Castello di Ama su DonnaModerna - 9 gennaio 2015

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il mio vino è un’opera d’arte

Lorenza Sebasti aveva 15 anni quando si è innamorata delle colline tra Siena e Firenze. Dove oggi produce l’unica etichetta italiana tra le 10 migliori al mondo. «Ma il vero capolavoro è la natura» precisa lei. «Io sono solo un’interprete» di emanuela zuccalà scrivile a attualita@mondadori.it

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Nicola Ughi - Mondadori Portfolio

donne moderne


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Lorenza Sebasti nella sua azienda vinicola nel senese. La dirige da 20 anni e qui è riuscita a unire la passione per il vino con quella per l’arte contemporanea (alle sue spalle un’opera del pittore e scultore francese Daniel Buren).

«Sono venuta qui per la prima volta a 15 anni e ho promesso a me stessa che questa terra sarebbe stata la mia vita». Lorenza Sebasti ha mantenuto la parola. Romana, 49 anni, da 20 dirige l’azienda vinicola Castello di Ama: un’impresa a conduzione familiare dentro un borgo medioevale a Gaiole in Chianti, tra le colline senesi. Palazzi storici circondati da boschi, oliveti e vigneti, dai quali lei e il marito enologo, Marco Pallanti, producono un Chianti classico che seduce anche all’estero. Il loro San Lorenzo Gran Selezione del 2010 è l’unica etichetta italiana tra i 10 migliori vini al mondo secondo l’autorevole rivista americana Wine Spectator, che ha vagliato oltre 18.000 marchi. «È una specie di Vogue del settore» sorride Lorenza Sebasti «che premia vini eccellenti con prezzi accessibili». Un ottimo segnale in vista di Expo 2015, che avrà per tema “Nutrire il pianeta” nelle sue varie declinazioni e, nel rilancio del made in Italy, vedrà protagonisti anche i vini, con più di 1.300 etichette da degustare. Crede che Expo riuscirà davvero a dare nuova linfa alla nostra enogastronomia dopo la crisi? «È un palcoscenico mondiale che

porterà un grande flusso turistico. Io viaggio molto e vedo che all’estero la filosofia italiana del mangiare e del bere esercita ancora enorme fascino. Sulla qualità i vini italiani non hanno nulla da temere, nemmeno dai francesi, peccato che i nostri vicini riescano a farsi pagare il 30% in più». Cosa hanno i francesi che a noi manca? «Conoscono il valore dei loro prodotti. Spero che Expo serva soprattutto a questo: a prendere coscienza della grandezza dei nostri vini. Io ricevo tanti ospiti stranieri, persino ministri da Francia e Germania, affascinati dall’universo del vino. Invece gli unici politici e industriali italiani che ho avuto qui capitavano per feste o matrimoni. Sulla consapevolezza del nostro valore abbiamo ancora tanta strada da percorrere». Perché il suo vino ha sedotto i critici di Wine Spectator? «Perché nasce esclusivamente nei nostri vigneti, in un luogo storico, di alto valore territoriale: già nel 1700 il granduca Pietro Leopoldo d’Asburgo Lorena decantava la bellezza del castello di Ama. Siamo nel cuore del Chianti classico: il successo di questo marchio ha poi spinto tutta l’area tra Siena e Firenze a chiamare Chianti i

propri vini, ma la zona d’eccellenza è la nostra. Inoltre noi usiamo criteri molto rigorosi: la lavorazione è fatta a mano e la produzione è guidata da mio marito, enologo da oltre 30 anni. E quando lavori bene, con passione, la natura ti premia: è lei l’artista, noi siamo solo interpreti». Com’è arrivata alla guida dell’azienda? «Negli anni ’70, mio padre e 3 soci acquistarono della terra in una zona della Toscana che era abbandonata. Uno di loro aveva il pallino del vino e avviò una produzione industriale nel rispetto del territorio, chiamando come enologo Marco, che sarebbe poi diventato mio marito. Io abitavo a Roma, venni da ragazza per una festa di compleanno e mi innamorai di questo luogo isolato e magico: decisi che, finiti gli studi, mi sarei trasferita. Il giorno dopo la laurea in Economia ero qui a imparare tutto da zero». Fu suo padre a spingerla? «No: dovetti patteggiare con lui la mia fuga da Roma. Mentre studiavo, lavoravo in una società di revisione ma sentivo che non era la mia strada. Così convinsi mio padre ad accogliermi come apprendista: per due anni non sono stata pagata, ero tenace e volevo imparare. Quando mancò uno dei soci, l’azienda cercava un direttore e io mi feci avanti. La fortuna poi volle che mi innamorassi di Marco, che è stato il mio maestro. Oggi abbiamo tre figli di 18, 15 e 13 anni». Il loro futuro è già scritto fra i vostri vigneti? «Noi lo speriamo. Sono cresciuti a pane, olio e vino di queste terre. Abbiamo investito nel reimpianto dei vigneti, pensando ai nostri figli». Cosa le piace fare quando non si occupa di vino? «Andare in barca a vela: è uno spazio mentale importante, un modo diverso per vivere la natura. Ma la mia grande passione è l’arte contemporanea». E infatti ha trasformato il borgo di Ama in una galleria a cielo aperto. Com’è nata questa avventura? «Un giorno, rimuoven-

do una grande botte nella cantina del castello, trovammo una nicchia spaziosa. Come due bambini, io e mio marito ci siamo detti: “Quanto sarebbe bello collocare là un lavoro di Michelangelo Pistoletto!”. Con questo sogno naïf, nel 1999 abbiamo contattato il maestro dell’arte povera, che ha voluto intraprendere con noi questo percorso. Sono ormai 15 anni che, in collaborazione con la Galleria Continua di San Gimignano, chiamiamo pittori e scultori a vivere l’esperienza del borgo, così pieno d’energia. L’artista sceglie l’angolo dove lasciare la sua traccia, e tutte le opere sono aperte al pubblico. L’inglese Anish Kapoor ha creato con la luce qualcosa di mistico: un’ostia rossa sul pavimento della cappella della villa settecentesca. Mentre il francese Daniel Buren ha costruito un muro di 25 metri che incornicia il paesaggio e affaccia proprio sui vigneti del San Lorenzo premiato da Wine Spectator». C’è un legame tra vino e arte? «Come un’opera d’arte, il vino è estremamente personale: contiene la tua interpretazione, la tua storia. E crea emozioni. Per me l’arte contemporanea può ridisegnare un percorso turistico raffinato, che valorizzi il luogo, i suoi abitanti e i suoi prodotti. Il mondo di Ama è a cerchi concentrici: si può partire dal vino per amare il posto, oppure dalla bellezza del borgo e dalla collezione d’arte per arrivare a comprendere il vino. Ogni elemento conduce agli altri».

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Nella mia azienda “ospito” le creazioni di pittori e scultori, tutte aperte al pubblico

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