CASA d'ASTA® Press | Interview_Massimo_Cacciari

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CULTURA

Il Dieci -Aprile -Gennaio 2012 2011

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Intervista esclusiva a Massimo Cacciari

“Ogni luogo è fatto per noi come se fosse un passaggio o un mezzo per passare, ma non è mai un luogo dove stare”

Alberto Bosis

Terzo ed ultimo incontro con le riflessioni attorno ad Erba ed al suo territorio. Dopo l’architetto Angelo Monti e l’urbanista Sergio Dinale, affrontiamo questa volta l’argomento da un punto di vista non strettamente tecnico, ma forse più ampio, con il noto filosofo Massimo Cacciari. Con Cacciari riprendiamo i temi della mobilità e dello spazio pubblico, temi che in questo caso vengono trattati senza un diretto riferimento ad Erba (se non marginale), ma in un’ottica ad ampio spettro divenendo elementi di interesse, di conseguenza, per ogni città – grande o piccola – gravitante attorno o facente parte di un’area metropolitana. Prendiamo spunto da una considerazione di Angelo Monti per iniziare il dialogo e cioè la constatazione che gli attuali tempi di percorrenza sono in alcuni casi simili a quelli precedenti le due guerre mondiali. Per raggiungere Milano da Erba, ad esempio, occorre più di un’ora, tanto in treno quanto in auto. “Si, esistono purtroppo evidenti problemi legati alla mobilità. L’annullamento di spazi intermedi comporta del resto, di conseguenza, l’aggravio dei tempi della mobilità stessa. E’ quasi una legge fisica. Ma non necessariamente è sempre così: a Tokyo, ad esempio, la situazione è totalmente differente. In Italia invece, soprattutto al nord, ma anche in molte altre aree europee, dove troviamo una densità di popolazione straordinaria, questi problemi non

sono mai stati affrontati in modo efficace. Trovo tuttavia che questa non sia, in realtà, di sé per sé una necessità. No, io credo che il problema vero sia di ordine più generale ed appartenga ad aspetti filosofici e psicologici. Credo che se anche risolvessimo in modo adeguato i problemi della mobilità (come del resto sono stati affrontati e risolti in altre grandi aree altrettanto congestionate) non avremmo risolto il problema di fondo e cioè che per noi le distanze spaziali, lo spazio, sono ormai diventati un ostacolo. E non avemmo nemmeno risolto il problema che riguarda il nostro atteggiamento nei confronti del tema del tempo e dello spazio in generale, non risolvibile con un discorso tecnico, con un progetto. Non è possibile affrontare questi temi con l’atteggiamento solo dell’urbanista o dell’architetto, perché posto in questi termini sarebbe di facile soluzione: nulla vieterebbe di realizzare sistemi metropolitani veloci che congiungerebbero i centri dell’area milanese o torinese o di altre aree. Questa mancata risoluzione tecnica è riconducibile semplicemente ad un fatto di malgoverno, di mancanza totale di pianificazione (e nel nostro paese questo avviene in numerosi campi). No, ripeto, non è questo il punto. Il punto è che, in ogni caso, ovunque, la nostra testa, la nostra mente, ormai concepiscono il tempo e lo spazio come degli ostacoli. E’ questo il vero problema, il vero disastro. Noi ormai ignoriamo il tempo come elemento nostro,

e il tempo come elemento nostro significa meditazione, significa rifugio, significa capacità di “stare in un posto”. Il disastro è questo, non tanto il fatto che manca un collegamento decente tra Erba e Milano o che per percorrere venti chilometri ci impie-

luoghi di passaggio sono tutti uguali. Le caratteristiche proprie si possono avere nei luoghi dove stare. E poiché non possiamo costruire altro che luoghi come mezzi di passaggio, allora siamo tutti uguali. Tuttavia tutto questo, come s e m p re , deriva d a ciò

“Si e no. C’è in noi un bisogno di sicurezza che è anche un bisogno dell’abitare, ma questo abitare non è più – come dicevamo - un abitare in termini di aggregazione comunitaria. Anzi, di questo non ce ne “frega” più nulla. Vogliamo solo un luogo dove possiamo stare sicuri e questo assillo della sicurezza contrasta con il mondo contemporaneo che è un mondo in movimento, un mondo dell’insicurezza quasi fisiologica. Queste tendenze contrastanti non possono essere conciliate in alcun modo, anche se poi, in fondo, non proibiscono in ogni caso la vita. La vita è fatta di positivo e negativo, è fatta di polarità, sono le polarità dentro cui stiamo. E sono anche ciò che, spesso, ci danno energia.” Nel disegno Massimo Cacciari, nella foto l’autore dell’intervista Alberto Bosis

ghiamo un’ora.” Facciamo notare a Cacciari che, anche nelle precedenti interviste, il discorso di fondo arrivava alla valutazione – come specificava del resto Sergio Dinale – di come la nostra società abbia perso la capacità di aggregazione e di come lo spazio pubblico debba svolgere questa funzione. “Beh, si, certo. Aggregarsi, comunicare implica luoghi dove “stare” e noi luoghi dove stare non sappiamo più né costruirli né concepirli. Per noi il luogo dove stare è una contraddizione di termini perché dobbiamo andare rapidamente, sempre più rapidamente, da un luogo ad un altro. Ogni luogo è fatto per noi come se fosse un passaggio o un mezzo per passare, ma non è mai un luogo dove stare. Non ne concepiamo nemmeno più, per noi il luogo è solo un momento che attraversiamo e dal quale ci

stacchiamo, ci separiamo, il più rapidamente possibile. Oppure al massimo, se ci stiamo, è dove dormiamo. Stiamo senza esserne coscienti, stiamo perché ci dormiamo. Questo è il problema che sta a monte di tutti gli altri. Per questo non riusciamo più a costruire luoghi dove stare, gli unici luoghi che costruiamo sono stazioni, aeroporti oppure luoghi di lavoro – cioè luoghi dove passiamo – ma non riusciamo più a costruire piazze, non riusciamo più a costruire chiese, nessun luogo dove stare. Sottolineiamo a Cacciari come, di conseguenza, non ci sono più luoghi dove confrontarci, dove ognuno possa esprimere la propria specificità, il proprio essere. “E’ vero. Siamo tutti uguali, ma nel senso appunto che dice lei. Perché nei luoghi di passaggio siamo tutti uguali, nessuno può avere una caratteristica propria perché i

che pensiamo. Non possiamo realizzare nient’altro se non ciò che pensiamo. E siccome pensiamo così, di conseguenza realizziamo ciò che stiamo realizzando. Piaccia o meno. Cioè ci possono anche essere sistemi di mobilità che funzionano e non sono atroci come quello milanese, ma la sostanza non cambia. Il punto non è, come dicevo, questo.” Citiamo ora al filosofo un suo saggio intitolato “Nomadi in prigione”, nel quale, oltre a trattare questi temi, ipotizza una metafora per descrivere la nostra visione della città, grande o piccola che sia: quella cioè di desiderare da un lato la città come madre, come grembo, come sistema sicuro e protettivo, ma da un altro lato - al tempo stesso – desiderarla anche come macchina, come sistema efficiente. E’ questo un contrasto che non possiamo risolvere?

CHI E’ Massimo Cacciari (Venezia, 1944) si laurea in filosofia a Padova nel 1967. E’ uno dei protagonisti del dibattito filosofico contemporaneo. Nel 1980 diviene professore di Estetica presso l’Istituto di Architettura di Venezia. Nel 2002 fonda la Facoltà di Filosofia dell’Università Vita-Salute San Raffaele a Cesano Maderno (MI) di cui è Preside fino al 2005. E’ tra i fondatori di alcune riviste di filosofia tra le quali Il Centauro e Contropiano. Numerosissimi i saggi e le opere pubblicate, così come i riconoscimenti nazionali ed internazionali (tra i quali due lauree honoris causa). Ha svolto anche attività politica come Deputato (dal 1976 al 1983) e sindaco di Venezia (dal 1993 al 2000). Attualmente insegna presso la facoltà di filosofia dell’Università VitaSalute San Raffaele.


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