Julian

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Mi chiamo julian e sono nato a Nantes. Deputato alla convenzione tra le fila dei Cordiglieri, amico di marat e di danton, ebbi un contrasto con robespierre e arrestato la sera stessa venni condannato a morte dal Comitato di salute pubblica.

All’alba del 18 brumaio 1793 fui portato sul patibolo.

Era un lunedì.

Per un attimo... un capogiro... la vertigine di un presagio... eccolo lì che mi aspettava, il “rasoio nazionale”...

... se non fosse che il boia era un giovane sanculotto di nome Mathieu, che desideroso di fare bella figura di fronte al Comitato passò la notte innanzi alla mia esecuzione a oliare e ungere guide, carrucole e mandrini...

Avrei forse potuto sperare che la ghigliottina si inceppasse...

Fu per questo, penso, che scendendo più veloce del solito la mannaia mi troncò il collo così rapidamente che i nervi ne furono interrotti prima ancora che l’informazione della morte sopraggiunta raggiungesse il cervello, sede ultima della coscienza e dei pensieri che in essa si formano.

... affinché la lama scorresse bene e senza intoppi.

Da cui derivò il paradosso, scientificamente accettabile, che mentre il mio corpo si afflosciava inerte sulle assi, la mia testa rotolava nella cesta, cosciente e vigile, morta senza sapere di esserlo, viva in quanto convinta di essere tale.

ancora con disturbo il tonfo che mi stordì quando battei la fronte sul fondo della cesta, la puntura sottile di una scheggia di vimini sotto la pelle.

...

boia mi faceva dondolare lento, davanti alla folla

Ricordo Ricordo che tentai di urlare, ma non uscì alcun suono Ricordo il dolore acuto dei capelli che tiravano mentre il urlante

Ricordo il sapore salato della pioggia che mi batteva sulle labbra, aperte e contratte nell’ultimo respiro troncato dal taglio e anche la sensazione, pungente e fastidiosa, del sangue che sgorgando in un fiotto

gonfiava delle mie vene recise.

Fu la pietà del boia, il sensibile Mathieu non ancora incallito dalla pratica quotidiana del Terrore, a chiudermi un occhio, uno soltanto, poiché per la fretta di terminare il lavoro solo l’indice della mano che mi passò sul volto poté abbassarmi una palpebra, mentre il medio mi sfiorò appena le ciglia.

Tentai di ordinare al mio corpo di intervenire, ma invano...

Per quanto mi sforzassi non ottenni nessuna reazione da quello che era stato il mio corpo, nessuna risposta... non eravamo più collegati in alcun modo.

Attraverso un buco nella cesta, lungo il tragitto della carretta che mi portava al cimitero, potei vedere vecchie cenciose e urlanti, volti deformi di giovinastri butterati dal vaiolo...

... bimbi ghignanti e gonfi e donne pallide d’isteria di cui una che mi sputò addosso, turandomi il naso di una saliva vischiosa, dall’odore acido di urina.

Poi il viaggio finì... e ne iniziò un altro... di nuovo qualcuno mi aveva afferrato per i capelli... e mi ritrovai a volare... grazie al lancio preciso di un becchino...

... poi dritto nel buio totale di un pozzo che, a parabola conclusa, si trovava proprio a fianco della fossa comune.

Roteai in aria come una frombola, mi scagliarono prima nel grigio infinito del cielo...

Sembra ridicolo, ma io devo la mia libertà a...

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