12 aforismi dicembre 2017

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Del genitivo epesegetico nel Nuovo Testamento [Del genitivo epexegético en el Nuevo Testamento]

Rosario PIERRI Faculty of Biblical Sciences and Archaeology (SBF, Jerusalem) rosario.pierri@studiumbiblicum.org

Resumen: Este artículo propone una lectura inversa del genitivo epexegético, pero no de todos sus usos. Esta interpretación parte del hecho que invierte el papel de los términos. Cuando Pablo habla de la “señal de la circuncisión”, el trata de especificar la señal (determinado) como circuncisión (determinante), ¿o tal vez cualifica la circuncisión como señal? En otros términos, el apóstol con la circuncisión intentó explicar qué es una señal, ¿o quizás (también) quiso decir que la circuncisión es una señal? En este artículo se analizan varios casos de genitivo epexegético que figuran en la garmática de Wallace a partir de una doble pregunta: en el genitivo epexegético, ¿es el determinante el que clarifica exclusivamente al determinado?, o todo lo contrario, es decir, ¿es precisamente el determinado el que clarifica en qué términos el autor da a entender el determinante? Abstract: This essay proposes an inverse reading of the epexegetical genitive, but not of all of its uses. This interpretation arises from the question that inverts the role of the terms. When Paul speaks of the “sign of circumcision” he intends to specify the sign (determined) as circumcision (determiner) or perhaps qualify the circumcision as sign? In other words, the apostle with circumcision intended to explain what a sign is, or perhaps he (also) wanted to say that circumcision is a sign? Various cases of the epexegetical genitive found in Wallace’s grammar book are discussed in this article. It begins with the double question: In the epexegetic genitive, it is the determiner that exclusively clarifies the determined or the contrary may occur, that is to say that it is precisely the determined that clarifies in what terms the author meant the determiner? Palabras clave: Nuevo Testamento. Griego. Genitivo epexegético. Key words: New Testament. Greek. Epexegetical genitive.

’ Collectanea Christiana Orientalia 7 (2010), pp. 197-215; ISSN 1697–2104


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Nella sistemazione corrente delle grammatiche di lingua greca antica il genitivo epesegetico è catalogato come uno degli usi di genitivo annominale1, ossia di un sostantivo in genitivo in rapporto ad un altro che qui chiamiamo determinato, che può trovarsi anch’esso in genitivo. In quest’uso il rapporto semantico è appositivoepesegetico, perché dice o spiega in quali termini chi parla o scrive intende il determinato. Tra gli autori di grammatiche di greco del Nuovo Testamento 2 Wallace è l’unico a offrire una riflessione più articolata che può illuminare l’uso e i possibili significati di una simile costruzione 3 . In altre grammatiche, salvo qualche

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Nel genitivo annominale un sostantivo in genitivo determina o limita il significato di un sostantivo da cui dipende. Cf. H.W. SMYTH, Greek Grammar, revised by G.M. Messing (Cambridge, 1956), § 1290; J. HUMBERT, Syntaxe grecque (Paris, 19803), §§ 456-461. Il genitivo epesegetico in L. TUSA MASSARO, Sintassi del greco antico e tradizione grammaticale (Palermo, 1993, ristampa riveduta e corretta, 1995), § 4.2.1.1. è definito anche “dichiarativo”: esso “svolge la funzione di determinare un nome o un concetto generico. Si osservi, tuttavia, che il nome specificante l’oggetto può trovarsi nello stesso caso del termine da esso specificato”. Cf. inoltre N. BASILE, Sintassi storica del greco antico (Bari, 2001), p. 225. E. CRESPO - L. CONTI - H. MAQUIEIRA, Sintaxis del Griego Clásico (Madrid, 2003), p. 130, gli autori stabiliscono una distinzione tra il genitivo epesegetico e quello appositivo in questi termini: nel primo caso il genitivo “tiene come referente un grupo de entitades contables y dipende de un sustantivo colectivo” (l’esempio addotto è “l’assemblea dei Lacedemoni”); “Tambien tienen un único referente las construcciones en las que el genitivo, conocido come genitivo apositivo, presenta un valor meramente descriptivo” (l’esempio addotto è “il promontorio di Cane”). In tutti questi autori, e se ne potrebbero citare altri, la definizione del genitivo epesegetico è ridotta alle condizioni essenziali che lo determinano: il genitivo restringe concettualmente un termine generico. La restrizione di un nomen generale “trova la sua espressione più tipica nella cosiddetta ‘determinazione epesegetica’, ovvero nella specificazione del ‘genere’ inteso aristotelicamente come categoria che nella sua ‘estensione’... può comprendere altre classi... meno estese ma più specifiche”. Cf. N. BASILE, Sintassi storica, p. 225. Come si vede, la riflessione si limita a considerare la relazione logica tra i termini. Il testo critico di riferimento è B. et K. ALAND et alii, Novum Testamentum Graece (Stuttgart, 199327). Cf. D.B. WALLACE, Greek Grammar Beyond the Basics (Grand Rapids – Michigan, 1996), pp. 94100. L’autore fa notare la possibile confusione tra il genitivo appositivo e la semplice apposizione di un nome in genitivo, che naturalmente concorda con l’antecedente nel caso. A questa possibile confusione si aggiunge l’unione del genitivo appositivo con quello di contenuto e di materia. Nel definire il genitivo appositivo Wallace scrive: “The substantive in the genitive case refers to the same thing as the substantive to which it is related. The equation, however, is not exact. The genitive of apposition typically states a specific example that is a part of the larger category named by the head noun. It is frequently used when the head noun is ambiguous or metaphorical (hence the name ‘epexegetical genitive’ is quite appropriate)”. L’identificazione di detto genitivo nasce da una costatazione e da una prova da effettuare nella lingua d’arrivo: “Every genitive of apposition,


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eccezione, i paragrafi riservati al genitivo epesegetico registrano solo qualche breve annotazione introduttiva4.

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like most genitive uses, can be translated with of + the genitive noun. To test whether the genitive in question is a genitive of apposition, replace the word of with the paraphrase which is or that is, namely, or, if a personal noun, who is. If it does not make the same sense, a genitive of apposition is unlikely; if it does make the same sense, a genitive of apposition is likely” (95). Il suggerimento di Wallace di ricorrere alla prova dell’“of” non è di comodo come a prima vista potrebbe apparire. Fa leva, invece, sulla psicologia comune alle lingue e non è etichettabile come un espediente attinto dalla lingua di arrivo ed esteso a quella di partenza. In entrambe le lingue questa coincidenza, volendo limitare la discussione alle categorie di Wallace, trova la sua motivazione sulla possibilità di formulare nessi bimembri ambigui e metaforici dello stesso tipo. Quella di Wallace non è né intende essere una soluzione filologica in senso stretto, ma solo un modo pratico (ma non risolutivo) per tentare di capire se il nesso tra i due nomi è epesegetico. Cf. F. BLASS - A. DEBRUNNER - F. REHKOPF, Grammatica del Greco del Nuovo Testamento (Brescia, 1982), § 167 dove il titolo del paragrafo riservato all’argomento in esame è Il genitivo del contenuto e il genitivo appositivo; nello stesso paragrafo ai primi due genitivi è aggiunto il “Genitivo dei nomi di città”. In J.H. MOULTON - N. TURNER, Vol. III: Syntax (Edinburgh, 1963, rist. 1976), pp. 214-251, il genitivo appositivo si trova sotto il paragrafo Genitivus materiae, and epexegeticus, nel quale si legge: “This gen. represents more than an adj.; it represents a second noun in apposition to the first, or indicates the material of which the first noun consists. It conforms to class. and Koine usage but it is incidentaly Hebraic”. Per A.T. ROBERTSON, A Grammar of the Greek New Testament in the Light of Historical Research (New York, 19193), p. 498, il genitivo appositivo o di definizione “is not an extremely common idiom in the N. T., since the two substantives can be easly put in the same case”; ed aggiunge: “It is a well-known idiom in Homer and certainly needs no appeal to the Hebrew for justification”. Cf. inoltre G.B. WINER - W.F. MOULTON, Grammar of New Testament Greek (Edinburgh, 18829), pp. 666-668; E.M. ABEL, Grammaire du Grec Biblique (Paris, 1927), p. 179; C.F.D. MOULE, An Idiom Book of New Testament Greek (Cambridge, 19592), p. 38, parla di Defining Genitive; M. ZERWICK, Biblical Greek (Roma, 1994), §§ 45-46. A. BUTTMANN, A Grammar of the New Testament Greek, English Edition by J.H. Thayer (Andover, 1873), p. 78 esprime riserve sulla reale esistenza del genitivo appositivo(-epesegetico): “The assertion that appositive limitations are also expressed by the Genitive, rests upon an erroneous conception of such combinations as po,lij th/j Samarei,aj Acts viii. 5, po,leij Sodo,mwn kai. Gomo,rraj 2 Pet. ii. 6 (Lat. urbs Romae, fluvius Euphratis), and it is only out of condescension to modern usage that an appositive relation is here assumed. Just as erroneous is it to bring under apposition such phrases as to.n avrrabw/na tou/ pneu,matoj( th.n avparch.n tou/ pneu,matoj( shmei/on peritomh/j, etc., since such combinations are either to be taken literally, or at most as circumlocutions of simple abstract ideas. Such periphrases are quite current in the ancient languages generally, and in the N. T. preëminently with the apostle Paul”. La posizione di Buttman è superata (vedi gli autori e le note precedenti) e non è condivisibile per la semplice ragione che non tiene conto della sintassi stessa del caso genitivo. Si può osservare che nel greco moderno in alcune costruzioni apposizionali al nominativo e all’accusativo “the second noun is found in the genitive in more formal usage”. Cf. P. MACKRIDGE, The Modern Greek Language. A Descriptive Analysis of Standard Modern Greek (New York, 1985), § 2.2.5.


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In questo saggio si intende proporre una lettura all’inverso del genitivo epesegetico, ma non di tutti i suoi usi. Una cosa è dire: “la terra di Egitto”, un’altra: “il segno della circoncisione”, un’altra ancora: “la corazza della giustizia”. Il primo esempio Wallace lo considera un “category-example”, il secondo lo registra nell’“ambiguity-clarification”, il terzo nel “metaphor-meaning” 5 . Questa distinzione è senz’altro condivisibile, perché considera all’interno della categoria di ‘apposizione-epesegetica’6 usi accomunati dallo stesso rapporto da nome a nome, che assume, però, di volta in volta varie sfumature semantiche sulla base della relazione esistente tra i due termini7. Il genitivo di categoria, che va esteso ad altri usi simili8, è una costruzione che può aver conosciuto un allargamento d’uso9, ma sul piano ermeneutico non riveste una particolare importanza. Lo hanno, invece, gli altri due usi10.

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Cf. WALLACE, Greek Grammar, p. 95. Quanto all’apposizione WALLACE, Greek Grammar, p. 96, scrive: “In simple apposition, however, both nouns are in the same case and the appositive does not name a specific example that falls within the category named by the noun to which it is related”. Gli esempi proposti da Wallace vanno nella direzione di fondo dell’ermeneutica proposta in questo saggio, perché è evidente che l’ambiguità e la metafora appartengono al primo termine e non al secondo. Nel genitivo epesegetico il rapporto tra il determinato e il determinante è diverso rispetto a quello tra un nome e la sua apposizione. Il rapporto categoriale rispetto agli altri due individuati da Wallace (disambiguazione e metafora) appare necessario: l’Egitto è una terra e, quindi, posso dire ‘terra - Egitto’, ‘terra di Egitto’, ‘la terra che è l’Egitto’, supponendo, indipendentemente dall’idiotismo linguistico, che chi ascolta o legge non sappia che l’Egitto sia una terra e non altro. Ci si riferisce al genitivo di denominazione. Cf. “Genitivo dei nomi di città” in BDR § 167. Cf. BDR § 167 nota 3: nel greco classico quasi solo poetico; un solo esempio nei papiri tolemaici; più frequente nel greco bizantino. Nella stessa nota si menziona, confondendo ancor più la materia, il “genitivo degli abitanti” con citazione di At 19,35 e 2Cor 11,32: un genitivo di contenuto o di possesso. WALLACE, Greek Grammar, p. 96, nota le potenzialità espressive dell’epesegesi: “... one of the chief reasons to identify a particular genitive as a genitive of apposition is that it is related to a noun which begs to be defined. The ambiguity of the head noun is forcefully dissipated with the genitive. But the reason for an author using the head noun in the first place becomes clear: the collocation of the two nouns often suggests provocative imagery (‘the breastplate of righteousness,’ ‘the down payment of the Spirit,’ ‘the temple of his body’) which would be the poorer if the genitive simply replaced the head noun. Thus, the two nouns stand in symbiotic relation: they need each other if both clarification and connotation are to take place!”. L’ultima affermazione dell’autore non solo è condivisibile, ma in qualche misura contiene l’ammissione che la relazione epesegetica disambiguante e metaforica non si esaurisce nel solo termine al genitivo. Inoltre, l’adozione del binomio determinato-genitivo epesegetico (determinante), non si spiega unicamente con il fatto di voler sopperire alla povertà espressiva di un eventuale uso del solo epesegetico nel caso del determinato in luogo del binomio: ‘circoncisione’, cioè, sarebbe poco espressivo, sicché Paolo


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L’interpretazione all’inverso a cui si accennava nasce da una domanda che inverte il ruolo dei termini. Quando Paolo parla di “segno della circoncisione”, ci si può domandare per quale motivo definisce la circoncisione un segno, perché, a ben guardare, l’apostolo intende dire esattamente questo e non tanto specificare cosa vuol dire “segno”11. Ciò appare evidente per il fatto che i suoi destinatari conoscono cos’è la circoncisione. Lo stesso vale per casi simili e per quelli ‘metaforici’, dove, in concreto, sul piano interpretativo ha maggiore significato il determinato che non il genitivo epesegetico, ovvero il determinante. L’esempio di Paolo sopra addotto valga per tutti. Posta in questi termini la discussione, individuati i genitivi epesegetici, si possono ricercare quali siano le sfumature semantiche che legano i due termini. Vi è la possibilità che un autore si serva di un binomio tratto dalla letteratura o, più in generale, dalla sua cultura, nel qual caso interessa sapere perché se ne serve e se l’uso è in continuità o discontinuità con esse, se l’abbinamento obbedisce a criteri simili o diversi. Uno spunto di riflessione lo provoca l’accostamento originale di due termini ad opera di un autore. Ci si chiede per quale motivo l’autore ne faccia uso, in ultimo, cosa intende comunicare l’autore con il primo termine del binomio. Nell’esemplificazione successiva saranno discussi i testi citati da Wallace, esclusi i casi di categoria legati a nomi di città o terre12.

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parla di ‘segno della circoncisione’. Il non casuale accostamento, invece, risponde talvolta all’esigenza di collegare il termine in genitivo al significato ‘contestuale’ rappresentato dal determinato: è ‘segno’ che emerge. Questa lettura è colta, ma non approfondita, in Rm 4,11 da MOULE, p. 38, che scrive: shmei/on e;laben peritomh/j he received the sign of circumcision (i.e. received circumcision as a sign, or received a sign consisting of circumcision). Cf. WALLACE, Greek Grammar, pp. 98-100. L’autore non dispone i testi citati secondo le tre classi proposte. Da notare che con i nomi di mari e fiumi non si ha lo stesso rapporto sintattico al genitivo, ma apposizione; con ‘popolo’ si ha il genitivo: cf. Sal 86,4 lao.j Aivqio,pwn; di Israele, di Efraim; tou/ laou/ tw/n VIoudai,wn di Giuda (At 12,11). In questi casi non si ha mai ‘popolo’ + aggettivo del tipo ‘popolo giudeo’. Ciò prova che la sintassi al genitivo è indipendente dalla semantica, dal rapporto profondo tra determinato e determinante. È vero che ‘popolo’ è disambiguato ma non si ha epesegesi, perché tra i due termini non si ha rapporto appositivo (= popolo Giuda: qui l’apposizione è popolo!): è il binomio ‘popolo di Giuda’ oppure solo ‘Giuda’ che sta per ‘Giudei’. Va detto a questo proposito che Giuda, o altro nome proprio simile, può indicare di volta in volta tribù o territorio (della tribù), da qui le specificazioni. Nell’esempio di At 12,11 il genitivo è un aggettivo sostantivato ed è perciò riducibile a un normale aggettivo: ‘del popolo giudeo’, che (nei suoi due membri) sta per ‘giudei’. Qui si ha un rapporto attributivo. In ‘città di Gerusalemme’ il genitivo è un nome proprio che si oppone alla riduzione aggettivale, anche se, come in precedenza il binomio ‘città di Gerusalemme’ sta per ‘Gerusalemme’. Qui si ha un rapporto appositivo-epesegetico; in ‘Gerusalemme città’ o ‘città Gerusalemme’, però,


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Lc 22,1 h` e`orth. tw/n avzu,mwn “la festa degli azzimi”. Questo sintagma continua con l’ulteriore specificazione h` legome,nh pa,sca “che è chiamata pasqua”. Nel NT e`orth, è associato soprattutto alla Pasqua, ma non mancano riferimenti anche a qualche altra festa13. Epesegetici sono anche th/| e`orth/| tou/ pa,sca “nella festa di Pasqua” (Lc 2,41) e pro. de. th/j e`orth/j tou/ pa,sca “Prima della festa di Pasqua” (Gv 13,1). La successione dativo - genitivo (epesegetico) in Luca permette di interpretare anche in Giovanni il secondo genitivo come epesegetico rispetto al primo e non quale semplice apposizione. In Luca è la prima volta che si parla di pasqua, poi il termine ricompare in 22,1. Giovanni ne parla in 2,13 to. pa,sca tw/n VIoudai,wn, 2,23 evn tw/| pa,sca evn th/| e`orth/|, 6,4 to. pa,sca( h` e`orth. tw/n VIoudai,wn, 11,55 to. pa,sca tw/n VIoudai,wn, 12,1 pro. e]x h`merw/n tou/ pa,sca14. Il termine pasqua nel NT occorre più spesso da solo, mentre azzimi è associato a ‘giorni’ più che a festa15. La specificazione che gli azzimi siano una festa non è pleonastica soprattutto nei testi destinati ai pagani 16 . Il genitivo tw/n avzu,mwn è epesegetico. Gv 2,21 e;legen peri. tou/ naou/ tou/ sw,matoj auvtou/ “parlava del tempio del suo corpo”. Nel commentare questo esempio Wallace dice che dal punto di vista

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l’apposizione è città. Il fatto che il genitivo in o` lao.j tou/ Ieremiou “il popolo di Geremia” (Ger 33,7) non sia né epesegetico, né attributivo ma di possesso, anche se evidentemente è il profeta ad appartenere al popolo e non il contrario, vuol dire che il rapporto profondo tra i membri cambia sulla base del loro rapporto ‘reale’, nonostante la sintassi sia simile. Cf. Gv 7,2 (tabernacoli). Luca ricorda ancora gli azzimi in 22,7 h=lqen de. h` h`me,ra tw/n avzu,mwn “Venne il giorno degli azzimi”, ossia ‘il giorno stabilito per gli azzimi’. La costruzione pasqua + festa (apposizione) presente in Gv 2,23 e 6,4 non si verifica con azzimi o altre feste. Essa ha l’evidente finalità di sottolineare la centralità della pasqua come festa per eccellenza del popolo giudaico. Cf. Mt 26,17 (‘giorno’ è implicito); Mc 14,12; Lc 22,7; At 20,6. “A motivo della connessione, esistente fin dai tempi dell’A.T. ..., con la festa delle maṣṣôṯ (a;zumoj), la festa di pasqua valeva come inizio della settimana festiva...; to. pa,sca può indicare tutta la festività settimanale (Lc 22,1; Atti 12,4). Mc 14,1 indica separatamente le due festività. Fissa è l’espressione h` e`orth. tou/ pa,sca... (Lc. 2,41; Gv. 13,1; cfr. 2,23; 6,4), talvolta abbreviata in e`orth, (Gv. 4,45 e passim), con cui è sempre intesa la settimana festiva”. Cf. H. PATSCH, pa,sca, to,, in Dizionario Esegetico del Nuovo Testamento = DENT, a cura di H. BALZ - G. SCHNEIDER (Brescia, 1998), II, col. 836. “I sinottici menzionano la festa delle maṣṣôṯ per datare la settimana di passione, dove però l’interesse è rivolto alla pasqua e non alle maṣṣôṯ”. Cf. W. Popkes, zu,mh h`, in DENT, a cura di H. BALZ - G. SCHNEIDER (Brescia, 1995), I, col. 1518.


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“strutturale” il rapporto tra tempio e corpo potrebbe essere interpretato come di semplice apposizione del secondo rispetto al primo17. È vero che un autore è libero di porre in relazione appositiva i termini che vuole, ad esempio tempio-speranza, per cui modificando il testo di Giovanni si potrebbe scrivere: “parlava del tempio, [della] speranza del popolo”, dove speranza è apposizione: il tempio è paragonato alla speranza. L’accostamento naturalmente non è mai casuale. In Gv 2,21 il rapporto non è tra ‘tempio’ e ‘casa del Signore’ o ‘casa di mio padre’, dove si può avere identità tra i due membri; il rapporto tempio-corpo non è naturale come quello tra tempio e casa, ma è fondato su un nesso contestuale che si può spiegare ‘anche’ con l’esegesi. Tenuto conto dei due versetti precedenti (dove si insiste sul tempio) e del successivo (dove si parla della resurrezione), se nel testo in esame l’evangelista avesse omesso tou/ naou/, il messaggio sarebbe stato in ogni caso trasparente. Questa considerazione permette di postulare che nel contesto è la sottolineatura di ‘tempio’ ad essere centrale e che sul piano comunicativo non è centrale l’epesegesi trasmessa dal ‘suo corpo’, ma piuttosto la relazione (in termini di superamento reale del tempio) del corpo di Gesù con il tempio, ovvero il fatto che l’evangelista accomuni il corpo di Gesù al tempio. Rm 4,11 kai. shmei/on e;laben peritomh/j “e (Abramo) ricevette un segno di circoncisione”. Solo in questo passo di Paolo la circoncisione è definita segno18. Nel NT la peritomh,, è in rapporto all’incirconcisione (avkrobusti,aj Rm 2,25; 4,10.12; Gal 2,7; Col 3,11); all’alleanza (diaqh,khn At 7,8); alla carne (h` evn tw/| fanerw/| evn sarki. peritomh, Rm 2,28); alla fede (peritomh.n evk pi,stewj Rm 3,30); al corpo, alla carne, a Cristo (evn th/| avpekdu,sei tou/ sw,matoj th/j sarko,j( evn th/| peritomh/| tou/ Cristou/ Col 2,11). È noto che la riflessione legata alla circoncisione e a quanto essa significa e comporta è tipicamente paolina. Segno, al plurale, appare associato a prodigio (At 2,19; 6,8) e a potenza (At 2,2; 2Cor 12,12). Si parla di segno di Giona to. shmei/on VIwna/, sempre con articolo, in Mt 12,39; 16,4 e paralleli. Quest’ultimo caso, dove VIwna/ a prima vista è interpretabile come

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Cf. WALLACE, Greek Grammar, p. 98: “Here the gen. of apposition is related to another gen. Thus there is the structural possibility of it being simple apposition. However, it fits the translation ‘of. . .’, rendering simple apposition out of the question”. Per il senso di ‘segno’ in Paolo cf. K.H. RENGSTORF, shmei/on in GLNT (Brescia, 1979), XII, coll. 162-167, in particolare 163-164 (Rm 4,11).


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genitivo epesegetico, offre uno spunto di riflessione. Il nesso Giona-segno e non è identico a quello tra circoncisione e segno. Giona non è un segno ma ciò che gli è accaduto lo è, come dimostra l’articolo, anche se poi l’espressione elide, perché vi allude, un ‘fatto biografico’ considerato emblematico19, del quale è stato protagonista il profeta: segno di Giona è proposto come un’espressione paradigmatica. In questo caso segno non è eliminabile. Si consideri kai. shmei/on ouv doqh,setai auvth/| eiv mh. to. shmei/on VIwna/ tou/ profh,tou “e non le sarà dato un segno se non il segno di Giona, il profeta”. Si potrebbe avere ... eiv mh. to. VIwna/, dove l’articolo-pronome sostituirebbe il sostantivo al nominativo. Il nome proprio, una volta eliso to. shmei/on, non potrebbe passare al nominativo VIwna/j, perché non avrebbe senso: “e non le sarà dato un segno se non Giona”. Se ne deduce che il genitivo VIwna/ è necessario. Il rapporto tra segno e circoncisione si fonda su due elementi, sul fatto concreto della circoncisione, in ciò che consiste, e, le occorrenze su addotte lo dimostrano, sul suo valore simbolico. Certamente shmei/on da solo sarebbe enigmatico, se non fosse specificato da peritomh/j. Una volta eliso shmei/on in Rm 4,11, se si passa peritomh/j all’accusativo, il messaggio non cambia radicalmente ma vien meno il senso evocativo di ‘segno’20. Nella successione segno-circoncisone, dunque, non si ha l’esclusivo passaggio dal generico al particolare come in ‘città di Sodoma’21, si ha pure l’affermazione implicita che la circoncisone è una realtà carica della ricchezza simbolica che il termine segno assume nel pensiero di Paolo e nel NT.

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In cosa consista il segno viene spiegato in Mt 16,40. “In Mt. 12,39; 16,4 / Lc. 12,29s. abbiamo un logion in cui Gesù si attribuisce to. shmei/on VIwna/ (Mt. 12,39: tou/ profh,tou) in riguardo alla propria attività. Tra i molti tentativi di spiegare la parola oscura... a causa del suo oggetto..., probabilmente il più vicino al vero è quello che prende VIwna/ come genitivo di apposizione e in to. shmei/on VIwna/ vede il segno che è Giona stesso nella sua realtà storica... Pertanto la parola ha che fare anche con la legittimazione di Giona, ma riguardo non tanto alla sua persona quanto alla vicenda da lui rappresentata”. Cf. Rengstorf, shmei/on, coll. 99-100. Nei codici A C* e in alcuni minuscoli si ha (shmei/on e;laben) peritomh,n, che muta la sintassi tra i due termini, ponendo ‘segno’ in posizione predicativa rispetto a ‘circoncisione’. WALLACE, Greek Grammar, p. 99 nella nota 70, registra la variante, segnalando correttamente il mutamento dell’espressione in “object-complement (he received circumcision as sign)”, un’alternativa espressiva che conferma la tesi di fondo di questo articolo. Il ruolo del determinato (città) non è però discrezionale ma necessario: Sodoma è una città e non un altro luogo.


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Ap 1,3 tou.j lo,gouj th/j profhtei,aj “le parole della profezia”. L’espressione compare ampliata successivamente in 22,7.10.18 tou.j lo,gouj th/j profhtei,aj tou/ bibli,ou tou,tou “le parole della profezia di questo libro”. L’accusativo è retto rispettivamente da avkou,w (1,3; 22,18), thre,w (22,6), sfragi,zw (22,10). Si ha kai. eva,n tij avfe,lh| avpo. tw/n lo,gwn tou/ bibli,ou th/j profhtei,aj tau,thj “e, se qualcuno toglie qualcosa dalle parole del libro di questa profezia...” in 22,19. Il termine profezia da solo altrove non è mai associato a uno dei verbi elencati. Per fare alcuni esempi: la profezia si compie ed è annunciata (Mt 13,14 kai. avnaplhrou/tai auvtoi/j h` profhtei,a VHsai<ou h` le,gousa), si possiede (1Cor 13,2 kai. eva.n e;cw profhtei,an), è uno strumento che dona carismi (1Tm 4,14 mh. avme,lei tou/ evn soi. cari,smatoj( o] evdo,qh soi dia. profhtei,aj), non è data dall’uomo ma dallo Spirito (2Pt 1,21). In questi passi l’allusione alle parole della profezia che, in concreto, trasmettono la profezia è implicita e affidata al radicale -fh. Ma non c’è identità tra parole e profezia: viene profetizzato un fatto, un evento reso noto attraverso delle parole. L’accostamento esplicito tra parola e profezia è di per sé originale, ma il contenuto di quest’ultima è anche espresso con le,gw (Mt 13,14 h` profhtei,a VHsai<ou h` le,gousa). Non a caso la radice è la medesima le,g(ouj) / le,g(ousa). L’autore in Ap 1,3 ipoteticamente avrebbe potuto elidere tou.j lo,gouj e scrivere kai. oi` avkou,ontej th/j profhtei,aj. Con “le parole della profezia” non si intende dire “le parole che sono la profezia” (genitivo epesegetico) o, invertendo, “la profezia che sono le parole”, ma “le parole che trasmettono la profezia”, cioè il suo contenuto (genitivo oggettivo). Questa interpretazione trova un sostegno anche nel significato stesso della radice. Gv 11,13 peri. th/j koimh,sewj tou/ u[pnou “(ma quelli pensarono che parlava) del dormire del sonno”. I due termini koi,mhsij e u[pnoj appartengono al medesimo campo semantico22. Nei due versetti precedenti (11,11.12) si dice che Lazzaro si è addormentato (kekoi,mhtai). La ripresa di kekoi,mhtai con koi,mhsij è evidente. Nel NT non è attestato u`pno,omai “addormentarsi”.

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Cf. J.P. LOUW - E.A. NIDA, Greek-English Lexicon of the New Testament: Based on Semantic Domains, § 23.66.


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La radice keim / koim significa in primo luogo ‘giacere’23 e il termine koi,mhsij nel NT è connesso solo a u[pnoj. Il sonno in sé è espresso da u[pnoj, mentre il verbo kaqeu,dw indica il dormire nel giaciglio24. In senso stretto in Gv 11,13 non si ha un’epesegesi, il significato non può essere “parlava del dormire che è / consiste nel sonno”, ma casomai del sonno legato al dormire giacendo, come dimostra questo passo del diciannovesimo libro dell’Odissea 426h=moj dV hve,lioj kate,du kai. evpi. kne,faj h=lqe, 427dh. to,te koimh,santo kai. u[pnou dw/ron e[lonto “come il sole andò sotto e venne giù il buio, allora dormirono, s’ebbero il dono del sonno”. In questo brano, per pura coincidenza, per un verso ‘sonno’ è epesegetico rispetto a ‘dono’, per un altro, a conferma di quanto si sostiene in questo saggio, il sonno è definito dono25. La lettura inversa invalida l’interpretazione epesegetica del genitivo tou/ u[pnou in Gv 11,13, né ci si può appellare al fatto che al ‘giacere/dormire del sonno’ si può opporre il ‘giacere del riposo’, perché la funzione dell’epesegesi non riguarda la distinzione ‘sonno vs riposo’ rispetto a ‘giacere’ ma il rapporto tra determinato e determinante: ‘sonno’ e ‘riposo’ sono due specificazioni e non epesegetici di ‘giacere’26. At 2,33 th,n te evpaggeli,an tou/ pneu,matoj tou/ a`gi,ou “la promessa dello Spirito Santo”. Un testo simile si ha in Gal 3,14. Per ipotesi si potrebbe pensare ad una promessa fatta dallo Spirito, ma nel NT ‘la promessa’ è del Padre (Lc 24,4927; At 1,4; 2,33) ed è quella fatta ai padri (Rm 15,8). Lo Spirito è promesso e non promette, tou/ pneu,matoj tou/ a`gi,ou è epesegetico rispetto a th.n evpaggeli,an. Un rapporto simile tra determinato e determinante si ha in 2Cor 1,22 to.n avrrabw/na tou/ pneu,matoj “la caparra dello Spirito Santo”. Qui il rapporto tra i due termini è illuminato da quanto è detto in precedenza: o` kai. sfragisa,menoj h`ma/j kai. dou.j (to.n avrrabw/na tou/ pneu,matoj) “(Dio) che ci ha pure segnati e ha posto...”. Il genitivo non può che essere epesegetico così come in 2Cor 5,5.

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Cf. F. MONTANARI, Vocabolario della lingua greca (Torino, 1995), sub voce kei/mai. Cf. Mt 9,24; 1Tt 5,7. Cf. OMERO, Odissea, versione di R. Calzecchi ONESTI (Torino, 1963), pp. 546-547. L’affermazione su formulata poggia su questa osservazione: ‘città di Gerusalemme’ sta per ‘Gerusalemme’ ma ‘giacere del sonno’ non sta per ‘sonno’. Gesù parla della promessa fatta dal Padre riferendosi allo Spirito Santo: kai. Îivdou.Ð evgw. avposte,llw th.n evpaggeli,an tou/ patro,j mou evfV u`ma/j.


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Ef 1,14 o[ evstin avrrabw.n th/j klhronomi,aj h`mw/n “che è caparra della nostra eredità”. Il relativo ha come antecedente lo Spirito Santo presente nel versetto precedente (1,13) evn w-| kai. pisteu,santej evsfragi,sqhte tw/| pneu,mati th/j evpaggeli,aj tw/| a`gi,w| “nel quale (in Cristo), dopo aver creduto, foste segnati con lo Spirito Santo della promessa” 28 . Il genitivo th/j klhronomi,aj, considerando gli elementi in campo, in realtà non è epesegetico rispetto ad avrrabw,n. Quale significato avrebbe “caparra che è l’eredità”, o all’inverso, “l’eredità che è caparra”? Eredità non spiega caparra29. Occorre considerare necessariamente anche 1,13, se si vuole chiarire la relazione tra i due termini. Nei due versetti si dice che come eredità i credenti hanno ricevuto una caparra che, sintatticamente, è predicato nominale del pronome relativo soggetto, che a sua volta ha come antecedente lo Spirito Santo. In realtà, seppure in maniera indiretta, il genitivo th/j klhronomi,aj, se lo è, è epesegetico casomai di tw/| pneu,mati th/j evpaggeli,aj tw/| a`gi,w|, cioè dello Spirito Santo, mediato sotto la forma metaforica di caparra. La riserva sulla lettura epesegetica nasce da un dato: l’eredità non è lo Spirito Santo, ma di essa lo Spirito è l’anticipo30 e parte dell’eredità. Il genitivo th/j klhronomi,aj è partitivo, il tutto “di cui si individua una parte”31.

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Qui si può osservare di passaggio che, se tra th,n te evpaggeli,an tou/ pneu,matoj tou/ a`gi,ou (At 2,33) e tw/| pneu,mati th/j evpaggeli,aj tw/| a`gi,w| (Ef 1,13) vi è un’innegabile convergenza di significato, la sintassi tra il determinato e il determinante cambia: nel primo caso il genitivo è epesegetico, nel secondo è attributivo (th/j evpaggeli,aj sta per “promesso”). Parla di genitivo appositivo, cf. J. BEHM, avrrabw,n, in Grande lessico del Nuovo Testamento (Brescia, 1965), I, col. 1264: il termine “in senso metaforico ricorre in Paolo: 2 Cor 1,22; 5,5. tou/ pneu,matoj è genitivo appositivo (come avparch.n tou/ pneu,matoj in Rm. 8,23)... Così anche in Eph. 1,14”. Cf. A. SAND, avrrabw,n, in DENT, I, coll. 419-420: il termine “è sempre in collegamento con lo Spirito di Dio. Secondo 2 Cor. 1,22 i corinzi hanno ricevuto la «caparra dello Spirito» come garanzia del compimento della salvezza non ancora avvenuto. Parimenti il desiderio ardente della dimora celeste (2 Cor. 5,1-5) deriva dalla certezza che ai cristiani è stato dato un anticipo dello Spirito... In Ef. 1,14 si parla dello Spirito «caparra è una caparra della nostra eredità»; sui credenti è stato posto il sigillo dell Spirito..., che garantisce l’eredità futura”. Benché esuli dal tema di questo contributo, sembra opportuno chiarire che per chi scrive l’espressione “un anticipo dello Spirito” non è accettabile. Nel battesimo lo Spirito è dato in pienezza, e con ‘caparra’ Paolo intende dire che deve svilupparsi. Cf. TUSA MASSARO, Sintassi, § 4.2.1.2.


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Ap 14,10 pi,etai evk tou/ oi;nou tou/ qumou/ tou/ qeou/ tou/ kekerasme,nou avkra,tou evn tw/| pothri,w| th/j ovrgh/j auvtou/ “berrà del vino della collera di Dio mescolato puro nel calice della sua ira”. Nei Lxx in Is 51,17 si legge avna,sthqi Ierousalhm h` piou/sa to. poth,rion tou/ qumou/ evk ceiro.j kuri,ou “alzati, Gerusalemme, che hai bevuto il calice della collera dalla mano del Signore”. La collera non si può bere se non in senso figurato e nel contesto immediato del passo dell’Apocalisse sarà l’adoratore della bestia (14,9) a farne esperienza. La relazione epesegetica è espressa dal vino rispetto alla collera: l’adoratore berrà il vino che è (figura) della collera di Dio32. Non si dà, invece, lo stesso rapporto tra calice, ira e, comprendendo anche il passo di Isaia, collera33. Quando si dice “bere un calice di vino” con il genitivo si esprime il contenuto. In “mescolato / versato nel calice dell’ira” o in “bere il calice della collera” il genitivo è sempre di contenuto, anche se l’espressione è figurata e, va detto, reale né più né meno di “bere un calice di vino”. Mentre si può dire “il vino che è la collera”, dove la collera è identificata in maniera figurata con il vino, non si può dire “l’ira / la collera che è il calice”, perché non si pone un’identificazione anche parziale tra determinante e determinato. Ef 4,9 to. de. avne,bh ti, evstin( eiv mh. o[ti kai. kate,bh eivj ta. katw,tera Îme,rhÐ th/j gh/j34 ; “ma cosa è ‘ascese’, se non che anche discese nelle parti più basse della terra?”, dove alla diffusa interpretazione partitiva del genitivo th/j gh/j Wallace affianca quella epesegetica: “egli discese nelle parti più basse [dell’universo], cioè, la terra”35. Per affermare questa lettura e superare la difficoltà della relazione tra il plurale me,rh e il singolare th/j gh/j, l’autore stabilisce un parallelo con Mt 2,22

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Wallace non dice espressamente che (tou/ oi;nou) tou/ qumou/ ‘della collera’ è epesegetico. Dal contesto si capisce che è questo genitivo e non tanto (evn tw/| pothri,w|) th/j ovrgh/j a prestarsi a questa lettura. Non si ha una vera e propria metonìmia, allo stesso modo di quando si indica il contenente per il contenuto come in “bere un bicchiere”, perché il contenuto è espresso. Questo passo, tra quelli compresi nel paragrafo Debatable (and Exegetically Significant) Example, è l’unico esaminato dall’autore in maniera circostanziata, agli altri trattati nel seguito di questo articolo semplicemente rimanda. Cf. WALLACE, Greek Grammar, pp. 99-100. Così H. SASSE, gh/, in GLNT, (Brescia, 1966), II, col. 436: “L’espressione di Eph. 4,9 (ta. katw,tera me,rh th/j gh/j) è ambivalente e può essere intesa sia le parti più basse della terra, cioè gli inferi, sia (dando a gh/ il valore di genitivo epesegetico) il segno basso vale a dire la terra”.


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avnecw,rhsen eivj ta. me,rh th/j Galilai,aj, passo che a suo avviso si presta a due traduzioni: “egli partì per le regioni [di Israele], cioè, Galilea”, oppure, “... per le regioni che costituiscono Galilea”. L’implicazione esegetica in Ef 4,9 è sostanziale: con la prima lettura Cristo (4,7) è disceso agli inferi, nella seconda è disceso sulla terra con un implicito richiamo all’incarnazione. Per Wallace il caso in esame non è risolvibile sul piano grammaticale. Occorre rilevare che il rapporto tra ta. katw,tera me,rh e th/j gh/j non è lo stesso di quello che intercorre tra ta. me,rh e th/j Galilai,aj. L’aggettivo katw,tera è comparativo-superlativo e perciò rinvia di riflesso ad altre parti superiori, che il genitivo successivo specifica come parti della terra. Per proporre la sua lettura Wallace ipotizza l’ellissi di tou/ ko,smou. Ora, se si accetta questa lettura, la terra, secondo la cosmologia dell’autore della lettera agli Efesini, è la parte più bassa dell’universo, un’affermazione tutt’altro che pacifica, perché vorrebbe dire escludere l’ade36. Queste osservazioni vanno oltre la grammatica, solo perché Wallace postula una lettura che va oltre la grammatica. Attenendosi al testo e applicando la lettura inversa, in Ef 4,9 la terra viene a coincidere con le parti più basse di se stessa37, un’evidente incongruenza, che non si verifica, invece, in Mt 2,22, dove ‘la Galilea’ coincide con ‘le parti’ che la compongono38. Ef 2,2 kata. to.n a;rconta th/j evxousi,aj tou/ ave,roj( tou/ pneu,matoj “secondo il dominatore della potenza dell’aria, che è lo spirito”39 . In questo testo, secondo Wallace, taluni analizzano erroneamente tou/ pneu,matoj come genitivo epesegetico di to.n a;rconta, mentre per lui l’analisi giusta è di genitivo di subordinazione40. Sul piano semantico il genitivo di apposizione, osserva, non è possibile tra due nomi personali (“when both nouns are personal”), da intendere, con nomi che

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Cf. J. JEREMIAS, a[|dhj, in GLNT, I, coll. 394-400, soprattutto 396-400. Wallace, come s’è visto, ritiene possibile che siano le parti più basse dell’universo. Un caso simile in Mc 1,28 eivj o[lhn th.n peri,cwron th/j Galilai,aj “in tutta la circostante regione della Galilea”. La traduzione proposta prende intenzionalmente posizione: il genitivo tou/ pneu,matoj è epesegetico. Wallace riporta il testo a p. 104 dove discute più ampiamente il passo in esame. Nel riportare il testo greco pone in bold th/j evxousi,aj e tou/ pneu,matoj, volendo sottolineare, probabilmente, l’equivalenza della loro relazione semantica e sintattica con to.n a;rconta.


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identificano persone41. “Il dominatore (ruler) dello spirito” non significa pertanto “il dominatore che è lo spirito” ma “il dominatore sullo spirito”42. Se ne deduce, dunque, che “il dominatore” opera allo stesso modo nei confronti della potenza dell’aria43. Considerando l’azione svolta dallo spirito espressa dal participio attributivo in tou/ pneu,matoj tou/ nu/n evnergou/ntoj evn toi/j ui`oi/j th/j avpeiqei,aj, l’interpretazione di pneu/ma come “an internal attitude” (Wallace) o come apposizione di tou/ ave,roj precedente sembra poco convincente. L’esercizio del dominio (over) nei confronti di ‘potenza’ non è estendibile (over) allo ‘spirito’. Come intendere nel contesto evxousi,a ce lo dice Ef 1,2144. Se Wallace ha ragione, vanno fatte due considerazioni: - lo spirito che opera nei figli della disobbedienza è un atteggiamento animato, sollecitato dal dominatore; - questo spirito appartiene ai ribelli. Se lo spirito,

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Nella nota 86 di p. 104 scrive: “Is it true that in our view both nouns are not personal (since we are treating spirit as an internal attitude) but the appositional view does treat both as personal, for it equates ruler with spirit”. Se in “both nouns are not personal” l’autore, come sembra, include a;rcwn, l’affermazione non è condivisibile. Quando a;rcwn designa “una potenza sovrumana” essa è “chiaramente e sempre nemica di Dio”. “Il pneu/ma dell’a;rcwn (Eph. 2,2) agisce irresistibilmente nei non cristiani... Le potenze intese come persone hanno il loro capo nell’a;rcwn del potere (o dei poteri) dell’aria”. Cf. G. DELLING, a;rcwn ktl., in GLNT, I, coll. 1301-1302. Sottolineature dell’autore, il bold è di chi scrive. Con “potenza sovrumana” si afferma indirettamente la natura spirituale del dominatore; con “pneu/ma dell’a;rcwn” si afferma che lo spirito appartiene al dominatore ma non è la ‘persona’ del dominatore, perciò è esclusa una relazione epesegetica tra i due termini; mentre potenze deve riferirsi a evxousi,a. Quanto al pneu/ma antropologico “Paolo quindi può, con tutta naturalezza, prendere pneu/ma dall’uso linguistico giudaico, come designazione psicologica... Ma anche in questo caso egli intende parlare del pneu/ma donato da Dio, e quindi di una realtà che in definitiva non è dell’uomo”. Nella nota 687 si precisa in riferimento a quanto affermato: “In contrario non vale nemmeno ricordare che pneu/ma può essere mantenuto puro o, invece, essere lordato”. Cf. E. SCHWEIZER, pneu/ma ktl., in GLNT (Brescia, 1975), X, col. 1054. L’elemento psicologico, da intendersi legato alla yuch,, che qui può affiorare, non ha nulla in comune con l’atteggiamento interiore sostenuto da Wallace, né con “l’autocoscienza dell’uomo” che ‘spirito’ rappresenta in 1Cor 2,11. Cf. Schweizer, ivi. WALLACE, Greek Grammar, p. 100 nota 74. La traduzione del versetto proposta a p. 104 è: “... according to the ruler of the domain of the air, [the ruler] of the spirit which now works in the sons of disobedience”. Sottolineatura dell’autore. Qui si interpreta l’espressione come “potenza che è nell’aria”, allo stesso modo che “potenza o potenze della terra”. Il testo è u`pera,nw pa,shj avrch/j kai. evxousi,aj kai. duna,mewj kai. kurio,thtoj kai. panto.j ovno,matoj ovnomazome,nou “(e lo ha fatto sedere...) al di sopra di ogni principato, dominio, potenza, signoria e di ogni altro nome che si nomina”. L’aggettivo pa/j con il suo valore distributivo definisce i termini che qualifica come plurali.


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invece, è ‘suscitato’ dal dominatore, lo spirito è opera sua, e il dominatore non esercita il suo dominio come nei confronti della potenza. Si intende dire che, se la relazione con ‘potenza’ è di subordinazione, può esserla anche quella con ‘spirito’, solo se lo spirito è quello dei ribelli o una realtà distinta dal dominatore. Quale senso ha, tuttavia, il dominio sullo spirito (interiore) dei ribelli? Una volta sostenuta la distinzione di identità tra dominatore e spirito, sembra più ragionevole ipotizzare un’entità spirituale distinta anche dagli stessi ribelli45. La sintassi non riesce a definire su basi inequivocabili una relazione anche sotto qualche aspetto di identità tra ‘dominatore’ e ‘spirito’, per cui l’interpretazione epesegetica impugnata da Wallace, su questo piano, non è difendibile in maniera assoluta ma non è per questo priva di fondamento. Uno sguardo al rapporto tra ‘dominatore’ e ‘spirito’ mette in luce che nel NT, come pure nei Lxx, i due termini non sono mai posti in relazione se non in Ef 2,2, e lo stesso avviene tra pneu/ma e oi` ui`oi. th/j avpeiqei,aj. Ciò che sembra possibile affermare con certezza è che lo spirito di cui si parla in Ef 2,2 non è quello dei

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Nei Fragmenta ex commentariis in epistulam ad Ephesios (in catenis), ed. J.A.F. GREGG, “Documents: The Commentary of Origen upon the Epistle to the Ephesians: Part II. The Text: Eph. i 15–iv 26”, Journal of Theological Studies 3 (1902), pp. 403-404 si legge 188 kai. parathrhte,on ge o[ti ouvk ei=pe kata. to.n a;rconta tou/ ave,roj avlla. th/j 189 evxousi,aj( tou/ ave,roj\ ouvkou/n zhthte,on th.n tou/ ave,roj evxousi,an( i[na ou[twj i;dwmen 190 to.n a;rconta tau,thjÅ du,natai de. h` le,xij kai. toiou/to ti dhlou/n kata. to.n 191 a;rconta th/j evxousi,aj tou/ pneu,matoj( o[per pneu/ma ave,roj evsti. to. pneu/ma tou/ 192 nu/n evnergou/ntoj evn toi/j ui`oi/j th/j avpeiqei,ajÅ evpei. ou=n o` a;rcwn tino,j evstin 193 a;rcwn( evpisth,seij mh,pote pa,shj evxousi,aj a;rcwn evsti. th/j peri. to.n ave,ra 194 o` nu/n lego,menoj( h[ti evnergei/ diatri,bousa peri. to.n ave,ra eivj tou.j th/j avpeiqei,aj 195 ui`ou,j “Occorre tener presente che non disse: «secondo il dominatore dell’aria» ma «della potenza dell’aria». Dunque bisogna cercare (nell’espressione) «la potenza che è dell’aria», perché così vediamo (in essa) «il dominatore di questa (della potenza)». L’espressione può mostrare anche qualcosa del genere «secondo il dominatore della potenza dello spirito» - siccome lo spirito è spirito d’aria - «che ora opera nei figli della disobbedienza». Siccome il dominatore è dominatore di qualcosa, affermerai che in nessun caso colui ch’è chiamato in questo contesto dominatore di ogni potenza lo è dell’aria, (lo è invece) della potenza che opera soffermandosi nell’aria nei figli della disobbedienza”. - Siccome lo spirito è fatto d’aria, argomenta Origene, si può affermare to.n a;rconta th/j evxousi,aj tou/ pneu,matoj ‘il dominatore della potenza dello spirito’; in questo modo la potenza è dello spirito e il dominatore, esercitando il dominio sulla potenza dello spirito, domina lo spirito. Quando Origene dice che lo spirito è fatto d’aria esclude che spirito significhi disposizione interiore, nello stesso tempo si deduce che lo spirito è altro dal dominatore. Ciò esclude il genitivo epesegetico e va nella direzione dell’analisi sostenuta da Wallace con la differenza che, mentre per quest’ultimo lo spirito è disposizione interiore, per Origene lo spirito è un’entità a sé.


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disobbedienti46. L’alternativa è se lo spirito è del dominatore (un suo elemento, una parte di sé) oppure è altro sia dal dominatore (un elemento su cui il dominatore esercita influsso) sia dallo spirito dei figli della disobbedienza (come elemento psicologico). La seconda opzione è più realistica: lo spirito è dato da Dio, opera nell’uomo nel bene e nel male; nei figli della disobbedienza subisce l’influsso del dominatore, quindi gli obbedisce. In linea generale il genitivo è di subordinazione. La lettura inversa proposta in questo saggio all’apparenza sembra non produrre alcun elemento decisivo. Dall’osservazione dell’uso dei termini ‘dominatore’ e ‘spirito’ emerge, invece, che il loro accostamento non si può ricondurre immediatamente a un rapporto di disambiguazione o metaforico, perché non ‘formerebbero’ un binomio nel quale il secondo elemento spiega o restringe il primo. Come si è costatato, entrano in campo diversi elementi. L’interpretazione epesegetica, però, può fare appello a un elemento che va oltre la sintassi. Che il dominatore di cui si parla in Ef 2,2 abbia una natura spirituale è fuori discussione, e l’epesegesi può richiamarsi a questo argomento: il dominatore è uno spirito e come tale esercita il dominio sui figli ribelli. Se c’è questa identità, lo spirito di cui si parla in Ef 2,2 non è dono di Dio deviato 47 . L’interpretazione epesegetica, perciò, guadagna terreno rispetto a quella di subordinazione e la lettura inversa ci dice che lo spirito che opera o influisce nei figli della disobbedienza (di coloro che sono nemici di Dio) è il dominatore, colui che è nemico di Dio. Con ciò non si sostiene che lo spirito dimori in loro, ma che influisce su di loro. Ef 2,20 evpoikodomhqe,ntej evpi. tw/| qemeli,w| tw/n avposto,lwn kai. profhtw/n “edificati sul fondamento degli apostoli e dei profeti”. Per Wallace 48 sono proponibili due interpretazioni, quella epesegetica, per cui i gentilo-cristiani poggiano la loro fede sugli apostoli e i profeti che sono il fondamento, e in alternativa la soggettiva, dove gli apostoli e i profeti hanno posto il fondamento della fede dei credenti provenienti dalla gentilità; entrambe, dal punto di vista logico e sintattico, sono sostenibili49. Applicando la lettura epesegetica inversa si

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Il fatto che lo spirito sia al singolare mentre i disobbedienti sono al plurale non ha alcun influsso ai fini interpretativi. Cf. nota 41. Cf. WALLACE, Greek Grammar, p. 100. Parla esclusivamente di “genitivo d’apposizione” K.L. SCHMIDT, qeme,lioj ktl., in GLNT (Brescia, 1968), col. 312. A favore della lettura epesegetica si può menzionare Ap 21,14 kai. to. tei/coj th/j po,lewj e;cwn qemeli,ouj dw,deka kai. evpV auvtw/n dw,deka ovno,mata tw/n dw,deka avposto,lwn tou/


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ha un riscontro non trascurabile: gli apostoli e i profeti sono definiti fondamenta della fede dei lontani come dei vicini (2,17), e se si tiene conto della vicenda personale di Paolo50, questa lettura rispecchia un tratto storico oltre che teologico. L’uso di qeme,lioj 51 in rapporto ai ‘profeti’ è dovuto al pensiero svolto dall’apostolo ed è originale52. Senza dubbio gli apostoli hanno lasciato un insegnamento, una testimonianza che si può definire ‘fondamento’, la loro associazione ai profeti, però, indebolisce questa lettura soggettiva nel testo in esame: si parla di parola dei profeti mai di insegnamento53, a meno che non si dimostri che Paolo intenda riassumere in qeme,lioj anche le profezie. Necessariamente l’interpretazione epesegetica chiama in causa di riflesso anche l’opera degli apostoli e dei profeti e, dunque, le profezie pronunciate, ma in Ef 2,20 Paolo pone come ‘fondamento’ le persone e non la loro opera, così come conferma la continuazione del versetto o;ntoj avkrogwniai,ou auvtou/ Cristou/ VIhsou/ “essendo Cristo Gesù stesso la pietra angolare”. Col 1,5 h]n prohkou,sate evn tw/| lo,gw| th/j avlhqei,aj tou/ euvaggeli,ou “(a causa della speranza)... che udiste in precedenza nella parola della verità del vangelo”. Il

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avrni,ou. “e avendo il muro della città dodici basi e su di esse c’erano i nomi dei dodici apostoli dell’agnello”. La metafora base-dodici apostoli è rinforzata da ovno,mata. L’apostolo deve farsi riconoscere come tale dagli apostoli costituiti da Gesù. Il sostantivo indica “the indispensable prerequisites for something to come into being”. Cf. W. BAUER - K. ALAND - B. ALAND, Griechisch-deutsches Wörterbuch zu den Schriften des Neuen Testaments und der fruhchristlichen Literatur (Berlin - New York, 19886). A Greek-English Lexicon of the New Testament and Other Early Christian Literature - Third Edition - revised and edited by F. W. DANKER (Chicago - London 2000), sub voce qeme,lioj. SCHMIDT, qeme,lioj, coll. 315-316 scrive: “Insieme con Cristo, in posizione particolare, stanno gli apostoli, in primo luogo Pietro: il passo... di Eph. 2,20... va confrontato con Mt 16,18... in quanto la pe,tra è considerata un qeme,lioj(n)”. L’autore non accenna in tutta la voce alla relazione di ‘fondamento’ con i profeti, e, in effetti, nei commentari si trascura il binomio fondamento-profeti. Limitandoci al Vangelo di Matteo, vediamo che il profeta è associato alla parola (Mt 1,22) e alla scrittura (Mt 2,5; 5,17; 8,17); la legge e i profeti profetizzarono (evprofh,teusan) fino a Giovanni Battista (Mt 11,13). Sempre nel primo evangelista su dodici occorrenze del neutro to. r`hqe,n solo una volta ‘il detto’ non è proferito da un profeta (Mt 22,31). Profeti (profh/tai) e maestri (dida,skaloi) appaiono ben distinti nella chiesa primitiva. Cf. At 13,1; 1Cor 12,28.29. Paolo non si definisce profeta ma kh/rux kai. avpo,stoloj kai. dida,skaloj “araldo, apostolo e maestro”. Cf. 2Tm 1,11.


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genitivo epesegetico è tou/ euvaggeli,ou rispetto a tw/| lo,gw| th/j avlhqei,aj 54 . Il genitivo th/j avlhqei,aj è di qualità rispetto a tw/| lo,gw|: “la parola vera”. Nel NT il verbo avkou,w e corradicali sono associati direttamente a euvagge,lion55 solo in Rm 10,16 e 2Ts 1,8, dove si parla di obbedienza al Vangelo (u`pakou,w tw/| euvaggeli,w|). Si sottintendono l’annuncio, l’accoglienza del Vangelo e quindi l’adesione ad esso. La possibile equivalenza tra ‘la parola di verità’ e ‘il Vangelo’ permette di interpretare tou/ euvaggeli,ou come genitivo epesegetico56. Col 1,13 o]j evrru,sato h`ma/j evk th/j evxousi,aj tou/ sko,touj “il quale (Dio) ci ha liberati dal potere della tenebra”. Secondo la lettura epesegetica la tenebra sarebbe e non avrebbe un potere: “... dal potere che è la tenebra”. L’interpretazione inversa del costrutto si chiede se e per quale ragione l’autore abbia definito ‘tenebra’ come ‘potenza’. Questa semplice inversione fa emergere dei seri dubbi su questa possibilità. Che possegga o sia il potere, la tenebra rimane una personificazione. In Ef 6,12 le potenze e la tenebra sono distinte, benché entrambe avversarie dell’uomo e, quindi, di Dio57. In Lc 22,53 la tenebra ha potere58. I due termini si trovano in parallelo in At 26,18 tou/ evpistre,yai avpo. sko,touj eivj fw/j kai. th/j evxousi,aj tou/ satana/ evpi. to.n qeo,n “perché si convertano da tenebra a luce e dal potere di satana a Dio”. Il parallelismo tra i due sintagmi sottolineati pone in evidenza il rapporto tra (avpo.) sko,touj e th/j evxousi,aj tou/ satana/ che, semmai, orienta a identificare la ‘tenebra’ con ‘satana’ e non con ‘potere’. Nel testo in esame non si ha un passaggio dall’indeterminato al determinato: “il potere che è la tenebra”, né sembra che nel contesto evxousi,a sia una 54

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In Gal 2,5 h` avlh,qeia tou/ euvaggeli,ou e 2,13 pro.j th.n avlh,qeian tou/ euvaggeli,ou si ha un genitivo di contenuto attivo: “il Vangelo contiene la verità”. Si ricorre alla denominazione ‘attivo’ per evitare la confusione con esempi come “calice di vino”, dove il vino è contenuto nel o dal calice, sicché il genitivo di contenuto è passivo. L’unico caso dove occorrono in relazione avkou,w, lo,goj e euvagge,lion è At 15,7. Si consideri a tale proposito il rapporto appositivo tra “parola di verità” e “il Vangelo della salvezza” in Ef 1,13 VEn w-| kai. u`mei/j avkou,santej to.n lo,gon th/j avlhqei,aj( to. euvagge,lion th/j swthri,aj u`mw/n. Il testo è chiaro o[ti ouvk e;stin h`mi/n h` pa,lh ... avlla.... pro.j ta.j evxousi,aj( pro.j tou.j kosmokra,toraj tou/ sko,touj tou,tou “La nostra lotta non è ... ma ... contro le potenze, contro i dominatori di questa tenebra / mondo di tenebra”. avllV au[th evsti.n u`mw/n h` w[ra kai. h` evxousi,a tou/ sko,touj “ma questa è la vostra ora ed è la potenza della tenebra”.


Del genitivo epesegetico nel Nuovo Testamento

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personificazione che sta, quindi, per ‘potenza’, interpretazione che renderebbe ‘tenebra’ apposizione, per cui si avrebbe “... ci ha liberati dalla potenza, dalla tenebra”. L’autore sta parlando del potere esercitato dalla tenebra, e chi esercita un potere lo ha. Non sembrano esserci dubbi che tou/ sko,touj sia un genitivo di possesso. Conclusioni I testi esaminati presentano una casistica sufficiente per dire se la lettura inversa del genitivo epesegetico sia produttiva e contribuisca in qualche modo a stabilire se un costrutto sia o no epesegetico. Nel corso della trattazione sono emersi elementi che: - in alcuni casi hanno confermato la lettura epesegetica (nell’ordine: Lc 22,1; Gv 2,21; Rm 4,11; At 2,33; Ap 14,10; Ef 2,2; 2,20; Col 1,5); - in altri hanno condotto a un’interpretazione diversa (Ap 1,3; Gv 11,13; Ef 1,14; 4,9; Col 1,13). Gli elementi a cui si fa riferimento sono stati messi in luce anche grazie all’applicazione della lettura inversa. Pur con la necessaria cautela si può dire che, quanto meno, essa ha contribuito ad approfondire il rapporto tra il determinato e il determinante e che il procedimento ha un suo concreto riscontro pratico. Talvolta la lettura proposta non è del tutto risolutiva e rimangono margini per una doppia interpretazione (Ef 2,2), ma non vi sono dubbi che per definire un genitivo epesegetico, soprattutto alla presenza di termini che richiedono di essere disambiguati o sono adoperati metaforicamente, domandarsi esclusivamente se il determinante spieghi il determinato non sempre conduce a risposte soddisfacenti. Un passo verso una più completa comprensione del nesso, come si è constatato, può venire anche invertendo la direzione della domanda.

Recibido / Received: 12/07/2008 Informado / Reported: 22/03/2009 Aceptado / Accepted: 16/10/2009




























ATTO COSTITUZIONALE DEL 24 GIUGNO 1793 E DICHIARAZIONE DEI DIRITTI DELL’UOMO E DEL CITTADINO

DICHIARAZIONE DEI DIRITTI DELL’UOMO E DEL CITTADINO

Il popolo francese, convinto che l’oblio e il disprezzo dei diritti naturali dell’uomo sono le sole cause delle sventure del mondo, ha deciso di esporre in una dichiarazione solenne questi diritti sacri e inalienabili, affinché tutti i cittadini potendo paragonare incessantemente gli atti del Governo con il fine di ogni istituzione sociale, non si lascino opprimere ed avvilire dalla tirannia, affinché il popolo abbia sempre davanti agli occhi le basi della sua libertà e della sua felicità, il magistrato la regola dei suoi doveri, il legislatore l’oggetto della sua missione. – Di conseguenza, esso proclama, al cospetto dell’Essere supremo, la seguente dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino. Art. 1 – Lo scopo della società è la felicità comune. – Il Governo è istituito per garantire all’uomo il godimento dei suoi diritti naturali e imprescrittibili. Art. 2 – Questi diritti sono l’uguaglianza, la libertà, la sicurezza, la proprietà. Art. 3 – Tutti gli uomini sono uguali per natura e davanti alla Legge. Art. 4 – La Legge è l’espressione libera e solenne della volontà generale; essa è la stessa per tutti, sia che protegga, sia che punisca; può ordinare solo ciò che è giusto e utile alla società; non può vietare se non ciò che le è nocivo. Art. 5 – Tutti i cittadini sono ugualmente ammissibili agli impieghi pubblici. I popoli liberi non conoscono altri motivi di preferenza nelle loro elezioni, che le virtù e le capacità. Art. 6 – La libertà è il potere che appartiene all’uomo di fare tutto ciò che non nuoce ai diritti degli altri; essa ha per principio la natura, per regola la giustizia, per salvaguardia la legge; il suo limite morale è in questa massima: “Non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te”. Art. 7 – Il diritto di manifestare il proprio pensiero e le proprie opinioni, sia con la stampa sia in tutt’altra maniera, il diritto di riunirsi in assemblea pacificamente, il libero esercizio dei culti, non possono essere interdetti. La necessità di enunciare questi diritti presuppone o la presenza o il ricordo recente del despotismo. Art. 8 – La sicurezza consiste nella protezione accordata dalla società ad ognuno dei suoi membri per la conservazione della sua persona, dei suoi diritti, delle sue proprietà. Art. 9 – La legge deve proteggere la libertà pubblica e individuale contro l’oppressione di quelli che governano. Art. 10 – Nessuno deve essere accusato, arrestato, né detenuto, se non nei casi determinati dalla Legge e secondo le forme da essa prescritte. Ogni cittadino arrestato o citato dall’autorità della Legge, deve ubbidire sull’istante; egli si rende colpevole con la resistenza.


Art. 11 – Ogni atto esercitato contro un uomo fuori dei casi e senza le forme che la Legge determina è arbitrario e tirannico; colui contro il quale lo si volesse eseguire con la violenza, ha il diritto di respingerlo con la forza. Art. 12 – Coloro che procurano, spediscono, firmano, eseguiscono o fanno eseguire degli atti arbitrari, sono colpevoli e devono essere puniti. Art. 13 – Ogni uomo essendo presunto innocente fino a quando non sia stato dichiarato colpevole, se si giudica indispensabile arrestarlo, ogni rigore che non fosse necessario per assicurarsi della sua persona deve essere severamente represso dalla Legge. Art. 14 – Nessuno deve essere giudicato e punito se non dopo esser stato ascoltato o legalmente citato, e in virtù di una legge promulgata anteriormente al delitto. La legge che punisse dei delitti commessi prima che essa esistesse, sarebbe una tirannia; l’effetto retroattivo dato alla legge sarebbe un crimine. Art. 15 – La Legge deve decretare solo pene strettamente ed evidentemente necessarie: le pene devono essere proporzionate al delitto, e utili alla società. Art. 16 – Il diritto di proprietà è quello che appartiene ad ogni cittadino di godere e disporre a piacimento dei suoi beni, delle sue rendite, del frutto del suo lavoro e della sua operosità. Art. 17 – Nessun genere di lavoro, di cultura, di commercio, può essere interdetto all’operosità dei cittadini. Art. 18 – Ogni uomo può impegnare i suoi servizi, il suo tempo; ma non può vendersi, né essere venduto; la sua persona non è una proprietà alienabile. La Legge non riconosce domesticità; può esistere solo un vincolo di cure e di riconoscenza tra l’uomo che lavora e quello che lo impiega. Art. 19 – Nessuno può essere privato della benché minima parte della sua proprietà, senza il suo consenso, tranne quando la necessità pubblica legalmente constatata lo esige, e sotto la condizione di una giusta e preventiva indennità. Art. 20 – Nessun contributo può essere stabilito se non per l’utilità generale. Tutti i cittadini hanno il diritto di concorrere alla determinazione dei contributi, di sorvegliarne l’impiego, e di esigerne il rendiconto. Art. 21 – I soccorsi pubblici sono un debito sacro. La società deve la sussistenza ai cittadini disgraziati, sia procurando loro del lavoro, sia assicurando i mezzi di esistenza a quelli che non sono in età di poter lavorare. Art. 22 – L’istruzione è il bisogno di tutti. La società deve favorire con tutto il suo potere i progressi della ragione pubblica, e mettere l’istruzione alla portata di tutti i cittadini. Art. 23 – La garanzia sociale consiste nell’azione di tutti, per assicurare a ognuno il godimento e la conservazione dei suoi diritti; questa garanzia riposa sulla sovranità nazionale. Art. 24 – Essa non può esistere, se i limiti delle funzioni pubbliche non sono chiaramente determinati dalla Legge, e se la responsabilità di tutti i funzionari non è assicurata. Art. 25 – La sovranità risiede nel popolo; essa è una e indivisibile, imprescrittibile e inalienabile. Art. 26 – Nessuna parte di popolo può esercitare il potere del popolo intero; ma ogni sezione del Sovrano riunito in assemblea deve godere del diritto di esprimere la sua volontà con una completa libertà.


Art. 27 – Ogni individuo che usurpa la sovranità, sia all’istante messo a morte dagli uomini liberi. Art. 28 – Un popolo ha sempre il diritto di rivedere, riformare e cambiare la propria Costituzione. Una generazione non può assoggettare alle sue leggi le generazioni future. Art. 29 – Ogni cittadino ha un eguale diritto di concorrere alla formazione della Legge ed alla nomina dei suoi mandatari o dei suoi agenti. Art. 30 – Le funzioni pubbliche sono essenzialmente temporanee; esse non possono essere considerate come distinzioni né come ricompense, ma come doveri. Art. 31. – I delitti dei mandatari del popolo e dei suoi agenti non devono mai essere impuniti. Nessuno ha il diritto di considerarsi più inviolabile degli altri cittadini. Art. 32 – Il diritto di presentare delle petizioni ai depositari dell’autorità pubblica non può, in nessun caso, essere interdetto, sospeso né limitato. Art. 33 – La resistenza all’oppressione è la conseguenza degli altri diritti dell’uomo. Art. 34 – Vi è oppressione contro il corpo sociale quando uno solo dei suoi membri è oppresso. Vi è oppressione contro ogni membro quando il corpo sociale è oppresso. Art. 35 – Quando il governo viola i diritti del popolo, l’insurrezione è per il popolo e per ciascuna parte del popolo il più sacro dei diritti e il più indispensabile dei doveri.

ATTO COSTITUZIONALE

DELLA REPUBBLICA Art. 1 – La Repubblica francese è una e indivisibile. DELLA DISTRIBUZIONE DEL POPOLO Art. 2 – Il popolo francese è distribuito, per l’esercizio della sua sovranità, in Assemblee primarie di cantoni. Art. 3 – Esso è distribuito per l’amministrazione e per la giustizia, in dipartimenti, distretti, municipalità. DELLO STATO DEI CITTADINI Art. 4 – Ogni uomo nato e domiciliato in Francia, in età di ventun anni compiuti, che, domiciliato in Francia da un anno, – vi vive del suo lavoro; – o acquista una proprietà; – o sposa una francese; – o adotta un fanciullo; – o mantiene un vecchio; – ogni straniero infine, che il Corpo legislativo giudicherà di aver ben meritato dell’umanità; è ammesso all’esercizio dei diritti di cittadino francese. Art. 5 – L’esercizio dei diritti di cittadino si perde:


– con la naturalizzazione in paese straniero; – con l’accettazione di funzioni o favori emanati da un Governo non popolare; – con la condanna a pene infamanti o afflittive, fino alla riabilitazione. Art. 6 – L’esercizio dei diritti di cittadino è sospeso: – per lo stato di accusa; – per un giudizio di contumacia, fintanto che la sentenza non è annullata. DELLA SOVRANITÀ DEL POPOLO Art. 7 – Il popolo sovrano è l’universalità dei cittadini francesi. Art. 8 – Esso nomina immediatamente i suoi deputati. Art. 9 – Esso delega a degli elettori la scelta degli amministratori, degli arbitri pubblici, dei giudici criminali e di cassazione. Art. 10. – Esso delibera sulle leggi. DELLE ASSEMBLEE PRIMARIE Art. 11 – Le Assemblee primarie si compongono dei cittadini domiciliati da sei mesi in ogni cantone. Art. 12 – Esse sono composte da almeno duecento cittadini, e al massimo da seicento, chiamati a votare. Art. 13 – Esse sono costituite con la nomina di un presidente, di segretari, di scrutatori. Art. 14 – Ad esse spetta la loro polizia. Art. 15 – Nessuno vi può comparire in armi. Art. 16 – Le elezioni si fanno a scrutinio segreto, o ad alta voce, a scelta di ogni votante. Art. 17 – Un’Assemblea primaria non può, in nessun caso, prescrivere un modo uniforme di votare. Art. 18 – Gli scrutatori constatano il voto dei cittadini che, non sapendo scrivere, preferiscono votare a scrutinio segreto. Art. 19 – I suffragi sulle leggi sono dati con sì o con no. Art. 20 – Il voto dell’Assemblea primaria è proclamato così: I cittadini riuniti in Assemblea primaria di... nel numero di... votanti, votano a favore o votano contro, alla maggioranza di... DELLA RAPPRESENTANZA NAZIONALE Art. 21. – La popolazione è la sola base della Rappresentanza nazionale. Art. 22 – Vi è un deputato in ragione di quarantamila abitanti. Art. 23 – Ogni riunione di Assemblee primarie risultante da una popolazione da 39.000 a 41.000 anime, nomina immediatamente un deputato. Art. 24 – La nomina si fa a maggioranza assoluta dei voti. Art. 25 – Ogni Assemblea fa lo spoglio dei voti e invia un commissario per il censimento generale, al luogo designato come più centrale.


Art. 26 – Se il primo censimento non dà maggioranza assoluta, si procede ad un secondo appello, e si vota per l’uno o per l’altro dei due cittadini che hanno raccolto il maggior numero dei voti. Art. 27 – In caso di parità di voti, il più anziano ha la preferenza, sia per essere messo in ballottaggio, sia per essere eletto. In caso di uguaglianza d’età, decide la sorte. Art. 28 – Ogni Francese che esercita i diritti di cittadino, è eleggibile nel territorio della Repubblica. Art. 29 – Ogni deputato appartiene alla Nazione intiera. Art. 30 – In caso di non-accettazione, dimissione, decadenza o morte di un deputato, provvedono alla sua sostituzione le Assemblee primarie che lo hanno nominato. Art. 31 – Un deputato che ha dato le dimissioni, non può lasciare il posto se non dopo l’ammissione del suo successore. Art. 32 – Il popolo francese si riunisce in Assemblea tutti gli anni, il primo di maggio per le elezioni. Art. 33 – Procede ad esse qualunque sia il numero dei cittadini aventi diritto di votare. Art. 34 – Le Assemblee primarie si formano straordinariamente, su domanda del quinto dei cittadini che hanno diritto di votarvi. Art. 35 – La convocazione, in questo caso, è fatta dalle municipalità del luogo ordinario della riunione. Art. 36 – Queste Assemblee straordinarie deliberano solo quando sono presenti la metà più uno dei cittadini che hanno diritto di votare. DELLE ASSEMBLEE ELETTORALI Art. 37 – I cittadini riuniti in Assemblee primarie, nominano un elettore in ragione di 200 cittadini, presenti o no; due da 301 fino a 400; tre da 401 fino a 600. Art. 38 – Il modo delle sedute delle Assemblee elettorali, e il modo delle elezioni sono gli stessi che nelle Assemblee primarie. DEL CORPO LEGISLATIVO Art. 39 – Il Corpo legislativo è uno, indivisibile e permanente. Art. 40 – La sua sessione è di un anno. Art. 41 – Esso si riunisce il primo di luglio. Art. 42 – L’Assemblea non può costituirsi, se non è composta almeno dalla metà più uno dei rappresentanti. Art. 43 – I deputati non possono essere ricercati, accusati né giudicati in nessun tempo, per le opinioni che essi hanno enunciato in seno al Corpo legislativo. REGOLAMENTO DELLE SEDUTE DEL CORPO LEGISLATIVO Art. 45 – Le sedute dell’Assemblea nazionale sono pubbliche.


Art. 46 – I verbali delle sedute saranno stampati. Art. 47 – Essa non può deliberare se non è composta da duecento membri almeno. Art. 48 – Non può rifiutare la parola ai suoi membri, nell’ordine in cui essi l’hanno chiesto. Art. 49 – Delibera alla maggioranza dei presenti. Art. 50 – Cinquanta membri hanno il diritto di esigere l’appello nominale. Art. 51 – Essa ha il diritto di censura sulla condotta dei suoi membri nel suo seno. Art. 52 – La polizia le spetta nel luogo delle sue sedute, e nel recinto esterno che essa ha determinato. DELLE FUNZIONI DEL CORPO LEGISLATIVO Art. 53 – Il Corpo legislativo propone delle leggi, ed emette dei decreti. Art. 54 – Sono compresi sotto il nome generale di Legge gli atti del Corpo legislativo, concernenti: – la legislazione civile e criminale; – l’amministrazione generale delle entrate e delle spese ordinarie della Repubblica; – i demani nazionali; – il titolo, il peso, il conio e il nome delle monete; – la natura, la cifra e la riscossione dei contributi; – la dichiarazione di guerra; – ogni nuova distribuzione generale del territorio francese; – l’istruzione pubblica; – gli onori pubblici alla memoria dei grandi uomini. Art. 55 – Sono designati sotto il nome particolare di decreto, gli atti del Corpo legislativo, concernenti: – lo stanziamento annuo delle forze di terra e di mare; – il permesso o il divieto del passaggio delle truppe straniere sul territorio francese; – l’introduzione delle forze navali straniere nei porti della Repubblica; – le misure di sicurezza e di tranquillità generali; – la distribuzione annua e monetaria dei soccorsi e dei lavori pubblici; – gli ordini per la fabbricazione delle monete di ogni specie; – le spese impreviste e straordinarie; – le misure locali e particolari a un’amministrazione, a un comune, a un genere di lavori pubblici; – la difesa del territorio; – la ratifica dei trattati; – la nomina e la destituzione dei comandanti in capo degli eserciti; – il perseguimento della responsabilità dei membri del Consiglio, dei pubblici funzionari; – l’accusa dei prevenuti di complotti contro la sicurezza generale della Repubblica; – ogni cambiamento nella distribuzione parziale del territorio francese; – le ricompense nazionali.


DELLA FORMAZIONE DELLA LEGGE Art. 56 – I progetti di Legge sono preceduti da una relazione. Art. 57 – La discussione non può aprirsi, e la Legge non può essere provvisoriamente fissata se non quindici giorni dopo la relazione. Art. 58 – Il progetto viene stampato e inviato a tutti i comuni della Repubblica sotto questo titolo: Legge proposta. Art. 59 – Quaranta giorni dopo l’invio della Legge proposta, se nella metà dei dipartimenti, più uno, il decimo delle Assemblee primarie di ognuno di essi, regolarmente formate, non ha reclamato, il progetto è accettato e diviene Legge. Art. 60 – Se vi è reclamo, il Corpo legislativo convoca le Assemblee primarie. DELL’INTITOLAZIONE DELLE LEGGI E DEI DECRETI Art. 61 – Le leggi, i decreti, le sentenze e tutti gli atti pubblici sono intitolati: In nome del popolo francese, l’anno... della Repubblica francese. DEL CONSIGLIO ESECUTIVO Art. 62 – Vi è un Consiglio esecutivo composto da ventiquattro membri. Art. 63 – L’Assemblea elettorale di ogni dipartimento nomina un candidato. Il Corpo legislativo sceglie sulla lista generale i membri del Consiglio. Art. 64 – Esso viene rinnovato per metà a ogni legislatura, negli ultimi mesi della sua sessione. Art. 65 – Il Consiglio è incaricato della direzione e della sorveglianza dell’amministrazione generale; esso non può agire che in esecuzione delle leggi e dei decreti del Corpo legislativo. Art. 66 – Esso nomina, fuori del suo seno, gli agenti in capo dell’amministrazione generale della Repubblica. Art. 67 – Il Corpo legislativo determina il numero e le funzioni di questi agenti. Art. 68 – Questi agenti non formano un Consiglio; essi sono separati senza rapporti immediati fra di loro, non esercitano alcuna autorità personale. Art. 69 – Il Consiglio nomina, al di fuori del suo seno, gli agenti della Repubblica all’estero. Art. 70 – Esso negozia i trattati. Art. 71 – I membri del Consiglio, in caso di prevaricazione, sono accusati dal Corpo legislativo. Art. 72 – Il Consiglio è responsabile dell’inesecuzione delle leggi e dei decreti, e degli abusi che non denuncia. Art. 73 – Esso revoca e sostituisce gli agenti da lui nominati. Art. 74 – Esso è tenuto a denunziarli, se vi è luogo, davanti alle autorità giudiziarie. DELLE RELAZIONI DEL CONSIGLIO ESECUTIVO CON IL CORPO LEGISLATIVO


Art. 75 – Il Consiglio esecutivo risiede presso il Corpo legislativo; ha l’accesso e un posto separato nel luogo delle sue sedute. Art. 76 – Esso viene ascoltato ogni volta che ha da riferire. Art. 77 – Il Corpo legislativo lo chiama nel suo seno, in tutto o parte, quando lo crede conveniente. DEI CORPI AMMINISTRATIVI E MUNICIPALI Art. 78 – In ogni comune della Repubblica vi è un’amministrazione municipale; – in ogni distretto, un’amministrazione intermedia; – in ogni dipartimento, un’amministrazione centrale. Art. 79 – Gli ufficiali municipali sono eletti dalle Assemblee di comune. Art. 80 – Gli amministratori sono nominati dalle Assemblee elettorali di dipartimento e di distretto. Art. 81 – Le municipalità e le amministrazioni sono rinnovate tutti gli anni per la metà. Art. 82 – Gli amministratori e ufficiali municipali non hanno alcun carattere di rappresentanza. – Essi non possono, in nessun caso, modificare gli atti del Corpo legislativo, né sospenderne l’esecuzione. Art. 83 – Il Corpo legislativo determina le funzioni degli ufficiali municipali e degli amministratori, le regole della loro subordinazione, e le pene in cui essi potranno incorrere. Art. 84 – Le sedute delle municipalità e delle amministrazioni sono pubbliche. DELLA GIUSTIZIA CIVILE Art. 85 – Il Codice delle leggi civili e criminali è uniforme per tutta la Repubblica. Art. 86 – Non si può attentare in nessun modo al diritto che hanno i cittadini di fare decidere le loro liti da arbitri di loro scelta. Art. 87 – La decisione di questi arbitri è definitiva, se i cittadini non si sono riservato il diritto di reclamare. Art. 88 – Vi sono dei giudici di pace eletti dai cittadini dei circondari determinati dalla Legge. Art. 89 – Essi conciliano e giudicano senza spese. Art. 90 – Il loro numero e la loro competenza sono regolati dal Corpo legislativo. Art. 91 – Vi sono degli arbitri pubblici eletti dalle Assemblee elettorali. Art. 92 – Il loro numero e le loro giurisdizioni sono fissate dal Corpo legislativo. Art. 93 – Essi prendono conoscenza delle contestazioni che non sono state determinate definitivamente dagli arbitri privati o dai giudici di pace. Art. 94 – Deliberando in pubblico: – opinano ad alta voce; – deliberano in ultima istanza, su difese verbali, o su semplice memoriale, senza procedure e senza spese; – motivano le loro decisioni. Art. 95 – I giudici di pace e gli arbitri pubblici sono eletti ogni anno.


DELLA GIUSTIZIA CRIMINALE Art. 96 – In materia criminale, nessuno cittadino può esser giudicato se non su un’accusa accolta dai giurati o decretata dal Corpo legislativo. – Gli accusati hanno degli avvocati scelti da essi, o nominati d’ufficio. – L’istruzione è pubblica. – Il fatto e l’intenzione sono dichiarati da un giurì di giudizio. – La pena è applicata da un tribunale criminale. Art. 97 – I giudici criminali sono eletti ogni anno dalle assemblee elettorali. DEL TRIBUNALE DI CASSAZIONE Art. 98 – Vi è per tutta la Repubblica un Tribunale di cassazione. Art. 99 – Questo Tribunale non prende conoscenza del merito delle questioni. – Esso giudica sulla violazione delle forme e sulle esplicite contravvenzioni alla Legge. Art. 100 – I membri di questo Tribunale sono nominati ogni hanno dalle Assemblee elettorali. DEI CONTRIBUTI PUBBLICI Art. 101 – Nessun cittadino è dispensato dall’onorevole obbligo di contribuire ai carichi pubblici. DELLA TESORERIA NAZIONALE Art. 102 – La tesoreria nazionale è il punto centrale delle entrate e delle spese della Repubblica. Art. 103 – Essa è amministrata dagli agenti contabili, nominati dal Consiglio esecutivo. Art. 104 – Questi agenti sono sorvegliati da commissari nominati dal Corpo legislativo, presi fuori del suo seno, e responsabili degli abusi che non denunciano. DELLA CONTABILITÀ Art. 105 – I conti degli agenti della tesoreria nazionale e degli amministratori dei denari pubblici, sono resi annualmente a commissari responsabili, nominati dal Consiglio esecutivo. Art. 106 – Questi verificatori sono sorvegliati da commissari nominati dal Corpo legislativo, presi fuori del suo seno, e responsabili degli abusi e degli errori che non denunciano. – Il Corpo legislativo convalida i conti. DELLE FORZE DELLA REPUBBLICA Art. 107 – La forza generale della Repubblica è composta dal popolo intero. Art. 108 – La Repubblica mantiene a sue spese, anche in tempo di pace, una forza armata di terra e di mare. Art. 109 – Tutti i Francesi sono soldati, essi sono tutti esercitati a maneggiare le armi.


Art. 110 – Non vi è generalissimo. Art. 111 – La differenza dei gradi, i loro segni distintivi e la subordinazione non sussistono che relativamente al servizio e durante la sua durata. Art. 112 – La forza pubblica impiegata per mantenere l’ordine e la pace nell’interno agisce solo in seguito a richiesta scritta delle autorità costituite. Art. 113 – La forza pubblica impiegata contro i nemici esterni agisce sotto gli ordini del Consiglio esecutivo. Art. 114 – Nessun corpo armato può deliberare. DELLE CONVENZIONI NAZIONALI Art. 115 – Se nella metà dei dipartimenti, più uno, il decimo delle Assemblee primarie di ognuno di essi, regolarmente formate, domanda la revisione dell’Atto costituzionale, o il cambiamento di qualcuno dei suoi articoli, il Corpo legislativo è tenuto a convocare tutte le Assemblee primarie della Repubblica, per sapere se vi è luogo a una Convenzione nazionale. Art. 116 – La Convenzione nazionale è formata allo stesso modo delle legislature, e ne riunisce i poteri. Art. 117 – Essa si occupa, relativamente alla Costituzione, solo degli oggetti che hanno motivato la sua convocazione. DEI RAPPORTI DELLA REPUBBLICA FRANCESE CON LE NAZIONI STRANIERE Art. 118 – Il popolo francese è l’amico e l’alleato naturale dei popoli liberi. Art. 119 – Esso non s’ingerisce nel governo delle altre nazioni, e non sopporta che le altre nazioni s’ingeriscano nel suo. Art. 120 – Esso dà asilo agli stranieri banditi dalla loro patria per la causa della libertà. – Lo rifiuta ai tiranni. Art. 121 – Esso non fa la pace con un nemico che occupa il suo territorio. DELLA GARANZIA DEI DIRITTI Art. 122 – La Costituzione garantisce a tutti i Francesi l’eguaglianza, la libertà, la sicurezza, la proprietà, il debito pubblico, il libero esercizio dei culti, un’istruzione comune, dei soccorsi pubblici, la libertà indefinita della stampa, il diritto di petizione, il diritto di riunirsi in società popolari, il godimento di tutti i diritti dell’uomo. Art. 123 – La Repubblica Francese onora la lealtà, il coraggio, la vecchiaia, il rispetto filiale, la sventura. Essa affida la custodia della sua Costituzione alla guardia di tutte le virtù. Art. 124 – La Dichiarazione dei diritti e l’Atto costituzionale sono incisi su tavole poste nel seno del Corpo legislativo e nelle pubbliche piazze.


FONTE: A. Saitta, Costituenti e Costituzioni della Francia rivoluzionaria e liberale (1789-1875), Giuffrè, Milano 1975.













































































































































































































































































































































































































































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