Saggio critico_il Museo tra passato e presente

Page 1

IL MUSEO TRA PASSATO E PRESENTE Saggio critico sul percorso evolutivo dell’istituzione museale: dalle origini alla modernitĂ

Saggio redatto da: Claudia Cagliani, matr.799180


DOMINIQUE POULOT MUSEI E MUSEOLOGIA POULOT, Dominique, Musée et muséologie, Édition La Découverte, Paris 2005, trad.it. Musei e museologia, Jaca Book, Milano 2008.

ROLAND SCHAER IL MUSEO: TEMPIO DELLA MEMORIA SCHAER, Roland, L’invention des musées, Gallimard, Paris 1993, trad.it. Il museo. Tempio della memoria, Universale Electa/Gallimard, Trieste 1996.

2


SOMMARIO

Introduzione

5

PARTE I. COS’È UN MUSEO? 1. Le origini e la definizione di museo 2. La conservazione delle collezioni e l’approccio comunicativo dei musei

10 14

PARTE II. L’EVOLUZIONE DELLE TIPOLOGIE MUSEALI 1. Le tipologie di museo storico 2. Le nuove tipologie museali

20 22

PARTE III. LA STORIA DEI MUSEI 1. I primi musei europei 2. I musei nel XIX secolo 3. Il xx secolo: 1914-1989

28 31 35

PARTE IV. LA NASCITA DEI MUSEI FRANCESI E LA MODERNITÀ 1. I musei francesi: le origini e gli sviluppi 2. Il nuovo orientamento dei musei e il rapporto con la modernità

42 47

3


PARTE V. IL PAESAGGIO MUSEALE CONTEMPORANEO 1. Crescita e mutazioni delle istituzioni museali 2. La nuova museografia e la relazione con il contesto urbano e sociale

50 53

PARTE VI. LA MUSEOLOGIA 1. La museologia tradizionale e la professionalizzazione 2. La museologia contemporanea

59 61

CONCLUSIONI

66

BIBLIOGRAFIA

71

FONTI DELLE ILLUSTRAZIONI

76

APPENDICE

4


Introduzione

5


La seguente trattazione traduce in interpretazione critica i testi elaborati da Dominique Poulot – autore del libro intitolato Musée et Museologie – e da Roland Schaer, che scrive Il museo: tempio della memoria. I due testi presentano contenuti simili ma strutturati diversamente: quello di Poulot è privo di un apparato iconografico – a differenza del ricchissimo repertorio di immagini che possiede il testo di Schaer – e preferisce effettuare degli approfondimenti a riguardo di alcune tipologie museali, che esplicita in modelli di riferimento. Inoltre, il libro di Poulot vuole ripercorrere la storia dei musei dalle origini sino alle esperienze contemporanee mostrando un approccio più segmentario che unitario. Il testo, infatti, talvolta sembra non voler seguire un filo logico bensì storico, presentando al lettore – mediante un carattere storicoenciclopedico – le esperienze museologiche e museografiche connesse a determinati periodi storici sviluppatisi in Europa e in America, senza negare un riferimento al contesto francese. Diversamente il libro di Sacher possiede un linguaggio più discorsivo e s’interessa di descrivere i momenti principali della museografia e museologia europea ponendo sempre in primo piano il contributo francese. Il libro, inoltre, è arricchito da diversi apparati che permettono al lettore di approfondire le tematiche trattate dall’autore ed è accompagnato da immagini, che risultano essere in parte rappresentative, in parte come corredo al testo ed in parte esplicative di argomenti esaminati nella trattazione. Il presente saggio, s’interessa, dunque, di mostrare il panorama dell’evoluzione museale, spaziando dalle origini sino alle esperienze contemporanee mediante un costante confronto tra il passato e il presente. In particolare, approfondisce le tipologie museali che hanno rappresentato uno snodo fondamentale nella storia dei musei, come il

6


cabinet, la period room, il museo all’aperto, senza tralasciare le recenti sperimentazioni identificate nel museo virtuale. L’istituzione museale «spazio sociale e luogo della metamorfosi dell’opera d’arte, espressione dell’architettura cerimoniale e specchio della vita o ancora opera d’arte o semplice contenitore di oggetti»1 ha mostrato nel tempo la capacità di adattarsi ai contesti sociali e culturali per rispondere alle richieste di un vasto pubblico. In questa prospettiva, nasce l’intento di dimostrare che «il museo cessa di essere un semplice edificio e di avere come unico scopo quello di riunire e proteggere le opere» bensì «il museo attuale si sforza di accogliere l’arte viva (Beaubourg), rinuncia a contenere tutto entro le sue pareti (ecomusei), non si interessa della durata dei suoi allestimenti (esposizioni temporanee), [dunque] il museo diventa un centro di analisi dei dati raccolti»2. L’identità museale, risulta una caratteristica necessaria per connotare e rispondere a un determinato contesto sociale. Per questa ragione, la seguente trattazione critica esamina la sostanziale differenza tra gli sviluppi museali in Europa e in America, che scaturisce soprattutto dal contesto storico e culturale che caratterizza i due continenti. «Se i musei europei

furono

strumenti

della

Rivoluzione

francese

e

poi

dell’imperialismo, i musei americani al loro apparire non annoverarono tra i propri obiettivi strategie di riforma sociale […], piuttosto l’esplicito orientamento didattico […]»3. R.Schaer, L’invention des musées tempio della memoria, Gallimard, Paris 1993, trad.it. Il museo. Tempio della memoria, Universale Electa/Gallimard, Trieste 1996, p. 150. 2 B. Deloche, Museologica: contradictions et logiques du Musée, Paris 1983. 3 K.Schubert, Museo, storia di un’idea. Dalla Rivoluzione francese ad oggi, Milano 2004, pp.4748. 1

7


In generale, le esperienze europee e americane si possono sintetizzare in due differenti approcci alla questione museologica: il museo dell’oggetto contro quello della narrazione. Dare priorità assoluta alla missione didattica o rivendicare la sua connotazione di luogo per la contemplazione e la riflessione, sono le due questioni cardinali intorno alle quali ruota questo dibattito museologico. Inoltre il saggio vuole dimostrare come le due posizioni ideologiche benché distanti, si siano spesso ibridate nel corso della storia. Infatti, se è la museologia americana – che vede i propri maggiori rappresentanti nelle figure di John Cotton Dana, George Brown Goode e di Benjamin Ives Gilman – a prediligere il rapporto con il sociale, incentivandolo attraverso la realizzazione di servizi atti a soddisfare le richieste del pubblico; è, invece, l’Europa a dimostrare un approccio più tradizionalista al museo, ponendo in risalto le collezioni e guardando meno al coinvolgimento della comunità. Questi due aspetti hanno trovato un punto d’incontro da quando anche nel nostro continente si è sviluppata un’attenzione verso i visitatori. Come diretta conseguenza di questo aspetto, oggi risulta difficile individuare musei appartenenti all’una o all’altra corrente ideologica: risulta necessario traslare il confronto tra museo dell’oggetto e museo narrativo nella dialettica tra «risonanza e meraviglia»4. Per questa ragione, la trattazione analizza le scelte di allestimento, le quali – come conferma Stephen Greenblatt – incarnano la presente questione, decidendo se focalizzare l’attenzione sul percorso narrativo e quindi

4

S. Greenblatt, Risonanza e meraviglia, in I. Karp, S.D. Levine, Culture in mostra. Poetiche e politiche dell’allestimento museale, Bologna, Clueb, 1995, pp.27-45.

8


spingere il visitatore verso una visione più ampia o focalizzare l’attenzione di quest’ultimo sull’unicità del singolo oggetto. In conclusione, nel corso degli ultimi decenni, si è affermata l’idea di un museo inteso come opera d’arte, dettata dalle appariscenti architetture firmate dagli archistar. Il testo critico invita, quindi, il lettore a ragionare sulla questione di cosa rappresenti l’istituzione museale e se possa davvero esistere un museo senza oggetti, che affermando il linguaggio architettonico del contenitore, pone in secondo piano il proprio contenuto.

9


PARTE I. COS’È UN MUSEO?

10


1. Le origini e la definizione di museo

«La parola museo indica ogni istituzione permanente, amministrata nell’interesse generale al fine di conservare, studiare, valorizzare con mezzi diversi ed essenzialmente esporre per diletto e l’educazione del pubblico un insieme di elementi di valore culturale: collezioni di oggetti artistici, storici, scientifici e tecnici, giardini botanici e zoologici, acquari»1. In questo modo, nel luglio del 1951, l’ICOM forniva la propria definizione di museo. Di notevole importanza è l’evoluzione della stessa, rivisitata nel 1974, che ha comportato una svolta nell’accezione del termine. Il museo, quindi, risulta essere «un’istituzione permanente, senza fine di lucro, al servizio della società e del suo sviluppo, aperta al pubblico, e che effettua ricerche sulle testimonianze materiali dell’uomo e de suo ambiente, le acquisisce, le conserva, le comunica e, in particolare, le espone a scopo di studio, di educazione e di diletto»2. Parallelamente, esistono diverse definizioni e rappresentazioni legate alla disciplina della museologia. Per comprendere pienamente il significato attribuito al termine museo, risulta necessario esaminare l’iter etimologico che ha portato alla sua accezione moderna, definita dall’ICOM. Secondo l’etimologia classica, il termine museo deriva da una piccola collina sulla quale era collocato il tempio dedicato alle Muse. Diversamente, Pausania nella Descrizione della Grecia testimonia la genealogia tradizionale del museo attraverso la figurazione dello stesso in uno spazio aperto e pubblico come il portico sull’Agorà di Atene e la Mensch. P. Van, Muséologie et musées, Nouvelles de l’ICOM, vol.42, 1988, p.7. Conseil International des Musées (ICOM), Status.Code de déontologie professionnelle, Conseil international des musées, Pris, 1990 p.74. 1 2

11


Pinacoteca dei Propilei sull’Acropoli. Bisognerà, però, attendere il Rinascimento e l’Illuminismo per parlare di museo nell’accezione moderna del temine. La precedente analisi mostra, dunque, come i musei contemporanei siano strettamente connessi ad archetipi antichi: la tomba, il tempio. A questi si aggiungono i dispositivi della memoria come il teatro e la biblioteca, dove quella di Alessandria d’Egitto – composta da una comunità di eruditi – ne costituisce un emblema insieme ai suoi giardini botanici e zoologici, gli osservatori astronomici e i laboratori di anatomia. A causa di una querelle tra le correnti di pensiero delle diverse associazioni di conservatori – a riguardo della natura del museo e dell’inclusione di ulteriori discipline nella categoria (zoo, giardini botanici, planetari…), proprio come accadeva ad Alessandria d’Egitto – i Ministeri della Cultura si sono attivati a definire le condizioni minime per aver diritto al titolo di museo e dunque beneficiare di sovvenzioni pubbliche. A questo proposito, l’Associazione Americana dei Musei accorda all’istituzione il nome di museo solo se «è per sua natura essenzialmente educativa»3. Diversamente, in Francia, si pone una nuova attenzione verso il fruitore, infatti, si tende ad attribuire il termine museo a un’istituzione che possiede una collezione permanente composta da beni che rivestono un interesse pubblico. Il termine Musée de France è riferito a qualsiasi ente pubblico o privato che mira a rendere le proprie collezioni accessibili a un vasto pubblico, il quale oltre a esserne istruito ne è soprattutto dilettato4. Anche la letteratura museologica si esprime a riguardo, focalizzando l’attenzione su aspetti pedagogici, come dimostrano i testi del famoso museologo Georges-Henri Rivière. La museografia puritana e scientifica, che Rivière propone, si basa sulle ricerche condotte dal 3

AAM cit. in D. Poulot, Musée et muséologie, Édition La Découverte, Paris 2005, trad.it. Musei e museologia, Jaca Book, Milano 2008, p. 19. 4 Cfr. D. Poulot, Musée et muséologie, Édition La Découverte, Paris 2005, trad.it. Musei e museologia, Jaca Book, Milano 2008, p. 21.

12


Centro di etnologia francese e risulta essere non solo un modello per i musei francesi della seconda metà del Novecento, ma contribuisce alla diffusione internazionale di un approccio etico ed estetico al lavoro del conservatore. Inoltre, come è sancito nel Manifesto di Joseph Veach Noble, la definizione di museo comporta un riflessione sulle sue funzioni. In particolare, ne sono indicate cinque: collezionare, conservare, studiare, interpretare, esporre. Contrariamente l’olandese Peter van Mensch pone l’attenzione solo su tre funzioni e in particolare enfatizza il ruolo comunicativo che deve possedere questa istituzione. Sulla base di queste tesi, è fondamentale riconoscere l’importanza dell’allestimento, dove «il gesto di esporre non deve nascondere la sua complessità»5 e «il valore evocativo dell’oggetto scelto a essere medium di un sapere, di una cultura e della sua trasmissione a un’utenza potenzialmente illimitata»6 risulta un aspetto fondamentale della narrazione che egli stesso crea e che viene proiettata oltre la sua singola presenza. In conclusione, alle definizioni proposte dall’ ICOM, si affianca una più recente che include nel concetto di museo anche le testimonianze immateriali ovvero la danza, la musica, i rituali e forme di affermazione identitaria delle civiltà. Resta, ora, cercare i giusti mezzi per preservare il ricco patrimonio immateriale che possediamo, parallelamente alla volontà di rendere accessibile a un vasto pubblico i beni materiali esposti nei musei. Si sviluppano, sulla base di queste riflessioni, una serie di considerazioni a riguardo del museo virtuale. L’Australia promuove le collezioni informatizzate di oggetti, espediente aspramente dibattuto dalla critica che non intende considerare legittima questa forma di esposizione museale. È apprezzabile, in ogni caso, la sperimentazione e l’apertura verso il futuro e verso nuove forme di educazione del pubblico 5

M. C. Ruggieri Tricoli, I fantasmi e le cose. La messa in scena della storia nella comunicazione museale, Edizioni Lybra Immagine, Milano 2000 p. 40. 6 G. Plinio, Naturalis Historia, libro XXXVII, Einaudi, Bologna 1982, p. 90.

13


non specializzato, finalizzata soprattutto alla trasmissione del patrimonio materiale e immateriale alle generazioni future in chiave digitale. Ciò non deve essere confuso con un recente approccio alla materia da parte di alcuni musei di arte contemporanea, i quali commissionano ad artisti opere che permettono la condivisione del sapere e la promozione dello studio e delle innovazioni nel settore informatico. Quindi il museo virtuale, in opposizione a quello tradizionale, non promuove piÚ un'esperienza educativa che scaturisce dall'incontro tra una persona e un oggetto esposto, bensÏ un rapporto distante dall'insieme di elementi digitalizzati.

14


2. La conservazione delle collezioni e l’approccio comunicativo dei musei

La conservazione delle collezioni risulta essere un nodo fondamentale attorno al quale è ruotato lo sviluppo dell’istituzione museale. La pratica del collezionismo ha origini molto lontane. Le prime forme nascono con i tesori dei templi e delle chiese e trovano il loro massimo sviluppo durante il Rinascimento. La Roma classica diviene oggetto di culto: si diffondono nei palazzi rinascimentali opere ritrovate durante gli scavi archeologici, che costituiscono un’attività primaria in questo secolo. Diventa, dunque, necessario un luogo in cui esporre le rarità collezionate. È Paolo Giovio – illustre storico e umanista che opera nella seconda metà del Cinquecento – a fondare il primo museo: una casa che ospita la sua collezione di ritratti di uomini illustri – apprezzata più tardi da Caterina de’ Medici e dai sovrani francesi – dove in una stanza dedicata alla muse e ad Apollo, denominata museo, egli custodisce i pezzi più illustri. Nell’intento di voler preservare le collezioni, sorgono alcuni musei pubblici come gli Uffizi che mirano ad evitare dispersioni del patrimonio. Questo atteggiamento mostra l’importanza che i musei europei rivolgono alle proprie collezioni. Per questa ragione, la vendita parziale delle stesse – pratica diffusa nei musei degli Stati Uniti – ha suscitato molte critiche e perplessità nel vecchio mondo. In realtà, è stato dimostrato che il de-accessionning in alcuni casi può comportare danni ai valori intrinseci del museo, mentre in altri può giovare l’istituzione predisponendo un nuovo orientamento dei propri fini. Nel corso degli anni, in seguito a molteplici dibattiti, nasce quindi l’esigenza di possedere un’etica in materia delle collezioni. Essa si basa sul diritto di

15


proprietà dei musei, che diviene la prerogativa principale, motivo di rivendicazione su scala internazionale. Di conseguenza l’approccio all’istituzione museale può presentarsi secondo due atteggiamenti da parte del visitatore: di stupore, generato dall’opera e dalla decontestualizzazione della stessa; oppure di riferimento verso altri saperi. Il primo scaturisce dalla visione di opere affascinanti e si identifica nella tradizione dei cabinet, diversamente il secondo si basa sulla contestualizzazione e s’interessa di esporre opere che possano testimoniare riferimenti condivisi. I cabinet – illustrati nel XVII secolo nei dipinti fiamminghi – trovano il loro massimo sviluppo nel Seicento. Essi acquisiscono il carattere di «stanze dell’arte e delle meraviglie»1 e si identificano in «vasti teatri che abbracciano le materie rare e le mirabili immagini della totalità delle cose»2 in quanto, accanto a opere antiche e cimeli, ospitano collezioni di oggetti curiosi, artificiali o naturali, provenienti da terre lontane. Questa forma di collezionismo trova la sua fortuna in tutta Europa: dalle Kunst und Wunderkammer in Germania agli studioli in Italia. Ben presto questo interesse si diffonde anche tra i sovrani, i quali vogliono ricostruire nelle loro ricche dimore questi interessanti microcosmi. Per questa ragione sorge una nuova trattatistica: ne costituisce un esempio Samuel Quiccheberg, che nel suo trattato, definisce le modalità espositive connesse ai cabinet reali. Il forte interesse suscitato da questa tipologia di esposizione museale, conduce alla realizzazione, da parte di illustri sovrani, di edifici per accogliere le curiosità. Non mancano le sperimentazioni formali come testimonia la Kunstammer di Monaco di Baviera, la quale preannuncia una tipologia architettonica, in seguito rielaborata, per le istituzioni museali connesse alla materia artistica. I gabinetti delle curiosità non si limitano ad esporre solamente anticaglie e oggetti esotici, ma s’interessano di mostrare 1

R.Schaer, op.cit., p. 23. S. Quiccheberg, Iscriptiones vel tituli theatri, 1565, trad.ing. The First Treatise on Museums: Samuel Quiccheberg's Inscriptiones, 1565, Getty Research Institute, Los Angeles 2014, p. 55. 2

16


anche gli studi di piante, minerali, fossili e utensili scientifici, prefigurando dunque lo sviluppo delle scienze naturali. Eredi dei cabinet scientifici saranno i musei della scienza e della tecnica, sviluppatisi nel XVIII secolo. Ai cabinet si affianca l’interessante apporto degli amateurs come quello di Ferdinando Cospi, Borilly, Rascas de Bagarris, i quali s’interessano di pubblicare guide e cataloghi delle collezioni possedute. Un forte interesse per la ricerca scientifica – derivato dall’esperienza dei cabinet e dal contributo degli amateurs – risulta essere il fine primario delle acquisizioni e delle esposizioni. Esse sono strettamente connesse alla comunicazione, la quale si esplica attraverso la realizzazione di cataloghi. La storia insegna come i cataloghi siano divenuti strumenti per promuovere un’istituzione o addirittura, come nel caso della Francia rivoluzionaria, dispositivi capaci di acquisire un carattere politico e divulgativo. La pubblicazione dei cataloghi, inoltre, pone l’attenzione sia sulla definizione di un inventario nazionale, sia sulla democratizzazione del sapere, unica capace di porre fine al vandalismo. Purtroppo, spesso, si è verificato un approccio superficiale al tema. I musei francesi ne costituiscono un esempio. La mistificazione della figura di GeorgesHenri Rivière da parte dei Musée de France ha sviluppato la convinzione da parte degli stessi che il solo riferimento al museologo all’interno dei cataloghi avrebbe evidenziato il legame tra l’istituzione e il CNRS. Pubblicare un catalogo, inoltre, serviva anche a imporre il pensiero dei conservatori sulla storia dell’arte della nazione. Oggi, diversamente dal passato, la Francia pone in primo piano la ricerca all’interno delle istituzioni museali, promuovendo una collaborazione con gli istituti di ricerca nazionali e internazionali. Verso la fine del XIX secolo si sviluppano nuovi approcci comunicativi da parte dell’istituzione museale. Questi si esplicano nei musei effimeri, che mirano a facilitare il confronto tra visitatori ed esperti, offrendo condizioni di visibilità e di studio. Si diffondono, grazie alle nuove tecnologie, i musei scientifici, che focalizzano l’attenzione

17


sull’istallazione di dispositivi interattivi, permettendo un’attiva partecipazione da parte degli utenti. Dunque, «la trasformazione dei musées de depôts» in «musées d’expôts»3 comporta un cambiamento radicale nel modo di esprimersi delle istituzioni museali. Non si bada più, infatti, a possedere collezioni esaustive, piuttosto si pone l’attenzione sulle istallazioni temporanee, che evidenziano l’originalità del museo che la ospita. Vi è, dunque, un capovolgimento del legame che vigeva nel passato tra museo ed esposizione: in precedenza, l’esposizione era caratterizzata dal museo che l’organizzava; al contrario, oggi, è l’esposizione a caratterizzare il museo. In particolare «[…] se l’esposizione è un mezzo tanto potente ciò dipende dal fatto che il suo messaggio è garantito da un’istituzione di cui si avverte l’autorevolezza»4. Nel corso degli anni i depositi, finalizzati a soddisfare la necessità d’immagazzinamento, hanno acquisito un’importanza maggiore. Alla base di questo aspetto vi è la convinzione che l’atto di esporre si assimila a un diritto democratico. Per questa ragione, molte istituzioni museali hanno attivato l’apertura dei propri depositi in determinate occasioni, col fine di incentivare le visite. Questo aspetto ha interessato molti musei europei, sia esistenti che di recente realizzazione; i quali hanno avuto approcci differenti nella gestione dei propri depositi. In alcuni casi, in particolare, i magazzini museali si identificano con l’istituzione stessa. Sulla base di queste recenti mutazioni, il conservatore Michael Conforti enuncia quattro elementi, finalizzati alla stabilità dell’istituzione: la definizione della missione del museo; la struttura amministrativa e professionale; la natura delle collezioni; l’edificio. Il conservatore mira, dunque, a definire gli elementi fondamentali che dovrebbero costituire un’istituzione museale per fare in modo tale che quest’ultima non cada 3

D. Poulot, op. cit. p.24. Commissione americana dei musei cit. in D. Poulot, Musée et muséologie, Édition La Découverte, Paris 2005, trad.it. Musei e museologia, Jaca Book, Milano 2008, p. 25. 4

18


nell’insuccesso e nell’incapacità di gestire le trasformazioni dettate dalle esigenze del momento.

19


PARTE II. L’EVOLUZIONE DELLE TIPOLOGIE MUSEALI

20


1. Le tipologie di museo storico

Nel 1969 il rapporto Belmont, pubblicato dalla AAM, recensiva 84 tipi di museo. In generale si potrebbero definire due macro categorie: i musei tradizionali, spesso connessi alla storia; e nuove tipologie di istituzione museale, nate negli ultimi secoli. I musei di storia possiedono un fine identitario, infatti mirano a preservare e valorizzare il sentimento nazionale o comunitario. Per la suddetta ragione questa tipologia di istituzione ha raggiunto la massima importanza, in Europa e nel Nuovo Mondo, durante i periodi di maggiore fervore patriottico. Il Museo dei Monumenti Francesi – fondato intorno alla seconda metà del Settecento dal conservatore Michelet e promosso dall’artista Alexandre Lenoir – risulta essere la prima istituzione museale di carattere storico. L’ex convento dei Petits-Augustins, infatti, pone come principale intento quello di mostrare la ciclicità della storia, legata al progresso della società. In particolare focalizza l’attenzione del visitatore sulla storia francese: dalle origini sino ai nostri giorni. Ulteriori tipologie, proprie del museo storico, sono il museo romantico e il museo-laboratorio. Definito da Victor Hugo come «magnifica rilegatura della storia francese»1, il museo di Versailles vuole evidenziare la labilità dei due volti della Francia pre e post-rivoluzionaria. Dunque mette in mostra una rappresentazione finalizzata a «elevare tra noi lo studio dei ricordi e dei monumenti del paese al rango di istituzione nazionale»2.

1

V. Hugo, cit. in D. Poulot, Musée et muséologie, Édition La Découverte, Paris 2005, trad.it. Musei e museologia, Jaca Book, Milano 2008, p. 33. 2 A. Thierry, Considérations sur l’historie de France, s.e., Paris 1840.

21


Il movimento romantico e l’interesse per la Grecia antica, stimolato dagli scritti del Winckelmann, che proliferavano in quegli anni, provocano un notevole cambiamento nell’ambito della ricerca museale. Si pone attenzione, infatti, alle manifestazioni della diversità della cultura, promuovendo collezioni più recenti e locali. Parallelamente si sviluppa una prospettiva verso il patrimonio archeologico che si impone sul repertorio classico. Inoltre, grazie alle spedizioni napoleoniche, si accresce in Francia l’interesse per l’arte egizia che sfocia in alcuni allestimenti nelle sale del Louvre. Gli scopi del museo storico possono essere sintetizzati nel programma del Germanisches Nationalmuseum di Norimberga: creare un inventario delle fonti, rendere pubblica la mostra museale, istruire il pubblico. Fondato nel 1852, esso s’interessa di preservare l’arte medievale, elevata a simbolo nazionale. Il museo-laboratorio – tipologia derivante dal museo storico che assume successivamente una propria identità – si orienta verso l’avvenire della scienza a discapito della memoria del passato. Lo stesso Boucher de Perthes definisce la cultura «una cornice per l’avvenire»3 che possiede un rapporto attivo con la storia.

3

B. de Perthes, cit. in D. Poulot, Musée et muséologie, Édition La Découverte, Paris 2005, trad.it. Musei e museologia, Jaca Book, Milano 2008, p. 36.

22


2. Le nuove tipologie museali

Nel xx secolo il confronto tra le differenti discipline ha generato la storia delle scienze sociali. In particolare, negli anni Settanta, vengono alla luce nuove tipologie museali che si interessano di rappresentare la storia economica e sociale. Inoltre, si diffonde una preoccupazione pedagogica da parte delle istituzioni che riguarda soprattutto la Gran Bretagna e la Francia. L’istituzione museale adempie, quindi, il compito di «moralizzare attraverso l’istruzione, affascinare attraverso le arti e arricchire attraverso le scienze»1. Inoltre, sempre più spesso, popolano le città i musei dedicati alla storia del presente. Le guerre mondiali, l’olocausto e la riconciliazione sembrano i temi più frequenti messi in mostra nei musei. Questa repentina inclinazione, alla quale tendono di recente le istituzioni museali, ha suscitato polemiche e interrogativi da parte degli studiosi. Le perplessità vertono soprattutto sul ruolo pedagogico e sociale di questi musei. Il rischio nel quale incorrono è quello di rappresentare la storia in maniera troppo verista per poter rispondere alla richiesta del pubblico di «commemorare un passato destoricizzato, rappresentato in forma di esperienza condivisa»2. La museologia dell’Olocausto, caratterizzata dalla difficoltà di narrare un tema complesso e traumatico, trova un testimone rappresentativo nel museo ebraico di Daniel Libeskind a Berlino, dove l’istituzione diviene essa stessa memoriale. Per contro, il Museo dell’Apartheid a 1

E.Groult, Institution des Musées cantonau: lettre à Messieurs les Délégués des Sociétés savantes à la Sorbonne, s.e., Paris 1877. 2 D. Poulot, op. cit. p. 36.

23


Johannesburg incarna il tema della riconciliazione. Esso «cerca di ricordare il passato in modo che sia familiare e spaventoso al tempo stesso»3 permettendo al visitatore di riflettere sul razzismo, sulla povertà e su tutte le piaghe che caratterizzano la nostra civiltà. Ulteriori scelte museografiche vertono sull’etnologia. Di fondamentale importanza per la piena comprensione del tema risulta essere il confronto tra le esperienze francesi e tedesche. Il museo etnografico, infatti, risulta notevolmente influenzato dai modelli scientifici nazionali. Gli stati preunitari, che costituivano la Germania nel periodo successivo alla guerra, erano impegnati a valorizzare la loro cultura incentivando la nascita degli Heimatmuseum. L’attivismo, presente in queste piccole patrie, ai fini di creare un proprio patrimonio culturale, viene riconosciuto come principale contribuente al successo dell’unificazione della Nazione tedesca. Differente è l’approccio francese all’etnologia. Inizialmente, le collezioni etnografiche erano composte da un ampio repertorio di oggetti che si estendeva da cimeli reperiti nei viaggi a collezioni geografiche. Bisognerà attendere la metà del secolo per poter palare dell’etnologia come disciplina autonoma. Il Museon Arlaten è uno dei primi musei di etnografia regionale e sembra essere il promotore di una rivoluzione nel mondo museale. Purtroppo le aspettative sfumano prematuramente, infatti si è ancora lontani dalla «creazione di musei rurali sull’intero territorio francese»4. Solamente a cavallo tra le due guerre mondiali, la Francia pone importanza alla nozione di cultura, riconoscendo quella popolare, contadina e operaia. Georges-Henri Rivière – promotore della fondazione UNESCO e sostenitore di una nuova museologia connessa allo sviluppo sociale – con il Museo delle Arti e Tradizioni Popolari ne costituisce un esempio. Purtroppo, musei che 3

J.Noero cit. in D. Poulot, Musée et muséologie, Édition La Découverte, Paris 2005, trad.it. Musei e museologia, Jaca Book, Milano 2008, p. 38. 4 C. Brun cit. in D. Poulot, Musée et muséologie, Édition La Découverte, Paris 2005, trad.it. Musei e museologia, Jaca Book, Milano 2008, p. 40.

24


trattano temi simili a quest’ultimo sono stati vittime della loro posizione decentrata che ne ha comportato il fallimento. Il rimpianto per la scomparsa del tessuto storico spinge alla tutela del patrimonio urbano. Dunque, il museo della città si fa portavoce dell’identità locale. Nonostante l’inclinazione differente, il prefetto Haussmann, artefice dello sventramento del tessuto medioevale parigino, decide di conservare i resti più interessanti, favorendo la realizzazione del Museo Carnavalet. Esso mira a ricostruire materialmente aspetti della vita borghese e popolare parigina evidenziando i progressi che hanno caratterizzato le diverse epoche. Il museo della città, dunque, si interessa di rappresentare quest’ultima sotto tutti gli aspetti: storico, geografico, architettonico e sociale. Ma la definizione stessa di città porta con sé una serie di ambiguità socio-culturali ed etniche che ne rendono complessa la trasmissione. Inoltre, l’istituzione museale che presenta questo carattere mira a fornire l’immagine di un’epoca significativa trascorsa o di quella attuale del contesto urbano in esame, focalizzando l’attenzione su temi politici e sociali. Questa tipologia museale si diffonde soprattutto nei quartieri anglosassoni e francesi con l’intento di risvegliare nella popolazione il senso di appartenenza a una comunità. In questa prospettiva, le antichità – intese sia come «opere alle quali si accorda un valore universale», che «come oggetti, monumenti o documenti storici che vengono conservati come tracce materiali di una cultura scomparsa»5 rappresentano l’identità nazionale. Esempi significativi di questa tipologia sono il Museo della città di Londra e il Museo Nazionale Romano, che preferisce l’idea del museo diffuso nella città6. L’innovazione più originale del XX secolo risulta essere il museo all’aperto. Il filologo Hazelius – con l’intento di esporre le abitudini del popolo scandinavo e di preservare questo patrimonio a rischio 5

R. Schaer, op. cit. p. 42. cfr. AA.VV., a cura di, voce Museologia, in Grande Dizionario enciclopedico, UTET, Torino 1933. 6

25


d’estinzione a causa del fenomeno dell’industrializzazione – decide di non mostrare solamente costumi tipici e utensili, bensì rivolgere l’attenzione al loro modo di vivere. Per questa ragione, a Skansen nasce il villaggio di officine e di attività tradizionali, che inaugura questa nuova tipologia museale. Il museo di Skansen, quindi, risulta essere una vera e propria «capsula del tempo»7 che – non senza la componente ludica – mira a valorizzare un momento storico o un personaggio del luogo. Durante la nona conferenza dell’ICOM, tenutasi nel 1971, nasce l’intento di salvaguardare e far conoscere al pubblico un patrimonio legato a una comunità e a un ambiente, rendendo legittima la nuova tipologia museale. Inizialmente questa istituzione confluisce nei parchi naturali regionali, successivamente il museo della comunità Le CreusotMontceau-les-Mines ne diviene il principale riferimento. Gli abitanti del luogo assumono un ruolo centrale, infatti le musée à l’air oltre ad essere «uno specchio in cui una popolazione si guarda per riconoscersi, in cui cerca la spiegazione del territorio al quale è legata, assieme alla [storia] delle popolazioni che l’hanno preceduta […]»8; permette alla popolazione di parteciparvi in modo da «passare dal ruolo di consumatore del museo a quello di attore, se non di autore del museo»9. Nel 1968 – erede dei musei all’aperto e dell’esperienza etnografica – nasce l’ecomuseo. L’etimologia del termine fonde due aspetti caratterizzanti il museo: la conservazione e il concetto di ambente, inteso come salvaguardia del patrimonio culturale diffuso sul territorio. Queste istituzioni, infatti, testimoniano le diversità culturali, affermando l’identità delle comunità. Quindi, mentre «i musei possiedono una P.C. Marani, R. Pavoni, Musei. Trasformazioni di un’istituzione dall’età moderna al contemporaneo, Marsilio Editori, Venezia 2006 p. 89. 8 H.Varine-Bohan de, L’écomusée, “Gazzette de l’Association des musées canadiens”, vol.X, n.2, 1978, pp.31. 9 Ibidem. 7

26


collezione, gli ecomusei un patrimonio; i primi si collocano in un immobile, i secondi su un territorio; i musei si rivolgono e vivono grazie al pubblico, gli ecomusei operano con e per una popolazione»10 Infine negli anni Settanta si afferma un movimento internazionale per una nuova museologia, il MINOM, il quale si interessa di mostrare i cambiamenti sociali e culturali che avvengono nella nostra epoca e in quelle immediatamente precedenti. Supportato della cooperazione interculturale, il museo divine uno strumento per la costruzione dell'identità e per lo sviluppo della comunità. Contemporaneamente è sancita dall’ICOM una nuova nozione di patrimonio etnografico che influenza gli omonimi musei.

Id., Le musée au service de l’homme et du développement,1969, ora in Vagues. Une antologie de la nouvelle muséologie, A. Deesvalles, Paris 1992 trad it. R Pavoni, Musei. Trasformazioni di un’istituzione dall’età moderna al contemporaneo, Marsilio Editori, Venezia 2006 p. 91. 10

27


PARTE III. LA STORIA DEI MUSEI

28


1. I primi musei europei

Nella seconda metà del XVII secolo, il successo dei cabinet lascia il posto ai primi musei pubblici: l’interesse per le curiosità viene fortemente criticato poiché ritenuto vano, in favore di un approccio maggiormente scientifico. L’avvento dell’età moderna stabilisce un nuovo rapporto tra i visitatori, il museo e le collezioni esposte. In particolare, l’esposizione delle proprietà artistiche borghesi e principesche – viste come corpus da trasmettere – si configura sulla base di un modello definito, ponendo, per la prima volta, in secondo piano il gusto del proprietario. Inoltre, il pubblico comprende non solo gli intimi e i privilegiati; ma anche gli specialisti degli oggetti facenti parte delle collezioni; gli studenti del settore e un turismo d’élite. La traslazione della gestione delle opere esposte, dal collezionista all’università, permette una maggiore apertura al pubblico. Ne è testimone l’Ashmolean Museum, il quale – gestito successivamente dall’università di Oxford – vanta un incremento di visite. Questo atteggiamento diffonde in tutta Europa la convinzione che la trasmissione del sapere sia una responsabilità pubblica. L’iniziativa è accolta dalle maggiori capitali europee e dai sovrani illuminati. «Il popolo veda e s’istruisca»1 diventa il motto del periodo. La nascita dell’interesse per la disciplina scientifica deve essere, però, riconosciuto ai cabinet, i quali «non servono solo a titolo di curiosità, ma sono

Pietro I Romanov cit. in R.Schaer, L’invention des musées tempio della memoria, Gallimard, Paris 1993, trad.it. Il museo. Tempio della memoria, Universale Electa/Gallimard, Trieste 1996, p. 35. 1

29


innanzitutto mezzi di perfezionamento delle scienze e delle arti»2. Questo aspetto preannuncia una maggiore specializzazione che comporta una nuova organizzazione del sistema museale. Si passa dall’accumulo disordinato di rarità – che si identifica nell’estetica barocca – al principio di disposizione per ordine storico, fatta eccezioni per i capolavori assoluti – ospitati in maestose sale come la Tribuna degli Uffizi e il Salon Carré del Louvre – considerati atemporali. La fondazione dei musei nazionali fortifica la convinzione che l’ingresso al museo costituisca un diritto del cittadino e sottolinei il senso di appartenenza alla patria. I primi musei europei si configurano secondo l’idea di una galleria progressiva3. Si attribuisce l’idea primaria a Carlo Lodoli, e successivamente sarà ripresa in tutta Europa. Lo stesso Scipione Maffei, nel suo programma per un museo epigrafico, prevede la collocazione delle iscrizioni in maniera progressiva; seguito più tardi dall’architetto Alessandro Pompei che progetta un portico classico che diviene la cornice delle collezioni esposte e sottolinea il tema della galleria. A causa della mancanza di un’esatta cronologia dei pezzi esposti, i musei d’antichità non possono adottare l’idea di una galleria progressiva. Per questa ragione, Roma sarà la prima capitale a sperimentare una museologia più moderna. Ne costituisce un modello esemplare il Museo Pio-Clementino. Il desiderio tedesco di affacciarsi sulla scena europea, è incarnato nella figura del conte Algarotti, il quale prevede la progettazione di un museo enciclopedico. L’istituzione museale, pur non essendo stata realizzata, ha influenzato notevolmente i musei della Germania e ha segnato l’inizio di un approccio erudito all’arte, tipico dei musei illuministi. Verso la fine del Settecento, si diffonde in Europa l’esigenza di classificare le opere esposte secondo le epoche e le nazioni a cui W. G. Leibniz cit. in R.Schaer, L’invention des musées, Gallimard, Paris 1993, trad.it. Il museo. Tempio della memoria, Universale Electa/Gallimard, Trieste 1996, p. 38. 3 cfr. C. Lodoli cit. in D. Poulot, op. cit. p. 48. 2

30


appartengono. Inoltre, si constata l’esistenza di collezioni non ordinate e prive di cataloghi che provoca sconcerto presso gli studiosi, i quali avevano riposto nell’istituzione museale la speranza di dissipare l’ignoranza e quindi di istruire i visitatori. La Francia, in risposta a ciò, fonda diverse scuole di disegno – tra le quali si ricordano quella del pittore J.-B. Descamps – finalizzate a diffondere l’apprendimento delle arti. Nonostante l’impegno dimostrato dalle capitali europee, le modalità di apertura e di visita dei musei presentano diverse problematiche. Questi aspetti comportano un ingresso limitato ai soli studiosi e artisti, rendendo vana la speranza di un’istituzione che possa essere destinata a un pubblico meno specializzato.

31


2. I musei nel XIX secolo

Nel XIX secolo, il museo classico diviene l’emblema di una nazione o di una civiltà. Esso custodisce tutte le opere più rappresentative, simboliche, autentiche e di qualità, le quali conferiscono autorevolezza all’istituzione museale. La collezione, dunque, diviene un elemento di contesa e di concorrenza tra i musei nazionali. In ogni caso, qualunque sia la natura delle opere esposte, ogni museo è finalizzato all’istruzione pubblica e per questo motivo è legittimo in tutti i suoi aspetti. Di fronte alle difficoltà riscontratesi per garantire questo aspetto pubblico, le istituzioni museali europee si attivano per incentivare una professionalizzazione dei compiti. Nonostante i buoni propositi, la suddetta missione entra in crisi dopo il primo conflitto mondiale. Superato l’evento bellico, i musei europei dimostrano una dimensione internazionale, sia per le loro collezioni che per la mobilità del loro pubblico. Dunque risultano essere un modello culturale di grande interesse. Sin dal passato, l’Italia, l’Inghilterra, la Francia e la Germania possiedono musei esemplari grazie all’importanza delle collezioni che espongono e alla loro organizzazione. Esempi significativi sono gli Uffizi, il Museo Pio-Clementino, il British Museum, caratterizzati o dal modello architettonico a galleria rettangolare con illuminazione zenitale – sperimentata al Louvre – oppure da un grande atrio o scala monumentale intorno al quale si organizzano una serie di sale quadrate o rettangolari. Parallelamente, le istituzioni museali francesi adottano un modello architettonico che rimanda ai padiglioni napoleonici. Solo con l’avvento

32


del gotico, viene presa in considerazione un’alternativa ai modelli fino ad allora adottati. La museografia, che caratterizza questo secolo, ruota attorno a tre aspetti: la progettazione dell’istituzione museale come occasione per ridisegnare un centro urbano; l’attenzione all’illuminazione delle sale espositive; i meccanismi di esposizione. Diviene Leitmotiv del secolo l’utilizzo delle vetrate, che segna il passaggio dall’opulenza del palazzo rinascimentale a una nuova leggerezza degli ambienti. Inoltre si impone «la distinzione funzionale tra spazio di accoglienza o di circolazione e sale di esposizione»1. Il XIX secolo risulta essere un momento fondamentale per la museologia e museografia europea. È, infatti, in questo periodo che nascono gli archetipi museali che saranno considerati tali per oltre un secolo. Berlino vanta la cosiddetta Museuminsel, distretto museale circondato dalla Sprea. I musei principali di questo Museumforum presentano caratteristiche differenti, che rendono variegato il panorama museale berlinese. All’appello dei musei più interessanti non possono mancare l’Altes Museum, contraddistinto dall’aspetto monumentale di un tempio e legato alle tesi dell’idealismo; il Neues Museum eretto nel 1843 dall’architetto Stüdler e successivamente restaurato e ampliato da David Chipperfield; il Kaiser-Friedrich-Museum, divenuto successivamente il Bode Museum, in onore dell’esemplare direttore Wilhelm von Bode; il Pergamonmuseum che ospita opere esemplari risalenti alla civiltà assirobabilonese e il maestoso Altare di Pergamo. Il passaggio dalla classicità, che costituisce le istituzioni museali di questo tempo, a un approccio più avanguardista, è segnato dalla collaborazione tra El Lisitskij e Moholy-Nagy per la realizzazione del cabinet astratto e la sala del nostro tempo.

1

P. Vaisse, La storia delle attività della regione e della città, in Georgel 1994.

33


I musei inglesi, nello specifico londinesi, nascono grazie alla generosità di grandi collezionisti, i quali per amor patrio, espongono per un vasto pubblico i loro beni artistici. Grazie a questi contributi nasce il Victoria and Albert Museum, elevato a modello di riferimento dai musei europei. Esso dispone di una collezione vastissima di calchi di monumenti e fotografie: tecniche di riproduzione promosse da Henry Cole, direttore del museo, ai fini di esporre una collezione universale. Inoltre, nascono istituzioni museali destinate specificamente al popolo, le cosiddette «gallerie filantropiche»2. La Whitechapel Art Gallery – inaugurata nel 1901 – ne costituisce un esempio significativo e vanta di essere la prima galleria pubblica di arte contemporanea. Infine, mosso dal timore della scomparsa del tradizionale paesaggio inglese, il National Trust si costituisce in associazione senza fine di lucro con l’obiettivo di preservare siti o monumenti britannici. L’interessante esperienza museografica europea si differenzia notevolmente da quella americana. Come afferma il museologo Johnson Cotton Dana, l’America mostra un netto rifiuto dell'esperienza museale classica, promossa invece in Europa.3 Il museo americano, infatti, si fa portavoce del progresso industriale nazionale, promuovendo un’alleanza tra l'istituzione e il business. Sono testimoni di ciò l'American Museum of Natural History e – grazie alla figura di Richard Bach – il Metropolitan Museum. Di grande interesse risultano le sue esposizioni: la mistione tra oggetti di uso commerciale e anticaglie greche – che avevano ispirato la realizzazione di quei prodotti facilmente acquistabili – suscitano grande fascino nel pubblico americano. Questo approccio anticipa l’interesse verso i grandi magazzini, che diventano un modello espositivo di riferimento. La comunicazione e il confronto educativo con la società – non senza un approccio ludico e stupefacente identificato in

2 3

D. Poulot, Musée, nation, patrimonie,1789-1815, Gallimard, Paris 1997. cfr. J. Cotton Dana, cit. in P.C. Marani, R. Pavoni, op. cit. p. 46.

34


un «divertimento razionale»4 – costituiscono i principi basilari e le strategie adottati della museologia americana. Lo sviluppo del panorama museale oltreoceano sarà caratterizzato, dunque, dal connubio tra le aziende produttrici e le istituzioni museali. L’attenzione rivolta all’industria e agli investitori si dichiara nel mecenatismo privato, grazie al quale, sorgono nuovi musei finalizzati alla diffusione del sapere scientifico. In particolare, grazie ai finanziamenti dell’inglese James Smithson, nasce un progetto di inventario e studio del territorio. L’originalità del programma è tale da essere riconosciuta da Georges Brown Goode, naturalista e storico delle scienza. In questo periodo così prolifico, vengono fondati i musei più importanti del Nord America: lo Smithsonian Museum, il Metropolitan Museum, il Brooklyn Museum e numerose istituzioni museali sostenute da fondi privati.

4

P.C. Marani, R. Pavoni, op. cit. p. 49.

35


3. Il xx secolo: 1914-1989

Nel XX secolo si delinea la comune volontà di sfuggire al peso e al retaggio del passato, per inaugurare una nuova epoca: le avanguardie. La loro nascita è dettata dal ribrezzo provato per la guerra e le sue immediate conseguenze. L’individualismo e la soggettività diventano temi centrali di questo periodo, e trovano sfogo nelle teorie freudiane e in quella della relatività. Anche l’istituzione museale risente di questi nuovi atteggiamenti. In particolare il museo «sembra deciso a subordinare le opere che riunisce alla cronologia e al didattismo»1. Come diretta conseguenza, i musei risultano plagiati dai regimi totalitari istauratisi nelle nazioni europee. Le istituzioni diventano, dunque, strumenti di propaganda per le dittature nazionali. L’elogio della latinità e un forte patriottismo caratterizza il regime fascista, sviluppatosi in Italia intorno agli anni Venti. Diversamente in Germania, il Nazismo mira all’epurazione dell’arte contemporanea dai musei tedeschi a vantaggio di un’impostazione classicheggiante. Nell’Unione Sovietica, invece, il museo mantiene la sua funzione originaria: esporre ed istruire. La varietà dei progetti previsti in ambito museale è testimoniata da numerosi articoli della rivista Museion, pubblicata dall’Ufficio internazionale dei musei. Di notevole interesse è la descrizione contenuta nel Catalogue-Guide illustré de l’Exposition Internationale del 1937, che incentra l’attenzione sulla museologia liberale, in particolare fa un bilancio critico di come spesso i regimi europei siano manipolatori della museografia. Lo stesso Paul Valéry sostiene che «il 1

D. Poulot, op. cit. p. 59.

36


museo fallisce nel conciliare il diletto con lo spirito della cultura pratica»2. Nel Nuovo Mondo, invece, è il Museo di Cleveland, a segnare l’inizio dell’era classica della museologia americana, caratterizzata da un’influenza europea e da finalità pedagogiche e culturali. Grazie agli investimenti da parte di mecenati, si sviluppano le prime istituzioni museali, che arricchiscono le loro collezioni grazie a continui trasferimenti dall’Europa. Nascono, quindi, i Cloisters – allestiti grazie al contributo europeo – spinti dalla volontà di proporre un tardo revival neogotico che immerge il visitatore in un’aura romantica. Il panorama museale americano, come sottolinea Laurence Vail Coleman, risulta essere molto variegato. I temi trattati vanno dal culto delle memorie e del patriottismo, come accade negli Historic House Museum; alla volontà delle period-room di trasportare i visitatori in «uno spazio temporale condensato nello spazio»3; fino ad arrivare alla tipologia dei musei all’aperto, i quali rievocano nostalgicamente il patrimonio culturale americano. Le period-room – inaugurate nel Germanisches Museum di Norimberga – costituiscono una suggestiva soluzione per esporre opere d’arte decorativa. Questa tipologia si diffonde nei musei nazionali e nelle casemuseo – tipiche della società alto-borghese americana che voleva ostentare la sua cultura e opulenza – soprattutto di proprietà anglosassone e americana. Le più significative sono realizzate a Washington nello Smithsonian Institution e nell’American Wing del Metropolitan, affiancate da quelle tardo-vittoriane appartenenti alla casa di John D. Rockefeller. Nonostante il chiaro riferimento dei musei americani a quelli europei, è il rapporto con il pubblico a segnare una profonda distinzione. L’attenzione rivolta ai visitatori da parte delle istituzioni americane,

2 3

P. Valéry, Le problème des musées, Gallimard, Paris 1923. D. Poulot, op. cit. p. 61.

37


trova i suoi fondamenti nel corpus filosofico ed estetico a cui ha contribuito il filosofo John Dewey, in particolare con i testi intitolati Art and Education (1929) e Art as Experience (1934). Inoltre, questo interesse compare soprattutto nei bilanci annuali che effettuano i musei, avvalorando maggiormente la tesi della centralità della figura del pubblico, che è capace di stabilire il successo o il fallimento di un’istituzione. Aspetto, invece, che risulta estraneo alla mentalità europea. Un’eccezione è rappresentata dagli Heimatmuseum tedeschi, dove la frequentazione del pubblico diventa una preoccupazione primaria. Durante XX secolo, si assiste alla diffusione di «[…] una serie di mostre che presentino in modo quanto possibile esauriente i maestri moderni […] da Cézanne ai nostri giorni […]»4. Questo manifesto – sottoscritto da ricchi collezionisti americani – sancisce la nascita del museo di arte moderna, concepito come museo concettuale. La fondazione del MOMA inaugura questa tipologia d’istituzione museale, che potrà vantare i nomi dei musei più famosi della Grande Mela: il Whitney Museum of American Art (1931); il Solomon R. Gugghenheim Museum (1937). Parallelamente, in Francia, il palazzo del Luxembourg – già a partire dal 1818 – è teatro di allestimenti di artisti contemporanei, aspetto molto insolito data l’indifferenza dalle istituzioni francesi nei riguardi di artisti innovatori. Questo atteggiamento si basa sulla convinzione che «il museo, il cui fine essenziale è la salvaguardia di valori, sia inevitabilmente sordo alle rotture e all’audacia dell’arte indipendente»5. L’esperienza del Luxembourg – aspramente discussa dalla critica – segna l’affermazione dell’art vivant e la volontà di realizzare un museo che la possa ospitare, salvaguardare e al contempo attirare l’interesse dei giovani. In particolare, i musées vivants espongono oggetti meno

4 5

Comitato di ricchi collezionisti in R. Schaer, op. cit. p. 44. J. Montaner, Nuovi musei. Spazi per l’arte e la cultura, Jaca Book, Milano 1990.

38


conosciuti, uniti con pezzi appartenenti a interessanti collezioni private che mostrano nuovi aspetti dell’arte. In quest’ambito tipologico, Parigi vanta il Museo Nazionale d’Arte Moderna e il Museo de la Ville de Paris. Le istituzioni museali europee e americane trovano un punto d’incontro nell’approccio alla museografia del dopoguerra, ancora troppo legata a quella sviluppatasi a cavallo dei due conflitti mondiali. Infatti, il conservatore rappresenta ancora la figura centrale del museo: è lui che stabilisce le disposizioni interne ed esterne, i colori, l’illuminazione. Un esempio significativo è lo Stedelijk Museum, dove Sandberg propone l’istallazione di passerelle sopraelevate che permettano al passante di osservare dalle ampie aperture le sale del museo, nonostante questi sia chiuso. Secondo questa prospettiva ideologica, lo spazio museale si fonde con quello profano. Tesi sostenuta da Philip Goodwin, architetto del MOMA, che in Museion dichiara: «il museo deve avere delle vetrine, come i grandi magazzini, grazie alle quali il passante possa scorgere un parte della collezione e convincersi a effettuare una visita»6. In questo frangente, Philip C. Johnson, architetto e teorico del modernismo, evidenzia il difficile compito del progettista. Egli, infatti, deve preoccuparsi sia della conservazione degli oggetti, sia di soddisfare le aspettative dei visitatori. Due sono i dibattiti che Johnson prende in considerazione: l’uso dell’illuminazione naturale o artificiale e la flessibilità o la rigidità degli spazi espositivi. Questa querelle, ancora oggi irrisolta, ha causato continue ed incessanti trasformazioni dell’organizzazione interna delle sale espositive. Ulteriori tematiche su cui l’architetto e teorico del modernismo pone l’accento sono gli spazi di accoglienza e di orientamento. Johnson propone un’architettura monumentale, scagliandosi contro la nuova museografia che preferiva agli ingressi principali quelli secondari, poiché meno intimidenti. 6

P. Goodwin, in Museion, 1940, cit. in D. Poulot, op. cit. p. 77.

39


Infine, egli giudica severamente l’architettura delle istituzioni del proprio tempo, criticando le forme a vantaggio dei modelli storici, caratterizzati da chiarezza, stabilità e ordine. Un ulteriore approccio è quello che risente dell’estetica Bauhaus, la quale – ponendo in primo piano l’oggetto e alleggerendo i dispositivi dell’allestimento – sostituisce le pratiche museografiche che preferivano l’accumulo di oggetti. Una forte critica da parte di Johnson è mossa verso il Guggenheim di New York, da lui descritto come un edificio privo di grazia ed espressione solamente di sé stesso. In conclusione, l’esperienza italiana del dopoguerra risulta di notevole interesse. L’assenza di una definita museologia italiana spinge – nella prima metà del Novecento – le istituzioni museali a trattare maggiormente aspetti legati alla tecnica piuttosto che all’ideologia museale. Per questa ragione, l’Italia non ricopre un ruolo primario all’interno del panorama della museologia europea, che vanta le sperimentazioni teoriche e allestitive per il museo dedicato a Van Gogh di Henry Van de Velde e le riorganizzazioni delle istituzioni museali promosse da Auguste Perret e Pontremoli. Diversamente, la conclusione del secondo conflitto bellico e la volontà di restaurare i monumenti danneggiati, segna un’interessante svolta nella museologia italiana. S’instaura, quindi, un nuovo rapporto tra architetto e curatore che comporta un innovativo approccio alla materia espositiva. Gli allestimenti di Carlo Scarpa per la mostra su Antonello da Messina e l’interessante esperienza di Castelvecchio; le sperimentazioni di Franco Albini per la mostra di Scipione e la ristrutturazione dei musei del Catello Sforzesco a Milano da parte dei BBPR, costituiscono esempi emblematici di una sensibilità tutta italiana che intende elevare anche il contenitore ad opera d’arte. L’intento è quello di possedere i caratteri della contemporaneità e al contempo evidenziare filologicamente le parti originali del monumento. In questa prospettiva, è abbandonata la concezione di monumento come mero contenitore, per privilegiare

40


quella di valore aggiunto, che mira a valorizzare le opere esposte all’interno. Numerose risultano le critiche mosse verso questi interventi, le quali sembrano dimenticare il difficile contesto in cui i suddetti architetti hanno lavorato.

41


PARTE IV. LA NASCITA DEI MUSEI FRANCESI E LA MODERNITÀ

42


1. I musei francesi: le origini e gli sviluppi

Risulta opportuno – dal momento in cui i testi di riferimento, elaborati rispettivamente dagli autori francesi Dominique Poulot e da Roland Schaer approfondiscono il tema – effettuare un'analisi accurata a riguardo dello sviluppo dei musei francesi, influenzato soprattutto dagli avvenimenti storici. La genesi di queste istituzioni è basata sulla confisca dei beni del clero e delle classi deboli o sulle conquiste militari. Questo aspetto segna una profonda cesura tra le coetanee istituzioni europee e ha comportato una salda connessione tra museo e Stato, che è rimasta tale dai tempi rivoluzionari fino ai nostri giorni. Nella Francia rivoluzionaria un ruolo fondamentale era svolto dall'Accademia e dal Salon, istituzioni sorte durante l'Ancien Régime, che detenevano il monopolio dell'informazione e dell'esposizione nel settore museale. In particolare, il Salon dell'Accademia Reale di Pittura e Scultura aveva il compito di conferire riconoscimenti pubblici agli artisti del re e di istruire il pubblico al gran gusto. Inoltre, si diffonde la necessità di possedere un'esposizione di riferimento che possa dettare i canoni ai quali i musei devono attenersi. In questa prospettiva, si immagina un'esposizione permanente al Louvre accompagnata da sperimentazioni museografiche da parte del Salon. Questo evento, infatti, risulta essere la «prima mostra temporanea d’arte contemporanea»1.

1

P. Mainardi, The end of the Salon. Art and the State in the Early Third Republic, Cambridge University Press, Cambridge 1993, trad it. La fine del Salon: Arte e stato all’inizio della Terza Repubblica, Nike, Segrate 1998.

43


Durante il periodo rivoluzionario, l'accesso ai musei e alle loro collezioni diviene una prerogativa dei cittadini, in quanto simbolo dell'affermazione dei diritti dell'uomo. L'arduo compito di entusiasmare e istruire il pubblico è ricoperto dalla collezione reale. Nel clima soppressivo della Rivoluzione, l'istituzione museale è l'unica a poter incarnare «l'ideale di una trasmissione libera e immediata del Bello [...]»2 e a «non [essere] esclusivamente un luogo di studio. É un'aiuola che bisogna decorare con colori più brillanti; deve interessare coloro che lo apprezzano, senza cessare di divertire i curiosi»3. Non manca, purtroppo, il vandalismo rivoluzionario rivolto soprattutto ai tesori della Corona poiché – nonostante posseggano un elevato valore artistico – essi incarnano il simbolo dell’Ancien Régime. A questo proposito, vengono emanati decreti finalizzati alla tutela e conservazione di questi beni. La renovatio – intrinseca all’istituzione museale rivoluzionaria – è aspramente contestata da mercanti e specialisti e consiste nella traslazione, dallo Stato agli artisti, della mansione riguardante l’organizzazione museale. Il pittore Alexandre Lenoir nel suo Essai sur le muséum de peinture, propone un’innovazione nel metodo espositivo, infatti, invece di classificare «le produzioni della pittura secondo le scuole» preferisce «una via da seguire molto più ampia, molto più favorevole all’istruzione pubblica, per mezzo dei confronti di cui necessita: legare la storia delle arti a quella dei tempi»4. Diversamente, Émeric David mira a sopprimere l’inclinazione accademica e promuove l’idea di un museo inteso come un’istituzione centrale per lo sviluppo delle arti. Questi presupposti trovano applicazione nel 1791, che segna l’apertura del Salon verso una carriera liberale dei talenti. Purtroppo, questa iniziativa si rivela fallimentare: lo stesso David, promotore di G. Monnier, L’art et ses institutions en France, de la Révolution à nos jours, Gallimard, Paris 1995. 3 P. Roland, cit in D. Poulot, op. cit. p. 67. 4 A. Lenoir, Essai sur le muséum de peinture, n.e., Paris, 1793. 2

44


questo ideale, espone diversi principi indirizzati a migliorare l’organizzazione del Salon e del museo, privilegiando l’eccezione e l’emulazione, aspetti che non verranno totalmente condivisi. Parallelamente, le vittorie degli eserciti rivoluzionari comportano un grande afflusso di opere d’arte dai territori conquistati, le quali – grazie all’ordinanza emanata dal ministro degli Interni Chaptal – vanno a riempire gli embrionali musei del territorio. Questa operazione, intrapresa dalle istituzioni francesi, si basa sulla credenza che «le opere frutto del genio possono sentirsi in patria solo nel paese della libertà, destinazione naturale di ciò che non può essere apprezzato dove regnano superstizione e dispotismo»5. Si diffondono due tipologie d’istituzione museale: quella che presenta fini pedagogici; e quella connessa all’identità locale. La ridistribuzione sul territorio delle collezioni, sottratte ai paesi vinti, vuole essere tanto «un atto politico quanto una manifestazione dei valori di civiltà»6. Questo atteggiamento, muoverà le critiche di molti studiosi come Quatremère de Quincy, il quale nelle Lettres à Miranda mostrerà il suo profondo dissenso verso l’operato delle istituzioni museali francesi. Secondo la convinzione che «lo spirito di conquista sovverte completamente lo spirito di libertà»7, lo storico denuncia lo smembramento dei musei d’antichità di Roma. Solamente nel 1815 le polemiche vengono accolte e incomincerà la fase della restituzione delle opere espoliate. Sulla base di queste iniziative, la Francia decide di compensare le perdite dei capolavori restituiti, con la valorizzazione

5

R. Schaer, op. cit. p. 70. D. Poulot, op. cit. p. 69. 7 Q. Quincy de, Lettres à Miranda sur le déplacement des monuments de l’artde l’Italie, s.e., Paris 1836. 6

45


della scuola francese. Ne è testimone l'inaugurazione del Musée du Luxembourg dove «tutto è nazionale, tutto è moderno»8. Purtroppo, l'incessante crescita delle opere e degli artisti che affollano il Salon, ne identifica la crisi. Il governo, in parallelo, concede premi e medaglie ai migliori artisti. Il Prix de Rome ne costituisce un esempio significativo. Ciò favorirà la nascita di esposizioni isolate, che porteranno, dunque, allo sgretolamento del Salon. Con la scomparsa di quest'ultimo si identifica un'evoluzione estetica, sociologica e politica nell'ambito museale, supportata dalla nascita di nuove istituzioni. Sorge, per questa ragione, l'École du Louvre, una scuola di amministrazione dei musei, che diventa ben presto una scuola di archeologia e storia dell'arte; e la Réunion des Musées Nationaux, finalizzata a difendere l'indipendenza dei musei. Nel XIX secolo – in risposta all'instaurarsi di un nuovo rapporto tra arte e Stato – sono fondate dagli artisti una serie di riviste, finalizzate a rivendicare la propria libertà creativa. È necessario menzionare Les Arts de la vie e L’Art vivant. La storia che caratterizza questo secolo, ha mostrato il legame simbiotico che sussiste tra la museologia francese e gli interessi politici. La fine del primo conflitto mondiale, ne inaugura dei nuovi, basati sulla difesa dell’arte e della cultura. La Casa della Cultura – fondata da Louis Aragon, André Malraux e Paul Nizan – prende in difesa il romanzo francese e il cinema. Il dopoguerra è caratterizzato da una grande diffusione dell’arte contemporanea a discapito della cultura di Stato. Nascono, dunque, i musei di arte moderna dove «cessa [...] la separazione tra lo Stato e il genio»9. Parallelamente, si forma un’importante istituzione: Il Ministero Della Cultura, supportato da De Gaulle e Malraux. Esso presenta un carattere rivoluzionario che porterà a 8

C. Georgel, a cura di, La Jeunesse des musées. Les musées de France au la RMN, Paris 1994. 9 G. Salles cit in D. Poulot, op. cit. p. 73.

XIX siècle,

Éditions de

46


rompere il legame con l’Istruzione Pubblica poiché «la conoscenza è propria dell’Università; a noi, forse, appartiene l’amore»10. Il Ministero, nonostante le scelte radicali, non resterà estraneo al panorama internazionale: è, infatti, istituita la Biennale dei giovani artisti, finalizzata a incentivare l’arte moderna, privilegiata nelle metropoli oltreoceano. In questo periodo, ricco di fermento culturale e sociale, si inaugura la fondazione dell’ARC a Parigi. Essa è una struttura per esposizioni, guidata da Pierre Gaudibert. Al fianco delle arti plastiche, nascono sezioni dedicate al cinema, alla musica jazz e al teatro. Per queste ragioni, l’istituzione sarà colpita da diverse critiche, le quali però si verificano inoffensive.

10

A. Malraux, Le Musée imaginaire, Albert Skira, Paris 1967, trad. it., Il museo dei musei, Leonardo, Milano 1994.

47


2. Il nuovo orientamento dei musei e il rapporto con la modernità

L'evoluzione nella gestione pubblica è segnata dalla figura di George Pompidou che promuove l'esposizione 72/72 dove vi è «una selezione di opere di tutti i principali pittori e scultori viventi che risiedono e lavorano in Francia [...]»1. Purtroppo, l'iniziativa si rivela un insuccesso diversamente dal grande progetto del Centre Beaubourg, inaugurato nel 1977, che illustra un nuovo rapporto tra arte e cultura. Le priorità del centro sono la realizzazione di un patrimonio di arte contemporanea nonché la diffusione verso un pubblico non specializzato. In questa prospettiva, si moltiplicano le esposizioni e si promuove la costruzione e il rinnovamento delle istituzioni museali o dei centri d'arte. Nonostante gli sforzi di democratizzazione, alcuni studi effettuati dimostrano che il progetto è risultato fallimentare. La legge dei musei di Francia, emanata il 4 gennaio 2002, permette di «ridefinire il ruolo e la posizione del museo di fronte alle attese della società, in quanto attore al servizio dello sviluppo e della democratizzazione culturali»2. Quindi il museo possiede un ruolo educativo, patrimoniale e soprattutto divulgativo. La legge è rivolta a tutte le istituzioni che rispondono alla definizione di museo dettata dall'

ICOM,

qualunque sia la tutela amministrativa che esse

possiedano. È, invece, l'Alto Consiglio dei Musei di Francia a 1

J. Eidelman, Musées et Publics: la double métamorphose, HDR, Université Paris V, 2005. Cfr. Legge n. 2002-5 del gennaio 2002, relativa ai musei di Francia, Journal Officiel, 5 gennaio 2002. 2

48


rappresentare i diversi tipi di istituzione e a garantire l'inalienabilità delle collezioni. Infine, la legge promuove, nuovamente, la decentralizzazione dei beni sul territorio nazionale con la speranza di promuovere una collaborazione intercomunale. Purtroppo – a causa dell'ingente numero delle istituzioni classificate come Musée de France – non si è raggiunto l'obiettivo prefigurato – che prevedeva la ristrutturazione del panorama museale francese – fatta eccezione per alcune condizioni connesse allo statuto stesso del museo, ovvero la realizzazione di un inventario della collezione e la definizione di un progetto scientifico e culturale (PSC). Esso risulta uno strumento fondamentale di controllo da parte della Direzione dei Musei di Francia. Il PSC fissa gli orientamenti generali del museo; diversamente la programmazione scientifica delle collezioni stabilisce, con maggior dettaglio, il contenuto del percorso di visita e la gestione delle collezioni. Tuttavia, questo aspetto non è stato approfondito dalla legge del 2002, lasciando il libero arbitrio alle collettività territoriali. Si presentano quindi diverse modalità di gestione: da quella diretta a quella indiretta dove non mancano sperimentazioni. La maggiore scommessa, però, è quella di comprendere quale sarà il ruolo dei musei francesi nell'intercomunità. Essi costituiscono «attori e leve di sviluppo nella ricomposizione dei territori»3. Per ottenere questo obiettivo, tuttavia, è necessario assicurare una protezione e una gestione dei beni culturali in loco, abbandonando l'idea di trasferirli altrove. Questo complesso compito è assolto dall'EPCC.

3

DMF, Ispettorato Generale dei Musei e del Dipartimento per il Pubblico, novembre 2004 cit in D. Poulot, op. cit. p. 80.

49


PARTE V. IL PAESAGGIO MUSEALE CONTEMPORANEO

50


1. Crescita e mutazioni delle istituzioni museali

La società contemporanea mostra una «voglia di museo»1 che va dalla specificità locale, dove l’istituzione è intesa come rievocazione del passato; a musei che comunicano tramite le nuove tecnologie; fino a istituzioni tematiche, finalizzate a mostrare conoscenze generali che esemplificano il passaggio da un genere colto a uno vago2. Ciò avviene quando il catalogo si trasforma da libro d’artista in opera originale. Da una statistica, si comprende che, soprattutto nelle grandi metropoli, vi è un numero ingente di musei, intesi come risorse educative che promuovono lo sviluppo della società e garantiscono un benessere economico. La diffusione delle differenti tipologie d’istituzione museale, avviene in modo disomogeneo: trovano maggior riscontro da parte del pubblico i musei sociali, di storia, a discapito di quelli appartenenti al settore delle Belle Arti, fatta eccezione per i musei di arte moderna e contemporanea. Sorgono istituzioni private, che, purtroppo, presentano diverse problematiche dal punto di vista organizzativo. Di notevole interesse è la fondazione o trasformazione di istituzioni in succursali, proprio come è avvenuto a Bilbao per il Guggenheim di New York, attualmente modello invidiato da tutti i musei del globo. Va, dunque, ad affermarsi la singolarità, scevra dalla logica dei musei tradizionali. 1

D. Poulot, op. cit. p. 81. cfr. Local Knowledge, Baic Books, New York 1983, trad fr. C. Geertz, Savoir local, savoir global, PUF, Paris 1986, trad.it. Antropologia interpretativa, Il Mulino, Bologna, 1988. 2

51


L’avvento delle avanguardie artistiche diffonde l’idea per la quale il museo «incarna il fardello del passato»3 e questo continuo riferimento porta ad affermare la sua insignificanza, in quanto rivelatore della caduta delle illusioni religiose e politiche. Dall’altro canto la trasformazione del conservatore

in

regista,

corrisponde

a

una

«degenerazione

dell’istituzione museale in volgarità commerciale» . 4

Lo stesso Zurigo Hermann Lübbe vedeva la moltiplicazione dei musei come un ribaltamento del rapporto col tempo. L'attaccamento al passato è visto da alcuni studiosi come una reazione al timore di un'obsolescenza accelerata, dovuta agli incessanti cambiamenti del nostro tempo. Il museo, dunque, incarna la concezione di rifugio del passato. Questo legame quasi ossessivo con la memoria non è condiviso da alcuni specialisti come Vladimir Jankelevitch, il quale evidenzia che l'uomo e l'origine non possiedono nulla in comune, in quanto la presenza dell'uno esclude quella dell'altro. Analogamente, Sloterdijk rivede nell'istituzione museale un'esperienza dell'estraneità, piuttosto che la manifestazione di se. Si giunge, quindi, a parlare di xenologia: essa suscita stupore e promuove l'etnologia. Parallelamente al museo etnografico, va ad affermarsi il museo d’artista, luogo di sperimentazione, di ispirazione e talvolta di critica. Gli anni Settanta mostrano un nuovo modo di rapportarsi con le collezioni: esse raccolgono sia gli elementi più comuni che quelli più originali, dimostrando una notevole apertura verso la storia recente. Oggetti di vita quotidiana diventano elementi emblematici da esporre nelle sale museali, nei quali chiunque può identificarsi. 3

D. Poulot, op. cit. p. 83. J. Rifkin, The Age of Access. The new culture of hypercapitalism, where all of life is a paid-for experience, Tarcher-Putnam, New York 2000, trad.it, L’era dell’accesso: la rivoluzione della new economy, Mondadori, Milano 2000. 4

52


Diversamente, negli anni Ottanta, sono i mediatori delle collezioni a essere il fulcro attorno al quale si articola il paesaggio museale. Si verifica un «ritorno al racconto»5 che però, nello stesso tempo, ne minaccia l’autenticità. Si diffonde, dunque, l’uso di personaggi mitici, eroi mai esistiti per favorire una comunicazione più diretta, soprattutto se destinato a un pubblico non specializzato. Vi è un passaggio dal vero al verosimile, a discapito dell’autenticità dell’artefatto o del luogo. Inoltre – in seguito a una serie di sperimentazioni – si concretizza la convinzione che «l’esposizione sia frutto non tanto di una competenza culturale [...] quanto di una capacità intellettuale a sviluppare un discorso originale su un argomento e a rappresentarlo»6. In questa prospettiva, le istituzioni museali incentrano il loro lavoro su riletture di tematiche storiche o archeologiche e le scelte architettoniche presentano una nuova sensibilità. Gli anni Settanta e Ottanta presentano novità anche dal punto di vista della fruizione: una statistica mostra che la frequentazione dei musei avviene maggiormente in gruppo. Per questa ragione, le istituzioni museali propongono il modello dell’esperienza o promuovono la concezione di un rapporto simbiotico tra arte e vita, attraverso la realizzazione di atelier.

5 6

L. Stone, cit in D. Poulot, op. cit. p. 88. R. Schaer, op. cit. p. 102.

53


2. La nuova museografia e la relazione con il contesto urbano e sociale

Un ulteriore aspetto che caratterizza questi anni, è l’integrazione delle istituzioni museali in operazioni di rinnovamento urbano. Essi – nonostante le critiche mosse da studiosi che rivendicano il fine pedagogico dell’istituzione – divengono strutture finalizzate a risollevare e promuovere un contesto urbano. Spesso si è constatato che il museo diviene un’attrazione turistica ed economica, soprattutto se progettato da un archistar. Dunque l’interesse del pubblico non è più rivolto alle collezioni esposte, bensì all’eccezionalità architettonica del manufatto. Ne costituisce un primo esempio il Guggenehim Museum di New York. Esso – aspramente discusso dalla critica – si presenta come un grande elemento scultoreo, che capovolge il percorso di visita: è abbandonato il tradizionale percorso orizzontale, per prediligere quello verticale esplicitato dalla rampa a spirale. Alcuni studiosi hanno criticato l’allestimento delle opere al suo interno, in quanto esso sembra privo di un logico principio progettuale e la forma curvilinea delle pareti dell’edificio poco si addice ad ospitare opere. Per questa ragione, alcuni critici affermano che si è spinti a «entrare in questo edificio probabilmente per vedere le opere di Kandinsky o Pollock, ma alla fine

54


si resta per vedere Frank Lloyd Wright»1. Ulteriori esempi emblematici sono le architetture del Guggenehim Museum di Bilbao e il Judisches Museum a Berlino. Il primo, realizzato su progetto di Frank O. Gehry – spinto dal committente Thomas Krens ad essere più aggressivo nella forma – diviene il catalizzatore dello sviluppo della città spagnola, che muta la sua connotazione da città industriale in fallimento a città universitaria. Il Museo Ebraico di Berlino di Daniel Libeskind, invece, presenta una diretta corrispondenza tra significato e significante, esso infatti racconta la dolorosa vicenda dell’olocausto ebreo e incarna planimetricamente la forma della stella di Davide che risulta però stirata e spezzata. Anche in alzato, le strette feritoie, gli interni e il giardino dell’esilio, inclinato e dissestato, evocano la drammatica vicenda storica. L’architettura dunque riveste un ruolo comunicativo essenziale per l’istituzione museale e se talvolta il museo si allontana dai principi di conservazione non deve mai distaccarsi dai valori che hanno mosso la progettazione dello stesso. Non sono mancate proteste a riguardo di questa nascente tipologia museale, rivendicando il compito pedagogico del museo. Dunque, l’istituzione è vista come un agente che influisce sul cambiamento sociale. Ad avvalorare questa tesi, vi sono diverse sperimentazioni effettuate su musei inglesi e scozzesi, dove non mancano una serie di difficoltà nell’affrontare le tematiche sociali più diffuse come la lotta contro il crimine, la prostituzione, le malattie infettive...

1

«You may go into this building to see Kandinsky o Pollock, you remain tu see Frank Lloyd Wright…». H.Mushamp, Man about Town. Frank Llyod Wright in New York City, Cambridge, MIT Press, 1983, p.111. Traduzione a cura dell’autore.

55


In parallelo, l’America, l’Australia e la Nuova Zelanda si aprono verso una prospettiva multiculturale, dove sono le comunità stesse ad occuparsi dell’esposizione dei propri manufatti. Si constata sempre di più un atteggiamento timoroso da parte delle stesse nel mostrare i loro beni secondo una logica museale classica. In questa nuova visione museologica e museografica, un sostanziale cambiamento riguarda l’evoluzione del titolo di conservatore, che avviene in particolar modo in Francia. Esso passa da quello di funzionario o custode a quello di una figura professionale specializzata, garantita dalla formazione all’École du Louvre e successivamente riconosciuta dall’École du Patrimonie. Bisognerà attendere il 1990 per ottenere la definizione che esplica il ruolo effettivo del conservatore, accompagnata dalla nascita di nuove professioni come il custode e il commissario, strettamente connesse alle grandi istituzioni museali. Il museo immaginario, ideato nel 1947 da Malraux, diviene, ben presto, un modello museale diffuso. Ai capolavori artistici sono affiancati i semplici disegni dei bambini e le opere dell’art brut, che rispecchiano la sensibilità dell’epoca. Una conseguenza del museo immaginario è stata l’apertura verso l’arte, intesa come simbolo della condizione umana. Resta il fatto che «Nati insieme, il museo immaginario, il valore enigmatico dell’arte, l’intemporale, moriranno probabilmente insieme»2. Le musée imaginaire risulta, quindi un aspetto mentale, che si serve delle riproduzioni. Malraux, infine, vuole dimostrare nelle sue opere che «la riproduzione ha creato delle arti fittizie»3.

2 3

A. Malraux, L’intemporel. La métamorphose des dieux, Gallimard, Paris 1997, p.254. Id., Le Musée imaginaire, op. cit. p. 102.

56


Accanto a questo mito, si diffonde l’ideale che l’istituzione museale sia strettamente connessa all’architettura che la contiene. In particolare, si può parlare di una vere e proprie incarnazioni architettoniche, diffuse sul globo terrestre, che si tratti di nuovi costruzioni, restauri, integrazioni. E’ possibile constatare l’assenza di un principio guida nel paesaggio architettonico museale, diversamente da come accadeva nel passato, i cui principi erano espressi nel catalogo del

MOMA,

redatto da Henry-

Russel Hitchcock e Philip Johnson. Negli ultimi anni, è stata messa da parte la flessibilità delle sale espositive, per privilegiare un assetto più statico e tradizionale. In particolare si è sviluppata una maggiore inclinazione verso l’illuminazione naturale dei musei. Un caso esemplare, è quello della museografia italiana, che vanta nomi quali Ignazio Gardella, Carlo Scarpa, Franco Albini,

BBPR,

che hanno

generato gli archetipi dell’istituzione museale della nostra nazione. Gli architetti lavorano nel dopoguerra, motivo per cui privilegiano il restauro dei monumenti storici, riportando in vita architetture che possano ospitare istituzioni museali. I loro allestimenti – come quelli di Castelvecchio a Verona e il Castello Sforzesco a Milano – divengono modelli di riferimento per tutta la museografia europea. Nascono, inoltre, in Italia e in tutta Europa, una serie di servizi connessi all’attività museale e destinati al pubblico, per migliorare l’accoglienza: si diffondono bookshop, boutiques, caffetterie. Non mancano strutture di supporto all’esposizione museale come biblioteche, sale audiovisive, laboratori che designano una nuova accezione dell’istituzione museale: da luoghi di conservazione ed esposizione delle opere a centri polifunzionali, che si aprono anche verso la città. Di conseguenza, il museo non si preoccupa più solamente dell’aspetto espositivo ma anche

57


della gestione di questi spazi. Un’altra novità che nasce in seno del museo moderno è l’istituzione della tariffa d’ingresso. Le numerose polemiche – che vedevano in questa tassa la privazione «[…] dell’educazione di gentilezza che consegue dalla contemplazione delle opere di belle arti»4 – trovano una significativa risposta nei sostenitori dell’imposta, per i quali quest’ultima «è ben lungi dal far diminuire il numero di visitatori della classe più bassa del popolo» poiché «l’antico vezzo di credere serie soltanto le cose a pagamento aveva avuto ancora una volta ragione […]»5.

4 5

A. Emiliani, Dal museo al territorio, Edizioni Alfa, Bologna 1974. R. Bonghi, cit in ibidem.

58


PARTE VI. LA MUSEOLOGIA

59


1. La museologia tradizionale e la professionalizzazione

Nel Museographia (1727), il mercante Caspar Friedrich Neickel indica i luoghi più adatti per esporre e conservare una collezione: biblioteche, cabinet, gallerie di pittura e musei di antichità sembrano essere privilegiati. Inoltre, si interessa di effettuare un accurato studio a riguardo delle diverse tipologie di collezione presenti in Germania. Più tardi ne L'Encyclopédie méthodique, vi è un'evoluzione del concetto di cabinet, i quali «diventano per le Arti e per la nazione altrettante scuole, dalle quali gli appassionati possono trarre nozioni, gli Artisti fare osservazioni utili, e il Pubblico ricevere alcune prime buone idee»1. Ciò sintetizza i caratteri principali della museografia degli anni successivi, caratterizzata dal diletto e dall'utilità. In questa prospettiva, grazie al contributo di Christian J. Thomsen sorgono le classificazioni in età, riferite alla disciplina della storia e dell'archeologia. Al termine del conflitto mondiale la cooperazione internazionale tra le istituzioni museali diviene una prerogativa fondamentale. In quest'ottica di confronto tra le esperienze nazionali, sorgono le ultime teorie relative alla museologia che si riflettono nella museografia, di cui Louis Hautecœur ne è promotore. Il periodo post bellico rielabora i concetti esistenti alla luce dell'esperienza dei regimi totalitari e della guerra, senza portare innovazioni. L’evidente confusione tra museografia e 1

C. H. Watelet, a cura di, voce Cabinet, in Encyclopédie méthodique, s.e., Paris 1718-1786.

60


museologia – sebbene quest’ultima derivi da tradizioni passate – vedrà la differenziazione tra le pratiche teoriche e quelle tecniche solamente negli ultimi decenni. Aspetto di grande interesse, che connota questo periodo è la professionalizzazione degli addetti museali. L’evoluzione del ruolo del conservatore e del museologo – già preannunciato in Francia – riflette le trasformazioni cha hanno interessato la materia museale, per poter rispondere alle esigenze della società. In particolare, la comparsa di nuove tipologie d’istituzione (ecomusei, musei sociali) richiede una maggiore specializzazione relativa agli studi compiuti dai funzionari museali, che passa da una semplice formazione compiuta all’ École du Louvre al complesso concorso per l’École du Patrimonie, destinata a un numero ristretto di professionisti. Infine, gli ultimi decenni hanno visto la nascita di nuove professioni. Ne costituiscono un esempio la figura del commissario – che svolge un ruolo di organizzatore legato agli allestimenti temporanei – e del custode, che diviene agente destinato all’accoglienza e alla sorveglianza. L’eterogeneità di queste professioni permette di adeguarle alla crescente evoluzione museale.

61


2. La museologia contemporanea

Il successo di alcune istituzioni, piuttosto che il loro fallimento; le nuove realizzazioni o le integrazioni degli edifici museali, hanno sempre comportato aspre polemiche da parte di studiosi o di un pubblico erudito. Si impone quindi, una nuova disciplina: la critica dei musei. Ciò comporta una copiosa pubblicazione di testi scritti nonché saggi: nasce, dunque, una letteratura specializzata. La «nouvelle muséologie»1 si sviluppa come conseguenza diretta a questo tipo di approccio e in risposta al comune errore di identificare la museologia con la museografia. In passato, infatti, veniva ignorata ogni riflessione teorica e metodologica connessa all’istituzione museale. Inizia, dunque, un processo che mira a chiarificare la differenza tra i due termini. Il primo a esprimersi a riguardo è l’ICOM, che intende la museologia come «una branca della conoscenza che concerne lo studio delle finalità e dell’organizzazione dei musei»2 per poi, in un successivo momento, affiancargli il concetto di scienza, non universalmente condiviso. Sulla base di una querelle che vede la museologia come pratica per la gestione e organizzazione del museo oppure come disciplina teorica, Raymond Singleton, attraverso il suo contributo teorico, trova una mediazione tra

AA.VV. cit in P.C. Marani, R. Pavoni, Musei. Trasformazioni di un’istituzione dall’età moderna al contemporaneo, Marsilio Editori, Venezia 2006 p. 17. 2 Mensch. P. Van, op.cit., p.15. 1

62


le due accezioni del termine. Egli articola e amplia la suddetta definizione ponendo in risalto il ruolo del museo all’interno della società indipendentemente dalla sua tipologia3. Aspetto, più tardi, condiviso dal Comitato internazionale di museologia, che estende l’orizzonte dell’istituzione museale verso l’ambiente e la società, abbandonando la tradizionale funzione di luogo di conservazione. In questa prospettiva, la nouvelle muséologie – in opposizione alla vecchia museologia che prediligeva l’idea di un museo chiuso e circoscritto nelle membra architettoniche – mira a un’istituzione museale priva di confini materiali e tematici. La museologia, dunque, non s’identifica più nel museo vero e proprio, ma «nell’idea di museo, cioè l’esame delle finalità e del suo ruolo sociale, economico e culturale. La museologia dovrebbe porsi l’obiettivo di analizzare con metodo che cosa il museo potrebbe essere, e non solo che cosa è stato e che cosa è […]»4. In sintesi, la conoscenza museologica tratta la dimensione filosofica, sociale, politica e si basa su quattro aspetti fondamentali: il contesto del museo, il processo e l’ideologia dell’istituzione museale, le operazioni interne ed esterne ad essa. Diversamente, la museografia si interessa delle tecniche museali. Negli anni Ottanta, la disciplina museologica, supportata dal Comitato Internazionale per la Museologia, trova il suo massimo sviluppo, per poi entrare in crisi nel decennio successivo, poiché essa tende a definire modelli estranei dalla realtà museale del proprio tempo. Il professore Martin Shärer definisce la museologia una disciplina che «ingloba un atteggiamento specifico dell'uomo di fronte

cfr.R. Singleton, “The Purpose of Museums and Museum Training”, in Museum Studies, Toronto 1982. 4 P.C. Marani, R. Pavoni, op. cit. p. 21. 3

63


agli oggetti [...]. Tale atteggiamento include i procedimenti di conservazione

(musealizzazione),

di

ricerca,

di

comunicazione

5

(visualizzazione) [...]» . Infine, come afferma Zbynek Stransky, questo settore di studi si può definire «musealità»6. Questa tematica si articola intorno a tre obiettivi: la costruzione del museale attraverso la storia della cultura materiale e dei valori intrinseci; la politica dell'istituzione museale, intesa come luogo rappresentativo; e la fruizione dell'istituzione museale. Si desume, quindi, che il museo rappresenta uno spazio comunicativo, nel quale l'oggetto cambia la sua connotazione passando da un contesto ad un altro. L'istituzione accoglie, quindi, la fase terminale della vita di un oggetto, che diviene un pezzo da museo. Dunque, l'elemento esposto in una sala museale si differenzia e si eleva rispetto alla massa di oggetti che riguardano la quotidianità. Esso ha il potere di agire in positivo o in negativo sul contesto sociale. Il concetto che sia la collocazione in un museo di un oggetto, realizzato per altri scopi, a modificarne sostanzialmente la percezione, si sviluppa alla fine della Rivoluzione Francese e si perpetua fino ai nostri giorni. In particolare, la materialità dell'istituzione museale si esplica sia nel patrimonio che espone, sia nel sistema in cui viene esposto: schedari, archivi, cataloghi ... Dunque istituzione museale e trattamento delle collezioni risultano essere strettamente connessi all'ordinamento scientifico: la classificazione delle opere, la ripartizione delle specie. Sempre di più, negli ultimi decenni, si diffonde la concezione di un museo capace di costruire uno spazio pubblico. Contrariamente, altri

M. Shärer, La relation homme-object exposée: théorie et pratique d’une expérience muséologique, Publics et Musées, vol. 15, 1999, pp.31-43. 6 Z. Stransky, Muséologie. Introduction aux études, EIEM-Université Masaryk, Brno 1995. 5

64


concepiscono il museo come una «tecnologia disciplinare, che struttura l'esigenza di visibilità della rappresentazione, normalizza lo spazio, sceglie e governa oggetti e usanze [...]»7. In questa prospettiva, nuovi mondi entrano nel museo: le esposizioni, infatti, possono riguardare i personaggi di serie televisive famose, eroi di film, col fine di istruire dilettando. Questo atteggiamento, accolto da diversi musei, è stato duramente criticato. Al di là delle polemiche connesse alle tipologie museali, ciò vuole dimostrare che, qualsiasi sia l’inclinazione dell’istituzione museale, esso costituisce comunque «uno strumento di conoscenza e attività sociale di valore»8. A sostegno di questa tesi, vi è la convinzione che il museo non sia solamente l’esposizione del patrimonio culturale, bensì la sua rielaborazione, espressa attraverso la musealità. Quindi, oltre a trasmettere la conoscenza di un determinato patrimonio, viene a formarsi un racconto nel racconto, dove l’elaborazione

museografica

diviene

parte

integrante

della

rappresentazione. Di notevole importanza, risulta essere il rapporto che negli anni si è instaurato tra pubblico e istituzione. Nascono, a questo proposito, diverse procedure di valutazione, dai cui risultati scaturisce una classificazione dei visitatori, riflettendo la stratificazione socioculturale. Si è, inoltre, compreso che «il museo d’arte e la democrazia non vanno necessariamente d’accordo»9. Esso, infatti, costituirebbe un’esclusione istituzionalizzata, rivolta a un pubblico d’élite10.

7

C. Duncan, Civilizing ritual. Inside Public Art Museum, Routledge, London 1995. D. Poulot, op. cit. p. 106. 9 V. Zolberg, Le musée des Beaux-Arts, entre le culture et le public: barrière ou facteur de nivellement?, Sociologie et sociétés, vol. 21, n.2, 1989, p. 83 10 Cfr. R. Sandell, Museum, Society,Inequality, Routledge, London-New York 2002. 8

65


La sociologia pragmatica, attraverso diversificate ricerche, mira a dimostrare, invece, che «la visita al museo è un’attività complessa, non del tutto divertimento né del tutto apprendimento, e che coinvolge modi di comunicare e gestire interessi e valori»11. Infine, questa scienza vuole evidenziare il legame che sussiste tra l’interesse della visita del museo e i diversi contesti sociali.

11

A.Hennion, La passion musicale. Une sociologie de la médiation, Métailié, Paris 1993.

66


CONCLUSIONI

67


In questa trattazione, si sono volute mostrare le evoluzioni e le innovazioni che hanno caratterizzato il panorama museale fino ai giorni odierni. In particolare, è stata focalizzata l’attenzione su alcuni periodi significativi, che hanno apportato contributi fondamentali sia dal punto di vista museologico, che museografico. Il

XVIII

secolo promuove lo

sviluppo di un museo – definito dalla critica moderno – il quale risulta essere in stretta connessione con lo spazio pubblico. Quindi, l’istituzione museale diviene fulcro ed elemento primario del rinnovamento urbano. Nel XIX secolo, si rafforza l’idea che «l’estetica del museo costituisce un “modo di vedere” e risponde a un insieme di norme [che costituiscono] la “qualità del museo”»1. Su questi principi, si sviluppano diverse museografie che si diffondono tra le nazioni. In questa prospettiva è coniato il termine musealità: esso s’interessa della collocazione, comprensione, conservazione e trasmissione degli oggetti costituenti un patrimonio culturale. Quindi, si passa da un’idea definita di museo, – inteso per antonomasia come insieme di collezioni gerarchizzate e organizzate col fine di raggiungere uno scopo prestabilito – a un’immagine piuttosto vaga dell’istituzione museale. Si incomincia, dunque, a definire «le musée imaginaire»2 che troverà la sua crisi nel secolo successivo. Parallelamente, si pone l’accento sul ruolo che l’istituzione svolge nella società, la quale si identifica nel museo stesso. Le polemiche sviluppate negli anni Settanta e successivamente negli anni Novanta, mettono in discussione l’autorevolezza in materia di 1

S. Alpers, The museum as a way of seeing, in Karp I., Lavine S. (a cura di), Exihibiting Cultures. The Poetics and Politics of Museum Display, Smithsonian Institution Press, Washington 1991, p.28. trad.it. Culture in mostra: poetiche e politiche dell’allestimento museale, CLUEB, Bologna 1995. 2 A. Malraux, Le Musée imaginaire, op. cit. p. 97.

68


interpretazione degli oggetti, da sempre riconosciuta ai musei. In questo panorama di contestazione, anche le esposizioni scientifiche divengono oggetto di discussione, in quanto non strettamente connesse ai contesti politici e culturali dell’epoca. Ulteriori tematiche costituiscono il museo contemporaneo: dall’attenzione al multiculturalismo all’inclusione del sociale. Questo atteggiamento sfocia in attenzioni alle visite, nella valutazione delle istituzioni nonché nell’accurata programmazione delle esposizioni. Nonostante questi presupposti, che privilegiano la logica di diffusione popolare, l’istituzione museale – poiché deve garantire un sapere aggiornato – si presenta favorevole a una ricerca elitaria. L'aggiornamento riguarda anche l'aspetto organizzativo dell'istituzione, che pur facendo nuovamente riferimento a modalità tradizionaliste, mostra la sua attualità proponendo ai visitatori un approccio innovativo alla comprensione degli oggetti esposti. Inoltre, nonostante il museo, nel corso dei secoli abbia perso la propria autorevolezza intellettuale, politica e sociale, detiene ancora una parte delle sue funzioni classiche quali quella di essere un luogo di contemplazione e di rifugio dal mondo. Affinché ciò avvenga, l’'istituzione museale si dedica all'incessante configurazione dei propri spazi, avendo come obiettivo quello di garantire una «dimensione dell'intimità»3 ai propri visitatori. In conclusione alla precedente rassegna, è interessante focalizzare l'attenzione su alcune tematiche. In particolare le trasformazioni avvenute nella museologia e nella museografia potrebbero essere presentate come un alternarsi di progressioni e regressioni, dove spesso il ritorno alla tradizione non delinea obbligatoriamente una fase di decadenza. Le innovazioni e le sperimentazioni riguardanti le tipologie 3

J. Clair, Paradoxe sur le conservateur, L’Échoppe, Caen 1988.

69


museali e le modalità di rappresentazione sono state promosse con entusiasmo dalle istituzioni, sebbene accompagnate spesso da aspre critiche. In particolare, ne costituiscono un esempio significativo i musei virtuali, i quali annullano la dimensione relazionale tra spazio musealeoggetto-visitatore, aspetto connotativo e primario per garantire al pubblico di immergersi in quell’atmosfera accuratamente progettata e finalizzata alla comprensione delle collezioni esposte. Gli avvenimenti che hanno scandito la storia dei musei avvalorano questa tesi. Infatti – nonostante i considerevoli cambiamenti che hanno interessato il panorama museale dal Rinascimento sino alle realizzazioni più recenti – l'istituzione ha sempre prediletto, al di là dell'obiettivo comunicativo e espositivo, quello sociale. Dunque la museologia si presenta come scienza che si pone al crocevia fra antropologia e sociologia. Il museo, di conseguenza, diviene garante delle finalità pedagogiche delle esposizioni; promotore delle trasformazioni urbane; e s'interessa delle etnie e delle comunità locali incentivando la conservazione del loro patrimonio. Il panorama museale europeo si è presentato, nel corso dei decenni, talvolta omogeneo e talvolta variegato, influenzato soprattutto dai contesti sociali e politici propri delle nazioni, le quali si sono preoccupate

di

incentivare

lo

sviluppo

del

settore

museale.

Diversamente, gli Stati Uniti sono stati gli unici a ricoprire un ruolo primario nel panorama culturale del Nuovo Mondo. Essi, infatti, sono stati

promotori di

innovazioni

museologiche e museografiche,

successivamente riprese anche dall'Europa. Infine, si è potuto constatare come il pensiero teorico e le tecniche espositive, proprie del settore museale, siano fortemente influenzate dai

70


contesti nazionali in cui si sviluppano. Le sperimentazioni, riguardanti l'isolamento da queste realtĂ , ovvero la volontĂ di trasportare il concetto alla base dell'istituzione museale in una dimensione immaginaria ed estranea al background, si sono verificate fallimentari.

71


BIBLIOGRAFIA

AA.VV., a cura di, voce Museologia, in Grande Dizionario enciclopedico, UTET, Torino 1933. AA. VV., “Musei e gallerie d’Italia”, in Rivista dell’Associazione Nazionale dei Musei Italiani, XII, n.44, maggio-settembre 1971. ALEXANDER, Edward Porter, Museum Masters. Their Influence, American Association for State and Local History, Nashville 1983. ALOI, R(?)., Musei, Architettura, Tecnica, Hoepli, Milano 1962. ALPERS Svetlana, The museum as a way of seeing, in Karp I., Lavine S. (a cura di), Exihibiting Cultures. The Poetics and Politics of Museum Display, Smithsonian Institution Press, Washington 1991, p.28. trad.it. Culture in mostra: poetiche e politiche dell’allestimento museale, CLUEB, Bologna 1995. BALLE, Catherine, POULOT, Dominique, Musées en Europe. Une mutation inachevée, La Documentation française, Paris 2004. BADET, C(?)., COUTANCIER, B(?)., MAY, R(?)., Musées et patrimonie, CNFPT, Paris 1997. BASSO PERESSUT, Luca, Il museo moderno, Architettura e museografia da Perret a Kahn, Edizioni Lybra Immagine, Milano 2005. BASSO PERESSUT, Luca, Musées. Architectures 1990-2000, Actes Sud, Arles 1999. BINNI, Lanfranco, PINNA Giovanni, Museo. Storia e funzioni di una macchina culturale dal cinquecento a oggi, Garzanti, Milano 1980. BRESC, Geneviève, Mémories du Louvre, Gallimard, Paris 1989. CONFINO, Alon, The Nation as Local Metaphor: Württemberg, Imperial Germany and National Memory 1871-1918, University of North Carolina Press, Chapel Hill 1997. CLAIR Jean, Paradoxe sur le conservateur, L’Échoppe, Caen 1988.

72


DAVALLON, Jean, a cura di, Claquemurer pour ainsi dire tout l’univers. La mise en exposition, Centre Georges Pompidou, Paris 1986. DELOCHE, Bernard, Museologica: contradictions et logiques du Musée, Paris 1983. DUNCAN, Carol, Civilizing ritual. Inside Public Art Museum, Routledge, London 1995. EIDELMAN, Jaqueline, Musées et Publics: la double métamorphose, 2005.

HDR,

Université Paris

V,

EMILIANI, Andrea, Una politica dei beni culturali, Einaudi, Torino 1974. EMILIANI, Andrea, Dal museo al territorio, Edizioni Alfa, Bologna 1974. GEERTZ, Clifford, Local Knowledge, Baic Books, New York 1983, trad fr. Savoir local, savoir global, PUF, Paris 1986, trad.it. Antropologia interpretativa, Il Mulino, Bologna, 1988. GEORGEL C(?)., a cura di, La Jeunesse des musées. Les musées de France au de la RMN, Paris 1994.

XIX siècle,

Éditions

GOODWIN, Paul, in Museion, 1940, cit in Poulot, Dominique, Musée et muséologie, Édition La Découverte, Paris 2005, trad.it. Musei e museologia, Jaca Book, Milano 2008. GREENBLATT, Stephen, Risonanza e meraviglia, in I. Karp, S.D. Levine, Culture in mostra. Poetiche e politiche dell’allestimento museale, Bologna, Clueb, 1995. GROULT, Edmond, Institution des Musées cantonau: lettre à Messieurs les Délégués des Sociétés savantes à la Sorbonne, s.e., Paris 1877. HASKELL, Francis, Le musée éphémère. Las maîtres anciens et l’essor des expositions, Paris, 2002. HENNION, Antoine, La passion musicale. Une sociologie de la médiation, Métailié, Paris 1993. (Conseil International des Musées), Status.Code de déontologie professionnelle, Conseil international des musées, Pris, 1990 p.74. ICOM

KARP, Ivan, LAVINE, Steven, (a cura di), Exihibiting Cultures. The Poetics and Politics of Museum Display, Smithsonian Institution Press, Washington 1991, p.28. trad.it. Culture in mostra: poetiche e politiche dell’allestimento museale, CLUEB, Bologna 1995.

73


LEGGE N. 2002/5 del gennaio 2002, relativa ai musei di Francia, Journal Officiel, 5 gennaio 2002. LENOIR, Alexandre, Essai sur le muséum de peinture, n.e., Paris, 1793. MAGNAGO LAMPUGNANI, Vittorio, SACHS, Angeli, a cura di, Museums for a New Millenium, Prestel Verlag, Munich 1999. MAINARDI, Patricia, The end of the Salon. Art and the State in the Early Third Republic, Cambridge University Press, Cambridge 1993, trad it. La fine del Salon: Arte e stato all’inizio della Terza Repubblica, Nike, Segrate 1998. MALRAUX, André, Le Musée imaginaire, Albert Skira, Paris 1967, trad. it., Il museo dei musei, Leonardo, Milano 1994. MALRAUX, André, L’intemporel. La métamorphose des dieux, Gallimard, Paris 1997, p.254. MARANI, Pietro C. Marani, PAVONI, Rosanna, Musei. Trasformazioni di un’istituzione dall’età moderna al contemporaneo, Marsilio Editori, Venezia. MAROEVIC, Ivo, Introduction to Museology, Verlag Dr. Christian Müller-Straten, Munich 1998. MENSCH, Peter, Van, Muséologie et musées, Nouvelles de l’ICOM, vol.42, 1988. MINISTERE DE L’ENVIRONNEMENT, MINISTERE DE LA CULTURE, Les Parcs naturels et le patrimonie ethnologique, Fédération des parcs naturels de France, Paris 1982. MONNIER, Gérard, L’art et ses institutions en France, de la Révolution à nos jours, Gallimard, Paris 1995. MONTANER, Josep Maria, Nuovi musei. Spazi per l’arte e la cultura, Jaca Book, Milano 1990. MOTTOLA MOLFINO, Alessandra, Il libro dei musei, Allemandi, Torino 1992. MUSHAMP, Herbert, Man about Town. Frank Llyod Wright in New York City, Cambridge, MIT Press, 1983, p.111. Traduzione a cura dell’autore. PEVSNER, Nikolaus, “Musei”, in Id., Storia e carattere degli edifici, Palombi, Roma 1986 PLINIO, Gaio Cecilio Secondo, Naturalis Historia, libro XXXVII, Einaudi, Bologna 1982. POULOT, Dominique, Musée, nation, patrimonie,1789-1815, Gallimard, Paris 1997.

74


POULOT, Dominique, Musée et muséologie, Édition La Découverte, Paris 2005, trad.it. Musei e museologia, Jaca Book, Milano 2008. PUTNAM, James, Art and Artifact: the museum as a medium, Thames and Hudson, London 2001, trad.fr. Le Musée à l’œuvre. L musée comme médium dans l’art contemporain, Thames and Hudson, Paris 2002r. Christian Müller-Straten, Munich 1998. QUICCHEBERG, Samuel, Iscriptiones vel tituli theatri, 1565, trad.ing. The First Treatise on Museums: Samuel Quiccheberg's Inscriptiones, 1565, Getty Research Institute, Los Angeles 2014. QUINCY, Quatremère, de, Lettres à Miranda sur le déplacement des monuments de l’artde l’Italie, s.e., Paris 1836. RIFKIN, Jeremy, The Age of Access. The new culture of hypercapitalism, where all of life is a paid-for experience, Tarcher-Putnam, New York 2000, trad.it, L’era dell’accesso: la rivoluzione della new economy, Mondadori, Milano 2000. RIVIÈRE, Georges-Henri, La Muséologie selon Georges-Henri Rivière. Cours de muséologie. Textes et témoignages, Dunod, Paris 1989. RUDDEL, D.T(?)., “Les universités et le musée: rapports et pssibilités de collaboration” in Cahiers d’histoire, vol. IX, n. 2, automne 1988, pp.45-63. RUGGERI TRICOLI, Maria Clara, I fantasmi e le cose. La messa in scena della storia nella comunicazione museale, Edizioni Lybra Immagine, Milano 2000 p. 40. SANDELL, Richard, Museum, Society,Inequality, Routledge, London-New York 2002. SCHAER, Roland, L’invention des musées, Gallimard, Paris 1993, trad.it. Il museo. Tempio della memoria, Universale Electa/Gallimard, Trieste 1996. SCHUBERT, Karsten, Museo, storia di un’idea. Dalla Rivoluzione francese ad oggi, il Saggiatore, Milano 2004. SHÄRER, M(?). La relation homme-object exposée: théorie et pratique d’une expérience muséologique, Publics et Musées, vol. 15, 1999, pp.31-43. SINGLETON, Raymond, “The Purpose of Museums and Museum Training”, in Museum Studies, Toronto 1982.

75


SOFKA, Vinos, a cura di, Museology-science of just practical museum work?, ICOFOM, Stockholm 1980. STRANSKY, Zbynek, Muséologie. Introduction aux études, EIEM-Université Masaryk, Brno 1995. THIERRY, Augustin, Considérations sur l’historie de France, s.e., Paris 1840. TURGEON, Laurier, DUBUC, Elise, a cura di, “Musées d’ethnologie: nouveaux défis, nouveaux terrains”, in Ethnologies, vol.24, n. 2, 1978, pp. 29-40. VAISSE, Pierre, La storia delle attività della regione e della città, in Georgel 1994. VALÉRY, Paul, Le problème des musées, Gallimard, Paris 1923. VARINE-BOHAN, Hugues, de, L’écomusée, “Gazzette de l’Association des musées canadiens”, vol.X, n.2, 1978. VARINE-BOHAN, Hugues, de, Le musée au service de l’homme et du développement,1969, ora in Vagues. Une antologie de la nouvelle muséologie, A. Deesvalles, Paris 1992 trad it. R Pavoni, Musei. Trasformazioni di un’istituzione dall’età moderna al contemporaneo, Marsilio Editori, Venezia 2006. VERGO, Peter, a cura di, The New Museology, Reaktion Books, London 1989. VIATTE, Germain, Malraux et les arts sauvages, in André Malraux et la modernité. Le dernier des romantiques, Éditions Paris-Musées, Paris 2001. WATELET, Claude-Henry, a cura di, voce Cabinet, in Encyclopédie méthodique, s.e., Paris 17181786. WEIL, Stephen, A Cabinet of Curiosity. Inquires into Museums and their Prospects, Smithsonian Institution Press, Washington 1995. ZOLBERG, Vera. Le musée des Beaux-Arts, entre le culture et le public: barrière ou facteur de nivellement?, Sociologie et sociétés, vol. 21, n.2, 1989, p. 83.

76


FONTI DELLE ILLUSTRAZIONI

COPERTINA PANNINI, Giovanni Paolo, Roma Antica, olio su tela, Staatsgalerie, Stoccarda.

FRONTESPIZIO TERNIER, David, il Giovane, Veduta della quadreria dell’arciduca Leopoldo a Bruxelles, olio su tela, particolare, 1675 ca. Castello di Scheißheim. Lauros-Giraudon, Parigi, copertina di R. Schaer, L’invention des musées, Gallimard, Paris 1993, trad.it. Il museo. Tempio della memoria, Universale Electa/Gallimard, Trieste 1996. MUSEO MIRÒ, fotografia di Angelo Stabin, Barcellona, copertina di D. Poulot, Musée et muséologie, Édition La Découverte, Paris 2005, trad.it. Musei e museologia, Jaca Book, Milano 2008.

77


APPENDICE

78


Il saggio esamina e approfondisce principalmente gli apporti ideologici di due autori che si sono formati nel panorama museale francese. Nonostante abbiamo avuto formazioni ed esperienze differenti, entrambi mostrano teorie prevalentemente concordi a riguardo delle nuove tipologie museali sorte in Francia, evidenziando gli aspetti positivi e negativi che esse comportano nel contesto sociale. Non manca la volontà di confrontare le loro ideologie con testi di altri autori contemporanei e appartenenti anche a contesti differenti; e di effettuare degli excursus a riguardo della storia museale francese, finalizzati a fornire al lettore i concetti basilari sui quali essa si è sviluppata. Gli autori ai quali la trattazione si riferisce – con l’intento di fornire un’interpretazione critica dei loro elaborati – sono Dominique Poulot – autore del testo intitolato Musée et Museologie e tradotto nel 2005 da Adriana Crespi Bortolini – e Roland Schaer che in Il museo: tempio della memoria – pubblicato nel 1993 e tradotto da Silvia Marzocchi – focalizza l’attenzione sulle trasformazioni inerenti la museologia e la museografia nazionale. Riflessioni da cui traspare un humus filosofico derivante dalla sua formazione professionale. Entrambi docenti presso le università più prestigiose di Parigi, mirano, quindi, a effettuare una rassegna del panorama europeo, confrontandolo con le esperienze oltreoceano, non senza porre in risalto gli influssi ricevuti dal Nuovo Mondo. Dai suddetti testi traspare chiaramente la formazione francese dei due autori. Essi, infatti, mostrano un maggiore interesse per il ricchissimo ensemble museale francese, che diviene punto di partenza e di confronto della loro trattazione. Dominique Poulot, professore di storia alla Sorbona di Parigi e ricercatore presso il CNRS, si occupa della storia della cultura e delle sue istituzioni ed è uno dei maggiori esperti di museologia. Inoltre, è direttore della scuola di specializzazione di storia dell'arte presso l'Università di Parigi 1 Panthéon-Sorbonne 5 e presidente della sezione Archeologia e Storia del comitato delle opere d'arte storiche e

79


scientifiche. Tra le sue pubblicazioni maggiori troviamo Musée, nation, patrimonie, Gallimard, Paris 1997; e Une Histoire des musées de France, La Découverte, Paris 2005. Poulot opera, dunque, nel settore della museologia e in particolare consacra la sua ricerca sull’istituzione del museo e più ampiamente sul patrimonio dell’epoca moderna e contemporanea, focalizzando l’attenzione sui fenomeni della patrimonializzazione. La sua trattazione risente notevolmente dei suoi studi universitari e delle esperienze professionali: di grande interesse sono gli approfondimenti che propone a riguardo dell’arte moderna e contemporanea e degli aspetti connessi alla costruzione e conservazione del patrimonio culturale. Inoltre, gli studi sostenuti in Italia (Firenze) e in Canada hanno permesso al museologo di entrare in contatto con realtà differenti da quelle francesi, che gli hanno permesso di ampliare i suoi orizzonti culturali e di approfondire la sua conoscenza a riguardo degli sviluppi delle istituzioni museali in Europa e nel nord America. Per questa ragione, l’autore illustra e nel contempo paragona – con maggiore dimestichezza rispetto a R. Schaer – il panorama museologico e museografico che caratterizza le maggiori capitali europee e soprattutto americane, mostrando una certa sensibilità e conoscenza verso le vicende che hanno caratterizzato l’orizzonte museale oltreoceano, strettamente connesso al contesto sociale e politico della nazione. Analogamente Roland Schaer – dottore in filosofia e direttore del Service culturel del Musée d’Orsay a Parigi e professore presso l’École du Louvre – vanta, dal 1991 l’incarico di direttore dello sviluppo culturale presso la Biblioteca Nazionale di Francia, dove è anche curatore delle mostre Tutta la conoscenza del mondo (1996) e Utopia: la ricerca della società ideale in Occidente (2000). Egli dimostra una maggiore attenzione verso le vicende storiche francesi, sottolineando la matrice sociale e filosofica che li ha generati.

80


Roland Schaer è attualmente (2009) direttore dell’istituzione Sciences et société e delegato agli affari scientifici presso la Cité des sciences et de l’industrie (Parigi).

81


82


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.