.urbancontest.it/2012/ 203

http://www.spazio211.com/


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Appendice Interviste

Allegato 1

Intervista 1 Data: 31/07/2013 Ambito: Spina 3, Parco Dora, Ferriere FIAT - Teksid, area Vitali e il complesso SNOS Soggetto: Direttore Comitato Parco Dora FINALITA’

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Quali sono gli scopi principali che hanno portato alla definizione / ridefinizione di questo spazio/elemento ? [quadro esigenziale locale] Dietro c’è una scelta urbanistica fondamentale, nel senso che lì non c’era il parco e non c’era abitazione. C’era industria manifatturiera pesante. La scelta è stata quella di costruire in verticale per creare un’area verde. Le linee guida del bando che ha permesso di scegliere il progetto dello Studio Latz (austriaci, tedeschi, italiani), intervenuti in parte anche sul bacino della Ruhr, avevano come punto centrale il mantenimento della memoria storica. Per cui la scelta felice dal punto di vista funzionale, ma infelice dal punto di vista gestionale, di mantenere la tettoia dello strippaggio, elemento caratterizzante del progetto. Dico felice perché è la piazza coperta più grande del nord-Italia, non c’è nulla di simile; dico infelice perché se non viene gestita entro tempi molto brevi con strumenti non ordinari, si rischia che al primo segno di cedimento della struttura di copertura, si inizia un conflitto perenne fra la chiusura e l’uso. E’ un’area che permette l’uso anche con climi sfavorevoli, perché coperta, permette di fare il Kappa Futur Festival, ce lo ha dimostrato, attività con un fortissimo impatto acustico che non hanno creato problemi intorno, perché le caratteristiche (le piante, le infrastrutture) tagliano moltissimo le onde sonore rispetto alle abitazioni. Al primo segno di cedimento della copertura, se non hai un soggetto che se ne prenda carico, tra l’altro, con modalità non ordinarie della città: devi mettere a reddito l’area. Probabilmente l’errore del progetto di Spina 3, i lotti del parco, è che nessuno ha pensato alla gestione. Geniale l‘intuizione del ridisegno e del collocamento delle funzioni, debolissima la seconda parte. Alla base del progetto vi sono scelte urbanistiche iniziali, poi valore estetico e memoria. Il capitolato del verde pubblico non parla di ferro, non parla di manufatti, di coperture. Questa cosa è quella che è stata richiesta al comitato, e non è facile, perché non ci sono precedenti. [..] Il comitato è nato nel 2006 per “accompagnare” le trasformazioni di Spina 3. Un’area per 12-13.000 nuovi cittadini previsti. Nel 2005 iniziarono i cantieri olimpici, da lì si convive per 6 anni con i cantieri, con non pochi disagi per i residenti. Il comitato ha quasi esaurito la mission e ora è richiesto di trovare modelli gestionali capaci di creare valore aggiunto nell’area. Sull’area si affaccino tre preesistenze, più un sistema di chioschi, più il dopolavoro degli operai Michelin (in accordo con noi per la ricostruzione). Il comitato facilita l’uso, ma c’è un problema sui grandi eventi che ci ha fermati anche sugli altri bandi. Per ora abbiamo avviato e realizzato solo Hortus Conclusus sulla base di un progetto di trasferimento della gestione in un anno.

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A chi sono rivolti gli spazi/servizi/attività ? [target] Io vedo tre target. E’ un parco di prossimità, pertinenziale. Molti edifici residenziali affacciano sul parco, per cui ciascuno potrebbe considerare il verde davanti a casa propria come il proprio giardino. Concetto di “cortile”, anni ‘70, lascio i bambini e li guardo dal balcone. Poi i grandi eventi, non ha ancora sviluppato questa peculiarità per errori progettuali, mancano i sottoservizi: manca il carico elettrico sufficiente, mancano i servizi igienici, sempre per quel concetto di parco di prossimità per cui se uno usa il parco, va a casa. I numeri confermano che gli utilizzatori non sono esclusivamente quelli che abitano li. I bagni dovrebbero esserci. Collegato allo strippaggio, vi sono singoli sportivi oppure “tutto ciò che si muove su rotelle” (rollers, skaters) E’ diventata sede di allenamento di diverse società. Per quanto riguarda la fascia oraria durante l’anno,

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non estiva: mattino, mamme e bambini, nonne e nipoti; primo pomeriggio, giovani; preserale, misto giovani, anziani; sera giovani.

*

Esistono finalità comuni con altri soggetti/istituzioni ? [inserimento in un quadro coerente] No, è un disastro. Fondamentalmente perché non c’è capacità di dialogo tra i soggetti. Per fare un esempio: gli arredi della piastra polivalente li abbiamo cambiati 3 volte tutti, perché non erano adatti al quel tipo di usura, quando al parco del Valentino gli stessi arredi normalmente durano 3 anni. Ora è tutto in deroga e abbiamo utilizzato la festa dello sport del 12 marzo per ottenere uno sponsor tecnico che ha fatto posizionare gli attuali, assolutamente pesanti e stanno reggendo. Il verde Pubblico ha nel capitolato degli arredi che non hanno le caratteristiche. [..] E poi il verde non riesce a dialogare col dipartimento dello sport e non si riesce a dialogare.

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Vi è un’evoluzione delle finalità nel tempo ? [variabilità temporale] Noi, per non fare cose senza tenere conto delle conseguenze, abbiamo fatto tre ricerche: una con ires piemonte, specificamente su spina 3, strutturata secondo una serie di interviste a soggetti che svolgono un qualche ruolo di responsabilità sulla città (Boglione per “Robe di kappa”, Nosiglia per Sacro Volto, Chiavrera per Turin Marathon), anche imprenditoriale e cooperative sociali: non ci sono isolati tutti per il residenziale pubblico; c’è mix ovunque. Per avere un controllo sul mix sociale, ci sono cooperative che funzionano sulla base di progetti co-housing, a cui si danno in affidamento gli alloggi strategici, a titolo convenzionato, per svolgere il ruolo di amministratori sociali. Tra queste, Valdocco e Acmos, sono stati intervistati sulla loro visione del parco. La terza ricerca è sui frequentatori ed è stata consegnata 15 giorni fa’. Costituita da 200 interviste fatte in orari diversi. La seconda è ancora non finita perché si faranno dei gruppi di lavoro per valutare strategie di sviluppo in base alle funzioni emerse a fronte di una quota di superficie presa in carico da parte dei gestori. Sicuramente in questo modo non si annulla il costo di gestione del parco ma quantomeno lo si abbatte. Potrebbe anche farsi un bando di gestione totale, “brandizzato”, da un soggetto che mette a reddito tutto a fronte di farsi carico di tutti gli oneri, non dico che sia migliore ne peggiore, dico che è una delle cose su cui bisogna fare riferimento. Passo indietro. Le imprese che hanno realizzato il Parco Dora avevano l’obbligo contrattuale di farsi carico della manutenzione per due anni dalla consegna dell’opera. Tuttavia non si riesce a far emergere dai capitolati il valore ,il “verde”, della manutenzione. Anche perché la manutenzione dipende dall’uso.

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La localizzazione dello spazio/elemento è legato alle finalità ? [continuità sociale - territoriale] Come ho già detto la localizzazione è fondamentale, per i presupposti legati alla memoria del luogo; basta guardare la torre di raffreddamento, gli orti, lo strippaggio. Poi come ho già detto, la prossimità ad una zona residenziale è determinante per la fruizione del parco, che è un parco anche pertinenziale. MODALITA’

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Qual’è l’iter che ha portato alla realizzazione dello spazio/elemento ?

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Quali sono gli elementi che ne hanno reso possibile la concretizzazione ?

[caratteristiche di processo] Un bando europeo, il progetto architettonico è stato visto dalla città, verde e grandi opere insieme all’Unità di Missione Centocinquantenario, hanno poi reso operativi i vari lotti, ne mancano ancora due in carico all’unità di missione, e non so se ne verremo fuori; per fortuna i lotti sono stati divisi tra quelli direttamente della città e gli altri. Michelin deve essere sempre consegnato, ma ogni volta che piove si ferma, la parte davanti alla Savigliano deve ancora essere iniziata e secondo me non si farà mai. La copertura della Dora sarà stombata a breve, visto che la FIAT ha perso tutti i livelli di giudizio per cui devono aprire il cantiere a carico loro. Il parco ora non è a carico del Comune, ancora a carico dei costruttori.

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(strumenti giuridici, partnerships..)

[caratteristiche del substrato] Dal bando europeo ai lotti, no sponsor nè partnerships, ma poi non si è pensato in quella direzione.

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Quali sono gli attori coinvolti ? [caratteristiche di partecipazione] Gli attori coinvolti sono gli imprenditori a cui spettano i diritti fondiari previsti dal progetto. La città di torino, l’Unità di missione. [..] Non sono ancora stati dati in concessione a privati edifici ex industriali Quale modello di si adotta per la gestione economica (qualora necessaria) dello spazio/elemento ? (autofinanziamento, pubblicità, crowd founding,..) [caratteristiche funzionali] Fino all’anno scorso il comitato aveva un accordo coi privati, che versavano un euro al metro quadrato costruito, chiamiamolo un onere sociale, di restituzione. E questa è una formula innovativa che dovrebbe essere inserita spesso nella pratica. E ora stiamo ancora lavorando con questo finanziamento. La città, valutando il masterplan, deciderà se cambiare ragione sociale del comitato. Il comitato non può fatturare. Come tutti gli enti con questa veste giuridica si sta muovendo su vari bandi per ottenere fondi. Questo per quanto riguarda il comitato. Il parco è ancora a carico delle imprese che hanno costruito. A Ottobre cominceranno a cedere al Comune, che non ha un capitolato vero, e non si ha una strategia precisa. Il comitato ha chiesto la concessione dello strippaggio: sostituirsi alla città nella “riscossione”. Vuol dire che se devi fare un’attività e chiudere un’area per uso esclusivo, per esempio, solo lo strippaggio, senza margini di sicurezza, varrebbe 37.000 euro al giorno, con una valutazione convenzionale. Vuol dire che sei fuori mercato. L’idea era che il comitato si fa concessionario e responsabile della programmazione, con sconto del 50% sull’area, per capire quanto poteva essere l’incasso annuale mettendo a reddito, usato poi per garantire una restituzione e il resto investirlo. Però per l’Art 14 comma b, non si può fare. In tutto ciò abbiamo perso richieste di utilizzo per poca chiarezza e le poche aree mettibili a reddito sono state “sbragate”, uscite dal programma, e sono state fatte cose soggettive, non integrate. Kappa ha avuto una riduzione del 90%, quando magari, sulla piazza di Torino l’Isozaki vale 32.000 euro al giorno. Anche questa possibile costruzione di economia non ci sarà per mancanza di organizzazione. In sei anni il comitato ha gestito circa 600.000 euro

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Quale forma giuridica o struttura amministrativa si adotta per la gestione dello spazio/elemento ? [caratteristiche di gestione] Il comitato nasce da tutti quelli che avevano un’interesse diretto sull’area: 17 rappresentanze nel consiglio direttivo, 3 dipendono dalla città, il resto sono privati. l’anno scorso con la spending review c’è l’obbligo di ridurre a 5 i comitati direttivi. Ora ci sono 3 rappresentanti della città e 2 soggetti economici: consorzio cinque cerchi e il parco commerciale dora. Ora dall’accompagnamento si passa all’assistenza ai singoli e alle imprese nella riqualificazione e nella partecipazione per esempio dei programmi FaciliTo, sotto diverse declinazioni.

PROSPETTIVE

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Quali sono gli effetti sulle dinamiche sociali auspicati dalla creazione dello spazio/elemento? [individui] E’ un area dalla valenza transnazionale per eventi, oltre a nuovo polmone verde. Vendibile anche a livello europeo. I radiohead sono venuti e hanno fatto un sopralluogo per fare un concerto qui, alla fine hanno deciso che era troppo “americano”. Bisogna anche considerare che è un insediamento tra i più giovani di torino (età media 39 anni). Se non si ragiona subito sui 0-15 anni, non ci sono servizi, e non basta la piastra polivalente. bisogna ragionare su questo. poi su cso Umbria abbiamo poco meno di 500 bambini tra i 0 e 5 anni, appena insediati. Su via Tesso mancano i servizi gastronomici di qualità.

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Quali sono gli effetti sulle politiche urbane auspicati dalla creazione dello 216


spazio/elemento ?

[politiche] Fosse rimasta Ilda Curti, il discorso degli oneri sociali di urbanizzazione sarebbero diventati strumenti da Piano Regolatore. Il modello Spina 3 in questo caso è da esempio. Ad esempio nell’area della Continassa non c’era nulla di conservativo nel progetto iniziale. Credendo in approccio attento al vivere degli abitanti presenti e dei futuri residenti ci abbiamo provato e siamo riusciti a ribaltare la questione degli affacci, ridando il valore di tutto ciò che era la storia. Comunque cose come Spina3, Urban2, Urban3 hanno sicuramente influenzato cose di questo tipo, proponendosi sulla scena urbanistica.

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Quali sono gli effetti sul territorio fisico auspicati dalla creazione dello spazio/elemento ? [concezione urbana] Completato il passante tra Aurora e basso San Donato la viabilità sarà rivoluzionata. I flussi verso corso Vigevano, Regina e Mortara possono girare verso la dora con tutti i benefici che porta questa cosa. Dal punto di vista commerciale tutto decollerà. Basta guardare i dati relativi a SNOS: fino a prima della rotonda di piazza Baldissero era considerabile come area residuale. L’accessibilità agli spazi del paro dell attività commerciali e dei servizi sarà la rampa di lancio per la zona

CONSIDERAZIONI

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Esistono esperienze che voi considerate simili ?(analogie, distinzioni, rapporti collaborativi, competitivi..) [continuità/discontinuità] L’Italia è piena di progetti simili a Spina 3, da Scampia in là, sui grandi interventi, insediamenti simili ci sono. Per il riuso mi viene in mente La Fabbrica del Vapore a Milano, o le OGR, che è probaible che siano uno degli spazi dal punto di vista emotivo più forti. Come lo strippaggio del Parco Dora, imponente, lungo 400 metri. L’area del lingotto sarà un’altra di quelle cose assolutamente da manuale. Ragionamenti sulla proprietà delle ferrovie, come struttture assolutamente collegabili con mezzi su rotaia. Non cosideriamo Parco Dora come un caso isolato. ci sono ancora aree nel meridione che aspettano un ragionamento, probabilmente sarà la finanza pubblica a occupare sempre minore peso nel dibattito. Credo che dalla progettazione in avanti si dovrebbe considerare il dialogo pubblico-privato come fondamentale. Nella ruhr, per esempio, non si sarebbe avviato nessun progetto senza un programma di appalto-gestione. Qualsiasi struttura ha un livello di agibilità. dopo 5 anni è molto degradato. Si parte dalla getione. in un’area come Spina 3 ci sono numerose attività economiche. Se questo ragionamento fosse stato fatto fin da subito, la programmazione. L’unico che si muove per ora è la ITOM con affaccio il Gerbido, nel Vitali Park. Si stanno prendendo accordi per fare una parcheggio nell’area relativa all’edificio, nella prospettiva che quest’area dovrà diventare nuovamente cubatura, creare qualcosa di appetibile sarebbe controproducente. E difficile una volta organizzato tutto inserire i vari soggetti con le loro necessità.Vale la pena costruire un partenariato economico che possa dire la sua in fase di progettazione, ma soggetto al controllo e alla gestione del Comune.

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Esistono momenti di discussione e verifica dell’attività e delle prospettive ? (forme di trasparenza..) [condivisione e partecipazione] C’è un indirizzario telematio di 5000 residenti e un blog. Dovevano esserci due momenti di discussione con le 2 circoscrizioni in causa (4 e 5). C’è l’obbligo di riunirsi due volte all’anno, di incotratrsi e racontare gli sviluppi. Poi c’è il comitato di indirizzo, composto da 40 soggetti in causa e serve a raccogliere le informazioni e a scambiare esperienze.

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Allegato 2

Intervista 2 Data: 08/08/2013 Ambito: Urban 3 -Barriera di Milano, Ex INCET, FaciliTo Soggetto: responsabile progetto FaciliTo Barriera di Milano presso Comitato Urban Barriera di Milano FINALITA’

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Quali sono gli scopi principali che hanno portato alla definizione / ridefinizione di questo spazio/elemento ? [quadro esigenziale locale] Lo scopo è la rigenerazione urbana. L’idea è che non si può riqualificare un quartiere mettendo a posto una strada. Si tratta di rigenerazione urbana integrata e partecipata. Sulla strada ci sono attività commerciali, ci sono persone che fruiscono lo spazio. Non si può pensare di riqualificare un’area mettendo a posto due marciapiedi. C’è l’asse di intervento fisico, ma c’è anche l’asse economico, l’asse sociale-culturale e un asse dedicato alla comunicazione, la Comunità Europea dà molta importanza alla comunicazione, infatti vedete il sito [..] quasi tutte le ragazze che stanno qua sono stagiste di giornalismo. Le finalità sono di riqualificazione in senso ampio. Facciamo dialogare 25 settori urbani perché da soli non si parlano. [..] Quando è partito il Progetto Periferie nel 1997, la situazione era che non ci riconoscevano, ci vedevano come esterni e pensavano, “ma cosa vogliono questi, io so fare il mio lavoro!”; Non trovavano il senso del nostro operato. Ora capiscono l’importanza del dialogo. [..] Tra gli interventi Urban è stato inserito FaciliTo, ex legge 267 (Bersani), che è cofinanziato dal ministero, nel programma complementare al progetto Urban. Alcuni sono finanziati dal progetto madre, attraverso la Comunità Europea, altri sono cofinanziati, come FaciliTo. Non si può solo rifare il mercato di piazza Foroni, bisogna agire anche sulle attività. Per questo di parla di progetti integrati. [..] Come nel mercato della Boqueria di Barcellona, completamente wireless, usi lo smartphone per orientarti, paghi con tiket, compri in internet. E’ stato fatto un bando di partecipazione dove si finanziano le micro e piccole imprese già insediate o in via di insediamento. Si finanzia solo se si suppone che l’intervento riqualifichi effettivamente il territorio (no call-centre, sexy shops), secondo poi delle minime condizioni di fattibilità e sostenibilità economica. Dopodiché si dava l’opportunità di seguire con un consulente che accompagnava il business plan. Il business plan lo costruisci con noi. Abbiamo raggiunto il 100% di assolvibilità. Sono state finanziate 74 imprese. La selezione avviene un po’ da se, grazie alla trasparenza. Si finanzia a fondo perduto tre il 25 e il 35 % dei progetti fino a un tetto massimo di 60.000 euro. Perciò noi siamo presenti, è un servizio di incubazione diffusa sul territorio. Sostegno ordinario intensivo per tutt l’area è al 25%. 35% è invece un incentivo per le imprese di qualità, eccellenza artigianale, ricerca, sviluppo. Abbiamo finanziato un baby parking al 35%, per la presenza di molti bambini sul territorio, per rispondere ad un esigenza diffusa. Anche le attività serali e di promozione sono finanziate al 35% e incentivate tramite la licenza gratuita, che ora non c’è più, si fa la monetarizzazione dei parcheggi gratuita. Tutto ciò non per trasformare barriera di Milano in San Salvario, ma perché l’attività serale vuol dire luce, vuol dire presidio sul territorio, vuol dire vita. E’ questo il modo di lavorare no? Per il lotto uno dell’INCET è stato fatto un avviso di interesse per il lotto A, a cui hanno risposto in 15, enorme, dove ci sarà ristorazione e incubatori di social business, coworking e servizi di accompagnamento a imprese di giovani fatte da giovani. Chi offre le condizioni migliori vince il bando e ottiene la gestione. Il secondo lotto vuole essere una casa del quartiere. Il commerciale serve a mantenere l’offerta: gli spazi vengono consegnati in condizioni perfette a prezzi convenzionati, arredati, bonificati. Le politiche giovanili, in linea con l’unione europea, si cerca di farle funzionare al meglio anche in INCET, ognuno interpreta. Urban - Barriera finisce nel 2014 ,anno in cui si chiude la finestra di finanziamento, mentre FaciliTo era un cofinanziamento di due anni ed è già finito. Bisogna spendere tutti i soldi del Programma entro il 2014, dopodiché non ci saranno più fondi.

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A chi sono rivolti gli spazi/servizi/attività ? [target] Il target è vario, dai giovani alle imprese ai singoli fruitori degli spazi. Una parte del complesso si pensava di lasciarlo alle chiese (tutte le chiese nello stesso luogo), che però sembrano avere dei problemi nell’affrontare un piano di gestione, quindi si vedrà. E’ ancora da decidere chi vincerà il bando di interesse per il lotto A, e molti dipende da questo. [..] Il servizio offerto dall’incubatore dovrebbe attrarre molti giovani e creare un mix nell’area. A prescindere dal colore politico e da pregiudizi sociali, l’offerta è trasversale.

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Esistono finalità comuni con altri soggetti/istituzioni ? [inserimento in un quadro coerente] Rappresentiamo il Comune, dalla regione passano i soldi e ci han fatto perdere un anno, la Comunità Europea ci ha finanziato, poi c’è la San Paolo. Nel parco di Spina 4 c’era la capriata porcheddu che verrà mantenuta, come nelle direttive della soprintendenza, che in questo senso rappresenta una finalità comune. Noi lavoriamo il linea con il PRG e con le istituzioni pubbliche, le rappresentiamo. Ci sono talvolta opposizioni di gruppi di cittadini non aperti a determinate situazioni. Alcune associazioni di commercianti che ritengono di aver avuto poca considerazione. [..] Il problema di base è che non è più periodo per i contributi. Le associazioni che hanno vissuto di quello non possono più funzionare. Non è che vengano meno le finalità, mancano i fondi.

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Vi è un’evoluzione delle finalità nel tempo ? [variabilità temporale] La finalità è sempre quella di riqualificare l’area urbana e contribuire a far cambiare la mentalità attraverso democrazia dal basso. La localizzazione dello spazio/elemento è legato alle finalità ? [continuità sociale - territoriale] C’era una cascina diroccata (roccafranca) che la città ha comprato da un privato. Qui la città nel 2002 acquisisce dalla provincia la fabbrica Bruni Tedeschi, quello della moglie di Sarkozy, (precedentemente acquisita) e in sede di pianificazione si decide che si riqualifica o si butta giù. [..] La riqualificazione parte dal territorio ed è fondamentale che abbia rete sul territorio per funzionare, che è il nostro lavoro. Il nostro lavoro è fare rete, e la territorialità e fondamentale. MODALITA’

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Qual’è l’iter che ha portato alla realizzazione dello spazio/elemento ?

[caratteristiche di processo] In generale, siccome i soldi sono pochissimi, 35 milioni di euro per un territorio di 50 mila abitanti, per poterli spendere meglio abbiamo messo in moto un meccanismo delirante secondo cui il ribasso di gara del primo appalto va a finanziare il secondo e così via. Se non riusciamo a seguire i nostri tempi e cade il primo, cadono tutti. Nell’NCET si è messo in pratica questo sistema. Si sfrutta in generale la programmazione europea dei fondi strutturali PE FESR 2007 2013. A settembre 2010 abbiamo presentato il dossier di candidatura e da Dicembre 2010 è stato approvato ed è attivo da allora. La regione ci ha poi fatto aspettare un anno per i finanziamenti. L’abbiamo costruito a lotti: il primo lotto, la caserma dei carabinieri, è già stata completata e il secondo, l’asilo, nido è in via di completamento. Per inciso, ci sono 8 milioni di bonifiche, solo di amianto e terreno. SI parla di un cantiere enorme. La committenza siamo noi e i progettisti siamo noi, qui è tutto dentro il settore. Noi indirizziamo anche le scelte di progetto. Per ora sono enormi spazi lunghi 23 metri e abbiamo 400.000 euro dedicati all’allestimento, che verrà fatto specificamente in base a chi vincerà il bando di gestione. Noi diciamo se può funzionare oppure no, indirizzando le scelte delle imprese e delle associazioni che si andranno ad insediare.

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Quali sono gli elementi che ne hanno reso possibile la concretizzazione ? (strumenti giuridici, partnerships..) [caratteristiche del substrato] 219


Fondi europei, programma Urban -Barriera, Comune di Torino. In genere i cofinanziatori sono i privati, privato sociale. In questo caso no però. Nessuna partnership e nessun finanziamento privato sociale.

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Quali sono gli attori coinvolti ? [caratteristiche di partecipazione] La città, noi e le associazioni. Nella manifestazione di interesse fatta dalla città si cerca qualcuno a cui affidare lo spazio dell’incet. In questo caso non si sa ancora chi sarà. Ma, come ho detto prima, ci sono già delle valide possibilità. Quale modello di si adotta per la gestione economica (qualora necessaria) dello spazio/elemento ? (autofinanziamento, pubblicità, crowd founding,..) [caratteristiche funzionali] Ma noi ci preoccupiamo più che altro di vedere se chi andrà a gestire lo spazio ha un programma che funziona. Sennò non gli affidiamo nulla. Valutiamo a priori. La gestione economica poi spetta a loro, certo, ci compete la forma giuridica, perciò facciamo un bando. Il nostro è un ruolo di supporto, per aiutare soggetti e associazioni, comunque molto grandi, tipo l’ARCI, a non fare errori di valutazione economica. Si preferisce un insieme di associazioni forti e ci devono dimostrare che il loro progetto è sostenibile, economicamente.

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Quale forma giuridica o struttura amministrativa si adotta per la gestione dello spazio/elemento ? [caratteristiche di gestione] Il comitato Urban è un ente giuridico autonomo dalla città, che invece è un macchinone, infatti noi abbiamo tempi molti più veloci. Il presidente è Ilda Curti, il comitato direttivo è composto da Curti, Conticelli, presidente di circoscrizione e altri attori politici. Noi abbiamo un comitato direttivo e un comitato di indirizzo.

PROSPETTIVE

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Quali sono gli effetti sulle dinamiche sociali auspicati dalla creazione dello spazio/elemento? [individui] Bè innanzitutto noi lavoravamo per il 70% sulla ricaduta e il 30% sui progetti. Poi è proprio nella riqualificazione il fatto di migliorare l’ambiente urbano. E da un lato la gente ci ostacola e ci boicotta. Hanno una paura folle che il cantiere si faccia. L’interpretazione sulla base dei bisogni e le esigenze fornisce strade diverse. Le direttive 2020 sono un documento che fornisce le linee programmatiche smart cities e social business (vanno di 7 anni in 7 anni, 2013-2020). Sicuramente noi ci inseriamo in queste prospettive. Siccome i tempi sono stretti, lavoriamo per dare continuità, nei due bandi che abbiam fatto, bandi “cosa succede in barriera” trovi calendari che ti dicono cosa può fare ogni giorno. Lavoriamo per far crescere le associazioni, attraverso nuovi modelli di management, come nel progetto manager d’area, veicolandole anche dentro l’INCET, per farle lavorare li. Non finanzieremo mai una festa di via, perché è una cosa ex-temporanea: finanziamo cose che generano continuità, proprio perché abbiamo una finestra di tempo limitato.

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Quali sono gli effetti sulle politiche urbane auspicati dalla creazione dello spazio/elemento ? [politiche] Noi siamo direttamente generati dalle politiche europee e dalle loro interpretazioni della città. Il programma Urban - barriera ha vinto un bando istituito da Comune, sulla base della Comunità Europee. E’ un PISU, ed è la manifestazione di una politica urbana. Per cui certo che noi puntiamo al miglioramento dei servizi, sul modello di sviluppo di altre città europee, ma di fatto rappresentiamo le politiche urbane. E’ anche vero che l’unione europea non finanzierà più programmi di questo tipo, mancano i fondi.

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Quali sono gli effetti sul territorio fisico auspicati dalla creazione dello spazio/elemento ? [concezione urbana]

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Anche qui lavoriamo per dare una continuità. Per esempio con Urban II, il progetto Nuovi Committenti, con gli artisti, svoltosi nei cortili delle case popolare tostissime, in via Poma e via Scarsellino, ha evidenziato che se una cosa è apprezzata e compresa dalla gente, questi la rispettano e la valorizzano. Dentro un cortile un artista ha realizzato un’opera molto bella. Oggi se tu vai, non trovi uno “sbrego”. Se capisci i bisogni della gente (spazio un po’’ rialzato per controllare i bambini, spazi per sedersi, molto verde), la gente lo rispetta e lo riconosce. Non ci sono graffiti, non c’è bisogno di riappropriarsi dello spazio, metterci un segno, perché quello spazio è già tuo e lo riconosci. Questa è la linea di valorizzazione del territorio che si segue.

CONSIDERAZIONI

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Esistono esperienze che voi considerate simili ?(analogie, distinzioni, rapporti collaborativi, competitivi..) [continuità/discontinuità] E’ un PISU e sul sito del Comune sicuramente troverete analogie con molti altri programmi attivati. Le analogie poi ci sono con tutti i progetti Urban, che nascono dalla stessa cosa. Cascina Roccafranca per esempio, anche se li ci sono state delle diversità, tipo finanziamento del privato sociale. Poi Carrara, Sicilia, Genova e altre città Italiane e Europee. Non è un fenomeno isolato, e ci sono sicuramente altri PISU approvati in piemonte (il bando era esteso a tutta la regione). E’ un programma a livello europeo, e offriamo servizi che esistono in molte città europee che si definiscono “avanzate”.

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Esistono momenti di discussione e verifica dell’attività e delle prospettive ? (forme di trasparenza..) [condivisione e partecipazione] Il corriere di barriera. Abbiamo un’organizzazione per cui appena arriva il corriere, questo viene distribuito in tutte le scuole, e di qui alle famiglie. Poi ci sono assemblee con i manager d’area per la progettazione, in cui vengono coinvolti i cittadini, nella sede della circoscrizione. Aperte a tutti. Poi il sito internet. Insomma c’è trasparenza.

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Allegato 3

Intervista 3 Data: 27/07/2013 Ambito: Bunker Soggetto: co-gestore degli spazi, rapporti istituzionali e tecnici FINALITA’

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Quali sono gli scopi principali che hanno portato alla definizione / ridefinizione di questo spazio/elemento ? [quadro esigenziale locale] Si potrebbe dire che sia la possibilità di gestire uno spazio in autonomia secondo delle regole che noi riteniamo conformi ai nostri interessi e principi. Creare un luogo dove si possano ospitare attività diverse, notturne, diurne concerti e spettacoli con gente che magari non potrebbe permettersi di fare altrove. Spettacoli molto diversi. Ci piace l’idea di poter fare un po’ di tutto. Uno spazio libero di incontro e di socievolezza. Un locale ha la sua destinazione e farà. Noi abbiamo uno spazio libero dove puoi ospitare gente che vuole fare installazioni, conferenze, eventi, serate, senza un target specifico. Poi c’è la riflessione sugli spazi inutilizzati, che sono moltissimi molto dell’interesse deriva dal fatto che più della metà di noi vengono da architettura, e conoscono bene la materia, avendo poi suggestioni che derivano dagli studi accademici. Poi sappiamo meglio come gestire gli spazi e come usare gli spazi: non abbiamo bisogno della consulenza di un architetto perché lo siamo già noi.

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A chi sono rivolti gli spazi/servizi/attività ? [target] Gli spazi sono rivolti praticamente quasi a tutti. Un po’ alla gente del quartiere che speriamo che nel corso dei mesi pian piano inizi a frequentare il posto, un po’ a coetanei e amici, un po’ a sistemi culturali o associazioni simili; tendenzialmente cerchiamo di attirare un pubblico più vasto possibile per ampliare il target e la conoscenza del posto. La fascia maggiore è 25-35 anni, l’abbiam visto dai dati di FaceBook.

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Esistono finalità comuni con altri soggetti/istituzioni ? [inserimento in un quadro coerente] Ma per certi versi ci sentiamo un po un caso isolato, perché e un progetto per certi versi autonomo, ma non antagonista ad esempio, quindi c’è molta meno connotazione partitica e politica che non molti centri sociali o altri spazi di questo tipo. Poi il fatto che sia concesso da un privato anziché da un pubblico ci rende un po’ più indipendenti perché quando uno spazio è dato da un pubblico ti chiedono tanto di dargli una finalità, un taglio. Mentre invece, altre realtà cosi non è che ci siano, poi siamo molto vicini a tutti quelli che fanno progetti di riqualificazione, di orti urbani, gallerie culturali, musei un po’ indipendenti. C’è tutta una rete di realtà simili.

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Vi è un’evoluzione delle finalità nel tempo ? [variabilità temporale] Tendenzialmente noi stiamo continuando a farlo crescere, finché lo spazio ha delle potenzialità. Nel senso che stiamo continuando ad aggiungere funzioni, e quindi contenuti, in base a quello che possiamo fare come bilancio economico e spazio. L’area del wake, l’anno scorso non abbiamo potuto usarla per gli arbusti. Una volta che siamo riusciti a pulirla siamo riusciti a dargli una destinazione. Serve un po’ lo spazio per capire cosa accogliere. Come finalità più alte il progetto più o meno resta quello, continuare a coinvolgere le persone attraverso le attività, ad esempio il bacino del wake non l’avremmo mai pensato di fare se non fosse spuntato un amico col progetto già fatto. [..] Gli orti invece è una cosa che avevamo già in mente. Più fattibile e più legata a tutti gli spazi urbani, che siano scuole, parchi pubblici o aree private, tutti 222


hanno un pezzo di terra che possa essere usato per fare un po’ di orto, infatti ci son tanti progetti che lavorano in scuole o sedi delle circoscrizioni. Cosi come le api, ora ci son 10 casette di api (arnie) fatte da un associazione che sostiene l’apicoltura in città. A noi ovviamente la cosa è piaciuta da subito ma non ci avevamo pensato. Invece loro ce l’hanno proposto e noi l’abbiamo accolto molto volentieri.[..] Questo è un caso un po’ particolare perché siamo affianco dello scalo Vanchiglia, e c’è tutta la variante 200, quindi c’è tutta una serie di funzioni future pensate dalla città e dal piano urbanistico che loro vorranno portare qua, e noi in un certo senso vorremo provare a usare questo spazio come un laboratorio di sperimentazioni per portare già quelle funzioni lì; quindi se la trasformazione urbana vorrebbe essere fatta su verde, sport, creatività, artigianato, come dire, le trasformazioni urbane cercan sempre di dire che quello lo vorrebbero far diventare un polo di creatività. Noi i un certo senso stiamo cercando di far arrivare qua degli artigiani e degli artisti, dandogli lo spazio, accogliendo dei progetti che poi possano essere trasferiti qua affianco.

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La localizzazione dello spazio/elemento è legato alle finalità ? [continuità sociale - territoriale] La localizzazione secondo me è fondamentale perché in base allo spazio che hai puoi fare o non fare determinate attività. Il primo esperimento che avevamo fatto di questo progetto ,in via Foggia, era in mezzo alle case e ai palazzi, e quindi non potevi fare musica oltre una certa ora, era un sistema di capannoni con cortile d’asfalto quindi non potevamo fare gli orti; avevamo fatto solo una piccolo orto come gesto un po’ più simbolico. Qui invece abbiamo lo spazio per farli e li facciamo volentieri. MODALITA’

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Qual’è l’iter che ha portato alla realizzazione dello spazio/elemento ?

[caratteristiche di processo] Abbiamo incontrato il proprietario dell’area per caso, nel senso che c’è stato un amico comune [..] che frequentava via Foggia. Quindi è stata una coincidenza che sia saltato fuori lui. Dopo i primi quattro mesi che abbiamo gestito la cosa, in modo supertemporaneo, cioè l’estate scorsa, lui si è dimostrato interessato a portarla avanti con noi e quindi sostanzialmente adesso stiamo collaborando con lui. C’è stato lo stesso iter di vai Foggia. Pulire e mettere un po’ in sicurezza il posto, chiedere una licenza temporanea al Comune, presentare al Comune il progetto e descrivere cosa vogliamo fare, richiedere il patrocinio al Comune. I primi quattro mesi l’accordo era basato su un comodato d’uso gratuito. Che in sostanza funziona che il singolo proprietario riceve quest’offerta per degli spazi inutilizzati o sottoutilizzati [..] Adesso che in pratica siamo in società con lui, il privato, che mette gli spazi e abbiamo un accordo economico, soci.

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Quali sono gli elementi che ne hanno reso possibile la concretizzazione ? (strumenti giuridici, partnerships..) [caratteristiche del substrato] Non tanti: il riconoscimento della città attraverso il patrocinio, già, non è proprio uno strumento giuridico, però è una condizione per certi versi quasi giuridica, nel senso che qualsiasi cosa che facciamo la comunichiamo, la descriviamo, la spieghiamo. Cioè non cerchiamo di farci gli affari nostri di nascosto ma, diciamo, la richiesta del patrocinio è fatta alla città in generale, ma nello specifico all’assessorato all’urbanistica, al commercio, alla cultura, ai quali tendenzialmente chiediamo i permessi che dobbiamo chiedere e insomma c’è un dialogo abbastanza continuo. Per quanto riguarda le licenze, sono temporanee, perché lo spazio non è adatto a ricevere licenze stabili, e le licenze ci vengono concesse anche perché abbiamo il patrocinio. Adesso siamo nella condizione di dover smettere di richiedere licenze temporanee, perché la città in un certo senso si è stufata di concedercele. Adesso stiamo scrivendo una specie di convenzione con la città per sbloccare le destinazioni d’uso bloccate, essendo una zona di trasformazione urbana, quindi qua si può fare artigianato e fabbri e magazzinaggio, che sono le sue destinazioni d’uso, ma non si possono sbloccare. Le future saranno abitativo, commercio cultura, sport e altro. Noi stiamo cercando di farci concedere quelle destinazioni future per il periodo di trasformazione. Cioè al posto che tenerlo fermo e bloccato, poter fare le cose che la città ha già deciso che farà, però a livello di normativa urbanistica, diciamo che serve un documento che dica che quelle funzioni li sono anticipate, e’ un documento che siamo facendo principalmente con l’urbanistica

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Quali sono gli attori coinvolti ? [caratteristiche di partecipazione] Con le associazioni e le reti di solito collaboriamo abbastanza a spot, per una singola mostra o per un evento. Con i singoli artisti abbiamo un rapporto di natura diversa. Per dire, li invitiamo a dipingere, li ospitiamo una settimana, cerchiamo di pagargli un minimo le spese. Accogliamo anche altre opere d’arte in rapporti abbastanza amichevoli.[..] C’è il proprietario, privato, che rappresenta una società. Le istituzioni: Comune e un po’ di assessorati specifici. C’è tutto un sistema di collaborazioni e confronto. [..] Per dire, una serie di contatti che stiamo portando avanti è venuto fuori da una mostra della fondazione Pistoletto che ha selezionato 12 progetti nel Piemonte di questo tipo. Il riuso d un vecchi asilo, oppure residenze temporanee. Ora ogni tot mesi ci incontriamo e ci diciamo le difficoltà di uni e degli altri. Fra cui c’è Diogene, quelli del tram nero in corso Verona, A.titolo che hanno collaborato nel cantiere Barca. Prima ci conoscevamo di vista, ora ci scambiamo opinioni, finalità.

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Quale modello di si adotta per la gestione economica (qualora necessaria) dello spazio/elemento ? (autofinanziamento, pubblicità, crowd founding,..) [caratteristiche funzionali] In parte le spese sono finanziate attraverso il bar, le serate, gli eventi. Invece un’altra parte è stato un’investimento di fondi nostri, quindi sempre autofinanziamento, e altri fondi che ha messo il proprietario per fare cose più complicate tipo le ruspe degli orti. Autofinanziamento e investimento comune. Orti e Wake le abbiamo sudiate perché fossero a bilancio 0 nell’arco di tre anni. Così come l’uso degli altri capannoni che hanno il fabbro e il ponteggista. Lui è disponibile a togliere quelle funzioni per metterne di più vicine a noi se non gli cambia il bilancio [..]

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Quale forma giuridica o struttura amministrativa si adotta per la gestione dello spazio/elemento ? [caratteristiche di gestione] Associazione culturale no profit. C’è un presidente e un vice e ora stiamo creando un nuovo soggetto.

PROSPETTIVE

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Quali sono gli effetti sulle dinamiche sociali auspicati dalla creazione dello spazio/elemento? [individui] Come dicevo prima, offrire un posto di incontro e di socievolezza un po’ isolato dal resto della città dove non si creino problemi di schiamazzi, parcheggi. [..] Dove si possano ospitare interventi artistici e un uso degli spazi autonomo. Per dire, se fossimo stati in concessione dal Comune, per ogni cosa appesa o dipinta sui muri avremmo dovuto chiedere il permesso. Invece è uno spazio di espressione autonomo e di incontro e socievolezza libero.

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Quali sono gli effetti sulle politiche urbane auspicati dalla creazione dello spazio/elemento ? [politiche] Siamo in confronto con la città e alcune delle cose che gli abbiamo chiesto negli ultimi due anni, le stanno inserendo tra le normative della variante 200. Usando un po noi, non come cavia, però noi gli spieghiamo cosa facciamo, gli diciamo i problemi che ci sono di licenza eccetera e loro stanno cercando di modulare, anche attraverso quella convenzione che stiamo scrivendo.

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Quali sono gli effetti sul territorio fisico auspicati dalla creazione dello spazio/elemento ? [concezione urbana] Bè facciamo rumore, quindi le case ogni tanto si lamentano per la musica. Però la via di accesso, Via Paganini, che era una via cieca, era una matassa di verde incolto, ferrami, spazzatura e venivano un po’ i tossici un po’ le mignotte. Ma di nuovo è una cosa che deriva dalla connotazione fisica. Se questa cosa fosse affacciata su una piazza avrebbe avuto connotati diversi.[..] Che gli spazi vengano riutilizzati è difficile che blocchino un progetto urbano nella sua interezza. Magari rimangono delle tracce. Quello che ci piacerebbe è che ci fossero delle eredità funzionali, quindi nel parco che verrà fatto

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lungo corso Regio, magari fare tanti orti, chessò 30.000 metri quadri di orti, oppure un bacino del wake nel parco. O una tettoia in cui quelli degli orti possono vendere il prodotto agricolo, e magari fare dei gruppi d’acquisto. Più che il mantenimento degli edifici fisici ci piacerebbe aver portato li già delle funzioni.

CONSIDERAZIONI

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Esistono esperienze che voi considerate simili ?(analogie, distinzioni, rapporti collaborativi, competitivi..) [continuità/discontinuità] Una si chiama Favara Farm Cultural Park, che ha aperto la settimana scorsa, simili simili non molto: son sempre un po’ antagonisti, centri sociali. Quelli della Pistoletto invece sono cose più piccole, noi siamo un po’ più casinari. [..] Proprio in questi incontri è venuto fuori che è meglio fare quel che si vuol fare e quando si è messi bene, a buon punto del lavoro, iniziare a fare rete

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Esistono momenti di discussione e verifica dell’attività e delle prospettive ? (forme di trasparenza..) [condivisione e partecipazione] Interni all’associazione e con il proprietario. Con l’assessorato anche per fare un po’ il punto della situazione. Con la gente non molto, potremmo farlo molto di più, perché siamo comunque sempre impegnati con le serate o con i lavoro o con il proprietario. Non ci sono tanti momenti di dialogo. Anche tramite FaceBook, dovremmo organizzare eventi di incontro e di scambio. La gente del quartiere è abbastanza diffidente. Ci percepisce come una specie di discoteca un po’ strana, che è spuntata lì. Però di settimana in settimana c’è sempre più gente che vien a vedere gli orti. Vediamo anche delle mescolanze interessanti, tipo l’altro giorno c’era qui WePlay (WePlayTheMusicWeLove, serata di musica elettronica) nel piazzale con i vecchiettini che passavano in mezzo per andare a vedere le zucchine, con la musica sparata, vestiti da domenica tra la gente che balla quella che zappa, quello col muletto.[..] Insomma quando si creano situazioni di quel tipo li a noi da soddisfazione. Tipo quando fai una serata con due generi completamente differenti e vedi quelli che vengono a caso al bunker che si mescolano con quelli di una e quelli dell’altra serata. Tutti e tre i pubblici che si mescolano fanno delle situazioni abbastanza inconsuete, che tutto sommato è una cosa che ci piace.

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Allegato 4

Intervista 4 Data: 31/07/2013 Ambito: Cecchi Point, CPG, casa del quartiere, Via Antonio Cecchi 17, Circoscrizione 7, Borgo Aurora Soggetto: direttore dell’associazione Il Campanile ONLUS FINALITA’

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Quali sono gli scopi principali che hanno portato alla definizione / ridefinizione di questo spazio/elemento ? [quadro esigenziale locale] La necessità di un luogo di relazione nel quartiere. Una volta ciò succedeva nelle scuole che erano residenziali, tutti andavano in quella scuola lì, e negli oratori. Ora cosa succede, che nelle scuole di Porta Palazzo in maniera particolare, vanno solo alcuni, gli altri vanno in altre zone, per cui sei vicino di casa ma vai in scuole diverse. I genitori si incontravano ai consigli di classe, i figli si incontravano a scuola. Adesso non c’è più questo spazio di contaminazione. L’altro aspetto erano gli oratori. Oltre a dipendere dai preti presenti eccetera, a un certo punto sono più il luogo a cui fare riferimento all’interno di Porta Palazzo, perché sono di etnie diverse, religioni diverse. Cosa succede, che non c’è più uno spazio pubblico dove i vicini di casa si incontrano. L’istituzione deve preoccuparsi di creare case del quartiere. L’Associazione Il Campanile ONLUS, ha nella sua mission la costruzione di luoghi di comunità. La costruzione di percorsi di comunicazione tra pari, piuttosto che tra differenti etnie. Cioè non siamo orientati al discorso degli “stranieri” e “gli altri”. Noi operiamo per creare relazione e nel luogo in cui facciamo relazione, che è Porta Palazzo, evidentemente la componente degli stranieri ha la sua valenza. La mission è la contaminazione che è a livello culturale, quindi hub multiculturale. Contaminazione dei singoli, per cui c’è l’anziano che balla alla festa di natale col ragazzo magrebino e che magari sul marciapiede si sarebbero scansati: ma c’è anche la contaminazione tra agenzie per un bene comune. E il bene comune è proprio questa costruzione di relazioni, questa dimensione culturale, la dimensione delle officine creative, quindi anche la parte lavorativa, e dare delle prospettive diverse, soprattutto in un periodo di crisi.

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A chi sono rivolti gli spazi/servizi/attività ? [target] Da 0 a 99 anni, perché dai giovani partono attività importanti per tutti. Tra l’altro molti progetti sono legati a determinate categorie. Non c’è più possibilità che i giovani parlino con gli anziani. Quale trasmissione culturale migliore c’è del racconto degli anziani. Incontrare stili diversi. [..] Allora, sono attività nella loro veste istituzionale completamente orientate al sociale. Nel momento in cui abbiamo dovuto far entrare attività sostenibili, come ad esempio il ristorante, che è aperto al pubblico eccetera, piuttosto che investire sull’imprenditora giovanile che ha creato tutto quello che è il discorso delle officine creative,comunque sono attività, che sebbene siano legate al profit, sono in realtà a sostenibilità dell’hub o a sostenibilità dei percorsi formative dal punto di vista lavorativo per giovani e quindi comunque, soprattutto in questo periodo, ha la sua valenza sociale notevole.

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Esistono finalità comuni con altri soggetti/istituzioni ? [inserimento in un quadro coerente] A partire da The Gate, noi ci siamo dentro a tutti gli effetti. E ora sta diventando un’occasione di scambio tra vari enti. Tecnicamente alcune agenzie collaboravano con noi già nel centro di via Monza. Diciamo che le associazioni storiche con cui abbiamo sempre collaborato, che sono QuintaTinta, VideoCommunuty, sono associazioni che comunque interpretano l’offerta culturale, che sia cinema, che sia danza o teatro, comunque anche con una discreta attenzione al sociale. Per cui cosa è successo: nel momento che è nato il Cecchi Point come hub multiculturale, nato con l’esigenza di rispondere alle 226


richieste del territorio, un luogo comune dove potersi incontrare, una casa del quartiere, le prime agenzie che sono entrate sono quelle con cui collaboravamo di più. Ma non solo. Tutte quelle che sono entrate successivamente, sono entrate già nello spirito dell’hub.

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Vi è un’evoluzione delle finalità nel tempo ? [variabilità temporale] Proprio perché è nella natura del progetto creare uno spazio che risponda alle esigenze del territorio, tu non puoi costruire le esigenze del territorio a priori. Perché il rischio è di fare un progetto che poi non sia adeguato. Bisogna ascoltare la gente: tutta la parte delle officine creative non era tematizzata del progetto. E’ nata da MuoviEquilibri che ha messo dentro la cicloofficina, poi è arrivato IZMO con il riutilizzo architettonico di pallet e via dicendo. E allora adesso bisogna dare una risposta, e bisogna capire istituzionalmente come ci proponiamo anche perché l’altra parte, è stare alle norme. [..] Se volgiamo fare uno spazio di start up a livello imprenditoriale giovanile, io non posso dire:”lavoriamo in mezzo alla polvere e chissenefrega” e senza avere dei costi, perché sennò quando uscirò dall’hub non sarò in grado di competere, Bisogna fare determinati percorsi.

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La localizzazione dello spazio/elemento è legato alle finalità ? [continuità sociale - territoriale] E’ legato alla storia più che altro ma senz’altro è legato alle finalità. D’altronde Porta Palazzo, identità molto forte, un hub multiculturale più che a Porta Palazzo, l’integrazione, l’immigrazione, l’istruzione, sono cose che nascono dal luogo. MODALITA’

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Qual’è l’iter che ha portato alla realizzazione dello spazio/elemento ?

[caratteristiche di processo] In sintesi, sul Cecchi, dove noi eravamo abitanti, nel senso che lo usavamo per fare le nostre attività educative a alcune attività artistiche, doveva essere fatto un grosso progetto, Le Officine di Idee , finanziato e messo a bilancio del Comune di Torino prima del 2006 per 13 milioni di euro. Con le olimpiadi e i problemi di cassa, ha cassato sia il progetto Officine di Idee che quello della biblioteca che doveva sorgere qua vicino. Per cui è successo che per un tot di anni non abbiamo potuto toccare niente perché doveva essere abbattuto tutto e rifatto da capo e comunque Il Campanile sarebbe stata una delle associazioni presente all’interno delle Officine di Idee. Dopo il 2006, i lavori dovevano iniziare a settembre 2007, non avendo più al cun tipo di rassicurazione, noi abbiamo continuato a operare in una struttura molto più piccola: noi avevamo la palazzina educativa, la tettoia e qualche locale sgombero lì davanti nel cortile piccolo (adesso è un unico cortile, una volta erano proprio divisi in due cortili diversi). A quel punto io ha chiesto un incontro assessore Levi, politiche giovanili, assessore Curti, politiche dell’integrazione del Comune di Torino della giunta di allora,e sono andato a comunicargli, questo nel gennaio 2009, che se non fossero potuti intervenire in nessun modo nella ristrutturazione, noi avremmo rinunciato a fare attività li dentro, Perché non ci sembrava congruo il messaggio che volevamo dare di accoglienza con gli spazi inadeguati, non a norma, ammalorati, che fino a quel momento avevamo a disposizione e che non avremmo assolutamente potuto toccare. Una prima ipotesi di ristrutturazione era stata di 600.000 euro. Poi attraverso Levi e Curti siamo riusciti a intercettare questo bando della fondazione Vodafone e fondazione UmanaMente, proprio legato a sviluppo della territorialità e via dicendo. Abbiamo preparato questo progetto, come associazione il campanile, e siamo riusciti ad ottenere questo finanziamento di 800.000 euro dalla fondazione Vodafone e di 400.000 euro da UmanaMente. In un primo step sembravano sufficienti, ma siccome la Regione nel 2010 aveva deliberato la creazione di hub a livello regionale, come luogo di incontro per i giovani e noi rientravamo a pieno titoli in questo progetto, abbiamo chiesto un finanziamento alla Regioni di 400.000 euro per completare la ristrutturazione. Poi è subentrata la crisi 2008 ed è cambiata la giunta nel 2010 e i soldi non li abbiamo più visti, e ciò ha fatto sì che , tra ampliamento della ristrutturazione, che era prevista all’inizio solo nel cortile piccolo, quindi lavori aggiuntivi, è subentrata la compagnia di Sanpaolo con 250.000 euro, ma comunque il completamento di tutta l’opera ha richiesto un altro finanziamento da 480.000 euro, da parte di Il Campanile, con Banca Prossima, che noi dobbiamo restituire per 10 anni a 70.000 euro l’anno. Per cui con questi soldi è stata pagata la ristrutturazione e anche l’attrezzatura presente all’interno, La sala, cinema, gli impianti luci. Il ristorante, per essere veramente sostenibile è

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stato ampliato con un costo di 120.000 euro. I costi sono aumentati in vista della sostenibilità dell’hub. [..] Non è avvenuto come in altri luoghi, dove il comune ha deciso di ristrutturare un edificio dei suoi e poi l’ha messo a bando per un certo tipo di attività. Qua è stato il contrario, c’era già l’associazione presente c’era già l’utenza c’erano già le esigenze sul territorio. Il comune ha messo in contatto le fondazioni e le associazioni e l’associazione si è occupata direttamente di ristrutturare, quindi tutti i contratti [..], cantiere e sicurezza erano firmati a nome Campanile. I pagamenti son stati fatti da noi e vantavano crediti nei confronto nostri, non del comune. Ma questo ha abbreviato enormemente i tempi, cioè , nel giro di un anno e mezzo la ristrutturazione era pronte, finita. C’è stato molto coinvolgimento delle agenzie, del volontariato, per cui tutti i lavori a norma, uffici, palazzina educativa, teatro, spazio polifunzionale e ristorante son stati fatti con i soldi delle ristrutturazioni. Tutti i lavori dall’altra parte, che va dalle officine creative, alle sale musica, allo spazio danza, al teatro vecchio, son tutti lavori che sono stati fatti da volontariato e quindi senza nessun costo per l’amministrazione.

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Quali sono gli elementi che ne hanno reso possibile la concretizzazione ? (strumenti giuridici, partnerships..) [caratteristiche del substrato] Il protocollo d’intesa tra fondazioni e città di Torino, firmato da sindaco Chiamparino, che assegnava ad un soggetto privato, un’associazione, una ONLUS la realizzazione del progetto. Quindi un incontro tra pubblico e privato. Sicuramente aver individuato un soggetto che ha una storia sul territorio, Sicuramente l’aver trovato politici molto sensibili. Allora, lo strumento principale non è più una concessione, ma è una messa a disposizione. Concessione cosa significa: concessione è la stessa valenza giuridica di un affitto. Il comune ti da per 10 anni questo locale, per cui in una trattativa con le fondazioni avevano dato 10 anni a noi il locale perché l’avevamo ristrutturato e destinazione d’uso per 30 anni ad attività culturali eccetera. Questa era la prima versione. Ma in questa dinamica d’affitto, nonostante ci fosse la cosiddetta “cabina di regia”, che però non si è quasi mai trovata, che aveva più una funzione di spettatore rispetto a quello che capitava; con la messa a disposizione tutti questi soggetti non sono più spettatori, sono parte in causa, perché il comune mette a disposizione i locali per fare un progetto d’interesse per la città; per cui tutto ciò che succede li dentro deve essere validato dal comune che non solo rimane padrone di casa, ma rimane anche responsabile ultimo del progetto. Questo a fatto si che rispetto ad altre concessioni che sono onerose, con la messa a disposizione la parte del comune, il compito della città non è sostenere il progetto ma coprire dei costi. Banalmente il comune per i costi di riscaldamento, acqua, elettricità, mi pare tocchi i 60.000 euro l’anno. C’è voluto un anno e mezzo per riuscire ad avere la messa a disposizione perché era una cosa talmente fuori dalle categorie di affidamento di spazi, che hanno dovuto costruire questo percorso di affidamento. C’è voluto un tot di tempo, anche perché il comune deve fare attenzione che non vengano utilizzate le risorse in modo improprio, perché c’è sempre il rischio del peculato.[..]

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Quali sono gli attori coinvolti ? [caratteristiche di partecipazione] Il percorso ci sta portando da associazione campanile ed associazioni affilate, che sono tante, non ho l’elenco sottomano in questo momento, e sono comunque tutte insieme il beneficiario dello strumento concessione. Il Campanile è solo capofila in quest’elenco. Cioè non esisterebbe un hub multiculturale Cecchi Point affidato solo al Campanile. Uno perché il Campanile non se lo vuole prendere: non fa il tuttologo di mestiere. Poi, soprattutto nella fase iniziale, il comune aveva i due settori, politiche d’integrazione e politiche giovanili, con i direttori che erano rispettivamente Sospetto e Cortese, che partecipavano a tutte le riunioni. Ma a quasi tutte le riunioni hanno partecipato anche l’assessore Curti e l’assessore Levi. C’è stato un rapporto in questo, saltando anche alcune barriere. E questo è anche un po’ di modello. Una facilitazione è che non ci sono stati rapporti formalissimi, anche perché a monte esisteva già il tutto, era solo da mettere in maniera diversa. La formalità e la burocratizzazione serve per dare garanzie, anche per questo si fanno i protocolli di intesa all’inizio. [..] Per l’utilizzo degli spazi da parte di altre associazioni si fa una richiesta formale, dopodiché viene portata in commissione gestionale nonché in tavolo d’indirizzo che valutano se convalidare il rapporto di partenariato. Non si parla mai d’affitti: non subaffittiamo. Perché è proprio nello spirito dell’hub quello di non lasciare spazi in esclusiva. Ci sono esclusive funzionali, ma non esclusive di utilizzo perché sennò il rischio è che diventi un condominio. E’ anche più semplice da gestire. Diversa è l’aspirazione che richiede molta più fatica, perché tutti si devono sentire partecipi dell’unica comunità. Utilizzo gli spazi, ma mi interessa di tutto. Da settembre in poi si userà una tecnica di consenso formale tale che le scelte non sono più per alzata di mano: si esamina la situazione fino a che tutta la commissione non prende una decisione unica. [..] Cosi si agisce 228


anche sulla motivazione. Voi capite: avere spazio a basso costo o gratuiti, può attirare chiunque. Il rischio che qualcuno venga per risparmiare è sempre presente. Ma sarebbe come un virus avere nell’hub qualcuno che è li solo per far gli interessi propri. Esisterà sempre il rischio e dovremo sempre vigilare su questo. Poi siamo in ottimi rapporti con fondazione San Paolo, mentre UmanaMente e Vodafone hanno finanziato una tantum, anche perché meno legate al territorio. Per i lavori poi sono stati contattati degli studi privati, ed è stato fatto tutto perfettamente in regola, è stata fatta la DIA, le verifiche eccetera. Ci siamo avvalsi di professionisti che hanno seguito il progetto dall’inizio alla fine.

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Quale modello di si adotta per la gestione economica (qualora necessaria) dello spazio/elemento ? (autofinanziamento, pubblicità, crowd founding,..) [caratteristiche funzionali] Ma per esempio ora compagnia di San Paolo, attraverso il Progetto Case a finanziare la gestione dell’hub. Quest’anno interverrà con 120.000 euro, di cui però 70.000 vanno a copertura del finanziamento che abbiamo dovuto sostenere,20.000 vanno al centro diurno aggregativo e 30.000 vanno alla gestione, ma voi potete immaginare che non bastano. il budget rendicontato del 2012 comporta come onere della struttura perché tutto funzioni, 500.000 euro. L’anno scorso, a spanne, 190.000 euro sono arrivati da contributi pubblici, tra bandi, progetti e finanziamenti, tutto il resto, a spese di sostenibilità dell’hub, attraverso o la ristorazione o i rimborsi ai locali, o agli spettacoli o a finanziamenti privati o associati stessi (autofinanziamento).

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Quale forma giuridica o struttura amministrativa si adotta per la gestione dello spazio/elemento ? [caratteristiche di gestione] Il Cecchi point è accreditato come centro diurno aggregativo giovanile, che è un’attività educativa in convenzione col Comune di Torino. [..] Allora, il Cecchi ha più anime. Il soggetto prevalente è l’associazione Il Campanile. Prevalente è un brutto termine, ma è stato verbalizzato così nel protocollo di intesa. E’ quello che ha in carico tutti i contratti e si è occupata della ristrutturazione. Noi come associazione siamo stati una specie di start up per il Cecchi. [..] Il volontariato, fatto da Il Campanile e altre associazioni, soprattutto visto che le agenzie sono molte, ci ha portato a dover sistematizzare quello che era la struttura con una serie di commissioni. Per cui cosa succede: che a parte il tavolo di indirizzo che è il tavolo di gestione, che insieme a politiche integrazione, politiche giovanili e istruzione e circoscrizione 7 e stiamo cercando di legarlo anche al tavolo delle politiche sociali, ed è un tavolo che si trova ormai da giugno ogni mese per verificare l’andamento dell’hub, avevamo la necessità di creare un soggetto unico; pur essendo Il Campanile il soggetto prevalente, riconosciamo che tutto quello che è avvenuto lì dentro è avvenuto anche grazie al contributo degli altri. Per cui si è creato prima una commissione gestionale, che comprendeva Il Campanile, QuintaTinta, Video Community, MuoviEquilibri e Associazione Commercianti Aurora, che sono gli anziani che stanno dentro la struttura, giocano a carte, ma ci hanno dato molto una mano nella gestione e noi li chiamiamo i “cecchi boys”. Questi soggetti, che erano i primi entrati, si trovano una volta al mese per prendere decisioni sull’hub. Sotto di questo ci sono delle commissioni. Perchè le tre aree del progetto sono l’area educativa, l’anima del luogo, l’area artisica e culturale e l’area sostenibile, cioè tutte quelle attività che invece sono nell’hub per sostenerlo e promuovere progetti di sostenibilità dei giovani. Ognuna di queste aree ha la sua commissione. Esiste anche una commissione economica che si occupa della valutazione e validazione dei costi.

PROSPETTIVE

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Quali sono gli effetti sulle dinamiche sociali auspicati dalla creazione dello spazio/elemento? [individui] Secondo me, diventare un luogo di vita reale per il territorio, per dare occasioni culturali diverse per il territorio. Immaginate che la gente del quartiere non va spesso al Regio. Qui gli spettacoli li possono vedere anche dal balcone delle case. Gli stessi figli si “bevono” gli spettacoli teatrali. Tra l’altro, fatti da professionisti. Ci son ragazzi che vengono ai concerti di musica. Concerti jazz, concerti di musica occitana e via dicendo. [..] Il fatto di essere a contatto con i professionisti, non vuol dire che tutti quelli che vanno a fare il laboratorio teatrale diventeranno attori. Se ti va bene ce n’è uno su dieci. Ma quell’uno su dieci ha nella porta accanto la possibilità di sviluppare quelle sue capacità. Prima se a quell’uno su dieci gli dicevi:

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“Sì, vai a fare un corso allo Stabile”, quello non aveva la possibilità di farlo. E’ rendere concreta la possibilità di qualcosa di diverso. Cambiare il modo di gestione del tempo libero, con dei contenuti diversi. Avercele a portata di mano, è un grosso servizio. Pensa anche al ristorante. Potevamo fare “la bocciofila” pasta in bianco eccetera. Avendo un ristorante a Km 0, dell’eccellenza, ma a prezzi abbordabili, si tratta di fare cultura attraverso il cibo.

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Quali sono gli effetti sulle politiche urbane auspicati dalla creazione dello spazio/elemento ? [politiche] Secondo me, il fatto di avere spinto a parlarsi settori diversi della politica e confrontarsi su un progetto concreto reale, ha un beneficio sulla politica. Purtroppo ad oggi le politiche urbane sono molto legate alla questione dei soldi: è difficile anche per gli assessori lavorare sempre in una politica di tagli, sanare un bilancio eccetera.

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Quali sono gli effetti sul territorio fisico auspicati dalla creazione dello spazio/elemento ? [concezione urbana] Sempre un maggior coinvolgimento da parte della popolazione. Dobbiamo lavorare molto nel porta a porta. il fatto che non venga più visto come una minaccia è già molto. Minaccia per l’acustica, per la frequentazione. Abbiamo avuto anche degli attriti in passato, con la scuola di fronte. Qualche insegnate diceva di non andare lì in quel “posto di disgraziati” eccetera, adesso ce li mandano volentieri i ragazzini. Abbiamo chiesto al comune si rifare almeno le facciate di via Cigna e via Cecchi, Perchè fuori non possiam fare il volontariato [..]. Effettivamente dà più impatto visto da dentro che da fuori. Inoltre avendo creato una piazza laddove non c’era una piazza, ciò ha fatto sembrare agli abitanti più belli anche tutti gli edifici che vi si affacciano [..].

CONSIDERAZIONI

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Esistono esperienze che voi considerate simili ?(analogie, distinzioni, rapporti collaborativi, competitivi..) [continuità/discontinuità] Secondo me nelle case del quartiere, con presupposti diversi, però se siamo finiti tutti quanti in un unico progetto, ha un suo significato. E’ stato anche interessante che ogni casa ha mantenuto la sua identità, [..] Perchè erano talmente diverse le storie che l’omologazione era inutile. A livello europeo ci sono percorsi analoghi che potrebbero insegnarci molto. Ad Amsterdam c’è stato un processo analogo per esempio, dove i privati si sono messi insieme.

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Esistono momenti di discussione e verifica dell’attività e delle prospettive ? (forme di trasparenza..) [condivisione e partecipazione] Costanti, nel senso che c’è un’assemblea al mese di tutti i volontari. Avviene a più livelli: verifica all’interno della commissione, verifica delle caratteristiche gestionali, verifica all’interno del tavolo d’indirizzo. Non solo, abbiamo anche una riunione, che è l’assemblea di tutti gli operatori dell’hub, da volontari a stipendiati e via dicendo, che è diventata praticamente la riunione dell’associazione Il Campanile, anche Perchè ormai sono diventati tutti tesserati.

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Allegato 5

Intervista 5 Data: 27/07/2013 Ambito: Cortile del Maglio, Nuovo Arsenale Militare, Porta Palazzo Soggetto: direttore del progetto The Gate, Porta Palazzo FINALITA’

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Quali sono gli scopi principali che hanno portato alla definizione / ridefinizione di questo spazio/elemento ? [quadro esigenziale locale] Faceva sicuramente parte di uno dei tanti luoghi dismessi della Città di Torino. Faceva parte della riqualificazione. The Gate ha fatto l’accompagnamento al processo. Noi ci occupiamo di rigenerazione urbana. Di fatto svolgiamo il ruolo di facilitatori per i processi. La finalità iniziale del progetto era quella di insediare un determinato tipo di attività, artigianali, nell’area e creare una nuova fase di sviluppo e rigenerazione per la zona.

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A chi sono rivolti gli spazi/servizi/attività ? [target] A tutti i cittadini della zona, ai fruitori del mercato e via dicendo. Il bando che noi abbiamo aiutato a costruire era rivolto a privati da insediare nei locali del Cortile del Maglio. Esistono finalità comuni con altri soggetti/istituzioni ? [inserimento in un quadro coerente] Ma si, la città, il Comune ha avviato la riqualificazione. Anche se beneficiando di fondi europei, si inserisce nel processo di trasformazione urbana, quindi è un fenomeno in linea con la pubblica amministrazione, con gli assessorati eccetera.

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Vi è un’evoluzione delle finalità nel tempo ? [variabilità temporale] Allora,diciamo che dal PRG del 1995 la finalità si sono sviluppate in più direzioni, a partire dai piani strategici approvati, la riqualificazione è uno dei temi cardine. Per esempio, la variante 200, che produce delle forzature per costruire del nuovo, quando di nuovo non ce n’è bisogno. Come The Gate noi avevamo addirittura prodotto uno studio sull’housing e sui fondi che sono arrivati a Torino su questo territorio. (The Gate coordina dei casi di Husing sociale Perchè 5 cohousing insistono sul suo territorio) [..] A partire da quello della sito Abitare Numero 0, privato, quella su Piazza della Repubblica, con la compagnia di San Paolo (albergo sociale). Noi da sempre sosteniamo che prima di cementificare, ristrutturare ciò che c’è. Abbiamo però grossi handicap su questo discorso; la parte della soprintendenza, Perchè c’è difficoltà ad intervenire per lacci e lacciuoli Perchè certe cose non possono essere toccate Perchè patrimonio. C’è un po’ poca flessibilità.

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La localizzazione dello spazio/elemento è legato alle finalità ? [continuità sociale - territoriale] Senz’altro, il cortile del maglio è storicamente inserito in un contesto forte. Le funzioni che vi si volevano collocare rispondono alla rigenerazione prevista con attività specifiche, di promozione dell’artigianato e quant’altro MODALITA’

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Qual’è l’iter che ha portato alla realizzazione dello spazio/elemento ?

[caratteristiche di processo]

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Anche questo progetto prevedeva un finanziamento Europeo. Il progetto The Gate è finito nel 2001, dopodiché si è formalizzato il passaggio ad agenzia di sviluppo. Noi siamo entrati Perchè il progetto stava andando avanti per conto suo e nessuno ne sapeva nulla. Stava anche creando all’interno del borgo, e voi sapete che la fantasia umana non ha confini, elementi di destabilizzazione. Nel senso che la gente vedeva, ma non sapeva [..]. Allora Ilda Curti disse a me e al mio socio: “informatevi, vediamo un attimo”, ed è venuto fuori il tutto. Che Sinac stava andando avanti e cercava di mettere giù il bando. Quel polo era destinato all’artigianato, quindi erano fondi vincolati e con la ristrutturazione del Cortile del Maglio e dei Ciliegi, destinate a botteghe artigianali. Avrebbero dovuto insediarsi ad un prezzo calmierato, ovvero non avrebbero dovuto pagare gli oneri di urbanizzazione, Perchè quella parte li era oggetto di contributo da parte dell’UE. Però tutto doveva essere messo a bando e via dicendo. L’assessore Tessore aveva la delega, era anche nel consiglio direttivo di The Gate, e ci chiamò dicendo che la situazione era un disastro. Incominciavano a esserci problemi finanziario strutturale delle piccole imprese e sembra che tutto questo fervore per il mondo artigianale si stava calmando. Intanto erano già state fatti i bandi per manifestazioni di interesse, con risposte molto ridotte rispetto alle previsioni. Allora chiese a noi di contribuire. Nel frattempo si diede l’idea di chiedere all’Unione Europea, che fino a quel momento il commercio non lo prendeva in considerazione, una variante spiegando tutti i vari motivi e l’Unione acconsentì. Così tutto l’ambardan di botteghe ebbero una variante in corso d’opera e potevano essere messe bando anche per il commercio, sempre con certe finalità e caratteristiche: doveva essere commercio che arricchisse e che si sposasse col tessuto del borgo, non il centro commerciale. A quel punto la Città chiese a The Gate di accompagnare. Cioè Sinatec ha fatto il bando, continuava il suo lavoro. The Gate entrò come accompagnamento e raccordo tra i commercianti che c’erano fuori, i cittadini e quant’altro. Vi faccio anche un esempio esplicativo, abbiamo aiutato Sinatec, ma con la partecipazione dei cittadini; la struttura di base di Gate è la progettazione partecipata, con il coinvolgimento di chi vive, quindi abbiamo fatto diversi focus group, con commercianti, abitanti, persone interessate ad insediarsi. Tutto ciò per costruire un bando, il migliore possibile. Siamo andati a delineare le tipologie commerciali che potevano insediarsi e quelle che assolutamente non potevano insediarsi. Quali potevano essere le linee che avrebbero dato ai vincitori del bando, anche un supporto nella progettuale. [..] Con attenzione a come si collocano nei confronti del resto del borgo, a come si intende attirare all’interno del borgo. Venne fuori un bando abbastanza dignitoso. L’arsenale era tutto il complesso, poi, nell’82-83, molto prima, la città aveva già deciso di investire su tutto quel complesso, e fu avanzata la proposta da parte del SERMIG, dicendo, una parte la prendo io e la ristrutturiamo coi nostri soldi. Tutta la parte del Sermig è stata ceduta dalla Città e loro hanno fatto tutto il resto.

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Quali sono gli elementi che ne hanno reso possibile la concretizzazione ? (strumenti giuridici, partnerships..) [caratteristiche del substrato] In questo caso non c’è stata nessuna concessione. Le attività insediate hanno comprato per 99 anni gli spazi. Come si fa anche tanto oramai con i parcheggi. E’ una specie di concessione nel senso che viene effettuato con modalità convenzionata. Ma c’è stato un normale atto notarile di cessione e acquisizione, che ha visto la transazione della cifra patuita. Con prezzi calmierati, senza oneri di urbanizzazione.

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Quali sono gli attori coinvolti ? [caratteristiche di partecipazione] C’è la città, la Comunità Europea, attraverso i fondi, compagnia di San Paolo, fondazione CRT, Sinatec, e tutte le varie attività commerciali e artigianali coinvolte e inserite nel Cortile del Maglio, Camera di Commercio e SERMIG. All’inizio c’era anche l’ospedale Mauriziano, uscito non appena è stato ristrutturato l’edificio che gli competeva. Cottolengo, le due rappresentanze sindacali dei commercianti; presidente di circoscrizione 1 e 7. Questo era il consiglio direttivo. Poi due anni fa è uscita una norma che limitava i consigli direttivi a 5 elementi. Curti, Tedesco, San Paolo e Camera di Commercio, più presidente di circoscrizione 7, sono gli attuali membri del consiglio direttivo. Tutti gli altri sono passati al consiglio di partecipazione. I due organi vengono convocati insieme per le decisioni importanti.

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Quale modello di si adotta per la gestione economica (qualora necessaria) dello spazio/elemento ? (autofinanziamento, pubblicità, crowd founding,..) [caratteristiche funzionali]

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Una grossa fetta deriva dal finanziamento eurpeo, ma di preciso le cifre non le ricordo. Poi il Comune ha ricevuto i soldi indietro Perchè ha venduto. Chi ha comprato le botteghe ha comprato una proprietà per 99 anni.

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Quale forma giuridica o struttura amministrativa si adotta per la gestione dello spazio/elemento ? [caratteristiche di gestione] Il comitato progetto Porta Palazzo è un comitato privato, di diritto privato, ma è un comitato che vede che un presidente designato dal Sindaco di Torino. Poi la Città di Torino è il progetto. Non è una partecipazione, perchè non ci da soldi. Può affidare, come nel caso del PDR e dare dei soldi per fare cose specifiche.

PROSPETTIVE

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Quali sono gli effetti sulle dinamiche sociali auspicati dalla creazione dello spazio/elemento? [individui] Credo che nella riqualificazione uno degli aspetti, diciamo più importanti, sia l’attenzione rivolta al contesto. Nella stesura del bando noi, infatti abbiamo rivolto un’attenzione particolare all’insediamento di attività che non danneggiassero il tessuto sociale, che è molto variegato e già di per se per molti aspetti difficile.

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Quali sono gli effetti sulle politiche urbane auspicati dalla creazione dello spazio/elemento ? [politiche] Allora, in realtà noi siamo il prodotto di integrazione tra politiche urbane e territorio. Come ho già detto prima manca la flessibilità, e credo che sia questa la direzione in cui il comitato si muove e dovrebbe anticipare le politiche urbane.

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Quali sono gli effetti sul territorio fisico auspicati dalla creazione dello spazio/elemento ? [concezione urbana] Certo che già a partire dal concorso europeo per la riqualificazione di Piazza della Repubblica è evidente che noi lavoriamo per questo. E’ che la rigenerazione parte dal territorio, non si può lavorare in modo settoriale. Anche i piani strategici, tutti gli strumenti, si muovono verso politiche di integrazione. E’ il gioco forza che si crea dall’uso degli spazi. Per esempio il Sermig andava a fare le sue attività di lettura eccetera nel parchetto davanti alla struttura. Con il tempo quelli che ci dormivano o i delinquenti che stazionavano lì, se ne sono andati

CONSIDERAZIONI

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Esistono esperienze che voi considerate simili ?(analogie, distinzioni, rapporti collaborativi, competitivi..) [continuità/discontinuità] Non saprei mica risponderle, sicuramente la riqualificazione urbana in genere, ma è una cosa così vasta che non saprei. Bè a Torino si è cercato più volte, a partire dal Lingotto, di riqualificare con successi e insuccessi, come nei mercati generali. Per il resto non so, è una cosa molto vasta.

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Esistono momenti di discussione e verifica dell’attività e delle prospettive ? (forme di trasparenza..) [condivisione e partecipazione] Si per esempio, nel caso del Cortile, ci sono stati diversi focus group, anche con i cittadini e i potenziali insediati, in modo da capire che direzioni prendere. Poi ogni caso ha le sue specificità e la trasparenza si manifesta in forme diverse. Voi capite che Gate insiste su questa zona da molto tempo, ma è sempre un confronto continuo. Se mi tolgo la giacca e divento un cittadino qualunque mi dico: allora, abbiamo segnalato questo disservizio e non è ancora stato fatto nulla. Ecco che allora sei incazzato nero. E’ proprio il nostro ordinamento che è macchinoso, e per questo, The Gate funziona anche da sportello per il cittadino. C’è trasparenza assoluta.

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Allegato 6

Intervista 6 Data: 26/07/2013 Ambito: Nietzsche Fabrik, Parco del Miesino Soggetto: presidente Associazione Nietzsche Fabrik FINALITA’

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Quali sono gli scopi principali che hanno portato alla definizione / ridefinizione di questo spazio/elemento ? [quadro esigenziale locale] L’utilizzo primo della riqualificazione di quest’area ovviamente è stato l’aspetto lavorativo, di piccole realtà artigiane che si sono messe all’interno di questo spazio, il secondo è stato lo spunto del 2008, quando c’è stata Torino World Design Capital, Torino doveva essere il centro del mondo; da questo spunto si è creata l’idea di creare l’associazione per rientrare all’interno di questo progetto, difatti siamo stati inseriti all’interno dei progetti ufficiali legati alla manifestazione di World Design Capital. La cosa è stata, che siccome eravamo tutte attività artigiane, che lavoravano in un certo ambito, eravamo molto legati al mondo dell’arte e del design. C’era molta commistione Ma perché il nostro percorso culturale era legato molto alla cultura; anche le nostre attività extra lavorative, le nostre passioni, dalla musica al teatro alle arti performative e creative, fanno parte del nostro percorso culturale, e questa roba qui ha fatto pensare ad una cosa che poteva essere legata a questa situazione particolare. Che il progetto iniziale poteva essere: riuscire a creare un polo, uno spazio, in cui ci potesse essere questo incontro tra l’artigianato, l’arte e il design. E’ questo è stato il progetto iniziale che ha dato vita poi al progetto del primo anno di Nietzsche Fabrik. Cioè avere la possibilità e l’idea della flessibilità dell’utilizzo degli spazi, cioè io ho uno spazio che durante il giorno è tendenzialmente lavorativo. Ma io la sera posso farlo diventare uno spazio legato alla cultura. Questa commistione tra le cose si realizzato anche proprio facendo delle cose all’interno dei laboratori. Il mio laboratorio, che è una falegnameria,spesso e volentieri è diventato uno spazio per mostre, concerti, performance. Così tutta la corte. Così quando si organizzavano le serate, solitamente c’era un tema a legare tutte le attività, c’erano tutti i laboratori aperti con delle attività nella corte. All’interno della stessa serata si organizzavano più cose in contemporanea: mostra pittorica con una performance e concerto nel laboratorio dei fabbri, dancehall con proiezione dei video d’artista e così via. Il primo anno è stata una roba molto grossa. Abbiamo fatto 4 fine settimana di seguito, venerdì, sabato, domenica, gli spazi venivano usati interamente per fare queste robe qua. E’ continuato per 3 anni, 2008, 2009, 2010. Era tutto basato sulla condivisione di saperi. Le serate erano anche legate a fare tutta una serie di interventi sul nostro settore lavorativo, mettendo a disposizione le nostre conoscenza, mettendoli in contatto e contrapposizione con tutte le altre arti. Il primo anno abbiamo lavorato molto sulla materia, attraverso incontri specifici. Ad esempio il legno come viene visto dall’artista, il legno come viene visto dall’artigiano e il legno come viene visto dal designer. Sicuramente tutto ciò è per allargare il nostro raggio d’azione, anche lavorativo, nei confronti dell’esterno, per creare una rete di connessione. Con artisti e architetti abbiamo creato situazioni in cui veniva coinvolto tutto il cortile. [..] C’era molta collaborazione. Gli artisti che invitavamo alle serate creavano con gli artigiani delle opere d’arte in sito apposta per l’evento, insieme a noi. Si voleva creare delle specie di, non dico residenze, ma un posto in cui si potesse creare una roba che a Torino non esiste. Alla fine lo scoglio sono i soldi. Perchè il primo anno soprattutto, siamo riusciti ad avere sponsor privati

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A chi sono rivolti gli spazi/servizi/attività ? [target] E’ stato fatto un percorso di esperienza e ricerca unico per la città di Torino. Siamo riusciti a far dialogare più realtà, più situazioni, arte e design e ha sempre funzionato. Nelle nostre serate c’erano sempre almeno un migliaio di persone. E c’era un vero meltin pot. Era una realtà in cui trovavi cose che non trovavi da altre parti. L’impostazione che veniva data 234


era legata, non solo a quell’evento lì, erano cose ad ampio raggio, realtà diverse che sennò non avrebbero dialogato. Anziché restringere il target, ampliare il raggio. Questa roba qua funzionava perché rimaneva, univa tutta una serie di realtà e istituzioni.

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Esistono finalità comuni con altri soggetti/istituzioni ? [inserimento in un quadro coerente] Non tanto, più che altro non venivano percepite. Il lavoro è stato molto importante per mettere insieme tutte le relazioni. Dopodiché le istituzioni si sono dimostrate molto interessate, alla gestione, alla struttura, ci han fatto tutti i complimenti. Però poi non si concretizzava mai su nulla. Cioè se ritieni che una cosa sia importante sul territorio dovresti sostenerla, invece era sempre una fatica terrificante, abbiamo perso una quantità di tempo incommensurabile e abbiamo ottenuto niente. A parte la regione, che comunque finanziano delle cagate colossali, e poi quando andavamo noi, per noi i soldi non c’erano mai. [..] Noi non eravamo legati con niente e con nessuno di conseguenza le cose non arrivavano mai.

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Vi è un’evoluzione delle finalità nel tempo ? [variabilità temporale] Si, le cose sono un pochino cambiate per difficoltà finanziarie, quindi, magari abbiamo fatto delle cose non proprio fantastiche, ma che ci hanno permesso di farne delle alte più interessanti. Perchè, insomma, la serata col dj, è una cosa interessante sì, fino ad un certo punto. Poi ti portava un po’ di gente che ti permetteva di sopravvivere. Però le finalità sono sempre state quelle anche se nell’ultimo anno per la quantità di pubblico necessitava di un salto qualitativo dal punto di vista organizzativo. Ci doveva essere qualcuno che lavorasse a tempo pieno. Noi tutto il tempo che dedichiamo all’associazione lo sottraiamo al nostro lavoro, quindi diciamo, non è che sia conveniente per l’azienda [..] Il problema è che non c’erano i fondi per poter far lavorare a tempo pieno delle persone. Di farlo diventare un locale non ce ne fregava nulla. Purtroppo la cosa è andata scemando.

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La localizzazione dello spazio/elemento è legato alle finalità ? [continuità sociale - territoriale] Per un progetto di questo tipo, è esportabile, ma la location è importante e questo posto è incredibile. Siamo a 10 minuti dal centro, ma senza le problematiche dei posti che stanno dentro la città, di traffico, rumore, congestione. MODALITA’

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Qual’è l’iter che ha portato alla realizzazione dello spazio/elemento ?

[caratteristiche di processo] L’idea è nata inizialmente dal fatto un po’ casuale, un po’ voluto, di aver trovato all’interno del cortile tutta una serie di persone con cui avevo avuto esperienze nel passato. [..] Mio padre è all’interno di questo spazio nel ‘74. Quando siamo arrivati c’erano gli alberi che crescevano ovunque. Questa qui era un ex fabbrica di pneumatici Pasteris, che lavorava per la FIAT. Li usavano per i test drive sulla pista del Lingotto. [..] Il fabbricato è stato mitragliato e bombardato durante la guerra. Prima c’erano i tetti a falde, coi coppi. Poi sono venuti giù e ha rifatto tetti piani come adesso. Poco dopo la guerra il fabbricato è stato praticamente abbandonato. Alla fine degli anni ‘70 il proprietario ha cominciato ad affittare ad attività artigianali. noi siamo arrivati qua nel ‘74 e nel ’99 abbiamo acquistato un terzo del fabbricato dagli eredi dei proprietari originali. Che l’avevano lasciato in stato di semi-abbandono. Lo affittavano malissimo, senza far caso a chi mettevano dentro. Da quando abbiamo acquistato noi, parlando con quelli che stavano qua siamo riusciti a far venire gente un po’ più affidabile, man mano che scadevano i contratti di affitto. Siamo riusciti a creare un gruppo di artigiani che collaboravano assieme, con cui ci si poteva fare diverse cose, abbastanza legati, sovente lavoravamo negli stessi cantieri. Perchè all’interno del cortile nel 2007 si era venuta a creare una situazione per cui avevamo la falegnameria, un fabbro, impianti elettrici, decorazioni e ristrutturazione edili. Con tutte queste realtà si riuscivano a fare delle cose. Poi man mano si sono inseriti anche altri, artisti, atelier e laboratori. Da lì è venuta fuori l’idea di fare cose insieme oltre a quelle del lavoro. La struttura è in un luogo eccezionale: siamo all’interno del parco del miesino, puoi fare quello che vuoi che non dai fastidio a

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nessuno. Abbiamo fatto delle feste e da lì abbiamo fatto un’enorme festa nel 2007 in cui abbiamo dato vita all’associazione Nietzsce Fabrik. Dal ‘99 in avanti si è cercato di dare un’impostazione un po’ interessante alla cosa.

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Quali sono gli elementi che ne hanno reso possibile la concretizzazione ? (strumenti giuridici, partnerships..) [caratteristiche del substrato] Non c’è stato nessun apporto dall’esterno. E’ stata una cosa interamente ideata e gestita da noi. L’associazione è stato il momento in cui si è istituita formalmente la cosa, ma di fatto era tutto già in corso.

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Quali sono gli attori coinvolti ? [caratteristiche di partecipazione] Comune e circoscrizione come patrocinio, la regione con i finanziamenti e tutte le aziende che lavorano qui. Pasteris, soprattutto all’inizio, come proprietario, ora non più, solo di una parte. Quale modello di si adotta per la gestione economica (qualora necessaria) dello spazio/elemento ? (autofinanziamento, pubblicità, crowd founding,..) [caratteristiche funzionali] Il primo anno, visto soprattutto che era legato a questa World Design Capital, siamo riusciti ad avere tutta una serie di sponsor privati. Il comune assolutamente niente, ha detto : “bellissimo, fighissimo, cazzo che bello! Non esiste una roba così a Torino, bisognerebbe farne di più e poi ha detto va bene se volte vi diamo il patrocinio” Gli unici che hanno risposto finanziariamente sono la Regione. Siamo riusciti ad entrare in tutta una serie di progetti per cui qualcosina dalla Regione è arrivato, fino al terzo anno. Poi più nulla. E’ stato tutto autofinanziato da noi. Il primo anno sponsor comunque del design e artigianato, tra cui una ditta di macchinari per falegnameria. Gli altri anni no, solo Regione e tutto noi di tasca nostra. Calcola che le serate erano tutte gratuite, cosa alla base dell’associazione, che ci è sempre solo costata un sacco di soldi. Questo era l’unico modo. C’era il bar ,però, siam sempre andati in perdita insomma.

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Quale forma giuridica o struttura amministrativa si adotta per la gestione dello spazio/elemento ? [caratteristiche di gestione] L’associazione era un’associazione culturale no profit. Con tutto quello che comporta, soprattutto per i fondi della regione, bisognava presentare tutte le rendicontazioni, e non è che ci siano grandi agevolazioni, anzi, cercano di metterti i bastoni tra le ruote. Le decisioni venivano prese insieme su tutto alle riunioni. Partecipavano tutti i gruppi di lavoratori presenti nell’area. Si faceva un programma si sceglievano i progetti da fare. Io ero il presidente e c’erano poi due consiglieri. C’era molta sintonia tra tutti.[..]

PROSPETTIVE

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Quali sono gli effetti sulle dinamiche sociali auspicati dalla creazione dello spazio/elemento? [individui] Cultura, conoscenza, e sapere devono essere diffuse, non hanno prezzo. L’idea era proprio quella di creare uno spazio dove queste cose potessero esistere liberamente, al di là delle mercificazioni. La gratuità dell’offerta è fondamentale. Bisogna capire questo.

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Quali sono gli effetti sulle politiche urbane auspicati dalla creazione dello spazio/elemento ? [politiche] Non so. Dopo che abbiamo fatto ste cose qua ci siamo riconosciuti in altri progetti simili, tipo Turna. Qualche anno fà c’è stata anche una roba di architettura e moda, cosa che avevamo fatto anche noi. In questo ci sentiamo di avere avuto effetto.

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Quali sono gli effetti sul territorio fisico auspicati dalla creazione dello spa236


zio/elemento ?

[concezione urbana] Io l’ho sempre auspicato, fin dal pricipio; purtroppo a Torino non viene capito. Noi avevamo nella città tutta un’archeologia industriale fenomenale. [..] Tu calcola che Vanchiglietta lo chiamavano il Borg del Fum, ma non del fiume, del fumo, per le fabbriche. Ora è stato tutto abbattuto per fare palazzoni residenziali. Si poteva riconvertire tutto, mettendo dentro artisti, designer e altri che creano cultura e lavoro. Questa roba qua è stata totalmente ignorata dall’amministrazione. Ha preferito abbattere tutto e ricostruire di nuovo. Che poi il comune finanzia le residenze per gli artisti all’estero. Ma cazzo finanziate qua. Creiamo residenze in questi posti qua e rispondiamo a delle esigenze.

CONSIDERAZIONI

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Esistono esperienze che voi considerate simili ?(analogie, distinzioni, rapporti collaborativi, competitivi..) [continuità/discontinuità] Non lo so, non abbiam più collaborazioni con nessuno. Forse ci sono a Torino, ma io non ne sono a conoscenza. Non credo comunque.

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Esistono momenti di discussione e verifica dell’attività e delle prospettive ? (forme di trasparenza..) [condivisione e partecipazione] Si era proprio una condivisione totale e c’era uno scambio continuo tra tutti noi. E molte cose venivano fatte normalmente quando ci incontravamo in cortile. La formalità riguardava le parti ufficiali dell’associazione, ma tra di noi c’era uno scambio veramente continuo. Lo scambio col pubblico avveniva quando venivano qua gli spettatori a chiedere, a fare attività o a fare un giro. [..] Non c’era un direttivo a prendere decisioni assolute, ma si decideva assieme, parlando normalmente. Era un processo di condivisione.

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Allegato 7

Intervista 7 Data: 11/09/2013 Ambito: CSOA Gabrio, Borgo San Paolo Soggetto: membro militante e membro comitato di quartiere FINALITA’

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Quali sono gli scopi principali che hanno portato alla definizione / ridefinizione di questo spazio/elemento ? [quadro esigenziale locale] Sicuramente di tipo aggregativo, da parte soprattutto di diversi giovani che abitano nella zona, e quindi il bisogno di avere un posto dover trovarsi, dove stare insieme e sviluppare socialità.

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A chi sono rivolti gli spazi/servizi/attività ? [target] Soprattutto a una popolazione giovanile che risiede soprattutto nel quartiere perché il centro sociale dentro il quartiere ha un ruolo importante ed è interesse del centro sociale quello di essere in stretta connessione con il territorio circostante. Negli anni ci sono stati diversi differenti filoni a seconda dei momenti che si attraversavano. In questo momento soprattutto la questione della casa e degli sfratti, anche attraverso l’apertura dello sportello, anche attraverso la presenza di altri spazi occupati nel quartiere insomma, fa sì che i rapporti su questo tema col territorio circostante siano frequenti e attivi.

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Esistono finalità comuni con altri soggetti/istituzioni ? [inserimento in un quadro coerente] No nel quartiere no, a parte appunto il comitato di cittadini che si è creato contro i progetti del comune di Pirelli per l’area ex Diatto. A livello cittadino, sono con le altre realtà che fanno riferimento al movimento antagonista cittadino, piuttosto che alle realtà del sindacalismo non concertativo, insomma quelli con cui si condivide anche un’impostazione rispetto a quello che da fare nei rispettivi quartieri, nei diversi luoghi sociali. La nostra esperienza è una delle tante esperienze di autoorganizzazione che parte da un posto lasciato abbandonato, che dentro quel posto iniziano a starci e girarci, e poi da quel posto entrano in connsessione con il territorio che li circonda da un lato e con questioni di rilevanza politica che si ritengono importanti, fondamentali. Penso anzi che il Gabrio rappresenti un pezzo.

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Vi è un’evoluzione delle finalità nel tempo ? [variabilità temporale] Sono sicuramente cambiate. Dire che si sono evolute, sì, forse si sono anche evolute, anche in relazione con le trasformazioni che questa città ha avuto nel corso degli anni. Anche perché il Gabrio c’è da 19 anni e la città un pochettino è cambiata. Dopodiché, stare sulla parola d’ordine dell’opposizione alle politiche decise in base al profitto ha voluto dire stare dietro ad un bel po’ di cose.

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La localizzazione dello spazio/elemento è legato alle finalità ? [continuità sociale - territoriale] Si io credo che la localizzazione si importante, non tutte le zone sono uguali e sicuramente se sei in un posto aperto e che vuole essere vissuto anche dalla gente che ti vive intorno questo per forza fa sì che quello che ti vive intorno entra nel centro sociale, e quindi c’è in qualche modo una forma di dialettica con centro che si instaura.

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MODALITA’

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Qual’è l’iter che ha portato alla realizzazione dello spazio/elemento ?

[caratteristiche di processo] Credo che quando è stato occupato era vuoto da 3 o 4 anni e c’era in progetto di farci una sede dell’archivio scolastico, progetto non realizzato. E’ stato occupato nel ‘94. Dentro il Gabrio ora ci sono gli sportelli, principalmente “casa” perché è la richiesta maggiore, insieme a “Equitalia”, ma dove ci sono comunque dei legali a disposizione anche per altre questioni. Poi c’è un ambulatorio popolare che offre un servizio di orientamento medico soprattutto a cittadini immigrati. Poi c’è l’HackLab, gruppo di informatici che tengono corsi sull’open source e quant’altro. Poi c’è la palestra, l’infoshock che è uno spazio d’informazione dedicato soprattutto all’uso conspevole delle sostanze, alle free T.A.Z. E alla dimensione più legata alle feste e alla musica elettronica in genere, poi c’è la distro, e vabbè, la distro è la distro, e la cicloofficina. Questo più o meno è il panorama.

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Quali sono gli elementi che ne hanno reso possibile la concretizzazione ? (strumenti giuridici, partnerships..) [caratteristiche del substrato] Sicuramente l’autorecupero, nel senso che lo spazio era comunque un prefabbricato costruito per avere una data di scadenza, ampiamente superata, e se sta ancora in piedi ci stà, perché chi sta dentro ha fatto dell’autorecupero e dell’aggiustamento continuo rispetto al posto. La militanza e l’autoorganizzazione, perché comunque per fare i lavori per rimettere a posto un posto e mantenerlo funzionante, dignitoso, sicuro eccetera, ci vuole chi fa i lavori e ci vuole appunto la militanza e il materiale e tutto quello che serve per farli, e questo si fa con l’autoorganizzazione e con l’autofinanziamento.

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Quali sono gli attori coinvolti ? [caratteristiche di partecipazione] Noi. Attorno al Gabrio ruotano diverse persone per diverse ragioni però ovviamente cioè, se si devono pigliare delle decisioni le persone che svolgono le funzioni, loro fanno parte delle decisioni. Quale modello di si adotta per la gestione economica (qualora necessaria) dello spazio/elemento ? (autofinanziamento, pubblicità, crowd founding,..) [caratteristiche funzionali] L’autofinanziamento e tutto ciò che si guadagna dalle serate finisce nella cassa del centro sociale e poi le spese vengono divise in maniera democratica dall’assemblea.

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Quale forma giuridica o struttura amministrativa si adotta per la gestione dello spazio/elemento ? [caratteristiche di gestione] Si adotta l’assemblea di gestione che si tiene tutti i martedì. Alcune volte può riguardare solo alcune questioni, quindi solo alcuni vi partecipano. Se la decisione interessa tutti, tutti vi partecipano. Abbiamo tutti lo stesso peso, abbiamo ciascuno una specializzazione: sulle serate ad esempio non tutti ci occupiamo dell’organizzazione e la programmazione. Tutti decidiamo se una serata si fa o no. E’ certo che i fonici, e i musicisti, tutto quel gruppo lì, certo che avrà più peso. Ognuno di noi è un po’ un tecnico in qualcosa. [..] Non crediamo in generale nei leader. Non votiamo a maggioranza. Si continua a discutere fino a quando non si riesce a trovare una soluzione che sia condivisa.

PROSPETTIVE

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Quali sono gli effetti sulle dinamiche sociali auspicati dalla creazione dello spazio/elemento? [individui] Io credo che il centro sociale va incontro a determinate situazioni della realtà sociale circostante. E’ sicuramente positivo che il centro sociale riesce ad evolversi rispondendo alle necessità della città circostante. [..] Cioè quello è l’obbiettivo a cui tendere: essere sempre uno spazio che riesce ad essere da un lato di libertà e dall’altro di solidarietà in una società impoverita dal capitalismo, dalle politiche di austerità. [..] L’istituzionalizzazione credo che non sia possibile. Ci sono in giro pa-

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lestre popolari che fanno riferimento al mondo antagonista e che hanno deciso di federarsi alla federazione pugilistica. La nostra palestra, come l’Aska, è una palestra che è rimasta autonoma. La tendenza è di praticare e rivendicare l’autonomia.

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Quali sono gli effetti sulle politiche urbane auspicati dalla creazione dello spazio/elemento ? [politiche] Questo è quello che abbiamo iniziato a fare appunto con questo comitato di cittadini di zona. C’è bisogno che chi ci abita sia maggiormente protagonista, perché abbiamo visto negli anni recenti portare avanti degli scempi, delle belle speculazioni edilizie, penso all’area Lancia o dall’altra parte al fondo di San Paolo, dove il quartiere è stato snaturato. E continuano a costruire case con una crisi complessiva del diritto alla casa e del sistema casa nel nostro paese. Alloggi che rimangono vuoti, insomma. C’è anche in zona il progetto di un nuovo ipermercato targato Esselunga; insomma io credo che su queste questioni qua ci sono spazi di partecipazione di cittadinanza che sono molti e il centro sociale proprio perché nasce per sottrarre alla speculazione e all’abbandono, sulle questioni legate alle svendite di patrimonio pubblico e giochetti immobiliari che tutti gli enti stanno facendo, è un terreno su cui lavorare.

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Quali sono gli effetti sul territorio fisico auspicati dalla creazione dello spazio/elemento ? [concezione urbana] Prospettive sul territorio fisico sono difficili proprio per ciò che c’è in ballo sulla questione dell’amianto. Non escludiamo di decidere di dover cambiare posto.

CONSIDERAZIONI

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Esistono esperienze che voi considerate simili ?(analogie, distinzioni, rapporti collaborativi, competitivi..) [continuità/discontinuità] Sicuramente gli altri centri sociali che sono presenti sono simili a noi nella misura in cui si condivide l’autoorganizzazione come modalità, l’occupazione come pratica e l’interazione, l’intervento sul quartiere e sul territorio come finalità e come modo di stare presenti in Torino.

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Esistono momenti di discussione e verifica dell’attività e delle prospettive ? (forme di trasparenza..) [condivisione e partecipazione] C’è stato in primavera dell’anno scorso un focus group basato su un progetto finanziato dall’Unione Europea che chiedeva alla popolazione della zona cosa volessero. L’esito lamentava la mancanza di spazi verdi, la mancanza di spazi aggregativi e che non si sentiva l’esigenza di nuove case. Hanno appena abbattuto la ex Diatto per farci 250 appartamenti. Cioè, cazzo, non li leggono manco loro. Le assemblee sono il momento di discussione.

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Allegato 8

Intervista 8 Data: 31/07/2013 Ambito: CSOA Askatasuna, zona Vanchiglia Soggetto: “ministro degli esteri” dell’Askatasuna FINALITA’

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Quali sono gli scopi principali che hanno portato alla definizione / ridefinizione di questo spazio/elemento ? [quadro esigenziale locale] Diciamo che, per quello che concerne i centri sociali, non è che è stato individuato uno spazio; i centri sociali in Italia, e io parlo a nome dell’Askatasuna per quella che è la mia esperienza si rifanno ai rimasugli di quella che era la sinistra rivoluzionaria degli anni ‘70, che negli anni ‘80 ha visto un momento di ricomposizione di tutta una serie di compagni di fasce giovanili, accanto all’occupazione di stabili in disuso, modello riproducibile. Il primo fu il Leoncavallo [..] A Torino nell’89 il CSA Murazzi e nel ‘96, dopo tutta una serie di cicli di lotte, tra cui la contestazione alla lega nord nel 96; da quello è stata occupato lo stabile di cso Regina Margherita 46, il 16 novembre del ‘96, in seguito a un corteo. Lo stabile ha sempre avuto un ruolo pubblico nel quartiere, perché era un vecchio asilo che ospitava anche un convitto delle suore. Quando l’ha occupato l’Askatasuna erano vent’anni che era in disuso. E’ stata attraversata da vari ambiti collettivi. Si rifà all’area dell’autonomia operaia, quindi ha un forte livello organizzativo politico. Quindi l’aggregazione viene anche da quello. E poi c’è anche l’aggregazione sociale che veniva dalla ludoteca popolare, il comitato di quartiere piuttosto che la palestra, che sono servizi sociali autogestiti, c’è anche un teatro. [..] E poi organizza serate musicali variegate. [..] La peculiarità sono i concerti offerti a prezzi molto più bassi di quelli di mercato. Noi partiamo dall’istanza che pensiamo che l’aggregazione serva ad aiutare lo scambio di idee, l’integrazione.

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A chi sono rivolti gli spazi/servizi/attività ? [target] Più o meno trasversale. C’è un problema di spazio che non ti permette di mescolare tanto la gente. A Roma c’è un centro sociale che si chiama Acrobax, detto anche l’ex cinodromo, che permette anche di fare tre serate diverse nella stessa sera. [..] All’Askatasuna è difficile fare questo.

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Esistono finalità comuni con altri soggetti/istituzioni ? [inserimento in un quadro coerente] La finalità ultima nostra è la rivoluzione, quindi non credo che sia vicina alle istituzioni della città. Diciamo che a volte ci sono state delle battaglie che hanno trovato un accordo con le parti più illuminate delle istituzioni. Come nel caso dei rifugiati politici [..] Lì ci siamo interfacciati dopo dei problemi d‘ordine pubblico, anche con cause penali abbastanza gravi, che si sono verificati in Piazza Castello perché il prefetto se ne era bellamente lavato le mani del discorso di riconoscere lo status di rifugiati politici. Ci sono anche delle figure delle circoscrizioni che sono stati un po’ più illuminati, così come anche alcuni progetti, magari a volte hanno anche il patrocinio del comune, tramite un assessore un po’ più intelligente che ti permette di avere il suolo pubblico, o l’allacciamento alla rete a prezzi ribassati, Ma più o meno questo succede per tutte le associazioni. Noi non siamo un’associazione, siamo un centro sociale occupato, però, il comitato di quartiere che è all’interno del centro sociale ed è un’associazione, può usufruire di queste agevolazioni.

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Vi è un’evoluzione delle finalità nel tempo ? [variabilità temporale] Il discorso è che bisogna dividere tra livello organizzativo politico, che si pone in ottica antagonista nella città, nelle contrad241


dizioni che si creano [..] Però quello che concerne l’utilizzo degli spazi, questo ha subito una modifica. Ci sono dei compagni storici che rimangono lì. Man mano che c’è il ricambio generazionale, cambiano anche le funzioni. [..] Adesso c’è anche il comitato di quartiere che fa dei corsi di inglese, perciò abbiamo cambiato uno spazio che ora usiamo come sala computer.[..] Ora c’è anche un servizio di assistenzialismo di medio livello, anche se poi non è la nostra finalità principale.

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La localizzazione dello spazio/elemento è legato alle finalità ? [continuità sociale - territoriale] Allora intanto Torino ha avuto uno dei centri più storici, il CSOA Murazzi sta nel centro della movida, l’Askatasuna sta davanti al villaggio olimpico (?) [si suppone che qui l’intervistato intendesse universitario] [..] Lo spazio è fondamentale, sennò non li avremmo occupati. In molte città si ragiona sul riutilizzo degli spazi. Sono importantissimi per un tipo di società e socialità diversa. L’Aska permette tutta una serie di cose: palestra, abitazioni, cucina enorme, concerti il kinoglatz (cineforum). Però se volgiamo fare un esempio più pregnante: la verdi 15 di Torino. Spazio bellissimo,un palazzo nuovo, ci vivevano 150 o più persone. [..] Poi i centri sociali riescono a fare determinate attività proprio in base agli spazi che hanno. MODALITA’

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Qual’è l’iter che ha portato alla realizzazione dello spazio/elemento ?

[caratteristiche di processo] Negli anni ‘80 a Torino dopo la fine dell’ipotesi rivoluzionaria ‘70, erano rimasti in 3. Poi c’è stata la ricomposizione del movimento, E’ nata Pantera, il KSA, piano piano il peso politico di Askatasuna è cresciuto e nel ‘96 abbiamo occupato lo stabile. E’ un’occupazione antagonista, basato sull’autogestione e l’autofinanziamento. Anche i lavori di ristrutturazione e messa a posto, li abbiamo fatti tutti noi autonomamente. Anche perché lavorandoci noi, si crea un legame.

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Quali sono gli elementi che ne hanno reso possibile la concretizzazione ? (strumenti giuridici, partnerships..) [caratteristiche del substrato] Si nel senso che i militanti sono stati descritti nel corso degli anni, duri e puri askatasuna, gli autonomi, piuttosto che bravi ragazzi del centro sociale, Nel male come teppisti, black block, sovversivi. Come collante c’è stato l’antifascismo e l’antirazzismo. [..] Poi ci sono stati molti lavori sulla soggettività, ma senza creare le prime donne.

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Quali sono gli attori coinvolti ? [caratteristiche di partecipazione] Si, Askatasuna, e in generale tutti i centri sociali che condividono i punti centrali. vedi infoout.org, fa parte dell rete dell’autonomia dentro cui ci sono centri sociali. Poi bè dentro di noi c’è il comitato, come ho già detto, che comunque aiuta a formarsi sul territorio. Anche la gente diventa così un attore, in un certo senso.

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Quale modello di si adotta per la gestione economica (qualora necessaria) dello spazio/elemento ? (autofinanziamento, pubblicità, crowd founding,..) [caratteristiche funzionali] L’autofinanziamento. I concerti vengono fatti. I gruppi che vengono a suonare all’aska percepiscono un budget ridotto. Con i costi d’ingresso e gli alcolici finanziamo. Ci sono i compagni che gestiscono la cassa dell’Aska,e sono molto bravi sennò saremmo sempre in rosso. Comunque sono sempre piccole cifre, per dire, in confronto a quello che spende tipo l’Hiroshima, sono cifre piccolissime.

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Quale forma giuridica o struttura amministrativa si adotta per la gestione dello spazio/elemento ? [caratteristiche di gestione] Bè diciamo che ci sono esempi virtuosi di cose simili, ma a noi non interessava, proprio perché fuori dall’ambito istituzionale siamo più flessibili. Se volessimo regolarizzare la cosa, il comune sarebbe contento; il fatto è che noi non avremmo più l’autonomia di rompere su qualche punto critico e avremmo dovuto chiedere permessi per qualunque cosa. Così siamo più flessibili. Le istituzione viene vista come controparte. Logico che il comune quando vede progetti sui gap piuttosto che

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sul comitato, cerca di dare qualcosa per finanziarlo, Il fatto è che noi siamo proprio per il cambiamento delle istituzioni, infatti non ci siamo neanche mai candidati. Le decisioni si prendono in un’assemblea di gestione settimanale. Si guarda la parte politica e quelli che andavano alle altre assemblee, tipo universitarie o della logistica, andavano e poi riportavano i contenuti all’interno dell’assemblea gestionale. Ci sono figure di responsabilità, legate alla soggettività, nel senso che ci sono compagni più bravi a parlare al microfono e compagni più bravi nelle cose pratiche. Poi, non è che uno abbia più peso dell’altro, Anche perché poi a fine serata quando tocca a te, puoi essere il volto pubblico piuttosto che un compagno che non si vede mai, ma porta fuori la monnezza. L’Aska basa molta della sua fortuna su una concezione politica. Ragioniamo tutti quanti in quel tipo di ottica. Per dire, quando hanno sgomberato il CSOA Murazzi, non è che abbiamo dovuto discutere che con le buone o con le cattive saremmo andati là a riprendercelo. Come se ci fosse un corteo di Casapound e una provocazione del centro città, non c’è proprio problema a decidere che andremo là ad impedirglielo. Poi certe decisioni si valuta, si parla, si cerca una parola d’ordine e di mettere d’accordo più o meno tutti. Non è che c’è uno statuto o roba così. Si può discutere del livello organizzativo, ma non si può discutere su quello politico. Poi siamo 60 persone, che in confronto ai 20.000 iscritti alla CGL siamo una cagatina di mosca. Se neanche 60 persone riescono ad essere d’accordo su quello che vogliono fare della loro vita, non avrebbe neanche senso farlo.

PROSPETTIVE

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Quali sono gli effetti sulle dinamiche sociali auspicati dalla creazione dello spazio/elemento? [individui] Se vogliamo, a Vanchiglia c’è una cultura di sinistra anche grazie a noi, che siamo li da molti anni. Diciamo che noi stiamo lì anche perché c’è un certo tipo di ambiente che la città ha creato, e noi siamo parte di questo fatto. Poi lo spazio è uno spazio recuperato che viene restituito alla città. Lì noi mettiamo uno spaccato della società che ci piacerebbe avere. Abbiamo anche fatto delle feste di compleanno. Più gente, più connessioni di gente diversa ci sono meglio è, più per il potere costituito diventa difficile insinuare discorsi di merda che non sono semplicemente quelli del fatto che i centri sociali sono cattivi, ma anche l’egoismo, l’individualismo. Io credo che in Vanchiglia stessa ci sono tante persone che passano la loro giornate a casa e che si sentono un po’ sfigate sul discorso economico, molti anziani soprattutto. Avessimo noi la possibilità di organizzare un torneo di bocce in via balbo, una roba costante, col campione del mese, per me sarebbe una roba importante.

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Quali sono gli effetti sulle politiche urbane auspicati dalla creazione dello spazio/elemento ? [politiche] In un discorso sulle case si può puntare a qualcosa tipo la calmerizzazione degli affitti, o qualcosa contro la speculazione edilizia, se vogliamo.

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Quali sono gli effetti sul territorio fisico auspicati dalla creazione dello spazio/elemento ? [concezione urbana] Sul territorio fisico c’è la val di Susa, tutti noi siamo d’accordo che non vogliamo che succeda una cosa di questo tipo, con tutti i danni che ne derivano. Mi ricordo quando ero un raggazzino e salii sul tetto per evitare che ci costruissero un muro in mezzo al cortile, e dimezzassero gli spazi per tenere distante il centro sociale dai bambini della scuola. E dopo ci fu anche l’area pedonale di via Balbo, che stata un po’ abbellita. Per dire ci sono piccole cose, per dire, avrei voluto che nascesse anche un movimento reale, non solo di opinione contro la costruzione del grattacielo della San Paolo

CONSIDERAZIONI

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Esistono esperienze che voi considerate simili ?(analogie, distinzioni, rapporti collaborativi, competitivi..) [continuità/discontinuità] Vabbè, un’esperienza simile è il Gabrio, con cui abbiamo avuto delle collaborazioni cittadine, come in CSOA Murazzi. Esperienze proprio simili ci sono, c’è l’ex carcere di Palermo, piuttosto che il laboratorio Crash di Bologna, che sono

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compagni della nostra area con cui facciamo collaborazioni reali su tutti gli ambiti, delle cose in val di Susa, vengono fatte anche con loro e altri. Una volta l’anno facciamo la riunione delle palestre popolari, e si fa una volta a Torino, Palermo, Roma e Bologna, in cui si fanno incontri e cose così.

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Esistono momenti di discussione e verifica dell’attività e delle prospettive ? (forme di trasparenza..) [condivisione e partecipazione] No nel senso che ste robe qua vengono spesso fatte dalle associazioni che pigliano fondi. Non non ne prendiamo. E’ sempre abbastanza trasparente nel senso che quando scendi in piazza, aggreghi un po’ di gente e dici: adesso dobbiamo fare questo, questo e quest’altro. Però non è una roba che devi dare dei rendiconti. [..] Il fatto è che chi viene all’Askatasuna sa dove si trova; chi viene ad un concerto sa dove si trova. Sai che ci sono quelle tematiche e quindi non c’è bisogno di questa roba qua. Ci sono delle riunioni negli ambiti più piccoli. Il comitato di quartiere è un gruppo di persone che si ritrova e fanno delle iniziative. Il discorso della trasparenza c’è soprattutto su chi gestisce le casse e le spese, però più all’interno nostro. Noi non è che dobbiamo rendere conto a qualcuno. [..] La trasparenza che noi abbiamo con i nostri supporter è più sulle campagne che facciamo . C’è info-out che è il sito che veicola, è un portale, l’informazione di parte. Ragioniamo su quello. Dopo la morte di indimedia abbiamo fatto sta roba qua e abbiamo deciso che sugli articoli non ci fossero commenti perché quella roba genera solo confusione. Poi c’e Twitter piuttosto che anche Facebook. ma noi lo diciamo chiaro e tondo: noi siamo di parte; dalla parte secondo noi giusta, ma di parte.

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Allegato 9

Intervista 9 Data: 06/09/2013 Ambito: “micro” riuso urbano Soggetto: fondatore /membro

del collettivo FarWaste

FINALITA’

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Quali sono gli scopi principali che hanno portato alla definizione / ridefinizione di questo spazio/elemento ? [quadro esigenziale locale] Quando siamo partiti tutto è nato così, come esperienza ludica, ben poco di obbiettivi. Io personalmente volevo approfondire meglio l’argomento. Anche la manualità comunque è una roba che piace. In Olanda (presso Refunc) mi hanno fatto lavorare alla fine con martello e sega. L’obbiettivo del gruppo è quello di diventare più pro. Adesso ci si divide. Da una parte c’è il bisogno di “quagliare”, dall’altra c’è quello che è l’obbiettivo primario che è sperimentare sul riuso, cioè di lavorare sui materiali, su oggetti, anche a caso, anche se non ci si guadagna. E le installazioni artistiche a Paratissima, poi Milano al Fuori Salone, a Venaria Art Jungle, hanno un messaggio dietro. Cioè anche le installazioni giganti servono un po’ a dire: “ guarda quanti rifiuti ci sono e questo è un milionesimo di quello che puoi immaginare”. Infatti uno di noi diceva: “ragazzi noi non siamo designers, non siamo artisti, siamo comunicatori”. Vogliam passare un messaggio e lo facciamo in modi magari alternativi, o di moda, o nei posti che ci sembrano più interessanti. Alla fine è comunicazione quello che facciamo. Abbiamo iniziato a fare anche dei workshop ed è un altro modo per comunicare soprattutto fisicamente cioè non ti faccio vedere una roba, ma te la faccio fare, e quello funziona tanto e, cioè, ha un valore. Abbiamo fatto un workshop alla Cascina Caccia, tra l’altro con dei ragazzini, divertente, abbiamo fatto il calcetto, e tra l’altro li, la cascina era della mafia, quindi un esempio di riuso con un significato ben più forte. E poi abbiamo fatto un WS alle Officine Corsare. Parlare al pubblico di qualcosa come quello che facciamo noi è difficile perché così non puoi viverci come associazione, e quindi devi scendere a compromessi, perché a volte sei costretto a farlo. E’ un problema che abbiamo e l’unico modo che abbiamo per risolverlo è quello. Poi c’è il concetto di Smart Design. Robe ragionate che non sono fighe e basta. Può essere anche tipo: hai finito di bere dalla bottiglia, girala e usala in un altro modo; la doppia vita degli oggetti.

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A chi sono rivolti gli spazi/servizi/attività ? [target] Tendenzialmente è generico, poi dipende da cosa a cosa. Ora facciamo i bicchieri dalle bottiglie e può interessare il bambino come l’adulto, Invece le sedute con le doghe delle botti, per una persona più adulta, magari anche di una cera, passami il termine, classe sociale, è più interessante. Ogni volta è anche diverso. A paratissima verrà un certo tipo di persone. Era stato divertente a Milano perché eravamo nella China Town di Milano e il 90% del nostro target erano Cinesi e noi avevamo lavorato sugli stereotipi e sulla mitologia. Molti di loro ci dicevano: “come fate a sapere certe cose?” . Alla fine è divertente anche giocare con la comunità. Devi specializzarti nei target. Poi magari sbagli perché quella roba non era adatta. Ci sono canali più ricettivi, altri meno. Tipo stasera organizziamo una serata: vendiamo un bicchiere fatto da noi e se lo compri hai vino gratis tutta la sera. Il target che viene lì, probabilmente non gliene frega nulla, cioè non sono certo quelli che ci compreranno la sedia. Poi ragazzini e bambini sono una fascia molto attenta. [..] Aggiungo che a noi piacerebbe lavorare in concerti, festival, nella spettacolarità degli eventi, per realizzare allestimenti. Dovevamo andare a Balla coi Cinghiali e ad Alpette Rock Festival. Ad Alpette non siamo andati alla fine perché loro non potevano darci niente e per noi sarebbe stato un costo incredibile andar la e trasportare tutto e Balla coi Cinghiali non si è fatto quindi. Avevamo contattato anche il traffic, e ci han detto: “sisi va bene”, però anche loro non potevano darci niente.

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Esistono finalità comuni con altri soggetti/istituzioni ? [inserimento in un quadro coerente] Fortunatamente si e sfortunatamente si. A Torino in particolare ci sono tante realtà che hanno gli stessi obbiettivi e lo stesso core business. C’è chi come voi, PLinto e anche IZMO, si è dedicato all’argomento. Ritengo che il nostro gruppo sia un po’ singolare come obbiettivi; però c’è chi lo fa da anni, pigliando rifiuti e non ha mai detto che utilizza rifiuti. E questo da parte della comunicazione è diverso. Magari è un falegname che lavora con armadi vecchi, che sono fighissimi, ma non dice: falegname di armadi vecchi. Fortunatamente le istituzioni vanno a nozze con queste cose, quindi se di fregiano del fatto che è riuso, contro i rifiuti, piace, sono interessati talvolta mettono anche dei soldi [..] IZMO ha vinto più di due bandi puntando su questo, E c’è gente interessata, devono essere progettoni. Sarebbe bello collaborare, perché poi assieme si parla più forte. Forse non è ancora l tempo. Noi non siamo ancora istituiti. Siamo un collettivo e c’è la volontà di diventare qualcosa, probabilmente una cooperativa. Per ora facciamo fattura a privato come prestazione occasionale. C’è interesse e c’è gente che è capace ad ascoltare.

* *

Vi è un’evoluzione delle finalità nel tempo ? [variabilità temporale] Si diciamo che vivere di ideali è difficile. La cosa è nata così, per divertirsi. Poi si è evoluta, con degli scopi più definiti. Alla fine ci è scontrati con la realtà e col dover fare compromessi. La localizzazione dello spazio/elemento è legato alle finalità ? [continuità sociale - territoriale] Torino meno, il Piemonte sì, ha la stellina di ricilatore, anche perché ci sono comuni pazzeschi che fanno robe incredibili. Torino meno anche perché l’amiat è devastata da debiti e crediti. C’è l’esempio stupido dell’inceneritore. Se fossimo in Olanda nessuno ci cagerebbe perché sarebbe una roba normalissima quella che facciamo. La localizzazione è importante nel momento in cui c’è interesse. MODALITA’

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Qual’è l’iter che ha portato alla realizzazione dello spazio/elemento ?

[caratteristiche di processo] Dunque, il gruppo nasce praticamente non tanto da una mia idea, ma dalla mia tesi, cioè, prima da una serie di esperienze, tipo quella di IZMo, del 2010, sui pallet. Quello era stato il mio primo approccio sui rifiuti e sulla manualità, che sono due cose parimenti importanti. Poi sono stato in Olanda a fare tirocinio da un studio, Refunc. L’obbiettivo della tesi era dimostrare come dei rifiuti, quindi destinati a essere inceneriti o mandati in discarica, possono avere ancora una funzione e che questa sia effettivamente una cosa conveniente, perché di esempi home made, fai da te, fatti in casa, ce ne sono miliardi nella rete, però di esperimenti seri, interventi rilevanti, pochissimo. E la mia idea era cercare di capire in base a quali aspetti, dire se un materiale riusato era davvero eco sostenibile, anche perché oggi essere eco è solo un fattore di marketing, ha ben poco di eco. [..] E quindi anche sta roba qua nella tesi volevo approfondirla di più. L’utilizzo di eco come marketing lo sminuisce, lo rende forse anche peggio della normalità. Quindi avevo studiato dal punto di vista tecnologico, fattivamente, un po’ di materiali; economico, quindi se vale la pena, che se non c’è il lato economico a nessuno interessa. Il lato logistico, quindi la normativa, lo puoi fare, non lo puoi fare, hai bisogno di andartelo a pigliare dove lo creano eccetera. In tutto questo mi ero soffermato sulla moquette e avevo fatto dei prototipi che mi sembravano interessanti. FarWaste nasce nel momento in cui in casa mia erano avanzati 3-400 metri quadrati di moquette e entrando in rapporto col Bunker, per caso quasi, l’anno scorso, con un paio di amici, uno di economia, l’altro di architettura, [..] abbian detto:” Facciamo qualcosa che possa essere divertente”, e l’estate scorsa l’abbiamo passata a fare il fungo di moquette. Non eravamo ancora niente.[..] Eravamo in quattro e abbiamo fatto questo fungo in realtà molto più divertimento e meno professionalità, nel senso, abbiamo fatto sta roba, ci siamo divertiti, è piaciuto a molte persone e il Bunker è stato un luogo molto interessante. Ed era nello stesso tempo in cui loro stavano iniziando a crescere, cioè a nascere, quindi vedevamo anche alcuni artisti

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che stavano allestendo le loro opere, i painters sui muri, abbiamo partecipato alle serate che facevano. [..] Da lì abbiamo pensato di partecipare a Paratissima, con un’altra cosa, solo che eravamo in quattro, così abbiamo raggruppato altre 5 persone e in nove abbiamo iniziato l’esperienza FarWaste. [..] Paratissima anche è piaciuto, ci siam divertiti, e abbiam deciso di provare a continuare la lavorare assieme.

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Quali sono gli elementi che ne hanno reso possibile la concretizzazione ? (strumenti giuridici, partnerships..) [caratteristiche del substrato] Zero, sempre da soli. Solo, abbiamo partecipato a un bando del Miur, in uno spazio del Cecchi Point, in collaborazione con un ragazzo di IZMO. Il tema sarebbe di avviare una produzione di oggetti con scarti, rifiuti, prelevati direttamente dalle aziende, con più finalità: far guadagnare le aziende perché non hanno lo scarto, ma un oggetto trasformato che verrà venduto, e quindi loro ci guadagnano, dare lavoro, con la forma di stage, ragazzi neolaureati che vengono, progettano realizzano, fanno il prototipo e poi noi o le aziende vendono, quindi loro ci guadagnano in curriculum e esperienza eccetera; e un’analisi dal punto di vista dell’ impatto ambientale, quindi dire se effettivamente il design prodotto con i rifiuto sia sostenibile o no. Abbiamo vinto questo bando, solo che ora è tutto in pausa, sono 700.000 euro, sono tanti. E’ un progetto di 3 anni. Era un bando per la ricerca e noi la ricerca ce l’abbiamo in questo. Si chiama DIA Do it alone, nel fare da soli, che ha un valore, ma è tutto in pausa da un anno. I fondi sono Europei, Fondi per la Ricerca. [..] Il progetto i realtà è stato fatto da 8 persone, era aperto ai singoli, non è una cosa delle associazioni. C’è tutta una critica da fare: il bando era under 30, smart cities, smart impresa, sì però è da un anno che aspettiamo di sapere se parte o no. Il Comune lì si è preso il merito. E’ uscito sulla stampa un paginone con i 10 progetti vincitori, dicendo: “ Il Comune patrocina dieci progetti smart cities, e via dicedo”.

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Quali sono gli attori coinvolti ? [caratteristiche di partecipazione] Bè noi e altre associazioni, tipo Libera e Acmos, Paratissima, cioè Ylda, perché al Fuori Salone siamo andati con loro. Di associazioni interessate ci sono. Poi cioè loro vivono di bandi, quindi quando c’è da realizzare qualcosa subappaltano le cose. A loro va benissimo. Libera ci ha dato ogni giorno 500 euro di materiale per 3 giornate. Il calcetto l’abbiamo fatto così perché potevamo spendere per farlo. Adesso stiamo lavorando con la scuola Holden, devono fare delle specie di mantra, da dare agli studenti all’inizio dell’anno e ce li fanno fare a noi.

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Quale modello di si adotta per la gestione economica (qualora necessaria) dello spazio/elemento ? (autofinanziamento, pubblicità, crowd founding,..) [caratteristiche funzionali] L’autofinanziamento. Alcuni progetti sono rimborsati, tipo Milano, siamo andati lì come Paratissima. Loro ci hanno rimborsato trasporto eccetera. Libera ci ha pagato anche per fare i Workshop e adesso stiamo cercando di vendere questi oggetti per quello.

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Quale forma giuridica o struttura amministrativa si adotta per la gestione dello spazio/elemento ? [caratteristiche di gestione] L’associazione ha il problema che non ha fini di lucro. Da una parte i nostri obbiettivi potrebbero sostenerla quella cosa, però se noi vogliamo viverci di quella cosa non ha senso. Non coincidono le due cose. Il no profit per esempio ha funzionato con IZMO per un po’ nel senso che nei bandi c’erano già retribuzioni per persone che lavorano a determinato progetto. Però noi non abbiamo partecipato a bandi. la cosa migliore per noi sarebbe forse la cooperativa, che però ha dei costi che non siamo sicuri di poter coprire. [..]

PROSPETTIVE

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Quali sono gli effetti sulle dinamiche sociali auspicati dalla creazione dello spazio/elemento? [individui] Son cose molto piccole magari. Persone che lo vedono e pensano: “ a che bello, magari me lo posso fare a casa anche

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io”. Da un lato è un fallimento perché così noi non venderemo mai quell’oggetto. Dall’altro però è un successo perché sono contento che il messaggio funzioni. C’era anche l’idea iniziale, destinata a morire, di vendere i kit di autocostruzione cioè, hai un kit con che ne so 10 viti, un pezzo particolare che ti serve e le istruzioni e dici: “ Ok, vuoi costruirti una lampada col ferro da stiro, si fa così. Tu compri il kit che magari costa niente e te lo fai a casa. Solo che è difficilissimo questo perché uno dice: “ah questo lo sapevo fare anch’io”. Si ma in realtà no, perché non è sempre semplice. Anche lì, i bicchieri son facilissimi da fare, però prima che noi c’è da incidere il vetro e tutto, magari quando ne fai uno bene ci hai passato una settimana a capire il metodo. A paratissima, una delle cose che è piaciuta di più, vince sulla spettacolarità, più che sul messaggio. Il fatto di stupire con gli oggetti vince di più, Però qualcosa ti rimane.[..]

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Quali sono gli effetti sulle politiche urbane auspicati dalla creazione dello spazio/elemento ? [politiche] Direi niente, ci piacerebbe lavorare. A Torino, il cantiere Barca, Raumlabor, stanno lavorando sul riuso di un ex centro di aggregazione degli anni ‘70, da 3 anni. Insieme a Situa.To e altri. Lega i due aspetti più istituzionali e quelli del “micro” riuso. Loro lavoreranno con la gente del quartiere.

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Quali sono gli effetti sul territorio fisico auspicati dalla creazione dello spazio/elemento ? [concezione urbana] Non saprei. Abbiamo provato a lavorare sullo spazio pubblico, attraverso un bando, però non abbiamo vinto. E’ un tema interessante perché si creano interazioni con la gente che usa gli spazi. IZMO quando ha fatto il WS sui pallet, doveva metterle nel cortile dell’edisu. Ma l’edisu, per questioni del cazzo, alla fine non glielo ha concesso. Il giardino era pronto, con le sedie messe, ma non è mai stato aperto. E questa è un’esperienza negativa. IZMO ha fatto anche l’unità urbana che doveva stare nella piazza del SERMIG. Doveva stare lì a fruizione di tutti. Ora sta al Bunker, perché lasciarla li voleva dire farla sparire. Il cantiere Barca, funziona invece, è da tre anni che vanno su con sta roba.

CONSIDERAZIONI

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Esistono esperienze che voi considerate simili ?(analogie, distinzioni, rapporti collaborativi, competitivi..) [continuità/discontinuità] Un po’ ne ho già parlato. Adesso IZMO ha fatto IZMADE, che è una sottobranca e il loro obbiettivo è realizzare oggetti e venderli, proprio sul forniture design. Si discostano un pochino dal riuso, non si fregiano tanto di questo, anche se si, la fanno. Sì, Sono competitors, e obiettivamente un pochino più grandi di noi [..] E’ un mercato che sta diventando un po’ saturo quello dei sustainable oggetti. Forse questo vince con i progetti un po’ più sociali. Il bus di IZMO anche è interessante.

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Esistono momenti di discussione e verifica dell’attività e delle prospettive ? (forme di trasparenza..) [condivisione e partecipazione] Si ogni giorno. Per noi ora si, siamo rimasti in 5, altri 4 si sono allontanati. E in 5 pagare l’affitto della sede non è facile. Abbiamo bisogno di capire a cosa dedicarci intensivamente. [..] Poi due dei 5 stanno ancora studiando. [..] A me piacerebbe, dato che siamo in tanti ad occuparci di questa roba, organizzare l’evento di discussione sul riuso a torino. Ci vorrebbe anche un curatore importante.

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Allegato 10

Intervista 10 Data: 12/09/2013 Ambito: “micro” riuso urbano Soggetto: presidente associazione PLinto FINALITA’

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Quali sono gli scopi principali che hanno portato alla definizione / ridefinizione di questo spazio/elemento ? [quadro esigenziale locale] Innanzitutto, ci sembrava una iniziativa in linea con alcuni principi dell’associazione e un’ottima occasione per promuovere l’attività di PLinto. Il tema della sostenibilità ambientale, che era anche il tema del concorso, ci ha dato la possibilità di mettere in pratica alcune idee che già nell’associazione ci sono. [..] Ad esempio il riuso, il riciclo, la partecipazione, la sostenibilità eccetera.

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A chi sono rivolti gli spazi/servizi/attività ? [target] L’installazione ha un carattere dimostrativo e di comunicazione sulla sostenibilità ambientale nei confronti della produzione e del consumo di materiali plastici. Logicamente questa si rivolge alla cittadinanza, attraverso la sua fruizione e alla sua contemplazione. Inoltre abbiamo cercato di ottimizzare il valore partecipativo dell’installazione, in modo da andare più a fondo, promuovendo l’iniziativa all’interno delle scuole medie e elementari del quartiere di San Salvario, con delle piccole lezioni in cui si dice cos’è In/Cubo, come funziona, e altre informazioni sul riuso in generale.

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Esistono finalità comuni con altri soggetti/istituzioni ? [inserimento in un quadro coerente] Come ti ho già detto, e come d’altronde già sai, avevamo appena costituito l’associazione ma questa lavorava in parallelo al collettivo studentesco che ha supportato a pieno la costruzione dell’installazione e i suoi indirizzi strategici.[..] Oltre al collettivo PLinto abbiamo ovviamente collaborato con le associazioni banditori del concorso e con la Circoscrizione 8, con cui abbiamo dialogato nell’ambito della gestione dell’opera, nel contesto locale. Poi c’è stato l’apporto del Politecnico e che la Facoltà di architettura ci ha messo a disposizione i seminterrati per stoccare e lavorare. in termini gestionali insomma.

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Vi è un’evoluzione delle finalità nel tempo ? [variabilità temporale] Bè riguardo al progetto, In/Cubo è temporaneo. Dovrebbe restare fino ad Ottobre se non sbaglio. Ha un tempo limitato e la finalità resta quella originale. Più che altro, avevamo inserito all’inizio, all’interno del progetto, anche finalità di monitoraggio, per vedere cosa succedeva, se la gente interagiva positivamente, o se invece non veniva capito. Mi sento di dire che stiamo più o meno rispettando, anche se non è che ci siano proprio, diciamo, delle verifiche vere e proprie. Raccogliamo più che altro pareri e cose così, sulla base di cui poi si elaborano nuove ipotesi.

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La localizzazione dello spazio/elemento è legato alle finalità ? [continuità sociale - territoriale] Io credo che la localizzazione nel parco abbia sicuramente aiutato l’aspetto partecipativo dell’opera per la sua fruizione, essendo la zona dell’Imbarchino, del Fluido dove c’è sempre un sacco di gente di tutti i tipi; La terrazza ha poi influito molto sul carattere di spettacolarità, il fiume lì sotto. In effetti non sono sicuro che l’installazione sia adatta specificamente a quel 249


luogo, anche perché, per il bando, dovevamo trattare temi ampissimi, e non particolarmente legati al territorio, quanto alla sostenibilità e cose così. Si potrebbe fare un In/Cubo diverso, in un posto diverso, che raccoglie i legami col territorio a cui appartiene. E’ anche vero che il legame si crea nel momento in cui la gente lo usa e lo riconosce.

MODALITA’

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Qual’è l’iter che ha portato alla realizzazione dello spazio/elemento ?

[caratteristiche di processo] Abbiamo partecipato, con l’associazione appena costituita, ad un concorso indetto dall’associazione river eyes Torino sul tema della comunicazione ambientale. In maniera sintetica: abbiamo partecipato al concorso, presentato il progetto, che ha vinto. In realtà avevamo partecipato per il Parco Dora, ma la giuria ci ha spostati nella zona del Po. Poi abbiamo preso contatti stabili con alcuni fornitori e siamo partiti alla ricerca dei materiali necessari, il più possibile in linea con i preventivi, e di sponsor. Ci siamo rivolti a Negozio Leggero, Circoscrizione, Amiat e Smat. Solo questa ci ha fornito un contributo. Intanto alcuni di noi stavano facendo le lezioni nelle scuole e la pubblicizzazione della cosa. E’ stato fondamentale il fatto che nelle scuole, nelle sedi, sale studio eccetera, abbiamo messo degli scatoloni appositi, solo per bottiglie di plastica, che ogni tot raccoglievamo e stoccavamo nelle varie cantine dei vari membri. Poi, quando c’è stata la fase di costruzione, sono state portate tutte là nei sotterranei, quasi 10.000 bottiglie, impressionante. [..] Si prima di costruire abbiamo anche ritirato i materiali dai fornitori, e anche per la logistica è stato un casino, siccome nessuno di noi ha un mezzo di trasporto grande, un camioncino. Siamo riusciti a farcelo prestare e portate le griglie al Cecchi Point. Qui abbiamo preso accordi per lavorare a prezzi, diciamo, popolari, e abbiamo rifilato tutte le griglie metalliche e le abbiamo verniciate col ferro micaceo. Poi abbiamo preparato tutte le varie componenti, rinforzi, tiranti eccetera e abbiamo spostato tutto al Valentino. Di qui abbiamo iniziato a costruire prima una pedana il legno, griglie, e camera d’aria di biciclette usate per colmare la pendenza della terrazza, e poi abbiamo tirato su i vari moduli, riempiendoli delle bottiglie staccate. Alla fine c’è stata l’inaugurazione, la festa e quant’altro.

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Quali sono gli elementi che ne hanno reso possibile la concretizzazione ? (strumenti giuridici, partnerships..) [caratteristiche del substrato] Per primo io direi la volontà di sperimentare e di manifestarsi del collettivo PLinto e dell’associazione. Oltre a questo lo spirito di gruppo, la condivisione di certi ideali, soprattutto per i numerosi problemi che si sono incontrati in corso d’opera, come la scarsità di attrezzi e dei mezzi di trasporto. Se ognuno non avesse messo a disposizione qualcosa, nel suo piccolo, non saremmo mai riusciti a costruirlo. Oltre a queste, forse un po’ retoriche, sicuramente gli aiuti da parte della Facoltà, soprattutto logistici, e dei fondi a disposizione del Collettivo PLinto.

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Quali sono gli attori coinvolti ? [caratteristiche di partecipazione] Bè soprattutto il collettivo e l’associazione PLinto e i progettisti. Poi le associazioni banditrici (Antropocosmos, Econtact, Istituto Scholè Futuro ONLUS) le scuole coinvolte, mi pare una decina, le sedi universitarie, le scuole e le aule studio della circoscrizione 8, il comune di Torino. Fondamentale, la Facoltà di Architettura, in particolare il Prof. Gianfranco Cavaglià e l’ufficio logistica del castello del Valentino. Oltre a questi, la Smat come sponsor, i fornitori, gli altri vincitori del concorso river eyes. Il Cecchi Point ci ha permesso di lavorare in un ambiente di sostenibilità economica e in questo è stato indispensabile, anche perché, sennò dovevamo lavorare per strada o chissà dove. PLinto non ha ancora una sede, figuriamoci una officina.

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Quale modello di si adotta per la gestione economica (qualora necessaria) dello spazio/elemento ? (autofinanziamento, pubblicità, crowd founding,..) [caratteristiche funzionali] Abbiamo utilizzato tutti i fondi del premio del concorso, 750 euro, oltre a questi abbiamo utilizzato alcuni fondi a disposizione del collettivo Plinto, i soldi della sponsorizzazione Smat, 500 euro, e in parte abbiamo autofinanziato l’installazione. In realtà sono stati tutti rimborsi spese, tranne i 750 euro di premio. Mi sembra che ci fossero anche un centinaio di euro per

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la promozione dalla Circoscrizione.

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Quale forma giuridica o struttura amministrativa si adotta per la gestione dello spazio/elemento ? [caratteristiche di gestione] Non c’è una vera e propria gestione dell’installazione, quindi non c’è una forma giuridica. Direi che il monitoraggio che stiamo eseguendo sull’opera e solo parte del nostro interesse informale. Lo facciamo così perché ci sembra giusto osservare cosa succede nel momento in cui si installa sul territorio una roba del genere.

PROSPETTIVE

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Quali sono gli effetti sulle dinamiche sociali auspicati dalla creazione dello spazio/elemento? [individui] Ci auspichiamo una sensibilizzazione delle cittadinanza sui temi di base. Soprattutto, io credo, attraverso le lezioni svolte nelle scuole per alimentare la coscienza ambientale nelle giovani generazioni. La spettacolarità anche è importante. Per questo abbiamo cercato di farla più grande possibile. Si spera che possa catturare l’attenzione e stimolare la critica verso il consumismo diciamo

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Quali sono gli effetti sulle politiche urbane auspicati dalla creazione dello spazio/elemento ? [politiche] Nessuno purtroppo. Anche perché credo che sia molto difficile che un’installazione a carattere informale, para istituzionalizzata, temporanea eccetera, possa generare una risposta nella gestione delle politiche urbane. Secondo me, pur nell’utilità interna all’associazione dell’intera iniziativa, abbiamo lavorato semplicemente su un terreno di retorica. Se avessimo cercato una risposta o un cambiamento forse avremmo dovuto esagerare un po’ di più, ma probabilmente non avremmo vinto il concorso.

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Quali sono gli effetti sul territorio fisico auspicati dalla creazione dello spazio/elemento ? [concezione urbana] Forse semplicemente la percezione diversa di alcuni spazi nell’intorno della installazione e una diversa, seppure minima, fruizione di quella parte di Parco del Valentino. In effetti le reazioni da parte della gente normale, che frequenta il parco, ci sono state, e diversificate. Anche se invasivo, In/Cubo, secondo me, non è stato, per ora, ne rigettato ne accettato completamente. Vedremo. E comunque, anche qui, trovo difficile che un progetto così specifico e temporaneo, possa produrre cambiamenti, diciamo, grandi.

CONSIDERAZIONI

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Esistono esperienze che voi considerate simili ?(analogie, distinzioni, rapporti collaborativi, competitivi..) [continuità/discontinuità] Questa iniziativa è stata principalmente la risposta ad un concorso di comunicazione Ambientale e come tale ci sono moltissime eseprienze simili alla nostra. Se parliamo invece dell’attività dell’associazione noi vorremmo stringere rapporti e creare una rete con realtà simili alla nostra a Torino e in Italia, dunque fare network con associazioni e enti che si occupano in linea generale di lavorare e monitorare le trasformazioni urbane attraverso il lavoro di giovani studenti e ricercatori; in modo da poter essere uno strumento e un riferimento per le realtà istituzionali ed anche quelle informali. [..] Per non divagare, credo che le risposte ci siano, sono presenti sul territorio. La chiave giusta è la collaborazione.

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Esistono momenti di discussione e verifica dell’attività e delle prospettive ? (forme di trasparenza..) [condivisione e partecipazione] Nel caso di non è che ci sia molto da dire. Niente, solo che l’aggiornamento continuo è basilare e anche la raccolta di informazioni. L’associazione in questo si muove principalmente attraverso internet, Facebook, il sito eccetera.

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Ringraziamenti:

Carlo Massucco, Tecla Livi, Eugenio Dragoni, Oliver Tomasuolo, Donatella Genisio, Davide Paglia, Vincenzo Morrone, Claudio Robba, Giorgio Ceste, Gianmaria Mazzei,

Edizioni


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