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PEDIATRA
Genitori e figli, qualche riflessione Prima parte
Dottor Carlo Alfaro
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Essere genitori è un’esperienza comune alla maggior parte delle persone, eppure è sempre, per ciascuna mamma e papà, assolutamente unica e straordinaria. Un’avventura continua e imprevedibile che mette di fronte a sfide, scoperte, emozioni quotidiane. Amare i figli è la base di tutto, ma non è sufficiente per educarli bene. Ovviamente, non esiste una ricetta magica per essere dei buoni genitori, è qualcosa che richiede un mix di informazioni, conoscenze, intuito, creatività, fantasia, dedizione, impegno. I genitori di oggi percepiscono che il loro ruolo è più difficile rispetto al passato, perché la società è più complessa e densa di rischi per i giovani. D’altro canto, bambini e ragazzi spesso si trovano disorientati dal comportamento degli adulti che gli arriva come ambivalente e talvolta non degno di stima e fiducia. Durante l’attesa, ogni genitore fabbrica dentro di sé il suo bambino immaginario, frutto di aspettative, fantasie e proiezioni, ma poi deve confrontarlo e adattarlo al proprio figlio per quello che è realmente e non come avrebbe voluto che fosse. Ma la capacità di sorprendere che rivela ogni giorno il proprio figlio crescendo è fonte di emozioni impagabili. Fin dal primo giorno, i genitori devono essere consapevoli che un figlio ha una sua individualità unica, non è una sua proprietà né un suo prolungamento, ma una persona che accompagnerà nel suo cammino di vita. I genitori devono partire dall’osservare i bambini, guardare come si muovono, ascoltare
la loro voce, decifrare i loro segnali. Ogni bambino ha in se stesso tutte le potenzialità per crescere e svilupparsi in modo ottimale, ai genitori non spetta altro che interpretare le sue esigenze, espressione dell’istinto infallibile governato dalle leggi secolari della natura, e offrirgli il supporto per realizzarle al meglio. Se i genitori si mettono nella condizione di osservare e di capire, sarà il bambino a guidarli, e lo farà meglio di qualunque altro “esperto”. Tra i compiti del genitore nei confronti del figlio: garantire protezione, insegnare i limiti, far sviluppare la capacità di interazione nel contesto sociale e di gestione dei conflitti, favorire autonomia, incentivare indipendenza, consolidare sicurezza, alimentare senso di responsabilità e consapevolezza. L’obiettivo è aiutare ogni bambino a diventare un essere sociale e funzionale, una persona che sta bene interiormente in una società di cui comprende le regole e le rispetta.
Tra i compiti evolutivi del bambino: passare dal principio del piacere al principio di realtà, condizione base per il vivere sociale, che permette di prendere coscienza che per stare con gli altri non si può avere come spinta interiore solo il proprio desiderio, ma occorre tener presente la realtà contestuale; imparare a tollerare la frustrazione, accettando rifiuti, sconfitte, fallimenti; avere consapevolezza delle regole sociali introiettandole come proprie; sviluppare autostima e auto-efficacia nel saper essere e saper fare; rispettare la libertà, propria e degli altri, superando il proprio egocentrismo. Un genitore dovrebbe non tanto “preoccuparsi” per i propri figli, ma “occuparsi” di loro. Ciò richiede un continuo e a volte difficile equilibrio tra la necessità di stabilire delle regole e porre dei limiti da rispettare (dimensione normativa) e quella di trasmettere amore e fiducia (dimensione affettiva). “Gli stili educativi” (“parenting”) che descrivono le interazioni genitore-figlio, sono classicamente suddivisi in 4 tipi: • autoritario, • autorevole, • permissivo • disimpegnato. I genitori autoritari danno valore all’obbedienza, esercitano punizioni basate sulla forza, non incoraggiano la discussione. I genitori autorevoli stimolano all’auto-disciplina utilizzando sia il ragionamento che l’autorità. I genitori permissivi permettono al bambino di regolare liberamente le proprie attività e sono accomodanti e non-punitivi. I genitori disimpegnati sono negligenti, assenti o disinteressati all’educazione del figlio. Ovviamente, la maggior parte dei genitori non rientra in un tipo rigido, ma attinge a più orientamenti educativi a seconda di temperamento, convinzioni, formazione personali. Il rischio di ogni genitore è quello della prevalenza della dimensione autoritaria con eccessiva severità, punizioni e chiusure che tiranneggiano i figli, o dell’eccessiva indulgenza con anarchia e lassismo che creano figli “tirannici”.
Le ricerche dimostrano che uno stile educativo basato sull’autoritarismo non è auspicabile: le punizioni sono dannose e non servono neppure, dato che l’effetto che sortiscono è quasi sempre opposto a quello che si vorrebbe ottenere. Le punizioni infatti tendono a mortificare, demolire, annientare, senza costruire. La punizione fisica, per i genitori che vi ricorrono, può rappresentare una sorta di codice di comunicazione non verbale, il voler segnalare in modo inequivocabile che si è superato un limite estremo, oppure una risposta emotiva intensa a un momento di esasperazione, di spavento, di rabbia e tensione. Un’altra manifestazione educativa impropria sono le urla, che come le botte denunciano una difficoltà estrema di comunicazione e confronto sereno, e come tali, non hanno effetti utili. Grida, schiaffi e sculaccioni, se usati costantemente, stimolano nel figlio l’idea che sia normale il ricorso alla forza fisica e alla violenza per far valere i propri interessi e punti di vista. Al posto delle punizioni, molto più valore hanno dialogo e persuasione, in misura proporzionata alla capacità di comprensione del figlio. È importante che il bambino o ragazzo “senta dentro” qualunque insegnamento o regola di comportamento, diventando consapevole delle conseguenze delle proprie azioni, cioè del fatto che qualsiasi scelta ha un impatto, su sé stesso e sugli altri. Il rischio opposto è quello di vi
ziare i propri figli, senza riuscire a insegnare loro discipline, regole, rispetto, in quanto il genitore si propone piuttosto come “amico”. Si tratta del genitore “compiacente”, che cerca l’alleanza e la complicità con i propri figli per timore di perderne l’affetto se lo contrasta. Tuttavia, cercando di evitare loro sofferenze e frustrazioni, questi genitori abdicano al loro ruolo educativo in favore di un iperprotezionismo a oltranza. La conseguenza è che perdono di credibilità di fronte ai figli, che finiscono per percepirli come persone deboli e poco valide come guida, e non vengono aiutati a crescere in autonomia. Questi genitori, convinti di rimuovere ogni difficoltà dalla vita dei figli, concentrati a soddisfare ogni loro desiderio, impauriti che possano provare qualunque minima sofferenza o frustrazione, come se ciò fosse un trauma insuperabile, in realtà stanno allevando ragazzi disarmati alla vita, portati ad agire sulla base della loro autoreferenzialità narcisistica senza rendersi conto delle conseguenze delle proprie azioni. È pericoloso infatti trasmettere ai figli l’idea che nessun dolore sia sopportabile, che tutto debba essere ottenuto o risolto subito: un atteggiamento che genera insicurezza e non consente di fare nuove esperienze al di fuori del “nido protettivo” della famiglia con serenità ed entusiasmo. Amare veramente i propri figli equivale a educarli, non ad accontentarli in tutto e per tutto, temendo le loro reazioni. I bambini e adolescenti di oggi, ricoperti di attenzioni, regali, stimoli e comfort di ogni tipo, nascondono, forse proprio a causa di tanta opulenza, una fragilità profonda che minaccia la loro capacità di sviluppare un’identità adulta e consapevole di sé. Un genitore che rinuncia a dire di no, a fissare regole, a indicare limiti, mina il processo di costruzione d’identità del bambino. I genitori che tendono ad essere troppo servizievoli, anticipare i bisogni, offrire continua assistenza, consentire che si discuta su tutto, che i figli decidano al posto loro, privano i figli di un elemento fondamentale delle loro crescita personale: il conflitto. I bambini hanno bisogno di confrontarsi ed entrare in conflitto con i genitori. Un genito
re che ha paura del conflitto, per paura di perdere il legame, rinuncia al proprio ruolo genitoriale. La mamma o il papà devono saper usare il conflitto, non allontanarlo o rimuoverlo, ma imparare a gestirlo a vantaggio di un rapporto educativo efficace e costruttivo. Bisogna rimuovere il concetto che regole, divieti, conflitti, rischino di provocare traumi ai bambini. I bambini e gli adolescenti hanno bisogno, per crescere sani ed equilibrati, di stare nelle regole e nei limiti. Le regole sono come una mappa di orientamento che i genitori consegnano ai figli per insegnare loro a gestire la propria vita quando non sono lì presenti ad esercitare controllo. Man mano che il bambino acquisisce nuove capacità fisiche, scoprendo di potersi muovere fin dove desidera, di potersi arrampicare, di avere una crescente coordinazione manuale, di produrre con le proprie azioni effetto sugli altri, di comprendere frasi più complesse e di farsi capire con i gesti e la mimica, impara a sfidare e provocare i genitori. È il suo modo di esplorare il mondo che lo circonda e comprenderne i limiti e confini. In questo ha bisogno di regole che lo orientino. Tutta la crescita è un continuo equilibrio tra esercizio all’autonomia e bisogno di dipendenza. Bisogna saper dire di no quando serve perché crescere richiede di sapere con chiarezza cosa è “sì” e cosa è “no”, cosa è lecito e cosa no, sperimentare il rifiuto e l’attesa. Lo stile educativo autorevole è quello che trova un punto di incontro tra autorità e permissivismo, ed è dimostrato associarsi a comportamenti più sani dei figli. Si rifà essenzialmente agli insegnamenti di Maria Montessori. Vanno dosati libertà e regole: vanno inibite soltanto tutte le azioni in grado di arrecare un danno al bambino stesso, agli altri e all’ambiente. E, soprattutto, le regole vanno comprese e condivise. Il segreto di un’educazione efficace sta nella garanzia della presenza, nella comunicazione di regole chiare, nel dialogo e nell’ascolto.