Beirut, bas lau!
Proposta di uno spazio di riconciliazione nei sobborghi armeni di Beirut Est
Laureanda Carlotta Trippa Relatori Gastone Ave Daniele Pini Correlatore Romeo Farinella Tesi di laurea Anno accademico 2017-2018 UniversitĂ degli Studi di Ferrara Corso di Laurea Magistrale in Architettura
“Bas lau” in arabo si può tradurre letteralmente con “se solo”, ma il suo significato è più profondo e complesso. E’ un’espressione che in sé racchiude una duplice temporalità. Negativa, guardando alle azioni del passato che hanno avuto una ripercussione sul presente. Positiva, con sguardo rivolto al futuro, per le cose che si spera avverranno, come conseguenza di un cambiamento immediato.
Ai miei genitori.
Indice
ABSTRACT
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YA LUBNAN Il Paese dei cedri Storia di un territorio tra l’Oriente e l’Occidente Dinamiche demografiche ed uso del suolo Identità etnica e rappresentanza politica Mobilità
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LE BEIRUT Territorio d’insediamento La storia antica L’Impero ottomano La Parigi del Medio Oriente L’indipendenza e l’aumentare delle tensioni Beirut est e Beirut ovest (Ri-) costruire Beirut
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BEIRUT CITTA’ DIVISA La Grande Beirut Città militarizzata Beirut casa per tutti Catalogo degli spazi aperti Le grandi infrastrutture
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IL CASO DEI SOBBORGHI DI BEIRUT EST L’area nel suo contesto Una storia armena Karm El Zeitoun e Bourj Hammoud oggi
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ANALISI CRITICA DELL’AREA-PROGETTO Elementi di divisione Flebili collegamenti La forza produttiva del settore artigianale Luoghi rappresentativi e forte spirito comunitario Le pratiche informali in assenza di spazi per la comunità
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LO SPAZIO DI RICONCILIAZIONE Criticità e potenzialità Linee stratetegiche Il masterplan
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IL PROGETTO Premesse essenziali Souk al Yerevan Sahat al Zikrayat e Hadikat al Zeytoun Sahat al Kanisa e Hadikat al Yerevan
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BAS LAU: conclusioni
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BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
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ELABORATI GRAFICI
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Abstract
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Bourj Hammoud, 2018 (foto: Ara Madzounian) 12
La tesi indaga la componente informale nelle modalità di fruizione degli spazi aperti nella città di Beirut -Libano-, riconoscendola come elemento essenziale in vista di un progetto per la comunità. Lo studio si concentrerà nei sobborghi armeni di Bourj Hammoud e Karm el Zeytoun, situati a Beirut Est. Si tratta di quartieri densamente popolati e abitati da classe sociali indigenti, le cui condizioni di vita risultano inferiori rispetto ad altre zone della capitale. Sebbene sorti simultaneamente agli inizi del secolo Novecento, si trovano attualmente ad essere divisi da grandi opere infrastrutturali. Presentano però un forte settore produttivo, che li rende zone nevralgiche a scala urbana. Come area si è scelta quella localizzata nel punto di intersezione delle maggiori infrastrutture di divisione. Il fine è di pensare una serie di spazi e percorsi pedonali aperti a sostegno della riconciliazione della comunità armena. La strategia è mirata al ripristino della memoria dei luoghi, così come della creazione di nuove attività, in rispetto di quelle esistenti. Il progetto ha come scopo formale quello di creare degli spazi volti al miglioramento diffuso della qualità urbana, la cui destinazione è stata scelta guardando alle attuali modalità di fruizione. La zona sottostante il Ponte Yerevan, individuata come potenziale spina nevralgica dell’intervento, viene convertita a souk, come nella tradizione araba del mercato coperto. In seguito sono state riconosciute come aree essenziali ai fini del collegamento quelle dei progetti di Sahat al Zikrayat e di Hadikat al Zaytoun, che corrispondono rispettivamente ad uno spazio che orbita intorno alla centralità del memoriale al genocidio del popolo armeno e ad un uliveto, in memoria della conformazione originaria del sito. Si è proceduto poi con l’individuazione di altre aree dismesse lungo la direttrice di unione dei quartieri, per accrescere l’area d’influenza dell’intervento. Segnatamente queste sono occupate dallo spazio di sosta di Sahat al Kanisa, situato in prossimità della Chiesa Evangelica Armena e dall’oasi urbana Hadikat al Yerevan. 13
Il progetto si inserisce all’interno di una strategia applicabile a livello cittadino, che vede gli spazi sottostanti le grandi infrastrutture di divisione, come essenziali per le comunità , in quanto luoghi inutilizzati di un tessuto urbano fortemente saturato.
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Ya Lubnan
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Il Paese dei cedri Il nome Libano deriva originariamente dal termine Loubnan, che in aramaico significa “bianco” e fa riferimento alla principale catena montuosa che attraversa il paese. E’ un piccolo Stato del Medio Oriente che affaccia ad ovest sul Mar Mediterraneo e confina a Nord e ad Est con la Siria, mentre a Sud con Israele. Si estende per 250 chilometri in lunghezza e dai 20 ai 25 in larghezza, coprendo una superficie di 10.452 chilometri quadrati, caratterizzati da un territorio piuttosto vario. La fascia costiera è lunga 255 km e varia dai 3 ai 20 km di profondità, risultando nel complesso abbastanza variegata, con insenature, promontori ed isole. A dividere la costa dalla pianura interna della Beqaa, vi è la catena montuosa del Monte Libano, che raggiunge altitudini di 3000 metri e rappresenta l’elemento morfologico più importante del paese. Oltre la valle, a confine con la Siria si trova un’ulteriore catena montuosa, l’Antilibano, con cime poco sotto i 3000 metri. E’ un Paese caratterizzato da una straordinaria varietà naturalistica, dovuta alla conformazione fisica del territorio e alle sue risorse. Emblema ne è l’albero di cedro, presenza immanente nella memoria dei luoghi, tanto da apparire anche nella bandiera nazionale. Per via della conformazione fisica del territorio, i corsi d’acqua hanno un corso relativamente breve, fatta esclusione per il Leonte, che percorre la Beqaa prima di sfociare nel Mediterraneo, e il Giordano, che nasce nel Monte Hermon al confine fra Libano, Israele e Siria, nei territorio conteso del Golan. Il clima è fortemente influenzato dalla presenza della catena del Libano che divide quello temperato e con abbondanti precipitazione della costa, da quello secco con temperature elevate dell’interno. Il Libano è diviso in governatorati (muhafazat) amministrati dal governatore (muhafiz), che rappresenta il governo centrale. I governatorati sono ulteriormente divisi in distretti (aqdiyyah), ognuno dei quali è presieduto da un capo distrettuale (qa’im-maqam), che, insieme al governatore, supervisiona il governo locale. 18
Monte Libano, 2018 (foto: Elias Ac) 19
I governatorati sono otto – Akkar, Baalbek-Hermel, Beirut, Bekaa, Mount Lebanon, North, Nabatiye, South – divisi in 26 distretti, eccetto quello di Beirut che non è suddiviso. I comuni (comunità con almeno 500 abitanti) eleggono i propri consigli, che a loro volta eleggono sindaci e vice-sindaci. I villaggi e le città (più di 50 e meno di 500 abitanti) eleggono un mukhtar (capotribù) e un consiglio di anziani, che prestano servizio a titolo onorifico.
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Storia di un territorio tra l’Oriente e l’Occidente Il Libano ha una storia antichissima, essendo un territorio popolato da oltre 10.000 anni prima di Cristo. Nella Bibbia è descritto come la “terra del latte e del miele” per la ricchezza delle sue risorse naturali e le sue potenzialità difensive, offerte dalle alte montagne ad est e dal mare ad ovest. Ciò che ha inoltre da sempre caratterizzato la storia del Libano, è stata la posizione strategica che l’ha portato ad essere un crocevia tra l’Oriente e l’Occidente. I primi ad insediarvisi sono i Fenici, che arrivano nella regione probabilmente all’inizio del 7000 a.C, in particolare a Byblos, poco distante da Beirut, che risulta a tutt’oggi la più antica città del mondo abitata con continuità. Nel VI secolo a.C. viene annessa all’Impero persiano di Ciro il Grande per passare due secoli più tardi sotto l’influenza dei regni ellenistici di Alessandro Magno. Nel I secolo a.C. avviene la conquista romana e dal IV secolo d.C. il Libano entra a far parte dell’Impero Bizantino d’Oriente. Con la caduta dell’Impero romano il cristianesimo fa il suo ingresso nel territorio. Nel VII d.C. vi è invece la conquista araba, che introduce nel territorio l’Islam e le sue tradizioni, creando scontri religiosi con le comunità cristiana ed ebrea. Il Libano vede anche un periodo di dominazione cristiana nell’epoca delle crociate (XII e XIII secolo), per poi tornare sotto il dominio arabo dei Mamelucchi dal 1291, fino alla conquista ottomana. A partire dal 1516 il Libano finisce sotto il controllo dell’Impero ottomano per restarvici sino al 1918. Gli Ottomani, tramite i Maans, una potente famiglia feudale drusa, e gli Shihabs di etnia arabo sunnita, governano fino alla metà del Diciannovesimo secolo. E’ durante questo periodo che viene coniata la definizione di Grande Siria per indicare il territorio che oggi include Libano, Siria, Giordania, Palestina e Israele. La gestione ottomana, ad ogni modo, si dimostra efficace nelle aree urbane, mentre il resto del paese è amministrato da capi tribù, sulla base della loro abilità nel riscuotere le tasse per il sultano. 21
Il sistema di gestione territoriale è simile a quello di altre società feudali, per cui vi sono famiglie autonome che fanno riferimento all’emiro, che a sua volta è fedele al sultano. Come risultato di questa struttura sociale e politica, le alleanze dipendono fortemente dalla lealtà dimostrata. Grazie a ciò, Bashir II, un emiro appartenente alla dinastia Shihab e proveniente dal distretto del Monte Libano, a maggioranza drusa e maronita, diventa la principale figura di spicco nella prima parte dell’Ottocento. E’ durante questo periodo che il Libano vede l’accentuarsi delle tensioni etniche e religiose che definiscono la vita sociale e politica del paese per i successi decenni. Nel 1842, gli Ottomani, per cercare di attenuare i conflitti, decidono di dividere il Libano in due regioni amministrative, una drusa e l’altra maronita, con scarsi risultati. La comunità cristiano maronita, risiedente soprattutto sul Monte Libano, ha infatti da sempre subito forti oppressioni sotto il dominio islamico e quando dai primi dell’Ottocento vede consentito l’insediamento di clan drusi, curdi e sunniti nella propria area di influenza, percepisce una minaccia alla propria già fragile identità arabo-cristiana. Ogniqualvolta si manifestano queste circostanze, le potenze europee intervengono sempre a favore della comunità cristiana. Il Libano ha da sempre infatti trattenuti rapporti economici e commerciali con l’Europa, in particolare Francia e Italia, rientrando anche sotto la loro sfera politica di influenza. Nel 1861 viene istituito, all’interno del contesto statale ottomano, il distretto autonomo del Monte Libano che fruisce di una garanzia internazionale ed è amministrato da un cristiano ottomano non-libanese noto localmente come Mutassarif. A questo punto in Libano vi è una maggioranza cristiano maronita, con però un significativo numero di Drusi al suo interno. Durante la prima guerra mondiale i maroniti subiscono un’ulteriore campagna repressiva, ma l’Impero ottomano è destinato a dissolversi al termine del conflitto e la comunità ne trarrà beneficio. Con l’accordo di Sykes-Picot (novembre 1915-marzo 1916) che prevede una spartizione del territorio ottomano sancito 22
dalla Società delle Nazioni, la Grande Siria viene affidata al controllo della Francia con un Mandato. Tra il 1922 il 1923 viene formalmente istituito lo Stato del Grande Libano come ricompensa della comunità cristiana che era stata alleata della Francia durante la guerra. Nel 1926 viene instaurata la Repubblica Libanese e scritta la Costituzione. Nel 1943, durante la seconda guerra mondiale, mentre la Francia è occupata dalla Germania nazista, il Libano ottiene l’indipendenza, ma è solo nel 1946 che le truppe francesi e britanniche lasciano definitivamente il paese. Il periodo successivo è caratterizzato da un’alternanza di momenti di stabilità politica e disordini. Nel 1947, facendo parte della Lega Araba, non accetta la risoluzione dell’ONU (Risoluzione 101) che prevede la spartizione del territorio del mandato britannico della Palestina fra uno Stato ebraico (Israele) e uno Stato arabo (Palestina). Cambiamenti demografici causati da un primo afflusso di profughi palestinesi, provocano rigurgiti panarabi che portano allo scoppio della prima guerra civile libanese del 1958. Un’ulteriore ondata immigratoria segue la guerra tra la Lega Araba e Israele nel 1958 e un’altra ancora successivamente nel 1970 dopo il Settembre Nero in Giordania. A questo punto in Libano si contano quasi 2 milioni di profughi palestinesi, di cui facevano parte anche le maggiori cariche dello Stato palestinese e dell’Olp (Organizzazione per la Liberazione della Palestina). Alla precarietà politica del Libano si viene a sovrapporre una rapida crescita economica che porta il paese ad attrarre turismo ed investimenti esteri, oltre che a guadagnarsi l’appellativo di Svizzera del Medio Oriente per le facilitazioni fiscali che offre. Diventa dunque il centro economico e finanziario del territorio mediorientale, intrattenendo stretti rapporti commerciali con le principali potenze europee. Nel 1975, in seguito alle tensioni sia interne che regionali, scoppia una guerra civile che segnerà il paese fino al 1990. Durante il conflitto si fronteggiano da una parte le milizie cristiano maronite e dall’altra una coalizione di palestinesi 23
alleati a libanesi musulmani sunniti, sciiti e drusi. Nel 1976 interviene la Forza Araba di Dissuasione a maggioranza siriana, e nel 1982 l’invasione di Israele che occupa l’area a sud del Libano per poi arrivare fino alla capitale. Come conseguenza dell’invasione israeliana, nasce il gruppo paramilitare di matrice musulmano sciita detto Hezbollah, che in arabo significa “Partito di Dio”. La guerra civile è segnata da episodi di estrema violenza ed equilibri di alleanze mutevoli e precari. Non si hanno dato precisi rispetto alle perdite causate dai 15 anni di conflitto, ma si sa che si aggirano a circa 65mila perdite in vite umane, 84mila feriti, dai 700 ai 900mila libanesi emigrati all’estero come rifugiati e un 22 per cento della popolazione totale costretta allo sfollamento almeno una volta durante questo periodo, oltre ad una distruzione delle infrastrutture statali1. Episodio emblematico della violenza della guerra è il massacro avvenuto nei campi profughi di Sabra e Shatila a Beirut nel settembre del 1982. Durante un attacco durato due giorni vengono uccisi centinaia di civili palestinesi dalle milizie cristiane della Falange Libanese, come risposta all’uccisione del loro leader Bashir Gemayel 9 da parte delle forze dell’Olp. La guerra si conclude con il progressivo ritirarsi delle truppe straniere alla fine degli anni Ottanta e con la successiva stipulazione degli Accordi di Ta’if, che prevedono il revisione del sistema politico, la consegna delle armi da parte di tutte le milizie e il ritiro dell’esercito siriano, ultima forza esterna rimasta sul territorio libanese. Il primo è stato l’unico degli obbiettivi ad essere realizzato in tempi brevi, dando vita alla struttura politica attuale che vede il potere equamente distribuito su base confessionale. La quasi totalità delle milizie consegna le armi, tranne il gruppo di Hezbollah che è divenuto ad oggi uno dei maggior partiti politici del Libano. La Siria si ritira solo nel 2005, dopo aver giocato un ruolo intrusivo nella politica libanese per tutto il periodo dopo la guerra. In particolare, costringendo alle dimissioni il più volte Primo Ministro Rafik Hariri, potente esponente del partito musulmano sunnita. In quanto grande imprenditore e uomo politico di stampo liberista, Hariri, ha per anni l’obiettivo di portare il Libano ad una ripresa economica accelerata e ai fini 24
di questo progetto spinge a lungo per il ritiro dell’esercito siriano. Rafik Hariri viene assassinato nel 2005 e lo stesso governo siriano è chiamato in causa per l’accaduto. Secondo un rapporto del 2006 dell’Onu ufficiali siriani e membri del servizio segreto libanese, sono implicati nell’accaduto. Nello stesso anno, il Libano viene nuovamente attaccato dallo Stato d’Israele, quando miliziani del gruppo di Hezbollah attaccano una pattuglia dell’esercito israeliano in perlustrazione sul territorio libanese. La guerra si consuma in breve tempo tra i mesi di luglio e agosto, colpendo però gravemente il Paese, distruggendo infrastrutture e abitazioni civili. Dopo sessant’anni di storia recente in cui si è trovato a dover ripetutamente fronteggiare invasioni, guerre civili e distruzione, il Libano risulta un Paese regolato da un equilibrio corrotto ed estremamente precario. I partiti che partecipano alla creazione dello Stato in seguito all’Indipendenza, furono gli stessi che si combatterono come milizie durante la Guerra Civile e che oggi detengono la maggioranza in Parlamento. Recentemente nel mese di maggio 2018 si sono tenute le ultime elezioni che hanno riconfermato la struttura di questa classe politica. Il Libano nella classifica del Transparency Index2 si è quest’anno classificato 143esimo, posizionandosi dietro alla maggior parte degli stati del Medio Oriente e del Magreb. E’ questo un dato indicativo dell’alto livello di corruzione percepita nel Paese.
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Dinamiche demografiche ed uso del suolo Attualmente la popolazione in Libano ammonta ad un totale di 6.229.794 abitanti. L’88,6%3 di questi risiede nel territorio urbanizzato, che si sviluppa prevalentemente lungo la costa, con maggiori centri Beirut, Byblos (Jbeil), Tripoli e Sidone, mentre altri centri urbanizzati minori si trovano nella Valle della Beqaa. Tra il 2010 e il 2015 il tasso di urbanizzazione è stato del 0,75%4 e si prevede che continui la sua crescita. Questi dati hanno comportato nella realtà dei fatti delle forti ripercussioni sul paesaggio naturale, specialmente, come si è visto, su quello della costa, che sta tutt’ora subendo un’urbanizzazione selvaggia a discapito del suo ecosistema. Durante gli ultimi due decenni, il Libano ha subito una crescita demografica esponenziale, passando da circa i 3 milioni di abitanti nei primi anni 2000 alla situazione attuale, con un incremento della popolazione di circa il 43%. Il dato è stato fortemente influenzato dalla situazione geopolitica mediorientale recente, che vede come protagonista la guerra in Siria. Si stima infatti che siano attualmente presenti sul territorio libanese circa 1 milione e mezzo di profughi siriani, che si trovano prevalentemente nella Valle della Beqaa e a Beirut, dove rappresentano, corrispettivamente, il 35.9% e il 26.3% della popolazione5. Il Libano è, secondo fonte, il paese che in proporzione alla propria popolazione ha accolto il maggior numero di rifugiati siriani dall’inizio della guerra nel 2011. Il fenomeno immigratorio siriano è il più consistente ma non l’unico che ha caratterizzato il Novecento in Libano. Nei primi anni Venti, in seguito al genocidio armeno si riscontra l’arrivo a Beirut di circa 150.000 armeni. Dopo una prima permanenza in quarantena, cominciano a stabilirsi in insediamenti autonomi che col tempo vengono inglobati nella realtà urbana della capitale. Ad oggi la comunità armena costituisce il 4% della popolazione risiedente in Libano7. Dal 1948 invece, anno in cui nasce lo Stato di Israele, il Libano comincia ad accogliere un ingente afflusso di profughi palestinesi, che continua per svariati decenni. Attualmente, sul territorio si registrano circa 450.000 rifugiati, la metà 26
Vista aerea della cittĂ di Beirut, 2018 (Fonte: Ziad Mikati) 27
dei quali alloggia nei dodici campi profughi presenti nel Paese. Nonostante si stimi che costituiscano il 10% della popolazione7, risultano ancora come cittadini di un altro Stato e dunque impossibilitati a reclamare una lunga serie di diritti, primo tra tutti quello al lavoro. In Libano infatti i rifugiati palestinesi non possono svolgere più di 20 tipi di professione, la maggior parte delle quali modeste (prevalentemente di manovalanza non specializzata), imprigionati dunque in una situazione di costante povertà e precarietà senza via d’uscita. A queste dinamiche di immigrazione vanno aggiunte quelle di emigrazione che hanno visto invece protagonista durante la guerra civile la comunità libanese. Si stima infatti che tra il 1970 e il 1990 circa 100.000 cittadini libanesi, soprattutto cristiani maroniti, abbandonano il loro Paese, rifugiandosi principalmente in Europa e Stati Uniti 8. Come conseguenza di questi flussi migratori la popolazione attualmente risiedente in Libano è composta per 2/3 da cittadini libanesi, mentre il restante 1/3 risponde allo stato di rifugiato.
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Identità etnica e rappresentanza politica La composizione etnica della popolazione libanese è dunque stata fortemente influenzata dalle vicende storiche e politiche che hanno interessato tutta l’area mediorientale. Sulla base di ciò si può riassumere che, aldilà delle provenienze geografiche più sopra esposte, il 95% dei risiedenti in Libano è di etnia araba, in quanto avente l’arabo come lingua madre. Il restante 5% è costituito da armeni e curdi che conservano tutt’ora l’uso della propria lingua madre9. Questo principio di appartenenza su base linguistica, è valso a superare le resistenze di alcuni cristiani maroniti che, rivendicando antiche vicende storiche, non si identificavano come arabi, ma come semiti etnicamente discendenti dai fenici10. Ciò fu nel corso del tempo più volte motivo di scontri etnici tra questa comunità e altre. L’arabo standard moderno è dunque la lingua ufficiale, seguito dal francese che secondo la Costituzione può essere utilizzato in campo legislativo ed istituzionale 11. Questa condizione risale agli anni del Mandato che hanno portato alla diffusione della cultura e della lingua francese, la quale viene attualmente parlata come seconda lingua da gran parte della popolazione. Negli ultimi decenni è avanzato l’uso dell’inglese, che viene largamente praticato e insegnato nelle scuole. La Costituzione Libanese riconosce 18 sette religiose di cui 4 musulmane, 12 cristiane, una drusa e una ebraica. Il Libano differisce dunque dagli altri paesi del Medio Oriente, dove i musulmani sono la maggioranza, presentando un mix etnico-religioso che determina fortemente la vita del Paese12. Il Libano è infatti uno Stato fondato sulla spartizione del potere istituzionale e politico su base confessionale. Ad esempio, con una convenzione non scritta che proviene dall’impostazione data ai tempi dell’amministrazione francese, il presidente deve essere un cristiano maronita, il primo ministro musulmano sunnita e il presidente dell’Assemblea nazionale musulmano sciita. La religione dunque non si limita alla pratica del culto, ma è piuttosto un fattore determinante per l’identificazione culturale dei singoli individui ed è più riconducibile a principi di appartenenza etnica. 29
Nel 1946, anno dell’Indipendenza, l’esistenza di questo quadro etnico-religioso particolare determina l’assegnazione di posti di lavoro e incarichi governativi su base religiosa. A questa data, vi è una schiacciante maggioranza di cristiani maroniti che costituiscono il 47%13 della popolazione e detengono la maggior parte del potere con un rapporto di 6:5 nei seggi parlamentari. Dopo gli accordi di Ta’if del 1989, sanciti sul finire della guerra civile, la distribuzione del potere viene ripartita in maniera paritaria fra le due maggiori coalizione: da un lato i cristiani e dall’altro i musulmani e drusi. Dal 1932 non è stato effettuato alcun censimento ufficiale in quanto si tratterebbe di dati sensibili che potrebbero alterare gli equilibri politici e sociali del paese. Stime non ufficiali, che non tengono conto del numero di individui che rispondono alla condizione di rifugiato, indicano attualmente una maggioranza di cristiani maroniti, che costituirebbero il 40,5% della popolazione, seguiti da arabi sunniti (27%), musulmani sciiti (27%), greci ortodossi (8%), greci cattolici (5%) e drusi (5,6%) 14.
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Mobilità Il Libano è un paese in cui il trasporto avviene esclusivamente via gomma. La vecchia linea ferroviaria, distrutta durante la guerra civile, si trova ad essere attualmente inutilizzata e i corsi d’acqua sono troppo brevi per il trasporto fluviale. La rete stradale, lunga in tutto 6330 km, si trova in pessime condizioni nella maggior parte del paese, come conseguenza della guerra del 2006. Ci sono tre principali strade nel paese, ognuna delle quali si irradia da Beirut: quella che porta a nord in direzione Tripoli, quella ad est che conduce a Damasco e infine quella che collega il sud alla città. Attualmente, il Libano ha uno dei rapporti auto per persona più alti al mondo con un’auto per ogni tre abitanti 15. Esiste un rete di trasporto di autobus popolari poco costosi che viaggia incessantemente sulla strada da nord a sud, con fermate informali. L’assenza di mezzi di trasporto pubblici adeguati ha inoltre incentivato fortemente l’impiego di taxi condivisi detti “service”, che vanno a pesare giornalmente sull’intenso traffico veicolare del paese. L’unico aeroporto civile del paese è il Beirut Rafik Hariri International Airport, mentre gli altri tre aeroporti presenti nel Paese sono basi militari.
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Note: 1 Fawaz, Mona, Peillen, Isabelle, Urban slums reports: the case of Beirut, Lebanon, 2003 2 Transparency Index, 2018 3 The World Factbooks 2017-18, CIA 4 The World Factbooks 2017-18, CIA 5 UNHCR, 2018 6 Hediger, Daniel, Lukic, Andrej, The Armenian quarters in Beirut: ETH Studio Basel Con temporary City Institute, The Middle East Studio, 2009 7 UNRWA, 2018 8 Fawaz, Mona, Peillen, Isabelle, Urban slums reports: the case of Beirut, Lebanon, 2003 9 The World Factbooks 2017-18, CIA 10 Kassir, Samir, Beirut. Storia di una cittĂ : Giulio Einaudi Editore, 2009 11 Articolo 11 della Costituzione libanese 12 The World Factbooks 2017-18, CIA 13 Kassir, Samir, Beirut. Storia di una cittĂ : Giulio Einaudi Editore, 2009 14 The World Factbooks 2017-18, CIA 15 Choueiri, Bernard M., Elias Bernard M. e George Bernard M., Analysis of Accident Patterns in Lebanon, 4th International Symposium on Highway Geometric Design, 2-5 giugno 2010
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Le Beirut
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Territorio di insediamento Beirut si colloca su un largo promontorio cinto a nord e ad ovest dal Mar Mediterraneo mentre a sud e ad est dai primi rilievi del Monte Libano. La costa varia con alternanza di spiagge di roccia, ghiaia e sabbia, con cale e numerose rade. Il territorio montagnoso sale rapidamente raggiungendo una quota di cinquecento metri ad appena sei chilometri dall’insediamento urbano. La penisola invece, presenta due colline -Ashrafieh e Mousseitbeh- che hanno condizionato e conformato l’evoluzione della città. Due sono i fiumi che fluiscono nel territorio urbano: il Nahr Beirut che sfocia a nord nella baia di san Giorgio, in una zona un tempo acquitrinosa, posta in fregio dell’attuale quartiere di Bourj Hammoud e il Nahr Gadir che sfocia nella piana ad ovest in terreni un tempo costituiti da dune sabbiose con substrato di arenaria. Ad oggi, come conseguenza dell’intensa urbanizzazione che ha subito la città nel Novecento, non è più possibile godere di questa ricchezza naturalistica. Ciò che è rimasto per ovvie ragioni immutato, è l’andamento discontinuo del terreno che influenza da sempre lo sviluppo della città.
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Beirut, vista aerea, 2016 (foto: Alan Cordova) 37
La storia antica Della struttura degli insediamenti fenici non rimane memoria se non per elementi (resti di muraglia e giare) che attestano la presenza di questa civiltà sin dal 2400.2000 a.C. Beirut, seppur non importante e gloriosa come le vicine città di Byblos, Sidone e Tiro, offre una rada ampia e sicura che favorisce i primi insediamenti, protetti dalla presenza del promontorio. L’economia si basa sulla produzione di materiale tessile, lana, lino e seta, nonché sulla lavorazione del ferro estratto dalla montagna. Le costruzioni e gli interventi di quest’epoca hanno lasciato innumerevoli vestigia, molte delle quali portate alla luce con gli scavi operati nei recenti anni Novanta nel quartiere di Downtown. Nel IV secolo Beirut è una città cristiana che annovera almeno sei chiese e che vede momenti di apogeo culturale ed economico. L’eccellenza è costituita dalla scuola di diritto che contribuisce alla formazione del corpus giuridico, il Codice di Giustiniano, sul quale si fonderà l’Europa cristiana. Con i suoi giardini, terme, ristoranti costituisce un luogo attrattivo per i turisti che affluiscono numerosi. Nel 551, in seguito ad un maremoto, la città viene rasa al suolo e perde momentaneamente l’importante ruolo che aveva ricoperto nei precedenti secoli. Con l’annessione allo Stato Musulmano, la città come altre del litorale, assume il ruolo di ribat: un avamposto fortificato lungo i confini del dominio islamico, finalizzato ad ospitare volontari che possano assolvere sia alla difesa delle frontiere dell’Islam che al rafforzamento della fede islamica. Con la conquista dei Crociati del 1110, la città subisce opere di ammodernamento tra cui il rinforzamento delle mura, la costruzione di due nuove torri e di una nuova basilica a pianta cruciforma dedicata a san Giovanni Battista (l’attuale moschea Al’Omari). I Mamelucchi, subentrati dal 1291, demoliranno porti e fortificazioni lungo l’intera costa siriana e palestinese per impedire ai Crociati di potervisi trincer38
are. Come conseguenza, il litorale di Beirut rimarrà devastato e mutilato, riprendendosi solo sei secoli dopo. Da qui, Beirut, sarà importante non solo per il legname che fornisce per il commercio navale, ma di nuovo per la produzione del ferro utile all’armamento delle navi da guerra.
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L’Impero ottomano Nel 1516, dopo più di due secoli di dominio mamelucco, la città passa sotto il controllo del regime ottomano. Beirut rimarrà un centro minore per molti secoli e si affaccerà al secolo Ottocento con una popolazione di 4.000 abitanti 1. La difficoltà di approvvigionamento idrico e la presenza della duplice catena montagnosa rendono difficoltoso il collegamento con la Siria interna e di conseguenza è una città con poca attrattiva. In questo momento storico, in cui il commercio via mare è proporzionalmente limitato rispetto a quello via terra, è Damasco a rappresentare la metropoli di riferimento per il commercio, che avviene prevalentemente via terra, a dorso di mulo e di dromedario. La prospettiva cambia con l’espansione europea del Settecento, messa in moto dallo sviluppo capitalistico e dall’inizio della rivoluzione industriale, nonché dalla rivalità tra le potenze mondiali nella corsa per far crescere le economie. Aumenta la potenza dei commercianti e degli armatori europei che controllano il traffico marittimo ad ampio raggio. Le nuove tecniche di produzione, accompagnate da più efficienti collegamenti, sostengono lo sviluppo industriale dell’Europa e la sua capacità di allargarsi nei mercati mondiali. I movimenti commerciali si dirigono dalla Siria verso il mare e tutto il litorale ne trae vigore, in particolare Beirut, che diviene la testa di ponte del collegamento verso Damasco. Agli inizio dell’Ottocento Beirut è un borgo di modesto rilievo, caratterizzato da una popolazione di origine e confessione mista. Nonostante le sue dimensioni ridotte, presenta gli elementi fisici di una vera e propria città essendo dotato di fortificazioni, moschee e un Gran Serraglio. Distante 570 metri dal mare, la città fortificata ha una pianta quadrata, scandita da vicoli tortuosi e composta da case di due o tre piani, tutte caratteristiche tipiche della classica struttura arabo-ottomana. Al di fuori delle mura vi è un paesaggio rurale con poche case sparse. Nel 1832, Beirut si arrende agli egiziani di Ibrahim Pascià. Questi istituisce 40
La costa di Beirut, 1886 (foto: Save Beirut Heritage Archive)
Il Grand Serail, 1930 circa (foto: Save Beirut Heritage Archive) 41
un governo della città su base confessionale con un consiglio di dodici membri, metà cristiani e metà musulmani. Vengono avviati molteplici lavori di miglioria dell’ambiente urbano, tra cui la modernizzazione della rete stradale e del sistema di canalizzazione delle acque, la bonifica di terreni e la piantumazione di alberi per elevare la qualità dell’aria. Beirut, a partire dagli anni Quaranta del XIX secolo, è dunque un centro in ascesa. La città gode dei benefici portati dalle Tanzimat: un insieme di riforme liberalizzanti attuate nell’impero ottomano che promuovono a livello urbano la modernizzazione tecnologica delle infrastrutture civili e i principi di igiene, sotto la spinta competitiva nei confronti dei paesi occidentali. Nel 1863 viene costruita una strada carrozzabile, lunga 112 km, che collega Beirut a Damasco e tra il 1889 e il 1893 il porto viene completamente ristrutturato ed ampliato. Grazie alla collaborazione e all’unità d’intenti tra settore pubblico e imprenditoria privata si costruiscono scuole, ospedali e librerie. La legge fondiaria varata nel 1858 favorisce l’espansione delle periferie urbane e la conseguente crescita demografica, spostando il baricentro dalle mura all’extra muros. Il vecchio borgo murato brulica di attività attrattive e per la natura circostante e il clima perennemente mite Beirut diviene una meta turistica paragonata alle coste mediterranee che attrae viaggiatori da tutto il mondo. Rappresentando il primo scalo della Siria, la navigazione a vapore rende l’Europa più vicina e gli Europei proteggono la città per proteggere i propri interessi in loco. La città comincia a riacquistare un ruolo portuale importante e viene istituita una quarantena -Quarantina- che la rende una tappa obbligatoria di gran parte del traffico proveniente dall’Europa. Beirut ormai si è impadronita del commercio di tutta la costa e molte nazioni stabiliscono nella città i loro consolati. Alcuni disordini di carattere confessionale sul Monte Libano e lo sviluppo economico che sta subendo la città, attraggono un ingente afflusso di migrazioni nella capitale, che non è però pronta ad accoglierlo. La popolazione passa da 15.000 abitanti nel 1840 a 40.000 nel decennio successivo2. Come conseguenza il centro storico subisce una saturazione del suolo a discapi42
to del verde: cominciano a scomparire gradualmente i giardini per aggiungere ancor più costruzioni nei ridotti spazi residui. Le vecchie case di famiglia costruite attorno a un cortile a cielo aperto cambiano di funzione e anche di fisionomia. Vengono aggiunti piani alle abitazioni e i piani terreni vengono riservati al commercio o trasformati in magazzini. L’urbanistica si imposta sul modello hausmaniano: tracciati rettilinei e ortogonali, piazze larghe e regolari, vie bordate di marciapiedi. Agli inizi del Novecento, Beirut è dunque una città che detiene un ruolo centrale all’interno del territorio, tanto che nel 1910 il porto di Beirut monopolizza un terzo dell’import e un quarto dell’export siriano. Lo sviluppo della città s’inserisce nella rinascita del litorale ad opera del commercio europeo, ma è dovuto anche alla dinamicità ed attitudine al commercio dei beirutini. Alle attività portuali e commerciali si aggiungono quelle del settore terziario: banche europee insediano filiali e società di trasporto o di assicurazione si installano in loco, rendendo Beirut un’importante sede mercantile.
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La Parigi del Medio Oriente E’ questo un periodo segnato da importanti opere di rinnovo, cominciate sotto l’impulso del regime ottomano, che all’inizio del secolo fa tabula rasa di una buona parte del vecchio centro storico al fine di ricostruirla ex novo, in linea con i principi di modernità. Quando l’impero crolla questi progetti non sono ancora stati realizzati e li attuano i Francesi, che vedono in Beirut un terreno fertile su cui sperimentare le nuove tecniche ingegneristiche, urbanistiche ed architettoniche del tempo. Sorge un nuovo quartiere elegante, nuovo centro degli affari, con grandi immobili per uffici costruiti in pietra e uno stile marcatamente occidentale. Le grandi sistemazioni urbanistiche trasformano la vecchia città intra muros in un moderno centro d’affari e tracciano i grandi assi dello sviluppo futuro. Tra le principali opere pubbliche spicca certamente la promenade della Corniche, che dalla zona del porto si sviluppa lungo la costa verso sud-ovest, il Saint George Hotel considerato la prima architettura moderna della città, per la sua struttura in calcestruzzo, Place de l’Etoile, sede del nuovo Palazzo Municipale, che si presenta come uno spazio pubblico di matrice tipicamente europea, ideato con l’intento di dare un carattere più rappresentativo al centro storico. Una piazza ariosa a pianta rettangolare su cui si affacciano i locali più frequentati del centro, che si figura come uno dei centri nevralgici a livello urbano. Nel 1920 cominciano i lavori di ampliamento del porto, cogliendone l’elevato potenziale economico e strategico. Vengono inoltre intraprese grandi opere di ammodernamento come la realizzazione della rete fognaria, l’estensione dell’illuminazione pubblica, l’incremento della produzione dell’energia elettrica, la sostituzione dei muli comunali con mezzi meccanizzati e una nuova organizzazione catastale. Sull’onda del progresso e della crescita economica, la popolazione tra il 1921 e il 1932 raddoppia. Leggendo questo dato va considerata la presenza di circa 20.000 profughi armeni che alloggiano in condizioni precarie nel campo di Quarantina, vicino all’attuale Bourj Hammoud. 44
In cinque anni raddoppia il costo dei terreni e la spinta all’edificazione dei privati è consistente, mentre nel frattempo continua l’espansione extra muros, ad est sulla collina di Ashrafieh e ad ovest a Ras Beirut, dove i sobborghi sono ariosi, le strade larghe e le case a non più di due piani sono dotate di giardini privati. E’ questa la zona della borghesia, che si è allontanata dal caotico Balad3. La città sta dunque subendo uno sviluppo inarrestabile così da necessitare un programma urbanistico per controllarne l’espansione. Il primo arriva nel 1930 a cura dei fratelli Danger4, che si pongono gli obbiettivi di rendere la città più igienica, risolvere il problema dello zoning e della circolazione e di migliorare la qualità estetica dell’ambiente urbano. Il masterplan divide la città e i suoi quartieri sulla base di un sistema di separazione delle attività e delle classi sociali. Prevede inoltre la costruzione di una serie di infrastrutture mirate a collegare Beirut alle vicine città di Tripoli, Saida e Damasco e a ridurre il traffico nella zona del porto e del centro grazie ad un nuovo asse in direzione est-ovest. Nel 1941 il francese Ecochard 5, che aveva già lavorato a Damasco e Casablanca, immagina un’espansione urbana in armonia con il sito naturale, introducendo un inventario degli spazi verdi e misure di salvaguardia delle coste e dei boschi. Propone un piano di espansione che divide la città in 12 zone, con ad est le attività industriali, a sud l’aeroporto e l’ampliamento della foresta dei piani, mentre il resto rimane residenziale. Per quanto riguarda invece l’aspetto della mobilità, il progetto non dista troppo da quello dei fratelli Danger, se non che aggiunge un reticolo stradario in grado di collegare l’entroterra urbano al Balaad. Solo alcune delle sue proposte vengono effettivamente realizzate e in maniera frammentaria, svuotandole del loro significato che si sarebbe compiuto solo in una logica d’insieme. Il piano non è realizzato non per i suoi difetti (reali o supposti) ma perché per la sua coerenza presuppone una regolamentazione della proprietà fondiaria e il deprezzamento di numerosi terreni che non avrebbero più potuto essere edificabili alle medesime condizioni. Di base non è possibile un rapporto felice tra interessi privati e sfera pubblica. 45
Piazza dei Martiri nel giorno in cui il Libano ottenne l’Indipendenza, 22 novembre 1943 (foto: Adib Ibrahim)
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Gli anni dell’Indipendenza Il boom economico dell’Indipendenza coincide a Beirut con un’irrefrenabile urbanizzazione. Nel 1945 vengono rilasciate 390 licenze edilizie e nel 1955 1261, mentre la superficie costruita passa da 626 a 2730 ettari 6. Dato il suo statuto di capitale la città fa direttamente riferimento all’autorità centrale costituita dal prefetto o mohafez e la municipalità è dunque priva di un’autorità capace di invertire questa tendenza, non avendo il potere di legiferare. Il miracolo economico diventa l’alibi delle pubbliche autorità per giustificare le politiche del laissez-faire. Tra gli anni Quaranta e Cinquanta il centro città acquisisce sempre di più l’identità di centro commerciale, a cui segue un primo anello semi commerciale che comprende la maggior parte dei servizi di carattere pubblico, come scuole e ospedali, e poi a seguire i quartieri residenziali di Ashrafieh e Mousseitbeh che si densificano a dispetto degli spazi verdi. La città giardino dell’epoca del Mandato lentamente scompare, lasciando posto ad una macchia urbana sempre più densa ed estesa. Mentre il centro città e gli immediati intorni acquistano un’immagine sempre più vicina a quella di una metropoli cosmopolita, le periferie si estendono a macchia d’olio. Da sud fino ad est, cresce in maniera esponenziale la cosiddetta Misery Belt: un’area peri-urbana in cui risiedono popolazioni indigenti, prevalentemente rifugiati, che vivono in condizioni di disagio e costruiscono le proprie abitazioni al di fuori delle regolamentazioni vigenti. La disparità che si crea tra le condizioni abitative nel centro rispetto ai sobborghi, rendono Beirut “sede delle grandi ingiustizie sociali” 7, come afferma l’urbanista Ecochard che nel 1954 viene nuovamente chiamato a disegnare un piano strategico, definito “salvagente per chi è in procinto di affogare” dal giornale dell’epoca l’Orient. Il piano abbraccia Beirut dalla costa fino ai 450 metri di altitudine della montagna. Nella sua ottica l’esplosione del nucleo cittadino non deve comunque condurre alla perdita della forma urbana ed Ecochard propone di trasformare Beirut da città monocentrica, in cui tutte le 47
principali funzioni sono condensate nel Balaad, a città policentrica, basata su una struttura organizzata intorno a spazi e cinture di verde. Ciò col fine di integrare i sobborghi in espansione e di non considerarli parti neglette rispetto al nucleo urbano. Di nuovo, il piano viene realizzato solo in parte ed Ecochard si dissocia dalla versione finale. La Misery Belt continua a crescere e ad ospitare sempre più rifugiati, molti di questi palestinesi. Con l’intensificarsi dei conflitti etnici dovuti al teso clima politico, è proprio in queste aree sensibili che iniziano i veri e propri scontri, che portano poi allo scoppio della guerra civile.
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Beirut est e Beirut ovest Nel 1975 Beirut è una città che conta 1 milione e 200mila abitanti 8, che corrispondono alla metà della popolazione totale del Libano. Oltre all’afflusso di rifugiati da paesi limitrofi come la Palestina, la Siria e la Turchia, si contano forti immigrazioni dalle zone rurali del paese e da centri minori come Tripoli e Saida, che si svuotano di conseguenza. Beirut è ormai da una parte il centro nevralgico di tutte le attività economiche e commerciali del paese e dall’altro il coacervo di tutte le tensioni politiche intestine. Prima della guerra il mosaico religioso che ha sempre caratterizzato Beirut è visto in maniera pittoresca come un incontro armonioso tra diverse etnie-religiose. Questa non rappresenta però la visione globale poiché nel mentre nelle periferie l’urbanizzazione avviene per aree monoreligiose, dando vita ad una frammentazione urbana su base etnico-confessionale. La mancata regolazione della crescita urbana porta al caos sociale e la Misery Belt brulica di esempi emblematici, primo tra tutti quello dei sobborghi a sud che ospitano una larga comunità di profughi palestinesi di cui fanno parte numerosi esponenti dell’Olp. Nati come campi profughi, questi insediamenti, da accampamenti di tempi si trasformano via via in baraccopoli dalle pessime condizioni di vita. Date le instabili premesse, il 13 aprile del 1975 in un sobborgo di Aynn al-Rummana a sud-est di Beirut, si verifica l’episodio scatenante della guerra: durante la consacrazione di una chiesa, un gruppo di miliziani palestinesi attacca con una raffica di mitra la folla in raccolta, tra cui anche il leader cristiano maronita Bashir Gemayel. La risposta arriva prontamente qualche ora dopo da parte della comunità colpita che uccide un gruppo di palestinesi in transito su un autobus. E’ questo l’inizio di una guerra che da Beirut si diffonde rapidamente in tutto il Paese. La guerra civile nasce nelle banlieue ma si sposta rapidamente nel centro della città, per due sostanziali obbiettivi strategici: le società delle periferie vogliono mantenere sicuro il proprio territorio e il centro storico è la sede fisica del potere politico. Beirut durante il conflitto si trasforma in una città divisa sia a livello ideo49
La Green Line durante la guerra civile, 1983 (foto: Steve McCurry per National Geographic) 50
logico, trattandosi di una guerra civile a sfondo confessionale, che fisico. Le parti della città che rimangono maggiormente danneggiate dalla guerra sono il centro storico e le aree limitrofe alla linea di demarcazione detta Green Line che divide il territorio occidentale e quello orientale della città, che corrisponde corrispettivamente alla fazione musulmana e a quella cristiana. Il singolo individuo si identifica in una fazione etnico-religiosa e di conseguenza anche il suolo urbano si parcellizza sulla base di una divisione confessionale. Questa divisione continua poi andando a spartire il Paese stesso tra il Nord che diventa zona a maggioranza cristiana e il Sud zona a maggioranza musulmana. Come conseguenza di questa territorializzazione settaria si ha la sistematica espulsione o la migrazione dei membri appartenenti alla fazione antagonista, generando un sostanzioso cambiamento della morfologia sociale urbana. Gli attraversamenti tra queste due aree sono regolati da checkpoint, posizionati in punti strategici come per esempio in corrispondenza del grande parco di Horsh Beirut. A tutt’oggi la geografia sociale libanese rispecchia questa distribuzione sul territorio. Durante il conflitto, nonostante i forti scontri a sud tra Israele ed Hezbollah, nessuna zona danneggiata quanto la capitale. Gli scontri si concentrano prevalentemente nel centro storico, lungo la Green Line e nelle zone limitrofe. Il centro storico si svuota e diventa vero e proprio palcoscenico di scontri quotidiani. Il ruolo simbolico di luogo pacifico d’incontro di una società multietnica e multiculturale che aveva ricoperto per secoli, cambia drasticamente e diventa nella realtà dei fatti e nell’immaginario comune il luogo iconico del conflitto stesso. Durante la guerra le distruzioni, che si concentrano prevalentemente nella zona del centro storico e lungo la linea di demarcazione che divide l’est cristiano dall’ovest musulmano, sono compensate da un numero quasi equivalente di costruzioni nelle periferie. Ciò porta ad un decentramento del centro cittadino e delle sue funzioni economico commerciali verso le periferie. Questa era una tendenza già in atto da prima da prima della guerra, conseguenza della 51
crescita sregolata dei sobborghi. Beirut diventa dunque una città policentrica, priva di punti di contatto tra le sue diverse micro socialità . La guerra ha creato delle dinamiche socio-economiche che perdurano e segnano la capitale libanese a tutt’oggi.
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(Ri-) costruire Beirut Al termine del conflitto Beirut si presentava dunque come una città divisa sotto il punto di vista sociale, urbano ed ideologico. La divisione etnico-confessionale che aveva caratterizzato gli anni della guerra si era impressa sul suolo urbano, generando una frammentazione delle polarità e delle attività urbane. Inoltre la distruzione del centro storico aveva comportato la perdita della centralità e la scomparsa dei luoghi storici di condivisione cittadini. L’obbiettivo principale della ricostruzione, secondo la classe politica di allora, fu quella di riattivare l’economia urbana e rilanciare l’immagine della città a livello internazionale. I progetti che furono realizzati ebbero come scopo principale il superamento dell’esperienza del conflitto ma senza tenere conto delle divisioni a livello sociale. Il piano di ricostruzione riguardò infatti principalmente la ristrutturazione delle infrastrutture e del centro, senza tener conto di una visione d’insieme 9. Agli inizi degli anni Novanta venne presentato da una società ingegneristica uno schema per la ricostruzione redatto dal Cdr, ma finanziato dalla fondazione privata Solidere di Rafik Hariri. Cominciata con buoni presupposti dal punto di vista del recupero del centro storico, nel tempo il progetto perse il carattere sociale che gli aveva fatto guadagnare l’appoggio e l’entusiasmo della comunità, per tramutarsi in un’operazione immobiliaristica a scopo lucrativo. Inoltre, se la ricostruzione del centro storico si poneva alla base di una nuova rete di rapporti sociali, questo dato rappresentava un conflitto d’interessi facendo Hariri parte di una precisa fazione politica. Se inizialmente i vecchi proprietari dei lotti del centro erano coinvolti nel progetto in quanto azionisti, con gli anni Solidere acquisì 130 ettari di centro storico, privatizzandolo e monopolizzando l’opera di ricostruzione, giustificando il gesto con dall’incapacità di sostenere la ricostruzione da parte degli aventi diritto, con problemi di incertezza fondiaria o catastale e con la maggior facilità di esecuzione di un piano unitario da parte di una singola società. Fu con questi pretesti che la società in pratica impose un progetto alla città, riscon53
Fady al Khory, proprietario dello storico Hotel Saint George, posa di fronte al manifesto di protesta nei confronti della societĂ immobiliare privata Solidere. (foto: Stefan Ruiz) 54
trando non poche critiche ed opposizioni, assicurandosi i lotti più interessanti (notoriamente quelli lungo il mare) e prevedendo dei lotti di 40 ettari per dei progetti privati. La previsione di questa serie di nuovi edifici molto alti lungo la costa, di proprietà di Solidere, indebolì il rapporto tra la città e il mare. L’operazione nel complesso comportò un controllo totale del centro storico sotto il profilo politico, fondiario, urbanistico ed economico. La memoria del passato venne spazzata via, con la giustificazione che il centro-città dell’ante-guerra era sporco, insalubre e congestionato. I modelli di ispirazione furono New York, il quartiere della Défense a Parigi e le città della penisola arabica. Come linea d’intervento la soluzione che parve più pratica fu quella di fare tabula rasa del patrimonio superstite, con opportune eccezioni, per costruire un nuovo centro che simboleggiasse la ripresa economica del Paese, in funzione dei bisogni degli investitori. I proprietari e gli affittuari avevano diritto al cinquanta percento delle azioni. Chi ebbe un ruolo centrale furono principalmente i finanziatori privati: imprenditori libanesi che vivevano all’estero, speculatori e finanziatori introdotti nelle reti bancarie arabe e internazionali. Per loro la città si limitava a luogo di attività economiche internazionali e scambi, grazie alla sua posizione geografica favorevole e alla sua politica di segretezza in campo bancario. Questo piano fu considerato da molti una strada verso la modernità, ma modernità non vuol dire tagliare i ponti con la memoria del passato, bensì salvaguardarla. Dell’impronta originaria del centro storico rimangono gli edifici di culto, alcuni edifici istituzionali (Municipalità e Parlamento) e pochi altri che erano rimasti intatti dalla guerra. La vera chiave di lettura di questo piano sta però nei trenta ettari di isola costruita dal nulla con le macerie e i detriti della guerra: alcuni avrebbero voluto che fosse trasformata in un grande parco, ma furono invece costruiti alti edifici governativi. Il progetto era inoltre debole a livello tecnico, poiché si rivolgeva ad un’utenza elitaria, provocando un allontanamento della classe media e creando un simbolo di disuguaglianza sociale ed economica, risultato di una palese fragilità politica che si voleva mascherare dietro questo grande progetto. 55
Le principali nuove destinazioni del centro storico furono uffici, edifici amministrativi e un centro commerciale che andava a sostituire l’impronta del vecchio souk. Si trattò di una ricostruzione priva di un dibattito sociale alla base, avvenuta per mano della speculazione e della corruzione. Fu però lo schema direttore che vi era alla base dell’operazione che pose la maggior parte dei problemi, effettuato in assenza di studi preliminari approfonditi riguardanti il sistema di circolazione. Il piano, non ad opera di Solidere ma di investitori privati, prevedeva un’organizzazione attorno a tre assi viari principali che interrompevano bruscamente la trama dell’abitato, ponendo ulteriori barriere in una città già di per se divisa dal conflitto civile, oltre ad impedire un accesso pedonale diretto al nuovo centro storico. Il poeta Adonis da un’interessante interpretazione di Beirut oggi e la definisce una “non-città” 10. Ovvero, un territorio a cui viene storicamente attribuito il nome di Beirut, ma che non ha le caratteristiche di una città, in quanto composta da frammenti urbani incapaci di comunicare tra loro: una città la cui ricostruzione è stata esclusivamente nell’ottica delle promesse di progresso, a discapito della sua memoria storica.
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Note: 1 Kassir, Samir, Beirut. Storia di una città: Giulio Einaudi Editore, 2009 2 Kassir, Samir, Beirut. Storia di una città: Giulio Einaudi Editore, 2009 3 Kassir, Samir, Beirut. Storia di una città: Giulio Einaudi Editore, 2009 4 Barakat, Liliane, Chamussy, Henri, Les espaces publics a Beyrouth: Géocarrefour, vol. 77, n°3, 2002. L’espace public au Moyen-Orient et dans le monde arabe. pp. 275-281; 5 Barakat, Liliane, Chamussy, Henri, Les espaces publics a Beyrouth: Géocarrefour, vol. 77, n°3, 2002. L’espace public au Moyen-Orient et dans le monde arabe. pp. 275-281; 6 Kassir, Samir, Beirut. Storia di una città: Giulio Einaudi Editore, 2009 7 Kassir, Samir, Beirut. Storia di una città: Giulio Einaudi Editore, 2009 8 Schweizer, Regula, Pfenninger, Stephanie, 60’s Beirut: ETH Studio Basel Contemporary City Institute, The Middle East Studio, 2009 9 Davie, Michael F., Discontinuités imposées au cœur de la ville : le projet de reconstruction de Beyrouth. Jean-Paul Charrié. Villes en projet(s), Éditions de la Maison des sciences de l’Homme d’Acquitaine, pp.351-360, 1996 10 Adonis, Beirut la non-città: Edizioni Medusa, 2007
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Beirut cittĂ divisa
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* Greater Beirut è un’agglomerazione urbana che si estende su un territorio di circa 200 km2 e ospita 2.270.000 abitanti 1, presentando quindi una densità abitativa di 20.000 abitanti al km2. Come è stato precedentemente espresso, si tratta di una città il cui territorio è stato fisicamente diviso durante gli anni della guerra e ad oggi, questa frammentazione su base etnica confessionale, è ancora presente, separando l’ovest musulmano dall’est cristiano. Sarebbe riduttivo però affermare che questo sia l’unico fattore che rende Beirut una città divisa. Infatti, al di là di quello ideologico appena sopra riportato, esistono numerosi fattori che frammentano sia a livello fisico che sociale il contesto urbano della capitale. Ciò che seguirà è un approfondimento di quelli che sono stati ritenuti i più rilevanti ai fini dello studio.
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Bagnanti e forze di sicurezza militare a Dalieh al Raouche, 2015 (foto: Karim Mostafa) 62
Città militarizzata Nell’ultimo decennio, specialmente in seguito all’assassinio del politico Rafik Hariri nel 2005, Beirut ha subito un sostanziale aumento delle misure di sicurezza, diminuendo proporzionalmente la libertà e la mobilità dei suoi abitanti. Le strutture di sicurezza adottate appartengono agli organi di polizia, all’esercito e a privati. 144 sono gli edifici e i luoghi rappresentativi a livello politico e comunitario costantemente sorvegliati da cabine di sicurezza e quasi un centinaio le strade il cui transito è limitato o sorvegliato. Numerosi sono i posti di blocco fissi e segnati da cabine in strutture pesanti o leggere, generalmente posizionati in punti nevralgici, come i principali ingressi alla città. Il controllo del traffico pedonale ed automobilistico è anche regolato dal posizionamento di barriere fisiche che variano da pesanti strutture di cemento a leggere transenne2. L’area che risulta più sorvegliata è il distretto centrale di Downtown, in quanto sede del potere economico e politico. Qui, oltre al controllo del traffico, si ha l’oppressiva presenza di polizia e militari armati, posizionati ad ogni angolo o edificio rappresentativo. La costante presenza di misure di sicurezza così rigide ha inoltre influenzato il progressivo svuotarsi del centro storico, già diviso dal resto della città da barriere fisiche, economiche e politiche.
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Beirut casa per tutti Chiamato a redigere un primo piano urbanistico quando la città si trovava alle soglie dell’Indipendenza, l’urbanista Ecochard definisce Beirut “sede dell’ingiustizia sociale” 3. L’affermazione era principalmente riferita alla forbice sociale esistente tra le aree centrali della città e i suoi sobborghi, giudicati da lui ambienti insalubri e inabitabili. A causa del fatto che non è mai stata adottata alcun tipo di strategia urbana ai fini di appianare questo divario sociale, ad oggi le periferie sono afflitte dagli stessi problemi di allora, occupando però una superficie di gran lunga superiore. Molte delle aree periferiche più indigenti cadono infatti sotto la classificazione di “slum” 4. Data la totale assenza di dati tangibili e specifici riguardanti queste regioni urbane, la loro identificazione dipende da una serie di caratteristiche comuni quali: la precarietà delle condizioni economiche o politiche, il livello di vulnerabilità della popolazione e l’accessibilità ai servizi. In generale, si tratta di quegli ambiti urbani abitati da popolazione mista, in cui la qualità della vita è inferiori rispetto ad altre zone della città. Queste aree sono prevalentemente sorte come conseguenza di un flusso migratorio e si differenziano tra di loro in base al periodo di insediamento. Il primo caso è quello delle slum che nacquero come campi o aree residenziali a basso reddito per rifugiati internazionali. Questa categoria è storicamente la più datata in quanto risale all’arrivo di profughi armeni, siriani e curdi negli anni Venti del Novecento, che si insediarono a Beirut Est, e dal 1948 in poi dei profughi palestinesi che si installarono a sud di Beirut. L’arrivo di queste popolazioni fu sempre organizzato in campi gestiti da organismi internazionali, tutt’ora attivi sul territorio. La maggior parte di questi insediamenti ad oggi non esiste più, fatta eccezioni per quelli palestinesi, in cui le condizioni di vita dei residenti risultano estremamente precarie. Un esempio è il campo di Shatila, situato a soli 4 chilometri dal quartiere centrale di Downtown, dove si stima vivano dai 10mila ai 22mila individui, in poco più di un chilometro quadrato 5. La seconda categoria è quella delle slum sorte come aree residenziali per im64
Vista da un tetto del campo di Shatila, sud di Beirut, 2017 (foto: Florian Guckelsberger) 65
migrati delle zone rurali negli anni Cinquanta e Sessanta. In seguito al boom economico, Beirut diventa il centro nevralgico di tutte le attività, attraendo flussi di famiglie provenienti dal sud del Libano e dalla Beqaa, spinte dalla povertà o dall’insicurezza politica. Questi insediamenti nascono come estensioni di campi già esistenti o in aree agricole o incolte e si sviluppano abusivamente generando una violazione di diritti di proprietà. In ultima vi è la categoria di slum nate come insediamenti abusivi durante il periodo della guerra civile. Queste sono aree sorte in diverse parti della città, tramite l’occupazione di edifici o interi quartieri abbandonati dai legittimi proprietari per ragioni di sicurezza. Non vi è mai stata una volontà d’intervento da parte della classe politica o degli organi statali, in relazione al problema delle slum. Queste aree indigenti, sopravvivono esclusivamente grazie al supporto di organismi internazionali e Ong attive sul territorio. Il caso delle slums di Beirut, non rappresenta l’unico esempio di comunità costrette a vivere in situazioni di profonda povertà ed esige una constestualizzazione nel quadro nazionale. Il 53,10% della popolazione in Libano risiede in aree definibili slums, mentre il 28,5% vive con una media di 4 $ al giorno. Sono invece 300.000 gli individui che si trovano in condizioni di estrema povertà, vivendo con una media di 2,5 $ al giorno 6.
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Catalogo degli spazi aperti In seguito all’intensa urbanizzazione, il tessuto urbano beirutino risulta occupato per circa il 40% dal costruito 7, ove si raggiungono altissimi livelli di densità abitativa. In contrapposizione a questo dato vi è la quasi totale assenza di spazi verdi, che corrispondono ad un 0,8 mq pro capite, 50 volte inferiore rispetto alle stime della World Health Organisation. Nel corso del tempo e con la progressiva incentivazione dell’uso dell’automobile, i parchi e giardini che avevano reso famosa Beirut in passato, sono stati pavimentati e convertiti in parcheggi. Oggi sono poche le aree verdi attrezzate, ma largamente utilizzate, sebbene costantemente soggette a controllo militare. Il 72% del verde presente a Beirut è concentrato a sud della collina di Ashrafieh, nel parco di Horsh Beirut, che però negli scorsi anni, è stato a lungo chiuso al pubblico, in quanto la municipalità temeva comportamenti non consoni da parte dei suoi visitatori. Un luogo estremamente importante a livello comunitario è la promenade della Corniche, che si sviluppa per circa due chilometri sulla costa nord ed ovest, a lato di una strada ad alto scorrimento. Iniziata dagli Ottomani e conclusa negli anni del Mandato, la Corniche rappresenta l’ultimo punto di contatto tra la città e il mare. E’ questa, trovandosi nella zona occidentale della città, una meta ludica principalmente della comunità musulmana, ma frequentata da tutti i beirutini. La Corniche è costituita da un semplice marciapiede largo dai 2 ai 6 metri in cui le persone svolgono attività di ogni genere. Vi si possono trovare intere famiglie che imbandiscono picnic sedendosi su sedie di plastica a giovani che vanno in bici, fino a persone che fanno jogging. A lato di questo spazio pedonale vi è un’alternanza di spazi pubblici da sempre preda della speculazione edilizia e strutture private ad accesso limitato. A Downtown si possono trovare alcuni spazi pubblici, secondo il significato occidentale del termine, come Piazza dei Martiri e Place de l’Etoile. Sono luoghi però spesso inaccessibili perché recintati e costantemente controllati da forze di polizia. Se lo spazio pubblico nasce come luogo di libero accesso e dibattito civile, è chiaro 67
Corniche Maritime, 2016 (Alex Atack) 68
che a Beirut il dialogo tra lo Stato e la cittadinanza è stato interrotto. La tipologia di spazio della condivisione più diffuso è però certamente quello della strada che viene vissuto in maniera informale. E’ questo il luogo in cui la socialità incontra il commercio, secondo la tradizione delle città arabo-musulmane. Infatti, per comprendere le tipologie di spazio pubblico nella città mediorientale, bisogna prima di tutto astrarsi dal contesto occidentale, in cui lo spazio aperto è regolare e pianificato. Questo non esiste nel contesto arabo-musulmano tradizionale in cui lo spazio urbano di condivisione,t nasce associato alla pratica del culto religioso e alle attività economiche e sociali urbane. La strada rappresenta dunque lo spazio di filtro tra la sfera sociale e quella familiare e questo legame ha un riscontro anche a livello architettonico e morfologico. Esempio chiarificante e largamente diffuso nei complessi residenziali beirutini di media grandezza è l’elemento fisico costituito dal vano scala e dalla copertura piana. Era uso comune quello che le terrazze fossero luogo di incontro frequente, ragione per cui raramente si riscontrava la presenza di un divisorio tra l’esterno e l’interno. Ciò, a livello architettonico, rappresenta un elemento di continuità tra la strada e l’abitato. E’ ancora possibile trovare molte di queste abitazioni in alcune zone, generalmente quelle che non sono state pesantemente danneggiate dal conflitto civile. In conclusione, la differenza tra la città mediorientale tradizionale e la città moderna non è di certo l’occidentalizzazione formale degli spazi, né l’evoluzione del criterio di accessibilità in base al genere o all’etnia, ma si trova piuttosto in un nuovo tipo di rapporto con lo Stato, che modifica profondamente la relazione tra pubblico e privato. Beirut ha attraversato una lunghissima fase durante la guerra civile di allontanamento e poi sparizione dello Stato nella dimensione cittadina, situazione che perdura nella sua dimensione contemporanea, sebbene con diverse modalità e casistica. Lo spazio pubblico nasce in contrapposizione allo Stato così come attraverso di esso, ma non in sua mancanza.
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Divisione fisica infrastrutturale Come già accennato nel capitolo precedente, la ricostruzione post-bellica si concentra prevalentemente sul centro storico e su grandi opere infrastrutturali, che vengono poi nuovamente distrutte durante il breve conflitto del 2006. Si esclude il ripristino della rete ferroviaria e dei tram, privilegiando il trasporto su gomma che è oggi il mezzo di spostamento quotidianamente utilizzato dal 75,8% 8 della popolazione beirutina. La fitta rete infrastrutturale, realizzata sventrando interi quartieri, intensifica un tessuto urbano già fortemente saturato e crea delle vere e proprie divisioni fisiche. La maggior parte di queste opere sono state realizzate durante il periodo della ricostruzione, prevalentemente ad opera di investitori esteri. L’effetto che hanno comunemente generato nel contesto urbano in cui si inseriscono, è quello di definire delle barriere, in una città che avrebbe invece necessitato di luoghi in cui unire la comunità divisa. Queste barriere assumono la forma di esempi emblematici di frammentazione urbana, nel momento in cui ponti sopraelevati e cavalcavia dividono interi quartieri per svariate centinaia di metri e creano zone grigie nelle aree sottostanti. Questi particolari spazi aperti residuali del suolo sono però interessanti in quanto sedi di attività informali ed espressione del bisogno di luoghi d’interazione. Il ponte del Ring, largo ben 28 metri, divide totalmente il quartiere di Downtown a nord dalle sottostanti aree di Bashoura e Monot, generando un estesissimo spazio inutilizzato e negletto. Il ponte di Basta, taglia per 400 metri in direzione orizzontale l’omonima area residenziale, agendo come un intruso della comunità. Si tratta di un’area particolarmente vissuta e dinamica, ma a causa della presenza di una postazione di sicurezza con carro armato sotto il ponte, la libertà degli abitanti è diminuita considerevolmente. A sud di Beirut si trova il ponte di Cola, a dividere i quartieri di Jnah e Tariq el Jdideh. Il ponte porta alla zona dell’aeroporto ed è quotidianamente frequentato da migliaia di utenti in quanto stazione informale degli autobus. E’ inoltre rifu70
gio di numerosi senzatetto, nonostante la presenza di una postazione di controllo con carro armato, dovuta al fatto che la grande infrastruttura divide un’area sunnita da una sciita. A dividere la collina di Ashrafieh dall’area di Furn el Chebbak a sud est di Beirut, vi è il ponte di Elias el Hraoui. L’area sottostante è un’ampia rotonda verde inaccessibile chiamata “Adlieh”, principalmente utilizzata a traffico veicolare. E’ circondata da numerosi edifici istituzionali tra cui il Ministero della Finanza, la Corte di Giustizia e alcuni sindacati. Il cavalcavia di Jisr el Wait, posto ai piedi della collina di Ashrafieh, divide la Municipalità di Beirut da quella di Sin El Fil. Presenta la stessa lunghezza del ponte Basta ma con una forma più a campana. Ogni fine settimana viene utilizzato come estensione illegale del mercato “Souk el Ahad”, uno degli ultimi che si possono trovare a Beirut. Infine, vi è il ponte Yerevan, che taglia di netto il quartiere armeno di Bourj Hammoud, a est di Beirut. L’opera, larga 28 metri, viene costruita tra il 1997 e il 2004, sventrando interi isolati. Durante i suoi 2 chilometri d’estensione agisce da intruso della comunità e genera nelle aree sottostanti una serie di spazi dimenticati e trascurati, che assumono diverse funzioni tra cui quella di spazio inutilizzato di verde e di transito. E’ anche sede di una serie di attività e ritrovi commerciali e sociali informali.
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Note: 1 World Population Review, 2017 2 Stime condotte sulla base dell’articolo di Fawaz, Mona, Ahamad, Gharbie & Mona Harb, Beirut: Mapping Security, pubblicato su The Funambolist Magazine, 01/Militarized Cities, Settembre 2015 e integratrate sulla base di un soggiorno nella città di Beirut tra i mesi di agosto 2017 e gennaio 2018 3 Kassir, Samir, Beirut. Storia di una città: Giulio Einaudi Editore, 2009 4 Fawaz, Mona, Peillen, Isabelle, Urban slums reports: the case of Beirut, Lebanon, 2003 5 Strid, Anna, Lebanon. Dream bigger than Shatila: Nyhetsmagasinet Syre, 6 gebbraio 2015 6 UNDP, Rapid poverty assessment in Lebanon for 2016, 2016 7 Gustaffson, Jenny, The ground beneath our feet, Beirut’s green spaces: Mashallah News, 23 novembre 2010 8 Choueiri, Bernard M., Elias Bernard M. e George Bernard M., Analysis of Accident Patterns in Lebanon, 4th International Symposium on Highway Geometric Design, 2-5 giugno 2010
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Il caso dei sobborghi di Beirut Est
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L’area nel suo contesto In base alle analisi preliminari, si è scelto di proseguire scendendo di scala e individuando la zona a est di Beirut come caso studio, in quanto rappresentativa di tutti i temi e le problematiche precedentemente esposti. L’area presa in esame, comprende il confine tra la Municipalità di Beirut con quelle di Sin el Fil e Bourj Hammoud. Si è inclusa una superficie urbana che dista un chilometro da entrambi i lati del limite amministrativo, che coincide con la linea mediana del letto del fiume Nahr Beirut, prima della sua canalizzazione. Oggi il confine è rappresentato da alcune grandi infrastrutture che dividono violentemente le due sponde a livello fisico e amministrativo. Dal punto di vista storico però, l’area ha subito un’urbanizzazione omogenea e simultanea, in quanto fu il terreno di insediamento delle popolazioni armene rifugiate, arrivate nei primi anni Venti del Novecento, che qui si installarono per la presenza del fiume. Cominciarono come piccoli nuclei abitativi che si trasformarono in quartieri, come nel caso di Karm el Zeytoun sulla riva ovest, o nel grande agglomerato urbano che risponde al nome di Bourj Hammoud sulla riva est. Le due aree oggi si differenziano per dimensioni - rispettivamente 9 e 120 kmq - e per conformazione fisica del sito, ma non per caratteristiche sociali, economiche e architettoniche. Sarà interessante vedere dunque come la comunità armena si sia adattata ad un ambiente urbano ostile e diviso, sviluppando capacità di resilienza ed adattabilità nelle modalità di condivisione.
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Bourj Hammoud, 2017 (foto: Ara Madzounian) 78
Una storia armena I massacri del popolo armeno si svolgono in Turchia in tre momenti storici differenti. Il primo tra il 1894 e il 1896, condotto dal sultano ottomano Abdul-Hamid II. Il secondo, il più tragico, tra il 1915 e il 1918 con la deportazione ed eliminazione di armeni, compiuta dal governo dei Giovani Turchi, a cui seguirà il terzo, tra il 1920 e il 1922 ad opera di Mustafa Kemal detto Ataturk. Alcune condizioni al contesto sono necessarie per inquadrare il genocidio del 1915. La Turchia tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX perde una parte consistente dei propri domini e questo contribuisce a creare progressivamente nel Paese un senso combinato di accerchiamento e disfacimento. Nel 1908 l’impero subisce la cosiddetta rivoluzione dei Giovani Turchi, che trasforma l’impero in una monarchia costituzionale. Il nuovo regime intende modernizzare il paese su una base nazionalista, trovando ispirazione nell’ideologia panturchista, basata sull’omogeneità etnica e religiosa. La popolazione armena, di religione cristiana, che aveva assorbito gli ideali dello stato di diritto di stampo occidentale, può costituire un ostacolo al progetto governativo. L’obiettivo dei Giovani Turchi diviene, già dichiaratamente nel 1911, la cancellazione della comunità armena come soggetto storico, culturale e soprattutto politico. Lo sterminio comincia nel 1915 con la soppressione della comunità armena di Costantinopoli per poi proseguire con deportazioni e massacri nel resto del territorio turco. La pulizia etnica che ne risulta corrisponde all’espulsione di 1 milione e 200mila individui armeni, guidati in marcia da ufficiali dell’esercito turco. Le deportazioni vengono organizzate su varie direttrici che portano a nuclei urbani nevralgici come Aleppo e Damasco. Una di queste direttrici ha per meta Beirut, allora sotto il controllo del Mandato francese. Qui vengono trasferiti 150.000 profughi armeni tra l’agosto e il dicembre del 1915. Il comandante dell’operazione di trasferimento è Djemal Pasha, il terzo uomo del triunvirato 79
dittatoriale, contrario allo sterminio del popolo armeno, che si impegna a far arrivare intero il contingente armeno della seconda direttrice, giunto numericamente integro a Beirut. Diverso è il destino degli armeni deportati verso la prima direttrice, consapevolmente e volutamente sterminati dal governo turco. Arrivata a Beirut, la comunità armena viene organizzata nei campi di Saint Michel e Qarantina, situati vicino alla zona del porto. I campi sono vere e proprie bidonville, afflitte da problemi di sovraffollamento e condizioni igienico sanitarie miserabili. Dopo i primi cinque anni dall’arrivo nei campi, risulta chiaro che non esiste per il popolo armeno la possibilità di tornare nelle sue terre di origine in Turchia o di trasferirsi nell’Armenia sovietica; emerge dunque la necessità di trovare una soluzione di soggiorno permanente nella città di Beirut. Tra la metà del secondo decennio del Novecento e i primi anni Trenta, diversi attori partecipano alla costruzione di due area completamente nuove in grado di accogliere i rifugiati. Prima tra tutti l’amministrazione del mandato, che ha interesse a smantellare le aree degradate in cui alloggia la popolazione armena, in quanto animate da continui scontri e disordini. Inoltre, gli Armeni vengono visti dai Francesi come un forte strumento politico. In seguito al Trattato di Losanna del 1923 la popolazione armena era stata naturalizzata libanese e poteva dunque risultare influente per le elezioni locali. Un altro fattore è quello religioso: la Francia valuta l’incremento della popolazione cristiana causata dall’arrivo della popolazione armena . Coinvolta nelle operazioni di alloggiamento della popolazione è anche l’appena nata Società delle Nazioni. Precorritrice delle attuali Nazioni Unite, essa viene fondata nel 1919 come conseguenza della Prima Guerra Mondiale, con lo scopo di accrescere il benessere e la qualità di vita di tutti gli esseri umani. La causa armena è una delle prime di cui si occupa. Un grande supporto all’operazione viene inoltre apportato dalla comunità armena stessa. Subito dopo il loro arrivo a Beirut, gli Armeni si organizzano in base alle città e regioni di origine. Nascono associazioni, guidate da notabili 80
ed esponenti della Chiesa armena, più influenti degli effettivi organi partitici, tanto che nel 1930 sono ormai diventati i principali organizzatori e leader degli Armeni a Beirut. Inoltre, già prima del genocidio del 1915-16, gli Armeni hanno subito una consistente diaspora in tutto il mondo. Molti di essi vivono in Europa e America, integrati nella società come membri benestanti; essendo a conoscenza dei problemi che i loro compatrioti subiscono nella terra madre, fondano associazioni per aiutarli. Tra le più importanti vi sono l’Unione Generale Armena dei Benevolenti e l’Organizzazione della Diaspora Armena. Per coordinare le operazioni di collocamento si creano nuovi uffici per rifugiati come il Nansen International Office o vengono convocati a partecipare altri uffici già esistenti come quello del lavoro. I primi stabilimenti vengono collocati sulla collina di Ashrafieh e prendono il nome di Les Pavillons Blanches. Gli Armeni che vi si trasferiscono sono soprattutto artigiani o persone il cui stato di salute impedisce loro di rimanere nei campi. L’operazione viene interamente finanziata dagli organi statali che pagano per l’acquisto del terreno, realizzano la rete stradale e la lottizzazione, oltre a contribuire anche alla costruzione delle abitazioni. La spesa economica che ne consegue però spinge il Nansen International Office e il Mandato a cambiare modello strategico, perché insostenibile se applicato a larga scala. Nel caso di Karm el Zeytoun del 1923, i pianificatori forniscono agli Armeni solo una parte del denaro necessario all’acquisto dei terreni, lasciando il resto della spesa alla popolazione indigente che si indebita così con i proprietari terrieri. Gli alloggi sono semplici padiglioni auto costruiti e disposti secondo una griglia regolare. Nel 1929 una parte della popolazione armena è dunque trasferita con successo sulla collina di Ashrafieh, ma la maggior parte di essa abita ancora nel campo di Qarantina. La crisi economica globale del 1929 e degli anni successivi influisce in maniera fatale sullo sforzo delle associazioni armene in cerca di fondi, rendendo la ricerca nei Paesi occidentali molto più difficile. Per riuscire a continuare a gestire l’allocazione degli Armeni entrano a questo punto in gioco le numerose 81
Campo di Saint Michel, 1930 circa (foto: Save Beirut Heritage Archive)
Famiglia armena a Beirut, 1930 circa (foto: Save Beirut Heritage Archive) 82
organizzazioni armene in Europa ed America e la Società delle Nazioni. Nel 1930 l’organizzazione della città di Marach, aiutata dalle organizzazioni internazionali, diventa la prima che riesce ad acquistare autonomamente alcuni terreni in una palude situata sulla sponda orientale del fiume Nahr Beirut. Questi insediamenti prendono il nome di Nor Marach, ovvero la “Nuova Marach”, in memoria del luogo d’origine della comunità. L’area viene pianificata secondo una densa e fitta griglia composta da lotti di 50 per 150 metri, suddivisi in tre al loro interno. Questa organizzazione del suolo orbita attorno alla centralità della scuola o della chiesa, considerati i luoghi rappresentativi per la comunità. La chiesa, per la forte importanza che la religione ortodossa ricopre all’interno della società armena, mentre la scuola in quanto sede dell’istruzione delle tradizioni e della cultura armena. La costruzione degli alloggi viene portata a compimento dai rifugiati stessi con materiali finanziati dal Nansen Office. In seguito all’operazione, la maggior parte delle famiglie finisce col possedere il proprio lotto. Seguendo l’esempio di Nor Marach, le associazioni armene cominciano a raccogliere soldi per comprare dei terreni comuni da distribuire alle famiglie. In questo periodo, su entrambe le sponde del fiume vi è un consistente numero di agglomerati urbani auto costruiti e finanziati dalla comunità armena. Nel 1939, il passaggio della regione di Alexandrette sotto il controllo turco spinge la popolazione armena che lì alloggiava durante il mandato francese ad emigrare. Gli Armeni che arrivano si stabiliscono direttamente nei quartieri di Beirut Est. Sorgono aree, come quella di Sandjak sulla riva est, che assomigliano al campo di Qarantina, formando una cintura non soggetta a pianificazione a nord dei quartieri regolari. Sulla sponda orientale del Nahr, gli insediamenti fondati dalle organizzazioni armene secondo le città di origine cominciano a fondersi tra di loro, dando origine l’agglomerato urbano che è oggi Bourj Hammoud. I quartieri armeni, sempre più popolati e densi, vanno via via ad assumere un ruolo importante a livello urbano, in quanto sede di una forte settore artigiana83
le. All’arrivo a Beirut negli anni Venti infatti, il 30% degli Armeni rifugiati erano artigiani urbani, mentre il restante 70% erano agricoltori o artigiani rurali. L’artigianato armeno, spesso specializzato, rappresentò fini dall’inizio un fattore essenziale nello sviluppo e nell’integrazione di queste aree rispetto al contesto urbano beirutino. Durante la guerra civile libanese queste zone rimangono relativamente sicure, grazie alla totale neutralità del popolo armeno e alla formazione dei loro propri gruppi di milizie a protezione dell’area. Il risultato è un’ulteriore ondata di immigrazione di popolazioni armene e non, che si rifugiano qui in cerca di stabilità e sicurezza. Il settore commerciale paradossalmente ha beneficiato della guerra, grazie all’arrivo di numerose attività, in particolare la lavorazione dell’oro, che è a tutt’oggi un grande fattore attrattivo per l’area di Bourj Hammoud.
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Bourj Hammoud e Karm el Zeytoun oggi Attualmente la popolazione di Karm el Zeytoun corrisponde a circa 3000 abitanti 1, mentre le stime per Bourj Hammoud oscillano tra le 75mila alle 150mila2 persone. E’ difficile determinare con precisione l’ammontare della popolazione a causa degli ingenti flussi migratori che l’area ha subito negli ultimi anni, specialmente in seguito all’arrivo di milioni di rifugiati siriani. Ciò che invece può essere rilevato, tramite un’analisi sensibile dell’area, è la connotazione multietnica della popolazione che, sebbene rimanga a maggioranza armena, accoglie un largo numero di migranti lavorativi provenienti da regioni dell’Asia e dell’Africa. Lo sviluppo morfologico di entrambe le aree è avvenuto tramite un progressivo riempimento delle griglie originarie, comportando un’intensa saturazione del suolo. A livello architettonico le abitazioni hanno subito l’aggiunta di superfetazioni e addizioni al di fuori dell’ambito della legalità. Non avendo la possibilità di espandersi in termini spaziali infatti, il tessuto urbano è diventato sempre più denso al suo interno. In questo modo, le semplici baracche si trasformano in edifici a tre/quattro piani, ognuno dei quali rappresentato da un blocco chiuso che forma così un sentimento spaziale denso nelle strade. La maggiore fase di crescita si ha tra gli anni Trenta e Sessanta, che porta alla presenza di uno spettro di architetture assolutamente disomogeneo tra di loro. Dopo la grande espansione i vari edifici si presentano come una singola densa trama urbana. Ciò che contribuisce però ad una visione di uniformità è l’allineamento generale delle facciate al fronte stradale, reso possibile dalla regolare griglia originaria. Il centro dell’insediamento rimane oggi pressoché invariato, mentre ai limiti delle aree cominciano a comparire edifici sempre più alti. La maggior parte degli edifici originari sono stati rimpiazzati e i caratteri tradizionali dell’architettura armena, quali costruzioni in legno e ornamenti, sostituiti dal cemento. A Karm el Zeytoun, data la pendenza del sito, le abitazioni non hanno superato i quattro piani e alcune delle strade sono state convertite in scale per sopperire meglio al dislivello coperto. 85
Dal punto di vista amministrativo, Bourj Hammoud costituisce municipalità indipendente staccata da quella di Beirut che appartiene al governatorato di Metn. Il quartiere confina dunque ad ovest con la città di Beirut, a sud ovest con la municipalità di Sin el Fil, a sud est con Dekouanah e ad est con Bouchrieh. La Municipalità di Bourj Hammoud è divisa al suo interno in 10 sub unità amministrative, che conservano ancora i nomi delle regioni cilice di provenienza, come Marach, Sis o Adana. Karm el Zeytoun invece è compresa nella municipalità di Ashrafieh e dista solo 15 minuti a piedi dalla Piazza di Sassine, che rappresenta il punto più alto della collina di Ashrafieh, nonché un importante snodo a livello urbano. Il nome dell’area fa riferimento alla collina di ulivi che era presente sul terreno di insediamento. In arabo infatti, la parola “zeytoun” significa “ulivo”.
Note: 1 UNICEF, UN, Safe and friendly cities for all: rapid profiling of seven poor neighbourhoods in Beirut City, 2012 2 Municipality of Bourj Hammoud, Bourj Hammoud brief city profile, agosto 2009 86
Palo della luce a Karm el Zeytoun, 2017 (foto: Autrice) 87
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Analisi critica dell’area-progetto
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Elementi fisici di divisione Le due aree prese in esame dunque, si presentano come una densa trama regolare definita da limiti forti e precisi, per via della parcellizzazione del terreno di insediamento. In entrambi i quartieri però, la griglia originaria viene interrotta da numerose infrastrutture ed elementi architettonici di larga scala, che creano un brusca frattura sul tessuto urbano. Il Ponte Yerevan, costruito tra il 1997 e il 2004, fa parte della serie di grandi opere infrastrutturali della ricostruzione. Progettato per collegare la Piazza di Sassine alla direzione che porta a nord del Paese, così come in altri contesti presenti a Beirut, la costruzione del ponte sopraelevato dello Yerevan ha comportato lo sventramento di interi isolati. Le corsie di scorrimento dell’autostrada occupano una profondità di 18 metri ad un’elevazione di 7. Si estende per circa un chilometro e mezzo, attraversando trasversalmente la Municipalità di Bourj Hammoud nella sua interezza. Date le sue dimensioni, agisce come intruso della comunità, rendendo vulnerabile la popolazione che alloggia nei palazzi che vi si affacciano. Il 70% degli edifici sono ad uso residenziale 1, posizionati ad una distanza di soli pochi metri dall’infrastruttura e quindi obbligati a vivere con le finestre costantemente chiuse. Ad alcuni di essi sono addirittura stati sottratti interi volumi per permettere la costruzione del ponte. Il restante 30% invece è occupato da edifici istituzionali, di cui fanno parte la Chiesa Evangelica Armena, la Scuola Evangelica Armena, la Scuola Evangelica e alcune strutture ospedaliere Nell’area sottostante il ponte risulta ugualmente caratterizzato da numerose criticità, come ad esempio la mancanza di illuminazione, che ne rende pericolosa la frequentazione nelle ore buie della giornata. Nonostante ciò, è uno spazio sul quale affacciano alcune attività commerciali minori ed è frequentato dalla comunità. Questo non tanto perchè si tratti di una zona particolarmente attrattiva, ma quanto più perchè le modalità di utilizzo dello spazio precedenti alla costruzione del ponte si sono adattate invece di cessare. Gli abitanti si appro91
priano dello spazio con pratiche informali che variano da gruppi di persone che si raccolgono, chiacchierando o giocando al tawlet, su sedute di plastica di loro proprietà, a bambini che vanno in bici o giocano a calcio. E’ possibile riscontrare spesso anche la presenza di attività commerciali informali. Di solito si tratta di mezzi di trasporto privati di piccole dimensioni- macchine, tricicli a motore, motorini, carretti - sui quali i venditori ambulanti caricano la merce, che cercano di vendere in itinere. La tipologia di commercio varia dall’alimentare, alla vendita di gioielli e ninnoli, sino alle riparazioni. Lungo il ponte inoltre si affacciano dei lotti residuali e negletti poichè, in seguito alla costruzione dell’opera, il valore degli appezzamenti limitrofi è drasticamente calato. Un’altro elemento fisico che agisce come barriera nell’area studiata è certamente il Nahr Beirut. Il fiume, in seguito alla canalizzazione subita nel 1968 segnatamente nel tratto urbano del suo corso, ha perso totalmente la sua identità biologica e corrisponde ad una sezione in cemento di 35 metri di profondità e 7 di altezza. Il fiume nasce nel pendio occidentale del Monte Libano ad un’altitudine di 1890 metri. Per circa 20 km si sviluppa verso ovest da un alto bacino naturale montagnoso, prima di cambiare direzione e dirigersi verso nord per gli ultimi 5 km della sua lunghezza, attraverso la pianura densamente urbanizzata di Beirut, fino a sfociare nel Mar Mediterraneo. La sua portata è intermittente e torrenziale, data la consistente pendenza topografica. Situato in un clima mediterraneo, il bacino subisce sostanziose variazioni climatiche, che rappresentano il principale fattore di influenza per la sua idrologia. I cicli idrologici comprendono una stagione di secca da maggio a novembre e una stagione di piena tra dicembre e aprile, con portate che si aggirano intorno ai 0,01 m3/sec e 16 m3/sec. In aggiunta all’acqua piovana e allo scioglimento delle nevi nelle stagioni di piena, sorgenti continue come Dachouniyye erano essenziali in passato per mantenere il suo flusso durante le stagioni di secca, ma ora sono state convogliate per 92
Il canale Nahr Beirut, 2018 (foto: Autrice)
Sotto il ponte Yerevan, 2018
Sotto il ponte Yerevan, 2018 (foto: Autrice) 93
provvedere al fabbisogno idrico della città di Beirut. Attualmente, il corso del fiume si può dividere in quattro tipologie morfologiche: la valle -partendo dalle due sorgenti fino alla pianura sotto Mkalles -, la sezione agricola - da Jisr El Bacha a Sin El Fil -, la sezione urbanizzata - da Sin El Fil a Bourj Hammoud - e il fronte costiero - tra l’Autostrada Costiera e il mare-. Dal 1930, gli Armeni che originariamente risiedevano a Quarantina si trasferiscono ad Achrafieh e Bourj Hammoud, sulle sponde ad ovest e ad est di Nahr Beirut. L’impronta originaria dell’insediamento si posiziona lontana dagli argini, ma i continui flussi di immigrazione spingono l’urbanizzazione informale verso la zona alluvionale del fiume e causano la prima inondazione del 1942. Da quest’anno il livello di falda viene innalzato da sedimenti in sabbia e ghiaia, e da riempimenti che hanno l’obbiettivo di reclamare porzioni di dominio pubblico. Le popolazioni indigenti non sono in grado di distinguere i limiti del demanio fluviale e e si stabiliscono sul letto del fiume, limitando la sua capacità di portata a 400 m3/sec. Nel 1956 il Ministero della Pianificazione emana un decreto di canalizzazione di Nahr Beirut. Per una strana coincidenza nello stesso anno vengono disegnati i limiti amministrativi di Beirut, facendo coincidere il suo limite orientale con l’asse mediana del fiume. La riva occidentale del fiume limita ad oggi Beirut, Furn El Chebbak e la Municipalità di Baabda, mentre quella orientale delimita Bourj Hammoud, Sin El Fil e le Municipalità di Mansourieh. Studi preliminari per la canalizzazione avanzano una proposta di mantenere il vecchio asse del fiume, costruire autostrade su entrambe le sponde e ponti che lo attraversassero, ma nessuna di queste ipotesi fu mai realizzata. Si tratta di un’operazione più dispendiosa a livello economico e gli studi finali spostano l’asse verso i sobborghi, annettendo il largo dominio del fiume alla proprietà di Beirut e rendendolo un elemento di separazione a livello fisico, amministrativo e percettivo. Nel 1968 il fiume viene canalizzato nelle prime due sezioni, dal fronte costiero fino a Sin El Fil. Dopo vent’anni di interruzione dell’opera a causa guerra civile, la terza sezione tra Sin El Fil fino a Jisr El Bacha viene terminata nel 1998, con94
temporaneamente all’esecuzione dell’autostrada di Emile Lahoud, completando la conversione del fiume in un condotto infrastrutturale fognario e viario. Le conseguenze ambientali sono stati la distruzione dell’habitat ripariale, l’eliminazione di qualsiasi tipo di scambio idrologico tra il fiume e i livelli freatici adiacenti e l’aumento della portata nel canale dovuta all’assenza di vegetazione a mitigare la velocità 2. Il fiume da ecosistema funzionante si è trasformato in una discarica a cielo aperto. A sinistra il canale è affiancato dall’autostrada Emile Lahoud e dalla strada extra urbana ad alto scorrimento Pierre Gemayel. Rispettivamente le due strade presentano una profondità di 30 e 18 metri, che unite al fiume, aumentano il distacco percettivo e fisico tra le due aree. Il limite a nord della porzione urbana presa in esame è delineato dall’affaccio del porto sul Mar Mediterraneo. La linea di costa è preceduta da una fascia di circa mezzo chilometro di profondità occupata dall’infrastruttura portuale ad ovest e da complessi industriali a sinistra e il canale del Nahr nel mezzo. Fino a pochi anni fa, lungo la costa sopra al quartiere di Bourj Hammoud, si trovava una discarica a cielo aperto delle dimensioni di circa 2 chilometri quadrati. Smantellata recentemente, il lotto aspetta di ospitare il nuovo inceneritore che sarà a servizio di tutta la rete di smaltimento dei rifiuti dell’area della Grande Beirut. Quest’operazione si stima comporterà un grave rischio ambientale, nonchè un grave danno a circa 500.000 residenti delle zone limitrofe 3. Oltre all’impatto negativo che questa vasta area crea e ha creato sulla costa nel suo complesso, ha anche irreparabilmente interrotto il dialogo tra la popolazione e il mare. Non esistono infatti in quest’area degli accessi diretti alla spiaggia, che in passato faceva parte della vita della comunità armena e oggi rappresenta un luogo negletto, poichè inquinato e malsano.
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Flebili collegamenti L’allontanamento fisico dei due quartieri generato dalle grandi infrastrutture, è accentuato dall’assoluta scarsità di attraversamenti pedonali. Sono solo due infatti i ponti che consentono di oltrepassare il fiume nel tratto urbano preso in considerazione, posizionati a 500 metri di distanza l’uno dall’altro. Il Ponte di Armenia, situato all’estremo nord di Bourj Hammoud, e il Ponte di Jisr el Wati all’estremo sud. Non esistono pertanto dei nessi diretti tra Bourj Hammoud e Karm el Zeytoun, che è situata circa all’altezza del Ponte Yerevan. In entrambi i casi si tratta di attraversamenti carrabili che presentano marciapiedi in entrambi i lati. Il percorso del pedone ha una profondità di 1,50 metri circa, insufficiente al flusso che dovrebbe accogliere. Ciò rientra nel problema diffuso della pessima qualità dell’ambiente urbano ad uso del pedone, che si manifesta principalmente nell’assenza di continuità del percorso. La mancanza di attraversamenti, la bassa qualità dei marciapiedi e la politica di incoraggiamento dei trasporti via gomma, hanno creato un contesto ostile al pedone, rompendo talvolta il forte legame che vi è tra la strada e la socialità.
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La forza produttiva del settore artigianale I primi rifugiati armeni che si insediano in queste zone ad est del fiume agli inizi del Novecento, sono prevalentemente artigiani urbani specializzati. Negli anni Settanta, la seconda generazione di armeni, estende l’impiego delle forze produttive ed economiche al settore industriale, intrattenendo rapporti anche con imprenditori non armeni. La forza produttiva di questo settore cresce di pari passo con lo sviluppo dell’insediamento, così come l’integrazione della comunità armena a Beirut. Attualmente il 77,6% della forza lavoro a Bourj Hammoud è composta da artigiani e lavoratori semi-specializzati nel campo della manifattura. Il restante è per il 15% impegnato nel settore commerciale e per il 7,4% in attività private 4. Molte delle attività commerciali esistenti a Bourj Hammoud sorgono in maniera informale, al di fuori dell’ambito della legalità, e crescono spontaneamente. Il settore produttivo si intreccia al settore commerciale, creando delle reti tra loro interconnesse. Tutte le attività convogliano nel percorso del consumatore, la strada, sede del profitto e della socialità. E’ frequente la tipologia edilizia che vede al piano terra l’attività di vendita, al primo piano lo spazio produttivo e ai superiori le abitazioni, dando vita all’organismo dinamico di Bourj Hammoud. La maggior parte delle attività non supera i 25 mq di superficie d’uso e corrisponde a piccole e medie imprese di cui il 91,4% composte da un massimo di cinque dipendenti. Solo lo 0,2% è composta da più di 50 dipendenti, mentre sono largamente diffuse le attività che coincidono con la figura del singolo proprietario 5. Gli articoli maggiormente diffusi nel settore artigianale variano dai gioielli alle spezie, dalle riparazioni di automobili alla vendita di mobili, fino al tessile. A Bourj Hammoud è presente dunque un piccolo commercio diffuso, che tende a densificarsi in determinate zone, dando origine a souk. E’ bene sottolineare ai fini della comprensione, che per “souk” si intende una zona urbana con un’alta concentrazione di attività commerciali, sia formali che informali 6. E’ il luogo del mercato, che si figura come una strada ricca di bazar e negozi. Il primo 97
Artigiana tessile a Bourj Hammoud, 2018 (foto: Ara Madzounian)
Artigiano calzolaio a Bourj Hammoud, 2018 (foto: Ara Madzounian) 98
souk si trova localizzato nel cuore storico di Bourj Hammoud, a Nor Marach, e offre articoli che variano dai gioielli alle spezie, ai prodotti tessili fino ad oggetti manifatturieri. La seconda area si trova invece nel quartiere di Naba’a, a sud est del ponte Yerevan. Questa zona di Bourj Hammoud è caratterizzata da una spiccata componente multietnica, che si unisce ad una bassa qualità della vita. Il quartiere subisce forti flussi migratori durante gli anni della guerra, accogliendo rifugiati palestinesi e siriani. Come risultato, la comunità armena trasferisce le proprie abitazioni in contesti più omogenei, mantenendo però a Naba’a la sede della propria attività commerciale. Questo fenomeno ha dato origine al quartiere vivace e attrattivo che oggi ospita un’alta concentrazione di negozi e attività produttive nel campo dell’arredamento. Karm el Zeytoun presenta invece un commercio misto e diffuso, che vede la sua maggiore concentrazione a Ghabi Street, spina dorsale della griglia armena. La superficie d’uso delle attività commerciali è spesso inferiore ai 20 mq e i negozi sono a gestione familiare. Le tipologie sono legate ai beni di necessità primaria, a servizio della comunità di Karm el Zeytoun: piccoli alimentari di ogni genere, elettricisti, articoli per la casa, eccetera 7.
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Luoghi rappresentativi e forte spirito comunitario Grazie alla forza produttiva del settore artigianale, Bourj Hammoud è diventato un centro nevralgico per tutta l’area della Grande Beirut. Attrae visitatori dalla Siria e dal Golfo Persico, così come turisti dall’Europa, grazie all’autenticità etnica e all’atmosfera caratteristica del luogo. Nonostante ciò, lo spirito di appartenenza armeno ha mantenuto i suoi caratteri originari, soprattutto in funzione della perpetrazione della memoria comunitaria, che avviene segnatamente nelle istituzioni della chiesa e della scuola. A Bourj Hammoud sono presenti 9 chiese e 28 strutture scolastiche, mentre a Karm el Zeytoun, data la scala ridotta, solo una di entrambe. Sono questi i luoghi della memoria, in cui viene insegnata la storia della terra d’origine e della tragedia del genocidio. Un’altra caratteristica diffusa a sostegno della preservazione dell’identità collettiva è l’uso corrente della lingua armena, largamente parlata in entrambi i quartieri. A livello urbano, lo spirito di appartenenza è riscontrabile nelle insegne dei negozi scritte in armeno e nelle numerose scritte sui muri che denunciano il genocidio da parte dello Stato turco. Esiste un memoriale al genocidio degli armeni situato a Bourj Hammoud, nel mezzo di una rotonda automobilistica adiacente al fiume. La statua, data la sua posizione, risulta inaccessibile e distante rispetto al percorso del pedone. Chiaramente, in confronto alla forza produttiva di Bourj Hammoud, Karm el Zeytoun risulta legato ad un microclima commerciale esclusivamente legato ai bisogni dei residenti del quartiere. L’area è però caratterizzata da un’atmosfera familiare e informale, che grazie alla pendenza del sito, dà origine a situazioni di condivisione. E’ questa la grande forza di Karm el Zeytoun.
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La Chiesa Apostolica Armena di Saint Varten, Bourj Hammoud, 2018 (foto: Ara Madzounian) 101
Le pratiche informali in assenza di spazi per la comunità Dato l’importante ruolo che ricopre lo spazio della strada, ai fini della comprensione dello studio, si è ritenuto di concepire un breve atlante delle attività che qui convogliano. La strada è spesso un’estensione dell’attività commerciale, il filtro tra il pubblico e il privato. Oltre a rappresentare il percorso del consumatore, ovvero lo spazio in cui si concentrano tutte le attività economiche, è anche sede della socialità nella sua declinazione più informale. E’ il luogo d’incontro ludico per tutti i generi e per tutte le età, che la animano in svariati modi e con diversi usi. Nella totale assenza di spazio pubblico per la comunità armena, la strada ricopre un ruolo fondamentale nella sfera della condivisione. La strada è vissuta come un’estensione dell’abitato da parte dei residenti, che qui svolgono svariate attività, proprie invece dell’ambiente domestico. Trattandosi di una società basata sui valori tradizionali della famiglia, le donne qui si riuniscono per svolgere i mestieri della casa e gli uomini si raccolgono per giocare a tawlet 8 o fare conversazione. La componente informale in questi casi è sempre enfatizzata dalla presenza della sedia di plastica, come elemento tipico dell’appropriazione del suolo urbano. In addizione ai negozi che pullulano lungo le vie delle due aree, è altamente diffusa la pratica del commercio informale, che generalmente si manifesta in venditori ambulanti che si spostano in cerca di acquirenti per la propria merce. Solitamente si possono trovare queste attività in corrispondenza degli incroci o vicino alle principali vie veicolari. Si è notata una particolare concentrazione di questi episodi segnatamente al ponte Yerevan, dove è possibile trovare contadini e pescatori che, venendo da fuori Beirut, qui vendono la loro merce. E’ difficile però avere dei dati tangibili su attività di questo tipo, in quanto variabili e mutevoli.
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Venditore informale, Bourj Hammoud, 2018 (foto: Ara Madzounian)
Uomini intenti nel gioco del tawlet, Bourj Hammoud, 2018 (foto: Ara Madzounian) 103
Note: 1 Boulos, Kristelle, (Under) Bridge Spaces, The case of Yerevan (Under) Bridge, AUB: American University of Beirut, Department of Landscape Design and Ecosystem Management, 2 Frem, Sandra, Nahr Beirut: Projections on an Infrastructural Landscape, MIT: Massachuttes Institute of Technology, Master of Science in Architecture Studies, Final dissertation, giugno 2009 3 Farsi, Federica, Karantina residents protest incinerator project: The Daily Star, 30 agosto 2017 4 Municipality of Bourj Hammoud, Bourj Hammoud brief city profile, agosto 2009 5 Municipality of Bourj Hammoud, Bourj Hammoud brief city profile, agosto 2009 6 Beyhum, Nabil, David. Jean-Claude, Espaces publics dans les villes arabes: Cahiers de l’Irmac, Dossier n.2, 1993 7 Dati sulla base di un soggiorno nella città di Beirut tra i mesi di agosto 2017 e gennaio 2018 8 Nome generalmente utilizzato per indicare un gioco da tavola simile alla dama, largamente diffuso nella regione mediorientale
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Lo spazio di riconciliazione
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Criticità e potenzialità Come è emerso dall’analisi, l’area si presenta come una complessa stratificazione di criticità e potenzialità, che coesistono sul territorio, spesso incontrandosi. Esempio emblematico è certamente il Ponte Yerevan che, pur nascendo come un’infrastruttura che divide segnatamente il tessuto urbano, ospita nell’area sottostante pratiche ed attività informali. Lo spirito di adattabilità della comunità, oltre al forte senso di appartenenza ai luoghi, sono in grado di trovare spazi della condivisione anche dove l’ambiente urbano si presenta inadatto e ostile. La totale assenza di spazi per la comunità, segnata da uno sviluppo urbano selvaggio, ha portato la popolazione a vivere soprattutto la strada. Come conseguenza, ciò ha reso estremamente forte il legame tra il commercio e la socialità, già presente nella tradizione delle città arabo musulmane. E’ questo un aspetto di vitale importanza, su cui è possibile gettare le basi di una strategia mirata al miglioramento della qualità di vita degli abitanti, specialmente data la presenza di una rete di artigianato e piccolo commercio così solida come a Bourj Hammoud e, più in piccola scala, a Karm el Zeytoun. A minare l’importanza del ruolo della strada però, vi è la totale assenza di manutenzione e cura da parte della municipalità. I percorsi, come già espresso, sono discontinui e ostili al pedone, quando non totalmente assenti. Per anni nella città di Beirut si sono indiscutibilmente privilegiati i trasporti su gomma, portando ad una pessima gestione degli spazi pedonali. Come ulteriore binomio di criticità e potenzialità interconnesse, vi è l’assenza o inaccessibilità di luoghi della memoria, che si contrappone al forte spirito identitario della comunità armena. Il fatto stesso che non esista un collegamento diretto tra Karm el Zeytoun e Bourj Hammoud denuncia una totale mancanza di volontà di esplicitare a livello urbano tangibile la memoria del genocidio o il passato dell’area stessa. La collocazione dell’unico memoriale al genocidio del popolo armeno esistente a Beirut, in mezzo ad una rotonda inaccessibile, ne è emblema. I luoghi di dibattito e incontro sui temi della comunità rimangono la scuola e la chiesa, la cui presenza è una prerogativa inscindibile. Nonostante 109
dunque la scarsa attenzione che viene rivolta a questi spazi e al loro intorno, come criticità diffusa dell’area, essi mantengono la loro centralità, che , come si ricorda, ha fortemente influenzato la struttura urbana dell’insediamento sin dagli albori.
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Linee strategiche Si è deciso di intervenire sull’area, concependo una strategia che possa ricollegare le due aree di origine armena e pensando ad una serie di spazi e percorsi pedonali, che creino al contempo un miglioramento diffuso della qualità dell’ambiente urbano. Come area, si è scelta quella che presenta la maggiore vicinanza tra i due quartieri, che è localizzata nel punto di intersezione delle maggiori infrastrutture di divisione. L’intervento, segue dunque la linea del Ponte Yerevan, attraversando le infrastrutture del fiume e della strada urbana ed extra urbana ad alto scorrimento. Si è iniziato riconoscendo in primo luogo aree già soggette ad appropriazione informale, così da incentivare le pratiche urbane esistenti. E’ forte convinzione infatti che un progetto urbano non possa essere in grado di generare attività, quando non interconnesso all’utilizzo corrente dei luoghi. Successivamente, si è proseguito con l’individuazione di tre lotti negletti limitrofi, per ampliare la zona d’intervento e dunque la sua influenza. Come terza azione, si intende collegare questa successione lineare di spazi aperti pedonali alle aree urbane che presentano un’alta concentrazione del settore artigianale. Il fine di quest’ultima operazione è quello di creare accessi al progetto connessi alle aree urbane ad oggi nevralgiche. Le destinazioni d’uso delle aree di intervento prendono spunto dalle modalità di condivisione proprie della popolazione armena locale, ma esplicitano anche il diritto a frequentare luoghi rappresentativi della memoria della comunità. Tutto ciò, sulla base di un progetto composto da piccoli e medi interventi, che sottintendono una determinata volontà di migliorare la qualità della vita del popolo armeno a Beirut.
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Il masterplan Sono dunque stati esposti gli intenti del progetto, che parte dall’area sottostante il ponte Yerevan, da qui si dirama andando a coinvolgere le aree economiche nevralgiche a nord e sud di Bourj Hammoud, per poi protendersi fino a Karm el Zeytoun. La aree già soggette ad appropriazione informale prese in considerazione sono segnatamente quella sottostante il Ponte Yerevan e lo spazio libero inutilizzato adiacente alla Chiesa Evangelica Armena. Il secondo, non tanto perchè ospiti particolari attività sociali, ma quanto più per la sua adiacenza ad un luogo rappresentativo per la comunità, quale è la chiesa. Quest’area negletta presenta un alto potenziale comunitario, in quanto possibile luogo di incontro, sosta o dibattito. Si è pensato dunque di progettare una semplice struttura di ombreggiamento e una serie di sedute, per creare un punto di raccoglimento accanto ad un luogo già rappresentativo per la comunità. Sotto il ponte dello Yerevan invece verrà progettato un nuovo souk, unito al rifacimento dei percorsi pedonali adiacenti e all’apertura di nuove attività commerciali al piano terra degli edifici esistenti. I due progetti prenderanno rispettivamente il nome di Hadikat al Kanisa, ovvero “Piazza della Chiesa” e Souk al Yerevan, che prende ispirazione dal tradizionale mercato arabo coperto. Per quanto riguarda le aree abbandonate invece, la prima affaccia sulla superficie al di sotto del Ponte Yerevan, in un punto poco distante dalla Chiesa Evangelica Armena. Il progetto, chiamato Sahat al Yerevan - il Parco dello Yerevan - sarà composto da un’oasi urbana, affiancata da una struttura di ombreggiamento. Nel caso della seconda invece, si tratta di un’area stretta e lunga, attualmente adibita a parcheggio, che si trova accanto all’infrastruttura del ponte e affaccia in tutta la sua lunghezza sul canale del Nahr Beirut. Ora è un lotto di fatto mai frequentato, ma la sua posizione risulta strategica ai fini del progetto, in quanto si posiziona in linea d’aria in corrispondenza dell’accesso inferiore a Karm el Zeytoun. Si è pensato di posizionare qui una piazza della memoria - in arabo 112
“Hadikat al Zikrayat” - in cui verrà spostato il Memoriale al Genocidio degli Armeni, attualmente collocato nel mezzo di una rotonda inaccessibile a 200 metri di distanza dal sito di progetto. Il ruolo rappresentativo della statua influirà sulla costruzione di uno spazio pedonale ombreggiato e sull’apertura di attività commerciali al piano terra degli edifici che si affacciano su di esso. Da questo intervento, partiranno sia un percorso pedonale, fisicamente realizzato con un ponte leggero che attraversa il fiume, che attraversamenti pedonali, mirati alla diminuzione della velocità di percorrenza dei veicoli in transito lungo le infrastrutture viarie. Il percorso conduce al terzo spazio negletto, che prenderà il nome di progetto di “Hadikat al Zeytoun”, il parco degli ulivi. L’intervento consisterà nella demolizione di due grandi capannoni industriali abbandonati, che verranno sostituiti da una concentrazione di alberi d’ulivo, in memoria del sito naturale che dà nome al quartiere di Karm el Zeytoun. L’area è caratterizzata da una pendenza accentuata, che copre un dislivello di circa 30 metri. Nel punto più alto, il parco termina con l’ingresso inferiore a Karm el Zeytoun, che verrà segnato da una targa commemorativa ed evocativa della fondazione dell’insediamento. Come ultima fase di progetto, si prevede la ripavimentazione dei percorsi pedonali di determinate vie, segnatamente quelle in grado di collegare il progetto alle zone attualmente nevralgiche a livello commerciale e comunitario. E’ questo il caso di Ghabi Street a Karm el Zeytoun, in quanto rappresenta la via maggiormente vissuta del quartiere, così come di quattro strade che connettono il nuovo Souk al Yerevan alle zone di Naba’a - zona sottostante l’estremità inferiore del Ponte Yerevan - e alla zona del souk di Nor Marach.
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Il progetto
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* Data la complessità dell’area, è necessario avanzare alcune premesse essenziali ai fini dell’effettiva funzionalità del progetto. La prima è di carattere ambientale, riferita alla problematica del fiume. La sua conformazione fisica, come è stato profusamente esposto, lo rende un elemento ostile del paesaggio urbano, ma ben più grave è l’inquinamento che lo affligge, che rappresenta una grave minaccia per la salute della popolazione che risiede nelle aree limitrofe. Il progetto, che si svolge in gran parte in prossimità del fiume, propone uno spazio di condivisione per la comunità. E’ chiaro che i presupposti dell’intervento si scontrarono con lo stato di fatto, ma poiché il rischio ambientale è una problematica che affligge Beirut nella sua totalità, prenderlo in considerazione, diventa automaticamente una prerogativa della strategia. Trattandosi di un progetto urbanistico che indaga il ruolo dello spazio comunitario, si è deciso di astenersi da analisi complesse e giudizi tecnici in merito alla questione. Ci si limita quindi a suggerire l’installazione di un sistema di depurazione delle acque reflue, come primo passo verso il risanamento del fiume. Una seconda premessa essenziale ai fini dell’effettiva realizzazione, è quella della sostenibilità economica dell’intervento. Questa nasce come consapevolezza della componente utopica che assumerebbe un progetto urbano a larga scala, promosso prima di tutto a sostegno della comunità. Questa constatazione, è basata sulla realtà dei fatti, che vede gli organi amministrativi e la classe politica carenti o non curanti del governo della capitale.
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Souk al Ahad La riqualificazione dell’area sottostante il Ponte dello Yerevan nasce prima di tutto dallo studio delle pratiche informali ad oggi esistenti. Come sottolineato nella fase di analisi infatti, le attività che avvenivano prima della costruzione dell’opera si sono adeguate alla presenza di questa. Lo spirito di resilienza della comunità all’ambiente urbano ostile ha dato vita ad esercizi commerciali informali, che animano lo spazio sotto la grande infrastruttura. Si è pertanto deciso di non cessare questa abitudine all’utilizzo del luogo, ma di migliorarne in generale le condizioni di vivibilità. E’ stato progettato un nuovo souk, secondo la tradizione arabo mediorientale del mercato coperto, composto di strutture leggere e flessibili, di cui si sono pensate tre diverse tipologie. La prima di queste, è prevista come un laboratorio artigianale composto di due postazioni, ognuna di dimensioni 4x4. La struttura si articola in una serie di tubolari in ferro zincato verniciato di colori accesi, di sezione 10x10 centimetri, posti, come già accennato, a 4 metri di distanza l’uno dall’altro, a formare un rettangolo che in pianta abbraccia il pilone del Ponte Yerevan. Questa scelta si basa sulla volontà di integrare l’infrastruttura nel progetto, come parte integrante di esso. Inoltre, su questa linea, si è pensato a livello tecnologico di adibire a locale impiantistico lo spazio interstiziale tra i due pilastri, che scandiscono il marciapiede ogni 25 metri. Il tamponamento della struttura consiste in pannelli di lamiera forata zincata verniciata, che creano un divisorio tra l’interno e l’esterno, che è parziale e filtrato. Ciò a riprendere il forte legame che intercorre tra lo spazio della strada, il pedone e l’esercizio commerciale, ovvero il percorso del consumatore. La stessa soluzione è stata adottata per la copertura, pensata esclusivamente per motivi di sicurezza. La vera copertura della struttura è infatti il ponte, che influenza il progetto nella sua interezza. L’altezza stessa delle strutture di 2,50 metri è stata pensata in relazione alla scala del ponte, alto 7 metri. Si è voluto infatti creare spazi che avessero una dimensione raccolta, in contrapposizione a quella dell’infrastruttura. La secondo tipologia è formata in pianta da una griglia di 2x4, realizzata con 118
tubolari in ferro zincato verniciato di sezione 5x5 centimetri, uniti alla sommità da travetti di dimensione analoga. La terza invece si compone di una semplice elemento orizzontale posizionato a 2,50 metri di altezza che si ancora al pilastro del ponte. La dimensione di questa tettoia corrisponde a 4x4 metri. Entrambe le ultime due categorie di unità commerciale, sono atte a delimitare porzioni di spazio, che verranno utilizzate a stand per il nuovo souk. L’intenzione infatti non è quella di progettare o influenzare lo svolgimento delle attività, ma di localizzarle, nell’ottica della loro preservazione. Per aumentare ulteriormente la superficie commerciale dell’intervento e dunque la sua area di influenza, si è deciso di aprire una serie di esercizi commerciali al piano terra degli edifici, che si affacciano sull’area di progetto. Si tratta di locali che riprendono le caratteristiche esistenti dei negozi delle vie di Bourj Hammoud. Le dimensioni sono ridotte, ma si prestano ad ospitare diversi tipi di destinazioni d’uso. Come contorno al progetto, vi è il miglioramento degli spazi ad uso del pedone, a partire dal rifacimento dei percorsi e terminando con la limitazione della velocità di percorrenza automobilista nella zona del progetto, ridotta a 30 km/h. Sono stati previsti sia una serie di attraversamenti pedonali di accesso al souk che punti di raccolta dei rifiuti e aggiunti elementi di illuminazione urbana. Il marciapiede sottostante il ponte, che attualmente ha una profondità di 4 metri, viene raddoppiato, raggiungendo una dimensione di 8 metri. La scelta è stata fatta in relazione all’installazione di nuove unità commerciali e all’ingombro che occuperanno. La pavimentazione di questa superficie viene convertita da cemento a pietra granigliata. Il materiale è stato scelto poiché appartiene alla tradizione libanese ed è largamente utilizzato sia per gli interni che per gli esterni. Inoltre è facilmente lavabile, caratteristica necessaria data la presenza del souk. I nuovi accessi all’area sono stati pensati in relazione alle zone nevralgiche a livello commerciale presenti a Bourj Hammoud, segnatamente quella di Nor Marach a nord-ovest e di Naba’a a sud-est. In quest’ottica il progetto agisce anche come connettore di queste due aree, il cui allontanamento è stato causato 119
dalla costruzione del ponte. In ultima, sebbene non sia l’obiettivo primario dell’intervento, si è prevista l’installazione di una rete metallica colorata ai lati delle corsi del ponte sopraelevato, sulle quali cresceranno dei rampicanti sempreverdi che non necessitano particolare manutenzione. Ciò col fine di compensare, sebbene in minima parte, al disagio subito dagli abitanti le cui finestre affacciano sulle corsie automobilistiche. Si è consci che si tratti di una soluzione insufficiente a curare il problema, radicato in maniera ben più profonda, ma si è pensato possa essere uno stimolo per progetti futuri e messaggio di nuova speranza. In tutte le scelte progettuali che riguardano questo intervento infatti, si è cercato di sfruttare la presenza del Ponte Yerevan per creare degli spazi di riconciliazione all’interno della trama spezzata di Bourj Hammoud.
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Sahat al Zikrayat e Hadikat al Zeytoun L’unione di questi due progetti, che rispettivamente corrispondono alla nuova piazza della memoria e ad una concentrazione di alberi di ulivo, è volto a creare un collegamento fisico diretto tra i due quartieri. Sahat al Zikrayat si colloca in corrispondenza del lotto residuale lungo 70 metri, che si trova in corrispondenza dell’incrocio tra il Ponte Yerevan e il canale di Nahr Beirut. Attualmente qui si trova un parcheggio informale che verrà rimosso, donando al progetto una superficie d’intervento di poco meno di un chilometro quadrato. Il nome del progetto richiama la presenza della statua commemorativa del Genocidio del Popolo Armeno, che viene ricollocata, rispetto alla sua attuale posizione, nel punto di incontro della piazza con il mercato di Souk al Yerevan. Ora il memoriale si trova nel mezzo di una rotonda e risulta inaccessibile al pedone. Si è ritenuto, in base alla volontà di creare alcuni luoghi della memoria, di dare importanza al monumento, coinvolgendolo nella visione d’insieme. L’ampio spazio aperto è stato disegnato secondo una successione di spazi pedonali ombreggiati, realizzati grazie a strutture leggere - 4x4 metri - di ferro zincato verniciato bianco, composte da montanti e traversi di sezione 10x10 centimetri. La copertura di questi elementi, così come l’affaccio sul fronte stradale saranno protetti da reti in tessuto resistente. L’effetto è quello di una divisione parziale e filtrata degli spazi. Non si è voluto infatti creare dei veri e propri elementi di separazione, in quanto il progetto sottende il fine ultimo di alleviare le problematiche create dalle barriere presenti sul suolo urbano. Sarebbe dunque contraddittorio aggiungerne ulteriori. La stessa logica è stata applicata nella progettazione di un muretto in tufo di 1,50 metri di altezza, che delimita lo spazio di Sahat al Zikrayat rispetto al fronte stradale, ma non lo astrae. Il tufo è stato scelto come materiale in quanto pietra locale, tradizionalmente utilizzata per gli esterni o per le facciate nell’architettura tipica libanese. Gli spazi pedonali ombreggiati sono attrezzati da tavoli e sedute ancorati alla pavimentazione. Gli uni non sono dipendenti dalle altre e viceversa, ma si presentano come elementi scissi. Infatti, i tavoli sono stati pensati e progettati col 121
fine di prestarsi come supporto alla pratica informale diffusa di utilizzo della sedia di plastica di proprietà dei fruitori dello spazio. Il progetto nella sua totalità, incentiva queste modalità di appropriazione dello spazio e vi si pone a supporto. Per arricchire il progetto e renderlo maggiormente attrattivo, sono stati riconvertiti parzialmente gli edifici affacciati sul lotto in attività commerciali e artigianali. Nello specifico, sono state introdotte sei botteghe a servizio dell’artigianato locale, tre locali ad uso del commercio alimentare e infine quattro laboratori artigianali, dotati anche di magazzini, uffici e spazio di contatto col pubblico. Il progetto di Sahat al Zikrayan termina con la reintroduzione di verde nativo - palme - e con il rifacimento del marciapiede opposto alla piazza, che costeggia il canale del Nahr, raggiungibile tramite due nuovi attraversamenti pedonali. All’estremità inferiore dell’intervento, oltre ad uno dei due nuovi attraversamenti, vi è il nuovo ponte pedonale che scavalca il Nahr, trovandosi in linea diretta con Hadikat al Zeytoun. Il ponte, è costituito da semplici travi in acciaio lineari, che sorreggono una pavimentazione in lamiera forata, che compone in egual modo i parapetti. Si è pensato ad un intervento semplice a livello ingegneristico ed economicamente sostenibile. Da qui, per raggiungere Hadikat al Zeytoun, è necessario attraversare l’autostrada di Emile Lahoud e la strada extra urbana ad alto scorrimento di Pierre Gemayel. Si è deciso di astenersi dalla costruzione di una grande opera e si è optato per una successione di attraversamenti pedonali, sostenuti da strutture di rallentamento del traffico automobilistico. L’andamento dei veicoli viene controllata dal posizionamento di semafori e dossi, oltre a sistemi di rilevamento automatico della velocità, ridotta a 50 km/h. Così facendo, si tenta di aprire una via alla convivenza tra il pedone e la macchina nella città di Beirut. Grazie a questa successione di percorsi dunque, si crea il collegamento tra i quartieri di Bourj Hammoud e Karm el Zeytoun. Hadikat al Zeytoun si posiziona all’estremità inferiore dell’area omonima e si presenta come un uliveto di circa 7 chilometri quadrati, che copre un dislivello di 30 metri. Il lotto è attualmente occupato da due grandi capannoni industriali, che verranno sistematica122
mente demoliti, assieme al riempimento dei terrazzamenti esistenti. L’intervento è mirato al ripristino della memoria del sito naturale originario e la cura e la gestione dei suoi frutti sarà dato in gestione alla comunità armena. In ultima, si prevede l’installazione di una targa commemorativa e rappresentativa dell’anno di fondazione dell’insediamento, in corrispondenza dell’ingresso inferiore a Karm el Zeytoun, di fronte all’estremità superiore dell’uliveto.
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Sahat al Kanisa Il progetto si posiziona accanto alla Chiesa Evangelica Armena, in un lotto attualmente inutilizzato che si affaccia su Souk al Yerevan. In qualità di luogo fortemente rappresentativo per la comunità, la chiesa attrae giornalmente un forte flusso di abitanti armeni dell’area. Questo intervento, nello specifico, si pone l’obiettivo di fornire un luogo di sosta per i frequentatori di questo edificio istituzionale. Si è proceduto tramite il disegno di uno spazio composto da strutture di ombreggiamento e sedute. Gli elementi d’ombra sono realizzati grazie a strutture leggere - 4x4 metri - di ferro zincato verniciato, composte da montanti e traversi di sezione 10x10 centimetri. La copertura è realizzata in reti in tessuto resistente. Il limite dell’area, così come ad Hadikat al Zikrayat, è segnato da un muretto in tufo di 1,50 metri di altezza, tale da rendere la piazza permeabile all’ambiente circostante. Il progetto interagisce con l’area del souk grazie ad un collegamento pedonale, facente parte della strategia di supporto al pedone.
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Hadikat al Yerevan L’intervento consiste nell’inserimento di un’oasi urbana di circa 500 metri quadrati a lato di Souk al Yerevan. Il lotto è attualmente occupato da uno spazio verde inutilizzato. La scelta di destinazione d’uso del progetto rispecchia dunque quella attuale. L’oasi si compone di un recinto scandito da montanti di sezione 10x10 centimetri, atti a sorreggere una rete in tessuto resistente. L’effetto è quello di avere una divisione parziale e filtrata dello spazio rispetto alla strada. L’oasi al suo interno si presenta come una superficie coperta di sabbia e scandita da una serie di palme, a cui si aggiungono una serie di sedute che risultano protette dall’ombra degli alberi. L’intervento si promuove ad essere luogo di sosta e raccoglimento, nonché di astrazione parziale dal caotico contesto urbano. Trovandosi adiacente ad alcuni esercizi commerciali aperti in sede del progetto, si è ritenuto di aggiungere come estensione dell’oasi una struttura di ombreggiamento. Il pergolato copre un’area di 56 metri quadrati, attrezzata con tavoli e sedie. E’ sorretto da montanti di sezione 10x10 centimetri di ferro zincato verniciato in bianco. La copertura è una rete di tessuto resistente.
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In conclusione, il progetto nasce in seno alla convinzione che la fruibilità dello spazio aperto sia un diritto di ogni singolo individuo e termina con un forte senso di fiducia nei confronti del futuro della città di Beirut. Lo studio del contesto urbano della capitale e l’osservazione dello spirito di adattamento della popolazione hanno portato a concepire una linea strategica fondata sul radicato spirito di attaccamento ai luoghi. Infatti, nonostante Beirut sia per tanti aspetti una città considerata invivibile, specialmente se la si paragona a determinati standard europei, la sua popolazione dimostra una capacità di adattamento al contesto urbano ostile che la rende un dinamico coacervo di potenzialità inespresse. Nello studio si è scelto di approfondire questo tema, in relazione al problema della frammentazione urbana, generata dalle grandi opere infrastrutturali viarie del periodo post bellico. Il progetto sotto il grande Ponte dello Yerevan nei sobborghi armeni di Beirut Est però, potrebbe essere il primo di una serie di interventi mirati a trasformare le infrastrutture di larga scala in luoghi capaci di connettere le stesse comunità che hanno precedentemente diviso. Si è immaginato dunque, in linea di massima, quali potrebbero essere degli ipotetici progetti realizzabili in altre aree della città, che si trovano divise da elementi ostili del paesaggio urbano. Un esempio è il Ponte del Ring che, largo ben 28 metri e lungo 400, genera un estesissimo spazio inutilizzato e negletto, dividendo totalmente il quartiere di Downtown a nord dalle sottostanti aree a basso reddito di Bashoura e Monot. Qui si potrebbero progettare una serie di attività ludiche atte al sostegno della comunità, facenti parte di un disegno globale finalizzato a ricollegare il centro storico di Downtown al resto della città. Poco distante, il Ponte di Basta che taglia per 400 metri in direzione orizzontale l’omonima area residenziale ed agisce come un intruso della comunità. Trattandosi in questo caso di un’area particolarmente vissuta e dinamica a livello commerciale, esso potrebbe essere sede di un nuovo souk, seguendo l’esempio dello Yerevan. Lo stesso vale per il Ponte di Cola, che divide i quartieri di Jnah e Tariq el Jdi129
deh. Quotidianamente frequentato da migliaia di utenti che qui si recano per la presenza della stazione informale degli autobus, esso rappresenta già una zona nevralgica, incentivo dunque per la costruzione di un nuovo mercato coperto. A dividere la collina di Ashrafieh dall’area di Furn el Chebbak a sud est di Beirut, vi è il Ponte di Elias el Hraoui. L’area sottostante è un’ampia rotonda verde inaccessibile chiamata “Adlieh”, principalmente utilizzata a traffico veicolare. Qui si potrebbe inserire l’intervento di un’oasi urbana. Il cavalcavia di Jisr el Wait, posto ai piedi della collina di Ashrafieh, divide la Municipalità di Beirut da quella di Sin El Fil. Ogni week end viene utilizzato come estensione illegale del mercato “Souk el Ahad”, uno degli ultimi che si possono trovare a Beirut. Il progetto in questo caso si concentrerebbe sulla parziale formalizzazione dello spazio, rendendolo ufficialmente parte integrante del souk oggi esistente. E’ chiaro che queste si limitano ad essere suggestioni e che per ogni area sarebbero necessari un’analisi e uno studio più approfonditi. La casistica si è riportata per dimostrare che esiste una via per la riconciliazione tra la popolazione e il suolo urbano, ma che questa non si otterrà con i grandi progetti promossi all’insegna del progresso dalla classe politica. Sarà piuttosto tramite il miglioramento diffuso dell’ambiente urbano e la generazione di spazi aperti a sostegno della comunità, che si avrà ciò che auspicava l’urbanista francese Ecochard negli anni Sessanta, ovvero una Beirut giusta, non più “sede dell’ingiustizia sociale” 1.
Note: 1 Kassir, Samir, Beirut. Storia di una città: Giulio Einaudi Editore, 2009 130
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Bibliografia essenziale
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Ya Lubnan Libri e pubblicazioni: - Di Peri, Rosita, Il Libano contemporaneo. Storia, politica, società: Carocci Editore, 2017 - Kassir, Samir, Beirut. Storia di una città: Giulio Einaudi Editore, 2009 - Mauriello, Benigno R., Piccola storia del Libano. Dal mandato francese all’indipendenza: Volume 8 di Saperi, Solfanelli Editore, 2008 - UN Habitat, Coutry profile: Lebanon, 2016 Documenti dal web: - Al Jazeera, Timeline: Lebanon conflict, 20 Agosto 2016 https://www.aljazeera.com/archive/2006/08/200849141752287545.html - BBC News, Lebanon profile - Timeline, 25 aprile 2018 https://www.bbc.com/news/world-middle-east-14649284 - Lebanon Demographic Profile, Index Mundi 2018 http://www.indexmundi.com/lebanon/demographics_profile.html - Miliband, David, What we didn’t learn from Lebanese Civil War, 17 aprile 2015 https://www.aljazeera.com/indepth/opinion/2015/04/didn-learn-lebanon-civil-war-150417071259176.html - Operational Portal Refugee Situations, UNHCR: United Nations High Commissioner for Refugees, 2018 http://data2.unhcr.org/en/situations/syria/location/71 - The World Factbooks 2017-18, Central Intelligence Agency, 2017 http://www.cia.gov/library/publications/the-world-factbook/fields/2212.html - Transparency International, Corruption Perception Index 2017, 2017 https://www.transparency.org/news/feature/corruption_perceptions_index_2017 - Where we work, UNRWA: United Nations Relief and Works Agency, 2014 www.unrwa.org/where-we-work/lebanon World Population Review, World Bank Data, 2017 http://worldpopulationreview.com/world-cities/beirut-population/ 135
Le Beirut Libri e pubblicazioni: - Adonis, Beirut la non-città: Edizioni Medusa, 2007 - Archea Associati, Area 120. Beirut, gennaio/febbraio 2012 - Haidar, Mazen, Laura Cipollini e Helmar Kossel, Città e memoria. Beirut, Sarajevo, Berlino: Bruno Mondadori Editore, 2006 - Kassir, Samir, Beirut. Storia di una città: Giulio Einaudi Editore, 2009 - Kerbaj, Mazen, Beirut won’t cry. Lebanon’s July War, A Visual Journey: Gary Groth Editor, 2017 - Kerbaj, Mazen, Lettre à la mère: L’Apocalypse Édition, 2013 - Mansel, Philip, Levant: Splendour and Catastrophe on the Mediterranean: Yale University Press, 2011 - Schweizer, Regula, Pfenninger, Stephanie, 60’s Beirut: ETH Studio Basel Contemporary City Institute, The Middle East Studio, 2009 - Toffel, Ludovic, Vimercati Alain, The French Mandate: ETH Studio Basel Contemporary City Institute, The Middle East Studio, 2009 - Verdeil, Éric, Une ville et ses urbanistes: Beyrouth en reconstruction: Université Panthéon-Sorbonne, 2002 - Verdeil, Éric, Reconstructions manquées à Beyrouth. La poursuite de la guerre par le projet urbain: Les Annales de la Recherche Urbaine, Numero 91, pp. 65-73, 2001 -Documenti dal web: - Nayel, Moe-Ali, Beirut’s bullet-riddled Holiday Inn - a history of cities in 50 buildings, day 28: The Guardian, 1 maggio 2015 https://www.theguardian.com/cities/2015/may/01/beirut-holiday-inn-civil-war-history-cities-50-buildings - Saidi, Leena, Behind Closed Doors, a Different Beirut: The New York Times, 2 maggio 2016 - Sharp, Deen, The battle for Beirut’s buildings: The Guardian, 1 aprile 2010 https://www.theguardian.com/commentisfree/2010/apr/01/beirut-buildings-dubai-skyscraper 136
Beirut città divisa Libri e pubblicazioni: - Adonis, Beirut la non-città: Edizioni Medusa, 2007 - Barakat, Liliane, Chamussy, Henri, Les espaces publics a Beyrouth: Géocarrefour, vol. 77, n°3, 2002. L’espace public au Moyen-Orient et dans le monde arabe. pp. 275-281; - Beyhum, Nabil, David. Jean-Claude, Espaces publics dans les villes arabes: - Cahiers de l’Irmac, Dossier n.2, 1993 - Boulos, Kristelle, (Under) Bridge Spaces, The case of Yerevan (Under) Bridge, AUB: American University of Beirut, Department of Landscape Design and Ecosystem Management, Final Year Project, 19 dicembre 2013 - Burckhardt, Nicolas, Heyck, Harry, Dahiyah: the south-western suburbs of Beirut: ETH Studio Basel Contemporary City Institute, The Middle East Studio, 2009 - Davie, Michael F., Discontinuités imposées au cœur de la ville : le projet de reconstruction de Beyrouth. Jean-Paul Charrié. Villes en projet(s), Éditions de la Maison des sciences de l’Homme d’Acquitaine, pp.351-360, 1996 - Fawaz, Mona, Ahamad, Gharbie & Mona Harb, Beirut: Mapping Security: The Funambolist Magazine, 01/Militarized Cities, Settembre 2015 - Fawaz, Mona, Peillen, Isabelle, Urban slums reports: the case of Beirut, Lebanon, 2003 - UNDP, Rapid poverty assessment in Lebanon for 2016, 2016 - UNICEF, UN, Safe and friendly cities for all: rapid profiling of seven poor neighbourhoods in Beirut City, 2012 - UN Habitat, Investigating Grey Areas, 2010 Documenti dal web: - Gustaffson, Jenny, The ground beneath our feet, Beirut’s green spaces: Mashallah News, 23 novembre 2010 https://www.mashallahnews.com/lack-of-green-space-in-beirut/ - Gustaffson, Jenny, To Beirut with hope: how the city shaped by refugees makes room for new arrival: The Guardian, 4 febbraio 2016 137
https://www.theguardian.com/cities/2016/feb/04/beirut-lebanon-city-shaped-by-refugees-syria-migration-new-arrivals - Harb, Mona, Public Spaces and Spatial Practices: Claims from Beirut, 25 ottobre 2013 http://www.jadaliyya.com/Details/29684/Public-Spaces-and-Spatial-Practices-Claims-from-Beirut Il caso dei sobborghi di Beirut Est Libri e pubblicazioni: - Hediger, Daniel, Lukic, Andrej, The Armenian quarters in Beirut: ETH Studio Basel Contemporary City Institute, The Middle East Studio, 2009 - Municipality of Bourj Hammoud, Bourj Hammoud brief city profile, agosto 2009 - Ternon, Yves, Gli armeni. 1915-16: il genocidio dimenticato: RCS libri, Milano, 2003 - UNICEF, UN, Safe and friendly cities for all: rapid profiling of seven poor neighbourhoods in Beirut City, 2012 Documenti dal web: - Hartrick, Adrian, The cultural cradle for Lebanon’s Armenians, 5 dicembre 2015 https://www.aljazeera.com/indepth/inpictures/2015/11/cultural-cradle-lebanon-armenians-151112073614211.html - Madzounian, Ara, Birds Nest: A Photo Essay of Bourj Hammoud, 11 maggio 2018 https://festival.si.edu/blog/birds-nest-a-photo-essay-of-bourj-hammoud Analisi critica dell’area Libri e pubblicazioni: - Boulos, Kristelle, (Under) Bridge Spaces, The case of Yerevan (Under) Bridge, AUB: American University of Beirut, Department of Landscape Design and Ecosystem Management, Final Year Project, 19 dicembre 2013 138
- Dagher, Rouba, Samaha, Petra, Rethinking Shared Space, The Case of Naba’a Neighborhood, Bourj hammoud: Issam Fares Institute for Public Policy and International Affairs, ottobre 2016 - Frem, Sandra, Nahr Beirut: Projections on an Infrastructural Landscape, MIT: Massachuttes Institute of Technology, Master of Science in Architecture Studies, Final dissertation, giugno 2009 - Municipality of Bourj Hammoud, Bourj Hammoud brief city profile, agosto 2009 UN Habitat, NABAA: Neighbourhood profile and strategy, 2017 Documenti dal web: - Azhari, Timour, Regulations bypassed in Burj Hammoud landfill project: The Daily Star, 29 luglio 2017 http://www.dailystar.com.lb/News/Lebanon-News/2017/Jul-29/414364-regulations-bypassed-in-burj-hammoud-landfill-project.ashx - Azhari, Timour, The lucrative history of Lebanese land reclamation: The Daily Star, 19 luglio 2017 http://www.dailystar.com.lb/News/Lebanon-News/2017/ Jul-19/413250-the-lucrative-history-of-lebanese-land-reclamation.ashx - Chahine, Jessy, Storms cause flood damage along Beirut River: The Daily Star, 25 gennaio 2005 http://www.dailystar.com.lb//News/Lebanon-News/2005/Jan-25/5125storms-cause-flood-damage-along-beirut-river.ashx - El-Ghoul, Adnan, Illegal dumping risks altering course of Beirut River: The Daily Star, 3 agosto 2004 http://www.dailystar.com.lb//News/Lebanon-News/2004/Aug-03/3240-illegal-dumping-risks-altering-course-of-beirut-river.ashx#axzz1cbxvFOtv Verso uno spazio della riconciliazione Libri e pubblicazioni: - Dagher, Rouba, Samaha, Petra, Rethinking Shared Space, The Case of Naba’a Neighborhood, Bourj hammoud: Issam Fares Institute for Public Policy and International Affairs, ottobre 2016 139
- UN Habitat, Investigating Grey Areas, 2010 - UN, UNICEF, Safe and friendly cities for all: rapid profiling of seven poor neighbourhoods in Beirut City, 2012 - UNSF, Lebanon 2017-2020, 2017 Filmografia - Beirut, Under The Bridge, a documentary by Nora Niasari, 2013 - Et maintenant, on va oĂš?, a film by Nadine Labaki, 2011 - From Beirut To Bosnia, a documentary by Robert Fisk, 1993 - Sous les bombes, a film by Philippe Aractingi, 2007 - The Narrow Streets of Bourj Hammoud, a documentary by Joanne Nucho, 2015 - Waltz with Bashir, an animation movie by Ari Folman, 2008 - West Beyrouth, a film by Ziad Doueri, 1998
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A Karm el Zeytoun, che ora è casa. A Gastone Ave, che ha saputo guidarmi con pazienza e generosità, credendo in me e in questa tesi sin dall’inizio, perchè “è meglio uno studente con le idee di uno che non ne ha proprio”. A Daniele Pini, con cui ho potuto parlare di Beirut senza dover spiegare. Grazie per aver trovato passione ed entusiasmo nel mio progetto, nel momento in cui più ne avevo bisogno. A mia madre per avermi insegnato tantissimo di cosa vuol dire essere donna, per il suo coraggio e ottimismo. Il tuo sorriso confortante mi ha sempre fatto rinsavire nei momenti più bui. A mio padre per essere l’uomo più dolce e generoso che io conosca e per essersi appassionato al Medio Oriente per sentirmi più vicina. A Betta, perchè quanto mi sei mancata. Al resto della banda: Adri, Fra, Mattia e Nina, perchè è una gioia avere una famiglia così chiassosa. Ad Anna, perchè ci sei da sempre e per sempre. A Lucia, per essere cresciute insieme e separate. E’ bello vedere come da piccole riottose stiamo diventando donne. A Rich, il mio amico più fidato e l’amore più puro. In questi mesi, come sempre, sei stato luce. A Chiara, perchè se non me l’avessi chiesto tu, non avrei mai comprato il biglietto di ritorno. Contro tutte le intemperie, sei la sorella che ho scelto e che ho sempre cercato. Potrei scrivere pagine di ringraziamenti per te, ma te le risparmio perchè so che ricevere troppe attenzioni ti imbarazza. A Carol, per aver riempito la casa di bontà genuina per cinque anni, per tutte le volte che mi hai ascoltato e tutte quelle in cui ci siamo supportate a vicenda. A Cate, per ragioni che non saprei contare, ma prima di tutto per essere un esempio di forza e coraggio. Nonostante ci fosse in mezzo un oceano, siamo riuscite a non perderci mai e se ci penso, è perchè in fondo proprio non mi va. A Doni, per tutte le volte che ci sei stata, sapendo sdramatizzare le mie insicurezze con il tuo umorismo e la tua leggerezza. A Sara, per essersi impegnata a capirmi sin dal primo momento e avermi insegnato che l’amicizia è una scelta, alla quale non ci si tira mai indietro.
A Fra, per averci pazientemente sopportate per tutti questi anni e perchè mi fai ridere come pochi altri. Ad Antonio, per essere un amico sincero e per avermi insegnato tanto sulla libertà. A Robbi, perchè nel momento in cui sei entrato nella mia vita, sei diventato subito mio fratello. A Marco, per tutto quello che c’è stato: le risate, i pianti e le chiacchiere profonde che non dimenticherò mai. A Lori, per essere un’ascoltatrice unica e un porto sicuro. A Davide e Alice, per essere persone meravigliose. A Frency, perchè da quel primo mercoledì a fumare le paglie in via dei Romei, fino ad oggi, sei stato un amico. A Muna, per essere riuscito ad apprezzarmi nonostante io sia così diversa da te. A Greg, per essere stato una bellissima scoperta. Grazie a tutti voi per avermi accolta in via Previati con affetto e avermi fatta sentire a casa nel momento in cui più ne avevo bisogno. Questi anni sono stati meravigliosi soprattutto grazie a voi, che siete stati famiglia. Certe cose non cambieranno mai e il bene che vi voglio è una di queste. Merci à Lamine et Lambert, mes frères français, parce que je suis sure que ce qu’on a va jamais changer. Merci à Matthieu pour m’avoir appris l’amitié dans sa forme la plus douche. Grazie a Vivia, per essere stata la mia casa in Medio Oriente. Non avrei potuto sperare di trovare un’amica migliore. Merci à Yasmine pour être tellement simile à moi. Tu m’as rappelé la beauté de la tendresse et maintenant je me n’imagine pas de ne t’avoir pas dans ma vie. Ya bruni tisik. Thanks to Anna, because we always took care of each other and we still are. You will always have a special place in my heart. Thanks to Dayna for teaching me the real meaning of art -and a lot of english grammar-. You are a true example of strenght and courage. Thanks to Sam because you always found me when I needed it. Thanks to Dany, from that first night at Sioufi Park, to the last one you stayed up untill late to hug me goodbye. Last but not least, thanks to Shara, Jean, Rachel and Lissie, for having been friends, since the very first moment.
Fairuz - Le Beirut I send a greeting... from my heart to Beirut I send kisses to the sea and to the houses to a rock that looks like and old sailor’s face Beirut has been wine made from the soul of the people It has been bread and jasmines made from their sweat then why does it taste now like fire and smoke? To Beirut... a glory made of ashes To Beirut... made of the blood of a son that was held on her arm My city has turned off its lantern It has shut its door...and it has become alone in the night alone with the night I send a greeting... from my heart to Beirut I send kisses to the sea and to the houses to a rock that looks like and old sailor’s face You are mine... Your are mine... oh embrace me, to me you are my flag, tomorrow’s stone and a travel wave My people’s wounds have finally blossomed... as well as the tears of the mothers... Beirut, you are mine... mine... oh embrace me
La tesi indaga la componente informale nelle modalità di fruizione degli spazi aperti nella città di Beirut -Libano-, riconoscendola come elemento essenziale in vista di un progetto per la comunità. Lo studio si concentrerà nei sobborghi armeni di Bourj Hammoud e Karm el Zeytoun, situati a Beirut Est. Si tratta di quartieri densamente popolati e abitati da classe sociali indigenti, le cui condizioni di vita risultano inferiori rispetto ad altre zone della capitale. Sebbene sorti simultaneamente agli inizi del secolo Novecento, si trovano attualmente ad essere divisi da grandi opere infrastrutturali. Presentano però un forte settore produttivo, che li rende zone nevralgiche a scala urbana. Come area si è scelta quella localizzata nel punto di intersezione delle maggiori infrastrutture di divisione. Il fine è di pensare una serie di spazi e percorsi pedonali aperti a sostegno della riconciliazione della comunità armena. La strategia è mirata al ripristino della memoria dei luoghi, così come della creazione di nuove attività, in rispetto di quelle esistenti. Il progetto ha come scopo formale quello di creare degli spazi volti al miglioramento diffuso della qualità urbana, la cui destinazione è stata scelta guardando alle attuali modalità di fruizione. La zona sottostante il Ponte Yerevan, individuata come potenziale spina nevralgica dell’intervento, viene convertita a souk, come nella tradizione araba del mercato coperto. In seguito sono state riconosciute come aree essenziali ai fini del collegamento quelle dei progetti di Sahat al Zikrayat e di Hadikat al Zaytoun, che corrispondono rispettivamente ad uno spazio che orbita intorno alla centralità del memoriale al genocidio del popolo armeno e ad un uliveto, in memoria della conformazione originaria del sito. Si è proceduto poi con l’individuazione di altre aree dismesse lungo la direttrice di unione dei quartieri, per accrescere l’area d’influenza dell’intervento. Segnatamente queste sono occupate dallo spazio di sosta di Sahat al Kanisa, situato in prossimità della Chiesa Evangelica Armena e dall’oasi urbana Hadikat al Yerevan. Il progetto si inserisce all’interno di una strategia applicabile a livello cittadino, che vede gli spazi sottostanti le grandi infrastrutture di divisione, come essenziali per le comunità, in quanto luoghi inutilizzati di un tessuto urbano fortemente saturato.