Saggio critico l'ultimo tassello dell'acropoli berlinese, il Neues Museum

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L’ULTIMO TASSELLO DELL’ACROPOLI BERLINESE: IL NEUES MUSEUM


Plastico del progetto, masterplan dell’isola dei Musei, 1997-1999, David Chipperfield

SAGGIO CRITICO REDATTO DA: Claudia Cagliani, matr. 799180

SCHEDA TECNICA NEUES MUSEUM: PROGETTO: David Chipperfield Architects COLLABORATORI: Julian Harrap (restauro), Nanna Fütterer (computo metrico), Levin Monsigny (paesaggio), Kardorff (illuminotecnica), Michelede Lucchi (esposizione) STRUTTURE: Ingenieurgruppe Bauen IMPIANTI: Jaeger Mornhinweg + Partner Ingenieurgesellschaft COMMITTENTE: Stiftung Preussischer Kulterbesitz SUPERFICIE COPERTA: 20.500 mq CRONOLOGIA: 1994-97, prima, seconda e terza fase del concorso; 2003-09, costruzione

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SOMMARIO

Introduzione

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PARTE I. IL NEUES MUSEUM DI BERLINO: DALLE ORIGINI ALLE SUCCESSIVE TRASFORMAZIONI

1. Lo splendore della Museuminsel e la distruzione del Neues

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PARTE II. UN NUOVO ASSETTO PER IL NEUES MUSEUM 1. I concorsi internazionali del 1994 e del 1997 2. Un innovativo approccio con le rovine

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PARTE III. NUOVO E ANTICO: L’INTERVENTO DI D. CHIPPERFIELD E JULIAN HARRAP

1. Restauro, integrazione e nuovi innesti

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PARTE IV. SINTESI DI UNA MEDESIMA IDEOLOGIA: IL PERCORSO MUSEALE E L’ALLESTIMENTO 1. La progettazione integrata tra D.Chipperfield, M. De Lucchi e Kardoff Ingenieure

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CONCLUSIONI

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BIBLIOGRAFIA

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SITOGRAFIA

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FONTI DELLE ILLUSTRAZIONI

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APPENDICE

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Introduzione

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Dal masterplan alla ricostruzione del Neues Museum

Fino al 1997 l’edificio di August Stüler – realizzato tra il 1841 e il 1859 – risultava essere il tassello mancante per una visione completa dell’acropoli berlinese. La consistente presenza delle rovine del Neues Museum incitava un complesso intervento, risolto dall’architetto britannico David Chipperfield. La ricostruzione dell’antica fabbrica entra in una visione molto più ampia. Il progetto – oltre a doversi misurare con le antiche preesistenze, che rimandano all’idea astratta ma ancora visibile del manufatto – deve tener conto di un programma di pianificazione territoriale e di incremento culturale previsto per la Museuminsel. La forma ancora riconoscibile del Neues richiede un confronto con il contesto, composto da «una trama di edifici e luoghi tale da rendere la mancanza di parte dell’edificio un’evidente lacuna in un complesso dotato di una propria identità riconoscibile e progettata»1. La ricerca di continuità diviene un caposaldo dell’architettura di D.Chipperfield. L’architetto mostra questo approccio teorico sia nel programma urbano dell’Isola dei musei – con la proposta di un nuovo edificio che si interpone e crea un legame tra il Neues e il Kupfergraben – che nell’intervento sulla sostanza materica della fabbrica stüleriana, rispondendo in questo modo alle precise richieste della committenza. L’interessante tema del rapporto tra rovine e nuovi innesti, risulta essere una costante nella Berlino distrutta dai bombardamenti del conflitto mondiale. La memoria o l’oblio divengono, quindi, una questione nodale intorno alla quale si articolano gli interventi del panorama europeo post1

G.Leoni, David Chipperfield, Motta Architettura, Milano 2007, p. 23.

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bellico. Ne costituiscono un esempio il progetto per il museo diocesano di Colonia, da costruirsi accanto alle rovine della chiesa di Santa Kolumba; la rilettura in chiave moderna della cupola dell’edificio di Wallot a Berlino; l’inserimento di nuovi volumi tra le preesistenze come accade a Schwäbisch Hall con la Galleria Adolf Würth e a Dundee con l’Arts Centre; il caso dell’intelligente reinterpretazione di Hans Döllgast dell’Alte Pinakothek di Monaco. Infine, gli esempi italiani di restauro e di valorizzazione dei beni architettonici come l’allestimento dei BBPR per il Castello Sforzesco a Milano e di Carlo Scarpa per Castelvecchio a Verona; l’intervento conservativo di Liliana Grassi per la fabbrica quattrocentesca della Ca’ Granda a Milano.

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PARTE I. IL NEUES MUSEUM DI BERLINO: DALLE ORIGINI ALLE SUCCESSIVE TRASFORMAZIONI

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1. Lo splendore della Museuminsel e la distruzione del Neues

Costruito intorno al 1850 e gravemente danneggiato un secolo più tardi da una bomba degli Alleati, il Neues Museum di Berlino è stato per molti anni un ricordo relitto del passato, uno delle tante cicatrici sparse in tutta la città. Mentre gli altri siti sono stati restaurati e in alcuni casi integrati da suggestive strutture contemporanee, il Neues Museum è rimasto vittima trascurata di fattori finanziari e politici. Esso è situato sulla Museuminsel, Acropoli laica berlinese circondata dalla Spree. Il museo – inizialmente progettato come ampliamento dell’Altes – venne costruito su progetto di Friedrich August Stüler tra il 1841 e il 1859. Seconda sede dei musei reali, dopo quello di Karl Friedrich Schinkel prospiciente al Lustgarten, il Neues costituiva il fulcro di trasformazione dell’isola nella Spree, programmata dal sovrano prussiano Friedrich Wilhelm IV con l’intento di realizzare un Freistätte für Kunst und Wissenschaft, santuario dedicato alle arti e alle scienze a sigillo della supremazia intellettuale prussiana. Il progetto di Stüler – assistente e allievo prediletto di Schinkel alla Bauakademie – prevedeva, inoltre, la realizzazione di un «ensamble monumentale di impostazione classicista»1, caratterizzato da assialità e simmetria. Di questo interessante lavoro vennero realizzati solamente il Kolonnadenhof e il Neues, connesso all’Altes tramite un passaggio ad archi. L’edificio stüleriano era stato ideato per contenere la collezione etnologica e delle culture primitive locali, quella dei calchi in gesso e i reperti archeologici dell’antico Egitto. 1

R.Capezzuto, “Berlin rebuilds the Museum Island”, in Domus, n.831, novembre 2000, p.34.

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Il Neues Museum si presenta come manufatto complesso, testimone di una chiara difficoltà, in termini architettonici e compositivi, a reggere la vicinanza con il capolavoro neoclassico del maestro. Benché considerato dalla critica «nell’impianto planimetrico incerto e zoppicante»2 e caratterizzato da «facciate [che] ricercano con fatica e rozzezza simmetrie volumetriche inesistenti […]»3; il museo vanta un’interessante decorazione interna e l’utilizzo di tecniche di costruzione per il suo tempo innovative. Stüler – avvalendosi della consulenza di August Borsig, esperto costruttore di ferrovie – definisce una struttura portante leggera, costituita da colonne in ghisa con tiranti in ferro battuto decorato e volte alleggerite con anfore, espediente ripreso più tardi, in sede di restauro del manufatto, dall’architetto britannico David Chipperfield. Teatro di trasformazioni e cantiere senza termine, sono aggettivi che ben identificano il Neues Museum in quest’ultimo secolo. Eluso il pericolo della demolizione, prevista dall’attuazione della Große Berlin, è l’ordigno nucleare dell’anno 1943 a recare danni significativi all’edificio, polverizzando lo scalone monumentale d’accesso – arricchito dal ciclo di affreschi raffiguranti La Storia dell’Umanità di Wihelm von Kaulbach (1866) – l’ala nord-ovest e la campata sud-est. Questo terribile evento destina la fabbrica di Stüler a svolgere il triste ruolo di magazzino per i vicini musei. Gli anni Cinquanta e Sessanta sembrano annunciare una svolta decisiva al silenzioso stato di abbandono che versava sul Neues. Ben presto queste speranze si vanificano insieme alla caduta della DDR, la quale aveva previsto un masterplan generale per la rifunzionalizzazione della Museuminsel. L’assetto faticosamente raggiunto dall’Acropoli laica – caratterizzata oltre dal Neues, dal Bode Museum, dalla Nationalgalerie, N.Braghieri, “David Chipperfield Neues Museum Berlino”, in Casabella, n.778, giugno 2009, p.78. 3 Ibidem. 2

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dal Pergamon Museum e dall’Altes Museum – e distrutto dagli eventi bellici e dalle successive trasformazioni, ritrova un periodo di serenità con la riunificazione della nazione tedesca, avvenuta nel 1989. La condizione di rovina del Neues farà da elemento catalizzatore delle attenzioni della Berlino riunificata: si susseguiranno infatti due concorsi internazionali indetti rispettivamente nel 1994 e nel 1997, finalizzati al restauro dell’edificio di Stüler e alla riconfigurazione urbana dell’isola dei musei.

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1. Vista del Neues Mueum nel 1850 da Friedrichsbr端cke, Friedrich August St端ler.

2. Prospetto ovest Neues Museum, Friedrich August St端ler.

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3. Vista dello scalone principale d’accesso, Friedrich August Stüler.

4. Vista della sala greca, Friedrich August Stüler.

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PARTE II. UN NUOVO ASSETTO PER IL NEUES MUSEUM

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1. I concorsi internazionali del 1994 e del 1997

Il primo concorso, indetto nel 1994, prevede la ricostruzione del Neues Museum e sollecita una proposta architettonica e urbana per l’intera Isola, promuovendo nuove funzionalità lungo il bordo del canale Kupfergraben. Il programma si pone come obiettivo quello di riordinare gli spazi interstizi tra il Pergamon e il Neues, favorendo, attraverso la realizzazione di un nuovo edificio d’ingresso al comparto museale – finalizzato a contenere la James Simon Gallery – l’apertura verso il canale. Un sistema di collegamento tra i musei dell’Isola, fatta eccezione per la Nationalgalerie, garantirà una repentina visita ai turisti interessati solamente alle sale che ospitano le collezioni più importanti. Questo nuovo disegno – riproposto in sede del successivo concorso tenutosi nel 1997 – si coniuga con le prerogative dell’allora direttore dei musei, Wolf-Dieter Dube, il quale mira a concentrare nella Museuminsel il patrimonio archeologico tedesco, delocalizzando negli altri musei del territorio l’arte europea ed extraeuropea. Il concorso si risolve nella vittoria del progetto formulato dall’architetto Giorgio Grassi. Egli esprime una lettura critica alle richieste concorsuali, che prediligevano una «ricostruzione del dov’era com’era»1. L’architetto, infatti, propone un progetto austero, privo di spettacolarismo, dove nuovo e antico risultano volutamente distinti. Inizialmente, rifiuta l’idea di un corpo di collegamento esterno tra il Neues e l’Altes, rispondendo alla richiesta tramite «un collegamento tecnico sotterraneo destinato soprattutto a 1

AA.VV., International Charter for the Conservation and Restoration of Monuments and Sites, Art.3 Parigi, 1964 (traduzione a cura dell’autore).

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facilitare il lavoro degli addetti ai musei […]»2 e «[restituendo] al Kolonnadenhof il suo ruolo di elemento distributore dei musei che lo circondano»3. Durante la rielaborazione del progetto, richiesta nell’anno successivo, Grassi si mostra accondiscendente alla necessità inderogabile di un collegamento fuori terra, progettando un nuovo accesso tramite un ponte sul Kupfergraben e ripristinando l’antico collegamento ad archi tra l’edificio di Schinkel e quello di Stüler, secondo la teoria «del dov’era com’era»4. È apprezzabile, invece, la volontà di ampliare il Neues Museum «come se si trattasse di una parte della costruzione precedente […], di un frammento di quegli edifici del vecchio Packhofsanlage ideati da Schinkel alle spalle dell’Altes Museum»5. Quindi, l’intenzione dell’architetto di basare il nuovo progetto su una giacitura esistente, nonché l’utilizzo di materiali poveri, ribadisce il rispetto che il progetto possiede nei confronti delle preesistenze e la volontà di una dichiarazione esplicita del nuovo. Questo atteggiamento si ritrova nell’approccio conservativo e di ricostruzione rivolto al Neues. Il principio della Bescheidenheit als Ziel ovvero della modestia come ornamento, caro alla cultura tedesca sembra non fare leva sulle autorità museali berlinesi, che al contrario, preferiscono il progetto rivoluzionario di Frank Gehry, secondo classificato nel concorso. Le aspre polemiche sollevate, portano in crisi il progetto vincitore e inducono a istituire un nuovo bando di concorso nel 1997, dove David Chipperfield risulta primo in classifica. Il programma definitivo, già sancito dal precedente concorso, prevede la collaborazione dello studio vincitore con altri tre studi – coinvolti in ulteriori lavori di restauro nella Museuminsel – per l’elaborazione di un G.Grassi, “Interpretazioni di cose perdute”, in Casabella, n.657, giugno 1998, p.37. Ibidem. 4 AA.VV., International Charter, op.cit., art. 3. 5 Giorgio Grassi cit. in I. Maglica “Progetti per la ricostruzione del Neues Museum a Berlino. 1993-1997”, in Costruire in laterizio, n.80, marzo-aprile 2001, p. 25. 2 3

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masterplan che mira a rifunzionalizzare il percorso museale dell’isola nella Spree. Gli interventi principali riguardano, dunque, la archäologische promenade, che sfrutta i passaggi sotterranei esistenti, mettendo in connessione tutti i musei, fatta eccezione della Nationalgalerie; e la realizzazione di un nuovo padiglione centrale d’ingresso, destinato a caffetteria, negozi, la cui progettazione è stata affidata all’architetto britannico. Il progetto prevede un volume basso – che ben si integra col rinnovato contesto museale – costituito da ferro e da diverse gradazioni di opacità del vetro con un andamento degradante verso l’edificio schinkeliano. Soprannominata «Schnewittchensarg»6 ovvero bara di Biancaneve, la critica dimostra una forte propensione verso un’architettura meno eterea. Queste polemiche spingono Chipperfield a indirizzare le sue scelte verso un’architettura più massiva, sostituendo le esili colonne in ferro con pilastri di ordine gigante in cemento armato.

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N.Braghieri, op.cit., p.79.

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2. Un innovativo approccio con le rovine

L’intervento sul Neues Museum di Stüler presenta notevoli complessità. Nuovamente affiora la questione se prediligere la memoria o l’oblio. Querelle già affrontata, in maniera singolare, dall’architetto Norman Foster per l’intervento sull’edificio di Wallot. Il Reichstag, grazie al ridisegno della nuova cupola in vetro, trasla al presente, alleggerito da un inopportuno monumentalismo, sempre nel rispetto delle tracce di un passato poco felice. È opportuno evidenziare che il caso del Neues risulta essere ancora più delicato: mentre l’edificio di Wallot presentava una sua compiutezza formale, fatta eccezione per la cupola; il museo realizzato da Stüler era poco di più che una rovina, rimasta all’incuria per decenni. Necessitava, dunque, di un intervento più sostanziale. Nel 1997 Chipperfield vantava già un lusinghiero curriculum, ma sarà il progetto per il Neues a fornirgli l’attuale fama. Le opere fino ad allora prodotte reinterpretavano un vago minimalismo, estraneo all’architettura britannica di quegli anni caratterizzata dal plasticismo di Zaha Hadid e dalla propensione alla tecnologia di Foster. Il confronto con il contesto europeo, in particolare con la città di Colonia, pone le basi per l’atteggiamento conservatore che acquisirà Chipperfield nei confronti delle preesistenze. In questo progetto emerge, in maniera chiara, l’approccio con «il tema delle rovine, che non possono essere ridotte a mera scenografia ma devono tornare a vivere senza per questo perdere il loro carattere di frammenti»1. 1

G. Leoni, Realtà, idea, realtà, Motta Architettura, Milano 2005 p. 33.

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In questa prospettiva, l’architetto britannico elabora l’intervento sul Neues, privilegiando non la scelta estetica, bensì etica. Le questioni suscitate dalle preesistenze sono molteplici e abbracciano gli aspetti più vari: dal formale al tipologico, al tecnico e al filologico. Chipperfield, costruendosi un sistema di concetti – memore della lezione ruskiniana «conservare, non restaurare»2 e in accordo con i principi sanciti della Carta di Venezia del 1964 – risolve il lavoro incaricatogli, mostrando la volontà di una continuità nel nuovo e di un dialogo con l’esistente. In particolare, «il nuovo limiterà a pochi materiali e non sarà decorato; l’antico sarà autentico e non monumentalizzato»3. La fabbrica di Stüler è immune, dunque, dal pericolo di sublimazione della rovina, prediligendo la funzionalità del riuso. Come conferma Giovanni Leoni, all’architetto britannico interessa «riportare la rovina nel flusso del presente […]. La continuità, nel progetto di recupero per il Neues Museum, nasce appunto non da un’azione di ricostruzione su base mnemonica, ma da un dialogo diretto con la presenza dell’edificio»4. Evidente è l’incoraggiamento e l’ispirazione – più volte confermato da Chipperfield – ricevuti dal panorama museale italiano, che vanta gli interventi sull’esistente di Albini, Scarpa, BBPR; divenendo dunque, alla pari di quest’ultimi, un’esemplarità del restauro critico all’italiana. Un preciso lavorio di equilibro e integrazione critica, dove il netto rifiuto a un approccio dogmatico, lascia il posto allo studio di ogni singolo caso per garantire nel contempo l’autenticità e la fruibilità dell’antico manufatto. La sensibilità dell’intervento dell’architetto britannico mostra la sua capacità di lavorare attraverso proporzioni e ritmi in assonanza con la fabbrica originaria. R. Di Stefano, John Ruskin interprete dell’architettura e del restauro, Ed.scientifiche italiane, Napoli 1969 p. 173. 3 R.Capezzuto, op.cit., p.37. 4 G. Leoni, David Chipperfield, Motta Architettura, Milano 2007 p. 23. 2

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Egli propone, come aveva fatto in precedenza Giorgio Grassi, il restauro del Neues e l’integrazione delle parti mancanti col fine di riportare alla luce l’assetto distributivo iniziale, ripristinando la continuità del percorso museale. L’intervento diviene, dunque, l’emblema della pratica del costruire nel costruito, rifiutando la posticcia ricostruzione stilistica. Il percorso progettuale è intriso di una costante dialettica tra nuovo e antico e mostra «una delicata propensione alla rilettura della migliore sensibilità romantica rispetto al tema della rovina»5. Dunque, attraverso una sorta di collage compositivo – proposto dalla collaborazione degli studi di Chipperfield e Julian Harrap – i frammenti storici si integrano con efficaci nuovi innesti, eludendo il pericolo del mimetismo e riconducendo il manufatto a una perfetta armonia. A questo proposito, risultano inopportune le polemiche puriste che accusano l’intervento proposto dai due architetti di essere «la continuazione dei bombardamenti inglesi con altri mezzi»6. Piuttosto, il progetto mostra «una nuova metodologia di restauro aperta all’ascolto della memoria e proiettata verso un’idea di modernità che, alla nostalgia, sostituisce l’ottimismo»7.

M.Vercelloni, “Neues Museum”, in Interni, n.591, maggio 2009, p.38. Adolfo F. L. Baratta, “Ricostruzione del Neues Museum di Berlino, Germania”, in Costruire in laterizio, n.134, marzo-aprile 2010, p.32. 7 M.Vercelloni, op.cit., p.39. 5 6

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1. Ala ovest del Neues Museum distrutta dai bombardamenti, Candida H贸fer, 1943.

2. Scalone monumentale danneggiato dai bombardamenti, Candida H贸fer, 1943.

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3. Vista render James Simon Gallery dal Kupgraben, David Chipperfield Architects.

4. Vista render dell’ingresso alla James Simon Gallery, David Chipperfield Architects.

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5. Disegno della James Simon Gallery, David Chipperfield Architects.

6. Pianta principale della James Simon Gallery, David Chipperfield Architects.

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7. Sezione longitudinale della James Simon Gallery, David Chipperfield Architects.

8. Sezione trasversale della James Simon Gallery, David Chipperfield Architects.

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PARTE III. NUOVO E ANTICO: CHIPPERFIELD E JULIAN HARRAP

L’INTERVENTO

DI

DAVID

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1. Restauro, integrazione e nuovi innesti

L'edificio di Stüler necessità di tre tipologie d'intervento: la ricostruzione dei segmenti perduti come l'ala nord-ovest, la campata sud-est e lo scalone d'accesso; il restauro degli ambienti – la cui realizzazione sarà intrisa di grande sensibilità per ciascuna casistica – sopravvissuti al conflitto mondiale; la ricucitura e il consolidamento dei sistemi strutturali sulla base delle innovative tecnologie ideate da Borsing. L'intervento sul Neues – omaggio e allegoria della stratificazioni storiche ed architettoniche che caratterizzano la capitale tedesca – si risolve in un'eccezionale e delicata dialettica tra esistente e nuovo, basata su una «coerenza mobile»1. In particolare, la ricerca di un continuum – al quale aspira l'architetto britannico – in un sistema così variegato è raggiunta attraverso l'utilizzo di pochi e semplici materiali che identificano i nuovi innesti, trattando ogni singola parte del manufatto come «un caso unico verso il quale applicare un criterio di recupero particolare, in dialogo incessante tra necessità di visione unitaria e approccio specifico»2. Elementi prefabbricati di bianca graniglia di marmo sassone misti a calcestruzzo «lasciano ogni loro segno espressivo al solo trattamento di superficie, levigato, lucidato, fiammato, bocciardato, ogni volta coerente con il proprio ruolo tettonico»3. A questo proposito, sembra interessante approfondire il lavoro di Chipperfield attorno ad alcuni ambienti del Neues. Le ali distrutte dall'ordigno nucleare, sono ricostruite utilizzando mattoni di recupero 1

N.Braghieri, op.cit., p.91. R.Capezzuto, op.cit., p.37. 3 N.Braghieri, op.cit., p.92. 2

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trovati nel Bradenburgo. Quindi, col fine di riportare alla luce l’armonia perduta della facciata, il team di restauratori ed architetti è intervenuto sugli intonaci preesistenti con un approccio puntuale e rigoroso. Diversamente, i serramenti in quercia – non presentando problematiche specifiche – sono stati sottoposti a trattamenti ordinari per garantirne la conservazione. Il dialogo costante con la fabbrica e la denuncia degli innesti rispetto all'esistente è una costante che caratterizza questo lavorio durato ben dieci anni. Oggetto di questo attento studio sono stati gli elementi tecnici come i portoni e la boiserie in quercia fiammata nonché le ferramenta in bronzo ossidato. Le gallerie principali sono organizzate attorno a due cortili – uno greco e l’altro egizio – che fiancheggiano la scala monumentale, situata al centro della sala d’accesso. Lo scalone principale – che serve tutti i livelli del museo – è diventato un tema centrale intorno al quale, in sede di concorso, gli architetti partecipanti hanno formulato progetti di vario genere, ciascuno mostrando una sensibilità differente nei confronti di ciò che restava dell'antica fabbrica. Purtroppo, perduto il ciclo di affreschi – denominato Vaterlandische Saal e dipinto da Wilhelm von Kaulbach – che arricchiva il salone, restano a testimonianza dell’elegante monumentalità dell’edificio di Stüler solamente le opere murarie realizzate in mattoni e le colonne doriche che fungono da cornice alle ampie finestrature. In particolare, a questo proposito, sono considerevoli due progetti – benché diametralmente opposti – presentati al concorso del 1997. Interesse condiviso dalla Commissione dei Staatlichen Museen zu Berlin, la quale rivolge la propria attenzione alle soluzioni elaborate da Chipperfield e da Gehry. Il primo prevede un corpo essenziale, che rimanda volumetricamente a quello dello scalone originale ma contemporaneamente denuncia l’appartenenza all’ epoca moderna. Il cemento bianco con scaglie di marmo di Sassonia si innesta con «castità

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espressiva»4 nella preesistenza. La progettazione architettonica è stata integrata con programmi per la grafica, finalizzati a testare i valori tonali relativi ai nuovi materiali e il rapporto cromatico con l’esistente. Nonostante questa precisa attenzione alle scelte formali, alcuni critici hanno sollevato diverse polemiche a riguardo. Diversamente dalla poetica dell’architetto britannico, Frank Gehry interviene in questa scatola spaziale con una «esplosione plastica di due nastri di scale»5, segno che avrebbe rivoluzionato l’armonia dell’ambiente. Questo aspetto, quindi, gli costerà la vittoria del progetto dell’architetto britannico, giudicato più idoneo al linguaggio architettonico dell’edificio di Stüler. Talvolta, il lavoro di Chipperfield appare dirompente, attraverso la costruzione di nuove parti che vanno a completare alcuni ambienti del manufatto. È il caso della Aegiptischer Hof – fortemente danneggiata dai bombardamenti – per la quale l’architetto prevede una copertura in vetro satinato sostenuta da un regolare telaio caratterizzato da esili pilasti in calcestruzzo bianco. Questo «tavolo di cemento a dieci gambe»6 – chiaro riferimento alla celebre loggia di un mausoleo disegnato da Friedrich Gilly, precettore di Shinkel, nel 1790 – si articola su quattro piani e presenta tre livelli espositivi destinati alla collezione egizia, ciascuno con caratteristiche particolari. Si passa dal piano terra – spazio destinato all’accoglienza dei visitatori provenienti dal percorso sotterraneo dell’Archäologische Promenade – che ospita sarcofagi esposti su basamenti in pietra; al ballatoio situato al primo piano che percorre perimetralmente la corte e permette di osservare a breve distanza l’alternanza tra affreschi – che appartengono alla mise-en-scène del Neues di contestualizzare reperti antichi tramite dipinti murali – e la F.Albanese, “Neues Museum, Berlin”, in Domus, n.926, giugno 2009, p.13. F. Irace, "Il restauro del Neues Museum di David Chipperfield / The Neues Museum Restoration by David Chipperfield", in Lotus International, n. 144, dicembre 2010, p. 91. 6 N.Braghieri, op.cit., p.92. 4 5

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grezza muratura ripulita e ricucita. Infine, il percorso si conclude al terzo livello, illuminato dalla superficie vetrata di copertura, in accordo con le pannellature satinate che generano uno spazio espositivo intimo e ascendente verso il cielo. Le due corti, egizia e greca, divengono luoghi di allestimento e di recupero della memoria. In particolare, la Griechischer Hof – che si presenta nel complesso integra – si caratterizza per una particolare abside che ospita al livello superiore le scoperte archeologiche di Henrich Shliemann a Troia nel XIX secolo. Una concentrato di storia greca e romana, arricchita dalla luce zenitale proveniente dal lucernario superiore. La sala prende la denominazione di corte greca da tre busti colossali di Atena, Zeus e Hera, che il visitatore può ammirare appena sotto il cornicione dell'edificio. In realtà, protagonista dello spazio espositivo è il fregio di Hermann Schievelbein – intitolato Der Untergang Pompejis (gli ultimi giorni di Pompei) – che avvolge le pareti della corte e raffigura la fuga dei cittadini di Pompei durante l'eruzione del Vesuvio. Un’altra tipologia d’intervento è quella che lo studio britannico mostra nei confronti delle due campate estreme del Neues: la cupola nord e quella sud. La Nordkuppelsaal si presenta nella sua completezza formale, per questa ragione Chipperfiel e Harrap evidenziano la maestosità di questa sala attraverso un intervento di restauro conservativo. I colori dell’antico paramento murario e i disegni del pavimento sembrano coniugarsi perfettamente alla regalità di Nefertiti, unica degna sovrana di questo intimo ambiente. La regina egizia – rinomata in tutto il mondo per la sua raffinata bellezza – è ospitata al centro della sala in una vetrina di 4 mt d’altezza. Ciò, oltre a fornire maggiore maestosità al busto della moglie del faraone Akhenaten, evidenzia anche la modernità dell’allestimento di De Lucchi. Diversamente, la cupola sud – distrutta interamente dai bombardamenti – è rielaborata in chiave moderna dall’architetto britannico. I mattoni, disposti in maniera alveolare, compongono

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vertiginosamente la nuova cupola che avvolge le maestose statue romane tra cui domina quella di Helios, dio del sole. La sala, che culmina in una lanterna di vetro sabbiato e metallo, è caratterizzata da una suggestiva luce soffusa che pone in una misteriosa penombra gli interni. Espediente ripreso dalla vicina Neue Wache di Schinkel.

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1. Prospetto e vista dal canale Kupgraben dell’ala ovest ricostruita, fotografia di Ute Zscharnt.

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2. Il colonnato su cui si affaccia lo scalone centrale, fotografia di Ute Zscharnt. Pianta primo livello.

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3.Il rapporto tra la preesistenza e il nuovo intervento: lo scalone d’accesso e il paramento murario del prospetto ovest, fotografia di Christian Richter. Pianta del terzo livello.

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4.Vista frontale del nuovo scalone d’accesso.

5. Vista latrale del nuovo scalone in cemento prefabbricato e graniglia di marmo di Sassonia.

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6. Sezione longitudinale sulle cupole, disegno di David Chipperfield.

7. Vista della Nordkuppelsaal restaurata da David Chipperfield e Julian Harrap.

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8. Nordkuppelsaal prima e dopo il restauro di David Chipperfield e Julian Harrap.

9. Vista del dio Helios e particolare del lucernaio della cupola sud riprogettata da David Chipperfield.

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10. Sezione longitudinale sulle corti, disegno di David Chipperfield.

11. Vista nord della Griechischer Hof.

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12. Vista dell’abside sud della Griechischer Hof.

13. Vista del telaio in calcestruzzo dell’'Ägyptischer Hof.

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14. Dettaglio dell’'Ägyptischer Hof.

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15. Vista corridoio interno quarto piano, fotografia di Candida H贸fer.

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16-17. Vista sale espositive situate al quarto piano, fotografia di Candida H贸fer.

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PARTE IV. SINTESI DI UNA MEDESIMA IDEOLOGIA: IL PERCORSO MUSEALE E L’ALLESTIMENTO

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1. La progettazione integrata tra David Chipperfield, Michele De Lucchi e Kardoff Ingenieure

Nel 2003 – a completamento dell'insieme di interventi previsti per la riapertura al pubblico del Neues Museum fissata per il 2009 – è stato bandito il concorso internazionale ad inviti per l'allestimento e la grafica, vinto da Michele De Lucchi. Dal punto di vista scientifico, il Neues Museum riunisce nuovamente le due collezioni originarie – quella egizia (ÄMP-Ägyptischer Museum und Papyrussammlung) e la collezione di protostoria e preistoria (MVF Museum für Vor-und Frühgeschichte) – distribuite in due percorsi distinti e paralleli ma confluenti intorno al nucleo centrale dell'Archeologische Promenade che trova spazio nelle due grandi corti coperte, l'Ägyptischer Hof e la Griechischer Hof. La zona espositiva è distribuita su quattro piani, per un totale di circa quaranta stanze, che ruotano intorno alle due grandi corti. Il principio generale – che caratterizza il progetto allestitivo – è quello di intervenire con discrezione all'interno delle sale, nel rispetto della patina del tempo accumulata dalle pareti e dalle decorazioni dell'edificio. L'allestimento diventa quindi uno strumento sensibile, atto a creare una relazione tra la fabbrica, le opere esposte e i visitatori. In particolare, il costante confronto tra il progetto architettonico, illuminotecnico e allestitivo favorisce la creazione di vere e proprie atmosfere, dove la variazione di altezza tra una sala e l’altra, l’illuminazione puntuale o diffusa e la realizzazione di teche apposite per valorizzare le caratteristiche delle illustri opere della collezione, risultano essere un aspetto eccezionale di questo museo.

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Lo studio del layout distributivo, dei percorsi, la definizione delle tematiche più rilevanti di ciascuna collezione, l’esame delle caratteristiche illuminotecniche delle sale, il progetto grafico e dei percorsi didattici, costituiscono le aree di intervento del progetto di allestimento. L'obiettivo finale è quello di dare una chiave di lettura al percorso espositivo, in modo da rendere evidente l'importanza storica e scientifica di ogni singolo pezzo delle collezioni. Il progetto di allestimento consta di una struttura completa di vetrine, piedistalli, sistemi informativi e di protezione, caratterizzati da una grande flessibilità per un’eventuale futura gestione delle esposizioni. Inoltre, il sistema espositivo soddisfa le esigenze di diversi tipi di reperti e si inserisce armonicamente sia nelle sale storiche che in quelle ricostruite. Per garantire un equilibrio formale, i materiali dell’allestimento coincidono con quelli architettonici, favorendo quindi la mimetizzazione delle dette strutture e la celebrazione dei pezzi in mostra1. Se da una parte l'allestimento si pone in continuità con l'architettura, dall'altra mantiene una sua totale indipendenza dal punto di vista distributivo e funzionale. La disposizione delle vetrine e dei piedistalli segue generalmente l’andamento longitudinale delle sale, con eccezione di elementi lunghi disposti ad isola, che permettono la circolazione dei visitatori. Il dimensionamento delle vetrine si basa sia sulla logica della realizzazione su misura – col fine di rispondere al meglio alle esigenze espositive – sia di standardizzazione in un'ottica di produzione seriale, per gestire con maggiore facilità la definizione dei dettagli, la gestione e la manutenzione delle strutture. Quindi, l’allestimento risulta caratterizzato da espositori monolitici in conglomerato cementizio per le sale ricostruite e in ottone bronzato per le sale storiche. Essi sono completati da vetrine che poggiano su 1

Cfr. F. Irace, David Chipperfield, Mondadori Electa spa, Milano 2011, p. 29.

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piedistalli, il cui design garantisce l’alloggiamento e l’ispezione sia degli illuminatori a fibre ottiche che degli strumenti per il controllo climatico. Talvolta, i dispositivi per l’esposizione assumono la forma a tavolo e sono realizzati in ottone bronzato nero. Un aspetto interessante del progetto di De Lucchi – condiviso dalla critica – risulta essere la modularità degli elementi allestitivi che garantisce una flessibilità nell’esposizione e l’occultamento degli impianti, in particolare nelle sale storiche2. Non manca, però, la progettazione di pezzi speciali come la vetrina che protegge Nefertiti, e quelle che caratterizzano la sala dei sarcofagi e le Mumienmasken3. Un approccio simile si ritrova nel progetto illuminotecnico formulato da Kardoff Ingenieure. Flessibilità, rispetto della preesistenza e soluzioni specifiche sono principi che hanno guidato la logica progettuale. A causa della condizioni del museo nelle fasi iniziali di pianificazione, lo studio di illuminotecnica si è servito dei nuovi mezzi di modellazione tridimensionale per analizzare e valutare l’illuminazione naturale e artificiale. Degni di nota, sono gli interventi nelle due corti: oltre a un sistema d’illuminazione artificiale, sono state previste delle schermature su binari per i lucernari, evitando così l’abbagliamento e valorizzando le opere esposte. Il salone che ospita la scala monumentale d’accesso, è illuminato prevalentemente da luce naturale, grazie alle ampie finestrature. Il sistema d’illuminazione artificiale viene, invece, azionato solo in particolari momenti del giorno. L'obiettivo di questa pianificazione è stato quello di armonizzare l'illuminazione artificiale con le diverse condizioni di luce diurna previste negli spazi espositivi e di garantire la salvaguardia dell’antica fabbrica. In questa prospettiva, nelle sezioni di nuova costruzione, gli apparecchi illuminotecnici sono stati integrati in soffitti prefabbricati Cfr. M. Corradi, “Il Neues Museum tra integrazione e testimonianza storica”, in IoArchitetto, n. 28, ottobre 2009, p. 22. 3 Cfr. C. Dal Maso, “Nefertiti riconquista l'isola”, in Il Sole 24 Ore, 18 ottobre 2009, p. 43. 2

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mentre le attrezzature tecniche, collocate negli elementi di rivestimento. Diversamente nelle sale storiche, si è preferito utilizzare gli alloggiamenti esistenti. Conseguentemente ciò ha comportato la progettazione personalizzata di ciascuna casistica. Infine, l’illuminazione generale deriva principalmente da lampade ad alogenuri metallici a basso consumo energetico e da lampade fluorescenti, designate con la migliore classificazione energetica4.

Cfr. AA.VV., “ Neues Museum”, mostre, in http://www.smb.museum/home.html (accesso:18/04/14). 4

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1. Esposizione del busto di Nefertiti all’interno della restaurata Nordkuppelsaal.

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2. Allestimento cupola sud, disegno di Michele De Lucchi.

3. Allestimento Roemischer Saal, disegno di Michele De Lucchi.

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4. Piano terra della Griechischer Hof, Michele De Lucchi, fotografia di Giovanna Latis.

5. Terzo piano dell’Ägyptischer Hof, Michele De Lucchi, fotografia di Giovanna Latis.

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6. Schizzi delle vetrine per le sale del Neues Museum, Michele De Lucchi.

7. Vetrine espositive per le sale superiori, Michele De Lucchi.

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8. Illuminazione delle sale egizie piano terzo, Kardoff Ingenieure.

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9. Illuminazione delle sale ricostruite al piano terzo, Kardoff Ingenieure.

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CONCLUSIONI

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Nonostante le diverse polemiche mosse da parte della critica più radicale – che si basano su «una mentalità tedesca legata a una sorta di puritanesimo estetico che negava il diritto alla forma se non strettamente connesso a una funzionalità sublimata»1 – l'intervento di Chipperfield si pone tra i più interessanti degli ultimi anni. Risultato di uno studio e confronto con l'antica fabbrica di Stüler durato ben dieci anni, il Neues risulta «un'esplorazione dello spazio, del tempo e dell'architettura che si rivela stimolante tanto sul piano intellettuale quanto su quello estetico»2. In particolare, l'equilibrio sapiente tra i principi redatti nella Carta di Venezia e la capacità di non cadere in banali imitazioni della sostanza storica, elevano il Neues a modello di riferimento per gli interventi conservativi e di rifunzionalizzazione di un manufatto storico degradato. Sorge, quindi, un modo innovativo di operare tra storia e modernità. I restanti musei, che caratterizzano l'acropoli laica della Museuminsel, presentano approcci differenti. Si è diffusa la pratica di intervenire per correggere il passato, come accade nella Alte Nationalgalerie, dove lo studio HG Merz è intervenuto ripristinando e mettendo a nuovo le parti degradate della fabbrica. La critica italiana mostra diverse perplessità a riguardo, ponendo l'attenzione sulla questione che «se tutto questo tirare a lucido incontra un così grande successo, saranno in grado i direttori, i visitatori, i politici di apprezzare la sobria eleganza del Neues Museum?»3. Una prima risposta alla questione sollevata dalla critica potrebbe essere riscontrata nel confronto tra l’intervento rispettoso di David Chipperfield e l’ensamble museale che ospita l’Isola dei musei. A primo acchito il Neues – se paragonato ai falsificanti restauri e ai forti interventi di modernizzazione che hanno interessato e interesseranno gran parte degli altri musei – potrebbe sembrare fuori luogo poiché, nonostante presenti una forma armonica e compiuta, non possiede 1 2 3

F. Irace, op.cit., p.88. D.Sudjic, “Neues Museum, Berlin”, in Domus, n.926, giugno 2009, p.14. N. Bernau, “Il Neues Museum a Berlino”, in Casabella, n.721, giugno 2004, p.43.

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quell’aura di nuovo che avvolge i manufatti restaurati secondo il principio del dov’era-com’era, che conduce questi ultimi in una dimensione temporale parallela e inesistente. In realtà se invece si trasla la lettura, non più focalizzando l’attenzione sul significante, piuttosto sul significato, allora diviene il Neues l’elemento focale dell’acropoli berlinese ponendo in secondo piano gli interventi sugli altri musei. Solo osservando il Neues con la consapevolezza della sua storia, si può apprezzare la sobria eleganza attraverso la quale esso la esplica. Dunque l’intervento di Chipperfield fornisce al manufatto stüleriano un valore aggiunto che lo lega al passato ma al contempo lo fa rivivere nel presente. D’altro canto, è doveroso sottolineare che il fondamento della questione – che in sintesi riguarda l’accettazione dei segni del tempo – e il successo riscontrato degli interventi realizzati sugli altri musei dell’isola pone le sue radici nella formazione culturale del contesto sociale e nell’orientamento ideologico tedesco, dove la ricostruzione della facciata del Berliner Schloss diviene portavoce di un approccio sicuramente differente da quello italiano. Per questa ragione la questione risulta tuttora irrisolta, demandando al tempo la risposta. Intanto, questa querelle evidenzia come «a Berlino l'architettura pubblica ha ancora una funzione simbolica potente e il linguaggio può diventare strumento di politica e arma di propaganda per restituire un valore d'attualità alle storie»4. Questa convinzione ha comportato, dunque, un lungo dibattito per la riconfigurazione del distretto museale berlinese. Anche la consultazione del 1993 – che vede vincitore Giorgio Grassi, seguito da David Chipperfield, Francesco Venezia e Frank Gehry – dimostra questa inclinazione, rifiutando il progetto austero e rispettoso di Grassi, che si compone di volumi squadrati, e preferendo le proposte di Chipperfield e di Gehry che vedono come nodo progettuale il salone d'ingresso. Il 4

Lotus “Neues Museum, Berlin, 1859-1943/45-2009 David Chipperfield’s restoration,

in Lotus International, n. 144, dicembre 2010, p. 89.

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concorso non si limita solo al tema della ricostruzione del Neues, ma sollecita una proposta urbana e architettonica per la Museuminsel. Risultano interessanti le proposte di David Chipperfield e di Giorgio Grassi. Alla Archäologische Promenade e al nuovo ingresso che ospiterà la Simon Gallery – proposti da Chipperfield – si contrappone la lettura critica di Grassi che intende isolare l'Altes Museum per privilegiare il suo rapporto con il Duomo e con il prospiciente Lustgarten. L'architetto italiano, inoltre, rifiuta inizialmente l'idea di realizzare un collegamento con il Neues e propone un'inversione degli accessi esistenti ai musei per «restituire al Kolonnadenhof il suo ruolo di elemento distributore dei musei che lo circondano»5. Nonostante i differenti giudizi della critica, in generale questa scelta sembrerebbe essere condivisa dalla maggior parte dei giudici in quanto la court d'honneur del Pergamon diventerebbe un giardino introverso (hinterhof) tipico dei palazzi berlinesi, fornendo la suggestione che i tre musei possano essere accessibili tramite l'Arkadenhof, grande foyer all'aperto che conduce l’isola dei musei a una nuova chiarezza e importanza. Più di sessant’anni fa, lo stesso A. Behne – in un suo famoso articolo sull’isola dei Musei – sosteneva questa tesi, definendo la corte d’onore come un madornale errore urbanistico6. Un 'aspetto interessante del progetto di Grassi resta l'approccio mostrato per l'ampliamento del Neues Museum, il quale viene progettato attraverso la rilettura in chiave moderna di una parte dell’antica fabbrica del Packhofsanlage ideato da Schinkel alle spalle dell'Altes Museum7. Il manufatto schinkeliano diviene quindi traccia intorno alla quale si 5

G. Grassi, op.cit., p.38. Cfr. A. Behne, “L’isola del Museo: una tragedia dell’urbanistica berlinese”, in Das Neue Frankfurt, n.9, settembre 1930. 7 Cfr. G. Grassi, cit. in S.Suma, “Frammenti berlinesi”, in Industria delle costruzioni, n.378, luglio-agosto 2004, p. 79. 6

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articola il ragionamento di Grassi, mostrando ancora di più la sua stretta connessione con il Neues. In parte contestata dalla critica, la proposta per il nuovo edificio resta una delle più interessanti, non tanto perché riprende planimetricamente l'impianto della fabbrica stüleriana e si innesta su essa riproponendone le proporzioni, bensì perché interpreta tracce storiche che hanno caratterizzato il sito in passato. Maggiormente dibattuto è invece il progetto architettonico rivolto al Neues. Grassi, infatti, preferisce non esporsi in termini di reinterpretazione semantica della rovina, ma seguire in alcuni casi il principio del dov’era-com’era, fortemente discusso dalla Carta di Venezia. L'intervento consta nel restauro dell'edificio, volutamente mantenuto al rustico, con l'intento di rendere le sale principali musei di se stesse. Il progetto architettonico identifica, invece, un atteggiamento di astensione nel confronto con le rovine e in particolare con il fantasma delle strutture verticali che distribuivano l’antica fabbrica. L'architetto italiano – a negazione di questa accusa – motiva fortemente le sue scelte sottolineando la sua idea di «dare una risoluzione, per così dire, incompiuta dell'edificio, omettendone gli elementi decorativi e conservando di essi la sola impronta in negativo» finalizzata a «mantenere il segno della distruzione e la sua memoria storica[...]»8. I percorsi espositivi si articolano intorno alle due corti e sono connessi da ballatoi che corrono lungo la muratura restaurata del grande vano scala, svuotato e destinato ad Antiquarium. La successiva rielaborazione del progetto sostituisce l’astensione al rapportarsi con l’effimera presenza dello scalone monumentale con il capovolgimento della natura di questo spazio. Si passa, infatti, da una sensazione ascensionale, prodotta nel passato dalla monumentalità dello scalone a uno slancio orizzontale causato dal progetto della nuova scala che percorre trasversalmente il vano che la ospita, assolvendo al piano terra la funzione di foyer. Ulteriori perplessità, riferite al progetto, 8

Ibidem.

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riguardano sia le modalità espositive e di distribuzione museale proposte da Grassi – che a parere della critica non assicuravano la circolazione di grandi masse di visitatori – sia la successiva progettazione di un collegamento fuori terra tra Neues e Altes Museum. Essa prevede la ricostruzione del come era-dove era del ponte a tre arcate di Stüler, trattenendosi da alcuna sperimentazione formale, che Grassi vede come «il segno di un accanimento senza ragione su un'esperienza d'architettura sostanzialmente unitaria e compiuta»9. Infine, nel progetto rivisitato, l’area compresa tra il Kupfergraben e il Neues, a differenza della prima proposta, rimane libera, spostando l’attenzione sulla progettazione di un nuovo ponte sul canale. Esso conduce i visitatori all’accesso del museo, costituito da un blocco squadrato che contemporaneamente collega il museo egizio con il Pergamonmuseum. La prima proposta progettuale di F. Gehry – totalmente opposta all'accezione conservativa e rispettosa di Grassi, che attinge i suoi riferimenti alla lezione del passato – si presenta rivoluzionaria e in un certo senso invasiva. La volontà dell’architetto di attualizzare il passato del manufatto si esplicita attraverso l’effetto spettacolare. Per questa ragione, Gehry colloca dinanzi al museo ottocentesco una serie di padiglioni organici che però lo coprono visivamente dalla strada di accesso, ponendo dunque la fabbrica stüleriana in secondo piano. Sulla scia del successo ottenuto con il Guggenheim di Bilbao, l’architetto ripropone i medesimi materiali e forme astratte, promuovendo un forte disequilibrio tra nuovo e antico piuttosto che un’integrazione tra il linguaggio classicheggiante le parti moderne. La rivisitazione del suo primo progetto, suggeritagli dalla commissione dei musei di Berlino nel 1997, privilegia forme più rettilinee rispetto a quelle curve e consta della realizzazione di un ponte che funge da accesso al Neues. M.Antonello, “Il Neues Museum a Berlino, Germania”, in Industria delle costruzioni, n.429, gennaio-febbraio 2013, p.31. 9

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La preferenza dell'architetto di realizzare collegamenti in superficie con l’Altes e il Pergamon, nonché il progetto di una nuova piazza lastricata, denuncia la mancata integrazione con le preesistenze, le quali non sono viste come spunto progettuale bensì come presenze vincolanti. Un medesimo approccio è evidente nel progetto elaborato per la fabbrica di Stüler. La volontà di rendere gli spazi espositivi flessibili e di distinguere i percorsi museali destinati ai tour brevi da quelli specialistici, porta l'architetto – pur assicurando alla sala, che ospitava lo scalone monumentale, il suo ruolo centrale di distribuzione – a formulare un doppio accesso e a inserire un organico e scultoreo insieme di scale a spirale, le quali forniscono una differente connotazione a questo spazio e risultano slegate dal contesto architettonico. Benché preferito dal direttore generale dei musei berlinesi, il progetto di Gehry non si classifica vincitore. Le proposte progettuali presentate da David Chipperfield e da Frank Gehry risultano intrise di un’analisi e di una riflessione profonda sulle diverse questioni inerenti l’intervento richiesto, offrendo entrambi delle soluzioni apprezzate dai membri della commissione. La scelta che assegna a David Chipperfield e Julian Harrap la responsabilità di ridare vita al complesso museale della Museuminsel – e in particolare al Neues – è stata dettata dalla capacità del loro progetto di combinare con successo le forme e le tipologie storiche con i requisiti funzionali, fondamentali per un museo del XX secolo. La propensione dei progettisti a comunicare il passaggio del tempo e il dilavamento che gli elementi costituenti la fabbrica hanno subito negli anni di completo abbandono, si esplica nel chiaro rapporto tra nuovo e antico. Questo espediente è proprio della poetica dell’architetto britannico, come dimostra l’intervento coevo per la Galleria d’Arte sul Kupfergraben. L’approccio con la preesistenza risulta esemplare: egli riconfigura l’angolo distrutto dell’edificio con un materiale che connota la sua appartenenza all’epoca moderna ma al contempo restituisce l’armonia

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perduta alla fabbrica distrutta dai bombardamenti. La logica e la sensibilità che Chipperfield utilizza per riprogettare il prospetto di questo manufatto è ripresa nella sistemazione delle sale interne del Neues Museum. La Galleria, quindi, acquista un nuovo volto, ma sempre rispettoso del passato, in quanto l’architetto britannico riprende le partizioni verticali e orizzontali dell’antica fabbrica, sottolineando con un differente materiale il passaggio tra basamento, corpo e coronamento. Una simile attenzione è posta sia per le bucature – che sono modulate secondo quelle preesistenti e arricchite con serramenti in legno – sia nel rapporto con gli edifici immediatamente adiacenti, con cui si connette mediante l’altezza. Quindi l’angolo diviene l’elemento centrale della composizione architettonica del prospetto della Galleria, che chiarifica il passato, lo completa e al contempo gli attribuisce un nuovo valore. La poetica di David Chipperfield – arricchita dalla stretta collaborazione con Julian Harrap sia per la progettazione degli innesti che per gli interventi di restauro – eleva il Neues non solo a maggior simbolo culturale della Germania unita, bensì a modello di un nuovo metodo secondo il quale preservare la storia. Alla pratica del com’era-dov’era e della tabula rasa, si impone una metodologia che si interessa di esaminare le casistiche presenti e ponderare le diverse tipologie d’intervento. Ricostruzione, conservazione, restauro, ripristino risultano essere solo dei dispositivi, scelti a seconda dello scopo dell’intervento, che scaturisce dal confronto con l’antica fabbrica. Costituiscono un esempio di questa inclinazione tedesca i moderni interventi e l’articolato collage di rovine di Ergon Eiermann per il Kaiser Wilhelm Gedächtniskirche a Berlino – che suscitò un lungo dibattito da parte della critica – nonché la radicale e intelligente reinterpretazione di Hans Döllgast dell’Alte Pinakothek di Monaco: approcci differenti che incentivano non il contrasto ma la continuità. Un meticoloso processo

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composto da giudizi, interpretazioni che mirano a creare un equilibrio tra il singolo elemento e la visione globale. Per il rigore filologico e per l’approccio dinamico al restauro della fabbrica stüleriana – che da luogo a un edificio costituito da molteplici stratificazioni che ne rappresentano la storia e ne restituiscono il carattere – l’intervento dei due architetti inglesi è definito come «un risultato eccezionale. […] Un lavoro che comporta sia la conservazione di un vecchio edificio che la costruzione di uno nuovo. Il progetto solleva e affronta diverse questioni d’ordine estetico, etico e tecnico»10. Nonostante abbia ottenuto riconoscimenti da tutto il mondo, il progetto per il Neues è stato criticato da detrattori che avrebbero prediletto un approccio più fedele al disegno originale del XIX secolo e dai puristi che non condividono il metodo di restauro applicato dagli architetti britannici alle rovine della fabbrica. Tuttavia, come spiegato da Chipperfield, i segni (inflitti dalla guerra e dal degrado) non sono delle cicatrici, ma rappresentano la memoria storica del manufatto. Il Neues risulta quindi «un edificio moderno che abita il fantasma di uno vecchio»11 ma che non si pone come contemplazione dello stesso, bensì lo evoca nel presente. Diversamente, parte della critica considera l’intervento degli architetti britannici incomprensibile al pubblico tedesco, poiché abituato a restauri integrativi, talvolta falsificanti. Ma è la riapertura del Neues a eliminare ogni sospetto: non solo le infinite file per poter ammirare l’intenso lavoro di Chipperfield e Harrap ne costituisce la rivalsa, bensì questo equilibrato connubio tra progettazione e restauro vanta il Premio UE per l’architettura contemporanea/premio Mies van der Rohe (2011). M. Mostafavi, “Il Neues Museum di Berlino vince il premio UE 2011 per l'architettura contemporanea / premio Mies van der Rohe” cit. in http://www.tafter.it/, (accesso:18/04/14). 11 M. Kimmeman cit. in J. Taylor “The Neues Museum. A fresh approach to conservation”, in The New York Times in http://www.buildingconservation.com/, (accesso: 18/04/14). 10

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Questo risultato è raggiunto grazie alla collaborazione degli architetti britannici e al lodevole contributo di Michele De Lucchi. Frutto di un concorso separato dal progetto di restauro, l'allestimento di De Lucchi funge da mediatore tra l'architettura e l'archeologia, permettendo al visitatore di incantarsi davanti alle meraviglie esposte. Il concept – da cui nasce e si sviluppa l’allestimento – si sintetizza nella scelta dei medesimi materiali proposti da Chipperfield per garantire la mimesi e non il contrasto, nell’esame delle differenti casistiche presenti e nel rispetto delle preesistenze. Bronzo nero e graniglia di cemento diventano mezzi espressivi di un design controllato nelle proporzioni, nei dettagli e nelle componenti tecnologiche. Ne scaturisce un approccio classico e una volontà di investire sull’autenticità della fabbrica, che definiscono la genesi di un atteggiamento che l’architetto italiano approfondirà successivamente nella commessa per le Gallerie d’Italia. L’influenza del progetto tedesco, infatti, si identifica successivamente nella Studiensammlung ovvero la volontà di «rendere visibili gli archivi dei musei, rendere visibile agli studiosi e ai visitatori parti del museo non allestite a museo»12. Da qui nasce l’idea di strutturare l’allestimento per i palazzi milanesi di Intesa Sanpaolo secondo la morfologia di un «caveau […] per sistemare il tesoro della banca, che è l’arte. È quindi, metaforicamente, il senso che la banca […] vuol dare al sostegno e alla difesa della cultura italiana»13. Ritornando all’esperienza tedesca, De Lucchi evidenzia approcci diversificati ai concetti espositivi relativi al Museo Archeologico e al Museo Egizio presenti nel Neues poiché «mentre tutto l’Egitto è arte e quel che è esposto si guarda come si ammira un quadro di Michelangelo o Raffaello; tutto il mondo preistorico invece è fatto di piccole cose, […] che hanno bisogno di un grandissimo apparato informativo». In questa M. De Lucchi cit. in Manuela Alessandra Filippi, “L'intervista-confessione a Michele De Lucchi, sognatore con i piedi per terra...” in http://www.affaritaliani.it/, (accesso:18/04/14). 13 Ibidem. 12

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prospettiva, l’architetto predilige evidenziare «[Non] il reperto, ma cosa il reperto rappresenta. È una storia da raccontare, un grande lavoro grafico di stimolo all’immaginazione»14. Quindi il progetto di Chipperfield e Harrap, arricchito dall’allestimento permanente di De Lucchi – nel quale ogni aspetto della mostra è criticamente esaminato e si confronta e interagisce con l’architettura della fabbrica – rende questo complesso lavoro «la testimonianza del processo di collaborazione portato avanti dinanzi a un’opinione pubblica difficile […]»15 ed identifica il Neues Museum come «un’importante dichiarazione di come un intervento architettonico contemporaneo possa contribuire a riutilizzare un patrimonio architettonico del passato migliorandone le qualità funzionali e introducendo nuovi elementi architettonici di squisita qualità progettuale in modo da restituire l’edificio alle sue finalità museali»16.

M. De Lucchi cit. in E. Franzoia, “La formula teatrale”, in Ottagono, n.249, aprile 2012, p.130. 15 D. Chipperfield, cit. in “Il Neues Museum di Berlino vince il premio UE 2011 per l'architettura contemporanea / premio Mies van der Rohe”, http://www.tafter.it/, (accesso: 18/04/14). 16 L. Hortet cit. in I.Costanzo, “Neues Museum, la sua rinascita”, in Designum+, n.721, luglio 2009, p.45. 14

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1. Proposta progettuale per la Museuminsel, piano terra, disegni di Giorgio Grassi, 1993.

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2. Proposta progettuale per la Museuminsel, piano primo, disegni di Giorgio Grassi, 1993.

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3. Proposte progettuali per l’isola dei musei, Giorgio Grassi, Frank O. Gehry, 1993.

4. Plastico della proposta progettuale per il Neues Museum, Giorgio Grassi, 1993.

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SITOGRAFIA

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FONTI DELLE ILLUSTRAZIONI

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FRONTESPIZIO FRAMPTON, Kenneth, Neues Museum Berlin / by David Chipperfield Architects in collaboration with Julian Harrap, Rik Nys and Martin Reichrt, Köln, 2009, fotografo: Candida Hófer.

PARTE I 1-3. STÜLER, Friedrich August, Das neue Museum in Berlin , Ernst & Korn, 1862. 4. PAYNE, A. H(?):, Berlin and Its Treasures, 1853–1858.

PARTE II 1,2. FRAMPTON, Kenneth, Neues Museum Berlin / by David Chipperfield Architects in collaboration with Julian Harrap, Rik Nys and Martin Reichrt, Köln, 2009, fotografo: Candida Hófer. 3-8. CHIPPERFIELD, David, projects, James Simon Gallery, http://www.davidchipperfield.co.uk/. (accesso: 28/04/14)

PARTE III 1-3. Costruire in laterizio, n.134, marzo-aprile 2010, p.28-33, fotografo: Christian Richters, Ute Zscharnt.. 4,5. SBM Staatliche Museen zu Berlin, fotografo: Achim Kleuker. 6,8,10. CHIPPERFIELD, David, projects, Neues Museum, http://www.davidchipperfield.co.uk/. 7,9,15-17. FRAMPTON, Kenneth, Neues Museum Berlin / by David Chipperfield Architects in collaboration with Julian Harrap, Rik Nys and Martin Reichrt, Köln, 2009, fotografo: Candida

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H贸fer. 11-13. CHIPPERFIELD, David, http://www.davidchipperfield.co.uk/, fotografo: Christian Richters. 14. Designum+, n.721, luglio 2009, p.47, fotografo: Joergvon Bruchausen.

PARTE IV 1. FRAMPTON, Kenneth, Neues Museum Berlin / by David Chipperfield Architects in collaboration with Julian Harrap, Rik Nys and Martin Reichrt, K枚ln, 2009, fotografo: Candida H贸fer. 2,3,6,7. DE LUCCHI, Michele, culture, Neues Museum, http://www.amdl.it/. 4,5. DE LUCCHI, Michele, culture, Neues Museum, http://www.amdl.it/, fotografia di Giovanna Latis. 8-9. KARDOFF INGENIEURE, projects, Neues Museum, http://www.kardorff.de/.

CONCLUSIONI 1-2. Costruire in laterizio, n.80, marzo-aprile 2001, p. 24-27. 3. GILBERT-ROLFE, Jeremy, Frank Ghery: The City and Music, Psychology Press, London 2001, competition model di F.Ghery&Associates fotografo: Joshua White 1994. 4.GRASSI, Giorgio, projects, Neues Museum e il completamento della Museuminsel, http://www.europaconcorsi.com/.

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APPENDICE

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David Chipperfield

David Chipperfield è nato a Londra nel 1953. Il suo percorso formativo incomincia alla Kingston School of Art and the Architectural Association nella capitale inglese e si conclude con il conseguimento della laurea, ottenuta nel 1977. Successivamente intraprende la prime esperienze lavorative negli studi di Douglas Stephen, Richard Rogers e Norman Foster, mostrando un approccio critico alla loro poetica. Nel 1984, l’architetto britannico fonda il David Chipperfield Architects che, attualmente, possiede tre sedi principali a Londra, Berlino e Milano e un ufficio a Shanghai. Lo studio inglese vanta la vittoria di più di 40 gare nazionali e internazionali e numerosissimi premi per l’eccellenza del suo lavoro. Nel 2007 David Chipperfield diviene socio onorario dell’American Institute of Architects e membro onorario del Bund Deutscher Architekten. Nel 2008 entra a far parte della Royal Academy of Arts di Londra e viene nominato Professore Onorario della Kingston University. Negli ultimi decenni l’opera di David Chipperfield ha conosciuto un importante consenso critico, che trova il suo apice nell’intervento per il Neues Museum di Berlino, dove la sensibile reinterpretazione del contesto e il labile equilibrio tra memoria e oblio costituiscono aspetti fondamentali del suo approccio al progetto. La sua carriera possiede un carattere al contempo atipico ed esemplare: essa non si svolge nel contesto londinese bensì in quello europeo. Nei progetti italiani e tedeschi, il compromesso tra innovazione e conservazione e la dialettica tra preesistenze e nuovi innesti raggiunge degli interessanti risultati. La ricostruzione critica promossa da Joseph

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Paul Kleihues negli anni Ottanta e la lezione del «noli me tangere»1 di John Ruskin costituiscono dei fondamenti che guidano i progetti di Chipperfield sull’esistente, rifiutando il mimetismo e prediligendo un nuovo che evochi l’antico. La costante ricerca di continuità nel tema della memoria e nel contesto – che si tratti sia di un nuovo intervento che di uno strutturato sulle preesistenze – e il tema del limite – inteso come rifiuto della tabula rasa, esaltazione della normalità del quotidiano e principio su cui si basa la stabilità dell’architettura – costituiscono dei dogmi del pensiero dell’architetto britannico. La critica tende a paragonare l’approccio teorico al progetto di Chipperfield a quella di Renzo Piano «non certo per affinità linguistiche, ma per la determinazione con cui l’architettura viene associata a un processo teso al perfezionamento di standard prestazionali e alla loro sperimentazione […]»2. La sua propensione a preferire la riduzione all’eccesso non deve essere confusa con l’ascetismo tipico del minimalismo britannico, che trova con David Chipperfield un’interessante reinterpretazione, che si fonda su un forte pragmatismo. Per l’architetto britannico il progetto nasce da un processo costituito dall’intenso studio in pianta e in sezione – il cui elemento ordinatore è sintetizzato nella definizione del carattere del contesto con cui essi si rapportano – i quali risultano dispositivi di controllo spaziale da cui si genera il volume del manufatto. Si introduce, dunque, il concetto di presenza architettonica: essa è costruita attorno «un’interpretazione del rituale quotidiano della vita»3. La realtà, quindi, non risulta un elemento da demolire piuttosto da comprendere attraverso la forma architettonica, la quale deve offrire spazi vitali e garantire la qualità dello spazio che racchiude. La flessibilità degli ambienti e 1

J. Ruskin, Seven Lamps of Architecture, s.e., London 1849 trad.it. R. M. Pivetti, Le sette lampade dell’architettura, Jaca Book, Milano 1982. 2 F. Irace, David Chipperfield, Mondadori Electa spa, Milano 2011, p. 8. 3 David Chipperfield cit. in F. Irace, “David Chipperfield”, Mondadori Electa spa, Milano 2011, p. 34.

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l’attitudine a progettare componendo – intesa come organizzazione di tutte le parti – costituiscono le principali sperimentazioni dell’ideologia di Chipperfield. Un ulteriore aspetto della sua poetica è l’importanza che egli attribuisce della scelta dei materiali, i quali rimandano alla tradizione costruttiva del luogo. Di conseguenza, i linguaggi storici possiedono un ruolo molto limitato nell’opera di Chipperfield, dando spazio «a una concezione dell’architettura come artigianato intellettuale, i cui presupposti sono definiti dalla convinzione che avere un solo problema da risolvere è una grande libertà»4.

4

G. Leoni, David Chipperfield, Motta Architerttura, Milano 2007, p. 118.

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Michele De Lucchi

Michele De Lucchi è nato a Ferrara nel 1951. Si laurea in Architettura a Firenze nel periodo in cui vigeva l’Architettura Radicale, momento storico in cui i designer incominciano a porsi una serie di domande a riguardo della propria professione e del suo ruolo sociale. Solamente alla fine del decennio, dopo quell’epoca di concettualismo e del radicalismo, in De Lucchi nasce la necessità di progettare oggetti fisici e non solamente ideali. I primi prodotti che l’architetto fiorentino disegna, nascono nel contesto di Alchymia. Caratterizzati dal colore e dalle forme sinuose e leggiadre, questi oggetti di uso quotidiano si accostano allo spazio domestico, come piccole storie dal carattere giocoso e si contrappongono all’aggressività degli strumenti tecnologici dell’abitazione moderna. Contemporaneamente, all’interno di Alchymia, De Lucchi conosce Alessandro Mendini, Andrea Branzi ed Ettore Sottsass. Con quest’ultimo, nel 1980, fonderà Memphis, un’esperienza centrale dell’avanguardia italiana. Durante questa collaborazione, essi sviluppano diverse teorie riferite all’oggetto di design, il quale diviene il centro della loro ricerca intellettuale. Colore, decoro, flessibilità e sperimentazione formale connotano le produzioni dei due giovani designers. Questo particolare approccio anticonvenzionale con il prodotto di design influenzerà tutta la carriera professionale di De Lucchi. Un’ interessante parentesi della sua pratica professionale è il rapporto che si consolida con l’Olivetti, per la quale, egli disegna, oltre a prodotti d’arredo, anche computer. Conclusasi l’esperienza olivettiana e definita la rottura con Sottsass, l’architetto fiorentino – interessato a

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promuovere la sperimentazione progettuale connessa all’industria – fonda Produzione Privata. La sua ricca e poliedrica professionalità – da lui stesso paragonata a quella del Piranesi – lo conduce alla vittoria del concorso internazionale per l’allestimento permanente e la grafica del Neues Museum di Berlino. Questa esperienza dimostra non solo la sua capacità di rispondere brillantemente alle richieste della committenza, bensì evidenzia alcuni principi della sua poetica. La volontà di dare continuità a un contesto così variegato, si esprime nella relazione che il suo allestimento stabilisce con la fabbrica stüleriana e con l’intervento di David Chipperfield. Michele De Lucchi, dunque, progetta elementi espositivi flessibili, che si adeguano alle diverse casistiche presenti. Egli risolve l’allestimento del Neues prediligendo la mimesi dei dispositivi. L’architetto, infatti, – col fine di porre in primo piano la bellezza delle opere esposte – sceglie gli stessi materiali utilizzati da David Chipperfield nei nuovi innesti. De Lucchi, inoltre, specifica la sua produzione nel settore dell’ufficio, dell’arredo e intrattiene rapporti lavorativi con grandi aziende come Enel, Piaggio, Telecom Italia e Intesa Sanpaolo. L'affinità con la committenza milanese conduce De Lucchi a progettare gli allestimenti museali per le Gallerie d'Italia in Piazza della Scala, il cui riferimento allestitivo risulta essere la precedente esperienza berlinese. Il particolare rapporto con l’industria, definisce una costante nella poetica di De Lucchi. Egli mira a «riconciliare il mondo industriale e tecnologico con il mondo dell’arte e della cultura»1. L’architetto, dunque, promuove la macchina produttrice, che non costituisce più l’emblema di una società in decadenza priva di valori, bensì risulta un prezioso mezzo per la divulgazione di idee e pensieri. 1

S. San Pietro, a cura di, Michele De Lucchi, Edizioni l’Archivolto, Milano 1992.

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Sulla base del concetto che «l’architettura è la formula per costruire l’ambiente in cui recitare la nostra esistenza»2, De Lucchi guarda alla scena urbana, proponendo – per comunicare l’identità della Georgia – il progetto del Ponte della Pace di Tbilisi. Infine – a testimonianza della grande professionalità dell’architetto fiorentino – vi sono diversi premi e riconoscimenti nazionali e internazionali. Si ricordano il Gute Industrieform, il Design Innovation ’92 in Germania, il Good Design in Giappone e infine il Compasso d’Oro e il Premio SMAU in Italia.

2

M. De Lucchi cit. in S. San Pietro, “Michele De Lucchi, Edizioni l’Archivolto, Milano 1992.

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