LeSiciliane-Casablanca n.83

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Inchiesta - Randazzo: la mafia comanda in città

A che serve vivere se non c’è il coraggio di lottare?

Pippo Fava

3 – Editoriale Alta Tensione! Graziella Proto

5 – Non Violenti, non Bellicisti, non RossoBruni Riccardo Valeriani

Randazzo: la mafia comanda in città Graziella Proto

8 - Sei un sindaco frequentatore di pregiudicati?

Godi di personale vicinanza ad ambienti criminali?

Assolto con ampia formula… dubitativa!

14 - Il balletto delle tombe

16 - Il disastroso dissesto

18 – Il Giudice non è più a Berlino ma a Catania Fulvio Vassallo Paleologo

21– Riccardo Valeriani La donna, l’uomo, l’orso

24 – Green e Business Stefano Greta

27 – Renata Governali Il dolore che si trasforma in gioia

29 – Cinema, informazione e potere Sebiana Leonardi

30 – Fazzoletto rosso e fucile di legno Graziella Proto

33 – Comunicato stampa: Rita Atria, da 32 anni in attesa di giustizia

Ass. Antimafie Rita Atria

34 –Io sono Rita Cucè – Furnari - Proto

Un grazie particolare a: Rosi (copertina) - Mauro Biani e Amalia Bruno

Direttora: Graziella Proto – protograziella@gmail.com - lesiciliane.redazione@gmail.com

Direttora Responsabile: Giovanna Quasimodo Redazione tecnica: Nadia Furnari – Simona Secci – Vincenza Scuderi Registraz. Tribunale Catania n.23/06 del 12.07.2006 –-

Immagine

di Amalia Bruno

Alta Tensione

Graziella Proto

In Italia da poco si è svolto il G7 per stabilire il nuovo assetto europeo, ma dei suoi esiti reali e immediati non si sa nulla. Almeno finora.

Le immagini televisive che rimbalzano in tutto il mondo ci dicono, senza bisogno di parole, lo stato morale e politico del paese. Ci dicono delle difficoltà e serie tensioni a causa di settarismi, contrasti politici,

civili, razziali. Bisognerebbe superarli, ma la politica e la diplomazia non riescono ad avere la meglio. O forse gli odierni e moderni politici non s’impegnano come dovrebbero? I fascisti in casa, forse sì, forse no. Certamente li abbiamo sdoganati, questo bisogna ammetterlo, e a voler dire il vero ci si è molto impegnati in questa direzione. Qualcuno –

sfacciatamente – azzarda, il PCI… L’MSI. Non c’è parentela, anzi, non si può dal punto di vista storico e politico paragonare il PCI con l’MSI, l’uno rappresentava il bene e l’altro il male. Togliatti cambiò orientamento con la svolta di Salerno e questo è un fatto. Il PCI ha lottato molto per far togliere il ritratto di Stalin dalle sezioni, perché la base non conosceva i fatti e non capiva. Ed è un altro fatto. Allora, non si può omaggiare Matteotti e poi far finta di niente di fronte a quelle immagini becere, oltraggiose, indifendibili. Siamo di fronte a cose e fatti orrendi, criticati da milioni di persone. Sapere di non essere osservati non autorizza a ritornare a vecchi riti, antichi linguaggi e simboli. È costituzionalmente proibito. Né si può parlare di quattro ragazzacci che giocavano. Sicuramente quelle immagini, anche se non perfette, sono sconvolgenti e orrende: il duce, il fascismo e il nazifascismo. Stiamo parlando solo di frange estremiste? Perché non avviene con un atto di coraggio la rottura col passato e con questo piccolo presente assurdo e tragico? Servirebbe?

Ma al peggio non c’è fine. In maniera politicamente scorretta si è pensato bene di aggredire il giornalista, infiltrato o no, che era riuscito ad ottenere quelle immagini lecite o non lecite. Ma dentro le frange del terrorismo il giornalista deve entrare o no?

Deve fare inchiesta o no?

SIAMO TUTTI COINVOLTI.

ALLONS ENFANTS

Nel mondo c’è troppo odio, astio, rancore verso gli altri soprattutto se diversi; anche se da più parti suggeriamo e ci proponiamo di abbassare i toni, la tensione politica mondiale è alta e la sentiamo sulla nostra pelle. L’abbiamo innanzi ai nostri occhi. È lì che ci avvolge e ci stritola. Inermi stiamo a guardare.

Inermi – almeno la maggior parte delle persone – anche di fronte a un odio politico e belligerante che potrebbe far scattare qualcosa di molto brutto e grave. Già ci sono le prime avvisaglie. Non importa se i colpiti saranno i nuovi eroi, le nuove vittime, i nuovi capi. Non è questo il dilemma. Il problema è che non si può continuare a vivere sempre con la bava alla bocca in attesa del

nemico che incontrerai e colpirai, e non si può aizzare ad assaltare il palazzo della democrazia. Però tutti questi problemi devono essere affrontati con la politica. La politica di oggi – purtroppo –non ha autorevolezza, non è riuscita a rispettare ciò che ci aveva promesso con la globalizzazione. Parliamo solo di armi e potere.

Nel frattempo, la distanza fra potere politico e persone in carne e ossa è diventata enorme. Si deve fare qualcosa? Bisogna arrivare a una qualche svolta?

In democrazia bisogna trovare l’ardore, la tenacia, la capacità di reagire. Allora invece di lamentarci affrontiamo con civiltà e buonsenso le questioni reali che tutti vorremmo ignorare. Il rintanarsi. Lo starsene da parte. Il far finta di

niente e girarsi dall’altro lato. La Francia – a prescindere dalla svolta che ci sarà – ci ha dimostrato che in casi di emergenza si può e si deve scegliere da quale parte stare e con quali strumenti democratici lottare.

Il voto è una scelta politica; la politica con la P maiuscola, purtroppo l’asticella dei valori morali, politici, democratici, e perché no, costituzionali si è abbassata notevolmente. Non ci sono modelli da seguire. Leader da onorare, personaggi ardimentosi e passionali che ci chiamano a pensare alto. Che ci invitano a sognare. Questo è un dramma perché se non c’è chi scegliere, scelgo di non andare a votare.

Un guaio per tutti. I pezzi di democrazia che si perdono riguardano tutti.

Siamo tutti coinvolti.

Non violenti, non bellicisti e non rossobruni

Le elezioni europee conclusesi il 9 giugno scorso riconfermano un problematico spostamento a destra della bussola politica europea, e non sembra rallentare del tutto la corsa alle armi e l’inasprimento dei rapporti politici interni ed esterni all’Unione e ai suoi Paesi. Ne parliamo con Raniero La Valle e Michele Santoro che ci parlano anche della loro campagna elettorale con la lista Pace Terra Dignità.

Quali sono le vostre impressioni sulla conclusione delle elezioni europee? Come interpretate il parziale rigetto di quelle fazioni politiche che correvano alle armi come Macron a fronte, però, di un aumento degli astenuti e delle destre estreme?

Santoro: La sbornia liberista ha generato una nostalgia dello Stato nazionale e una sfiducia nei confronti dei progetti

collettivi. La destra è avvantaggiata da questo senso comune diffuso che evoca un bisogno di protezione, di muri e frontiere. Perfino la guerra appare come un’ulteriore necessità del mercato e, quindi, in contrasto con gli interessi nazionali. La sinistra che sventola bandiere di libertà e democrazia con le armi in pugno non convince le parti più povere della società che avvertono l’ipocrisia di quei valori e subiscono le

conseguenze economiche più pesanti della guerra. Chi non si sente rappresentato si astiene ma finisce per costituire una bolla molto pesante per la democrazia, un qualcosa che può esplodere in ogni direzione. Per rimuovere questa sfiducia occorre mostrarsi forti e vincenti, non semplicemente visionari e attrattivi. L’utopia di un mondo nuovo deve poggiare su gambe solide per incoraggiare gli altri a muoversi e a scuotersi dall’indifferenza.

La Valle: Le elezioni europee hanno confermato il vento di destra che spira sull’Europa, ciò che ripropone il tema della perdita di quella che fu la “causazione ideale” dell’unità europea e dei suoi contenuti di giustizia, solidarietà, lotta alle povertà e alle diseguaglianze; un’Europa che avrebbe dovuto sostenere la prevalenza della mano pubblica sugli interessi privati, per rimuovere gli ostacoli che,

anche di fatto, impediscono il pieno sviluppo delle persone e dei popoli. “Dove stai andando Europa?”, la domanda di papa Francesco non ha avuto una buona risposta. Tuttavia nell’oscurità c’è stato il bagliore della débacle di Macron, l’unico che finora aveva proposto l’invio di soldati europei a combattere la guerra russoamericana in Ucraina, e c’è stata la sconfitta dei socialdemocratici del cancelliere Scholz che aveva assunto una posizione altrettanto bellicista.

stato artificialmente contrastato da tre fattori, destinati a non ripetersi: il primo è stato l’oscuramento pressoché totale con cui il sistema informativo ha tentato di nascondere all’elettorato l’esistenza stessa di una lista che proponeva il primato della pace; il secondo fattore è stata la drammatizzazione, indotta anche dallo stesso sistema informativo, dello scontro tra le due donne protagoniste, la Meloni e la Schlein, in una sorta di scontro Kramer contro Kramer, per cui il riflesso

momento, e la posizione di Pace Terra Dignità nel panorama politico della sinistra? Pensate che i risultati delle elezioni europee, in particolar modo PD e AVS che hanno registrato degli esiti positivi, possano solidificare l'opposizione?

Santoro: La politica italiana si sta sempre più dimostrando un gioco di società che coinvolge la minoranza della popolazione. Un Risiko dove ogni partito invade le zone a lui contigue

Nel versante italiano le elezioni europee hanno presentato la variante di una lista che ha posto al centro di una nuova visione dell’Europa la pace, la salvaguardia della Terra e la rivendicazione o il ripristino della dignità di tutte le creature. Questa lista ha ottenuto un significativo riscontro nell’elettorato, superando il mezzo milione di voti, pur con un’assenza dalle urne, per astensionismo, della metà degli elettori. Il voto a questa lista era tuttavia potenzialmente molto più largo, in quanto è

dell’opposizione alla destra ha finito per prevalere su un voto di scopo; il terzo fattore è stata la presenza di una lista “ad personam” che prometteva l’immediata liberazione, grazie all’artificio della immunità parlamentare, di Ilaria Salis dalle sue catene in Ungheria Tutto ciò vuol dire che il responso elettorale non ha smentito le ragioni di una lista come Pace Terra Dignità, ma anzi le ha convalidate.

Come giudicate lo stato della politica italiana in questo

ma non si rivela capace di attrarre pezzi del blocco sociale avverso. Non ci sono conquiste di territori nemici, tanto per usare il linguaggio bellico dominante, ma sconfinamenti in zone contigue e non ostili. È una gara prevedibile e noiosa che non entusiasma nessuno e finisce per ingrandire a dismisura il numero degli astenuti. I Cinque Stelle hanno perso due milioni di voti. Sinistra Italiana e il PD ne hanno guadagnato settecentocinquantamila. Gli altri voti dei cinque stelle non

sono andati a destra. Anche la Meloni e i suoi alleati hanno ceduto voti reali all’astensione, cosa che non si ricava dalle percentuali, ma in misura minore rispetto al centrosinistra. Il PD e Sinistra Italiana hanno ragione di essere soddisfatti ma farebbero bene a non esagerare visto che restano distanti da operai e periferie. Gli unici ad aver scalfito in piccola parte l’astensione siamo noi di Pace Terra Dignità. Non possiamo certo esultare ma dobbiamo sentirci incoraggiati a proseguire nella nostra battaglia per la Pace. Ben 4 dei sei eletti di Sinistra italiana e Verdi andranno nei Verdi europei, che sono tra i più accaniti fautori dell’invio di armi in Ucraina, e la Salis non si è ancora capito cosa pensi della guerra. È questo il voto utile? Forse, ma non alla Pace. La Valle: In Italia bisogna combattere la destra, che ha assorbito tutta la cultura da cui è nato il fascismo, ma questa lotta non può esprimersi solo in una contrapposizione di schieramenti, perché sarebbe comunque perdente se delle forze politiche serie non promuovessero delle politiche e dei fini alternativi rispetto a quelli delle destre. In questo senso sia il PD che AVS devono profondamente rinnovarsi se vogliono adempiere a questo ruolo. Quanto a Pace Terra Dignità essa non può essere in alcun modo un addendo della sinistra, perché altra è la sua identità e il suo scopo sociale, che sono quelli semmai di

“contagiare”, spingendole alla difesa e alla salvaguardia dell’uomo e della natura creata, le altre forze politiche e la stessa cultura dominante.

Qual è il futuro di Pace Terra Dignità, e della sua anima da movimento d'opinione oltre che quella da partito?

Santoro: Noi non abbiamo potere né soldi ma siamo in Europa tra i gruppi più importanti che si oppongono alla guerra e che sono aperti al contributo di persone di diversa provenienza con la sola

fiducia maggiore.

La Valle: Pace Terra Dignità non è nata in funzione delle elezioni europee o di qualunque altra contesa per il potere, ma per mettere in questione il mondo com’è, strutturato in un sistema di guerra e informato a un’economia dello scarto e del primato del profitto, un’economia che uccide, come dice il Papa. Perciò non può che essere un movimento estremistico, perché non è considerato “moderato” chi non accetta e vuol cambiare lo stato delle cose esistente. Perciò la prospettiva da perseguire sarebbe di mantenere

discriminante dell’antifascismo. Non siamo semplicemente riconducibili alla sinistra e non siamo, per intenderci, rossobruni. Siamo invece non violenti, non bellicisti e convinti che l’unico modo per ridisegnare il mondo in funzione della stragrande maggioranza delle creature che lo abitano, salvando la Terra dalla catastrofe climatica e ridando dignità a tutti, sia quello di imporre il dialogo, il rispetto reciproco e la collaborazione tra i diversi continenti politici; ma prima dobbiamo ottenere la Pace in Ucraina e in Medioriente. In tanti sanno che abbiamo ragione anche se non ci hanno votato. Sta a noi dimostrare che meritavamo una

Pace Terra Dignità nella sua autonomia e perciò nella libertà di pensare e sperimentare il nuovo, riguardo al complesso degli obiettivi politici come è proprio di ogni partito, e nello stesso tempo di promuovere una sorta di Comitato di Liberazione nazionale tra tutte le forze politiche e sociali che vogliono la pace e lottano per la pace. In questo Comitato tutti manterrebbero la loro identità e potrebbero sostenere gli interessi della loro area sociale, ma convergerebbero nell’azione per la restaurazione e la difesa della pace. Questo comitato potrebbe chiamarsi Comitato di Liberazione dalla Guerra (CLG) o addirittura Comitato di Liberazione dal Nemico (CLN) intendendosi come nemico la guerra stessa o la figura del Nemico che ne rappresenta il fondamento storico e antropologico.

Sei un sindaco frequentatore di pregiudicati?

Godi di personale vicinanza ad ambienti criminali?

Assolto con ampia formula… dubitativa!

Graziella Proto

A Randazzo lo scioglimento dell’amministrazione comunale è avvenuto a causa di una presunta compartecipazione fra le principali organizzazioni criminali del territorio e i personaggi più rappresentativi del paese, politici e no. A togliere il coperchio dalla pentola l’operazione “Terra bruciata” condotta due anni fa dai Carabinieri, una iniziativa che ha portato all’arresto 21 persone “organiche” o “contigue” alla mafia. Secondo la relazione del prefetto ne emerge «un tessuto relazionale e parentale degli amministratori e dei dipendenti comunali con soggetti gravati da condanne per associazione mafiosa, stretti rapporti personali dai quali è deducibile un quadro di condizionamento dell’ente da parte della locale criminalità organizzata». Cioè alcuni amministratori e dipendenti comunali sono imparentati con esponenti mafiosi o simpatizzanti tali, cognati, nipoti, figli del fratello… Lo stesso sindaco è cognato di Paolo Rombes arrestato anni addietro nel corso dell’operazione “Trinacium”, per il suo ruolo attivo in favore dell’associazione mafiosa, nel settore dell’usura e recupero crediti.

Se un tizio chiama i suoi due cani uno Messina e l’altro Denaro non credo sia possibile pensare “la fantasia al potere” e quindi non ci sta che si possa trattare di un uomo con delle eccentricità. Piuttosto, date le notizie riportate e diffuse da tutti i media del mondo su

Messina Denaro, il tizio in questione con questa – diciamo – sua stravaganza sui due poveri cani cosa vorrebbe dimostrare? Ammirazione? Adorazione? Una celebrazione al boss stragista di Castelvetrano? Un modo per fare sapere che anche lui

sarebbe un pezzo da novanta e che non ha paura di esibirlo? Che voglia far sapere da che parte sta e chi sono i suoi eroi? Studiando i documenti ufficiali e timbrati si direbbe che il soggetto vorrebbe far conoscere la sua caratura criminale che emergerà con

forza durante il dibattimento a Bicocca e verrà onorata da una condanna a vent’anni di reclusione. Il paese è Randazzo, bellissimo borgo medievale situato tra l’Etna e i Nebrodi; fa parte della città metropolitana di Catania e da tempo è un paese avvelenato dai rapporti fra mafia e politica e oggi affidato ai commissari; coloro che dovrebbero salvare la popolazione, che purtroppo di queste scorie e tossine si nutre e le respira. Ce la faranno?

Perché a Randazzo esiste una trasversalità volgare e pericolosa per la collettività, sia quella coinvolta sia quella Ignara. Esigua. Una situazione quotidiana patologica vestita di normalità che non ha nulla di normale. Seppure la si vive tutti i giorni come se niente fosse. Come se due punti lontani e paralleli, il comune e la malavita, volessero giocare a chi la fa più grossa. A cominciare dalla banalità dei nomi dei cani, finendo col bene confiscato colposamente lasciato in mano al mafioso. È vero, è una situazione che riguarda anche amministrazioni precedenti. Ma è una giustificazione?

SE LUI NON CI VA FAI CONTOCHELOAFFOGO”.

In data 3.6.2020 un certo Nunzio Urzì vienesorpresomentreritirailpizzodai fratelli Mazza srl. Immediatamente decideva di collaboare,si autoaccusava e accusava altri.

Cinque anni prima Alfredo Mazza, dopo diverse telefonate per mettersi in regola, ovvero per pagare il pizzo alla mafia, aveva subito degli attentati durante i quali avevano visto bruciare una pompa per calcestruzzo, un escavatore, e il proprio garage. Mazza non si piegava alle richieste. A questo punto mette a verbale Urzì che, essendo un amico molto vicino a Mazza, era stato avvicinato da Salvatore Sangani affinché facesse ragionare il suo amico e da lì era diventato, senza tornaconto e solo per paura, colui che ritirava il pizzo e andava a consegnarlo ai Sangani, o Salvatore o Francesco Paolo. Per circa tre anni. Poi un bel giorno Urzì decide di non farlo più e attraverso Giuseppe Costanzo Zammataro lo fa sapere al boss aggiungendo che in fondo quel lavoro lo avrebbe potuto fare suo figlio Francesco. Padre e figlio non sono d’accordo e parlando fra loro (il 29.5.2020) di quei tentennamenti di Urzì, senza mezzi termini Sangani padre dice “se lui non ci va fai conto che lo affogo”.

Da quel tentato omicidio partì una bufera di intercettazioni e telecamere e venne fuori tutto sugli affari dei Sangani. Estorsioni e droga. Una riserva invidiabile di armi, riunioni e summit in piena campagna: riscontri documentati che ha blindato l’apparato probatorio.

Per non partire da molto lontano: nell’estate del 2018 si verificò un tentato omicidio nei confronti di Antonio Costanzo Zammataro, macellaio. La vittima convocata dai carabinieri inizialmente fu vaga ma successivamente ai carabinieri dichiarò che era viva per miracolo, che aveva sgarrato rispetto agli ordini impartiti dalla famiglia Sangani sullo spaccio di droga e che a

sparare contro la sua auto era stato Samuele Portale, il papà dei cani. Samuele Portale è nipote prediletto del boss incontrastato della mafia randazzese Salvatore Sangani, che del nipote si fida ciecamente, tanto che spesso da lui si fa rappresentare in riunioni importanti. Potremmo dire che stiamo parlando di uno che conta e che nell’organigramma malavitoso locale occupa un posto quasi apicale.

L’episodio del tentato omicidio al macellaio trovava conferma in una intercettazione telefonica (20.10. 2018, prog. 5322) durante la quale Samuele Portale lo minacciava dicendogli che se avesse parlato ancora “vedi che ti taglio la testa… ti do un colpo di accetta nella testa… ti sei giocato tutti i jolly non ne hai più…”. Sul soggetto Portale molte intercettazioni fanno emergere un carattere violento e borioso; per esempio a un tale Remo Arcorisi di Mascali – che aveva mostrato un certo interesse criminale verso la zona di Randazzo – lo aspettò al panificio e poi gli disse “guarda che tu a Randazzo lo ‘sperto’ [spaccone] non lo fai, prima di venire qui a Randazzo devi tuppiliare [bussare] a me”. In sostanza, devi venire a chiedermi il permesso.

A RANDAZZO COMANDA LA MAFIA

La mafia a Randazzo è organizzata in famiglie o quello che ne resta, per esempio i Ragaglia, i Rosta, e i Sangani. Secondo i pentiti e secondo la Direzione distrettuale antimafia di Catania, a Randazzo la cosca praticamente detta legge, forte del legame con uno dei clan più forti della galassia dei Santapaola, ovvero i

Laudani. Un legame mafioso che va avanti da decenni: e che esisterebbe già dal periodo antecedente gli anni ’90. La prima persona a parlarne è Claudia Magro, la convivente di Claudio Ragaglia, l’ex boss a capo dell’omonima famiglia. Nel 1999, durante la sua collaborazione, Claudia Magro racconta dell’esistenza del gruppo Sangani e Ragaglia, del fatto che i catanesi avrebbero sempre rifornito di armi il paese anche quando a comandare erano altri gruppi, che i clan Ragaglia e Sangani tiranneggiavano già dagli anni ottanta. Poi tra il 1994 (nel 1999 e nel 2001) grazie alle operazioni “Icaro”, “Spiderman” e “Trinacium”, si era riusciti a imprimere una battuta di arresto alle cosche. I clan di Randazzo operano in una sorta di pax mafiosa lottizzata e logistica: a chi i pascoli, a chi i taglieggiamenti, a chi l’usura, a chi la droga e le armi, chi froda i fondi europei. Comunque tutto in armonia. Compresa la spartizione di candidati durante le elezioni. La “famiglia mafiosa” Sangani negli ultimi anni sembrerebbe la famiglia egemone, e Salvatore Sangani gestisce gli affari col nipote Samuele Portale, il papà dei cani Messina e Denaro, e assieme ai figli Francesco Paolo, il maggiore, e Michael (rispetto a quest’ultimo durante una intercettazione fra Sangani padre e il figlio Francesco Paolo sembrerebbe trasparire che il fratello maggiore avrebbe preferito Michael fuori dagli affari, con un posto fisso, ma il padre è stato categoricamente contrario, perché avrebbe minato gli equilibri).

Sotto di loro, un piccolo obbediente esercito che

aderisce o ha aderito all’organizzazione per scelta e alcuni invece loro malgrado. Perché se uno dei Sangani ti ha fatto un favore, prima o poi verrà a riscuotere e tu non potrai dire di no. Oppure se ti vede debole.

La mafia di Randazzo è una mafia cenciosa e violenta. Con un esercito di “bravi ragazzi” nullafacenti, mentecatti da quattro soldi, che ricattano e si lasciano ricattare al massimo per un alloggio popolare ceduto abusivamente perché ufficialmente non sarebbe possibile. Oppure un posto al cimitero.

A Randazzo i Sangani e company, cioè Samuele Portale, Francesco Sangani, Pietro Pagano, Giovanni Farina, con i loro metodi minacciosi e violenti trasmettevano nei soggetti a loro sottoposti una specie di sudditanza psicologica e allo stesso tempo creavano un’atmosfera di intimidazione e paura. Tuttavia il loro carisma delinquenziale era così forte che il loro ruolo di superiorità decisionale e operativa veniva riconosciuto da tutti gli associati che però tra loro si lamentavano perché i Sangani a loro dire non si sporcavano le mani ed erano avidi nella spartizione degli introiti. nche Portale, accusato di associazione mafiosa, reati in materia di armi e stupefacenti, violazione di domicilio aggravato dalla violenza sulle cose, pur essendo ufficialmente organizzatore e promotore di atti criminali e pur occupando un posto in cima alla piramide criminale, non era soddisfatto del comportamento dei parenti nei suoi confronti. In fondo lui per quella famiglia faceva molto, minacciava

Quando a Randazzo si parla dei Sangani non si può non pensare all’omicidio di Antonio Spartà e due suoi figli Pietro Vincenzo e Salvatore, rispettivamente di 26 e 19 anni. Era la sera del 22 gennaio 1993, furono uccisi a fucilate nel loro ovile

a Randazzo per essersi rifiutati di pagare le estorsioni alla famiglia mafiosa del paese. Per questo omicidio finì in galera Oliviero Sangani, il fratello Salvatore rimase al timone.

Con le nuove condanne seguite all’inchiesta “Terra bruciata” a Randazzo tutto ribolle. Ci si ricorda e si riprendono dal punto di vista giudiziario cose del passato.

Il fatto dei fucili trovati e sequestrati nell’arsenale dei Sangani riapre soprattutto il tema sulla eventuale compatibilità tra le armi sequestrate oggi ai Sangani con quelle utilizzate per la strage degli Spartà avvenuta 31 anni fa. Si riapre il procedimento. E si riacutizza una piaga mai guarita per i famigliari che a questo punto rimangono i veri condannati a vita per un dolore che sempre si rinnova pur sapendo che tanto per quello stesso motivo non potrà più essere condannato nessuno.

Le indagini sono coordinate dai Pm Alessandro Sorrentino e Michela Maresca e l’aggiunto Fonzo.

Per quanto riguarda la droga, l’approvvigionamento era fornito da diversi personaggi di Giarre, in provincia di Catania. A Catania i Sangani si rifornivano di marijuana da tale Maria Grillo e dal suo compagno Manuel Taglieri. A gestire

l’affare Giovanni Farina e Salvatore Crastì Saddeo, ma la donna, anche se non la contattava direttamente il capo, riponeva massima fiducia nei confronti di Salvatore Sangani, una stima tale da dire al suo compagno “Comunque Manuel gioia l’unica certezza… problemi di soldi lì non ce n’è… perché lì c’è lo zio Totò”. Tuttavia a saldo del debito alla Grillo erano stati consegnati due cavalli che ella avrebbe dovuto vendere per trattenersi la somma a lei dovuta e consegnare la somma rimanente attraverso Crasti Saddeo che aveva eseguito la consegna dei cavalli.

Un bel giorno, il 10.12.2018 Maria Grillo e il suo compagno Manuel Taglieri furono arrestati mentre portavano a Randazzo due chilogrammi di marijuana e Salvatore Crastì Saddeo che li scortava non ebbe il tempo di avvertirli del pericolo.

pesantemente, e alcuni dei suoi compari lo elogiavano perché a differenza dei Sangani era coraggioso e altruista. Non si tirava mai indietro a differenza dei suoi parenti e sodali, che oltre ad inviare gli altri a risolvere le questioni tenevano quasi tutto il ricavato per sé.

IL LATITANTE

DENUNCIATO DAL NIPOTE PENTITO

Nella relazione del Tribunale di Catania (sezione per il Giudice per le indagini preliminari – Ordinanza in materia di misure cautelari personali, G.I.P. dott. Daniela Monaco Crea), emerge che i Sangani sono un’associazione organizzata in forma gerarchica il cui rappresentante locale è Salvatore. I membri, molti dei quali “nullafacenti” – giusto perché non è elegante scrivere “bandito” come mestiere – a vario titolo sono accusati di tentati omicidi, estorsioni, droga, danneggiamenti, minacce, reati in materia di armi, controllo delle attività economiche e politiche locali.

Per quanto riguarda le armi: nei terreni limitrofi alla stalla dei fratelli Samuele e Marco Portale il 6.6.2019 è stato scoperto un deposito di armi contenente una pistola calibro 38 con matricola abrasa, due fucili calibro 12 semiautomatici, pezzi di armi lunghe e armi di diversa fattura. Per questo ritrovamento immediatamente veniva arrestato Marco Portale, fratello minore di Samuele. In diverse intercettazioni si parla anche di due mitra.

Oppure di una pistola nascosta nella intercapedine di un muro vicino al centro, tenuta cioè a portata di mano perché non si sa mai.

Storie di arsenali erano venute fuori anche in precedenti operazioni giudiziarie (1999) quali “Icaro” e “Spiderman”. Durante i relativi processi Alfio Fornito, un nipote di Sangani, ha fatto dichiarazioni preziose: “Intendo far presente – dichiarò e fu messo agli atti, proc. pen. 336/99RNR – che presso l’abitazione di mia nonna, in via Sangrigoli si trova il latitante Sangani Salvatore… aggiungo che sono in grado di far ritrovare moltissime armi attualmente in dotazione all’organizzazione capeggiata dai fratelli Sangani… aggiungo… che la stessa Parisi (cioè moglie di Fornito) ha trasportato personalmente altre armi a Randazzo (i due lanciamissili ed altro) circa 20 giorni fa, allorché il Sangani Salvatore iniziò a organizzarsi per commettere gli attentati… dette armi vennero consegnate a mia moglie a Piedimonte Etneo da tale Tonino figlio di Paolo Di Mauro”.

Dopo la recente scoperta delle armi, all’interno della famiglia Sangani ci fu un certo nervosismo e il capo suggerì a tutti di tenere un basso profilo aggiungendo “questi scrivono… ora indagano… fino a quando fanno qualche retata e ci arrestano”.

Infatti l’operazione di indagini “Terra Bruciata” compiuta dai carabinieri di Catania il 22 ottobre 2022 ha portato all’arresto di21 persone ritenute organiche o vicine al clan malavitoso.

Dalla commissione di indagine della Prefettura è venuta fuori una relazione che parla di “un

tessuto relazionale e parentale degli amministratori nonché dei dipendenti comunali, con soggetti gravati da condanne per associazione di stampo mafioso, che fa emergere un quadro di possibile condizionamento dell’operato degli stessi della locale criminalità organizzata”. Lo scioglimento dell’amministrazione di Randazzo, quindi, è avvenuto a causa di una presunta compartecipazione – fatto gravissimo – fra le principali organizzazioni criminali del territorio e i personaggi più rappresentativi del paese, politici e no. Il che sarebbe possibile, visto che all’interno dell’amministrazione comunale regnava una confusione politica assurda, una miscellanea complessa e complicata, shakerata in modo tale che era difficile capire dove stava la maggioranza e dove l’opposizione, che nei fatti non esisteva. In termini di numeri si trattava di numeri a una cifra molto vicini allo zero. Dunque tutto opaco e ognuno per i fatti propri. I denari pubblici della collettività buttati fuori dal palazzo. Spesso i lavori di competenza comunale sono diventati affari per i privati.

IL BALLETTO DEL SINDACO

Tutto girava attorno al sindaco, che l’operazione antimafia dei carabinieri del comando provinciale di Catania “Terra Bruciata” vede tra gli indagati insieme al presidente del consiglio comunale Carmelo Tindaro Scalisi. Gli interessati che dalla Prefettura escono come ‘omissis’ (chissà perché) sono stati prosciolti con ampia formula dubitativa, avendo le

indagini riguardato un periodo successivo allo svolgimento delle elezioni.

Comunque la politica è una cosa seria ed è una questione di stile che complessivamente nella cittadina etnea è mancata. Anzi, forse quei politici non sanno che cosa è lo stile. Anzi forse non sono nemmeno politici. Soprattutto il primo cittadino, che da sindaco non si è mai preoccupato del pericolo di dissesto comunale. Oppure se ne è fregato. Oppure è stato bravissimo a nasconderlo.

gode di un pezzo di potere personale.

E nonostante gli omissis sulle carte, la storia del comune pedemontano Randazzo schizza fuori come una saetta. C’è il “principale collaboratore” del sindaco come assessore ai lavori pubblici e al cimitero, Nunzio Batturi, “imprenditore di rilievo nel settore delle onoranze funebri che, nel corso dell’amministrazione (omissis) ha ricevuto l’affidamento di lavori per la realizzazione di opere all’interno del locale cimitero comunale, per un

L’ex primo cittadino, fedelissimo del leader dell’MPA Raffaele Lombardo (ex presidente della regione Sicilia), candidato alle elezioni regionali del 2022, ne è uscito con buon successo e non solo per il protettore Lombardo, ma anche perché l’ex sindaco di Randazzo Francesco Sgroi fa politica (ovviamente la sua politica con il suo stile personale) dal 1998 con varie cariche nel tempo. Il che significa che oltre a un pacchetto di voti esercita e

valore di svariati milioni di euro”.

“Presso le imprese” dell’assessore – scrive il prefetto – “hanno svolto attività lavorativa esponenti legati alla criminalità organizzata operante a Randazzo”. Il figlio di… il nipote del tale… Secondo gli atti del tribunale le elezioni amministrativee sarebbero quelle del 2018 e i candidati in questione dovrebbero essere Francesco Sgroi, Marco Crimi Stigliolo e Carmelo Scalisi, che in qualità

di candidati (il primo per la carica di sindaco e gli altri due di consigliere comunale) in cambio di voti promettevano l’assunzione presso la ditta “Ecolandia srl” addetta alla raccolta dei rifiuti di Randazzo. (Si ribadisce che per i candidati citati non è stata avanzata richiesta di misure). Sul nuovo (?) consiglio comunale poggiavano numerose aspettative. In tanti sussurravano, e leggiamo (relazione del Tribunale –indagini preliminari) che “lo Sgroi avesse comprato i voti e promesso favori che non aveva poi concesso”. All’interno del girone delle promesse elettorali troviamo anche Samuele Portale e il suo sodale Giovanni Farina, legati ai consiglieri Marco Crimi Stigliolo e Carmelo Scalisi, eletti nella lista civica “Insieme per Randazzo Francesco Sgroi sindaco”.

LA CASA POPOLARE AL MAFIOSO

A Samuele Portale oltre all’assunzione all’“Ecolandia srl” il consigliere comunale Carmelo Scalisi in cambio di voti aveva promesso anche l’assegnazione di un alloggio popolare. Durante un incontro fra i due (avvenuto il 5.12.2018 nei pressi di Piazza Loreto) e raccontato dall’indagato a sua moglie Laura Ruffino, il consigliere lo rasserenava dicendogli all’incirca: “due cose a te devo fare, una è la casa e l’altra…”, poi lo esortava a non preoccuparsi rispetto alla imminente assunzione presso la “Ecolandia” perché avrebbero fatto la gara. “Vedi che non me lo sono dimenticato”, aggiungeva poi. Successivamente i due, durante un incontro a casa il

3.4.2019 affrontavano la questione con più chiarezza. Il nullafacente Portale era deciso a ottenere l’appartamento in un modo o in un altro, lo stesso Scalisi gli aveva detto che per le case popolari forse avrebbero dovuto buttare fuori alcuni, e che era necessario che lui preparasse i documenti necessari. Fu così che Samuele Portale al consigliere comunale Scalisi indicò la possibilità che l’appartamento gli venisse ceduto da un leggittimo assegnatario. Cessione su cui il comune avrebbe posto accondiscendenza, così come sottolineato da Scalisi. La cosa di cui non si parlò fu il fatto che la strada per la “cessione” della casa era già iniziata. Pochi giorni prima di quell’incontro un certo signor Salvatore Manitta emigrato in Germania, denunciava di avere ricevuto telefonicamente minacce di morte per tutta la sua famiglia da tali Samuele Portale e Pietro Pagano. Dal signor Manitta il malandrino Samuele Portale pretendeva l’usufrutto della sua casa allora affittata a una signora che subito dopo avere ricevuto anche lei le minacce si premurò di liberare l’appartamento. Il fatto divenne ben presto noto ad alcuni e Samuele Portale parlando con il suo compare Pietro Pagano, indispettito gli confidava che era dispiaciuto di non potere uccidere il signor Manitta perché il movente sarebbe stato troppo chiaro. Il suo interlocutore Pagano rimarcava che non poteva ammazzarlo e lo tranquillizzava dicendogli che in futuro quando le acque si sarebbero calmate, ci avrebbe pensato lui con “un mazzotto [grosso martello] gli devo rompere le ginocchia e i

gomiti”.

Un altro episodio illustrativo dei nostri “eroi” si deduce da uno scambio di vedute (conversazione n. 2170 del 15.30.2019) tra Giovanni Farina e l’amico Antoninino Romano a proposito di un certo Rosario Mineo, altro nipote di Salvatore Sangani. A Rosario Mineo, venditore ambulante, era stato promesso un posto fisso dove vendere la frutta e invece aveva ricevuto un controllo della polizia municipale. La promessa gli era giunta tramite l’assessore Ragaglia – avendo Mineo una famiglia grande – in cambio dei voti procurati gli avrebbero fatto montare la bancarella della frutta al piano Annunziata, dove una volta l’avevano i suoi zii Salvatore e Oliviero Sangani. Dopo l’episodio della polizia municipale Rosario Mineo sembrava impazzito e incontrando al bar l’assessore con altre persone lo caricò di insulti e gli rinfacciciò la compravendita dei voti a 50 Euro ciascuno e che non avevano mantenuto ciò che avevavano promesso. L’assessore se ne andò via dicendogli: “Saro tu non sai ciò che stai dicendo”.

La cosa più preoccupante è il rumore assordante del silenzio dell’opposizione anche difronte ai negazionisti che difendono il buon nome della cittadina imbrattata e insudiciata da coloro che raccontano e cercano la verità, e loro invece vorrebbero che nulla cambiasse. Cioè che Randazzo restasse nell’acqua torbida e peggio ancora nella palude del malaffare che assoggetta e condiziona la gente onesta che sicuramente vorrebbe trovare la via maestra del bene comune e della legalità.

Graziella Proto

A Randazzo “La ditta ‘omissis’ di cui è titolare l’assessore ai lavori pubblici ‘omissis’ ha avuto in affidamento, in RTI con la ‘omissis’ lavori all’interno del cimitero comunale…”. Conflitto di interessi? Non importa. Si tratta di milioni di euro. Sarà un progetto finanziato, ma dire “Project Financing” fa una gran bella figura e la gente capisce meno. Per non appesantire economicamente il comune, almeno per cinque anni, ci sarebbero stati dei posti cimiteriali liberi capaci di soddisfare l’esigenza della cittadina, ma anche le tombe in questo paese prendono strade strane. E i morti stanno a guardare.

Al cimitero di Randazzo c’è qualcosa che non va e non certamente a causa dei morti. Da anni c’era l’intenzione da parte del comune di fare dei lavori al cimitero e contemporaneamente aumentare i loculi. Sarà un progetto finanziato, ma dire “Project Financing” fa una gran bella figura e la gente capisce meno.

Ci sarà una sola offerta in ATI, cioè Associazione Temporanea di Impresa: l’“Orchidea” di Nunzio Batturi e la ditta “Mazza”, la prima con esperienza mortuaria, la seconda con esperienza nell’edilizia. Si completeranno a vicenda. La concessione sarà trentennale. Una pacchia. Non

c’è rischio alcuno.

I tempi sono lunghi (o li faranno diventare tali), nel frattempo al comune di Randazzo arriva proprio Nunzio Batturi, che sarà nominato assessore con delega a lavori pubblici, patrimonio, sviluppo economico, insomma settori che comprendono anche il cimitero.

Ma il nuovo assessore ai lavori pubblici non è il titolare dell’“Orchidea”, la società di onoranze funebri capofila del progetto finanziato per i lavori al cimitero? Un aspetto che sembra non preoccupare alcuno. È tutto normale.

Per non farla noiosa e rischiare di rendere tutto incomprensibile: nella relazione

prefettizia leggiamo che l’amministrazione o chi per essa si era rivolta a più ditte, poi si presenteranno le ditte tutte riconducibili a una delle otto ditte della famiglia, ANAC (Autorità Nazionale Anticorruzione) chiede chiarimenti perché segnalato e riscontrato un potenziale conflitto di interessi per l’assessore Nunzio Gerardo Proietto Batturi che tanto ‘omissis’ non è. L’assessore sarebbe capofila del progetto di finanziamento (Project Financing) per l’affidamento di progettazione, concessione, costruzione, manutenzione e gestione per la realizzazione di nuove sepolture, ovvero i loculi nel cimitero del comune.

Inoltre, spiegandolo con poche semplici parole, l’assessore Nunzio Batturi, competente in onoranze funebri e responsabile dell’assessorato lavori pubblici del comune di Randazzo, propone alla giunta e introduce nel piano triennale in fase di elaborazione per le opere pubbliche 22/24 la sua nuova creatura. Che sicuramente non è una bara col morto dentro. Anzi. E però diciamolo, offre un servizio completo. O ironicamente, chiavi in mano. Il progetto è stato fatto da suo cognato, l’ingegnere Bisignano, per la modica somma di 500mila euro, quindi piena fiducia. Ma… una verifica di fattibilità?

L’opera è programmata con fondi pubblici, decretata con votazione dal consiglio comunale, delibera n. 30 del novembre 2021, con la quale si stabiliva anche quali terreni utilizzare.

Intanto ci sarebbero anche delle strane coincidenze della situazione in mano all’assessore: per esempio il costo del progetto lievita notevolmente; nella fase di compravendita dei terreni, iniziata molto pima della gara, Batturi uno dei terreni l’avrebbe comprato da una signora di 97 anni che vive in una casa di riposo. Il terreno sarebbe transitato in possesso di Nunzo Batturi in nome di un diritto di usucapione da oltre vent’anni, mai accertato dal punto di vista documentale.

Frattanto dall’amministrazione vigilata sarebbero giunte notizie secondo le quali tutto si sarebbe risolto con la semplice raccomandazione “pro futuro l’adeguato rispetto della disciplina in materia di conflitto di in-

teresse”. Arroganza? Sicuramente strano. E perfino Kafka si rivolta nella tomba.

LE TOMBE AGLI ABUSIVI O ALLA MAFIA?

In un documento emanato dall’ANAC avente come oggetto “Integrazione e segnalazione”, datato 2 agosto 2023, relativo al finanziamento per il cimitero del comune di Randazzo (spesa base d’asta più di 7 milioni di euro), viene segnalato un conflitto di interessi e la gara è già in corso. La domanda sorge spontanea, diceva una volta un personaggio televisivo. Può un assessore ai lavori pubblici proporre al sindaco o alla giunta che vorrebbe i finanziamenti per progettare, costruire, gestire il cimitero in prima persona? Avrebbe fatto di peggio: ha chiesto l’adeguamento del progetto al nuovo prezziario regionale e firmato l’atto di suo pugno in qualità di assessore ai lavori pubblici. Messo di fronte alle obbiezioni dell’ANAC, l’assessore Batturi anziché tirarsi indietro che fa? Rinuncia alla delega ai lavori pubblici “per rispetto” alla normativa e per la “realizzazione degli obbiettivi di pubblico interesse essenziali per la collettività”. Messa da parte la delega per i lavori pubblici, manterrà la delega alla manutenzione del patrimonio di cui il cimitero fa parte. Rimarrà proponente del progetto, che ormai ammonta a più dei sette milioni e cocci di euro. La delega ai lavori pubblici resterà in mano al sindaco. Qualcuno potrebbe obbiettare che il progetto risale a tanti anni fa e Batturi non era assessore; e allora chi ha avuto

questa bella idea di nominarlo assessore con delega ai lavori pubblici? Perché gli è stata data questa funzione? Cosa ci sta sotto? Pacchetto di voti? Denari? Rapporti poco leciti? Come mai questa vecchia o nuova vicenda che riguarda una collettività già assoggettata e violentata da una mafia locale cenciosa e aggressiva non è mai arrivata in consiglio comunale per dibattere e approfondire? Ci voleva tanto a capire che l’azienda l’“Orchidea”, onoranze funebri, organizzazione funerali, di Nunzio Batturi avrebbe condizionato l’esito in quanto ditta capofila del progetto?

Dall’ANAC su segnalazione di un consigliere comunale esce un documento avente per oggetto il cimitero di Randazzo con tutte le sue anomalie ed eccentricità. L’atto riguarda in modo particolare la segnalazione di integrazione del 2 agosto 2023 al Project Financing, partendo da una base d’asta di sette milioni e passa di euro, oggi con iva arriverebbe a circa nove milioni di euro.

Infine, la ciliegina sulla torta. Nulla si sa dei duecentottanta (280) avelli cimiteriali, cioè i posti a terra. Si tratterebbe di cinquecentosessanta (560) posti scaduti senza richiesta di rinnovo che forse avrebbero potuto evitare la proposta del finanziamento del progetto: il Project Financing. A Randazzo in media muoiono centodieci (110) persone l’anno, il che significa che il paese per almeno cinque anni poteva stare in pace senza stressare le finanze pubbliche già deboli e strampalate. Ma il fatto è che di questi posti non vi è più traccia e allora i maliziosi potrebbero pensare: vuoi vedere che le hanno occupate gli abusivi?

Graziella Proto

Denari e pezzi di patrimonio collettivo buttati. Regalati. Dimenticati. Omessi. Lasciati in mano a mafiosi o simpatizzanti o parenti mafiosi. Tutti identificati e identificabili. Anche quando per opportunità di indagini i vari soggetti, persone o cose, vengono indicati con ‘omissis’. Il dissesto finanziario usato come strumento per favorire i boss. I beni confiscati lasciati in mano agli stessi mafiosi e rifiutati dal comune quale arricchimento del patrimonio collettivo.

All’interno di una amministrazione comunale ci sono dei punti e delle strutture inaccessibili ai comuni mortali. Anche il più abile dei cittadini che volesse capirne di più in nome di una tanto sbandierata democrazia partecipata, si perderebbe nei meandri di: massa passiva e massa attiva; OSL, cioè l’organo straordinario di liquidazione; storno dei fondi, cioè prendere dei denari che erano stati destinati per esempio ai disabili e utilizzarli per altre cose; bilancio; dissesto, o meglio, disastro, che è l’unica parola che noi poveri mortali comprendiamo. In un comune come Randazzo nel bilancio c’è di tutto e il contrario di tutto, ma la cosa che interessa in questo momento è capire se oggi il bilancio si può chiudere o no e perché. Comunque capire è difficile perché la carte sono state mischiate per bene, e la

negligenza, l’inoperosità, la distrazione, le soverchierie la fanno da padrone da decenni. Secondo l’inchiesta della procura di Catania nel default del municipio randazzese ci sarebbero “precisi elementi di danno erariale, la distrazione di fondi a destinazione vincolata utilizzate per finalità diverse dal vincolo, un utilizzo dei residui attivi ante-dissesto dirottati alla gestione amministrativa corrente”. Insomma, una cattiva gestione amministrativa, che a dire il vero parte da molto lontano, alla quale si aggiunge quella degli anni più recenti, col risultato di un vero e proprio disastro per il comune e la collettività. Secondo quanto emerge dalle stesse carte comunali, il debito complessivo che il comune deve pagare ai vari creditori è lievitato dai tre milioni e mezzo di euro del 2019 ai circa quindici milioni attuali. Per pagare questi debiti l’Organo di

Liquidazione, ad oggi, ha in cassa appena cinquecentocinquantamila euro. I numeri non hanno bisogno di commenti. I cittadini avrebbero il diritto di sapere la verità.

Per questo immenso debito comunale secondo la relazione prefettizia ci sarebbero varie ipotesi: plausibile sviamento dal perseguimento dell’interesse pubblico nell’azione amministrativa in favore di quello mafioso; assenza delle cautele previste dal codice antimafia, “atti non traducibili in addebitamenti personali” (?!); iter anomalo e contradditorio per arrivare alla dichiarazione di dissesto. Una dichiarazione che “potrebbe essere stata strumentale per favorire la cessione di terreni alle locali famiglie di mafia, nell’ambito del piano di alienazione del patrimonio immobiliare dell’Ente”.

Per capirne di più.

Nella relazione del prefetto si

legge che nella comunicazione agli organi preposti, dall’amministrazione sono stati omessi una serie di lotti di proprietà del comune e riconducibili alla criminalità organizzata che su quei terreni percepisce anche i contributi dell’Agenzia per le erogazioni in Agricoltura (AGEA); per i maliziosi ci sarebbe qualche strana coincidenza: il sindaco è anche un imprenditore agricolo con grande esperienza in materia di finanziamenti comunitari, gode di cariche sociali nell’ambito di alcune imprese che operano proprio nel settore agricolo e della zootecnia.

BENI PUBBLICI CONFISCATI O NO IN MANO ALLA MAFIA

Fra le particelle “dimenticate o omesse” ce n’è una all’interno del parco dell’Etna sottoposta a vincolo paesaggistico. Su questa particella sono state costruite, da tale ‘omissis’ condannato in via definitiva per associazione mafiosa, due fabbricati rurali e altre opere abusive, ovviamente il tutto senza concessione edilizia e senza autorizzazione e nulla osta del Genio Civile. In sostanza gli abusi edilizi soprattutto quelli ricadenti in zona Dagala Longa sono ben tollerati dall’amministrazione comunale e relativi uffici competenti da ben 35 anni. È vero, negli anni ci sono state tre ordinanze

di demolizione, tutte note al comune fin dagli anni ’80, senza però che una sola ordinanza venisse portata a compimento.

Infine, nella descrizione del patrimonio dell’ente, ai commissari prefettizi erano stati nascosti una gran quantità di beni pubblici: da un totale di 1798 ne erano venuti a galla solo 238. Senza fare emergere mai che tra essi c’erano beni confiscati.

Il 6 dicembre 2022 la prefettura di Catania convoca una riunione preliminare per assicurare alle amministrazioni il pieno supporto per utilizzo dei beni confiscati acquisiti ai rispettivi patrimoni. Durante la riunione il comune di Randazzo manifestava verbalmente la propria rinuncia ad acquisire il patrimonio perché troppo lontano dal centro e troppo vicino al Parco dell’Etna. Ovviamente motivazioni comiche. Il posto in questione si trova a soli 800 metri dal

palazzo comunale ed è raggiungibile da strada carrabile.

Nel settore alloggi in edilizia residenziale pubblica con la connivenza dell’amministrazione e della politica, e in barba alle graduatorie, vi abitano persone legate alla mafia. Una di queste abitazioni era occupata da un ‘omissis’ che proprio lì è stato arrestato all’interno dell’operazione “Terra bruciata”. Sempre lo stesso appartamento risulta “assegnato” alla cognata dell’‘omissis’ che a sua volta non risulta nelle graduatorie e tanto meno negli elenchi forniti alla commissione.

Alla vigilia delle consultazioni amministrative in uno di questi appartamenti “assegnati”, proprio sul balcone faceva la sua bella figura un grande striscione che invitava a votare ‘omissis’ sindaco della città. Bene, da quale ‘omissis’ si vuole cominciare? Perché nel frattempo, così come accaduto per il sindaco Sgroi e il presidente del consiglio comunale Scalisi (assolti con ampia formula dubitativa) tanti, ‘omissis’ potrebbero diventare tante “formule dubitative” che in questo caso però significherebbe che ce ne restiamo a “casa nostra”.

Il GIUDICE non è più a BERLINO ma a CATANIA

Fulvio Vassallo Paleologo

“Un pezzo di Italia fa tutto il possibile per favorire l’immigrazione illegale” firmato Giorgia. Ed ancora, dichiara di rimanere “basita di fronte alla sentenza del giudice di Catania, che con motivazioni incredibili (le caratteristiche fisiche del migrante, che i cercatori d’oro in Tunisia considerano favorevoli allo svolgimento della loro attività) rimette in libertà un immigrato illegale, già destinatario di un provvedimento di espulsione, dichiarando unilateralmente la Tunisia Paese non sicuro (compito che non spetta alla magistratura) e scagliandosi contro i provvedimenti di un governo democraticamente eletto”.

Però con un decreto firmato dal ministro Piantedosi il governo riconosce il proprio errore, frutto di una prima applicazione del decreto Cutro (legge n.50 del 2023), dando di fatto ragione ai giudici del Tribunale di Catania.

Di fronte al blocco delle procedure accelerate in frontiera, ed alla impraticabilità della loro esternalizzazione in Albania, il ministro dell’interno Piantedosi è stato costretto ad adottare

l’ennesimo decreto. Una decisone per evitare censure sulla questione della garanzia finanziaria come misura alternativa al trattenimento amministrativo

per i richiedenti asilo provenienti da paesi di origine definiti “sicuri”.

Questioni in parte rilevate anche dalla Corte di Cassazione, ed attualmente sotto esame da parte della Corte di Giustizia dell’Unione europea, su ricorsi dell’Avvocatura dello Stato, dopo che i giudici del Tribunale di Catania avevano deciso che gli articoli 8 e 9 della direttiva 2013/33/UE “devono essere interpretati nel senso che ostano; in primo luogo, a che un richiedente protezione internazionale sia trattenuto per il solo fatto che non può sovvenire alle proprie necessità, in secondo luogo, a che tale trattenimento abbia luogo senza la previa adozione di una decisione motivata che disponga il trattenimento e

senza che siano state esaminate le necessità e la proporzionalità di una siffatta misura” (CGUE (Grande Sezione), 14 maggio 2020, cause riunite C-924/19 PPU e C-925/19 PPU)”.

Magari in questo modo il governo pensa di eliminare ulteriori ostacoli legali per l’avvio dei centri previsti dal Protocollo Italia-Albania.

I richiedenti asilo, provenienti da “paesi di origine sicuri”, per evitare il trattenimento amministrativo dopo il loro arrivo in Italia potranno versare, o fare versare da propri congiunti, una cauzione da 2.500 a 5.000 euro, determinata “senza indugio dal questore”, con valutazione “caso per caso e tenuto conto della situazione individuale dello straniero”. Lo prevede un decreto del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi del 10 maggio 2024, pubblicato in Gazzetta ufficiale il 19 giugno scorso, che modifica il precedente decreto ministeriale del 14 settembre 2023 “al fine di assicurare la flessibilità alla prestazione della garanzia finanziaria anche dal punto di vista soggettivo, sulla base di una valutazione effettuata caso per caso”.

Con il decreto firmato da Piantedosi il governo riconosce il proprio errore, frutto di una prima applicazione del decreto Cutro (legge n.50 del 2023), dando di fatto ragione ai giudici del Tribunale di Catania che lo scorso anno, con

diverse decisioni, non avevano convalidato provvedimenti di trattenimento

amministrativo adottati in modo generalizzato dal questore di Ragusa nei confronti di richiedenti asilo provenienti da “paesi di origine sicuri” e ristretti nel centro “hotspot” di Pozzallo-Modica.

In quell’occasione la presidente del Consiglio Giorgia Meloni aveva insultato i magistrati dichiarando che “un pezzo di Italia fa tutto il possibile per favorire l’immigrazione illegale” innescando una campagna denigratoria che aveva toccato anche la sfera personale dei giudici catanesi, che si erano orientati in senso difforme da quanto atteso dal governo, nella quale si sarebbe potuto configurare anche un grave vilipendio dell’ordine giudiziario.

CATANIA CITTÀ APERTA

Dopo le prime decisioni della Dott.ssa Apostolico, per settimane al centro di un vero e proprio linciaggio mediatico, con il contributo del vicepremier Salvini, Giorgia Meloni dichiarava di essere “basita di fronte alla sentenza del giudice di Catania, che con motivazioni

incredibili (le caratteristiche fisiche del migrante, che i cercatori d’oro in Tunisia considerano favorevoli allo svolgimento della loro attività) rimette in libertà un immigrato illegale, già destinatario di un provvedimento di espulsione, dichiarando unilateralmente la Tunisia Paese non sicuro (compito che non spetta alla magistratura) e scagliandosi contro i provvedimenti di un governo democraticamente eletto”. Ed il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi aveva annunciato l’intenzione di impugnare la prima decisione, e poi tutte le altre, della dott.ssa Apostolico e del dott. Cupri in Cassazione: “Dalla lettura dell’atto siamo convinti che abbiamo ragioni da sostenere”. Adesso quelle ragioni sono smentite per decreto a firma dello stesso ministro dell’interno.

Nei casi di mancata convalida dei trattenimenti nel centro Hotspot di Pozzallo, il giudice Cupri metteva in evidenza la questione nodale: “preme sottolineare che il trattenimento deve considerarsi misura eccezionale e limitativa della libertà personale” e che “la misura del trattenimento deve essere regolata e adottata sempre nei limiti e secondo le previsioni del diritto comunitario”. Si richiamava poi l’indirizzo della Corte Costituzionale secondo cui “la normativa interna incompatibile

con quella dell’Unione va disapplicata dal giudice nazionale”. Infine, questo giudice condivideva le “precedenti decisioni” del tribunale di Catania (della dott.ssa Apostolico) osservando a sua volta che la “garanzia finanziaria non si configura, in realtà, come misura alternativa al trattenimento bensì come requisito amministrativo imposto al richiedente prima di riconoscere i diritti conferiti dalla direttiva 2013/33/Ue per il solo fatto che chiede protezione internazionale”. La motivazione con cui il Tribunale di Catania aveva negato la convalida dei trattenimenti si fondava quindi sul contrasto delle norme previste al riguardo nel c.d. Decreto Cutro con la Direttiva europea n 33 del 2013, in quanto, nello specifico, il trattenimento del richiedente asilo in frontiera avrebbe dovuto essere adottato solo come extrema ratio e con un provvedimento dotato di una adeguata motivazione individuale sul punto. Il Tribunale di Catania, in base

alla direttiva procedure 32/2013/UE, aveva dunque correttamente osservato che questa “non autorizza quindi, salve le ipotesi di cui al comma 3 dell’art. 43, l’applicazione della procedura alla frontiera, presupposto, nella specie, della misura del trattenimento, in zona, diversa da quella di ingresso, ove il richiedente sia stato coattivamente condotto in assenza di precedenti provvedimenti coercitivi”.

IL TRATTENIMENTO DEL

RICHIEDENTE ASILO IN FRONTIERA EXTREMA RATIO

Il nuovo decreto ministeriale che adesso corregge la normativa in materia di cauzione che potrebbe essere versata “caso per caso” dai richiedenti asilo provenienti da “paesi di origine sicuri”, per evitare il trattenimento amministrativo, non modifica altre parti del Decreto Cutro (legge n.50 del 2023) che rimangono in contrasto con le vigenti direttive europee in materia di protezione internazionale. Il precedente decreto firmato da Piantedosi a settembre dello scorso anno prevedeva che la garanzia fosse prestata “entro il termine in cui sono effettuate le operazioni di rilevamento fotodattiloscopico e segnaletico”. Il nuovo decreto stabilisce invece il termine “entro sette giorni lavorativi decorrenti dalla comunicazione dell’importo determinato dal questore”, Rimane quindi una notevole incertezza sulle modalità effettive di prestazione della garanzia, con riferimento ai tempi di trattenimento amministrativo. Questioni che

non potranno sfuggire al vaglio della Corte di Giustizia UE, e che rendono ancora impraticabili, anche da un punto di vista giuridico, oltre che per i ritardi nella logistica, le procedure accelerate in frontiera nei nuovi centri di detenzione che si vorrebbero avviare in Albania. La Corte di giustizia UE può rilevare d’ufficio “sulla base degli elementi del fascicolo portati a sua conoscenza, come integrati o chiariti nel corso del contraddittorio espletato dinanzi ad essa, l’eventuale mancato rispetto di un presupposto di legittimità, sebbene non dedotto dall’interessato” (Corte di Giustizia, grande sezione, 8 novembre 2022, cause C704/20 e C-39/21).

La giurisprudenza della Corte di Giustizia UE ha un effetto immediato nell’ordinamento interno e riconosce nel suo complesso al giudice nazionale il potere di disapplicare la norma interna che contrasta con il diritto dell’Unione europea. E nello stesso senso è orientata la Corte costituzionale italiana. La normativa interna incompatibile con quella dell’Unione va dunque disapplicata dal giudice nazionale (Corte cost. 11 luglio 1989, n. 389). Esattamente come avevano deciso i giudici del tribunale di Catania, prima di finire sotto attacco da parte di diversi esponenti di governo, che rivendicavano il consenso elettorale ricevuto dalle loro politiche contro i migranti, che avrebbe dovuto prevaricare il principio di legalità e l'autonomia della magistratura. Una questione democratica che riguarda tutti, non solo il rispetto dei diritti fondamentali delle persone migranti.

Riccardo Valeriani

Molti dibattiti che si sviluppano online sono in genere superficiali, privi di un contesto sufficiente a formare o educare i gruppi che ne prendono parte e, soprattutto, caratterizzati spessissimo da una polarizzazione estrema. Il caso preso in osservazione riguarda forse uno dei dibattiti ancora più tristemente attuali, ovvero il radicamento del patriarcato e del sessismo nel comportamento quotidiano e nella comunicazione umana, argomenti senza dubbio tra i più diffusi e (occorre ripetere “tristemente”) controversi. Un caso che è diventato virale a causa delle sua superficialità, possibilità di controversia e la funzione dei famigerati algoritmi. “ Preferisci trovarti da sola in una foresta in compagnia di un uomo o di un orso?” Domanda da un milione di dollari.

In un format recente, pubblicato agli inizi di marzo ma che ha raggiunto fama globale alla metà di maggio, ha provocato lo sdegno di una buona parte dei cittadini della rete, perlopiù uomini. Consiste nel chiedere ex abrupto a delle donne se preferiscano trovarsi da sole in una foresta in compagnia di un uomo o di un orso. Dal momento che non voglio trattare questo fenomeno con pretesa di scientificità e neppure con metodi statistici, mi limiterò a dire che in buona parte dei video che raggiungono milioni di visualizzazioni, un buon settanta percento di donne risponde che preferirebbe

trovarsi con l’orso. Il format si è diffuso soprattutto su Tiktok e su Instagram, e su Facebook, poiché è realizzato sotto forma di breve video, spesso molto editato e presentato con ritmo frenetico ed una bassa elaborazione delle risposte che vengono fornite – e tantomeno sulla domanda, mai contestualizzata –, alla maniera di quei video tanto popolari che con qualche velleità si definiscono “esperimenti sociali”.

Poche settimane dopo la pubblicazione del primo video, a opera di un profilo di un ragazzo statunitense, la domanda “uomo o orso” è stata ripetuta e riproposta con

variazioni, come spesso avviene con i contenuti multimediali. Ed è subito il putiferio: commenti, parodie, rendiconti formato video su YouTube e audio nei podcast. Riporto alcuni commenti e post: si può notare con una breve ricerca personale che i più accaniti provengono da Facebook e X, mentre Instagram rappresenta una via di mezzo, e infine Tiktok è la piattaforma con incidenza minore di commenti riprovevoli e della loro ingiustificata ferocia.

• (Utente uomo, Tiktok, tradotto dall’inglese): “Allora ce la vorrei davvero vedere una

“Preferisci trovarti da sola in una foresta in compagnia di un uomo o di un orso?”

donna da sola in una foresta, sbranata da un orso”;

• (Utente uomo, Instagram, tradotto dall’inglese): “E allora che ne diciamo di tutte quelle donne che hanno ucciso bambini dicendo ‘Il mio corpo, la mia scelta’?”;

• (Utente uomo, Facebook,

seguito alle rimostranze di gruppi femministi e di utenti popolari alle maggiori piattaforme, ora sono fortunatamente positivi –poiché quelli eccessivamente riprovevoli sono stati cancellati o shadowbannati, ovvero censurati dall’algoritmo –

italiano): “Ma le disturbate mentali che condividono questi deliri, perché non incontrano un orso con intenzioni amichevoli? […] Maledette misandriche malate. Vi meritate una bestia da 300 kg e 2.5 metri di altezza. Con artigli da 15cm. Ci vorrebbe un TSO, per queste persone. […]”. Si ribadisce che questa non è e non vuole essere una trattazione scientifica, e non si ha intenzione di fornire numeri specifici sull’incidenza e la frequenza di questi commenti. Basti sapere che questi contenuti non sono assolutamente una sparuta minoranza, lo si può accertare con una semplicissima ricerca sui social network di ogni tipo. La maggior parte dei commenti e dei contenuti in risposta al fenomeno, soprattutto in

NON PIÙ ATTENTE AL LUPO O ALL’ORSO

Se si preleva questo fenomeno dall’infosfera, lo si pone in un cristallo e lo si osserva al microscopio, si corre il rischio di pensare che sia semplicemente l’ennesimo caso virale, probabilmente progettato per essere tale, e destinato a creare più fazioni opposte. Ed effettivamente porre una domanda così parziale, così incompleta, così illogica è il presupposto perfetto per suscitare dissenso o curiosità, o irrequietezza; in altre parole, controversia. Quella sensazione che si ha quando si apre la sezione commenti e si vede qualcuno dire proprio quello che pensiamo, oppure l’esatto opposto, e che in entrambi i casi comporta un minuscolo

LeSiciliane - Casablanca 22

rilascio di dopamina, che ci tiene attaccati allo schermo. Gli algoritmi lo sanno e lo promuovono a più utenti possibili.

Ma a volte c’è di più, non c’è solo lo scandalo, non c’è solo la viralità e l’effimera curiosità istillata da un contenuto particolare. L’insieme di reazioni che spaziano dall’indifferenza cinica fino all’aggressività, allo sprezzo e alla superiorità sono le ennesime testimonianze di una misoginia sistemica e “meccanica”, che sembra seguire quella legge per cui a ogni forza ne corrisponde una opposta. A ogni donna che manifesta la propria fondatissima insicurezza nei confronti degli uomini corrisponde una persona (solitamente un uomo) che la aggredisce verbalmente, o sminuisce la propria insicurezza, o la chiama pazza come avveniva secoli fa. Questo avviene automaticamente, con gli stessi espedienti di potere e oppressione, come la colpevolizzazione della libera scelta sull’interruzione di gravidanza. E così facendo, giustifica questa insicurezza. Ed il punto di questa riflessione non è neppure decretare quale sia la risposta “giusta”. La risposta “giusta” è sempre quella che darà la persona che risponde. Se la maggior parte delle donne preferisce dare come risposta “l’orso” bisogna essere intellettualmente onesti, e prender coscienza di due nozioni:

• La prima è che non è una risposta contestabile in alcun modo. Nessun uomo può

“Preferisci

parlare a nome di tutti gli altri, e neppure a nome della società;

• La seconda è che la risposta è valida anche nel caso in cui sia esclusivamente performativa, anzi, in tal caso lo è maggiormente. In altre parole: se una donna risponde l’orso perché ci crede davvero, o se risponde l’orso perché vuole mandare un messaggio, questo non dovrebbe interessarci più di tanto. Dovremmo ascoltare, tutto qui.

PREFERISCO NON ESSERE STUPRATA O VIOLENTATA

L’opinione della maggior parte delle donne che purtroppo hanno dovuto giustificare la loro posizione (l’autore non si sostituisce alle donne che hanno parlato, ma piuttosto cerca di ricostruire l’opinione comune seppure con una misura di errore, per non riferire solo una risposta individuale):

“Io scelgo l’orso e sceglierei l’orso mille volte ancora, perché so configurare ogni possibile versione degli eventi: dal meno grave – me ne vado via incolume – al più grave – l’orso

mi sbrana o rimango a morire dissanguata –. Con l’uomo non è così. La migliore versione degli eventi è la stessa. Ma la peggiore è qualcosa che non auguro a nessuna di donna di vivere, nemmeno alla mia peggiore nemica. Essere stuprata, violentata orribilmente. E poi, magari, venire incolpata di come mi fossi vestita quel giorno. E sicuramente essere interrogata sul perché mi trovassi da sola in una foresta.” Persino attraverso una prospettiva come può essere la mia, dal lato privilegiato del binomio patriarcale, questa pare essere una motivazione più che sufficiente. Completamente comprensibile.

Ciò che possiamo dedurre da uno studio non troppo approfondito dei numerosi dibattiti consumati on-line, in particolar modo quelli che concernono il patriarcato e ciò che ne consegue – ad esempio il dibattito sulle microaggressioni sessiste – è che c’è ancora una profondissima renitenza del pubblico ad accettare ciò che molte donne

dicono, soprattutto quando queste ultime non percorrono il tracciato segnato dalle aspettative sociali, chiaramente anch’esse patriarcali e sessiste. Ciò non avviene mai sottoforma di argomentazione logica, o con qualche misura di retorica, bensì utilizzando su scala societaria quelle tattiche di manipolazione tipiche del potere maschile:

• lo screditamento delle intensioni, “voi dite così per ripicca”, “è chiaro che lo dici ma non lo pensi”;

• la colpevolizzazione delle donne e la vittimizzazione di sé, “maledette misandriche”;

• giudicare il comportamento femminile in base a ciò che si ritiene personalmente ed erroneamente giusto e sbagliato e limitando la libertà di scelta, come quell’utente che fa riferimento all’aborto, paragonandolo all’omicidio;

• ed infine, una buona dose di aggressioni dirette, che certamente non sto qui ad elencare.

Noi tutti, in particolare noi uomini, avremmo qualcosa da imparare dalla vicenda dell’orso. Piuttosto che rispondere scimmiottando, potremmo fare un primo passo ed ascoltare. La realtà è che, fintanto non accetteremo di essere oggettivamente più pericolosi dell’orso, continueremo ad esserlo.

Green e Business Ragioniamoci su con dati alla mano

La Cina è di gran lunga il Paese che produce più emissioni di CO2: il 33% del totale mondiale. Seguono: USA (12,5%), Unione Europea (7,3%), India (7%), via via a decrescere gli altri paesi. Cina, USA (a parte, forse, la California), India e tanti altri Stati, NON adotteranno l’obbligatorietà di macchine elettriche. Perché? I settori che generano più emissioni di CO2 sono: energia (34%), industria (24%), agricoltura (22%) e trasporti (14%). Nei trasporti vanno inclusi aerei, navi, autotrazione. Va da sé, che il contributo dell’autotrazione rappresenta solo una modesta parte delle emissioni antropiche globali di CO2.

Un cambiamento climatico è in atto. Lo dimostrano i fatti. Da diversi anni è in continuo aumento il numero di evento estremi: precipitazioni (neve, pioggia o grandine) di eccezionale intensità, spesso fuori stagione; siccità invernali seguite da alluvioni primaverili o estive. I nostri inverni sono meno rigidi, le estati più torride, a causa della dominanza sul Mediterraneo dell’anticiclone africano, anziché quello delle Azzorre che dominava fino a qualche decina di anni fa.

E’ inequivocabile che il clima negli ultimi decenni sia cambiato e stia continuando a farlo. Più

controverse sono le cause, anche se quasi tutti gli organi di informazione, sulla base di tantissimi lavori scientifici di dotti ricercatori, indicano nell’anidride carbonica (CO2) il nemico da combattere. Ammesso e NON concesso che sia così, andiamo a sviluppare alcune considerazioni sui metodi adottati per ridurre le emissioni della famigerata CO2.

L’anidride carbonica è un gas che contribuisce all’aumento dell’effetto serra e, pertanto, anche al riscaldamento del pianeta. Le sue emissioni provengono da fonti sia naturali, sia antropiche, cioè dovute alle attività umane. La presenza dell’anidride carbonica nell’atmosfera è dovuta a quel processo di scambio naturale del carbonio, nelle sue varie forme, tra l’atmosfera, gli oceani, il suolo, le piante e gli animali. La CO2 non viene distrutta nel corso del tempo, ma si accumula nel sistema oceanoatmosfera-terra anche spostandosi da un comparto all’altro. La gran parte di essa, infatti, è assorbita rapidamente dagli oceani oppure

dalla biosfera, mentre la parte in eccesso si accumula in atmosfera.

Innanzitutto, le emissioni di CO2 di origine antropica sono molto più piccole di quelle naturali. Per brevità indicheremo le quantità in Giga-tonnellate (1 Gt equivale a un milardo di tonnellate).

L’assorbimento da parte della vegetazione assomma a circa 220 Gt per anno, la respirazione del mondo vegetale provoca una emissione egualmente attorno a 220 Gt/anno. Gli oceani rilasciano circa 332 Gt/anno. Mettendo assieme l’uso dei combustibili fossili e i cambiamenti di uso del terreno, l’uomo è responsabile di circa 29 Gt/anno. Quindi il carico antropico aggiunto è abbastanza piccolo. Le attività umane alterano il ciclo del carbonio in due modi: a) immettendo CO2 in atmosfera, a seguito della combustione dei combustibili fossili (carbone, petrolio e gas naturale) e, in piccolissima parte, della produzione di

cemento;

b) influenzando la capacità di rimuovere la CO2 dall’atmosfera da parte dei depositi naturali (deforestazione e altri cambiamenti dell’uso del territorio). Si stima che la deforestazione provochi un accumulo di CO2 in atmosfera equivalente a circa il 10% del totale delle emissioni di CO2 da combustione fossile di origine antropica. Nulla (o pochissimo) si fa a scala globale per fermare la deforestazione, magari banalmente piantando miliardi di nuovi alberi.

Anzi, negli ultimi anni si è assistito al verificarsi di grossi incendi dolosi su vastissime aree in Australia, Canada, Stati Uniti. Nulla si è saputo sui mandanti di tali disastri che pesano doppiamente in modo negativo, perché si riduce il potere complessivo di assorbimento di CO2 da parte delle foreste, e allo stesso tempo la combustione del legno rilascia nuova CO2 in atmosfera. Andando alle emissioni da combustibili fossili, la Cina è di gran lunga il Paese che produce più emissioni di CO2: il

33% del totale mondiale.

Seguono: USA (12,5%), Unione Europea (7,3%), India (7%), via via a decrescere gli altri paesi. Il contributo dell’Italia è lo 0,9% del totale.

Cina, USA (a parte, forse, la California), India e tanti altri Stati, NON adotteranno l’obbligatorietà di macchine elettriche. Perché?

AUTO ELETTRICHE: SARANNO ADOTTATE DA TUTTI GLI STATI?

Consideriamo l’Italia, ma le percentuali non variano significativamente per qualsiasi altro Stato, i settori che generano più emissioni di CO2 sono: energia (34%), industria (24%), agricoltura (22%) e trasporti (14%). Nei trasporti vanno inclusi aerei, navi, autotrazione. Va da sé, che il contributo dell’autotrazione rappresenta solo una modesta parte delle emissioni antropiche globali di CO2. E’ il motivo per cui solo una esigua minoranza di Stati ha adottato come transizione ecologica il passaggio alle auto elettriche.

Viene da chiedersi se le risoluzioni dell’UE in tal senso, non siano più orientate verso un business, ammantato di green. Vale la pena di ricordare che l’estrazione dei materiali necessari per la produzione delle batterie delle auto elettriche avviene in paesi del terzo mondo, con veri e propri scempi ambientali, per di più con utilizzo di mezzi pesanti che emettono CO2. Ma nella UE circolano circa 300 milioni di automobili.

Teniamoci bassi: a 20.000 euro a macchina, la sostituzione di questo parco auto rappresenta un “affare” da 6.000 miliardi di euro.

Aggiungiamoci il “green business” collaterale; per alimentare le macchine elettriche sarà necessaria la produzione di energia elettrica “pulita” (altrimenti ci si accorgerebbe subito che qualcosa non torna). Come abbiamo scritto sullo scorso numero de L’Eco de LeSiciliane, nel momento in cui

tutti i veicoli in circolazione dovrebbero essere elettrici, per sostenere il traffico automobilistico italiano occorrerà l’intera produzione di una ipotetica nuova centrale nucleare. Oppure circa 200 chilometri quadrati interamente ricoperti di pannelli solari; ovvero 20.000 ettari di terra sottratti all’agricoltura. E’ quello che sta già accadendo. La normativa (approvata nel silenzio dei media) attualmente in vigore recita: “Per gli impianti di produzione energetica da fonti rinnovabili muniti di c.d. autorizzazione unica è, quindi,

possibile richiedere specifica procedura di esproprio per i terreni interessati (art. 10 L del D.P.R. n. 327/2001 e s.m.i.), qualora non siano nella disponibilità del soggetto titolare dell'autorizzazione.”

Un affare in cui c’è posto per tutti. Decine e decine di imprese (molte volte srl) italiane, con capitale di poche migliaia di euro, ma spesso interamente di proprietà di multinazionali estere, forti di questa normativa insulsa e autolesionista, procedono indisturbate mediante espropri forzati. Come evidenziato da una recente inchiesta della trasmissione Report, in alcuni casi, l’energia prodotta sul territorio italiano a scapito della produzione agricola locale, verrà addirittura esportata all’estero (nel caso specifico, in Tunisia), senza nessun beneficio per noi, ma con lauti guadagni delle multinazionali. Sul nostro territorio verranno prodotti meno grano, olio, vino, riso, frutta. E come si sopperirà alla ridotta produzione agricola locale? Aumentando le importazioni di grano canadese e australiano, frutta californiana, cilena o sudafricana, il cui trasporto avverrà principalmente mediante navi.

La nave è il mezzo di trasporto più inquinante in termini di emissioni di CO2. E il cerchio sarà tristemente chiuso.

Il dolore che si trasforma in gioa

Un equilibrio tra ragione

e sentimento

Una donna, una poeta che non conosce scorciatoie o espedienti per raggiungere l’obbiettivo. Angela Bonanno è una poeta che vive e lavora a Catania. Preferisce essere chiamata la poeta, una poeta, e con le sue poesia dialettali ha raccontato e racconta la vita di tutti i giorni. Con lei abbiamo fatto una chiacchierata sul ruolo della poesia nell’animo umano e alcune considerazioni sulla condizione delle donne. Donne, madri, occupate nel lavoro, nell'impegno sociale, politico.

Angela Bonanno, scrittrice catanese e poeta come ama definirsi, ci incanta con una nuova silloge di poesie: cusi e scusi, editrice Mesogea, in lingua siciliana che conferma la sua poetica: costrutti

essenziali, parole come pietre modellate dal vento, il quotidiano vivere con i suoi utensili, con i suoi oggetti che si fa metafora della fatica dell’esistenza. Così la stoffa della nostra vita richiede quotidianamente lavoro fine di ago, cuciture e scuciture, rammendi e rabberci almeno fino a che resiste e poi, quando tutto ciò risulta vano, si prende atto che è necessario un tessuto nuovo.

È un lavoro che fa pensare a Penelope che, in questo modo, lascia trascorrere il tempo dell’attesa, che ricorda le Moire filatrici del destino di ogni uomo.

La lingua siciliana, con le sue vibrazioni, i significati simbolici, risulta rinnovata e piena di

vitalità nell’uso che ne fa la Bonanno, come l’operaio che nel fuoco dà forma al metallo, la forgia, la batte, la piega alle proprie esigenze espressive. E sempre con una tecnica che si potrebbe definire a levare, a togliere tutto ciò che all’autrice appare superfluo, lasciando soltanto l’essenziale che però è sempre armatura solida. Ne risulta un suono potente, immagini ardite che raccontano la sofferenza del vivere attraverso il sentire delle piccole cose che pure hanno un’anima: la foglia secca si stacca con un grido inascoltato, la montagna sputa fuoco, le formiche allineate col loro destino. Un dolore corale, quello dell’uomo per la fugacità della vita e quello della natura;

Un equilibrio tra ragione e sentimento

una sofferenza che va comunque accettata come una cifra che scandisce il tempo e la nostra dimensione.

La parola poesia dal greco poiesis significa creare e, da sempre, l'immaginario collettivo assegna al poeta a volte veggente, a volte indovino o profeta, un ruolo sacro e la capacità di rendere in versi il sentire del mondo, tu come coniughi nella tua vita questi aspetti con la quotidianità che ti vede donna, madre, occupata nel lavoro, nell'impegno sociale, politico.

Nella vita di tutti i giorni io sono come sono: donna, lavoratrice, madre e anche nonna. Mi batto per le cose giuste, eque, sia al supermercato che in azienda ma sempre in ascolto, allargando lo sguardo fino ad un oltre. Questo mi permette di scorgere negli occhi di Viola, la mia prima nipote, il colore di un malinconico autunno.

In questa nostra società dell'apparire e non dell'essere perché la poesia, come tu hai detto, può fare sentire meno solo chi la legge e la interpreta.

Perché la poesia è il dentro, ciò che non appare ma si percepisce con tutti i sensi. È nelle fragilità di ognuno, nelle mancanze, nelle sconfitte, si nasconde nel buio per poi esplodere in un tramonto, in un filo d’erba ed è per tutti.

Ti definisci poeta non utilizzando il femminile di questo sostantivo, c'è una ragione.

Coniugo la parola poeta al femminile: la poeta, una poeta. Mi piace il suono breve e preciso. Non amo i

fronzoli.

Hai ricevuto numerosi e prestigiosi premi come riconoscimento al tuo lavoro letterario cosa rappresenta per te un premio?

Il premio è un sorso di vino in più, una piccola euforia ma non aggiunge e non toglie nulla alla mia vita personale e al mio essere una poeta.

Pensi che dagli anni settanta ad oggi la condizione delle donne nel nostro Paese sia cambiata? Come?

Nella teoria è cambiata molto, nella pratica c’è tanta strada ancora da fare ed è tutta in salita. La discriminazione che condiziona le donne ad un ruolo non paritario si annida nelle parole, nei luoghi di lavoro, nei libri di scuola. Non bisogna abbassare la guardia. È necessario passare la staffetta alle giovani generazioni e far comprendere

che parità non significa essere uguali agli uomini, ma sullo stesso piano posizionarci con le nostre peculiarità. Questo contribuirebbe ad arricchire la società.

La tua vita ha incontrato la malattia e il dolore ne parli in un tuo romanzo cosa ha cambiato in te questa esperienza e cosa ti ha lasciato

Mia figlia dice che sono diventata una donna migliore. Non lo so, sicuramente diversa, ho dovuto fare i conti con il senso del possesso, ho aperto le mani e lasciato andare. Ho accettato e trasformato ogni istante in cui il dolore si assopiva per opera dei farmaci o di un ricciolo che sfuggiva dalla cuffia sui capelli di mia figlia, e un sorriso che traspariva dalla mascherina sulla bocca di mio figlio, in una gioia immensa. Le ferite fisiche e interiori si sono trasformate in porte spalancate e di queste porte custodisco le chiavi. Angela Bonanno ha pubblicato: Nuatri (Prova d’Autore 2003 Premio letterario Salvo Basso per l’inedito); Setti viti comu i jatti (Prova d’Autore 2006); Cu sapi quannu (Criluge Meridies 2007 Premio Ercole Patti per la poesia); Amuri e Vadditi (Uni-Service2009); Dumani ti scrivu (Forme Libere 2010); Pani schittu (CFR 2014 Premio Franco Fortini e Premio città di Marineo); Strammata (Forme Libere 2017Premio G.Pascoli 2018). È autrice di tre romanzi: Antologia della malata felice (Forme Libere); Prima dammi il pane e Tu singolare (Catartica.)

Cinema, informazione e potere

Sebiana Leonardi

Spesso in tv viene riproposto il film “Casablanaca”.

“Suonala ancora Sem “è ciò che viene ricordato dalla maggior parte di coloro che hanno visto questo film.

Il periodo della sua uscita porta subito alla memoria un momento storico abbastanza importante sia per la salita al potere di quelle che verranno poi soprannominate come le più grandi dittature degli ultimi anni: quella fascista e nazista e anche per l’imminente guerra che si sarebbe combattuta a livello globale nel corso dei pochi anni successivi.

Il film ha come protagonista Rick: un uomo risoluto, affascinante e tutto d’un pezzo che possiede un ristorante chiamato “Caffè di Rick” frequentato dai personaggi più di spicco del periodo: ufficiali militari, personaggi benestanti e persino oppositori dei regimi totalitari ricercati dai governi dei loro Paesi.

Durante una delle tante serate mondane all’interno del locale, proprio mentre il protagonista conversa con uno di questi, viene intonato in sala un inno a supporto del nazismo. Victor Laszlo, l’uomo conosciuto e ricercato in quanto oppositore, ordina alla banda del locale di suonare “La Marsigliese”. Il canto per la

libertà viene armonizzato dagli altri ospiti presenti in sala, con così tanto fervore e animo da costringere gli ufficiali nazisti a troncare la loro esibizione. Con questa scena, grazie alla potenza del cinema, viene messo in mostra quanto l'unione e la partecipazione di ogni singolo all’interno di un gruppo possa fare la differenza sul risultato generale.

I cittadini, nel film, così come nella vita vera, hanno assunto una posizione e uno schieramento ben preciso e il potere che possedevano in quel momento ha permesso loro di attuare una modifica comportamentale immediata.

“Casablanca” porge tanti spunti di riflessioni, uno su tanti quello sul potere che non è legato solo alla prepotenza e predominanza, ma permette di fare un’analogia tra il significato del potere in quanto scelta e del suo risultato sulla collettività.

Giugno è il mese che celebra la nascita e permanenza del potere del popolo: il due e tre giugno 1946 gli italiani furono chiamati a scegliere tra la permanenza della monarchia e la creazione di una Repubblica. Fu il primo suffragio universale in Italia e il suo risultato fu in parte sbalorditivo, non tanto per la

Scelta in sé, tanto più per la percentuale minima che divise le due posizioni, concedendo la Prevalenza di una sull’altra: circa due milioni voti permisero la caduta della monarchia e la Costruzione di un nuovo sistema politico di stampo repubblicano.

Ogni singolo individuo, tra quelle due milioni di persone, ha avuto una piccola porzione di potere che, unendosi alla collettività, ha cambiato totalmente il destino e l’organizzazione di un intero Paese.

Graziella Proto

“Il fazzoletto di Lenin” scritto da Giovanna Cucè, Edizioni All Around, è un libro che narra l’epopea di una famiglia italiana benestante che a causa del trasferimento in Russia attraversa tragedie inverosimili; Una infinita serie di sciagure. È un libro a volte storico, a volte romanzo, a volte il resoconto preciso di chi racconta. Il tutto scecherato così bene che è difficile individuare dove si trovi la linea che separa le varie parti.

Il protagonista è Valentino ultimo rampollo della famiglia Bruzzone, la voce narrante. Il fazzoletto di Lenin era un fazzolettino rosso con l’immagine di Lenin e un fucile di legno che veniva dato agli scolari che, a turno di due facevano la guardia al monumento di Lenin il padre dell’unione sovietica. Un onore, un premio per lo scolaro scelto. Però il turno di Valentino, protagonista della storia, non arrivò mai perché ritenuto “bambino nemico del popolo”; un bambino russo con genitori

Il

russi i cui cognomi però, erano italiani.

Il fazzoletto di Lenin è un libro che racconta di un doppio intreccio: l’intreccio di questa famiglia con le tristi vicissitudini storiche avvenute in Europa (soprattutto in Russia a cavallo dell’ottocento e il novecento) e quello tra le vicende di un uomo e la Storia; a dimostrazione che a scrivere quest’ultima sono gli uomini con le loro vite.

Quando la famiglia di Pellegrino Bruzzone da Genova ar rivò in Russia, c‘era ancora lo zar. A quel tempo la Russia vendeva terreni a buon prezzo per il rilancio del paese incoraggiando di fatto l’immigrazione di tanti stranieri, buona parte dei quali, di origine italiana. La famiglia di Pellegrino Bruzzone a Genova aveva una situazione economica e lavorativa invidiata e ammirata da tanti. Le loro terre producevano raccolti sempre in crescita,” Il miracolo dei Bruzzone” - dicevano le persone, e, in tanti si

chiedevano come fosse stato possibile rendere fertile quel fazzoletto di terra una volta arido e brullo. La risposta avrebbero potuto darla solo le braccia e la schiena di Pellegrino Bruzzone che pur di vedere quello spettacolo della natura lavorava sodo e a lungo. Senza sosta.

Tuttavia; dall’Ucraina arrivava in Italia e a Genova in particolare una quantità inestimabile di grano. Navi stracolme di grano e tutto era molto allettante per chi sognava una terra ricca e migliorare le proprie condizioni di vita. La famiglia Bruzzone si trasferisce in Ucraina. La vita dei protagonisti quindi si svolgerà tra la Liguria e la Russia. Genova e Mariupol cittadina sul mar d’Azov in Ucraina.

Gli anni venti grazie alla politica di Lenin, furono anni ricchezza e benessere per la famiglia di Pellegrino prima e del figlio Giacinto Bruzzone dopo. Bella e grande casa, tanti amici che frequentavano il loro salone e possedevano anche terreni. ‘

“Qui la terra è come il burro” diceva Pellegrino – “qualsiasi cosa si semina cresce”. Tutto bene dunque. Per anni. All'inizio del 1917, l'Impero russo, impegnato nella prima guerra mondiale come membro della triplice intesa era stremato economicamente e socialmente, una condizione che, nel febbraio del 1917, portò alla rivoluzione, la caduta della monarchia zarista e l'istituzione di un governo provvisorio. Lenin fece ritorno in Russia per la rimozione del nuovo regime a favore di un governo bolscevico guidato dai soviet, cioè l’applicazione delle teorie sociali ed economiche di Marx ed Engels.

Questa situazione non piaceva a Giacinto che mugugnava contro le scelte politiche del governo

Ma i veri guaii cominciarono nel 1928 quando Stalin arrivò al potere. Vere sciagure per Giacinto e per i suoi figli: Giacomo, Giovanni, Antonio, Teresa, Elena e Maria. Tutti nati in Russia. Cittadini Russi con la doppia cittadinanza. Un vezzo del padre Giacinto che non voleva assolutamente rompere il cordone ombelicale con l’Italia.

RIVOLUZIONE RUSSA, LENIN E STALIN

Ci furono tumulti e cambiamenti per le rivendicazioni dei contadini che lavoravano le terre. Un sogno per alcuni, un incubo per altri.

C’era stata la realizzazione del sogno e poi la distruzione di esso. Il sogno e poi la critica aspra e selvaggia di chi avrebbe voluto non cambiasse nulla. Arriva il periodo delle “purghe staliniane.” Ne rimarranno vittime la madre il padre e uno zio di Valentino

Il Fazzoletto di Lenini

A quei tempi Giacinto Bruzzone non si capacitava, aveva una bella casa, tanti contadini che pagava e trattava bene e che non si lamentavano ma, piano piano il governo gli toglieva qualcosa, poi con l’avvento di Stalin gli fu tolto tutto. Giacinto capì che l’aria era cambiata, ricordò ai suoi figli la fatica immane del lavoro, ricordò loro le promesse dei bolscevichi che

avrebbero preso le terre ai ricchi per darla ai lavoratori, e faceva domande retoriche del tipo, Ma noi non siamo lavoratori? Chi più di noi si è impegnati per rendere migliore e più ricca la terra? Si lamentava e deplorava, si arrabbiava perché non meritavano di essere trattati in quel modo.

A nulla valevano i chiarimenti del figlio Giacomo che con parole semplici gli spiegava che la

rivoluzione aveva regalato loro la libertà, e che il socialismo era l’unica strada per garantire l’uguaglianza, grazie a un governo bolscevico guidato dai soviet. Lo diceva Lenin. Nel 1932 Giacinto e i suoi figli torna in Italia tranne Elena e Maria perché Elena sposata con un militante comunista sardo e Maria, madre di Valentino era sposata con un russo, Jakov Maliscev. La storia che ci racconta Giovanna Cucè con questo libro, potrebbe cadere in un esposizione e una scrittura triste e infelice, invece non lo è, perché, all’improvviso la scrittura passando per il grigio della nebbia che avvolge certe situazioni, si sofferma sulla luce accecante del sole, o sulla distesa del mare. Le baie e le vallate. Come se l’autrice volesse inviarci un segnale di positività. Una scheggia di ottimismo proveniente dal profondo dell’animo e espresso con un lessico delicato e minuzioso, particolareggiato e scrupoloso. Un palcoscenico dove i vari personaggi principali o secondari, ognuno con la propria parte, sembra essere messo lì dal destino per far sì che Valentino diventasse quello che è poi diventato. Un ragazzo che ha saputo sconfiggere la forza stritolatrice degli accadimenti, nonostante, il freddo, la fame, i lager tedeschi, il sudiciume, la debolezza, le umiliazioni. I rifiuti.

Tribolazioni di ogni genere perché l’egoismo che scatena la guerra vuol dire pensare solo a salvarsi e andare avanti ad ogni costo; a una penosa, quotidiana e spasmodica ricerca del cibo che scarseggia e che farà dire allo zio di Valentino –ancora adolescente - che non

Il Fazzoletto

Il suo turno non arrivò mai, non gli consegnarono mai né il fucile di legno né il fazzoletto di Lenin. Troppe erano le cose vietate ai “bambini nemici del popolo”

Corre Valentino Maliscev, tra le spighe pronte per la mietitura e gli scorci turchesi del mare immobile. Mariupol, Ucraina. Il granaio d’Europa sfama i suoi abitanti e tutti quei forestieri venuti a cercare fortuna, italiani soprattutto, come i Bruzzone, Valentino e la sua famiglia: da piccoli contadini sulle colline di Genova a proprietari terrieri nella Russia zarista.

La Rivoluzione d’ottobre li spoglia di ogni bene, costringendoli in un kolchoz, fattorie collettive in cui si consumano sacrifici e sogni. Il nome dei genitori di Valentino – bambino “nemico del popolo” – finisce negli elenchi delle purghe staliniane: il padre ucciso, la madre in un ospedale psichiatrico.

Valentino vivrà anche gli orrori di un campo di concentramento nella Germania nazista, la guerra e la Liberazione, il ritorno in Italia e poi nell’Urss, alla ricerca di un fratello e di sé stesso.

La storia di un uomo che ha attraversato la Storia.

può ospitarlo perché il cibo basta appena per i suoi figli. Nonostante gli stenti il ragazzo ha continuato a trascinarsi sulle gambe che trasportavano un gracile corpo e che camminavano tremolanti e sussultanti ora per paura, ora per la debolezza. E’ andato avanti sempre, anche quando non avrebbe voluto. E’ diventato un uomo che non ha mai ceduto all’odio. Quadri storici e quadri un poco romanzati dipinti senza risparmio di vocaboli per ottenere il quadro che l’autrice aveva in mente. Passi belli e armoniosi per raccontare una storia molto triste. Situazioni cupe e strazianti.

Il linguaggio, quotidiano, chiaro, semplice e familiare, fa sì che il lettore rapito dalla narrazione storica vada a cercare, o, si impegni a ricordare quel dato periodo di guerra, o, di pace. La politica di Lenin, l’ascesa di Stalin in Russia e il fascismo in Italia. Oppure pensare ai propri antenati. Un compito, il preoccuparsi della memoria dei propri morti, che, Valentino non ha mai smesso di onorare.

Non è un caso che egli venga allo scoperto nel momento in cui, nel cimitero di Genova, città in cui si è ritirato, un giorno trova le tombe dei suoi genitori e dello zio danneggiate, l’epitaffio “vittime delle purghe staliniane “sfregiato e con sopra la scritta FALSO.

Era troppo. Tutta la sua famiglia aveva sofferto esageratamente per lasciar passare sotto silenzio, così rende pubblica la storia della sua famiglia. Un dono per chi vuole ricordare e onorare la memoria attiva.

di Lenini

Comunicato stampa: Rita Atria, da 32 anni in attesa di giustizia. Chiesta l’avocazione delle indagini alla Procura Generale della Corte di Appello di Roma

Il 26 luglio, ci saremo a VialeAmelia, come sempre.Anche quest’anno, in forma “privata”. L’anno scorso scrivevamo: «La memoria attiva è un percorso continuo e spesso difficile. Il racconto della storia di Rita Atria è un impegno serio, profondo».

Il nostro modo di fare MemoriaAttiva di Rita è quello di cercare verità (ma quella ormai la conosciamo) e giustizia. Non siamo interessati all’esercizio della retorica e del narcisismo celebrativo. Pertanto, insieme ad Anna MariaAtria (sorella di Rita), abbiamo voluto onorare RitaAtria, presentando, attraverso l’Avvocato Goffredo D’Antona, in data 23 luglio c.a., alla Procura Generale della Corte di Appello di Roma l’istanza di avocazione delle indagini relative alla morte della giovane testimone di giustizia. Una richiesta che si rende necessaria dopo due anni di silenzio, nonostante un esposto e ben due integrazioni allo stesso, con una consulenza medico legale che avrebbe dovuto far riapre il caso senza alcuna esitazione. L’Avv. Goffredo D’Antona sottolinea come «l’istanza appare doverosa ai fini dell’accertamento della verità sulle cause del decesso della giovanissima testimone di Giustizia, stante la non attività della Procura di Roma che nonostante una formale istanze di riapertura delle indagini, accompagnata da consulenze tecniche e da una serie di approfondite riflessioni, non ha comunicato lo svolgimento di alcuna attività investigativa ed invero la “nuova denuncia“ depositata nel giugno del 2022 è stata iscritta nel modello 45 ovvero quello relativo alle pseudo notizie di reato.

Una stasi processuale che è inaccettabile per le odierne persone offese, ma soprattutto che non rende Giustizia ad una ragazzina che si era affidata allo Stato e da questi evidentemente abbandonata».

Ricordiamo inoltre il silenzio assordante, oramai da anni, anche riguardo alla campagna lanciata dall’Associazione per il conferimento della cittadinanza onoraria di Roma a Rita, per non parlare dell’intitolazione dell'area verde in VialeAmelia con il toponimo “Giardino RitaAtria – Testimone di giustizia e vittima innocente della mafia (1973 – 1992)”.

L’anno scorso scrivevamo: «Si tratterebbe di segnali fondamentali e tangibili sul territorio, proprio lì nel luogo dove la vita di Rita e la sua testimonianza si è interrotta». Non è cambiato nulla… tranne lo scorrere del tempo. Che però noi tracciamo senza risparmiarci e senza risparmiare responsabilità.

Il 26 luglio saremo a Partanna e a Roma, in VialeAmelia, esclusivamente in forma “privata“, come denuncia di questo silenzio assordante, che continueremo a spezzare con le nostre voci, con la nostra testimonianza collettiva. Una testimonianza scomoda e spesso costellata di difficoltà, ma ciò ci induce andare avanti, «Senza scappare, senza tradire, senza corruzioni, o sottomissioni a testa alta, orgogliosamente» (Pippo Fava).

Desideriamo sottolineare come questo silenzio sia ad oggi assecondato anche da chi continua a dare voce alle narrative fantasiose e prive di qualsiasi riscontro oggettivo. Ricordare Rita senza chiedere giustizia per noi rimane un grande atto di ipocrisia e di ignavia.

Invitiamo tutte e tutti a dare voce a questa denuncia. Noi, non ci arrendiamo!

IO SONO RITA

Rita Atria: la settima Vittima di via D’Amelio

Giovanna Cucè

Nadia Furnari

Graziella Proto

Marotta&Cafiero

Prefazione Dott.ssa Franca Imbergamo - Procura Nazionale Antimafia

Trent'anni dopo, un libro-inchiesta ricostruisce la storia di Rita Atria, abbandonata dalle Istituzioni, le stesse che avrebbero dovuto prendersi cura di lei. “Farò della mia vita anche della spazzatura, ma lo farò per ciò che io sola ritengo conveniente”, scriveva Rita alla sorella Anna Maria nell'ultima lettera, qui pubblicata per la prima volta. Sola, con il coraggio dei suoi 17 anni, si mette contro la mafia partannese affidandosi al giudice Paolo Borsellino, consapevole della fine che le sarebbe potuta toccare. Il 26 luglio 1992, una settimana dopo il massacro di via d'Amelio, Rita sarà indirettamente la settima vittima di quella stessa strage.

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