Apparita, una storia d'amore lunga trent'anni (e 30 bottiglie) 21 dicembre 2016
Alcune annate di Apparita in magnum (le foto sono di Alessandro Moggi)
Una straordinaria degustazione di 15 annate del merlot di Castello di Ama, la creatura di Marco Pallanti e Lorenza Sebasti: ecco le migliori di ANTONIO PAOLINI
Quella dell’Apparita è una storia di vino straordinaria. Con al suo interno, avvitate l’una nell’altra, come in una specialissima matrioska, una serie di storie d’amore. Per un territorio tra i più belli d’Italia, uno dei più fascinosi e vocati dell’intero magico universo del Chianti. Per un mini borgo trecentesco che, recuperato, diventa cantina (ma la parola è riduttiva), casa, piccolo ed esclusivo resort, ma anche centro permanente di allocazione ed esposizione di pezzi d’arte contemporanea, firmati da artefici straordinari e sapientemente intrecciati con la saga enoica di cui il luogo è epicentro. E poi, c’è la storia tra i due protagonisti. Quelli che la saga fatta di arte e di vino hanno creato e alimentata. Lui, Marco Pallanti, enologo di rango e primattore delle scelte decisive operate in campo e in cantina (e premiate da memorabili successi); lei,Lorenza Sebasti, la titolare, altrettanto motivata e forte nelle sue scelte di impresa e di vita. Due che a un certo punto, a furia di amare le stesse cose, di farle insieme, e per giunta in un posto dal nome fatale (il borgo, che dà anche il nome all’azienda, si chiama Ama) si ritrovano innamorati. Così tanto, e così a lungo che lei, sull’etichetta speciale (colorata d’argento, come si conviene per una data del genere) del Chianti 2006, che è quello della vendemmia numero 25 per Marco (che intanto ha sposato da un pezzo e con cui condivide oltre ad Ama, tre figli) decide di riannunciarlo a tutti. Su ogni bottiglia che va in giro per il mondo (e quelle del duo girano, e come…) c’è scritto: "Grazie Marco per questi 25 anni insieme. L.".
Ora gli anni si sono allungati. E sono 30 (anz, già 31, a esser proprio fiscali) quelli del vino che della storia ha marcato più di tutti - e più clamorosamente - gli inizi e ne ha illuminato prepotentemente la parabola. Era il 1991. A Zurigo, Svizzera, terra di tesaurizzatori, collezionisti e mediatori di ogni bene prezioso, inclusi i grandi vini del mondo, si assaggiano in modo competitivo e alla cieca, in un contest dedicato, i venti Merlot più celebri e gloriosi (nonché costosi) del mondo. A partire, ovviamente, dalle leggende francesi targate Bordeaux. Primo fra tutti, il mitico Chateau Pétrus. Talmente blasonato e richiesto che chi lo vendeva aveva imposto un sistema che i distributori e dettaglianti, rassegnati, chiamavano la “piramide di Pétrus”: ovvero, per ogni bottiglia del prezioso rosso