Si è scelto di punire chi è “altro” e chi sogna
“La Guantanamo d’Italia” Yasmine Accardo Recentemente, nel marzo del 2021, il CPR di Palazzo san Gervasio (Potenza) ha riaperto. Sempre gestito da Engel. Sempre teatro di abusi di ogni genere. All’ingresso vengono sottratti i telefonini e apparentemente non vi sono cabine telefoniche per la comunicazione. Una misura degna di un carcere duro, totalmente illegittima soprattutto per i minori. Da parte delle politiche di frontiera italiane ed europee si è scelto di punire chi è “altro”, di costruire barriere su barriere sempre più insormontabili. Si è scelto di “difendere” un mondo vecchio, rabbioso, violento e che ignora del tutto ciò che è umano; un mondo che continua ad arricchire le mani di pochissimi uccidendo moltitudini. Ci siamo abituati alla popolazione migrante che continua a subire violenze sessuali, prostituzione, uomini e donne malmenati dagli operatori. Minori in situazioni di promiscuità con adulti. Eppure tutto questo non fa notizia. E’ il 12 marzo del 2021, H. mi scrive ponendo una domanda: “come mai un minorenne è fermo lì? Ha 17 anni e sei mesi”. La domanda si rivolgeva al trattenimento di un minore straniero non accompagnato che da due settimane si trovava trattenuto presso il CPR di Palazzo San Gervasio, a Potenza senza poter comunicare con i suoi familiari e oltretutto positivo al COVID19. Questo giovanissimo, da poco sbarcato in Italia, ha subito assaggiato il trattamento
violento delle politiche di frontiera italiane ed europee per le quali non soltanto è appena un numero, ma poiché cittadino tunisino è sempre considerato espellibile, come vogliono gli scellerati accordi. Andiamo con ordine. Il centro di detenzione amministrativa di Palazzo San Gervasio ha una storia lunga che comincia nel 1998 anno in cui questa struttura, confiscata alla criminalità organizzata, era stata utilizzata prima come tendopoli per i braccianti LeSiciliane - Casablanca 7
stranieri stagionali delle campagne di Boreano e Mulini Matinelle, poi come centro accoglienza per richiedenti asilo ed infine, nell’aprile 2011, trasformato in pochissimi giorni in un CIE “la Guantanamo di Italia” venne soprannominato. La giornalista Raffaella Cosentino, con un’inchiesta, era riuscita ad entrare nel centro e a denunciare quello che accadeva al suo interno facendo uscire voci e testimonianze dei tunisini che