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Giovanni Pepi

“Il Sentimento della Luce” fotografie 2012 - 2015

a cura di Angelo Pitrone e Nino Giaramidaro Agrigento 14 marzo • 11 aprile 2015 Ex Collegio dei Padri Filippini Centro Culturale Pier Paolo Pasolini Agrigento Provincia Regionale di Agrigento denominata Libero Consorzio Comunale ai sensi della L. R. n. 8/2014

Comune di Agrigento Città della Valle dei Templi

con il patrocinio della Regione Siciliana Assessorato ai Beni Culturali Dipartimento dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana Pubblicazione realizzata dalla Provincia Regionale di Agrigento denominata Libero Consorzio Comunale ai sensi della L. R. n. 8/2014

Stampe fotografiche della mostra realizzate da Laboratorio Master Lab - Agrigento



Giovanni Pepi – l’anima di un fotografo. di Angelo Pitrone. Giovanni Pepi, giornalista, storico condirettore del Giornale di Sicilia di Palermo, da sempre coltiva nel suo cuore una intima passione per lo scatto fotografico. Numerose sono, ormai, le mostre e i riconoscimenti alla sua fotografia, ma questa mostra ha un valore particolare, è il ritorno a casa di un agrigentino che ha avuto successo nella sua professione di giornalista ed ora ci mostra la sua anima nuda, la sua passione per lo sguardo e l’immagine fissa. Il tema dominante è la ricerca di un equilibrio tra la luce e la forma. Una interpretazione del mondo attraverso gli oggetti e i luoghi della quotidianità, trasformati dalla luce e dall’occhio del fotografo in emozioni visive. Un equilibrio precario tra la luce e l’ombra, tra la poesia e l’emozione di un momento irripetibile e intimo. Fatto di sensazioni impalpabili ma degne della memoria fotografica. In occasione della pubblicazione del catalogo della mostra Il Sentimento della Luce, abbiamo fatto alcune domande a Giovanni Pepi. D. Angelo Pitrone - Quando e come ti sei avvicinato alla fotografia R. Giovanni Pepi - Prestissimo. A nove anni. Per gioco. Un regalo inatteso. Una piccola Kodak, la prima compatta della storia, credo. Una scatoletta di celluloide che superava di colpo tutte le complicazioni della tecnica. Un click e la foto era fatta. La trovai una scoperta straordinaria. La macchina fotografica di papà mi intimidiva, tutta ghiere, anelli, manopole e pulsanti. Per non parlare delle fotocamere di legno sostenute dai treppiedi che ammiravo la domenica al Giardino inglese. Macchine più grandi del fotografo, che vi si infilava dentro un soffietto. Adesso, invece, avevo una scatola, una piccola scatola e nient’altro. Dove potevi rinchiudere i pezzi di mondo, le cose e le persone che coglievi in un attimo e volevi rendere eterne. Dalle Kodak alle Nikon, poi alla Canon. Dalla pellicola alla digitale, ho fatto un lungo tratto di strada fotografando sempre di tutto e dappertutto D. Quali sono i tuoi autori di riferimento R. In primo luogo Cartier-Bresson perché è geniale in tutto, paesaggi, composizioni, sguardi intimisti, senso della forma. Poi Berengo Gardin, un maestro delle simmetrie di uomini e cose. Robert Capa per quell’istinto innato di cogliere un fenomeno, una storia fissando un particolare, un uomo o anche un oggetto. Salgado per il coinvolgente lirismo ..... Ma non posso negare che i miei scatti sono sempre condizionati dal mio gusto per la pittura. I paesaggi algidi di Hopper, il tratto di Lichtenstein che rendeva straordinari figure e oggetti comuni, le implacabili volumetrie di Sironi quando dipinge strade e palazzi, i capricci della natura raccontati da Monet, la maestosità degli alberi di Derain, i colori ardenti dei fauvisti.


D. Le immagini di questa mostra da cosa nascono, su cosa si sofferma il tuo sguardo. R. Amo un paradosso, quello di osservare natura e realtà quando appaiono astratte. Così fotografo giochi di ombre, effetti di luce, scherzi del sole, incroci casuali di elementi, riflessi che fanno fuggire oggetti e persone da se stessi. Cerco dappertutto. Negli angoli oscuri di ogni spazio. Spiagge. Strade grigie. Marciapiedi. Vetrine. Pozzanghere. Fontane. Tombini. Discariche. Selciati unti dalla pioggia. Da qui molti scatti che tu stesso hai scelto per questa mostra. Il delirio di luci e di riflessi nella strada di sera dove negozi e vetrine si trasformano in una fantasia gotica. L’immagine di una donna bellissima nelle carte dimenticate tra manifesti strappati e immondizia. Quella spiaggia, quel mare, quel cielo che perdono tratto e dimensione per consegnarsi al dominio del colore che tutto trasforma in nuove forme. I capricciosi riflessi dei fiori nell’acqua, che si sdoppiano sotto la spinta di piccole onde nella vasca della fontana. I trucchi impressionisti di natanti guardati attraverso il vetro di un’auto rigato dalle gocce di pioggia. I giochi di linee che alberi e vele creano in uno specchio d’acqua ... Insomma mi diverte fotografare la realtà che gioca con se stessa e quando mi dicono, non sempre benevolmente, che mi perdo in una fotografia astratta, rispondo, invece, che si tratta di immagini concretissime. Di cose che vedo perché voglio vederle. Sono lì, basta guardarle. Ma non sempre si vedono guardando. In questo faccio cronaca. Perché svelo l’inedito, il non conosciuto, il non visto. D. Che importanza hanno le nuove metodologie digitali e l’uso del colore. R. Rendono tutto più facile e più rapido. Sei meno dipendente dalla tecnica e puoi concentrarti di più sull’oggetto dell’inquadratura. Mi sembra, a dispetto dei puristi, che si può fare più fotografia oggi che non prima. D. Nell’informazione sulla carta stampata la fotografia ricopre ancora un ruolo importante. R. Direi molto più importante. L’informazione moderna ha il suo centro nell’immagine. Si vuole vedere di più e leggere di meno. Per noi, professionisti della carta stampata, non è una bella cosa. Ma così è. Raccomando sempre ai miei giovani colleghi di imparare a raccontare la realtà con fotocamera e telecamere, oggi del resto alla portata di tutti. Il futuro dell’informazione è multimediale. Non c’è scampo. Si vale di più in quanto si è capaci di raccontare la realtà con ogni mezzo.


D. Che ne pensi della fotografia come oggetto d’arte, il suo essere un prodotto altamente tecnologico e la riproducibilità dell’opera quanto la rendono appetibile. R. La fotografia è arte anche nelle sue funzioni più semplici. È arte in sé, capacità “di agire e di produrre” come spiega Treccani. Ma mi piace citare Nadar quando dice che non esiste la fotografia artistica e che nella fotografia esistono, come in tutte le cose, delle persone che sanno vedere e altre che non sanno nemmeno guardare. D. Secondo te che ruolo ha avuto e continua ad avere la Sicilia come terra di fotografi e come tema di fotografie. R. La Sicilia affascina, attrae, incuriosisce per i suoi vizi. Nell’occhio dei fotografi la Sicilia è sempre spettacolo, iperbole, eccesso. Ma per molto tempo nella fotografia sulla Sicilia i fotografi siciliani hanno insistito nella figurazione stantìa di un’isola che non cambia. Il paesaggio luminoso, i colori sublimi, i paesaggi maestosi, i tramonti di fuoco prevalgono nell’immagine turistica e commerciale. La fotografia che conta, che fa storia è ancora incentrata su vicoli, basole, coppole e scialli neri, folle di anziani davanti ai circoli, donne che guardano attraverso le finestre. Affascina meno la Sicilia che cambia, quella che si omologa all’Europa, la Sicilia che produce, la Sicilia delle vetrine, della moda, dell’industria. Noi possiamo vantare una eccellenza nella fotografia di denuncia, quella che documenta la violenza della mafia. Sono formidabili esempi di impegno politico e civile. Nello stesso tempo dobbiamo dire che spesso le foto delle grandi firme portano il segno di una certa stanchezza. D. Per concludere, che consiglio daresti ad un giovane fotografo che vorrebbe intraprendere questa avventura. R. Essere sempre con l’occhio oltre la fotocamera. Concentrarsi sull’inquadratura più che sulle regolazioni tecniche. Seguire sempre l’istinto mantenendo un rapporto intenso con la lettura e lo studio. La pulsione dello scatto arriva, lo sappiamo, perché è la realtà che chiama. Ma i richiami sono tanto più intensi e forti quanto più hai dentro conoscenze e saperi che ti fanno guardare meglio e vedere di più. Non dimentichiamo Cartier-Bresson quando diceva che la fotografia vuol dire porre sulla stessa linea di mira la mente, gli occhi e il cuore.



















Giovanni Pepi Giovanni Pepi, nato ad Agrigento il 22 giugno 1947, ha frequentato il liceo classico “Garibaldi” e la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Palermo. È stato borsista del Ceses per il quale ha scritto due saggi sul Pci in Italia. È stato tra i fondatori a Venezia della rivista “Controcorrente”, dove ha pubblicato un saggio per ricostruire la trama ideologica dei gruppi extraparlamentari che si sono formati sulla scena politica italiana tra il ‘60 e il ‘70. Oggi è condirettore responsabile, oltre che del Giornale di Sicilia, del sito, dei notiziari televisivi di TGS, e dei radiogiornali di RGS (Radio Giornale di Sicilia). Per Radio Giornale di Sicilia ha progettato e conduce la trasmissione “Ditelo a RGS” che costruisce titoli, inchieste e reportage in base alle sollecitazioni dei radioascoltatori. Ha pubblicato saggi politici su libri e riviste. È coautore del volume: “Pappalardo: un vescovo tra noi”. Il saggio “Gli anni di Cronaca in classe”, dove si ripercorre la storia di un’iniziativa giornalistica che ha suscitato apprezzamenti sia sul piano nazionale che internazionale, è stato tradotto in inglese, nell’autunno 2002, nella Collana sulla Cultura della Legalità curata dal Sicilian Renaissance Institute. È stato professore a contratto, nell’Università di Palermo, ha insegnato tecnica e Linguaggio della professione di giornalista e master della fotografia e giornalismo negli anni 2005- 2006-2007-2008. Fotografo per passione ha esposto a Palermo al Palazzo dei Normanni, al Museo del Teatro Massimo, al Loggiato San Bartolomeo e fra l’altro al Vittoriano di Roma e a Castel Gandolfo




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