Osservatorio
Educazione e [è] politica Le ragioni di un titolo Sandra Benedetti Responsabile P. O. Area Infanzia e Famiglie - Servizio Politiche familiari, infanzia e adolescenza, Regione Emilia-Romagna
Il Gruppo Nazionale Nidi e Infanzia e il Comune di Reggio Emilia stanno lavorando sul progetto del Convegno Nazionale che, nel ventennale della scomparsa di Loris Malaguzzi, si terrà a Reggio Emilia il 21-23 febbraio 2014. Il titolo proposto è già un invito a una riflessione carica di implicazioni e ricca di suggestioni.
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roppi sono i riferimenti che si possono recuperare per dichiarare la nostra convinzione rispetto alla scelta di questo titolo. Il primo riguarda Loris Malaguzzi e l’estrema contemporaneità del suo pensiero; nel 1975, in occasione di uno dei primi convegni della Regione Emilia-Romagna dedicati al bambino inteso come soggetto di diritto nella famiglia e nella società, si esprimeva così: “La costruzione, e soprattutto la pratica, di contenuti educativi non può realizzarsi che attraverso una riflessione permanente e permanentemente critica del ruolo e del valore che essi in realtà rivestono nella contemporanea formazione degli individui e di una società destinata ad accoglierli”1. E parlando di contenuti Malaguzzi non esita a sottolineare che sono la scuola e i servizi educativi i luoghi fisici in cui possono prendere corpo i processi di formazione culturale e professionale e dove si riflettono le concezioni “etico-culturalieconomiche” esterne, con particolare riferimento all’uso più generale che quelle concezioni sottendono in ordine all’organizzazione stessa del sapere. Nell’intervento egli si sofferma a lungo sul fatto che i contenuti trattati nella relazione educativa sono sempre e comunque “interessati”, così come è inevitabile che essi si connettano sempre e comunque con il presente storico e con i confronti e le battaglie culturali e ideali in corso e, quindi, come tali, non possono essere contenuti autonomi e soprattutto separati dalla pedagogia. Anche Bertolini, contemporaneo di Malaguzzi, ricorda in un convegno molto più recente, del 2002, dedicato all’educazione e alla politica che “Esiste una relazione molto stretta tra la politica e l’educazione. Se ne devono riconoscere le caratteristiche fondamentali, che non si identificano certo con la tendenza a ridurre l’educazione a strumento di potere. La politica non può non fare i
conti con gli ideali formativi espressi dalla riflessione pedagogica e l’educazione non può perdersi in discorsi astratti o sterilmente moralistici disinteressandosi delle dinamiche politiche”2.
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iò a cui Bertolini, come Malaguzzi, era affezionato era il recupero “del senso originario” sia dell’istanza politica che di quella educativa. E l’educazione diventa il mezzo per favorire l’accesso a un pensiero divergente, non omologato, poiché solo chi è educato a un pensiero critico è meno esposto alla manipolazione e quando gli individui si sentono responsabili delle proprie idee, è più probabile che si sentano responsabili delle loro azioni. Entrambi affezionati a John Dewey, riconoscono che con lui l’educazione si sposta da una dimensione individuale a una collettiva: essa non è più solo un esercizio intellettuale, ma parte fondante l’impegno pratico, una presa di posizione sui problemi della vita reale. Dewey era convinto che l’attività cooperativa avesse l’ulteriore vantaggio di insegnare il rispetto del lavoro manuale e che la vita scolastica non dovesse essere sedentaria, ma una forma di vita condivisa con altri bambini alla ricerca della comprensione dei problemi del mondo reale e di progetti a cui lavorare concretamente sotto la guida degli insegnanti, ma senza imposizioni autoritarie dall’alto3. Insomma, un farsi comunità educante per contaminare il contesto e dunque la politica che progetta e programma il contesto.
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el resto i tempi che stiamo attraversando ci suggeriscono che l’obiettivo delle democrazie che vogliono mantenersi in salute non può e non deve essere la semplice crescita economica; per evitare un’entropia difficilmente risolvibile occorre che la politica si concili più facilmente con un pensiero dialogato. Anche la pedagogia, dal canto suo, non può fare a meno della narrazione e dell’immaginazione creativa che ha come attitudine prioritaria quella di pensarsi nei panni dell’altro, di essere come suggerisce Martha Nussbaum: “Un lettore intelligente della sua storia, di comprenderne le emozioni, le aspettative e i desideri”4.
Editoriale
Se non si compiono cambiamenti rivoluzionari nel campo dell’istruzione, c’è il rischio che l’umanità di domani si divida tra un’aristocrazia del sapere e dell’intelligenza e una massa ogni giorno meno informata del valore della conoscenza. Questa disparità riprodurrà su scala più grande la diseguaglianza delle condizioni economiche. L’educazione e l’istruzione sono la prima delle priorità (Marc Augé, “Che fine ha fatto il futuro”, 2011)
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ppure l’esperienza di questi giorni ci suggerisce che le democrazie, per reggersi, hanno bisogno di risorse di intelligenza e di immaginazione. La pedagogia deve poter fornire il nutrimento giusto di carattere
culturale, quello che apre a interrogativi, anche esistenziali, avvalendosi dell’apporto di altre discipline e soprattutto della letteratura (dalla quale trarre quegli spaesamenti culturali e quelle dislocazioni concettuali utili per ri-contestualizzare il pensiero pedagogico da un lato e l’azione politica dall’altro).
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n questo senso Loris Malaguzzi ravvisa nella partecipazione l’occasione per alimentare una costante interlocuzione tra educatori, politici e cittadini: “I protagonisti del processo interno ed esterno alla scuola, gli insegnanti, gli ausiliari, i genitori, gli esponenti delle forze sociali e politiche, i cittadini vogliano e siano posti nella condizione di partecipare alla pari, senza privilegi di sorta essendo questa una delle questioni che consente la migliore costruzione di un’esperienza di socializzazione, di decentramento corporativo, di educazione alla partecipazione ove ognuno avverta in che modo gestire il proprio cambiamento per integrare alla coscienza individuale quella coscienza di gruppo che è il balzo qualitativo indispensabile”. Ancora una volta la pedagogia al servizio della cittadinanza attiva anche in educazione: sì, perché un elenco di azioni e gesti quotidiani senza la capacità di saperli leggere, dialogare e valutare per comprendere perché si compiono, non genera pensiero evolutivo, si riduce a semplice rendicontazione. Al contrario la comprensione del proprio agito associato all’elaborazione critica, che ne ha generato la sua espressione, sono le condizioni per cui si possa parlare di cultura dell’infanzia. Ed è quello che vogliamo riproporre con il Convegno, con spirito rinnovato, a partire dal titolo che abbiamo scelto.
1 Regione Emilia-Romagna – Sezione Regionale dell’ANCI, Il bambino soggetto e fonte di diritto nella famiglia e nella società. Generalizzare l’asilo nido e la scuola dell’infanzia come centri di formazione e promozione individuale e sociale, Atti del convegno Bologna, 21-22 aprile 1975. 2 A. Erbetta, con la collaborazione di P. Bertolini, Senso della politica e fatica di pensare, atti del convegno “educazione e politica” Encyclopaideia, Bologna 7-8-9, novembre 2002, Clueb, Bologna, 2003. 3 J. Dewey, Scritti politici. 1888-1942, Donzelli, Roma, 2003. 4 M.C. Nussbaum, Non per profitto. Perché le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica, Il Mulino, Bologna, 2011.
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come potrebbero fare diversamente le educatrici, le ausiliarie, le insegnanti e le coordinatrici che si occupano quotidianamente di accogliere bambini e famiglie nei loro servizi? Se non ci fosse questa attitudine alla narrazione e alla dislocazione mentale e affettiva da sé agli altri, come sarebbe possibile occuparsi di cura educativa e farne una pratica di politica professionale? Perché di politica si tratta quando il lavoro di cura educativa, nutrito da una professionalità qualitativamente adeguata, si pone l’obiettivo di crescere una comunità educante. Diviene centrale allora il principio della pratica partecipativa in educazione, una pratica che considera fondamentali alcuni presupposti per esprimere un reale interesse verso la comunità: • possedere, in quanto personale educativo, insegnanti e pedagogisti, competenze in grado di mettere in valore i saperi teorici e pratici; • valorizzare l’apporto di tutti considerando la comunità come un mondo in cui non si è soli, ma si può contare sugli altri, vicini a noi; • utilizzare l’immaginazione come leva per il miglioramento. Nel rapporto tra tecnici e politici la pedagogia oggi rischia di essere letta come un inciampo oppure una prospettiva con la quale guardare un piccolo mondo antico oramai edulcorato, che non regge più e che crolla sotto i colpi dei tagli provocati dalla recessione economica. E siccome la crisi oltre che economica è anche etica ed è quindi crisi democratica, è facile in questo clima perdere il senso e il significato sociale che la pedagogia attribuisce all’educazione, così la politica potrebbe essere sedotta e obbligata alla dismissione del welfare e ciò può accadere quando si guarda al presente, progettando il futuro, con la sola lente della contrazione delle risorse sia umane che economiche.
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