Azio Corghi
Tragedia lirica
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(2017)
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Testo di Maddalena Mazzocut-Mis per Voce recitante femminile, Coro e Orchestra
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L’ECO DI UN FANTASMA
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PARTITURA
RICORDI
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Opera commissionata dalla Fondazione Teatro Lirico di Cagliari
© Copyright 2017 by CASA RICORDI - Universal Music Publishing RICORDI S.r.l.. Tutti i diritti riservati - All rights reserved Printed in Italy 141698 ISMN 979-0-041-41698-_ 141698
III
NOTA INTRODUTTIVA Il soggetto Una donna che narra una vita di bellezza e di avvenenza. Una bellezza che, come quella dell’Elena classica, causa sofferenza. Elena che seduce Paride, Elena che afferma: “la cosa più bella è ciò che uno ama” (Saffo). L’oggetto del desiderio, mero compiacimento, è la preda catturata dall’arma della seduzione, che diventa il motore di qualsiasi azione. Eros vince; ma un eros svuotato dal suo significato simbolico e non meno pericoloso. Un eros di cui Elena non ha il controllo e che si diverte a utilizzare perché è la sua identità.
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Ecuba ha voce nel coro e mette sotto accusa, come nelle Troadi, la bellezza. Una colpa che per Elena perde qualsiasi significato tragico e si blocca a livello di un gioco drammatico, di una farsa tragica. “E per quel mucchietto d’ossa tanti Greci sono morti” (Luciano). La demitizzazione di Elena, com’è noto, passa per Euripide che ne fa un fantasma, un fantasma che tuttavia ha causato una guerra lunga e sanguinosa. “Noi abbiamo esiliato la bellezza, i Greci per essa hanno preso le armi” (Camus). No, non è un esilio. Noi abbiamo lasciato che la bellezza si diffondesse, senza la consapevolezza che fosse un’arma.
La struttura drammaturgica prevede la presenza di due personaggi:
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Elena, voce recitante
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La drammaturgia
Ecuba, coro
Materiali e Linguaggio musicale
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L’alternanza tra Elena ed Ecuba consente una pluralità di livelli di racconto che sostengono la struttura, esaltando la varietà. A una storia di seduzione da parte del personaggio femminile, si contrappone la voce coscienziale di Ecuba giocata su registri stilistici poetici. Se da un lato Elena si esprime in una lingua d’impatto immediato, con scelte prosastiche, dall’altro risalta con maggior forza il linguaggio di Ecuba poetico e ricco di inversioni, ispirato direttamente ai testi delle tragedie classiche.
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I materiali utilizzati nella composizione musicale fanno riferimento allo studio di François Auguste Gevaert sulle melodie dell’antica Grecia che qui sono riportate unitamente a L’Epitaffio di Sicilo e L’inno al sole.
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La drammaturgia di Maddalena Mazzocut-Mis spazia dal lirismo alla quotidianità, le citazioni dei testi classici (Omero, Saffo, Euripide) si mescolano al linguaggio prosaico delle telefonate e delle lettere. A rendere ragione del mito e dell’ispirazione classica, resta la forma: i Cori che si alternano in un dialogo polifonico tra le voci cantate e quella recitante.
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Il Coro interviene per descrivere, narrare gli eventi ed emettere giudizi; non a caso esso prende le sembianze di Ecuba facendosi portatore delle stesse accuse che la donna rivolgeva a Elena nelle Troiane di Euripide. Di conseguenza il vero ‘fantasma’ di questo spettacolo diventa il Coro: massimo simbolo della distanza fra teatro antico e moderno.
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IV
ORGANICO Voce recitante femminile Coro misto Orchestra
ORGANICO STRUMENTALE (disposizione in partitura) N.B. La notazione, eccetto quella di Voci o Strumenti ottavati, è in suoni reali.
Corno I Corno II
Trb. I Trb. II
Tromba I Tromba II
Trbn. I Trbn. II
Trombone I Trombone II
Tp. Perc.
Timpani Percussioni
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Cr. I Cr. II
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Flauto Oboe Clarinetto in Si b Fagotto
Violini I Violini II Viole Violoncelli Contrabbassi
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Vni I Vn. II Vle. Vc. Cb.
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Fl. Ob. Cl. Fg .
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Vr.. (Voce recitante) CORO (S-C-T-B)
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ELENCO DELLE PERCUSSIONI (1 esecutore) Trg. Vibr. Xil. Tam-t. Tmb. c.c
Triangolo Vibrafono Xilofono Tam-tam Tamburo con corda
TEMPI E METRONOMI Introduzione Coro I Coro II Coro III Coro IV
3/4 - = 54-58 3/4 - = 54-58 4/4 - = 50-54 6/8 - = 108-116 6/8 - = 58-63 // 3/4 (oppure 4/4) - = 58-63
Coro V Coro VI Coro VII Coro VIII
4/4 - = 54-58 2/4 - = 50-54 /sovrapposto a 6/8 - = 50-54 2/2 - = 54-58 3/4 - = 58-63
Finale Coro IX
3/4 - = 54-58 5/8 - = 108-116
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V
INTRODUZIONE
Elena Ci sei sempre cascato. Negli occhi. Vieni, guardami. Ti catturo. E tu mi rapisci. Come Paride, Elena. CORO (eco) Ecuba O Elena! Elena…
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Elena Getto l’amo. Abboccato. Da me non c’è nulla da temere. Sono troppo bella? Troppo giovane? Non aver paura. Avvicinati. Vieni. Aspetta. Guardami. I tuoi occhi. Ci sei cascato, nei miei.
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Elena (a Paride) 3 aprile 1964. (pausa)
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Sei un amico. Di mio marito. Passeggiamo. Centro città, all’imbrunire. Mi metti la tua giacca sulle spalle. Non ho freddo. La tengo lo stesso. Piccolo sacrificio per vederti cadere. “Vorrei…” (sospira). “Lo senti il silenzio?”. Mi guardi mentre passa una vespa sbiellata. “Camminiamo ancora un po’? La vedi da qui la cima delle montagne?” “La neve… c’è ancora la neve”. Mi trascini per un braccio accennando a una corsa: “andiamo!” “Domani?...” “Non puoi?” (A bassa voce) “La famiglia”. “La cosa più bella è ciò che uno ama”. (poi all’improvviso…) “Allora puoi? Alle dieci? Domani mattina!” Nel bianco della neve ti bacio.
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Al ritorno mi nego per una settimana, forse di più, forse di meno. Sei tu che conti i giorni. Un pomeriggio aspetti per 2 ore e 36 minuti sotto casa mia. Fa freddo. Ti osservo da dietro le tende. Scendo: “ciao, che fai?” Sei troppo alterato. Non mi piaci. Annaspi. Non puoi annegare così in fretta. Dignità, amico mio! Dignità! Me ne vado. Adesso dovrò aspettare, ma non molto. Telefoni, è sabato. Vuoi rivedermi al solito posto. Ritardo di 20 minuti. La posta è più alta. Provi a baciarmi subito. E no! Camminiamo. Io davanti. Mi prendi dolcemente per un braccio. Così va meglio. 141698
CORO (eco) Ecuba O Elena! Elena…
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“Ci siamo sbagliati” (sospira). Chi affoga non ha tempo di pensare. Che gioco facile! “Mia figlia è ancora piccola. Ha bisogno di me…” (sospira) Ti bacio e scappo.
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Ti cerco al telefono un’ora dopo. Esattamente alle 20.00. Mi risponde tuo figlio. Che voce sgraziata. Odio gli adolescenti. “Amore mio”, non ti ho mai chiamato così, “per te qualsiasi cosa”. Che alchimia elementare. Stai cedendo, su tutto il fronte. E no, troppo semplice! È tempo di fare l’eroe. Mostra le tue armi. Vediamo il tuo coraggio: “Amore, ti aspetto, subito, qui sotto casa mia”. Eccoti: sono le 20 e 22. L’ora della cena. Con la famigliola. E allora mi lascio baciare. Camminiamo un po’. Mi piace quando mi stringi. Voglio guardarti. Belli. Gli occhi della resa totale. Velati dell’umido della notte. Belli. Attimo. Fermati. Due giorni dopo ti chiedo un fine settimana. Non mi presento all’appuntamento. Tre giorni dopo ti chiedo la vita.
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20 maggio 1964. (pausa)
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Prendiamo un treno per il Nord, senza biglietti, senza valigie. Ti riguardo negli occhi. Attimo dove sei? Due giorni a vagare per alberghi che non ci accettano. Non abbiamo documenti… Amanti in fuga. Già patetici.
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23 maggio 1964 (pausa)
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(a Menelao) Hai vinto Menelao! La tua Elena torna a casa, da te. Pentita. No. Non lo sono. Non è colpa mia. “Sono stata rapita”. “Mi ha rapito. Capisci?” Fingi di sorridere e taci. Allunghi una mano. Lentamente. “Quante cose inutili ci siamo detti nella vita. Bastava un ‘ti amo!’ ” Mi sfiori la guancia. All’altezza del collo prendi una ciocca di capelli e la tiri verso il basso. Scendiamo, lentamente, fino a terra. Sei sopra di me. Mi baci. “Cambiare casa? Ancor più in periferia? Per non incontrarlo? I vicini? Se vuoi punirmi ti conviene farmi vivere qui, dove mi odiano”. Ora sorridi. Pensi di avere vinto. E con quali armi hai combattuto Menelao? Con quali hai sconfitto Paride? Nessun’arma, Menelao. Tu non hai armi contro Bellezza. La banalità può tutto. 141698
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Provo a spiegarti. Anche Paride è di una bellezza straordinaria. Dovresti capirmi. Non ti ho abbandonato. Sono tornata. Non volevo andarmene. Non da te. Forse dalla provincia! Lo senti quell’odore? Di scarpe, di borse, di ciabatte a buon prezzo, di acque di colonia, di frutta, troppo matura, e di verdura da minestrone? Odore di provincia. Lo senti il suono di giornate in casa, di negozianti che urlano, di televisori accesi d’estate? Suona di te e di me. Suona di provincia. Un’altra vita? La immaginavo. No, non con lui. Ma c’era. Mi ha rapito! Forse volevo solo godere. Non certo amare. O forse volevo solo eccitarmi. Non certo amare. Il brivido fa vivere. Non esiste un brivido di provincia!
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Lo squallore di un alberghetto a ore è più potente di un esercito valoroso. Nostra figlia? No, non è un’arma. E tu non sferrare colpi bassi. Lo sguardo commiserevole di un controllore su un treno freddo vale molto di più. Non puoi capire. Ricordati solo una cosa: bellezza ha i suoi rischi! La moglie più desiderata. La donna più bella. Elena. Era tua. Disposto a tutto! Per amore? No, non eri così banale. Per il rischio. Per quello sì. (pausa)
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CORO I Ecuba Eco di fantasma non versi lacrime. Dall’alto delle mura di Troia. i colpi di spada dei tuoi amanti. Non apri gli occhi. Dall’alto delle mura di Troia i gemiti dei tuoi amanti. Non apri gli occhi. Hai lanciato il fiore della sfida. Non sai che marcirà sul terreno. Dall’alto delle mura di Troia non apri gli occhi. Una madre e una figlia giocano alla morte, lanciandosi una mela. Gocce di sangue le mani della madre. Sei mai stata a Troia, spartana? Avresti aperto gli occhi. 141698
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Elena 26 maggio 1964 (a Paride) Guardami Paride. Guardami! Non abbiamo nemmeno fatto l’amore. Volevi rubare un brandello di felicità. Hai rapito un fantasma. Sento ancora il tuo riso volgare di amante. Nemmeno più tanto giovane. Da te mi aspettavo qualche vizio o qualche virtù. Se tu fossi stato un eroe, se tu mi avessi portato via dalla provincia, forse avrei potuto amarti. Non riesco più nemmeno a guardarti in faccia. Felicità da cartolina e non l’hai mantenuta.
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Elena 12 anni dopo: 20 maggio 1976 (pausa)
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(a Ermione) Mai arrendersi al tempo! Ermione, ragazza mia, la bellezza sa anche trasformarsi. Un po’ di fondotinta in più e giochi con il biondo tra i capelli. Copri le cosce allungando un poco la gonna. Le caviglie no. Bisogna mostrarle, se sono esili. Guarda Ermione! Il segreto sono le scarpe. Le braccia scoperte, anche d’inverno. La scollatura fino… fino a dove voglio. Oppure tutta coperta anche il collo. Ma aderente, come pelle. Mai arrendersi al tempo. Lo vedo scorrere sul volto di Menelao. Perfino sul tuo. Non mangi. Ti fasci il seno. Ti radi i capelli. Sei sempre in lutto, tu (ride). Sei cresciuta selvaggia. Ispida e crudele. Non mi cerchi. Non mi vieni vicino. Non vuoi le mie carezze. Io ho paura di ferirmi le mani con i tuoi cocci. I figli che vogliono punire i genitori sono patetici. Angeli senza ali; leoni piccoli come micetti. Tu non ne hai nemmeno una briciola, di bellezza. Lo sai? Ci avremmo giocato con la tua bellezza. Io ero bellissima quando Paride mi rapì. Tu sei disarmata. Io ho le armi per conquistare il mondo. Vuoi vedere che me ne faccio della tua giovinezza? Proprio niente! Guarda e impara. Impara ad aver paura delle mie armi. 141698
CORO II Ecuba Sei porpora come il mare al tramonto, il sole che sanguina. Sei luce, gli occhi umidi di mare e di piacere. Sei canto che piega, come onda, ogni paura in ardore. Sirena.
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CORO III Ecuba Beata la vergine Callisto, mutata in fiera irsuta, in leonessa dall’occhio feroce. Beata Titanide, in cerbiatta dalle corna d’oro. Nessuna di loro ha dovuto vivere con Bellezza.
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Il mio seno. Profuma. Le mie caviglie. Hanno un filo d’oro. Alzo un poco la gonna. E ti guardo, dentro. Bello. Non come Paride. Bello di gioventù. Non ricordo nemmeno il tuo nome. Ti ha portato a casa mia figlia. Un suo compagno di classe? Forse. Sapessi qualcosa di lei, saprei qualche cosa di te. Non ha cattivo gusto la ragazza! Getto l’amo. Le mie mani sanno muoversi. Non solo nell’aria.
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Elena (al giovanissimo amante) 22 maggio 1976 (pausa)
Elena 25 aprile 1976 (pausa) Andiamo in montagna: tu, bello e giovane, Menelao, Ermione ed io. Si siede davanti in auto, la ragazza. Soffre le curve. Povera cara. Io non le soffro. La gioventù non ama grandi discorsi. Al profumo non resiste. Alle carezze nemmeno. 141698
CORO IV (a) Ecuba Frenesia muovi guerra al corpo dell’altro. Sapere istintivo che sa dove cercare. Lo accompagni con dolcezza perché non sarà dolce. Lo culli con tenerezza perché non sarà tenero. Amore acerbo e acido. Quasi fa male. Quasi non piace. Accarezzi le spalle gonfie e ruvide della sua giovinezza. T’immergi nel profumo aspro e senza coperte. La guancia sul ventre appena velato. Bianco. Troppo bianco per essere di un uomo.
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Ti ho sfiorato. La gamba, il ginocchio, la coscia. Al ritorno, al buio, ti ho preso la mano. L’ho accarezzata per tutto il viaggio. Tra le dita e poi giù a sfiorare il palmo fino al polso. Dorso a dorso. Poi palmo a palmo, leggeri. E ancora tra le dita. Più su oltre il polso. La stringo. Socchiudi la bocca. Ti rivedo il mattino dopo. Sotto casa. Gli altri a scuola. “Potrei essere tua madre…” (sospira)
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“Conosci il mio passato… che futuro potremmo avere…” (sospira)
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CORO IV (b) Ecuba È lui che ti vuole, adesso. Lo stavi perdendo. È lui che ti vuole, adesso. Non puoi scappare. È lui che ti vuole. Adesso.
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Elena (al giovanissimo amante) 27 maggio 1976 (pausa)
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Alla gioventù non importa niente del futuro. Ama le grandi imprese che hanno un passato e che non hanno un futuro. Mi baci. In camera da letto. In cucina. Nel bagno di casa. Nel bagno del bar di fronte alla scuola. Anche al parco.
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Non ho mai saputo quando fermarmi. È una colpa? L’innocenza si perde nella bellezza. Ti presenti con l’auto di tuo padre e non hai la patente. Le cinque del mattino. Andiamo al mare; nella mia borsetta il costume. Nelle tasche hai dei soldi rubati. Facciamo l’amore sulla spiaggia. Davanti a tutti. Sta per calare la sera. Ci ferma la polizia. “Mi ha rapito!” Li sento: ridono! Di lui? No, anche di me. Ci trattengono per tutta la notte. La luna si rispecchia sul linoleum. CORO V Ecuba Tu getti gocce di lacrime sui suoi seni. Lei conta i colori dell’arcobaleno in esse riflessi. Perché non provi a oscurare il suo sole?
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XI
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Mi vieni a prendere al commissariato. Che altro potevi fare Menelao? Torniamo a casa perché è maggiorenne, consenziente. Se ho versato lacrime, ho sentito risa, dietro le spalle. La bellezza non è una colpa. Perché hai lasciato che mi rapisse? Di segnali te ne avevo dati. Mi bastava un ‘ti amo’. “Avresti potuto fermarmi!” (sospira). I tuoi occhi si accendono. Erano spenti, da quando non facevamo più l’amore. Mi stai guardando. Ancora. Ma no. Che fai? Affili le armi. Contro un ragazzo? Che battaglia ridicola. Contro di me? Non sei tu a volermi uccidere. Nostra figlia sfodera la sua prima, unica, vera arma. E per che cosa? Per amare? Per conquistare? No, per ferire sua madre. Dai! Fammi del male! “E perché Ermione si ritira? Deve dare solo l’esame di maturità”.
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Elena (a Menelao) 28 maggio 1976 (pausa)
Elena (al vento) 3 gennaio 1977 I presagi di morte non mi fanno paura. La morte non porta nessun crimine. La bellezza: quella sì! Bellezza nasce per peccare. Altrimenti non è Bellezza. Mia figlia non ne ha una briciola, di bellezza. È troppo preoccupata del potere della mia. Si è chiusa in casa. Non mangia. Si è rasata ancora: capelli e pube. Meglio fosse morta. Non ho paura, io, della morte. 141698
CORO VI Ecuba Vita di lutto. Vuoi un cappio? Bellezza non si appende. Una spada? Fendi lungo il braccio, la carne tenera, e sangue sbianca il tuo volto. Bellezza ti ha perduto? L’afferri. Nessun cappio, nessuna spada. Tieni stretto il fantasma di vento.
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La guardo. Negli occhi spenti di mia figlia. Io, che sono un fantasma. Lei: ossa, sotto la pelle trasparente. Lei: non mi guarda, mentre mastica brandelli di saliva. Non guarirà. Non esiste un antidoto per Bellezza. Per la mia bellezza.
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CORO VII Ecuba Corpo di vergine La vergine si rade. E grida. E si percuote. Maledice il vento perché non ha spessore. Maledice l’acqua perché non ha colore. Corpo il suo di vergine. Il solo corpo da punire. Bellezza l’afferri come il vento. Bellezza ha il colore dell’acqua.
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Elena (a Menelao) 2 ottobre 1980
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Siamo rimasti soli Menelao: tu, io. I miei occhi ti lusingano. La mia bocca ti placa. La mia bellezza è la tua tomba. Siamo rimasti soli: tu, io. La notte è fonda. Ti parlo all’orecchio. Ti racconto dell’incontro che stava per accadere, dell’incontro che è accaduto. Mi rispondi: “Lo so. È successo mille volte”. Non arrenderti. Combatti per me, Menelao. Hai sconfitto tutti gli amanti. Sconfiggerai anche quelli futuri. Devi solo combattere! Affila le armi. Ti sfioro la guancia. Sussurro dolcemente. E già non mi ascolti più. Mi senti, però. Sempre più. E non ti stanchi di fissare il sole. Attento! Solo Ulisse ha superato il canto delle sirene. E io continuo a cantare.
CORO VIII Ecuba Un suono entra nel buio. È la voce di Elena. Il respiro del primo incontro tutto in un bacio.
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XIII
La luce umida degli occhi accesi. L’eco in una giornata calda. È la voce di Elena. Ma rimbalza un suono contro il muro. Dondola sospeso se nessuno l’accoglie. Diventa ostile: grido sradicato. È la voce di Elena. FINALE
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Chi canta un’ode alla mia bellezza? Ora che se n’è andata. Non aver paura. Non posso farti del male. Stretto a me non saprai se sono vittima o carnefice. Vieni Menelao. Non voglio approdare da sola. Abbiamo navigato insieme. Vieni. Non farmi faticare. Sono stanca. Vieni, prima che le mie palpebre siano pietra. Sono solo un fantasma. Ora più di sempre. Ora meno di sempre. Sono stata vittima della mia bellezza. “Non ti ho mai tradito. Lo sai. Sarebbe bastato un ‘ti amo’ per fermarmi”.
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Elena (a Menelao) 3 maggio 2015 (pausa)
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Elena (sospira) “Siamo soli, amore. Tu ed io”. (sospira) Mi metti una giacca sulle spalle. La tengo e non ho freddo. Non aver paura, vieni. L’ho messa in gabbia, la bellezza. La bestia riposa. Mi piange un pensiero nella testa. Non è materno. Non è d’amore. È paura. Ho paura che si risvegli. Che si liberi. Ma tu non temere, vieni. La tenda bianca a pieghe è ormai grigia. Il mobile della cucina è pieno di macchie brune e ruggine. Le lenzuola di lino ingiallite. Intreccio le tue gambe alle mie. Ti ninno una canzone. E tu con me. Due gole intrecciate. Mi vuoi. Stai solo pensando come. Dimentica. Amore. Ama il tuo fantasma.
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CORO (eco) Ecuba O Elena! Elena…
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Menelao hai vinto. Tu forse ami. Il lembo di nebbia che afferri non è così male. Nemmeno ora che non sono più giovane. La bellezza è fantasma. Può tornare. Vieni. Non c’è proprio d’aver paura. “Ho bisogno di te”. “Solo tu… potessi… se solo…” (sospira) È aria di primavera. Un arco in cielo si disegna tra la bellezza e la morte.
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CORO IX Ecuba L’arcobaleno apra le gocce al sole della bellezza. Cammini sulla corda dei sette colori. Luminosa come l’aria nel vento d’inverno. Bella ti chini e raccogli qualche goccia. Non lo sai, ma hai abbracciato l’arcobaleno.
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FINE
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Azio Corghi
L’ECO DI UN FANTASMA Tragedia lirica Testo di Maddalena Mazzocut-Mis per voce recitante femminile, coro e orchestra (2017)
INTRODUZIONE
(con la voce)
[ = 54-58]
a tempo
Elena
Voce recitante Ci sei sempre cascato. Negli occhi. Vieni, guardami. Ti catturo. E tu mi rapisci. Come Paride, Elena. 3
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Soprani na!
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(ord.)
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Violini II pizz.
Viole 3
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Violoncelli 3
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Contrabbassi
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3
2
(con la voce)
a tempo
6 Vr. Getto l’amo. Abboccato. Da me non c’è nulla da temere. Sono troppo bella? Troppo giovane? Non aver paura. Avvicinati. Vieni. Aspetta. Guardami. I tuoi occhi. Ci sei cascato, nei miei.
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a tempo
(con la voce)
a tempo
9 Elena
Elena
a Paride 3 aprile 1964.
(pausa) Sei un amico. Di mio marito. Passeggiamo. Centro città, all’imbrunire. Mi metti la tua giacca sulle spalle. Non ho freddo. La tengo lo stesso. Piccolo sacrificio per vederti cadere. “Vorrei...” (sospira). “Lo senti il silenzio?” Mi guardi mentre passa una vespa sbiellata. “Camminiamo ancora un po’? La vedi da qui la cima delle montagne?” “La neve... c’è ancora la neve”. Mi trascini per un braccio accennando a una corsa: “andiamo!” “Domani?...” “Non puoi?” (a bassa voce) “La famiglia”. “La cosa più bella è ciò che uno ama”. (Poi all’improvviso...) “Allora puoi? Alle dieci? Domani mattina!” Nel bianco della neve ti bacio.
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(con la voce)
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13 Vr. Ti cerco al telefono un’ora dopo. Esattamente alle 20.00.
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Al ritorno mi nego per una settimana, forse di più, forse di meno. Sei tu che conti i giorni. Un pomeriggio aspetti per 2 ore e 36 minuti sotto casa mia. Fa freddo. Ti osservo da dietro le tende. Scendo: “ciao, che fai?” Sei troppo alterato. Non mi piaci. Annaspi. Non puoi annegare così in fretta. Dignità, amico mio! Dignità! Me ne vado. Adesso dovrò aspettare, ma non molto. Telefoni, è sabato. Vuoi rivedermi al solito posto. Ritardo di 20 minuti. La posta è più alta. Provi a baciarmi subito. E no! Camminiamo. Io davanti. Mi prendi dolcemente per un braccio. Così va meglio. “Ci siamo sbagliati” (sospira). Chi affoga non ha tempo di pensare. Che gioco facile! “Mia figlia è ancora piccola. Ha bisogno di me...” (sospira). Ti bacio e scappo.
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(con la voce)
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Vr. Mi risponde tuo figlio. Che voce sgraziata. Odio gli adolescenti. “Amore mio”, non ti ho mai chiamato così, “per te qualsiasi cosa”. Che alchimia elementare. Stai cedendo, su tutto il fronte. E no, troppo semplice! È tempo di fare l’eroe. Mostra le tue armi. Vediamo il tuo coraggio: “Amore, ti aspetto, subito, qui sotto casa mia”. Eccoti: sono le 20 e 22. L’ora della cena. Con la famigliola. E allora mi lascio baciare.
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Ob. Cl.
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Vni II
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arco, pont.
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(con la voce)
a tempo
(con la voce)
Vr. 20 maggio 1964. (pausa) Prendiamo un treno per il Nord, senza biglietti, senza valigie. Ti riguardo negli occhi. Attimo dove sei? Due giorni a vagare per alberghi che non ci accettano. Non abbiamo documenti... Amanti in fuga. Già patetici. Vibrafono
(l.v.)
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Camminiamo un po’. Mi piace quando mi stringi. Voglio guardarti. Belli. Gli occhi della resa totale. Velati dell’umido della notte. Belli. Attimo. Fermati. Due giorni dopo ti chiedo un fine settimana. Non mio presento all’appuntamento. Tre giorni dopo ti chiedo la vita.
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(con la voce)
a tempo
Vr. (a Menelao) Hai vinto Menelao! La tua Elena torna a casa, da te. Pentita. No. Non lo sono. Non è colpa mia. “Sono stata rapita”. Mi ha rapito. Capisci?” Fingi di sorridere e taci. Allunghi una mano. Lentamente. “Quante cose inutili ci siamo detti nella vita. Bastava un ’ ti amo!’ ” Mi sfiori la guancia. All’altezza del collo prendi una ciocca di capelli e la tiri verso il basso. Scendiamo, lentamente, fino a terra. Sei sopra di me. Mi baci.
no
23 maggio 1964 (pausa)
ila
I Cr.
M
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sord.
Trb. sord.
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(pizz.)
Cb.
141698
sord.
sord.
7
(con la voce)
27
a tempo
Vr. Provo a spiegarti.
no
Ancor più in periferia? Per non incontrarlo? I vicini? Se vuoi punirmi ti conviene farmi vivere qui, dove mi odiano”. Ora sorridi. Pensi di avere vinto. E con quali armi hai combattuto Menelao? Con quali hai sconfitto Paride? Nessun’arma, Menelao. Tu non hai armi contro Bellezza. La banalità può tutto. Lo squallore di un alberghetto a ore è più potente di un esercito valoroso. Nostra figlia? No, non è un’arma. E tu non sferrare colpi bassi. Lo sguardo commiserevole di un controllore su un treno freddo vale molto di più. Non puoi capire. Ricordati solo una cosa: bellezza ha i suoi rischi! La moglie più desiderata. La donna più bella. Elena. Era tua. Disposto a tutto! Per amore? No, non eri così banale. Per il rischio. Per quello sì.
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“Cambiare casa?
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141698
8
31
(con la voce)
a tempo
(con la voce)
Vr. Un’altra vita? La immaginavo.
No, non con lui. Ma c’era.
Mi ha rapito! Forse volevo solo godere. Non certo amare. O forse volevo solo eccitarmi. Non certo amare.
no
Anche Paride è di una bellezza straordinaria. Dovresti capirmi. Non ti ho abbandonato. Sono tornata. Non volevo andarmene. Non da te. Forse dalla provincia! Lo senti quell’odore? Di scarpe, di borse, di ciabatte a buon prezzo, di acque di colonia, di frutta, troppo matura, e di verdura da minestrone? Odore di provincia. Lo senti il suono di giornate in casa, di negozianti che urlano, di televisori accesi d’estate? Suona di te e di me. Suona di provincia.
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Cb.
141698
9
35
a tempo
Vr. Il brivido fa vivere. Non esiste un brivido di provincia!
Fl.
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no
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141698
10
CORO I Ecuba 38
[
= 54 - 58] 3
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141698
11
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3
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Vc.
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Cb.
141698
3
3
3
18
(con la voce) 63 Elena Vr. 26 maggio 1964 (a Paride) Guardami Paride. Guardami! Non abbiamo nemmeno fatto l’amore. Volevi rubare un brandello di felicità. Hai rapito un fantasma. Sento ancora il tuo riso volgare di amante. Nemmeno tanto più giovane. Da te mi aspettavo qualche vizio o qualche virtù. Se tu fossi stato un eroe, se tu mi avessi portato via dalla provincia, forse avrei potuto amarti. Non riesco più nemmeno a guardarti in faccia. Felicità da cartolina e non l’hai mantenuta.
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141698
66
a tempo [
19
CORO II Ecuba
= 50 - 54] 3
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141698
20
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141698
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21
Tempo I
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141698
3
re.
22
(con la voce) 75 Elena Vr.
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M
ila
no
12 anni dopo: 20 maggio 1976 (pausa) (a Ermione) Mai arrendersi al tempo! Ermione, ragazza mia, la bellezza sa anche trasformarsi. Un po’ di fondotinta in più e giochi con il biondo dei capelli. Copri le cosce allungando un poco la gonna. Le caviglie no. Bisogna mostrarle, se sono esili. Guarda Ermione! Il segreto sono le scarpe. Le braccia scoperte, anche d’inverno. La scollatura fino... fino a dove voglio. Oppure tutta coperta anche il collo. Ma aderente, come pelle. Mai arrendersi al tempo. Lo vedo scorrere sul volto di Menelao. Perfino sul tuo. Non mangi. Ti fasci il seno. Ti radi i capelli. Sei sempre in lutto, tu (ride). Sei cresciuta selvaggia. Ispida e crudele. Non mi cerchi. Non mi vieni vicino. Non vuoi le mie carezze. Io ho paura di ferirmi le mani con i tuoi cocci. I figli che vogliono punire i genitori sono patetici. Angeli senza ali; leoni piccoli come micetti. Tu non ne hai nemmeno una briciola, di bellezza. Lo sai? Ci avremmo giocato con la tua bellezza. Io ero bellissima quando Paride mi rapì. Tu sei disarmata. Io ho le armi per conquistare il mondo. Vuoi vedere che me ne faccio della tua giovinezza? Proprio niente! Guarda e impara. Impara ad aver paura delle mie armi.
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141698
a tempo [ 78
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CORO III Ecuba
= 108 - 116]
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C. Cal
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ta
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Cb.
141698
ta
sto,
Ti
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ta
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ni
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sto,
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(solo ad lib.)
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C. Ti
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II Nes su
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Perc.
I Vni II
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Cb. I
141698
na di
27
(con la voce) 99 Elena Vr.
ila
no
Al giovanissimo amante 22 maggio 1976 (pausa) Il mio seno. Profuma. Le mie caviglie. Hanno un filo d’oro. Alzo un poco la gonna. E ti guardo, dentro. Bello. Non come Paride. Bello di gioventù. Non ricordo nemmeno il tuo nome. Ti ha portato a casa mia figlia. Un suo compagno di classe? Forse. Sapessi qualcosa di lei, saprei qualcosa di te. Non ha cattivo gusto la ragazza! Getto l’amo. Le mie mani sanno muoversi. Non solo nell’aria.
S.
Bel
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za.
Bel
lez
za.
Bel
lez
za.
Bel
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Bel
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II Bel
lez
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I
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div.
uniti
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141698
28 [
CORO IV (a) Ecuba
= 58 - 63]
103 S. Fre
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l’al
tro,
Fre
ne
si
a,
fre
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si
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muo
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guer
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l’al
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Fre
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si
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si
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T. 8
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B.
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M
Cl.
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Fg.
I
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Cr.
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I
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Trb. II senza sord.
Trbn.
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II
senza sord.
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Tamburo con corda
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Perc.
I Vni II
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Cb.
141698
29
a tempo [
107
=
= 58 - 63]
S. muo
vi
guer
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cor
po
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l’al
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al
cor
po
del
l’al
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cor
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del
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tro.
al
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del
l’al
tro.
Sa
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C. ...che
T. 8
muo
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Sa
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(con la voce) 135
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Elena
25 aprile 1976 (pausa) Andiamo in montagna: tu, bello e giovane, Menelao, Ermione ed io. Si siede davanti in auto, la ragazza. Soffre le curve. Povera cara. Io non le soffro. La gioventù non ama grandi discorsi. Al profumo non resiste. Alle carezze nemmeno. Ti ho sfiorato. La gamba, il ginocchio, la coscia. Al ritorno, al buio, ti ho preso la mano. L’ho accarezzata per tutto il viaggio. Tra le dita e poi giù a sfiorare il palmo fino al polso. Dorso a dorso. Poi palmo a palmo, leggeri. E ancora tra le dita. Più su oltre il polso. La stringo. Socchiudi la bocca. Ti rivedo il mattino dopo. Sotto casa. Gli altri a scuola. “Potrei essere tua madre...” (sospira) “Conosci il mio passato... che futuro potremmo avere...” (sospira) Alla gioventù non importa niente del futuro. Ama le grandi imprese che hanno un passato e che non hanno un futuro. Mi baci. In camera da letto. In cucina. Nel bagno di casa. Nel bagno del bar di fronte alla scuola. Anche al parco.
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35
CORO IV (b) Ecuba
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141698
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36
(con la voce) 140 Elena al giovanissimo amante Vr. 27 maggio 1976 (pausa) Non ho mai saputo quando fermarmi. È una colpa? L’innocenza si perde nella bellezza. Ti presenti con l’auto di tuo padre e non hai la patente. Le cinque del mattino. Andiamo al mare; nella mia borsetta il costume. Nelle tasche hai dei soldi rubati. Facciamo l’amore sulla spiaggia. Davanti a tutti. Sta per calare la sera. Ci ferma la polizia. “Mi ha rapito!” Li sento: ridono! Di lui? No, anche di me. Ci trattengono per tutta la notte. La luna si rispecchia sul linoleum.
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37
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39
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141698
re
40
(con la voce) 154 Elena (a Menelao) Vr. I 28 maggio 1976 (pausa) Mi vieni a prendere al commissariato. Che altro potevi fare Menelao? Torniamo a casa perché è maggiorenne, consenziente. Se ho versato lacrime, ho sentito risa, dietro le spalle. La bellezza non è una colpa. Perché hai lasciato che mi rapisse? Di segnali te ne avevo dati. Mi bastava un ’ti amo’. “Avresti potuto fermarmi!” (sospira). I tuoi occhi si accendono. Erano spenti, da quando non facevamo più l’amore. Mi stai guardando. Ancora. Ma no. Che fai? Affili le armi. Contro un ragazzo? Che battaglia ridicola. Contro di me? Non sei tu a volermi uccidere. Nostra figlia sfodera la sua prima, unica, vera arma. E per cosa? Per amare? Per conquistare? No, per ferire sua madre. Dai! Fammi del male! “E perché Ermione si ritira? deve dare solo l’esame di maturità”.
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42
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43
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141698
45
(calmo)
(con la voce)
175 Elena (al vento) Vr. 3 gennaio 1977 I presagi di morte non mi fanno paura. La morte non porta nessun crimine. La bellezza: quella sì. Bellezza nasce per peccare. Altrimenti non è Bellezza. Mia figlia non ne ha una briciola, di bellezza. È troppo preoccupata del potere della mia. Si è chiusa in casa. Non mangia. Si è rasata ancora: capelli e pube. Meglio fosse morta. Non ho paura, io, della morte. La guardo. Negli occhi spenti di mia figlia. Io, che sono un fantasma. Lei: ossa, sotto la pelle trasparente. Lei: non mi guarda, mentre mastica brandelli di saliva. Non guarirà. Non esiste un antidoto per Bellezza. Per la mia bellezza.
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141698
46
CORO VII Ecuba 179
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141698
3
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53
(con la voce) 213 Elena (a Menelao) Vr. 2 ottobre 1980 Siamo rimasti soli Menelao: tu, io. I miei occhi ti lusingano. La mia bocca ti placa. La mia bellezza è la tua tomba. Siamo rimasti soli: tu, io. La notte è fonda. Ti parlo all’orecchio. Ti racconto dell’incontro che stava per accadere, dell’incontro che è accaduto. Mi rispondi: “Lo so. È successo mille volte”. Non arrenderti. Combatti per me, Menelao. Hai sconfitto tutti gli amanti. Sconfiggerai anche quelli futuri. Devi solo combattere! Affila le armi. Ti sfioro la guancia. Sussurro dolcemente. E già non mi ascolti più. Mi senti, però. Sempre più. E non ti stanchi di fissare il sole. Attento! Solo Ulisse ha superato il canto delle sirene. E io continuo a cantare.
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54 a tempo [ 217
CORO VIII Ecuba
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55
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57
FINALE Ecuba (eco)
(con la voce) 239
a tempo [
Elena (a Menelao)
= 54 - 58]
Vr.
S.
C.
T. 8
3 maggio 2015 (pausa) Chi canta un’ode alla mia bellezza? Ora che se n’è andata. Non aver paura. Non posso farti del male. Stretto a me non saprai se sono vittima o carnefice. Vieni Menelao. Non voglio approdare da sola. Abbiamo navigato insieme. Vieni. Non farmi faticare. Sono stanca. Vieni, prima che le mie palpebre siano pietra. Sono solo un fantasma. Ora più di sempre. Ora meno di sempre. Sono stata vittima della mia bellezza. “Non ti ho mai tradito. Lo sai. Sarebbe bastato un ’ ti amo’ per fermarmi”.
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Cb.
141698
3
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Ecuba (eco)
(con la voce) 242
a tempo
Elena Vr.
T. 8
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(sospira) “Siamo soli, amore. Tu ed io”. (sospira). Mi metti una giacca sulle spalle. La tengo e non ho freddo. Non aver paura, vieni. L’ho messa in gabbia, la bellezza. La bestia riposa. Mi piange un pensiero nella testa. Non è materno. Non è d’amore. È paura. Ho paura che si risvegli. Che si liberi. Ma tu non temere, vieni. La tenda bianca a pieghe è ormai grigia. Il mobile della cucina è pieno di macchie brune e ruggine. Le lenzuola di lino ingiallite. Intreccio le tue gambe alle mie. Ti ninno una canzone. E tu con me. Due gole intrecciate. Mi vuoi. Stai solo pensando come. Dimentica. Amore. Ama il tuo fantasma.
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Cb.
141698
3
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59
CORO IX Ecuba
(con la voce) 245
a tempo [
Elena
= 108 - 116]
Vr. Menelao hai vinto. Tu forse ami. Il lembo di nebbia che afferri non è così male. Nemmeno ora che non sono più giovane. La bellezza è fantasma. Può tornare. Vieni. Non c’è proprio d’aver paura. “Ho bisogno di te”. “Solo tu... potessi... se solo...” (sospira). È aria di primavera. Un arco in cielo si disegna tra la bellezza e la morte.
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